2004 - ARTICOLI PUBBLICATI     nell’ ANNO 2004

 

APRILE  n4

Pag. 5     Articolo su scuola modellini delle ville, del pf. Mazzarino

Pag. 6     Una settimana di preghiera all’Adorazione Perpetua

Pag. 10   COME ERAVAMO Dov’era via s.Giovanni Battista a Monte

               La chiusura di Gaggiolo

              Torre Nora*

MAGGIO  n5

Pag. 5    La sonda Cassini verso Saturno                       ........ allegato 20

Pag. 6    La moschea a Cornigliano ............     ....              ....allegato 22

Pag 7     Le tappe della vicenda in Pza Sopranis      ............allegato 12

              Il sasso di  Cantore              ................           ..........allegato 10

Pag. 10  L’ossessione della pressione     ..........            ..........allegato 8

Pag. 15  Padre Annibale Maria di Francia......              .........allegato 21

GIUGNO n6

Pag. 2     Waterfront...........           ...........,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,... allegato 13

Pag. 4   Sigaretta no grazie

SETTEMBRE    n7

Pag. 2   Le conseguenze del diabete          ...               ........    allegato 15

Pag. 5   Le risposte di Daneo

 Pag. 7  Tutti i numeri del CentroOvest – centro statistica......allegato 16

OTTOBRE   n8

Pag. 3     Intervista a Minniti        ......................           ..........allegato 17

Pag. 4     Intervista a Marotta

Pag. 6     Battaglini e Tosa, carabinieri............           ...........allegato 19

pag.7     Villa SerraMonticelli

pag. 8     Una solida azienda chiamata ospedale.               .....allegato 11

pag. 13   I danni del colesterolo........................                ......allegato 14

pag. 14   La salute dell’anima..Romanato        ...             .......allegato 18

NOVEMBRE/DICEMBRE    n.9

pag. 3    Ma qualcuno non ci ama  (Tursi)..........               ..... allegato 5

pag. 5   tradizione di natale*...............           -----.................   allegato 9

             per non sentirsi soli a Natale*     .............................. allegato 3

pag. 6   Il santuario di Belvedere e del miracolo               .... allegato 2

pag. 8   Quando la salute è solo una spesa...............................allegato 7

pag.12  E’ Natale: festa per i bambini ....................          ....... allegato 6

pag. 12 Il Tondo tradizionale: un bel libro sotto l’albero ...  ..... allegato 1

pag. 13   L’invasione delle lapidi.......             ...                .......allegato 4

 

Allegato 1            IL TONDO TRADIZIONALE

Quando si dice la parola tradizione, si esprime un concetto vasto e  tutt’altro che semplice: come dire pace, o amore; comprendono un ampio panorama  di emozioni che coinvolgono noi, la famiglia, gli amici, il nostro mondo, la sicurezza dell’essere nel tempo e nel luogo in si vive, e cento altre riflessioni.

Tradizione, in semplicità, vuol dire ripetere tutto quello che ‘porta buono’, che è saggezza e simbolo: porta buono l’alloro, albero che sin dai tempi dei romani veniva usato per gli auspici positivi... e, se è durato duemila anni...; porta buono il presepio che richiama dai tempi di san Francesco la nascita di Gesù, sono solo...ottocento anni; porta buono farsi gli auguri, che sottintendono un ‘vogliamoci bene, siamo amici’; porta buono il pandolce che si fa prevalentemente a Natale e ne diviene il simbolo mangereccio. Non si finirebbe più.

É saggezza invece quel giorno porre in tavola il  maccarön in broddo: già se ne erano accorti, che nell’ipotesi di una mangiata fuori misura, sono quelli che ti aprono lo stomaco senza intasarlo subito; ed è saggezza starsene in casa, magari a giocare a tombola, per dirsi almeno una volta all’anno illudiamoci e cerchiamo gioia nelle cose semplici ed in famiglia.

Per i genovesi non è possibile non conoscere la poesia “Natale” di Nicolò Bacigalupo: è un classico, come  “Tu scendi dalle stelle” nella musica o la “Messa di mezzanotte” in religione. É lunga, ma scorre bene perché richiama memorie conosciute; e fa sorridere per quelle piccole manie, senza le quali non è  “Natale, nömme magico e che ö fà batte ö chêu....ai vegi ed ai figgiêu...stimolo pe-ö credente, delizia dö mangiön”.

Le ricette tipiche, e la poesia anche tradotta in italiano, sono ritrovabili per intero nel libro di Nelio ed Ivana Ferrando « Natale a Genova», edito dalla Sagep, in tutte le librerie a 15,49 euro. É bello averlo, ed è bello regalarlo, pe parlâ tûtti co-a mæxima tradizion. E questo vale anche per il nostro Allegato 2      IL SANTUARIO DI NOSTRA SIGNORA DI BELVEDERE

Cittadino, che passi in auto o sul pullman sul Ponte di Cornigliano, o che vai allo stadio Morgavi o a cimitero della Castagna,  guardati intorno; come fai a non dire: che bello!,  guardando stagliarsi sul colle, il santuario di Belvedere.

E, se vai sul posto in un giorno di bel tempo, dal piazzale posto a 128 metri sopra il mare, come fai –se gli alberi cresciuti davanti lo consentono- a non dire: che bello! guardando il panorama. La Valpolcevera e la riviera di ponente sino a Capo Mele.

Belvedere, antico Bervej, lo dice la parola, è sinonimo di «bel vedere».

Ma sii più profondo, entra nel Santuario e nel chiostro; ripeterai: che bello!

Non è solo esteticamente bello, è anche silenziosamente mistico, semplicemente decorato, riccamente coperto di storia e, ancor più , -da poco, ma non per niente è Santuario-  asceticamente luogo di miracoli: un operaio accidentalmente caduto nel riparare il tetto, da ben otto metri poteva spiaccicarsi sul pavimento ed invece si è fratturato, ma è vivo.

La chiesa è dedicata alla Natività di Maria. Fu costruita non si sa con precisione, un pò prima un pò dopo, mille anni fa, a corredo di un convento per giovani aristocratiche sacrificate dai laicissimi genitori alla vita religiosa per non intaccare il patrimonio al primogenito. I primi scritti riguardanti la chiesa, già ben funzionante, risalgono al 1285 per una donazione al “monasterio Sancte Marie de Bervej de Janua”. Da allora, molti documenti e manoscritti, testimoniano l’evoluzione nel tempo della prosperità e del fervore religioso del sito. Già nel 1485 era meta di feste religiose, poi nel tempo corredate da sagre, con i Cristi, la banda, con i banchetti di canestrelli e nocciole e con burattinai.

L’immagine della Madonna,  raffigurata col Bambino in braccio, dipinta su una tavola ottagonale di legno dentro una cornice raggiata, acquistò gradatamente venerazione, al punto che Papa Pio IV nel 1563 concesse ampia indulgenza per chiunque lo visitasse nella settimana attorno all’ 8 settembre. Persino i condannati furono autorizzati ad andarvi, con particolare salvacondotto, almeno perché si regolarizzassero con la giustizia divina. Veniva considerata la “Madonna della Guardia sampierdarenese”.

Venne elevata a Santuario nel 1650, quando l’edificio fu ricostruito, ingrandito ed  abbellito. Miracolosamente sopravvisse  nel 1815, al pericolo di essere abbattuto, quando i Savoia pensarono costruirvi un fortilizio, che poi fu costruito poco più sotto. Nel 1901 la Madonna fu incoronata ‘titolare’ del  Santuario;  nel 1930 il Santuario divenne parrocchia per la cura di tremila fedeli; quattro anni dopo fu vincolato e tutelato dalla Soprintendenza alle Belle Arti, a tutela anche nell’interno di opere di AntonMaria Piola, di Carlo Orgiero (dedicata una via ),  di GioRaffaele Badaracco, di Simone Barabino, di Camillo Martini. Classico è l’annuale presepio, citato su tutti i libri, creato con statuine del 1700 attribuite a Gerolamo Pittaluga (dedicata una via di San Pier d’Arena).

La sua storia è ricchissima, come si fa a narrare tutto? Ricordiamone uno: a suo onore Bavastro titolò uno sciabecco, armato per difendere la pubblicato   dic/04

allegato 3                 Natale e solitudine.

La festa si fa in famiglia: è vecchio proverbio «Natale coi tuoi, Pasqua con chi vuoi».

Ma quando si è rimasti soli,  allorché la famiglia è uno solo ?

Una volta o nei paesi, può essere più facile conoscersi tutti; ma in città siamo arrivati a non sapere chi abita neanche nello stesso caseggiato.

I sacerdoti chiamano tutti in Chiesa; ma chi ha difficoltà a muoversi?

Tante sono le iniziative ed i volontari che pensano e  cercano di correggere questo problema,  ma tant’è qualcuno sfugge lo stesso, sia perché per reticenza e vergogna non segnala la sua posizione, sia perché sfugge alla rete di chi –ripeto: volontario- ci pensa e fa quello che può. Non tocca certo al Sindaco ed alle istituzioni pensarci: entriamo nel privato e loro se ne guardano bene di immischiarsi.

Tocca a chi si sente solo, a chi sente che la festa perde calore, valore e significato.

Lui deve segnalare la sua condizione, mettendo da parte orgoglio e  ritrosia –almeno a Natale- sapendo che dall’altra parte del filo telefonico, della letterina, della voce del ‘vicino’, ci sono persone disposte con umiltà e servizio a venire per aiutare e rendere semplice l’incontro. 

Provate a chiamare l’AUSER,

il Parroco

l’Associazione ...  Repubblica dall’invasore austrotedesco, e sopravvisse.

-allegato 4     CIMITERI STRADALI

avevano cominciato in via Buranello, lassù in alto dove inizia la parte superiore di via della Cella, a ricordare con una lapide un amico morto in incidente stradale.

Poi è comparsa quella in via Daste, sul fianco della Fortezza.  L’amico morto –e se non vado errato era anche un volontario della beneamata Croce d’Oro-, suscita sentimenti profondi: da qui, la necessità di ricordarlo ha fatto autonomamente apporre la lapide, suscitando diverse reazioni anche nei lettori del Gazzettino, ma con un nulla di fatto da parte di chi gestisce la cosa pubblica.

Ora ne sono comparse altre due: una sul muraglione di via Paolo Reti quasi di fronte a via Agnese, ed altra –una vera e propria lapide da cimitero, in via Campi.

Così sono quattro, se non ci fermiamo e torniamo indietro. Potremo fare a meno di salire alla Castagna, se ognuno per la pigrizia di salire lassù sarà libero di farsi il cimitero per la strada. Personalmente –ed amici del cuore ne sono mancati anche a me- sono del parere che è doveroso avere ‘nel cuore’ un amico, ma non è opportuno ‘imporlo’ agli altri, soprattutto ai passanti indifferenti, il cui menefreghismo è più offensivo che meritorio. É questione di educazione e rispetto. Se ce ne è ancora.

allegato 5       Ma qualcuno non ci ama

É ovvio, che quello che scrivo, verrà smentito.

Ma se fuori dalle parole guardiamo i fatti, che a Palazzo, San Pier d’Arena interessi poco -e solo per i voti-, è dimostrabile. Le problematiche grosse, quelle spettacolari, un pò alla volta sono state affrontate e –più nel bene che nel male- risolte. Grazie.

Ma è nei piccoli gesti, nel risolvere le piccole problematiche  che si dimostra l’affetto, la simpatia, la benevolenza. E qui casca l’asino.

SPd’A appare essere valutata come il suburbio, da secoli ormai sacrificato a quel tipo di lavoro che sporca e inquina e quindi non un salotto buono;  una cucina sporca o una stanza ripostiglio, da usare per le cose che ci servono sempre,  ma non da far vedere agli ospiti; i cui eventuali pregi vengono lasciati nascosti al buio dello stanzino, a vantaggio di quelli buoni nel salotto di rappresentanza. C’è ripetutamente a Palazzo il vuoto,  nel dimostrare considerazione delle piccole cose, nelle scelte di comportamento che denoterebbero il suo senso di sensibilità, nonché di attenzione valorizzante. 

Il piccolo, è sinonimo di rispetto: dell’antico, del tradizionale  di quello che il locale ritiene ‘di valore’.  Mille piccoli esempi.

Dalle antiche crose non riparate come si deve ma grossolanamente lasciate tappezzare da asfalto (costa meno); le statue di villa Scassi, abbandonate in soggiorno a sant’Agostino; salita Millelire allo sfascio ed ancora chiusa da due cancelli (tanto, a cosa serve? é come una nonna, sta bene chiusa... a morire); le mostre del Rubens, (laddove nessuno ha osato dire che il pittore fu ospite e soggiornò da noi, a San Pier d’Arena); le cartine topografiche di GeNova 04 (sistematicamente limitate fino alla Lanterna: Genova finisce lì); villa Scassi (che dovrebbe essere ‘la Bellezza’, cioè un ‘pezzo buono’; e che invece è diventata ...una tristezza, basta guardarla, e come tale da non mostrare); e la chiesuola di s.Agostino?,  ha più o meno circa mille anni, ed è abbandonata con i tubi innocenti attorno, come un vecchietto con le stampelle a cui dire “adesso vengo! tanto vai avanti da solo...per terra”; le torri ‘saracene’ che anche loro sono lì, ma è meglio che nessuno ne parli; maniman qualche architetto si accorgesse che ci sono, ne farebbe  un silos per auto!; il baraccone del sale  cade a pezzi... bene! qualche astuto non aspetta altro per tirarlo giù tutto e farne parcheggi; Lungomare Canepa (nome ironico e beffardo! –non Canepa, poverino-. C’è un muro tipo quello di Berlino, ed il mare te lo sogni!; forse le pozzanghere le lasciano apposta per  indicare ai turisti che sotto c’era il mare; oppure, notate la finezza! il lungomare è stato così chiamato per andarci a ‘passeggiare’) di cui ogni giorno si pubblica che finalmente è al via...si, via nella rumenta!; crose con  antichi muri (più di 500 anni di età), lasciati deturpare da insulsi capomastri  con tubi assurdamente piazzati a mezzavia (sal.Sup.S.Rosa; a proposito, ed il lavatoio alla sommità, che fine ha fatto? sepolto per sempre a sant’Agostino anche lui?

Debbo smettere di elencare altrimenti diventa troppo lungo. Ma non si può tacere l’ennesimo, e non ultimo:  lo  sfregio ad un affresco sul soffitto di una nostra villa antica, già dei Centurione. Tranquilli! , è solo un Andrea Ansaldo ed ha solo quattrocento anni; sicuramente in Centro ce ne sono dei migliori. Il nostro, un banale ma grave incidente l’ha deteriorato: incoscientemente rotto un tubo dell’acqua al piano di sopra durante delle riparazioni, l’infiltrazione  ha ammuffito tutto il disegno e scrostato l’intonaco che sta lì gonfiato e crepato in attesa di cadere irrimediabilmente:  l’affresco è un bene di tutti noi sampierdarenesi. Vorrei conoscere chi, tra i lettori, se avesse avuto la figlia deturpata al viso in un incidente stradale, aspetterebbe il chirurgo plastico solo alla fine del litigio assicurativo, e starebbe paziente ad aspettare dodici anni (!), tanti sono dal giorno dell’incidente del tubo rotto.

Piccole cose, ma troppe.

Da un cittadino qualsiasi, preghiera ai responsabili: subito!  fate rimuovere quei tubi dall’Enel; impedite l’asfaltatura delle crose riparate; il restauro dell’affresco; la facciata di villa Scassi: subito. Signor Sindaco, per favore faccia riaprire salita Millelire, fatta chiudere dal suo collega Sansa, e la faccia tenere pulita: i drogati ci sono sempre, non ci vanno più, ma la crosa muore.

Cominciate da qui.

Allegato 6    É Natale : festa per i bambini

Sembra ieri, ed è di nuovo Natale.

Un contrastante miscuglio di sentimenti confonde la mente di tanti.

Innanzi tutto: è una festa religiosa o no? in questi tempi, in cui la religione si fa a proprio uso e consumo, tempi in cui “credo in Dio ma non nei preti”, del tipo, ci si sposa in Chiesa ma con la massima tranquillità si va dall’avvocato e ci si separa; tempi in cui abbiamo votato si al divorzio ed aborto; a Messa una bassa percentuale di credenti; i preti stessi poi, sono troppo pochi e così hanno tante (?)altre cose  da fare...

Ma poi, è una festa per i bambini? Diremmo di si, visto che loro fanno una lunga vacanza a scuola, l’adulto no; visto che i principi religiosi e la suggestione del fantastico che si sovrappone al vero si insegnano da bambini, perché rimangano nel profondo della psiche. Sarebbero per loro i regali, se sono stati buoni; un premio! ma se oggi tutti i bambini sono bravi, e lo sanno gli insegnanti ai Consigli di classe, il regalo non è più un  premio, ma un dovuto: cambia la musica. Ma non è il caso di pensarci ora.

Le luminarie stradali ricordano all’adulto che deve pensare al presepio (che fatica!) o –paganamente- all’albero, con tante luci!... Le luci, la tredicesima, la TV distolgono dal fatto che l’adulto dovrebbe essere invitato a fare una riflessione di se stesso: il Bambinello invita all’umiltà, e di questa virtù in giro ce ne è sempre meno...negli altri, ovviamente. L’adulto andrà a Messa a mezzanotte, dimostrandosi disponibile ad un sacrificio serale che, quando va a cena o a teatro ormai lo fa di routine settimanale.  Nel contempo quest’anno l’adulto non cascherà nell’inghippo dei regali. Sono diventati solo un business per gli altri, una sirena incantatrice che ci spenna vivi non ricordando che la tradizione vuole si un regalo, ma semplice, da non offendere chi non può; ma poi il barbiere, il postino, la Croce d’Oro, ...

Non finisce lì. L’adulto mamma, oltre il lavoro, la famiglia, il marito, i figli, il cane, ha da pensare anche al pranzo. É compito delle donne. Tutti insieme, e più si è e più la famiglia è rappresentata, a divorare antipasti, vinello, ravioli, e via sino al famoso pandolce, se ci fosse qualcuno che in maniera chiara ci dicesse se il tradizionale è quello alto o quello basso; tanto vale assaggiarli ambedue e la tradizione la incominciamo noi. E l’adulto non dimentichi le canzoni...’Tu scendi dalle stelle’...occorre rispolverare le parole ché non le ricordiamo tutte; ‘Bianco Natale’, ‘Stille Nacht’ da Bing Crosby a quelle nuove suonate in Chiesa con la chitarra.

C’è posto per pensare agli altri? a quelli soli, quelli malati, quelli poveri, quelli ...

Buon Gesù Bambino, aiutaci e perdonaci, non ce la facciamo a star dietro a tutto....

Allegato 7            La sanità di oggi   

La medicina  è in continua e travolgente evoluzione sotto tutti i punti di vista, sia scientifici (con mezzi diagnostici e terapie sempre più mirate ed efficaci sino agli strabilianti trapianti d’organo; sempre più sofisticati, ma costosi); sia  strutturali (con ospedali divenuti aziende, il servizio del 118, la neonascita dei distretti); sia nel rapporto diretto umano, che poi non è l’ultima cosa che interessa il cittadino.

   Tutti abbiamo capito che la sanità di oggi è migliore di quella di quarant’anni fa.

Ma gli anziani, che hanno vissuto questa evoluzione e che oggi più degli altri si misurano col proprio medico, ne sono in genere frastornati: in poche diecine d’anni hanno vissuto senza rendersene conto che da pazienti (concetto cattolico antico, relativo all’assistenza che nel medioevo davano i frati) sono diventati utenti (cioè che usano il servizio; ma che, anche se è dovuto,  dovrà essere gestito con intelligenza perché non è un bene individuale ma sociale e limitato dalle capacità economiche) ed ora sono clienti (per usufruire del sevizio, si deve partecipare alla spesa).

Che l’ospedale prima era solo un luogo di degenza (pura assistenza) ora è azienda (bilancio economico annuale).

Che il proprio medico era ‘della mutua’ (la vecchia INAM, cioè assicurazione malattie), poi è diventato di famiglia, poi di base (in famiglia, ognuno si scelga il suo), ora è di medicina generale o generalista,  ma tra poco diventerà solo un ‘manager’ (cioè un esperto di economia).

Queste parole, per gruppo, non sono né simili né sinonimi, e rappresentano una evoluzione che alla fine,  tutti e tre ‘cliente, azienda e manager’,  hanno il ben preciso significato di andare in pari nella spesa, pena il fallimento della gestione.

   Il dramma, è che i conti per tanti motivi continuano a non tornare, sia che ci governi la sinistra, sia la destra: qualsiasi cambiamento mirato, finisce in deficit. I conti potrebbero tornare se il governo destinasse  più euro al settore; ma non è così facile. La barca è un colabrodo, e chiunque la voglia risanare, rischia fortemente di perdere le elezioni.

    Allora, per chi è malato ed ha bisogno di essere assistito, è meglio o è peggio? Direi che è senz’altro meglio di prima: la sanità, quella medica, è in positivo: in continua evoluzione  come dicevamo all’inizio;  solo quella economica è in negativo: una mostruosa voragine mangiasoldi, al punto che chi amministra questo servizio a mio avviso non ci capisce più nulla e  non riesce a soddisfare a pieno le esigenze dell’uomo civile di oggi, non solo perché costa troppo ma anche perché la spesa lievita continuamente.

  Per capire meglio dobbiamo renderci conto che l’ambiente medico, tutto, oggi non è più gestito dai laureati in medicina; ma, essendosi dimostrata la loro gestione  troppo pietistica e dispendiosa, il famoso ‘missionario’, han preso le redini i politici, e con essi  i partiti con relativi pochi pregi ed enormi difetti. Questi ultimi vedono solo ‘un problema’: la spesa. E stanno trasformando tutto in un problema unico: i soldi. Oggi, il costo del servizio è quello che  condiziona tutto; al suo fine tutto viene manipolato, condizionato e stravolto rispetto a prima, insensibili se così facendo si va anche a distruggere alla fine il rapporto tra medico e malato, che era basato sulla fiducia ed ora è divenuto di comodo, fino alla rivalsa con denunce, come un qualsiasi negozio commerciale.

   Chi non ricorda nel passato, certi vecchietti che svernavano in ospedale. Poi, due o tre volte all’anno per vent’anni,  i titoli dei giornali con ‘tagli alla sanità’. E quando non c’è stato più nulla da tagliare e la spesa era sempre in rosso, che fece il politico? da allora ripete che i conti sono in rosso –e lo sono-, ma mai dirà apertamente che non sa che rimedi adottare, perché sa che se applicherà dei freni, di rimando andando incontro allo scontento della popolazione ed al ludibrio dell’opposizione politica perderà dei voti elettorali. Non rimane che,  il più  furbescamente possibile, attuare degli stratagemmi per frenare l’emorragia. Qualunque siano i freni, ovviamente alla fine si ritorceranno sempre sul malato, il quale anche se nell’immaginario comune è disposto a vendersi tutto per star bene, poi finisce nel cercare di spendere nulla e gridare anatemi alla malasanità.     E ripeto, questo è stato applicato sia da chi  sta a sinistra che da chi sta a destra: parole, parole diverse, ma fatti eguali. E’ la vecchia storia della coperta corta: uno grida all’altro perché ha lasciato fuori i piedi, e l’altro ha materia per dire che ha freddo alla testa.

   La soluzione non è per nulla facile; e se il politico ha distrutto la vecchia medicina, almeno quella singolarmente qualitativa, quella nuova manageriale fa acqua anche lei seppur in modo diverso.

   Se volessimo fare dell’utopia, ci potrebbe essere una soluzione, magari  da valutarsi con un referendum: ridurre altre spese (militari per esempio) e stornarle alla sanità; e con lei, alla ricerca ed alla sicurezza. Ma i tempi purtroppo non sono maturi.    E poi, i politici un referendum così non lo faranno mai, perderebbero potere.

Allegato 8  A SALUTE ED I   RISCHI  LA PRESSIONE

E’ famosa la barzelletta che racconta di Gesù che, volendo tornare sulla terra si mette nei panni di un medico della mutua, ed apre un ambulatorio. Il primo paziente è uno storpio, ai gradi estremi dell’autonomia. Gli pone le mani, lo invita ad aver fede, e ad alzarsi; e così succede che è bello e guarito. Quando esce, a tutti quelli che incuriositi gli chiedono come è il nuovo medico, lui risponde: è come gli altri, non mi ha neppure misurato la pressione.

E’ divenuta un mito, una ossessione, una valutazione che invece di essere uno dei tanti segnali del nostro organismo, viene erroneamente interpretato come l’unico, essenziale e da vivere con paura: controllato quella, la visita è fatta. In realtà è solo un indice; anche se importante, facilmente controllabile,  che interessa la cuore e circolazione. Ma non più importante per esempio di una saggia e precisa spiegazione al medico dei disturbi che ci hanno portato a visita (anamnesi).

Vediamo. Tutti sappiamo che esiste la massima e la minima.

La prima è quella che interessa più di tutto; che quando si dice ‘pressione’ oppure ‘lotta all’ipertensione’, si sottintende solo la massima. Indica lo sforzo che il cuore deve fare, per far fare ‘un giro’ al sangue fino al ritorno (meglio, sono due i giri: piccolo e grande circolo). Ovvio, più alta è la pressione, superiore è la fatica. Compiuta 60 volte al minuto,  moltiplicate voi per i giorni, e gli anni: se avessimo 60 pulsazioni al minuto, diventano 3600 in un’ora, e 8640 in un giorno.

I pericoli dell’ipertensione sono due: uno è chiaro che più alta è la pressione, più alto è lo sforzo e quindi fatica per il cuore ad ogni battito: è ovvio che negli anni si ‘spomperà’ di più di un normale).  Due è che se la causa della pressione alta è in un solo distretto del corpo, ad esso va bene che il sangue arrivi con più energia capace di superare l’ostacolo; ma agli altri organi del corpo no: in questi ultimi, quell’onda che arriva con maggior impeto, può rompere un vaso sanguigno, con le conseguenze dell’infarto (o ictus, cerebrale, cardiaco, polmonare, ecc.) o, con i vortici , facilitare la formazione dell’arterosclerosi o di emboli.

Anche la minima ha il suo interesse: un poco meno nell’immediato, di più proiettata nel tempo futuro perché corrisponde alle resistenze che il flusso trova nel procedere, e di esse il più importante è il calibro dei vasi, che per stimoli ormonali scorretti tende a restringersi.  Di conseguenza il liquido che scorre  dentro subisce un rallentamento con ovvio minor flusso in periferia;  e con ciò anche  lenta minore ossigenazione e nutrimento e più precoce deterioramento ed invecchiamento negli anni.

Non vogliamo fare un trattato. Se ci saranno delle curiosità diverse, scriveteci.

Allegato 9       LA TRADIZIONE DEL   NATALE  

Gli antichi genovesi, nel giorno della nascita di Gesù in segno di contentezza mettevano fronzuti rami di alloro, «öfêuggio», sia sulla porta che in tavola.

In molte case di oggi, questo simbolo è rimasto: in casa mia un rametto si “infila” dentro il pandolce. Chi ce l’ha detto non si sa, ma si fa.

Poi, cercando nei libri, si viene a sapere: la tradizione nacque  nel lontano anno 1307 con una cerimonia detta del “confuoco  (Confêugo)”, consistente nell’ossequio fatto dalla Cittadinanza (rappresentata dall’abate  eletto dal governo per difendere i diritti dei cittadini, ovvero un capofamiglia delle vallate;  oggi dal presidente della Associazione “A Compagna”) al Sindaco (allora Capitano del Popolo, poi Doge, poi Podestà) portandogli in dono un tronco  ricco di foglie, da bruciare a notte in piazza, dopo averlo bagnato di vino, ed in nome «do Segnô, de san Zorzo, de san Gioane», e la cui brace doveva restare fino a capo d’anno a simbolo del giuramento di fedeltà.  Non è tradizione religiosa quindi, ma civica, ovvero “abbiamo stabilito delle leggi e le osserveremo”.

Nell’ambito di questa cerimonia, tradizionale è anche il momento di incontro tra i due. Da settecento anni si dicono: «bentrovô Messê  ro Duxe», «benvegnûo Messê l’Abboû». Seguivano festeggiamenti a base di confetture, vino e soldini da dare ai valligiani. Così nacque la seconda tradizione: l’idea di regalare per festeggiare il Natale, che a quei tempi venne estesa anche ad una raccolta per i detenuti per debiti in Malapaga e privatamente con «i regalli» tra parenti e amici; ma importante ed immancabile era  sul tavolo «o pandoçe» (quello fatto in casa  usando ciò che allora era sul mercato: pane, pinoli, zibibbo, mandorle e –se c’era- frutta candita;  e non il panettone che è  quello basso e ricco di burro e zucchero, forse più dolce ma meno tradizionale): ciascuno non poteva esimersi dal mangiarne una fetta, ché «o porta ben».

Negli anni attorno al 1530, dopo aver presenziato ai solenni riti religiosi nel Duomo, nel salone di palazzo Ducale, «messé ro Duxe» seduto su scanno coperto da un drappo dorato, con mantello guarnito da ermellino, invitava nel pomeriggio di vigilia di Natale, gli Anziani, i Senatori, i Capi dei magistrati, l’Arcivescovo, i militari, i Consoli delle arti, i Diplomatici, il Patriziato ed i rappresentanti del Popolo, per gli auguri.  Le dame erano con i migliori abiti di broccato e seta. Fu necessario un decreto legge per limitare le eccessive esibizioni di ricchezza e soprattutto di spreco.

Prima la musica, poi la cena (San remo provvedeva al vino ed aranci; i vari paesi della Repubblica offrivano pasta, castagnate, capponi, maiali, formaggi, frutta, olio, pesci, dolci e quant’altro ritenevano opportuno per omaggiare il Doge).

Seguivano i doni natalizi: si chiamano, in genovese,  “strenne” (parola che proviene dal latino ‘exeniae’ cioè doni) di cui la più famosa era «o dinâ da nöxe», divenuto comunissimo nelle case ed edifici pubblici (ai quali era proibito ricevere o prendere mercede  per il proprio lavoro, ma era lasciato salvo a Natale il denaro della noce, frutto simbolo_ di fecondità ed abbondanza).

   Nelle case di tutti , la festività del Natale rappresentava l’evento maggiore di aggregazione e di spiritualità che mai prima l’umanità avesse mai avuto e curato.Tutto quello che poteva stimolare il concetto di famiglia, di unione, di serenità, veniva accettato e continuato nel tempo, cercando di dare a Gesù l’immagine del più povero di tutti, perché potesse essere il più ricco di tutti : «in ta notte freida e scua, o tiava un forte ventu e anche a neive a vueiva vegnî sû».

Così dai tempi di san Francesco, il presepio (con la statuina del pastore, detto «pastù Gelindo» che era la più rappresentativa: erano di loro che calavano dall’entroterra a suonare per le strade con pifferi artigianali); la poesia o la letterina di Natale letta  dai bambini; la strenna ai piedi del presepio (divenuta ‘il pacchetto’; e non dell’albero che si è ‘intruffolato’ nel dopoguerra per la mania di cambiare e con l’idea di essere in mostra come diversi, che dona un gradevole ‘senso di gioia’ ma che non rappresenta il ‘senso del Natale’). Per finire il pranzo «a  ribotta», la cui sontuosità è solo la banale scusa per far stare in famiglia tutti assieme ed a lungo (“töa missa in moddo splendido, - o da poei fa dö sciato...nö ghe raxön, ne scûsa, - coscì va faêto e s’ûsa – pe antiga tradiziön» versi di N.Bacigalupo) . E non c’era nulla di meglio per conservare la tradizione, di iniziarlo con «o tipico maccarön – chêutto c’un po’ de sellao – ne-o broddo da cappön» (ma non un brodo semplice, bensì integrato di trippe, salciccia e fettina di fungo secco, ma ‘ammollata’ in acqua tiepida). Alla fine i dolci e l’amaretto (con funzione digestiva)

   Il più antico documento che attesta la celebrazione del Natale, ha data nell’anno 336, in cui si iniziò a celebrare la nascita del Redentore nell’ottavo giorno anteriore alle calende di gennaio: i Padri della Chiesa, la fissarono il 25 dicembre.

   La nascita di un bambino, genera sempre commozione e  tenerezza; Gesù, che si vuole povero, sociale, puro di cuore,  non poteva non incarnare quello che ciascuno pensa e sogna di sé, “i propri natali”.

   Ma, lentamente, si stanno sovvertendo i valori. Nel mondo c’è posto per tutti, l’importante è che ognuna sappia scegliere quello che vuole per sé, e lo faccia con la consapevolezza di volerlo fare, e non per comodità. Avere una fede è troppo faticoso, i preti perdono colpi, ed è sempre più il controcorrente miscredente e commerciale a cui giova fare festa senza l’implicito della religione.

   Il commercio,  ha anche inventato ed imposto BabboNatale al posto del Bambino; l’albero al posto del presepe (l’abete in particolare, visto che l’albero esiste anche nella tradizione genovese ma di alloro con appesi mandarini, torroncini, fichi secchi e nastrini); la corsa al regalo anziché una più umile strenna; la festa dal lavoro anziché la festa mistica; la luminaria invece dell’ «invexendo».

É vero, le antiche tradizioni nacquero un pò da uno spirito religioso coercitivo: «o se fa coscì!» come usava nell’antico: «a ramma» d’alloro, «i auguri», «a messa de mezzanotte» (perché «...i figgiêu nascian de notte», «o pandöce», «a letterinn-a», «se stâ in casa tutti insemme» e quante altre, fino ai «dinae da noxe» che comprendevano  «a-a strenna a-o postin e a-o barbê». Bei tempi?. No, ognuno vive i suoi. Ma un pò più di introspezione e misticità, non guasterebbero.

Allegato 10                   Il sasso di Cantore

Nei giardini  Pavanello gli alpini del Gruppo A.Cantore di San Pier d’Arena, ha provveduto a riscrivere le parole originali incise sul sasso proveniente dalle Dolomiti e posto presso il cippo dedicato al nostro generale alpino ed a tutti i caduti nelle due guerre mondiali.

La frase è stata ritrovata grazie alla ricerca del nostro concittadino Carlo Tardito e la collaborazione  del dr. DiFabio curatore del Museo di sant’Agostino; il marmista Nebbia ha fatto reincidere la frase scolpita in occasione della adunata nazionale degli Alpini a Genova nel 1931 :” Ricordo sacro dolomitico – tinto vermiglio sangue Cantore – gruppo ANA Cortina d’Ampezzo – alla sezione di Genova – fraternamente offre – 15.IV.1931 XI”

Queste solenni parole, rievocano il sacrificio di Cantore che venne colpito a morte da un cecchino sulle Tofane presso Fontana Negra il 20 luglio 1915.

 

 

Allegato 11 IL NOSTRO OSPEDALE CIVILE

   Innanzi tutto è bene specificare che non è più una struttura legata e dipendente dalla USL  3 genovese”, ma una solida azienda: “Azienda Villa Scassi”. A fine anno se ha deficit di bilancio, nessuno rimpingua le casse e la dirigenza ‘salta’; se –come tutte le aziende sarà invece in attivo, potrà reinvestire il guadagno in miglioramenti, i più vasti e necessari per mantenersi all’avanguardia.

   Il guadagno è determinato dai tipi di intervento medico effettuato, e dai tempi di esecuzione: dallo Stato è stato compilato un elenco di tutte le malattie affrontabili, con il relativo tariffario economico in rapporto alla difficoltà ed impegno. L’ospedale deve relazionare il suo operato, in base al quale verrà pagato (per esempio una appendicectomia viene valutata tot euro: l’ospedale ha tutto l’interesse a effettuarla in un tot tempo ed in tot modo,  perché la cifra data da Roma rientri –ed anzi offra un guadagno- rispetto le spese da sostenere per guarire il paziente).

   E’ quindi ovvio interesse dell’Amministrazione provvedere ad essere al meglio in tutti i settori, non solo per effettuare la prassi quotidiana di tutti gli ospedali, ma anche da costituire punto di richiamo regionale ed oltre  -per sicurezza, professionalità e  per le  situazioni più gravi,  che sono poi quelle più remunerate dal tariffario suddetto.

    Così per esempio in cardiologia: recentemente pensionato il precedente primario cardiologo che già aveva portato il reparto a livelli eccellenti parificandolo agli standard internazionali, è subentrato il nuovo scelto perché giudicato il più idoneo fra una ampia gamma di disponibilità  che l’ Università prepara. Con lui , il Consiglio sta programmando ed attuando tutta una serie di miglioramenti che mirano a portare il reparto alle ottimali condizioni tecnico organizzative, le più moderne, anche coinvolgendo i settori esterni (il 118, ambulanze, elicottero, MMG cioè il Medico di Medicina Generale ovvero di famiglia). Per esempio in caso di infarto, la statistica riferisce l’efficacia ed il successo medico non solo dovuti alla preparazione professionale in sé (cultura medica internazionale, macchinari, farmaci) ma anche in rapporto al tempo di inizio intervento, che per ideale sarebbe non superare i 60’. Una recente statistica locale riferisce che invece in media già 116 minuti sono perduti in casa prima di chiamare il 118; il quale interviene in media entro 13’; oltre 30’ richiede la chiamata ed il trasporto dell’ambulanza; arrivato in ospedale la flessibilità  occupazionale pur prevedendo corsie preferenziali ed intervento immediato richiede  15’, necessari per inquadrare il problema. In sostanza di fronte ai 60 minuti ideali, se ne spendono quasi il triplo, con conseguenze spesso gravi. Questo studio indirizza dove spendere energie organizzative per tagliare i tempi ed ottenere il meglio.

Altri tre fiori all’occhiello del nostro nosocomio, sono:

-il DEA  ovvero internazionalmente  Dipartim.Emergency Area, come  scrivono le mattonelle per terra nell’atrio di ingresso, rappresentato dalle quattro terapie intensive superspecialistiche: l’Unità coronarica, la Medicina e Chirurgia d’urgenza, il Centro rianimazione ed il Centro ustioni (quest’ultimo in particolare è uno dei più elettivi del nord Italia ed è quello che più di tutti gli altri servizi utilizza gli elicotteri per  l’arrivo anche da fuori regione, usufruendo per l’atterraggio  dell’area con pista specifica attrezzata nella parte alta del recinto);

-l’informatizzazione dei servizi, primi in tutta la Liguria: velocità, risparmio, precisione, con integralità dei documenti, autenticità di una firma digitale non ripudiabile legalmente, e con ovvia riservatezza della ‘privacy’. Già vediamo affiancati alle solite carte, i CD consegnati ai  pazienti in dimissione, comprendenti relazione, esami ematici, immagine dei raggi, eco ed ecg, ecc., da portare al MMG per essere letti tramite computer, col quale anche essi possono entrare direttamente in contatto con l’ospedale in qualsiasi momento e ricevere gli esami fatti in tempo reale;

-la  promozione della ‘Casa di Salute’ che ha permesso, con relativa spesa in più, nelle urgenze di tagliare drasticamente i tempi morti descritti sopra; nell’ospitalità di parificarsi alle migliori cliniche private;  nel concreto il vantaggio di tutti i servizi annessi  all’ospedale, ed immediati.

Con  l’augurio che ognuno di noi  non ne abbia mai bisogno, consola sapere che ci sono persone, che con estrema serietà e managerialità, permettono allo sventurato bisognoso di usufruire del meglio e non essere a meno di nessuno nell’assistenza, con qualità di valore internazionale.

E.Baglini   &   A.Savino                 

Allegato 12     Piazza Sopranis

La vasta piazza a ponente di via Venezia, e con sbocchi in via F.Alizeri a nord, via G.Ratti a sud e via Digione ad ovest, prende il nome dallo storico d’arte e pittore genovese Raffaele Sopranis vissuto tra il 1612 ed il 1672, ed è delimitata da.........???

Il Comune di Genova nel gennaio 2002  deliberò dei lavori da eseguirsi nella zona e ne informò i cittadini, coinvolgendo nell’operazione il Consiglio di Circoscrizione Centro Ovest nella persona del presidente dr. Minniti Domenico, la ditta Salati ed il Comitato Spontaneo dei Cittadini.

L’operazione comprende anche le vie limitrofe, e vede interessate alcune aree private ed alcune pubbliche, al fine di realizzare abitazioni  nell’ex fabbrica di ghiaccio,  un settore commerciale,  parcheggio ‘fai da te’ interrato, area verde attrezzata,  piscina coperta, palestra coperta, parcheggio pubblico (124 posti in via Digione, con ZSL ai residenti), Centro Culturale (via Venezia), ascensore di collegamento via Digione-salita Angeli. Furono previsti divieti al transito di mezzi pesanti e regolamentazione circolazione.

Ai primi di aprile 2004 il momento dell’inizio dei lavori è arrivato, ma alcuni residenti hanno opposto protesta, fermando il count down e mettendo le autorità in condizione di ripatteggiare parte dei programmi in rapporto alle nuove esigenze

Allegato 13                Waterfront

Il grande concittadino Renzo Piano ha presentato a Genova il suo progetto che prevede, in diciotto anni di lavoro e -per adesso- 4mila miliardi, far cambiare la città. Tra le sue parole riportate dal Secolo XIX  “il porto dovrà spostarsi al largo. La costa tornerà ai genovesi”. Ed altrove, a conferma “la proposta prevede una forte riqualificazione del ponente”.

Si, molto bello. E quando una cosa è bella, occorre riconoscerla: Genova si amplierà e diventerà come più luminosa e vasta; un vero nuovo polo proiettato sul mare e  che non stravolgerà ulteriormente l’abitato. Riconosciamo, nel nostro piccolo, che dove guadagnerà la città, ci guadagneremo tutti.

Ma...da buoni mugugnoni e sparagini, sempre nel nostro piccolo, a Sampierdarena, nelle nostre povere tasche, tornerà un bel nulla.

Già abbiamo perso l’identità,  e nulla viene fatto per restituircela (dal nome dell’autostrada a quello della Circoscrizione siamo, con orribile e generica espressione,  un qualsiasi Centro Ovest. Eravamo una ‘città’, ed ora siamo una fredda e squallida periferia. Insomma eravamo qualcosa, piccola ma meglio di ora che siamo nulla ‘nel mucchio’).

Cosa altro sarà di noi, se nulla è preventivato nel faraonico progetto?  Come prospettano alcuni politici  (Verdi e Rifondazione, con Codacons e Forum Ambientalista) aspettiamoci “imponenti colate di cemento” (con le quali saremo sempre più allontanati dal mare...ma tanto ormai chi lo vede più? noi siamo come gli alessandrini: per vedere il mare dobbiamo prendere il pullman; e chi abita in alto, i binocoli. Altro che riavere la costa!).

E, diciamo noi -ed anche se il buon Minniti  da l’anima per fare del suo meglio-, rimarremo sempre “delegazione” cioè periferia, cioè servitù: avremo sempre camion su camion, case dormitorio invivibili per lo smog e rumore, immigrati concentrati e neo padroni delle strade. Intanto le cartine topografiche della “città”, destinate ai turisti, continueranno ad  interrompersi a san Benigno; i turisti stessi saranno sempre concentrati “a Genova”; l’elenco dei palazzi illustri continueranno a non prevedere quelli nostri  (forse perché, occupati da scuole, sono “impresentabili”?: eppure anche i nostri hanno ospitato i Gonzaga, lo stesso Rubens tanto declamato, e regine o personaggi di alto lignaggio).  Alla faccia dei progetti di “riqualificazione” della città di Sampierdarena.

Alla fine, dopo il mugugno, torniamo a riva: vogliamo essere entusiasti se Genova si muoverà in avanti. Quindi ‘Forza Renzo!, e grazie!’, ma aggiungi una sterzatina da questa parte, per favore!.

Allegato 14            IL COLESTEROLO

L’organismo umano, si sa, con l’età invecchia. In alcuni settori del corpo con elementi di poca importanza come le rughe ed i capelli bianchi, altri invece di vitale interesse, in particolare la famosa “circolazione”. Di essa, più importanti sono le arterie: con l’invecchiamento diventano prima più dure (perdono così la loro funzione, dovendo essere elastiche), poi si riempiono di placche fibrose che  tappano il lume ed impediscono al sangue di scorrere e  di svolgere le sue innumerevoli funzioni in periferia, specie nel cuore, cervello, retina. Questo è già chiaro a tutti.

I medici hanno però notato che alcune persone invecchiano prima o peggio, ed altre dopo o meglio. Perché? Fortuna, genetica familiare, ambiente? Tutto si. Ma alcuni altri fattori, statisticamente, sono più frequenti ed incisivi come causa dei danni alle arterie: più o meno alla pari e chiamati ‘rischi’ (non cause, quindi; è importante) sono l’abuso della nicotina, la pressione arteriosa alta, l’obesità, il diabete, lo stress, e non ultimo il colesterolo. Parliamo di quest’ultimo.

Negli anni 1960 si dimostrò che valori alti di colesterolo “incrostavano” le arterie -non per deposito-, ma per interferenze metaboliche sulla membrana dei vasi. Le statistiche dimostrarono che più alto era il valore, e più frequenti erano i danni vascolari. Poi si notò che il colesterolo era divisibile in tante frazioni che vennero chiamate HDL , LDL, chilomicroni, apolipoproteine A e B. Ogni cosa a questo mondo ha la sua riverita importanza, ma infine sempre  dai dati statistici si è convenuto che l’indice più valido non erano queste frazioni, quanto la misura del colesterolo totale. Ed oggi il rischio si valuta solo su questo valore.

Il colesterolo è un grasso necessario al nostro corpo, come per esempio per formare gli ormoni e come fonte di calore; ma l’eccesso porta a danneggiare le arterie, ancor peggio se associato ad altri rischi, con crescita del pericolo in modo esponenziale.

Che il cielo abbia in gloria la Rosi, ella stabilì che il valore del colesterolo da curare non era sopra  200 come dicono le statistiche anglosassoni, ma 300; che prima di curarlo con pillole occorreva una dieta rigorosa per almeno tre mesi; che in famiglia ci fossero casi analoghi o danni pregressi gravi. E’ chiaro, era una manovra economica per risparmiare sui farmaci, sapendo che anche le industrie produttrici non sono angeli nel dare informazione e prezzi. Però il tempo le ha dato torto, e poco alla volta i Medici di medicina generale (quelli della mutua!) sono tornati, dopo minacce, controlli personalizzati ed altre vessazioni a riconsiderare il fattore colesterolo nella sua giusta proporzione, pur sempre con paletti e limitazioni varie. Però una micro ragione l’aveva la Rosi, perché se la medicina funziona bene (anche se non guarisce, e necessita assumerla quotidianamente per sempre: sono 25 euro all’anno di ticket, ma per lo Stato sono più di  600, a testa), la dieta è fondamentale nel determinare le variazioni del grasso.  Così, pericolosissimi sono le abitudini alimentari e le microquantità aggiunte. Infatti mentre si elimina il burro, si riducono l’olio, latte intero, formaggi e salumi, non ci si rende conto che chi frega sono un pasticcino, brioche, merendine, hotdog, pizze, focaccia, aperitivi con olive e, per chi lavora, il famigerato panino o  sandwich.

Per fortuna non siamo tutti eguali. Come per tutti gli altri ‘rischi’, c’è  chi con l’avanzare dell’età ne avrà danni gravi e chi meno. Il Medico non è ancora attrezzato a leggere il futuro, quindi essendo un rischio da prevenzione, si debbono curare tutte le persone ipercolesterolemiche, sapendo che nel futuro solo il 60% ne avrà dei danni, mentre un 30% meno. Per esempio, chi è arrivato a superare i settant’anni e non ha problemi circolatori evidenti, forse, è nel gruppo dei trenta %, che potrebbe fare a meno di prendere pillole (solo l’autopsia può chiarire alla perfezione, ma non conviene farsela fare).

La valutazione si fa assieme al proprio Medico curante, basandosi non sulla paura che fa il nome, ma aggiungendo concetti più razionali come la familiarità, ecodoppler, stato della retina, altri rischi presenti e sintomi in atto; e quant’altro si prospetterà, sempre singolo per singolo. 

Per concludere: controllate il valore di colesterolo, tutt’al più con HDL e trigliceridi; ma servono a poco se non si è ben intenzionati a riportarli nella norma con un bel pò di sacrifici.

Allegato 15                      DIABETE

Scrivono che in Italia siamo più di 3 milioni; e scrivo ‘siamo’,  perché anche a me...tocca; mio nonno buonanima,invece di lasciarmi le terre, mi ha fatto erede del ‘sangue dolce’!. Comunque siamo in tanti; ma non ci consola per nulla perché essere affetti da diabete, è la classica situazione  che richiede dover cercare al più presto un nuovo equilibrio dietetico e psicofisico basato su sacrifici alimentari tutt’altro che facili, modificato rispetto quello ormai spontaneo, imparato fin da bambini. 

Ovvero non si è più ‘normali’. Quindi, prima ancora di frequentare specialisti, di studiare la nuova alimentazione, di assumere le medicine, di munirsi delle macchinette per i controlli,  è indispensabile imparare a convivere con questa limitazione, adattarsi ad essa,  cercare di vivere bene lo stesso, essere felici, amare se stessi ed il prossimo, conservarsi più normali possibile. Per non diventare ansiosi, arrabbiati, nevrotici e depressi; per non isolarsi dai convivi e feste tra amici; come accade a tutti quelli che non accettano i difetti della  propria natura, qualsiasi essi siano.

A magra consolazione, il famoso mal comune mezzo gaudio,  preciso che a tutti, gli zuccheri nel sangue tendono a irritare la parete interna delle arteriole, creando le premesse per far perdere la scorrevolezza del sangue ed impedire gli scambi con i tessuti intorno: la superficie  perde la levigatezza  e –gradino per gradino negli anni- forma come delle croste interne (placche) e si irrigidisce (aterosclerosi) perdendo le sue funzioni  con conseguente sofferenza e morte dei tessuti attorno.

Dicevo, questo succede a tutti, anche al non diabetico; il suo vantaggio è che dopo una bella pastasciutta, la sua glicemia sale (e diventa iperglicemico come noi) ma dura due-tre ore e poi ritorna normale (però, 2 ore a colazione, a pranzo ed a cena, il non diabetico sarà  iperglicemico per 6-9 ore a giorno mentre il diabetico a pari alimentazione resterà tale per tutto il giorno, con ovvi maggiori danni nel tempo alle arterie). A questo punto  si innesta il discorso della familiarità, della quantità del cibo assunto (soprappeso),  del consumo attraverso l’attività, degli altri rischi (ipertensione, fumo, colesterolo, ecc.) e ultima ma non da meno, della fortuna: tutti fattori che  sommati alle 6-9 ore suddette, possono portare all’arterosclerosi –ovvero un infarto precoce- anche una persona con glicemia normale al mattino.

Di per sé, il diabete  non comporta sintomi particolari e quindi come malattia è sopportabilissima; gravi sono invece le ripercussioni nell’evolversi del tempo, ovvero delle complicanze a distanza di anni (soprattutto retina, reni e circolazione arteriosa); fastidiosa è invece la scelta dei cibi (dieta), mai riscontrando veritiero come in questo caso il proverbio che dice che ‘nulla fa tanto male come ciò che piace’.

Non potendo in poche righe scrivere tutto quello che si sa sulla dieta della malattia, ed essendo da personalizzare, mi limito a tratteggiare brevemente che se gli zuccheri (o carboidrati o glucidi) sono i colpevoli,  sono anche indispensabili per fornire energia e quindi per vivere. Nasce il bisogno per ciascuno di equilibrare il più possibile la quantità da introdurne in rapporto alla gravità della malattia (che pi è il pancreas che secerne meno insulina), tenendo presente che dei cibi occorre distinguere quanto ne contengono ciascuno (chi nulla, chi poco, chi tanto, chi tutto) in modo da  valutare la quantità assumibile, sommando i vari valori parziali.

Sommariamente accenno la quantità di glucidi disponibili in 100 g. di alcuni cibi:

Pochissimo (< cioè inferiore a 5% del peso):  uova, verdure (insalata, finocchi, fagiolini, melanzane, cavoli, broccoli, peperoni), alcuni pesci

Poco (<10% del peso):  carne, latte e latticini, salumi, alcuni pesci, ortaggi  (carote, carciofi, pomodori), frutta (cocomero,limone,mele,olive, melone, pesche), cacao amaro

Medio (tra 10 e 50%): frutta (banane ananas, amarene, cachi, fichi, uva), funghi, superalcolici, miele

Tanto (>60%): zucchero, cereali (mangiamo solo il seme del riso; solo le farine del grano), legumi (ceci, fagioli, fave, piselli), patate, castagne, cioccolato 

Poveri noi! ma per fortuna,  a noi la nutella...non piace...

Allegato 16                   CENTRO DI STATISTICA DEL COMUNE

   La nascita di Genova come città moderna, iniziò nel 1874 con l’annessione di sei comuni limitrofi orientali: la popolazione ebbe un incremento passando da poco meno di 128.000 abitanti del 1861, ai  304.108 nel 1921.

   San Pier d’Arena arrivò a  sfiorare le 60mila unità, nel 1936.

   Nel 1926 il fascismo completò tale processo annettendo anche gli 11 comuni di ponente, e facendo nascere la Grande Genova, già la Superba ed ora nel suo enfasi la Dominante:  una metropoli di mezzo milione di abitanti, adeguati al nuovo ruolo di una delle città pilota nazionali. Ma, ahinoi fu confermato il ponente all’uso industriale e vennero pressoché cancellate le autonomie, le identità  e le diverse culture locali. In vantaggio si favorì il numero degli operai, e con esso quella  loro compattezza che a sua volta creò la nuova identità  del lavoratore -sia dell’industria che del porto- che oggi può vantare essere scritta: Operaio con la O maiuscola. Merito che non è pari in nessuna altra metropoli italiana. 

   In contemporanea nasceva l’ISTAT nazionale. I censimenti compiuti ogni 20 anni, divennero strumento determinante per programmare le scelte politico-amministrative sulla base dei fenomeni socio-demografici evidenziabili. La statistica studia tutte le varianti,  e propone dati che essendo basati su grandi numeri riesce a dare soluzioni assai vicine alla realtà futura, condizionando in maniera forte le scelte politiche da programmare.

   In vico Chiusone,  nelle sale della vecchia scuola, in locali moderni e ben strutturati, vengono stilati anno per anno i dati desunti dai censimenti , relativi a tutti i settori cittadini e nei più stretti particolari: l’amministrazione civica, il  territorio, popolazione, sanità e servizi sociali, istruzione e cultura, giustizia,  prezzi, economia, edilizia, porto-trasporti e comunicazioni, turismo e spettacoli, elezioni.

   Così possiamo essere aggiornati con valori reali, sull’immigrazione (regionale ed internazionale); sugli abitanti (con sesso; stato civile ed età; invecchiamento e pensioni; distribuiti strada per strada, casa per casa; matrimoni e famiglie; religione; istruzione, lavoro ed analfabetismo); tasso di mortalità; ricoveri ospedalieri, ecc.

    Dai dati del 2002, leggiamo riguardante la Circoscrizione Centro ovest, che è composta da  93.552 abitanti suddivisi in  sette Unità urbanistiche: Campasso con 8.853 abitanti (4204m-4649f), s.Gaetano (9.559= 4435m-5124f), Sampierdarena (8186= 3957m-4229f), Belvedere (9231= 4323m-4908f), s.Bartolomeo (9225= 4274m-4951f), Angeli (11439= 5405m-6034f) e s.Teodoro ( 11248=5345m-5903f).

   Sempre nel 2002 a San Pier d’Arena  esistono 8278 maschi-7075 femmine celibi-nubili; 11805 .m-1833 f. coniugati o legalmente separati; 722 m.-4346 f. vedovi; 388 m.-607 f. divorziati. Compaiono arrivati 1013 immigrati, di cui 271 dall’estero. Risultano esserci:  un solo asilo nido con 61 bimbi tra cui un portatore di handicap e 29 extracomunitari; 11 scuole elementari con 2148 alunni; 10 scuole medie  con 1603 studenti.

   E adesso basta con i numeri, per non darli noi. Ma rendiamo atto di serietà professionale a questi impiegati comunali dell’ Unità Organizzativa Statistica, che con maestria e professionalità svolgono il loro ruolo.

Allegato 17  INTERVISTA dr. MINNITI Domenico

Presidente del C.d.Circoscrizione

VIABILITA’ :  il nostro territorio sta divenendo “la City” di Genova: trovano sede nelle nostre strutture edilizie  sempre più importanti aziende di livello internazionale. E’ chiaro che il CentroOvest necessiterà della maggiore attenzione sul tema proposto.

San Pier d’Arena paga lo scotto di non aver ricevuto negli anni addietro l’importanza dovuta, cioè di programmare e divenire un nodo stradale fondamentale anche se complesso. Ed i nodi sono a due livelli:

Un primo, è nel collegamento porto ed autostrada. Di stretto interesse cittadino ma in mano al Comune o allo Stato (con ANAS; Autostrade;  Autorità Portuale; area Riva il cui ritardo di soluzione può comportare anche  la perdita di grosse cifre). 

L’altro nodo, è  la viabilità di piccolo cabotaggio, l’unica di competenza del CdC..  Di essa rivendichiamo la discrezionalità, come attualmente facciamo per corso O.Scassi; o per San Benigno in quanto sarà fondamentale per la vita di questa città; o infine il caos di via Molteni anche se non tutto dipende da noi: sono i grossi mezzi che provengono e vanno in Porto che rendono la via invivibile. I tir debbono non passare più per il centro cittadino.

PARCHEGGI :. E’ difficile, sia ridurre il numero delle auto  (abbiamo statisticamente una auto e mezza per ogni abitante) sia ingrandire i parcheggi; specialmente danneggiate sono le zone in altura, saccheggiata di aree nei tempi addietro negli anni ‘60).

Unica soluzione e perno del problema  sarebbe  aumentare la disponibilità dei mezzi pubblici e favorire i “microspazi” per 2-5 auto, proponendo agli uffici competenti il “fai da te”. Riguardo le grandi aree siamo interessati a tanti progetti:  in via Spataro è in arrivo un parco per 50-70 auto; stiamo valutando sotto piazza del Monastero; così pure per  l’uso di tre terrazze in via Dino Col ed un silos in via Degola (strada che diverrà sfogo naturale per i lavori prossimi di via C.Rolando); l’autorimessa di via P.Reti (intesa tra AMT e privati per l’utilizzo dell’area, spostando i mezzi pubblici a Campi). Il progetto del sottosuolo dei giardini Pavanello è stato bocciato e quindi non più proponibile. Il mercato del Campasso è nel piano degli investimenti triennali: prima l’area deve tornare burocraticamente al Comune . Nell’area 2 di san Benigno, si prevedono servitù pubbliche nelle costruzioni in programma. In via di Francia abbiamo fatto proposta dell’utilizzo dei silos già esistenti, per i cittadini residenti, come già avviene in altre parti.

ASSISTENZA : è opportuno smettere di pensare al CdC come un tutto fare; siamo solo un organo decentrato, che collabora ma non interferisce con i gestori dei servizi.

Quindi in questo settore  il CdC ha dei limiti pesanti: può per esempio interagire tramite l’AUSER, o l’UNITRE, o tutte le Associazioni di volontariato pubbliche e private per favorirle in delegazione. Ma non abbiamo grandi risorse, né economiche né umane: ci sforziamo di far da tramite, un ‘trait d’union’ tra servizi sociali e Comune o USL (CEM, Consultori). Tra essi il SERT, che è un servizio ‘pesante’ sul territorio; dovrebbe avere maggiore considerazione da parte dei Dirigenti della USL non per sottrarre noi dagli impegni ma perché ci diano ascolto su quello che chiediamo (in particolare un allungamento degli orari, da diluire di più l’orario di affluenza).

CULTURA : il nostro è un territorio difficile: nelle manifestazioni di questo tipo, la resa del pubblico interessato è del 30%. Il CdC non è l’Assessorato, e con soli 80milioni di vecchie lire facciamo dei miracoli spaziando a 360 gradi e per tutte le fasce di età, dai burattini ai concerti, in villa o al Modena, con i Lions od il Rotary, con  l’Università o l’Istituto Franzone; non ultimi con gli extracomunitari.

Il Centro Civico e la Biblioteca sono in espansione; il primo ha avuto 70mila presenze in un anno. Forse pecchiamo nella non evidenziazione degli eventi. Comunque prevediamo per Natale due grandi spettacoli di cui uno  a villa Scassi il 13 dicembre ed altro a Promontorio intitolato il “Monachesimo sulle alture” per valorizzare l’abazia assieme a Belvedere e gli Angeli.

CENTRO OVEST : rispetto all’uso del nome delle due delegazioni in forma separata, faccio presente che nel nostro logo esistono tutti e tre i nomi perché siamo una circoscrizione unica che diventerà una municipalità a sé: esisteranno delle competenze su alcune materie che saranno non più centrali. Avverrà un decentramento intelligente di alcune attività comunali (e che questo assolutamente non sia  da non confondersi con la parola  federalismo che è tutt’altra cosa e che  con cui non voglio creare neanche un parallelo).

allegato 18  LA SALUTE DELL’ANIMA. Un pò di filosofia.  (correzione nome banca=

Stavo per finire l’Università e laurearmi, quando qualche amico mi portò nella stanza dell’Ospedale di s.Martino, ove viveva la Rossana Benzi. Vissi vicino a lei pochissimo perché appena laureato, il servizio militare mi allontanò da Genova.

Solo durante l’esercizio della mia professione ebbi la chiarezza del messaggio che in quei pochi giorni ella mi aveva mandato: nonostante essere rinchiusa nel polmone d’acciaio, ella pensava prima agli altri, ed irradiava sorrisi, voglia di vivere e lottare. Troppo spesso invece mi trovavo di fronte gente che avevano la fortuna della salute, ma tant’è vagheggiavano il tormento dell’ansia, dello scontento, della rabbia. Il rapporto era invertito: lei che avrebbe avuto il diritto di essere come questi, era radiosa;  questi invece troppo spesso incupiti, arrabbiati (al volante delle auto!), intolleranti.

Mi resi conto quindi che se avessi avuto la lampada di Aladino, al Genio per prima cosa avrei chiesto:  fammi felice.

Focalizzata questa scelta, il più famoso rappresentante di questa filosofia era già lì da mille anni: san Francesco, il patrono d’Italia. Lui si accontentava di poco o nulla, l’importante era amare e fare del bene il più possibile a tutti, uomini e bestie, vivere in semplicità, essere superiore all’incomprensione. Via via mi sono costruito un itinerario da seguire, e povero nessuno, ancora arranco per arrivare. Ma giudico positivo aver fatto queste scelte anche se agli occhi di molti posso essere classificato un a(pisello)nato (è una parola genovese che su una rivista come la nostra, non posso scrivere): importante è come voglio sentirmi, e come poi mi sento io dentro.

Ora so che  c’è un’altra persona chiusa nel polmone  d’acciaio: non è sola, ma abbisogna di aiuto, e le spese sono enormi.

 Chi si sente di muovere il passo in quella direzione, chiami la signora Noris, già presidente locale dell’Avis, persona costantemente in trincea per la difesa del suo prossimo,  oppure direttamente a Giovanna Romanato, via Canevari 14, 16137 Genova sul CCB 3299 della Carige agenzia 6.

Allegato 19                BATTAGLINI E TOSA, CARABINIER    (tagliato un pezzo-)

E’ storia cittadina. Ricorrerà nel mese di novembre l’anniversario dell’uccisione in via GB Monti del  maresciallo Vittorio Battaglini, comandante del nucleo radiomobile e del carabiniere scelto Mario Tosa.  Furono freddati da militanti delle Brigate Rosse ‘colonna Francesco Berardi’ in via GB Monti da numerosi colpi di pistola il 21 novembre 1979.

Genova quell’anno aveva visto inorridita la morte di Guido Rossa (25 gennaio), la ferita del segretario DC Giancarlo Dagnino (24 aprile), del politico Enrico Ghio (29 maggio) e del prof. Fausto Cuocolo (31 maggio). Sampierdarena fu invece teatro, di ‘gambizzazione’  dell’ing. Bonzani (30 aprile); ed a novembre, la morte dei due Carabinieri. La delegazione ha dedicato loro due strade,  trasversali della via del delitto.

Eravamo in pieno periodo definito ‘anni di piombo’. I  killer spietatamente sparavano alle gambe ed addosso ai vari esponenti rappresentativi dello Stato, con la speranza di destabilizzare e far cadere il governo.

Dura, decisa, e da loro probabilmente non prevista,  fu la reazione della popolazione; la cui esecrazione, sdegno, rabbia, furono gli elementi che isolarono gli attori di quegli  anni sciagurati, i quali conclusero tragicamente la loro vita a fine marzo dell’anno dopo.

Non c’è eroismo nell’azione in cui fu spezzata la vita dei due militari, quindi non ci sono valori umani da esaltare. Ma come il tricolore, essi sono un simbolo per tutti gli italiani, della democrazia e della libertà, del rispetto e del convivere civile, dell’aver dato avvio alla difesa della democrazia con la partecipazione della cittadinanza: virtù tanto duramente conquistate dai partigiani in guerra, arduamente difese con libere elezioni,  ed altrettanto solidamente mantenute contro tutte le dittature, le barbarie, le violenze proposte da qualsiasi colore.

Allegato 20      La sonda Cassini.

Nel lontano 6 ottobre 1997  partì da Cape Canaveral la sonda “Cassini” diretta verso Saturno. Dovrebbe arrivarci tra pochi giorni, ai primi di luglio 2004. Dapprima girerà in orbita al pianeta, poi invierà il modulo Huygens sul satellite Titano. E’ la più grande impresa spaziale mai messa in atto fino ad ora: viva è l’attesa per quello che scoprirà, perché pare che ci sia una atmosfera similare a quella della terra in epoche primordiali compatibili con quando qui iniziò la vita.

Del costo di 6mila miliardi di vecchie lire, è il frutto di una collaborazione internazionale tra Nasa, l’Agenzia spaziale europea, e l’ASI agenzia spaziale italiana con l’Alenia-divisione spazio; sono stati questi ultimi a voler  intestare la sonda all’astrologo, mettendo in orbita importanti strumenti  frutto della nostra ricerca e produzione: tra essi la grande antenna che deve assicurare i collegamenti con la terra.

A Gian Domenico Cassini,  San Pier d’Arena ha dedicato una strada.

Se Malerba è stato il primo genovese nello spazio, con questo nome abbiamo il primo “ligure”. Provenendo da Perinaldo (Imperia, allora feudo dei Doria) ove era nato nel 1625,  apprese i primi studi dai Gesuiti di  Genova fino all’università. Attento studioso naturalista ad ampio raggio, si concentrò poi soprattutto nell’ idrologia (i pozzi artesiani hanno il nome della regione dove lui li studiò: Artois in Francia) e nell’ astrologia con innumerevoli  scoperte sulla luna, sul sole e sui pianeti. Fu lui a scoprire che Saturno aveva un anello (che ha il suo nome; in realtà sono tre, probabilmente meteoriti) e quattro satelliti (oggi sappiamo che sono dieci) che lui chiamò Ludovici in onore a re Sole. Saturno è l’ultimo dei pianeti visibili ad occhio nudo; è grosso ottocento volte la terra (più piccolo solo di Giove); di tutti i pianeti è il più interessante e fornirà le più vaste e ricche informazioni sulla nostra galassia e sul cosmo in genere.

Era divenuto cattedratico prima a Bologna; poi a Parigi ove si sposò e visse onoratissimo e fecondo di studi,  fino alla morte nel 1712.

Allegato 21  Padre Annibale Maria DiFrancia

Il Papa, dopo le solite approfondite e severe  indagini, il 16 maggio scorso ha nominato santo questo prete, assieme a don Orione ed altri quattro canonizzati,  impegnati nel sociale come lo è stato don Bosco. Per la città acquista importanza perché è  il sacerdote ispiratore e fondatore  delle suore chiamate ‘Figlie del Divino Zelo’ che in salita Belvedere gestiscono l’ex orfanatrofio, oggi ‘Istituto Antoniano femminile’ che  ospita ragazze  e donne in difficoltà materiali, morali e sociali, con i loro bambini.

Sono attive nella villa settecentesca eretta poco sotto il santuario di NS di Belvedere, in posizione dominante, inizialmente proprietà dei Crosa (gli stessi di via N.Daste, dove la strettoia è ora percorso solo pedonale; che è stata recentemente ristrutturata); poi divenuta  dei DeFranchi.

Il nuovo santo, nativo nel 1851 dalla omonima nobile famiglia messinese,  iniziò -stupendo il mondo aristocratico in cui era nato-, scegliendo di  vivere in mezzo ai poveri e per i poveri: più reietti erano, e più lui era presente; raccogliendoli dalla strada  e cercando loro sostentamento ed assistenza, con l’aiuto successivo di volontarie che per l’opera da prestare necessitavano appunto di particolare ‘zelo’. In mezzo a mille difficoltà, e protetti da sant’Antonio –specie dopo il colera del 1887 ed il famoso  terremoto-, la fondazione  ebbe una sensibile slancio nazionale dopo la prima grande guerra con i suoi nuovi numerosi orfani. Il prete morì nel 1927 e  fu beatificato nel 1990.

allegato 22               MOSCHEA

Molto si sta parlando, nell’immediato ponente genovese, della moschea che  si avrebbe intenzione aprire in salita Coronata 2r a Cornigliano, dove c’erano le officine meccaniche Passalacqua.

Assai confuse ed incerti sono le opinioni in merito, perché è un problema complesso, con tante sfaccettature ciascuna di non poco rilievo; alla fine si esprimono tanti pareri, assai discordi.

Si  mescolano politica sociale con quella dell’ “uomo della strada”; cultura religiosa con  “sensazione” religiosa; cambiamento della pubblica morale e paura di clamoroso travolgimento di essa.  Il caos e confusione,  sia politico che individuale,  si trasfondono pari pari nel caos della scelta.

Esiste un fronte del no rappresentato da molti, e che si innesta nel gravoso problema dell’immigrazione in massa di clandestini . Molti, intesi come cittadini qualunque, dal barbiere al farmacista, dalla casalinga all’operaio e pensionato. Più decisi  gli esponenti politici di destra, i quali già hanno anche promosso un incontro pubblico al Centro Civico di Cornigliano, per sottolineare i  ‘pericoli’ di concedere organizzazione a questi immigrati: non solo il proselitismo, quanto il fatto che non essendo ancora integrati nella nostra civiltà, aggregandosi troverebbero conforto nel proseguire pratiche  per noi antisociali e tali da creare ragionevole timori di sicurezza pubblica. Diverrebbero  punto di incontro e protezione di estremisti e fiancheggiatori, e non secondario si permetterebbero certe pratiche quali la posizione sociale della donna violentata con l’infubulazione od il matrimonio coatto.

Per questo, accusano di  ‘sconcertante superficialità’ ed ‘ipotesi nefasta’ chi sta per il si. Pensando essere nel giusto generale e  per dimostrare l’elevata indignazione generale, propongono  grande mobilitazione e manifestazioni  di piazza, sottolineando che chi deciderà sarà il numero della gente.

I tanti si, basano la loro condiscendenza sul concetto della libertà. Si è combattuto aspramente per averla;  e, non esercitarla è una offesa alla Resistenza, alla Costituzione,  alla cultura e civiltà ottenute. Si, ai tantissimi mussulmani persone tranquille, socialmente integrate, che accettano il dogma della democraticità religiosa  al fine della serena  convivenza tra i popoli; ovvero, rispettosi di una legge, comune civile e individuale religiosa. Un pochino più flaccida appare il si per obbedienza al partito politico ed alla parola stessa del Papa.

Però, più di tutti  sono i   “si, ma...”. Il si, vale come quelli sopra. Il ma... è inizialmente vago; alla fine però  significa che si vorrebbero un pò più garanzie, soprattutto sul concetto e paura della violenza e del fanatismo,  che appaiono atavicamente radicati nel nostro istinto, dai tempi ‘mamma, li turchi’, della loro ferocia, dei villaggi liguri razziati, degli schiavi da riscattare, delle torture, dei tanti martiri che preferirono la morte e che poi per anni abbiamo esaltato. Sono soprattutto le componenti “odio e violenza” quelle che generano maggiori perplessità. I kamikaze, rappresentano un fanatismo religioso per noi inquietante anche se è il terrorismo di per sé che genera sconcerto:  impera nelle loro terre, viene insegnato con adeguata e preparata educazione ai giovanissimi, ed elevato a normale arma di offesa contro tutti indiscriminatamente.  Nella nostra Costituzione la salute è un bene primario, concetto che in questa loro idea è completamente stravolto.  Aggravato da accuse al Corano in alcuni passi  di incitare e quindi giustificare a fare la guerra a tutti i non islamici: Bin Laden  non assomiglia a Gandi. C’è infine la nostra debole ed insipiente religiosità di fronte alla loro apparente ferma e decisa  sicurezza, con conseguente paura di offrire un dito e dover dare il braccio.

Uno,  ironico e burlone, mi ha risposto diverso: si, ma... la vedrei bene, eretta  nella zona ...dove abita il Sindaco.

Marginali, ma non di minore interesse, sono: la segnalazione che l’area a disposizione, è già di proprietà di un ente ‘Gestione Beni Islamici’, acquistata senza che la popolazione ne sapesse qualcosa; la questione del crocifisso nelle aule e luoghi pubblici con un rispetto religioso a senso unico; le future indicazioni stradali nelle quali qualcuno vorrebbe la traduzione in arabo, quando è già stata rifiutata quella in genovese; le parallele decisioni del laicissimo governo francese sulle tradizioni degli immigrati, il velo in particolare; l’impossibilità per noi di professare apertamente la nostra fede nelle loro terre.

Genera un certo disagio, anche che la gente della strada non sia stata informata e che  sarà  neanche coinvolta nella decisione se non marginalmente; perché no con un referendum per esempio; tutto lascia intendere che ‘in alto’  hanno già deciso loro, e restano in attesa che si calmino le acque per andare avanti.

D’altra parte c’è anche da dire che degli intervistati per la strada, nessuno ha mai letto il Corano, e pochissimi -sulle dita di una mano- i Vangeli. Come ad indicare che ognuno è libero di esprimere un parere, ma che per far parte delle decisioni,  occorrerebbe un minimo di cultura sul tema, oltre al senso di responsabilità e di coscienza. Sentimenti che, siamo sicuri, non mancano al nostro Sindaco.