2005 - Articoli pubblicati nel 2005
n. 1 gennaio - pag. 12 Medicina La psiche ed il minestrone allegato 1
n- 2 febbraio – pag. 4 GAM e pittori sampierdarenesi allegato 2
14 Malasanità ............ ....allegato 3
Medicina in pillole .................. ......allegato 9
n. 3 marzo - pag. 2 Maniman il libellulo di Bampi .................. allegato 30
3 L’inno dedicato a Cantore................... ---- allegato 12
6 Rossella d’Acqui ......................... . ....allegato 13
14 La spesa sanitaria in cifre .... ......allegato 4
La cucina a Pasqua : la cima .......... .......allegato 8
n. 4 aprile - pag. 4 25 aprile .................................... ......allegato 5
4 mostra al Centro Civico
11 cucina - marmellata di cipolle .......... .....allegato 6
14 la nevrosi ossessiva ..................... .......allegato 7
medicina in pillole-termin.ingl.-mobbing .......allegato 10
n. 5 maggio - pag. 4 statue di Garibaldi e Barabino ..... .......allegato 17
10 cultura all’Universale ................ allegato 16
12 cucina o tortin d’ancioe............................. allegato 15
13 stranieri a Genova .......................... ....allegato 11
14 psiche2 la lunga linea grigia + Perform allegato 18
15 cinghiali allo Scaniglia ............................. allegato 14
n. 6 giugno - pag. 1 grazie alle forze dell’ordine .......................... allegato 19
4 come eravamo-pza montano................... allegato 24
10 i colori della maglia della sampierdarenese.. allegato 25
11 compleanno del vaccino Sabin ........................allegato 23
Ma l’educazione esiste ancora?...................... allegato 21
12 CVD......................................... allegato 22
Le separazioni matrimoniali allegato 31
14 medicina osteoporosi..................... allegato 20
n. 7 settembre- pag. 3 questo è disagio sociale
5 come eravamo- san benigno dalla Lanterna.. ....allegato 27
islam a san pier d’arena
14 medicina insufficienza venosa............. ...allegato 26
cucina : muscoli ripieni..............................
15 a palazzo non ci leggono ........................... allegato 32
n. 8 ottobre - pag. 6= lettera Marovich*
7 come eravamo prima di v.Cantore ............... allegato 28
10 cucina e sc-ciummette
n. 9 nov-dicembre – pag 7 presepio-usanze e polemiche
concorso presepi................................................allegato 29
11 Risposta a: chiusura strada al Campasso
17 cucina fegato all’aggiadda
23 precisazione doverosa ................................. allegato 33
Allegato 1 LA PSICHE ED IL MINESTRONE
É uso comune -specie nelle discussioni- concludere con la famosa frase: “son fatto così”. Si valuta -visto che la popolazione nel mondo è di vari miliardi di individui- che per ovvietà ci sono altrettanto miliardi di “son fatto così”. Sappiamo infatti che specifico ed individuale esistono le impronte digitali ed il DNA; ma anche la psiche, caratteristica di tutti gli esseri pensanti, è diversa in ciascuno.
Mi piace immaginare che all’inizio della vita dentro il cranio vuoto, a ciascuno il Padreterno versa un mestolo di minestrone; lo personifica (con aromi, formaggio e quant’altro giudica opportuno -a noi genovesi un pò di basilico pestato-); frulla il tutto, e chiude: forma così miliardi di varianti, come nelle lotterie: gli ingredienti si ripetono, ma nessun minestrone è uguale all’altro.
Di conseguenza, per capire e valutare una persona, lo psichiatra colloquiando deve cercare di separare nel minestrone cerebrale i vari componenti; valutare qualità, quantità, tempo di cottura (l’acqua, il sale, l’olio, le erbe, eventuali fagioli, piselli, fagiolini, cavoli, fave, patate, ecc...) e cercare di intuire le loro connessioni. Non facile.
Per rendere comprensibili i vari componenti della psiche provo a separarli; ricordandovi che questi singoli elementi –come in un orologio- funzionano individualmente, e quindi possono ammalarsi individualmente, ma il rendimento avviene solo se si integrano in un complesso di interferenze generali.
Un prima caratteristica della psiche è l’ ISTINTO. Arazionale, nasce dall’esperienza primordiale della sopravvivenza non solo dell’individuo ma di tutta la specie: cibo, difesa, sesso. Segue la PERCEZIONE, ovvero l’entrata in contatto con gli oggetti esterni. Con il coinvolgimento di altre funzioni, soprattutto della memoria, nasce la comprensione delle caratteristiche dell’oggetto; ed infine –con una sempre maggiore ricchezza di particolari e dettagli- si arriva al nome. Se questa caratteristica della psiche si alterasse, si cadrà nell’illusione (banale deformazione dell’oggetto, da considerarsi normale); ma se progredisse oltre, diventerà allucinazione, patologica (neo produzione di uno stimolo (visivo, acustico, olfattivo). L’allucinazione è un fenomeno endogeno, ovvero non proveniente da stimolo esterno, e se non curato può scivolare nel delirio).
Altra caratteristica è l’ ATTENZIONE. Va da sé, che se si è distratti la percezione si altera. É il problema primario dei ragazzi che vanno male a scuola: alla base, c’é disinteresse dell’argomento (o del modo in cui esso viene esposto) perché l’attenzione vola su altri argomenti per lui più interessanti. Vari test psichici possono aiutarci a valutarne l’intensità.
La MEMORIA, è la capacità di rievocare il già vissuto. Il primo passo, dopo aver vissuto un’esperienza, è la fissazione del concetto; a cui segue la archiviazione conservatrice collocata nello spazio e tempo; lasciando tutto a disposizione per eventuale rievocazione. Più vasto è questo archivio, e maggiore sarà la cultura del soggetto. La più frequente patologia è l’amnesia, come capita in certi traumi o quando una esperienza si è vissuta soggiogati per esempio dall’ansia o dall’alcool quali elementi di distrazione o torpore dell’attenzione.
Il PENSIERO è invece la capacità di produrre delle idee. É senz’altro la funzione più alta, nobile e fondamentale. Anch’esso avviene alla conclusione di una evoluzione progressiva, che inizia con la individuazione di percezioni varie, a cui segue la loro associazione e sintetizzazione, fino a divenire idea. Le varie idee collegate tra loro danno infine origine ad un “filo” (il filo del discorso) che è il ragionamento o critica. Nel loro essere, questi processi succedentesi a catena sono così complessi che diviene difficile volerli spiegare, ma basta dire che il ragionamento evolve solo se nutrito da altri elementi psichici che hanno il compito di vagliare la certezza (il vero dal falso), il confronto (dal generale al particolare, e viceversa), la critica (il confronto tra più idee). Le fluttuazioni individuali di questa caratteristica mentale variano dal “genio”, al “normale” (percentualmente uguale alla massa), al “vicino ai confini” (in inglese detto border-line ovvero sulla linea di confine, come il fobico, l’impulsivo, l’ossessivo (dover reiteratamente compiere certe azioni); parzialmente rallentati possono essere i soggetti che usano sostanze che sono classificate tossiche); al “malato” (più tipici sono gli oligofrenici che hanno rallentata l’ideazione al punto da mancare di completezza; ed i deliranti che producono una idea, ma falsa e che -radicata nella coscienza divenuta acritica- è caparbiamente ritenuta vera).
Il “sale”di questo minestrone, è rappresentato dall’AFFETTIVITA’. Anch’essa fa parte dello stato d’animo istintivo, ma molto potrà essere lavorato e corretto dall’educazione infantile e giovanile. Essa determina l’umore e condiziona la personalità. Le sproporzioni di questo sentimento portano ai confini della normalità con l’ipocondria e neurastenia, sino a fuori norma con la depressione
A metà, poniamo l’INTELLIGENZA. É una cognizione che si sviluppa durante la vita, rappresentando la capacità di acquisire, utilizzare, memorizzare le percezioni, per sempre più largamente elaborarle. Pertanto diventa il pilastro della personalità. Il demente è il più frequente malato che ha sconvolta questa facoltà.
La molla che fa frullare il tutto, è la VOLONTA’. Stimolo che si apprende con l’educazione infantile e rappresenta la tenacia con cui si incanalano gli impulsi e si difende la propria personalità. Il drogato è il tipico malato di questa dote: lui “desidera”, ma quando si accorge che “volere” è sacrificio, in genere demorde.
L’elemento sintetizzante il tutto è la COSCIENZA. É il minestrone completo, fatto., di cui prendere atto e decidere se accettarlo o no. Comprendente la lucidità, la critica e la valutazione di tutto il proprio vissuto. Se non si accetta, occorre farsi aiutare da un esperto. Anche qui l’alterazione ha vari stadi, dalla banale confusione, al patologico torpore e poi coma.
Quello finale è il COMPORTAMENTO. Corrisponde all’esteriorizzazione di tutte le facoltà su descritte. Dalla spinta generica iniziale, si mette in moto un’idea e si concluderà con la scelta -voluta o accettata- di “come” vivere (evoluzione guidata dall’istinto, facente perno sulla volontà, correlata da tutti i sentimenti su descritti ed oltre: il senso della morale, della religione, dell’ autostima, della conservazione, della sessualità, del linguaggio, ecc.).
Più si va nel dettaglio, più diventa difficile.
Come per tante altre cose della Natura, è tutto semplicemente complicato.
Allegato 2 GALLERIA D’ARTE MODERNA DI GENOVA
Anche Genova ha una bellissima GAM finalmente ristrutturata, in villa Saluzzo Serra a Nervi (in via Capolungo; facilmente raggiungibile in auto –posteggio alla stazione-, o anche col bus 17, o col treno e breve camminata dentro il parco: per favorire l’afflusso, nel febbraio/05, si scrive ridurre il biglietto dei mezzi pubblici. Una bella villa che ospita e mostra -a sei euro pro capite di biglietto d’ingresso- ampia quadreria e sculture varie di artisti della fine 1800-prima metà del 1900. La sua storia vede la nascita nel 1928. Venne chiusa dal 1943 (le opere trasportate a Voltaggio), al 1946. Di nuovo chiusa dal 1989 (le opere trasferite probabilmente in vico Chiusone) al 2004 per ristrutturazione della villa.
Poiché il valore di tutte le nazioni si misura dal suo potenziale artistico e museale, Genova che aveva impostato il suo destino nell’industria pesante, rimase a lungo la Cenerentola d’Italia per quanto concerneva l’arte esposta. Ma ora che c’è, visitarla è un atto dovuto di cultura di tutti i concittadini: non solo arte ed educazione al “bello”, ma anche storia; ed orgoglio quando gli artisti sono rappresentanti della nostra terra.
Per noi sampierdarenesi, la galleria offre due spunti particolari. Uno, vedere le opere di alcuni pittori nati in San Pier d’Arena (per il catalogo, venduto al prezzo popolare di solo 130 euro!, vengono tutti classificati erroneamente genovesi: non è giusto per chi nacque prima del 1926). Per primo Nicolò Barabino (1832-1891; presente con molte opere, fra cui quella sofferta e di grossa dimensione (m.2,54 x 3,72) con tema la morte di CarloEmanueleI di Savoia. Qui a San Pier d’Arena, del nostro pittore liberamente possiamo godere solo il quadro della Madonna “Oliva quasi speciosa” nella chiesa della Cella; il sacerdote vi inviterà a guardarla per pregare; io laico vi chiedo di andare anche a vedere l’espressione del bello). A seguire e non minori, Vernazza Angelo (1869-1937; visibili sue opere nella chiesa dell’Adorazione Perpetua in via GB Monti); Dante Mosè Conte (1885-1919); Pavero Riccardo (1894-1969); Massiglio Ernesto (1895-1974; suoi affreschi nella chiesa della Cella); Canepa AntonioMario (1895-1967); Bargoni G.Carlo (1936-vivente). Mancano opere di GB Derchi (1879-1912), e di GB Monti (1797-1823). Oppure le tele dei ‘foresti’, ma lungo vissuti in San Pier d’Arena: di Castrovillari Arnaldo fiorentino del 1886, da giovanissimo arrivato nella nostra in città ove morì a 33 anni di influenza nel 1919; Chianese Mario (1898-1971 gestiva un negozio in via A.Cantore); Galotti Fancesco (1921-1984 viveva al Campasso); Varni Antonio (1841-1908). Oppure di altri, a noi cari per aver loro titolato delle strade: Ernesto Rayper nato a Genova; Santo Bertelli nato ad Arquata S.; Gandolfi Francesco di Chiavari, a cui avevamo dedicata una piazza (è stata cancellata, all’apice di corso L.Martinetti).
Secondo spunto anch’esso motivo di orgoglio, la esposizione di più d’una opera d’arte già appartenute al Comune di San Pier d’Arena e tout-court ‘acquisite’ dal Comune della Dominante quando nel 1926 Mussolini decretò l’annessione.
Con onestà, la Direzione del museo ne cita la provenienza; così vediamo scritto “già conservata nel Palazzo Comunale di Sampierdarena, è acquisita nel 1926 con l’annessione alla Città di Genova del Comune di Sampierdarena e delle relative proprietà”. Tra esse due enormi tele (ambedue m.3x6, provenienti dal nostro Palazzo Spinola) di Plinio Nomellini (Livorno 1866-1943; uomo allegro, impegnato anarchico-socialista, innovatore dell’arte figurativa italiana; per 12 anni vissuto a Genova con la qualifica di ribelle); una scultura in marmo (già nel Palazzo dell’Istruzione di Sampierdarena) di DeAlbertis Edoardo; un acquerello e 9 tele ad olio di N.Barabino; un olio di Luxoro Alfredo; due tele di A.Vernazza.
Quello che a me appare importante e che neanche il catalogo dice, è che queste ultime opere, costituivano beni di investimento economico del Comune di San Pier d’Arena (ante 1926). Dimostrano come “in questa periferia” era alto ed evoluto il grado di cultura artistica: nessun altro comune suburbano dei 19 assorbiti entrò nella Grande Genova con il bilancio economico in attivo e con beni artistici di tale portata. Ma, nel 1927 i geni del Municipio “avvertendo forse l’esigenza di risarcire culturalmente i cittadini genovesi delle delegazioni di Levante e di Ponente attraverso l’inserimento di prestigiosi istituti museali in altrettanto importanti ville antiche” –visto che a San Pier d’Arena non c’erano ville adeguate ?- la beffarono decidendo aprirlo a Nervi dove è vero, tutto è bello, anche il parco; ma penalizzando il Ponente abitato da operai. Oggi, amareggiati dell’eterna scelta a scapito –valutati –così pare-spregiativamente come periferia operaia ed industriale- ricordando che siamo stati esclusi anche da qualsiasi iniziativa di “GenOva”, pensiamo che sarebbe l’ora di finirla. Gradiremmo che Tursi, visto il nuovo orientamento turistico in aumento preannunciato anche da Wolfson, restituisca e faccia anche a San Pier d’Arena un centro culturale curato da chi competente: studiosi del Settore Musei, della Ligustica, delle Belle arti, dal Circolo N.Barabino, dal CdC, dal CentroCivico. Gli spazi e gli ambienti idonei, ci sono. Guardiamo un pò se Tursi ci risponderà, per decretare quanto scritto sopra.
Allegato 3 LA MALASANITA’
Ripetuta dai mass media, è divenuto di moda usare la parola malasanità.
Una considerazione prioritaria: scorretti cronisti usano e riportano con disinvoltura e per ogni occasione questa parola. Occorre sia distinto l’ “errore umano” (che non è malasanità, che esiste in qualsiasi categoria, compresi genitori, giornalisti, ferrovieri, astronauti, ecc.; in tutti i tempi ed in tutte le nazioni, il famoso “errare humanum est”. Errore che sarà punito civilmente e penalmente secondo le Leggi, ed in sanità anche dall’Ordine dei Medici. Ma compiuto senza dolo); dalla malasanità (che è l’ uso con dolo, cioè malafede, ignavia o interesse personale a scapito della comunità e quindi delinquenziale del proprio mestiere. Nell’ambito sanitario, interessa tutte le categorie: politici, amministratori, medici, infermieri, ecc..
Seconda, la consequenziale rabbia, con rivendicazione legale di chi si sente danneggiato. Questo tipo di rivendicazione, come tante altre mode, nacque negli USA oltre vent’anni fa cavalcata da spregiudicati avvocati e favorita dalla loro legislazione sanitaria basata su assicurazioni private: cause mirate solo a ricuperare soldi. Laggiù adesso nasce il bisogno di un marcia-indietro nel valutare l’errore medico, considerato che ha costretto i medici a difendersi in tribunale anziché fare il proprio mestiere in ospedale; ed ha generato conseguente enorme aumento dei costi di tutto il settore (iniziando dalle assicurazioni), la fuga dei medici dagli ospedali soprattutto dall’assistenza delle emergenze, l’eccessiva richiesta di prepensionamento, la scomparsa dell’assistenza gratuita, senza considerare il danno psicologico soprattutto verso i malati successivi, per l’inconscia priorità posta dal medico all’autodifesa anziché all’impegno appassionato alla causa, specie se difficile o irrimediabile. Il medico, se ‘scottato’, entra in ‘bur-out’ovvero si brucia; e non tutti di essi ricuperano se non in mortificata disaffezione. Bisognerebbe se ne fregasse: è questo che vogliamo? Certo non degli impuniti, ma sbaglia chi vuole un medico che sappia tutto e che non sbaglia mai: in Italia per ora la Magistratura e l’ Ordine dei Medici fanno buona guardia ed equilibrata giustizia, e non esiste l’esasperata ritorsione americana; però nella moda siamo indietro di vent’anni; c’è modo che mentre laggiù si cerca indietro una soluzione più intelligente, qui invece scimmiottando, si vada avanti in progressione. Quindi, se da noi la situazione pende ancora a vantaggio dell’assistenza impregnata di impegno affettivo del medico sempre conscio della propria limitatezza di fronte alla vastità delle nuove acquisizioni, altrettanto sempre più frequenti sono le lamentele di loro arroganza o indifferenza. Sintomo che le cause si stanno innescando. Già per prime le assicurazioni obbligano tutti i medici a raddoppiare o triplicare la cifra annuale, che diventa superiore al mensile di stipendio (di più ancora, nelle categorie a rischio), iniziando a costringere tutti all’auto difesa sia accettando passivamente l’avvilente burocratizzazione dell’assistenza, sia lasciando estinguere gradatamente la veste del ‘missionario’ o ‘umanitario’, tanto gradita da chi soffre ma altrettanto calpestata ed avvilita da chi si sente danneggiato e che -a circuito vizioso- sempre più ricorre alla Magistratura.
L’errore medico, seppur inevitabile, non si riduce né si modifica con questo sistema.
Non è questo il posto dove discuterlo; ma sarebbe bene fermarsi in tempo ed orientare il metodo: non la svergognante relazione per la cronaca giornalistica né la rabbia pretestuosa, ma una organizzazione più sofisticata e stimolante, che porti a sbagliare meno. Come, per esempio, dove c’è il piacere del lavoro che si fa.
Allegato 4 LA SPESA SANITARIA in cifre
Il problema invecchiamento che tanti temono, è già iniziato da vari anni perché il suo costo è continuamente crescente, in rapporto al crescere dell’età e delle scoperte tecnologiche.
All’inizio del secolo scorso, moriva nel primo anno di vita il 16% dei bambini (miseria, fame, diarree, polmoniti). Un altro 18 su mille moriva di malattie infettive prima dei 5 anni. La vita media era di 40 anni; solo il 5% raggiungeva i 65 anni con salute assai malferma e vita grama. Per ogni anziano c’erano due neonati: l’inverso di oggi. Chi si ammalava di tumore, moriva (oggi, più del 60%, guarisce)
Oggi, che ci si ammali di più è vero. Sia per l’inquinamento e sia per l’aumento della durata della vita che aumentano il tempo di degenerazione dei tessuti e l’esposizione ai fattori ambientali, in contempo riducono le difese immunitarie. Dei viventi, solo il 20% non utilizza il SSN ed il 18% non supera i 500€; la spesa pro capite appare quindi una pura convenzione perché è fortemente concentrata su pochi soggetti che usufruiscono anche delle risorse teoricamente messe a disposizione di ciascuno degli altri.
L’Istat ha fatto una previsione -che a noi interessa poco perché non ci saremo più, ma che dai politici deve essere tenuta in considerazione perché è oggi che si semina quello che verrà raccolto domani-: se nel 1960 la popolazione sopra i 65 anni era di 4milioni,828mila unità; nell’anno 2000 erano 10milioni,646mila; nel 2030 saranno poco meno di 16milioni. Oggi, facendo pari a 1 la spesa della fascia centrale di età (15-64 anni), la spesa dei più giovani è pari allo 0,6; per quelli più anziani la spesa è 3,6.
Nel milanese hanno fatto i conti: gli anziani sono il 16% degli assistiti e spendono il 42% della somma disponibile; i giovani che sono il 14% spendono il 6% delle risorse (di cui un terzo solo per nascere e le prevenzioni del primo anno di vita). Queste ricerche hanno evidenziato che i maggiori beneficiari dell’assistenza sono i malati cronici che pur essendo il 17% della popolazione, assorbono il 59% del bilancio; seguiti dal 6% dei malati acuti gravi che consumano il 22% del budget. La massa di popolazione, pari al 55%, usa solo il 14% della somma a disposizione. Per dovere di cronaca, partorire, nascere e morire ne assorbono il 12%. Sempre nella ASL di Milano, nell’anno 2000 la spesa massiva appare quella ospedaliera seguita dai farmaci, dagli specialisti e per ultima la medicina generale.
Curare l’ipertensione costa allo Stato di più dei tumori (25% contro 18%), seguiti dalle malattie cardiocircolatorie con il 16% a parità con gli invalidi. Poi il diabete con 11,5% ed reni con 5,5%. La prevenzione (il famoso check-in) è una chimera non uccisa ma neanche incoraggiata stante il difetto cronico economico dello Stato; oggi si usa lo “screening” ovvero una ricerca predittiva più selezionata e mirata; negli USA tramite internet ciascuno può fare una autovalutazione del proprio rischio individuale, basata su modelli matematici molto sofisticati.
Nel complesso, la situazione della salute italiana proiettata nel futuro non appare tra le più drammatiche nel campo internazionale, mentre lo è per il debito pubblico che dovrà aggiustare la percentuale del PIL che statisticamente parte dal 6,3% del 2002. Il virtuoso cammino di rientro del debito pubblico fornirà le necessarie risorse alle spese per l’invecchiamento della popolazione. La sostenibilità futura della spesa sanitaria, dovrà essere garantita da un aumento graduale delle imposte e dal recupero di risorse in altri capitoli del bilancio pubblico.
Allegato 5 25 aprile
Sono trascorsi sessant’anni, da quel giorno che è ricordato come il “giorno più lungo” dei genovesi.
Come un frutto, maturò dopo aver rifiutato il messaggio «sibillino» del generale Clarck che a fine marzo aveva dettato “…che i partigiani non partecipassero alla liberazione di Genova…o quantomeno un numero minimo per contenere le forze nemiche sino all’arrivo delle truppe alleate…”.
Le SS erano prudentemente fuggite il giorno prima.
Già il giorno 23, la tensione sta acuendosi in uno sviluppo di situazioni, sempre più precario, frenetico e pericoloso: è tutto un susseguirsi di dispacci «urgentissimi», ordini «segretissimi», informazioni «sicurissime». Ma soprattutto tempestiva applicazione militare di quanto da tempo era stato programmato nei particolari. I problemi sono salvare gli impianti ed il porto impedendo le distruzioni previste dai tedeschi; bloccare la ritirata del nemico; occupare i centri strategici (radio, sedi di governo, trasporti, batterie armate, ecc); mantenere l’ordine; evitare rappresaglie e liberare i prigionieri.
Il generale Meinhold, comandante la piazzaforte genovese, tramite mons.Siri fa sapere le sue intenzioni di evacuare la città: il CLN rifiuta questa idea.
Il giorno dopo 24 aprile i giornali e la radio danno notizia dell’invito mandato dal CLN: «Popolo genovese insorgi!…Il mondo ci guarda. Dobbiamo riscattare l’umiliazione di ventitre anni. Dobbiamo essere degni della vittoria! Dobbiamo meritarci la libertà».
La SAP inizia qualche azione militare isolata contro i presidi e più intensa guerriglia per le strade. Meinhold minaccia di bombardare la città, ma anche questo ricatto viene respinto.
La sollevazione e partecipazione popolare si avvera, come pure il blocco delle possibili distruzioni e della fuga delle truppe. Altrettanto rapido è il controllo della città, seppur sanguinoso. A sera, la città è libera (escluso alcune sacche tenute sotto controllo).
Il CLN assume i poteri di amministrazione e governo locali: l’avv. Martino Errico diviene prefetto e Taralli Vannuccio sindaco.
Il 25, in mattinata, il generale tedesco offre la resa incondizionata. Fervente l’azione mediatrice del card. Boetto, dei medici prof. Romanzi e Giampalmo, dei membri del CLN.
Alle ore 19,30 in villa Migone di san Fruttuoso, abitazione del cardinale, il generale firma la resa (…mediante presentazione ai reparti partigiani più vicini con le consuete modalità e in primo luogo con la consegna delle armi…), sottofirmata da Remo Scappini (del PCI, presidente del CLN), dall’avv.Errico Martino (P.Liberale), da Asmus (capo di Stato Maggiore), dott. Giovanni Savoretti (del PLI) ed il maggiore Mauro Aloni (unico militare, comandante la piazza di Genova).
Il 26 PEmilio Taviani, da Radio Genova annuncia ufficialmente l’atto di resa: «…popolo di Genova esulta. L’insurrezione, la tua insurrezione è vinta. Per la prima volta nel corso di questa guerra un corpo di esercito agguerrito ed ancora bene armato si è arreso dinanzi a un popolo. Genova è libera. Viva il popolo genovese, viva l’ Italia!».
Intanto arrivano a San Pier d’Arena le unità di montagna: la brigata Buranello ed alcuni distaccamenti della Pio e della Olivieri: anche se l’atto firmato ieri, diviene operativo dalle ore 9 del giorno 26 «…ogni ulteriore resistenza è vana. La resa deve avvenire oggi….», non tutti i tedeschi obbediscono a Meinhold e non vogliono arrendersi. I partigiani pongono mortai ed accerchiano il nemico asserragliato nei silos Occhetti e nell’Allestimento Navi; alcuni reparti tedeschi tentano una sortita creando diversivo facendo saltare un deposito di munizioni, ma dopo aspro combattimento vengono respinti. Mitraglie, bazooka e fucilieri si concentrano in villa Scassi in attesa di snidare diversi franchi tiratori annidati nelle case e prendere ordini verso la zona degli Angeli-Chiappella, Camionale e Belvedere ove sono batterie tedesche e dove si oppone ancora resistenza, unica in tutta la città ormai completamente libera. La 92a divisione americana «Bufalo» nel contempo arriva a Rapallo.
Il giorno 27 : alle 10 si arrendono definitivamente i tedeschi asserragliati a San Pier d’Arena ed alla Foce. Già funzionano regolarmente radio, telefoni, tram, centrale elettrica, vigili urbani acquedotto, il governo locale e le varie industrie.
In tutto, in città, 6.000 prigionieri che ci sono costati 350 feriti e 187 morti (a San Pier d’Arena viene ricordato Andreani Amedeo, con lapide in via B.Piovera).
Le truppe alleate arriveranno dopo altri due giorni, quando avevano calcolato ne sarebbero occorsi più di 15 se i partigiani non avessero spianato la strada. A loro si arrenderanno con l’onore delle armi i tedeschi chiusi nel forte di monte Moro.
Come sempre nella storia, vedi il Risorgimento e Mazzini stesso, la visuale strettamente unilaterale dei vincitori ha dato spazio nel tempo alle rivalutazioni ed alle revisioni della controparte. Ma non è in quei possibili o discutibili avvenimenti che si deturpa il valore di questa data: essa è il simbolo della conquistata democrazia che viviamo tutt’ora; e che, nel bene e nel male anche lei, appare il modo più sociale di vivere.
Allegato 6 Per i golosi una ricetta strana, chiamata “Marmellata di Cipolle”
Materiale: cipolle rosse (un chilo); zucchero (700 g.); acqua (1 litro); aceto (4 cucchiai); --- uvetta (un pugno); chiodi di garofano (ne bastano 4); --- vaniglia in polvere (1 cucchiaio raso).
Preparazione: in pentola, assieme, i primi quattro ingredienti. Aggiungere gli altri due a lenta ebollizione, rimescolando per evitare lo “scotizzo”, fino ad addensamento uniforme di marmellata. Togliere i chiodi di garofano ed aggiungere la vaniglia. Per ultimo invasare.
Poggiare il vasetto rovesciato, coprirlo con un panno scuro, ed attendere fino a che si sia raffreddato.
Buono subito, ma meglio dopo qualche giorno, come dessert su biscotti, per colazione mattutina e tè pomeridiano, o come ottimo accompagnamento del bollito. AMGiudice
Allegato 7 La nevrosi ossessiva
Quando bisogna complicare le cose semplici, gli avvocati iniziano a parlare in latino, mentre i medici scodellano parole difficili: nel tema, si usa dire compulsivo, ovvero obbligato e scarsamente controllabile con la volontà.
È un disturbo della personalità rappresentato da una normale ansia, peggiorata da un irresistibile stimolo di rituali, ripetizione di gesti o parole o pensieri. Stimolo, che risulta ostico ed invincibile da parte delle resistenze interiori poste in atto dalla parte sana della psiche, che si rende conto dell’assurdità di questo vincolo.
Malgrado ciò –e nell’errato presupposto di poter quietare- la maggior parte di noi fa finta di nulla, soggiace alla coercizione e cede. Anatomicamente il cervello è sano e senza alcuna traccia riscontrabile; a dimostrazione che questo comportamento è secondario ad un difetto chimico del metabolismo cerebrale (i cosiddetti ‘neuroormoni’). Per la medicina è alla pari degli altri fenomeni di disormonosi: il diabete, il distiroideo, le dismenorree da difetti ovarici. Nella psiche, ove tutto procede per piccole gradualità (la “lunga linea grigia”), riscontriamo che questo disturbo l’abbiamo tutti; ma chi solo un poco, chi più; chi cinerino, chi bigio fumo. Fa parte della natura umana; se esso è minimo (detto idea prevalente) viene considerato normale (cioè “nella norma”; ovvero percentualmente compreso nel gruppo dei più numerosi). Per chi ne ha di più, questo difetto rende difficile sia essere capiti dagli altri (specie da chi invece riesce ad autocontrollarsi, e che giudica semplice non fare certe cose; quando poi lui ne fa delle altre: la famosa pagliuzza e trave nell’occhio); sia valutarne lo sconfinamento nella malattia.
Così la lingua italiana, ricca di finezze espressive, distingue nel gruppo dei normali i vari hobby, ovvero la ricerca ripetitiva e monotematica (di azioni, oggetti, brani musicali, poesie, narrativa; autogiustificandoli come i preferiti); le personalità meticolose, scrupolose o puntuali, ordinate o disciplinate; i collezionisti (di piccolo traffico ma che già cercano la perfezione dell’oggetto raccolto, frequentano mostre, comprano cataloghi e contenitori); chi per mestiere deve esercitare una oculata precisione (bibliotecari, orologiai, ferristi di sala operatoria, chirurghi nell’igiene personale, ecc.). Vengono elencati come fisiologici esempi di chi inutilmente conta mentalmente certi oggetti, di chi li incolonna o numera per mantenere un ordine cronologico, di chi camminando pone il piede dentro o al limite delle piastrelle, di chi corregge le minime differenze (specie nell’ordine, nei numeri, nella simmetria, nel ritmo, ecc.). In ogni campo: religioso (magia), sessuale, igiene (sporco, germi), somatiche (malattie, estetica, farmaci), letterarie (nomi, numeri), ecc.
Cominciano a creare delle perplessità i normali inclusi nel nero fumo vicino all’estremo dello sconfinamento, i borderline numericamente tanti. Ovvero siamo coloro che hanno qualche mania. Anche in questo minore contesto esistono gradualità. Sempre il vocabolario ci aiuta ad includervi gli ostinati; gli avari; tanti ipocondriaci e neurastenici (tipo pigri di intestino o –all’inverso- colitici, i tachicardici od i dispnoici; certi alimentaristi vegetariani); i ritualisti (non digeriscono o non dormono se non bevono un cicchetto o se di notte non tengono le calze contro il freddo dei piedi). Fino il genitore costantemente severo; i padroni dispotici; gli estremisti politici (così fu classificato Hitler); coloro che a certe avversità reagiscono con modalità rabbiose (tipo intolleranza dei difetti del coniuge, da misurarsi con la separazione); lo stesso nostro Ministro della Salute quando minaccia di morte i fumatori, e sia quando alimentando la paura nei non fumatori, favorisce che i più deboli diventino intolleranti ed ipersensibili e si sentono male o vanno addirittura in crisi isterica.
Inizia a sconfinare chi, nel rendersi conto del fenomeno, tace per vergogna o per presunzione, ma nel proprio intimo soffre se non ottempera al richiamo dello stimolo. La sofferenza –fisica o psichica, in questo caso psichica, è già di per sé malattia. Vanno quindi decisamente fuori norma coloro ai quali la coercizione, anche se banale, diventa tortura e porta delle conseguenze comportamentali: la paura della fuga del gas che determina un controllo ripetuto dei rubinetti; delle forbici o coltelli da nascondere perché potrebbero ferire; di certi rumori che risvegliano o non fanno dormire; dell’igiene quando non basta più una bella insaponata ma occorre ricorrere a disinfettanti più energici con conseguente danno alla pelle; del collezionista che arriva a rubare un oggetto di interesse.
Come accennato all’inizio, il disturbo è chimico-ormonale cerebrale, e si può correggere riequilibrandolo con la chimica farmacologia. Quindi, la cura c’è. Purtroppo, mentre l’ansietà semplice generalmente dipende da un determinato tipo di educazione ricevuto nell’ infanzia e quindi correggibile con psicoterapia, questo tipo di ansietà aggravata dall’ossessione, rappresenta un residuato di meccanismi mentali ancestrali (quando la magia e le superstizioni funzionavano da difesa contro le stranezze della natura e pregiudicavano l’esistenza); cosicché la chimica agisce sul sintomo ma non a pieno sulla causa iniziale: quindi per stare meglio bastano pochi giorni, ma per guarire occorre pazienza per terapie più lunghe e psicoterapia di stimolo alla volontà.
Qui si inserisce un’altra frequente forma d’ansia compulsiva: la paura dei farmaci ed in particolare degli psicofarmaci. Faccio notare che l’ incapacità di interferire direttamente sulla causa di una malattia, al giorno d’oggi è presente in molte altre patologie dove è universalmente accettata con disinvoltura ed ovvietà: cito solo il diabetico a cui l’insulina non guarisce il pancreas; oppure il Parkinson a cui la dopamina è palliativo; ed il bronchitico cronico o asmatico a cui il cortisone non guarisce la predisposizione dei bronchi ad infiammarsi ed entrare in spasmo. Ma per loro è accettato –ben guidati dal medico- introdurre dall’esterno il farmaco correttore di una malattia, mai nessuno innocuo, ma sempre molto meno pericolosi del tenersi la malattia: il cosiddetto “male minore”, mirato a migliorare la qualità della vita.
Allegato 8 la cucina pasquale: le lattughe ripiene
L’approssimarsi della Santa Pasqua ed il programmarne gli eventi tradizionali, mi offrono il ricordo di come nella mia famiglia si preparava il pranzo della festa. Ognuno di noi aveva un compito: mio padre andava al mercato la mattina presto, a comperare i laccetti e le cervella per la cima e, dal verduriere le lattughe da fare ripiene, e quant’altro serviva fresco. A casa, mia sorella ed io eravamo addette a pulire piselli ed al ripieno; mio fratello apriva col martello e con maestria i pinoli senza schiacciarli. Ma la parte più impegnativa ed importante era a carico della mamma, che doveva accudire alla cima che cuciva con la maestria specifica di una sarta, alle lattughe ripiene, ai ravioli, alla torta Pasqualina. Mia nonna era l’addetta alla cottura. Così tutti avevamo partecipato; e gioivamo quando tutto si svolgeva in modo perfetto, consapevoli di averne avuto una parte di merito.
Ecco la ricetta, come venivano preparate le lattughe ripiene:
-sbollentare le foglie della lattuga e disporle poi su un tagliere ad asciugare.
-ripieno: sul fornello 100 g. di vitellone a rosolare nel burro; aggiungere animelle e schienali prima sbollentati. Quando la carne sarà dorata, aggiungere ½ bicchiere di vino bianco e lasciarlo ad evaporare.
Appena pronti, sgocciolare le carni dal sugo, tritare il tutto il più finemente per passarlo in un mortaio assieme a mollica di pane imbevuta del sughetto della cottura.
Pestare con molta cura. Travasare in una terrina, a cui aggiungere uova, parmigiano grattugiato (una manciata), un pizzico di maggiorana e di sale.
-Ancora, amalgamare bene tutto. Aiutati con un cucchiaio per fare le dosi, mettere il ripieno sulle lattughe, farne fagottini da legare con filo bianco da imbastire.
-In una casseruola posta sul fuoco con un poco di brodo (se della cima, è l’ideale) all’ebollizione immergere i fagottini e lasciarli per altri dieci minuti.
-Dopo estratti, privarli del filo, adagiarli in una terrina, bagnare con un poco di brodo, spolverarli di altro parmigiano grattugiato, e servire.
Mia madre usava come ultima rifinitura, aggiungere su ognuno una cucchiaiata di tocco dei ravioli. Eccellenti. Auguri.
Allegato 9 Medicina in pillole
Per obbligo di contratto scomparirà la figura del Medico di Medicina Generale (già di famiglia, della mutua,di base, generalista, ecc) che lavorava solo, in ambulatorio come “single”: informatizzato, lavorerà impiegato in équipe di Colleghi anche pediatri, con i quali concorderà orari, ferie, segretaria; e dai quali potrà essere sostituito specie negli atti burocratici di ricette e certificazioni. Se poi le singole équipe si organizzeranno, potranno formare le UTAP ovvero medicina di gruppo con sede unica capace di offrire poliservizi: segretaria, infermieri, guardia notturna e festiva, specialisti, terapie particolari, ecc..
Allegato 10 medicina in pillole
La terminologia inglese impera. Si chiama mobbing una patologia finalmente riconosciuta come esistente, legata ai tempi moderni: sarebbe il “danno esistenziale” da stress occupazionale, ovvero legato a violenza psicologica nel tipo di lavoro in cui si impegnati. Porta al burnout intellettuale (tradotto sarebbe cervello “bruciato via”), con conseguente ansia, avvilimento, fobie, somatizzazioni, abusi (alcol, fumo) e depressione. Dopo accertamento medico e onere delle prove, potrà interessarsene una Commissione Ispettorato del Lavoro e si potrà far ricorso ad un Giudice del lavoro presso il tribunale perché previsto dal codice di procedura civile. Si accerterà la reale disfunzione dell’organizzazione del lavoro da qualificare come “maltrattamenti” (mancata prevenzione, protezione, assegnazione degli strumenti di lavoro; emarginazione, trasferimenti impropri, sabotaggio carriera, sfiducia ripetuta, ecc.).
Allegato 11 STATISTICA “stranieri a Genova”
L’Unità Organizzativa Statistica del Comune ha stilato, aggiornatissimo ad aprile scorso, il censimento sul tema.
Nella nostra Circoscrizione CentroOvest risultano: 4813 residenti (3721 a Sampierdarena), così distribuiti: 1168 al Campasso; 618 san Gaetano; 1049 Sampierdarena; 394 Belvedere; 492 san Bartolomeo; 751 Angeli; 341 sanTeodoro.
2175 maschi, 2638 femmine.
Con più alta presenza dall’Ecuador=2219, seguiti da Albania=526; Perù=348; Cina=265; Marocco=262; Tunisia=101; da altri oltre trenta Stati=1092, inferiori a cento unità per singola nazione.
Sposati sono in 1862; ‘singol’ 2844; vedovi 47; divorziati 60.
In totale abitano 1267 appartamenti di cui ben 112 con più di sei o più componenti.
Benvenuti! e commento: per strada, parlando con chi ‘coccina’ in dialetto genovese, non ci sono particolari perplessità sulla loro presenza quanto sulle loro bande giovanili: si vorrebbe che i loro ragazzi fossero più controllati dai genitori, perché anche noi lavoriamo e vogliamo vivere in pace, con loro.
Tutti, sono invitati partecipare alle nostre attività, sport , circoli, sagre ed i tanti cattolici anche alle feste religiose. Fare associazione, ma non isolarsi.
Allegato 12 L’inno dedicato a Cantore
Il fortunato ritrovamento di un canto scritto dal famoso E.A.Mario, recentemente armonizzato dal maestro Agostino Dodero, dedicato al nostro concittadino generale Antonio Cantore, ha dato il via, nel palazzo di piazza del Monastero, ad una serata di spettacolo organizzata dal CdC e dal Coro Amici della Montagna.
Davanti al nipote, anche lui Antonio Cantore abitante a Torino, gagliardo ed omonimo novantenne; al comandante Messina, della stazione dei Carabinieri; al dr. Minniti e Calvi del CdC; ai professori universitari Bampi e Rebora (quest’ultimo, invitato ad introdurre la memoria di Cantore, ha voluto non fare una esaltazione della persona quanto invece sottolineare la riverenza -di lui sampierdarenese- condizionato da Cantore fin dalle proprie elementari espletate nella scuola a lui intitolata; dalle successive ‘vasche’ nella via principale con la prima sigaretta; e dal fatto forte che il Nostro fu forse l’unico generale morto in guerra nell’atto di partecipare direttamente ad una azione bellica). I 33 esponenti del coro Amici della Montagna (via B.Agnese), alternando proprie incantevoli interpretazioni di canti di montagna con 5 esponenti della Associazione Art (Associazione per la ricerca teatrale, al Centro Civico; che leggevano brani sui soldati alpini) hanno completato positivamente la serata al folto pubblico che aveva riempito il salone della scuola.
allegatp 13 Candidata al Consiglio Regionale della Liguria alle elezioni del 3-4 aprile p.v. nella lista Democratici di Sinistra – Uniti nell’ Ulivo, con Claudio Burlando intervistata 11.3.5
Tra i tanti candidati alle prossime elezioni per la Regione, forse unica nata ed abitante qui a San Pierd’Arena abbiamo Rossella D’Acqui, 49enne, mamma di due maschi uno laureato, l’altro ancora studente.
Da anni impegnata in politica, dapprima con importanti incarichi in Provincia relativi all’ambiente ed alla pianificazione ecologica del territorio, e poi nell’ultima legislazione, in Regione nel gruppo DS all’opposizione.
Interessata sulle opportunità legate alla nostra delegazione, segnala che per chi governa la Regione le possibilità sono non tanto di tipo organizzativo, quanto prevalentemente legislativo (può cambiare le leggi e quindi le regole) e finanziario (spesso cofinanziario, con Comune, privati). La Regione gestisce somme tratte da Fondi Comunitari e statali, utilizzandoli solo dietro progetti proposti (da privati, Comune e CdCircoscrizione), su i più vari temi: sport (ad esempio i campi), beni culturali (ville), agricoltura, industria, sanità (ospedali di vallata, reparti specialistici d’eccellenza), trasporti, commercio locale, ecc..
La sua esperienza è legata prevalentemente all’ambiente, patrimonio da difendere, innanzi tutto, contro speculatori e privilegi. Ma non solo: derivando da esso la qualità della vita e la salute degli abitanti liguri, va integrato con le prospettive della crescita e dello sviluppo economico e sociale.
Un suo motto poi è “una politica senza donne è una politica senza senso”, parte integrante di un programma che vuole ampliare la “visione del mondo al femminile”.
Non ultimi, oltre a questi due precedenti stimoli, vuole il tema del lavoro e degli anziani al centro dei programmi della sua lista.
(eventuali altre informazioni su www.rosselladacqui.it)
allegato 14 CINGHIALI A PROMONTORIO
Anche belli, ma prudentemente da vedersi al di qua del cancello: tre adulti e quattro o sei cuccioli, titubanti tra la paura dell’uomo e la fame. A maggior ragione, pericolosi.
Improprio il posto: è l’ingresso dell’ex Opera Pia Scaniglia Tubino a Promontorio, a cento metri dal Cimitero. L’area con l’edificio sono stati sospesi ai lavori di ristrutturazione nei progetti per gli anziani perché per essere adeguati alle normative sono divenuti una voragine mangiasoldi, meritevoli di Striscia la Notizia.
allegato 15 CUCINA di stagione: anciöe fresche!!! O tortin d’anciöe.
É di stagione l’acciuga, piccolo pesce azzurrognolo sul dorso, che a primavera si avvicina alla costa in grossi banchi per deporre le uova permettendo per alcuni mesi lauta pesca (con rete o lampara) in tutto il golfo ligure. Per nulla sono popolarmente chiamate “pan do mâ”.
Mi hanno insegnato che le camogline tra tutte sono le migliori: carnose uguali ma di particolare sapidità per la salinità e temperatura del mare in cui vivono; e più salutari perché meno grasse; seppur più piccole, solitamente inferiori ai dieci centimetri.
Personalmente trovo un bel piatto da proporre il “tortino”, che dall’esperienza è assieme nutriente e digeribile.
Si prepara una teglia oliata e cosparsa di pane grattugiato, il cui eccesso va eliminato.
Il procedimento iniziale è uguale a tutte: si aprono sul ventre, si tolgono testa, lisca ed interiora, si lavano e, escluso 4-5, si pongono in acqua e sale per quel poco tempo necessario a preparare il ripieno.
In una terrina si uniscono la mollica di un panino imbevuta nel latte; un uovo; un pugno di formaggio parmigiano grattato; maggiorana (“persa”); a cui si aggiungono dopo averle ben tritate le 4-5 acciughe pulite ed una salata. Si rimescola ed amalgama. Appena pronto, si prendono acciuga per acciuga, si riempie ciascuna a sandwich con una cucchiaiata dell’ impasto di cui sopra, e si dispongono, ordinate in più strati, nella teglia.
Infornare e lasciare finché non assume colore adeguato.
Si serve nei piatti tagliandolo a riquadri, per ricevere un gioioso “bravo cuoco, e buon appetito a tutti”. AnnaMariaGiudice
Allegato 16 RECENSIONE 2 LIBRI della soc. op. di m.s. Universale
I più superficiali, che passando per via A.Carzino e guardando dall’esterno tirano sentenze, sparano che la società Universale è un banale circolo-ritrovo per anziani, avendo ormai esaurito gli scopi che la rendevano iperattiva ed in fermento: repubblicani, liberi e democratici lo siamo, mazziniani abbastanza per soddisfare il famoso Dio e Popolo, operai –anche se ce ne sono più pochi- sono tutti protetti da mutue e sindacati.
L’introduzione in lettura di due opere scritte, uno è un opuscolo dedicato agli studenti delle nostre scuole, contenente un “profilo storico” curato dalla dottoressa Piccardo Lara; il secondo è un vero e proprio libro, riportante gli atti di un convegno tenuto nel maggio dell’anno scorso ed intitolato “Società Operaie e Cooperative in Liguria nell’Ottocento e nel primo Novecento”, dimostrano che sotto la cenere di apparente oziosità, cova una brace produttiva e culturalmente di prima qualità. Col solito spirito che rifiuta clamore ed ostentata superiorità, la nostra “Società Operaia di Mutuo Soccorso Universale «Giuseppe Mazzini» Sampierdarena” presieduta da Erio Bertorello, con il contributo della Regione Liguria, indossa l’abito bello della domenica ed offre un punto di riferimento sia storico che intellettuale incisivo, e che maturerà in autunno prossimo con altri convegni dei quali uno si terrà al Priamar di Savona col tema “I primi mazziniani della Liguria (1828-1834)”: una cinquantina di dinamici operai-attori che sotto la regia di Mazzini sconvolsero positivamente il mondo del lavoro; di essi, vedete un po’, molti sampierdarenesi.
Concomita l’elegante edizione -a cura dell’Ames, Associazione per la mutualità, la cultura e la storia dell’economia sociale-, del volume «Sampierdarena 1864-1914, mutualismo e cooperazione». Tante foto inedite e notizie storiche sulla nostra circoscrizione, di prima scelta ed interesse.
Allegato 17 Garibaldi + Barabino .
Centenarie! Ambedue contemporanee, quest’anno hanno questa età, le statue bronzee uniche di San Pier d’Arena. Una dedicata a Giuseppe Garibaldi in piazza del Monastero, l’altra a Nicolo Barabino in piazza omonima; ambedue dello scultore alessandrino Augusto Rivalta (1838-1925, accademico della Ligustica).
Ai tempi, larga fu la partecipazione del popolo e delle Associazioni (Universale, Croce d’Oro, Sampierdarenese, N.Barabino) per contribuire col Comune alla spesa, organizzando giornate sportive ciclistiche nei giardini (oggi Pavanello), lotterie, mostre e feste in piazza d’Armi (per quello di Barabino arrivarono contributi anche da altre regioni).
San Pier d’Arena doveva possedere un terzo monumento di grandi dimensioni dedicato ai caduti della guerra del 1915-18, con già i soldi e deciso nome e bozzetto del vincitore; ma l’ammissione nella Grande Genova nel 1926 bloccò tutto.
Quello a Garibaldi inaugurato (non conosco la data precisa) ad aprile o maggio, meriterebbe un po’ di restauro: manca una M dell’anno di erezione (MCMV=1905) e sul piedistallo permangono tracce di scritte (dei soliti stupidi con scarsa personalità, che un bravo marmista potrebbe rimuovere). Sul lato a mare un altorilievo ricorda l’episodio della partenza dei Mille; nel retro vengono ricordati i nomi di quattro “sampierdarenesi” dei quali si sa poco, eccetto che nessuno sbarcò a Marsala (unico sampierdarenese fu DeLucchi Luigi), e che tutti diedero la vita per l’ideale: Traverso Quirico (nato a san Quirico, morì a Maddaloni), Galleano Paolo (battezzato alla Cella), Macciò Priamo (morì nella battaglia di difesa dell’ Agro Romano nel 1867), Meronio Carlo (nativo alla Foce; fu tra i Mille a sedici anni; dirigente dell’Universale, morì combattendo con Garibaldi in Francia nel 1870).
Quello a Barabino, inaugurato il 30 ottobre 1905, reca alla base la scarna scritta “a Nicolò Barabino 1832 – 1891”: poche parole, come usa qui. Merita ricordare che all’inaugurazione, la prima collocazione fu nei giardini (oggi Pavanello) davanti alle scuole inizialmente dedicate allo stesso pittore (oggi Cantore) e che furono presenti il re e la regina d’Italia. La statua fu poi trasferita, circa nel 1922, nella sede attuale. Aneddoto curioso, fu il reiterato furto del pennello da parte di ignoto, negli anni 1970.
Allegato 18 SALUTE : PSICHE La lunga linea grigia dell’ansia-aggressività-violenza.
Allacciandomi a quanto scritto sul numero di febbraio, sappiamo che la psiche è una ‘lunga e graduale linea grigia’, in cui dal bianco (la perfezione mentale, che umanamente non esiste) si arriva al nero (che esiste, nel demente o nel coma); ed è composta di numerosi fattori (intelligenza, memoria, affettività, volontà, ecc.); il tema odierno fa parte del ‘comportamento’.
La cronaca è giornalmente satura di gesti riconducibili a perdita di umanità o quantomeno rispetto del prossimo, al punto che i media per accentrare l’attenzione debbono soffermarsi su quelli più efferati essendo così quotidiana la microcriminalità che non fa più nemmeno notizia. C’è meno religiosità (è l’unica che predica Amore); più egoismo e meno educazione specifica (famiglia carente); poco lavoro (occuperebbe, e responsabilizzerebbe); povertà relativa (sotterfugi per vivere); meno risultati (Carabinieri e Polizia sembrano neanche più interessarsi ai piccoli eventi); molti immigrati (che cercano di inserirsi sgomitando un po’).
E non solo; tanti e complessi fattori che si concatenano e si intrecciano.
A ribadire questa cronologia di valori, la lingua italiana ci offre numerosi sinonimi. Parlando del “comportamento violento” (sia psichico che fisico) vediamo tutto un diverso e crescente grado di belligeranza: dal banale e controllato stizzoso, seccato, sanguigno; e dal -sempre normale ma un po’ più impegnativo- intollerante, intemperante, impetuoso, collerico, dispotico, rabbioso o veemente; si sfocia nelle già pericolose aggressività, iperreattività, irritabilità e litigiosità; fino ad iniziare a sconfinare con la virulenza, irruenza, ‘fumo agli occhi’ (quando il cervello non domina la situazione: lo scciûppön de futta). Finisce nel patologico ed illegale quando arriva al furore o alla lesione; ovvero alla violenza vera e propria compreso il suicidio.
Tutti aggettivi che, in più o in meno, possediamo tutti perché, è ancestrale per sopravvivere ed affermarsi il dover dominare l’ambiente, resistere alle sue forze negative, mantenere la propria posizione. Tutte mète che non si realizzerebbero se l’uomo-animale non possedesse intrinseca e naturale una pulsione aggressiva. Essendo essa dispensata in quantità diversa per ogni individuo e dovendo fare una certa fatica per contenerla, ne deriva che ciascuno di noi tende ad essere severo con gli altri e ben disposto a giustificare i propri scatti quando immerso in una situazione di attrito (in macchina, con un vigile, in condominio, allo stadio, tra coniugi, ecc.). In sostanza, il famoso “bisogna esserci”. É vero, per giudicare bisognerebbe trovarsi nel momento di ciascuna provocazione; ma non potendo, la Legge si mette al di sopra di tutti e di tutto, ed dispone dei limiti: nella cronologia della gravità di una azione/reazione, essa sancisce ciò che è illegale, al di là dei tanti motivi delle presunte personali buone cause (il processo ai poliziotti per il G8 insegna che la violenza e la prevaricazione non sono giustificate né ammesse anche se compiute da chi pensa di difendere la Legge); e che il possesso di un’arma (dalla ‘impropria’ come una sbarra di legno o una stampella, alla ‘propria’ come un coltello o pistola) o l’uso di alcool o droghe, aggravano la posizione del soggetto e gli peggiorano tutto. In conclusione il problema ‘aggressività’ è sopito in tutti ed esplode di fronte ad una presunta frustrazione specie se coresiste una personale difficoltà-incapacità di identificarsi con il proprio prossimo o aver corrisposto una eccessiva distanza mentale tra sé e gli altri.
Possiamo valutarne il grado sulla base di tre fasi: una prima, più ovvia -ma importante come le fondamenta di una casa-, di competenza dei genitori (educativa); si passa alla seconda di competenza medica (allo scopo sono preposti i SSMentale della USL affiancati dagli specialisti psichiatri; ma essi possono agire solo se il soggetto accetta di essere seguito; quindi pongono come ‘sine qua non’ la volontarietà a farsi seguire); si finisce nella terza quando si sconfina nella situazione comportamentale di competenza legale (punire il reato).
Questo schema (imperfetto come tutte le nozioni concentrate) evidenzia che tra la seconda e la terza fase, esiste un grave e pericoloso vuoto di competenze nei confronti di chi va fuori controllo ma senza commettere reato grave -e sono tanti; anzi i più.
Ne consegue (esempio, il giovane che beve e poi facilmente reagisce al poliziotto; allo stadio l’intemperante che provoca o lancia oggetti; il guidatore che picchia indipendente dalla ragione; quello che spacca tutto in casa; ecc.): i genitori non intervengono perché ha più di diciotto anni; i medici non intervengono perché non vuole farsi seguire; la legge non interviene se non c’è denuncia e comunque punisce ma non cura.
Questi soggetti attualmente sono ‘cani sciolti’, di competenza di nessuno ed aiutati da nessuno. Si fa appello all’autocontrollo, che non hanno. Li si punisce e basta. Invece andrebbero curati. L’autocontrollo è l’elemento che nella persona ‘normale’ fa da bilanciere a questi impulsi istintivi. Tocca ai genitori e nonni, educare fin da piccolo il bambino-ragazzo, insegnandogli: =una equilibrata autostima (io forte e senso di aggregazione. Il bimbo segnala la sua aggressività con il pianto, il capriccio, la crudeltà verso gli animali indifesi. Il ragazzo con l’egoismo, la noia, il bullismo, o nel gioco. Il giovane con l’ideologia politica orientata ‘contro’, apparentemente identificandosi con i deboli); =i valori della vita (tutti gli ideali, dalla famiglia alla patria ed alla vita stessa, propria e degli altri compresi gli animali); =il rispetto del prossimo (dalla carta buttata per terra e scritte sui muri, al favorire i vecchi sul bus, per strada sui marciapiede, tifo allo stadio, guida in moto, ed a tutto ciò che potrà essere ‘scontro’); =la forza fisica (da sfogare in uno sport specifico, come le arti marziali o canotaggio). Così infatti, notiamo che chi ha avuto una sana educazione, ha più facile il controllo della reazione da apportare nelle singole situazioni.
In questa ‘lunga linea grigia’ della violenza, la sopportazione e tolleranza della gente, è comune per le forme più lievi ed in quelle più gravi; nelle forme centrali (ladri-scippatori-alcoolisti-picchiatori-ecc.), diventa diversa: chi di più e chi di meno; chi prima e chi dopo. Ma nella mentalità generale, tutti demandano il compito alla Legge, che dovrebbe OBBLIGARE i colpevoli a curarsi. Ma come detto –non so perché- c’è un vuoto di tutela che non fa prendere in considerazione questa necessità. Ma è proprio questo vuoto quello che genera nella cittadinanza il disagio e la sfiducia verso gli organi predisposti. Dalle lettere ai giornali, piccola parte di chi ha subito una violenza, pensa ad una giustizia sommaria alla Tex Willer; più tanti se la prendono genericamente col governo o segnalando il fatto; ma i più soggiacciono con livore e rancore, ingiustamente abbandonati, succubi di un delinquente che irride questa disorganizzazione di per sé incapace di proteggere i più deboli e rendere giustizia.
ASSOCIAZIONE PERFORM DUE CENTRI DI ASSISTENZA
Nei confronti delle problematiche relative a situazioni stressanti e frustranti che coinvolgono la famiglia, si ha concomitante notizia dell’esistenza di due centri diversi:
==in via Cantore 30/1 scala destra l’Associazione Perform si interessa di problemi psicologici in genere, ma in particolare quelli relativi all’infanzia ed alla coppia di sposi in disaccordo. Specialisti psicologi e pediatri, non gratuiti ovviamente, ma a tariffe sociali.
Dopo la primitiva ricerca di valutazione e rappacificazione, l’intervento di questi Specialisti vede -nei casi impegnativi o decisi ad oltranza- uno sviluppo di assistenza che faciliti una soluzione. Per la coppia in disunione, un equilibrato vantaggio di ambedue e soprattutto di eventuali figli, evitando tutte le conseguenti azioni legali; col beneficio finale di un supporto psicologico personale, di tempi abbreviati ed una spesa notevolmente inferiore.
==in salita belvedere 15, con invito il giorno 8 giugno il card. T.Bertone con sindaco dr. G.Pericu inaugureranno il condominio di accoglienza mamma e bambino, per le situazioni di crisi. Chiamato “casa Bel vedere” gestito dalle suore dell’Antoniano di padre A.M.diFrancia, Figlie del Divino Zelo. Aperto a tutela della “famiglia debole”, sarà una accoglienza e ospitalità, secondo un programma del Comune mirato alla conciliazione familiare e contro la disgregazione della famiglia.
Il quartiere e la popolazione saranno invitati ad una visita guidata e festa, domenica 12 giugno; iniziando alle ore 16,30 dal piazzale della Chiesa, dopo Processione fino alla casa, e santa Messa. Un convegno sul tema “crescere insieme ai propri figli; quando la relazione mamma-bambino è da tutelare” si è svolta al Quadrivium a fine maggio.
Allegato 19 Grazie alle Forze dell’ordine
Mentre andiamo in stampa, la notizia dell’arresto dei due connazionali violentatori di una ragazza originaria dell’Equador ma da giudicare italiana a tutti gli effetti.
Un grazie sentito, dai sampierdarenesi. Complimenti per la bravura e dedizione –Carabinieri e Polizia-; grazie ancora, per quello e per come lo fate..
Purtroppo quello che ha occupato le pagine attuali dei quotidiani, non è un episodio unico e sporadico; tutta la Delegazione da un po’ di tempo è soggetta ad adottare perseveranti meccanismi di difesa contro ogni tipo di supruso, del quale solo alcuni raggiungono la vetta della segnalazione sui giornali; molti vengono archiviati dalle stesse Forze dell’ordine, moltissimi non vengono neanche denunciati –dice un lettore sul Secolo- per sfiducia.
Il palazzotto delle carceri era in via C.Rolando dal lontano1906, a significato che farabutti c’erano già a quei tempi (molti però in carcere per debiti), ma mai come adesso viviamo precaria anche la semplice uscita di casa, per lo scippo, il furto, lo svaligiamento o l’aggressione.
Punire è parte del meccanismo della Giustizia; il buonismo è parte integrante della cultura e della fede che ci hanno insegnato fin da bambini. Ma non bastano. Pensiamo –e lo scriviamo in altra parte del giornale, visto che dei due stupratori di cui sopra uno è ancora minorenne- che è indispensabile reintrodurre e rivalorizzare l’insegnamento del vivere sociale. Ci saranno sempre i sordi, è ovvio; all’origine la nostra specie ha avuto Caino; ma, come in medicina, riteniamo che prevenire è meglio che curare.
Allegato 20 OSTEOPOROSI mal di vecchiaia, e non.
La medicina attuale, come miglioramento rispetto quella di pochi diecine d’anni fa, prevede per le malattie in genere non solo diagnosi e cura, ma anche prevenzione e partecipazione. Queste due ultime caratteristiche, non hanno ancora raggiunto il 100% in tutte le specializzazioni mediche perché frenate soprattutto dall’alto costo che comportano (per gli Amministratori sanitari, spendere oggi per risparmiare domani è pura teoria economica, perché essi debbono rispondere delle risorse attuali e non di quelle future). Però, se non sono incentivate, almeno non sono totalmente proibite. Caratteristica di questo ragionamento, è la lotta all’osteoporosi, non ancora classificata malattia ma ormai con una personalità propria nel novero delle patologie, dove nel complesso occupa uno spazio un po’ antipatico e volutamente misconosciuto perché, seppur temuta (per un vecchio, fino a trent’anni fa, fratturarsi un femore significava al 90% morire per complicazioni), minaccia poco il tran-tran quotidiano essendo silenziosamente indolore; è ad andamento lentissimo (per cui si pensa poter essere sempre in tempo ad intervenire); spesso è confusa con “i dolori della vecchiaia” (o con i processi ovvi e naturali dell’involuzione dopo i sessant’anni, tra i quali tipica è l’artrosi che –all’inverso dell’osteoporosi- è determinata da una sregolata iperproduzione, conseguente alla usura); richiede controlli non ‘passati’ dalla USL (specie la MOC; perché poi è stato dimostrato essere anch’essa imprecisa, o alla pari di una banale radiografia); ha una terapia costosa (ed anch’essa proibita dalla USL nella prevenzione), di lunga durata, con accompagnamento di sacrifici aggiuntivi (quali certi rituali all’assunzione) ed infine occorre accompagnarla con esercizi ginnici, busto, materasso duro, ecc...). L’OMS la definisce difetto metabolico sistemico (ovvero diffuso a tutto lo scheletro), caratterizzato da ridotta massa minerale (ovvero carenza di quei sali che la rendono compatta e resistente), e conseguente aumento della fragilità, di microfratture (dolorose), e rischio di più gravi fratture (ossa lunghe) o cedimenti (vertebrali). Si distinguono l’osteopenia (dal greco, significa ‘iniziale riduzione’, rispetto la percentuale valutata per età, peso, razza); e l’osteoporosi (quale vero e proprio rischio di frattura). Si forma perché l’osso, che è una struttura composta da cellule viventi che si rinnovano di continuo (ciascuna vive solo poche settimane -come tutte le altre del corpo-, e muore sostituita da altra “fresca”), perde l’equilibrio tra eliminazione (delle cellule morte, riassorbite dal circolo linfatico) e ricostruzione (con quelle neoformate, le stesse che saldano una eventuale frattura), a scapito di queste ultime. La pericolosità subentra quando alla massa ossea impoverita si aggiunge il sovvertimento dell’architettura (le trabecole o lamelle interne perdono così la capacità di trasferire opportunamente il peso dalla testa ai piedi, aumentando con essa il rischio della rottura). La prevenzione studia le cause (non a caso uso il plurale, perché sono tante e non tutte ancora identificate: ciascuna mai da sola è “la” causa, ma percentualmente ognuna è incisiva, ovvero aumenta sensibilmente il rischio). Tra esse, l’alimentazione (ha la sua importanza nell’assunzione dei minerali necessari, specie calcio, fosforo e vitamina D. Tale assorbimento è interferito da un eccesso di fibre occorrenti invece per altre disfunzioni o di proteine con le quali in prevalenza cercano di alimentarsi i diabetici, ecc.); la poca esposizione al sole (i cui raggi rendono attiva la vitamina D, inutilizzabile dall’organismo come è in natura); la sedentarietà (manca con essa lo stimolo alla rigenerazione; comprende l’immobilizzazione protratta per altre malattie compresa una frattura); l’età (è il fattore più ovvio e comprensibilmente naturale: tutta la rigenerazione è al rallentatore); il sesso (le femmine sono più svantaggiate perché già di costituzione sono di minore massa ossea e più predisposte per la partecipazione ormonale degli estrogeni: quando essi vengono a ridursi, diminuisce un elemento di stimolo); malattie concomitanti (malassorbimento intestinale, anoressia, tiroide e paratiroidi, insufficienza renale, leucemie, malattie motorie, ecc.); alcune terapie per altre affezioni (a base di cortisone, anticonvulsivanti, anticoagulanti o antiacidi); familiarità (non è chiaro il suo ruolo, ma sicuramente ereditiamo la conformazione fisica, ed in vita acquisiamo abitudini e stile di vita) ; ed infine certi vizi (specie l’abuso: di lassativi, alcool, fumo).
La sede, è più frequente a livello femorale e vertebrale. A parte eventuali traumi diretti (scippo con strappo, inciampi da buchi stradali o scivolate invernali), causa la conformazione del nostro corpo essi sono i punti più soggetti ai giochi di forza tra peso del corpo (genericamente ed alquanto sommario, il peso totale si divide in tre parti uguali: la testa, il tronco, i quattro arti: così, sul femore di una persona di 75 chili, pesano 25 kg della testa+25 del tronco+12,5 delle braccia), la gravità ed i movimenti (specie la rotazione. Se una persona cade in avanti o indietro difficilmente rompe le ossa ma si ferisce la fronte o la nuca; se invece quando il piede è ben fissato a terra per il passo e si perde l’equilibrio, subentra istintivo il tentativo di afferrarsi: con esso il corpo ruota con perno nella testa del femore; ed essa quale punto più debole cede come quando si vuol togliere il tappo da un pennarello: la frattura avviene prima ancora di arrivare a terra. Se invece essa cade seduta, il peso si accumula sulle vertebre nel passaggio dorso lombare, schiacciandole come una fisarmonica).
La diagnosi, nello stadio iniziale il più spesso è casuale, dopo una normale radiografia; un bravo radiologo la segnala anche se non direttamente richiesta ed aiuta il MMG (medico di medicina generale) nel proporre la cura personalizzata. La MOC (mineralometria ossea computerizzata) è più specifica, ma il prezzo che costa non sempre compensa la precisazione quando è solo curiosità (sono stati posti quindi dei paletti prescrittivi a questo esame, ai quali si deve attenere il MMG al di là della superficiale motivazionei “tanto per andare a vedere”). Anch’essa fornisce risultati (Z e T score= indici statistici di confronto in una popolazione di riferimento; e la BMD=densità minerale ossea).
La terapia delle fratture può essere chirurgica; per l’osteoporosi prevede il solo uso di medicinali (soggetti alla famigerata “nota 79” della RosiBindi che iniziò la burocrazia “ingessando” la libertà prescrittiva) a base di iniezioni (che, oltre una certa azione antidolorifica non quantificata, hanno principale scopo di ridurre la velocità di perdita) o di compresse settimanali (che in più stimolano anche la riproduzione di osso nuovo. Questa molecola è l’ultima di una serie, frutto di una ricerca italiana; ma è dovuta intervenire una società americana per spendere quanto necessario per dimostrare la reale efficacia. É finito che la ditta d’oltre oceano ha comperato quella italiana divenendo proprietaria anche della molecola. L’azienda italiana -col capitale- ha cambiato nome ed ha tenuto sul mercato la penultima molecola, quella delle iniezioni, che però non ha avuto la dimostrazione di efficacia come le compresse, se non indirettamente). Si aggiunge la dieta (impareggiabile è la fortuna che abbiamo nel poter seguire la “dieta mediterranea”: in essa c’è tutto quello che serve. Tant’è la tentazione a sgarrare è naturale: per dimagrire, per gusti, per sedentarietà, per letture improprie, per suggestione o per non ‘spendere’ da uno specialista dietologo -che poi propone improponibili misurazioni, al punto di far finire lo schema rapidamente in un cassetto... ‘a portata di mano’) o più singolarmente la vitamina D (nei suoi preparati già metabolicamente attivi; tende ad accumularsi per cui è da evitare l’uso continuo) il calcio: è utile, ma la quantità varia troppo per poter definire un calcolo preciso generico. Non tutto quello ingerito sarà assorbito; ma altrettanto abusare crea dei danni; l’alternativa è prenderlo a cicli. Il medico saprà indicare i cibi a più alto contenuto di minerale come i derivati del latte –dallo yogurt ai formaggi, escluso il burro; le sardine e pesci in genere; tanti vegetali come carciofi e radicchio, nonché pistacci, noci e simili); e quelli contrari sia perché riducono l’assorbimento del calcio (fibre o ossalati quali spinaci, pomodori, cioccolato) e sia perché aumentano l’eliminazione renale (sale). Il calcio ha anche delle contrarietà (il timore che faccia indurire le arterie e formi o aumenti i calcoli renali, non è vero; che invece sia spesso nei cibi ad alto contenuto di colesterolo, è vero) ed il fosforo (ha minore importanza, perché ne serve poco e quel poco è facilmente reperibile nei cibi usuali). Di tutti e tre è necessario seguire solo le indicazioni personalizzate del proprio MMG.
L’attività fisica è basilare (per lo stimolo, per il consumo calorico, per lo stile di vita). Poco o nulla servono l’agopuntura, le terme, la fitoterapia e –a mio personale modo di vedere- l’omeopatia.
Allegato 21 RAGIONANDO SULL’ EDUCAZIONE, esiste ancora?
In autostrada ci sono i guard rail che obbligano a ‘stare dentro’ la carreggiata. E nessuno brontola. Così, anche nella vita vissuta di tutti i giorni, sino a 30-40 anni fa c’erano dei paletti, dei limiti religiosi e civili che, seppur ammantati di buona dose di ipocrisia e superficialità funzionavano come punti di riferimento e di rispetto reciproco della comunità. Fu con quelle regole che è cresciuta la mia generazione, oggi over60, che oggi cerca di trovare un equilibrio con le regole delle nuove leve; fin troppo radicalmente nuove. Ovviamente ed innanzi tutto, evitiamo di trincerarci dietro la propria stagione (“ai miei tempi...”) sempre giudicata la migliore, e denigrare i costumi delle attuali generazioni che dovrebbero mettere in atto i nostri insegnamenti, ed invece...
Infatti da una trentina d’anni in qua (evviva il 1968!), la “libertà individuale ” a 360 gradi ha divelto i guard rail della vita sociale, cosicché ognuno può scorrazzare dove e quando vuole al di là dei limiti, fregandosene delle regole e degli altri. E poco importa se al di là c’è un campo faticosamente coltivato, o un prato piatto dove -senza grave danno proprio- provare l’emozione di schiacciare la semina di altri (...peggio per lui); o se invece al di là del guard rail c’è un burrone...: l’importante è la propria libertà. Soprattutto “contro”.
Così viviamo un’epoca in cui la ribellione alle ‘vecchie’ regole in nome dei “diritti costituzionali propri”, ha fatto saltare gli ultimi residui di “limiti”.
I politici sono stati i primi: non facendo più politica ma solo soldi, interessi privati, intrallazzi e maleducazione (soprattutto non analisi delle idee, ma delle persone).
A ruota ed in diretta, le regole di vita sono state inconsciamente insegnate dalla TV: qui gode sorrisi di approvazione, viene esaltato e premiato chi ha già avuto due o tre divorzi (chissà che concetto avrà costui della famiglia; sicuramente... il più sacro ‘egoisticamente’); chi ha fatto sesso in tenera età (vincerà chi ha succhiato al seno materno?); chi fa scandalo (la bestemmia non è ancora libera, ma già alla partita di calcio tra ragazzi –per esempio- è uso comune ed impunita; anche al torneo di don Bosco); chi ostenta essere anticonformista esprimendo frasi scurrili; chi della discussione fa una lotta; chi invece di confrontarsi urla (ed a voce sempre più alta, convinto che avrà ragione non chi l’ha, ma chi riesce a zittire l’altro. Ricordiamo Vanna Marchi e quanti –non pochi- hanno prestato fede alle sue urla ‘donandole’ milioni e milioni); chi frustrato nel proprio egocentrismo e sentendosi prevaricato, necessita coinvolgere tutti nella sua lotta (volenti o nolenti, favorevoli o no, anche i bambini che ignari della posta in gioco, ‘scioperano’ muniti di cartelli ‘contro’... e palloncini); e chi taglia tout-court ogni controparte insultandola, sicuro così di divenire ‘personaggio’ e fare ‘audience’.
A fianco di essi, la mia generazione, nel cinema-teatro-TV, nella stampa, nella scuola, ovunque, ha iniziato a lasciar perdere. Nessuno singolarmente per primo, ma –per esempio- certi genitori (soprattutto quelli che la vita ha reso più battaglieri ma che “non hanno tempo di educare” perché giustificati dall’essere assenti per lavorare, e dal tornare stanchi alla sera inseriti nei consigli di classe) che invece di surrogare l’incarico vanno a dare addosso agli insegnanti: e questi (denigrati economicamente, protetti da nessuno e per la legge del “chi me lo fa fare” di finire sui giornali) rapidamente hanno ceduto le armi; così l’educazione non si insegna e non la si pretende più: tutti promossi, anche in condotta. Ed a fianco i medici, le forze dell’ordine, gli addetti ai servizi, i sacerdoti. Tutte categorie di frustrati da mille problemi loro (tra cui alcuni sicuramente molto importanti); ma così tutti rinunciatari a difendere le regole, prevaricati dal menefreghismo generale, sopra e sotto, addirittura puniti se nella foga osano –novelli Erode- toccare gli ‘innocenti’. Cosicché da come sembra venga oggi impostato ed insegnato, in famiglia, scuola e società, il mio vecchio “non mancare di rispetto” ha perso continuamente di valore sino ad azzerarsi.
Se la gerarchia dell’età e della cultura non sono più i parametri per dare spazio prioritario a chi parla, il vecchio concetto dell’educazione non ha più senso.
Ma diventa difficile, per non dire impossibile, in questo ritorno alla giungla, dare una dimensione al concetto odierno di educazione. Abbiamo tutti ragione.
Pertanto, alla fine, io sono un colpevole. Io e la mia generazione nell’insieme. Abbiamo permesso di distruggere tutte le regole, come anche la religione, le “nostre regole, perfino la nostra storia compreso l’insegnamento dei doveri, il civismo ed il rispetto degli altri. Ma questo non è l’errore più grave (perché quanto sopra può far parte dell’evoluzione dei costumi e della cultura), quanto il fatto che ciò è avvenuto senza averli sostituiti con altri valori (più aggiornati, equiparati ai tempi, caratterizzanti l’ epoca in cui viviamo), ovvero con dei nuovi limiti. Invece abbiamo aperto la gabbia delle tigri lasciandole in libertà e poi scrivendo che è scandalo se hanno divorato qualcuno.
In conclusione personalmente penso che è giusta la libertà individuale, ma non senza limiti comuni. L’educazione dovrebbe essere come il codice stradale: con non pochi divieti, finalizzati al bene di tutti.
All’eccesso di libertà consegue ovviamente un aumento della delinquenza (che, in un residuo di guard rail, fa ancora scandalo e scontento); ma quest’ultima a sua volta e poco a poco porta ad aspettare che arrivi “qualcuno” che imponga delle regole?.
Di vecchio, c’è andata bene con l’inno nazionale e la bandiera, tornati in auge con un semplice tocco dall’alto. Ma gli altri valori? Sarà un buono, come il Presidente a ripristinare le regole dell’educazione, o un novello personaggio che arriverà ad imporci le regole sue?.
Moralismo e valori non debbono essere freni o pastoie, ma tappe; ed il punto di riferimento comune, a mio avviso, deve tornare ad essere la scuola: gli insegnanti, dal maestro al professore universitario, sono quelli che ancora ne hanno i valori e le capacità (se fanno questo mestiere è perché nel loro intimo sono ancora degli idealisti, aggiornati e colti). Ma per primo occorre far riacquistare loro l’autostima e -democraticamente- l’autorità sottratte, per poi -facendo leva sul decoro professionale- imporre loro che sfornino cultura, capacità, civismo e socialità (io aggiungerei sport, sperando non venir accusato di ‘nostalgia’).
Visto che la famiglia è mezzo disgregata e sempre meno capace, i genitori stiano a ruota, volenti o nolenti. I ragazzi delle nuove generazioni si adegueranno; per loro sarà una nuova educazione, non libera espressione dell’istinto ma secondaria a scelte volute dalla società di oggi.
Altrimenti, è regressione, giungla. Ma non scandalo: perché voluta.
Allegato 22 CVD
Non è la sigla di un sistema telematico, ma il vecchissimo acronimo di “come volevasi dimostrare”. Riferito ad un mio precedente articolo
É successo vicino a noi: dei parenti hanno denunciato il medico curante per presunto errore diagnostico. La causa è in corso, ma il sanitario è sconvolto; non certo per i soldi in quanto assicurato, ma per il solo sospetto, per la sfiducia dimostratagli, per il sentirsi bollare di aver agito con imprudenza, imperizia e negligenza; anche se chi lo conosce, come i suoi clienti, sa che non è vero. Quando ne parla ha il groppo in gola, autocensura e stigmatizza ansiosamente tutti i gesti rituali del mestiere che dovrebbero invece conseguire a sicurezza e padronanza. É in fase di depressione che lo fa soffrire e lo pone in difficoltà nelle prossime diagnosi.
Purtroppo è solo un apripista: gli avvocati hanno trovato un terreno fertile dove poter sguazzare; cosicché il peggio dovrà ancora venire, per i medici ma anche e soprattutto per chi ne avrà bisogno. Ma anche gli avvocati si possono ammalare; e la perfezione è solo in casa di Dio.
Allegato 23 COMPLEANNI
Compie cinquant’anni il vaccino antipoliomielite di Sabin.
Prima della scoperta ed uso, ogni anno un esercito di bambini affollava il Gaslini con la maledetta diagnosi di invincibile ed invalidante infezione. E così, in tutto il mondo.
Adesso, con l’uso reso d’obbligo, non diciamo scomparsa; ma sicuramente limitati alle dita delle mani i casi affrontati nel nostro nosocomio.
Onore e merito al dott. Albert Bruce Sabin, americano di origini polacche che nel 1955 scoprì e sperimentò il sistema di immunizzare l’organismo dal virus col vaccino orale (migliorando radicalmente quello –meritevole di ricordo- dell’altro scienziato Salk).
Allegato 24 FOTO di piazza Montano
SPD’Aënn-a antiga che non puemmo arregordâ, ma che non se deve scordâ
L’elemento più rappresentativo della foto, anche se nascosta dagli alberi, è la villa con torretta fatta erigere cinquecento anni fa da Cristoforo Centurione degli Oltremarini. Quindi villa Centurione-Carpaneto; ma dal 1800 fu di tanti altri proprietari (tra cui Tubino sindaco di San Pier d’Arena, Carpaneto ricco imprenditore locale, Broccardi sindaco di Genova, fino agli attuali, residenti fuori città, prima torinesi ora milanesi credo, che hanno venduto a privati torre ed i locali sottotetto -ex della servitù- e mantengono i saloni essendo andato sfumato un loro primo tentativo di utilizzo). Conserva sui soffitti tre importantissimi ed unici affreschi del frate-pittore genovese Bernardo Strozzi (recentemente ne sono stati trovati altri in un palazzo di Centro, ma non belli come questi).
Occorre che il lettore si armi di un poco di fantasia per tornare indietro quando fu eretta la villa (forse su fondamenta ancora più vetuste): deve togliere tutti i manufatti ai due lati, compreso la ferrovia davanti e di fianco, e “vedere” la villa da sola con giardino (molto probabile anche la fontana di piazza Settembrini, non col basamento che ha ora, risalente al 1920-30 circa), orti di prima qualità, boschetti e tutto libero ai quattro punti cardinali. Deve immaginare anche la strada principale proveniente da levante (via N.Daste), che tagliando obliqua la fine dell’attuale via Cantore, continuava dietro l’edificio (via A.Scaniglia) o puntava alla parrocchia di san Martino del Campasso (via C.Rolando).
Come allora rimane solo la direzione di una strada (allora in terra battuta, poi selciata di granito, poi asfaltata) visibile con unico pedone nella destra della foto: la parte finale della “crosa dei Buoi” (iniziava dalla Marina e finiva di fianco alla villa, tutta diritta, innestandosi nella strada principale dove è ora la tabaccheria di Sciamà. Corrispondeva alle attuali via S.Canzio-p.zza V.Veneto-lato est della p.zza Montano (ex via N.Bixio).
La parte di edificio più a destra della foto, fu affiancato alla villa originale, nel 1700; ed a seguire -dopo la prima metà del 1800- le successive trasformazioni: la ferrovia che tranciò i giardini, e determinò la apertura dentro i giardini della strada visibile a sinistra della foto col tram (la ex-via Vittorio Emanuele poi UmbertoI). La casa affiancata sulla sinistra della foto è ‘popolare’ di fine 1800; quella più a ponente è dei primo del 1900, più signorile, affrescata nei soffitti. La torre in primo piano ed il giardino furono successivamente distrutti per far posto a via Cantore (1935 circa); i portici da Salvemini (ove sui soffitti si possono ammirare esempi di originali affreschi) furono eretti due anni dopo.
Il mondo va avanti così; l’uomo crea, e poi travolge e stravolge ad uso e consumo.
Allegato 25 SAMPIERDARENESE CALCIO
Un lettore ci chiede come nacquero i colori della maglia della Sampierdarenese: bianca con striscia orizzontale rosso-nera.
La risposta è nelle pagine del libro scritto da S.M.Parodi edito in occasione del centenario della società Sampierdarenese di via D.G. Storace:
Nel 1899, in seno alla società (già pluridisciplinare) si formò una sezione “Sampierdarenese foot ball”, con statuto proprio e che nel 1903 partecipò sulla spianata del Bisagno a gare interregionali. Nel 1911 si iscrisse alla FIGC; i suoi atleti dilettanti compivano allenamenti nella piazza d’Armi (da via E.Porro) ed adottarono la maglietta della società madre: bianca con fascia pettorale nera, diagonale dal fianco destro alla spalla sinistra e con la scritta dal basso in alto SAMPIERDARENESE; colletto, polsini e girovita blu scuro. Fu nel 1919, con l’assorbimento della “pro Liguria calcio” che la banda pettorale nera fu dimezzata per inserirne una rossa e divenire rosso-nera orizzontale; e l’anno dopo che -in attesa di applicare quanto già il piano regolatore prevedeva a proposito di una nuova via centrale (via A.Cantore)-, il Comune di San Pier d’Arena concesse uno spazio idoneo, prima all’incirca ove sorge il grattacielo di via Cantore vicino ad un orfanotrofio (o campo da-e moneghe) e poi nel retro di villa Scassi.
Nel 1927, istituita la “grande Genova”, dal governo fascista fu imposto una fusione con l’Andrea Doria” per divenire “la Dominante” (con un destino inverso al nome, per le ripetute sconfitte subite e retrocessione di categoria) ed ulteriori fusioni coatte (con la Corniglianese e la Rivarolese) per divenire il Liguria A.C..
Ri-separate “e strasse” nel 1938, e tornata Sampierdarenese calcio, lentamente la squadra riprese a risalire la china fino a che, nell’apr.1946 si ritrovò d’ufficio -seppur ultima nel campionato Alta Italia- con possibilità per meriti sportivi di giocare nella neonata serie A. Ma essendo in condizioni economiche disastrose, i dirigenti preferirono cogliere l’occasione e riperdere l’ autonomia fondendosi -tra fischi ed insulti degli intolleranti, il 12 ago.1946- con la più florida Andrea Doria (essa militava in serie B, ed aveva una maglia celeste con banda centrale orizzontale bianca) dando vita alla Unione Calcio Sampierdarenese-Doria, “Sampdoria”, con maglia azzurra, fascia bianca contenente le strisce rossonere, e lo stemma di Genova sul petto.
Ma quei dirigenti scontenti di questa fusione, preferirono mantenere in vita anche la squadra locale (“i Lupi”) con i vecchi colori, lo scudetto con la testa del lupo ed il nome Sampierdarenese/46.
Allegato 26 SANITA’ = L’insufficienza venosa
Io penso sia opera del Padreterno. Ma se non vogliamo intricare Lui direttamente, diciamo che è stata la Natura che per chiudere il circuito della circolazione del sangue, ai tubi delle arterie fatti in un modo (quelli che dal cuore vanno verso la periferia) ha collegato e fatto conseguire un’altra serie di tubi lievemente diversi dai primi -chiamati vene (dalla periferia al cuore)-. Ambedue però fatti unendo assieme cellule infinitesimali fatte a fuso, concatenati alternativamente ed a tenuta funzionalmente perfetta. Non si può non rimanere stupiti di tanta bravura pratica con così poco materiale. Irriverentemente potremmo paragonare la circolazione del sangue ad un orologio, in quanto a funzione, e complessa capacità di utilizzazione di piccoli elementi; ma le rotelle di questo non supererebbero la prova quando dovessero poi adattarsi alla complessità dei singoli organi, dai capelli alle unghie dei piedi, e subirne tutte le violenze a cui nella vita di una persona essa viene ad essere sottoposta.
Questi tubi dicevamo, seppur composti da cellule singole accortamente affiancate-embricate le une alle altre in modo tenacemente saldo -permettetemi dire, cementate-, riescono però ad essere tonici, adattabilmente flessuosi, elastici, dilatabili, resistenti agli urti, autoriparabili in caso di rottura ed autorigenerabili in caso di occlusione o sezione (circolo collaterale); sia quando hanno un diametro di pochi micron (millesimo di millimetro), a oltre un centimetro. Se il tubo stesso ha funzione di contenere e far scorrere il sangue venoso nell’interno, le singole cellule hanno vita a sé, nel senso che non sono nutrite da quel sangue ma da una circolazione propria. Le cellule muoiono dopo poco più di due settimane di vita ma vengono rigenerate con identiche caratteristiche e sostituite nello stesso posto.
Per far girare il sangue, mentre le arterie hanno come motori di spinta il cuore e l’elasticità, le vene–che nelle gambe funzionano quasi sempre in salita contro la gravità- non ne possono usufruire perché hanno ormai quasi azzerata la spinta da dietro; debbono quindi affidarsi ad altri sistemi. Primo tra tutti, alla ‘strizzata’ dei muscoli che nel camminare si contraggono progressivamente dal piede in su (nel caso specifico è opportuno notare che quando allunghiamo la gamba per fare il passo, prima si appoggia il calcagno e poi si fa ruotare la pianta del piede appoggiata al terreno sino alla punta delle dita, per infine staccarsi da terra per il passo successivo: corrispondentemente tutti i muscoli prima del polpaccio poi della coscia vengono impegnati gradatamente contraendosi, stringendo e ‘mungendo verso l’alto’ dalla caviglia sino all’inguine, determinando ad ogni passo una specie di spremitura con naturale svuotamento dei vasi anche contro il peso della gravità); e poi alla chiusura di certe valvole interne, fatte a nido di rondine, adatte ad evitare il reflusso. Nelle gambe stesse –che poi sono la sede abitale del disturbo venoso- la Natura ha saggiamente distinto –come in una nave i vari settori separati da porte stagno- una rete circolatoria superficiale ed una seconda profonda vicino alle ossa, collegate tra loro attraverso vasi chiamati comunicanti.
Con tanta perfezione, è l’uomo –in questo caso alcuni di essi- che non sono altrettanto tali.
Vita sedentaria; mestieri svolti da seduti o fermi in piedi; per le donne la/le gravidanze (i chili dell’utero a termine negli ultimi quattro mesi schiacciano le due vene provenienti dalle gambe e fanno ristagnare il sangue in basso; certe madri, smaltita la fatica e la gioia del neonato, ben presto si accorgono come -per pochi mesi di trascuratezza- poi pagheranno con le vene sfiancate per tutta la vita residua); una certa predisposizione genetica; certe disormonosi; difetti alimentari con carenza di vitamina P e C; fumo di sigarette; obesità; alcuni tipi di farmaci (la pillola ed ipotensivi vasodilatatori); abbigliamento; malattie spazio occupanti dell’addome come le cisti ovariche o i fibromi dell’utero; clima caldo; ecc.). Tutti generano un rallentamento del flusso, con conseguente ristagno e pressione sulle pareti del tubo fino a dilatarsi e poi sfiancarsi definitivamente (si chiama teleangiectasia lo sfiancamento dei capillari; varice quello del tubo stesso; gavocciolo quando ha perduto ogni residuo di tono, non si rompe solo perché ancora coperto dalla pelle, ed ovviamente le valvole interne –distanziate- non chiudendo più, perdendo la loro funzione).
Gli studiosi hanno classificato la gravità del fenomeno in sette diversi stadi progressivamente invalidanti:
classe 0 = sensazione di pesantezza ai piedi e di gonfiore alla sera; 1 = teleangiectasie; 2 = varici, a loro volta con vari stadi di gravità; 3 = edema, quando la pressione del dita sulla pelle, lascia una impronta, detta fovea (nello sfiancamento, se lo scollamento tra le cellule parietali è inferiore a 7 micron, filtra solo il siero); 4 = sofferenza cutanea (pigmentazione brunorossastra (lo scollamento supera i 7 micron per cui fuoriescono i globuli rossi che –fuori sede naturale muoiono depositando la molecola di ferro che li caratterizza e che -globulo dopo globulo- si accumula fornendo questa colorazione); 5 = distrofie cutanee più marcate, compresi eczemi; 6 = ulcerazione acuta della cute; 7 = ulcerazione cronicizzata (scarsa risposta cicatriziale della pelle, divenuta anelastica per i depositi di ferro).
Nelle varici, ovviamente il sangue rallentato o addirittura ristagnante, può coagulare e formare trombi (che non solo ostruiscono, aumentando l’ostacolo ed il reflusso, ma se si staccano diventano emboli spesso mortali o comunque colpevoli di ischemie); comunque, essendo poco ossigenato può ‘intossicare’ la pelle sovrastante che –se si rompe- forma disastrose ulcere, difficili da richiudere e comunque facilmente recidivanti.
Con l’esame EcoDoppler venoso, si valutano bene e con precisione sia la dilatazione, la pervietà, il reflusso, l’incontinenza valvolare, l’indice funzionale, ecc.. É ovviamente l’esame da fare per primo, dopo la visita medica.
La terapia è diversa a seconda della gravità. Nei casi impegnativi si basa sull’intervento di asportazione delle vene sfiancate (di fronte a pochi arterie, esiste un vastissimo letto vasale venoso, per cui si possono togliere i vasi grossi sfiancati –sostanzialmente le safene-, ché il sangue agilmente trova altre vie di deflusso): questo elimina il pericolo dei trombi e ridona una certa estetica; però è un palliativo utile solo se contemporaneamente si instaurano anche gli altri provvedimenti, quali le calze elastiche, i farmaci flebotonici, l’invito alle camminate (che poi fanno bene per tante altre funzioni). Lo specialista che cura le vene è in genere un chirurgo (chirurgia vascolare) con tutte le conseguenze della sua visuale e capacità, prevalentemente legata all’uso del bisturi. Per evitarlo, bisogna anticipare ed curarsi prima di arrivare allo stadio di sua competenza. Purtroppo per chi ne è predisposto è vita di sacrificio cercare di anticipare le mosse perché la medicina di oggi non ha farmaci per guarire ma solo per migliorare la situazione e tenerla sotto controllo finché se ne fa uso; così è cosa che non tutti fanno, sperando in Dio –pardon- nella Natura, che però non guarda in faccia a nessuno; e chi ce l’ha –se fa nulla- gradatamente peggiora. Quindi pillole nei mesi caldi; calze elastiche in quelli freddi; e sempre, movimento.
Allegato 27 come eravamo FOTO san Benigno dalla Lanterna
Forti emozioni crea la foto che proponiamo; ricca di dettagli, tanti perduti, di cui non tutti sicuri e quindi possibili di correzioni con la collaborazione dei Lettori.
Probabilmente è stata presa dal primo piano della Lanterna.
Partiamo con metà foto a sinistra. Il punto focale è, in basso, l’ antica Coscia con nel grigio, “Largo Lanterna” (con i segni delle rotaie del tram che si inoltravano nella galleria di san Benigno); ed al fianco, reso nero nella foto, il ripidissimo crinale del colle (sormontato dal forte). A delimitare la piazzetta su citata, in piena luce, un palazzo a sei piani, (recentemente demolito perché ricetto di poveri rumeni, tra i primi immigrati clandestini; sul lato a mare, il palazzo aveva una costruzione più bassa caratterizzata al primo piano da un terrazzetto –sfuocato ma visibile- a forma di prua di nave, da cui iniziava via Vittorio Emanuele la quale in centro città diveniva l’attuale via G.Buranello) messo di fronte (al di là dell’inizio di via DeMarini; fanno capolino sopra il nero del crinale) a delle case che furono tra i primi stalle-deposito delle tranvie. A metà, la stupenda e maestosa costruzione della più bella tra le ville locali dei Pallavicini (nella zona di vico Cibeo; detta ‘la Festa’, lasciata andare in malora e poi demolita) con ai piedi una costruzione bassa lineare centrata da un timpano (ancora esistente in via di Francia: all’uscita della sopraelevata, al di sopra delle ferrovie e di dove stanno costruendo una fermata. Ex casello delle FFSS, forse potrebbe esserci nato A.Cantore; vicino- c’era la chiesetta della Madonna del Quartiereto, prima delle tre successive della parrocchia delle Grazie: il proprietario della zona rivenditore di pezzi d’auto, ci ha proibito entrare per cercare le tracce). Sopra villa Pallavicini, due altre ville immerse nel verde (la più a sinistra, potrebbero ricondursi alla ex villa Piccardo ora occupata dal grattacielo dell’ospedale; e quella a destra la villa Airenti che era all’inizio della strada per l’abbazia del Fossato), con di fronte le case lungo la strada e che esistono ancora. Sul crinale secondo me è tagliata fuori a sinistra la chiesa di Belvedere; quindi si vede per prima la villa Poincerverio di corso Belvedere, seguita verso destra da villa Frixione nell’ex piazza Mosto, dal forte Crocetta che spunta nell’avvallamento, e dalla chiesetta di Promontorio. Nella metà di destra, in alto il forte Tenaglia, con sotto il muro del Cimitero degli Angeli ed a destra la chiesetta –presumo degli Angeli. Al centro una delle caserme del forte, (volute e fatte erigere da quel -per noi- famigerato A.LaMarmora; tristo perché da lassù domò una rivolta contro i Savoia, il cui re ci aveva definito “canaglie” e “vil razza dannata”, dapprima barbaramente cannoneggiando obbiettivi civili e poi facendo mettere a sacco la città dai suoi bersaglieri). In basso, sul piazzale, le batterie costiere, a difesa del porto e del ponente; tutto è scomparso perché demolito negli anni 1930 per l’apertura di via A.Cantore all’altezza dell’autostrada, e con i detriti ricuperati per riempire il mare e fare davanti a noi il porto (intitolato a Vittorio Emanuele III).
Allegato 28 FOTO prima di via Cantore
Questa panoramica, ci mostra un tratto della città di quasi cent’anni fa, tra 1915-1925. Occorre da parte del lettore una certa dose di fantasia, per immaginare come poteva essere questo territorio quando l’edificazione non aveva ancora raggiunto i gradi di oggi. Nella descrizione, partiamo dal basso a sinistra.
Il primo edificio di cui se ne intravede solo metà, è il retro della villa Imperale-Scassi (come tutti sanno il davanti è in Largo P.Gozzano; oggi essa è di proprietà comunale ed adibita a scuola). Il secondo edificio è una delle due appendici scolastiche aperte anch’esse in Largo P.Gozzano, erette circa nel 1910. Tutta l’area della villa era stata acquistata dal Comune di San Pier d’Arena nel 1888. Lo stesso Comune scelse sfruttare il terreno ai lati della villa erigendo due edifici scolastici in stile neoclassico, e dedicarli a Maria (nella foto) e Giuseppe Mazzini. Oggi tutto è vincolato dalle Belle Arti, anche se “rubando” il corrispondente spazio di giardino ai fianchi della villa, l’hanno stretta in spazi angusti che ne limitano notevolmente il respiro di villa signorile, declassandola. A quei tempi la lotta allo spazio ed ai servizi fu ritenuta più importante della conservazione del bello estetico-artistico. Così se il patrimonio fu salvaguardato col gravoso acquisto dell’immobile e del terreno, pur sempre la scelta determinò una limitazione fatale, che ha facilitato quella decadenza a “servitù” secondaria che ancor oggi assoggetta la delegazione.
Netto al centro della foto, che la taglia orizzontalmente a metà, il muro di cinta che separava il ponente della proprietà degli Imperiale (in basso) da quella dei Doria (oggi suore Franzoniane). Di questo muro, che si prolungava sino a Promontorio, ne esistono ancora dei tratti che hanno quindi più di 500 anni: dove giocano alle bocce, vi si annida una nicchia probabilmente allora arredata da qualche statua); lungo i giardini della villa Scassi (con il casino degli attrezzi), sino ove esiste ancora l’arco sulla strada dell’ospedale, passaggio per potersi recare allora alla abbazia di San Giovanni Evangelista, che era circa dove ora sono le scuole dedicate a E.Salgari); e nella parte alta dentro l’ospedale stesso (dall’altezza del padiglione 8 in su, ove ora c’è l’eliporto).
Al di sotto del muro di cinta, i giardini adiacenti la villa Scassi (che continuavano sino a Promontorio) sono già stati spianati dal Comune nella previsione di una strada centrale (che verrà completata nel 1935 e dapprima dedicata a Giosué Carducci, e poi -per iniziativa anche del medico GB. Botteri a cui è stata dedicata un’altra strada- al nostro Antonio Cantore). Visti i tempi lunghi, questo spazio verrà temporaneamente occupato da uno stadio per le partite di ‘foot-ball’ (con la Sampierdarenese in primo piano anche in campo nazionale).
Terzo da sinistra, si intravedono l’edificio e la cupola della chiesa di N.Signora della Sapienza (si aprono in via N.Daste poco prima di via Gioberti), al cui fianco si vede la cinquecentesca villa Doria (oggi suore Franzoniane) con la torre. Manca il lungo edificio delle suore, che dal 1930 circa fiancheggia via A.Cantore, la cui costruzione inglobò nascondendola a tutti quella piccola cupola al centro della foto, sotto la quale c’è il meraviglioso ninfeo, ben conservato dalle suore ma che ben pochi hanno goduto la possibilità di vedere). Verso destra lo svilupparsi la discreta proprietà delle suore che dal loro edificio arrivava alla già detta abbazia di s.Giovanni Evangelista. A sua volta essa appare limitata a ponente da altro muretto (visibile nella foto) che verso l’alto correva limitando salita san Barborino e del quale ancor oggi se ne vedono tracce a destra della seconda metà della scalinata, fino a –salendole, e quando arrivati in cima ad esse- il limite alto della proprietà.
Andando ora a destra in alto, i due palazzi sono quelli attuali di via A.Cantore civv.23 e 21. Il terzo palazzo, quello a sei piani fu abbattuto perché sulla linea della futura strada in tracciato (si vede nella foto) di costruzione: era chiamato popolarmente ‘gemello’ esistendone un altro eguale, l’attuale civ. 31 di via A.Cantore, nascosto a destra e quindi non visibile nella foto; facevano parte delle prime case popolari allora chiamate “per Meno Agiati”, senza terrazzi né portici, promosse dalle cooperative sociali tra cui la nostra soc.Universale ai tempi di P.Chiesa, C.Rota e V.Armirotti.
Altre cose salienti, non ne intravedo. Come sempre, lungi da volersi mettere in cattedra, la collaborazione dei lettori per refusi e sviste, è oltremodo gradita.
Allegato 29 CONCORSO DI PRESEPI Il Gazzettino propone un concorso al presepio costruito in casa, che appaia più suggestivo degli altri: spesso la semplicità è simbolo di più profonda attrazione.
Basta inviare una foto del presepio entro il 6 di gennaio. Per evitare discussioni inutili, unica giuria è il comitato redazionale del Gazzettino che si riserva -previo appuntamento- visitare a domicilio il vincitore a cui verrà consegnato un bel libro su Genova..
Spedire la foto con dietro scritti i dati di reperibilità (cognome, indirizzo e n° telefonico), a “GAZZETTINO SAMPIERDARENESE, via A.Cantore 29D, 16149 Genova San Pier d’Arena.
PUBBLICATO ma infruttuoso
Allegato 30 PERSONAGGI Franco BAMPI
È un nostro collaboratore, abita tra noi, ed è il suo momento essendo un super esperto del nostro dialetto. Io, son nato sul tavolo di cucina in via B.Agnese, a San Pier d’Arena; ma i miei genitori erano di altre regioni ed ovviamente non hanno potuto insegnarmi il genovese; lui invece non solo lo ha ‘sorbito’ assieme al latte materno, ma può ringraziare i genitori che l’hanno poi allevato parlandogli anche in dialetto. Di suo ci ha messo: arrivare ad essere un brillante docente universitario; aver vinto recentemente un prestigioso premio culturale bandito dalla Associazione A Compagna; essere dirigente del MIL (Movimento Indipendentista Ligure); avere una delle più belle famiglie quale tutti desidereremmo avere.
A dicembre è entrato in vendita nelle librerie, edito da “Le Mani”, a soli 7,75 € un suo ‘libellulo’ intitolato “Maniman” e sottotitolato “giocoso manuale per ben parlare in genovese”. Come scritto nella prefazione, «riesce a tener insieme due elementi che troppo spesso vengono giudicati fra loro inconciliabili: la leggerezza, e quindi il piacere della pagina, e il necessario rigore della proposta divulgativa».
Gli ho chiesto se il genovese è dialetto, o una lingua come l’inglese, francese, spagnolo ed italiano. Mi ha spiegato che sicuramente “era una lingua”, più nobile di un dialetto perché possedeva una parola per ogni oggetto della natura e dell’uomo: ma negli ultimi cinquant’anni essendo diminuita nell’uso di tutti i giorni, le sono venuti a mancare i termini nuovi, quelli per i manufatti moderni, dagli astronauti al computer: questo particolare potrebbe degradarla a dialetto. Ma ciò non toglie la sua importanza storica: la parlata genovese nacque e fu scritta prima –quantomeno contemporanea- dell’italiano dell’Alighieri, ma la lingua toscana-italiana fu favorita dalla storia stessa dello Stivale, la quale visse gli anni più attivi e culturalmente decisivi, dal 1200 al 1800, prevalentemente al di là degli Appennini; mentre i Liguri, isolati dagli stessi monti, linguisticamente rimasero aperti solo dove trafficavano le navi.
Maniman è parola che –come ci avverte l’autore- non compare sui vocabolari della lingua genovese, pur essendo invece l’elemento saliente del carattere dei liguri: siamo quelli del “prima me gh’apenso…”, “stemmo a vedde…”, meglio non apparire, … altrimenti.… La mia metà di sangue, quella ligure, emerge quando leggendo il libretto mi accorgo che “è vero, un po’ sono così anch’io”; e lo dico sorridendoci sopra, per simpatica scoperta di me stesso e nel contempo orgoglio di esserlo.
Da secoli e secoli fino ad oggi, la storia elenca che tra i liguri ci sono stati spesso dei grandi uomini di valore internazionale; ma non sempre riconosciuti nel mondo, perché non piaceva loro mostrarsi, molto probabilmente velati dal “maniman”. Ed a mio avviso, anche il superconosciuto Mazzini, nell’intimo era così.
Allegato 31 INTERVISTA Le separazioni matrimoniali contrastate.
Quando la separazione o il divorzio avvengono in modo conflittuale per il permanere di sentimenti di avversione e di rancore tra gli ex-coniugi, gli effetti più devastanti ricadono sui figli che si possono trovare al centro di lotte e ripicche.
A volte, in questi casi, il ricorso all’ Autorità giudiziale può ottenere l’effetto di esasperare il conflitto e di condurre le due parti ad una lotta ad oltranza. Al contrario sempre in questi casi, la “mediazione familiare” appare indicata come intervento che ha la finalità di aiutare gli ex-coniugi a trovare e sottoscrivere autonomamente, al di fuori delle aule del Tribunale, accordi equi.
Chiediamo alla dott.ssa Attilia Cerisola, coordinatrice dell’Associazione Perform che ha sede in via A.Cantore 30B/2, notizie di questi argomenti e delle finalità e modalità del suo gruppo: «Il Mediatore (psicologo, assistente sociale e –se necessario- anche un pediatra) è un operatore che nel rispetto dei principi deontologici, viene appositamente formato per mezzo di un corso triennale, sia sugli aspetti psico-affettivi che economico-patrimoniali.
Si tratta di intervenire con una modalità che aiuti i due coniugi a ritrovare un affiatamento ed un accordo. Nei casi in cui la decisione della separazione è stata già presa e la situazione è “bollente” si interviene col “gruppo di mediazione familiare” dove aiutiamo la coppia a superare il conflitto ed a raggiungere accordi equi evitando il ricorso al Tribunale. Questo tipo di intervento è ormai molto diffuso in altri paesi europei e sta iniziando a prendere campo anche in Italia.
La nostra Associazione propone un primo colloquio gratuito di valutazione, per le coppie in crisi; a cui seguirà una serie di otto incontri di mediazione, ovviamente a prezzo sostenibile, ma pur sempre conveniente rispetto lo speco emotivo e le spese di azione legale».
Allegato 32 – A palazzo non ci leggono Più volte i lettori del Gazzettino hanno inutilmente segnalato grossi e gravi lesioni al patrimonio nel nostro territorio, sintomi di un disinteresse da parte del “Palazzo” delle nostre cose comuni: dalla chiesa di sant’Agostino, alle torri, a salita Millelire, all’asfaltatura di salita Belvedere, al dipinto dell’Ansaldo in via Daste, alle canaline dell’Enel in salita superiore S.Rosa, alle lapidi stradali, a ....
A Palazzo, o non ci leggono (non ci credo) o fanno gli gnorri (credo di si).
Giudichiamo che rispondere è dovuto per carica politica, per educazione (non guasta mai) o per convenienza (quando si è personalmente chiamati in causa); che segnalare di aver ricevuto il messaggio potrebbe essere un segno di civiltà (visto che si parla di beni della comunità, e beni non da poco). E quindi infine che spiegare ai lettori i motivi dell’inerzia -che si evidenziano come apparente totale disinteresse- sia un atto necessario al ”personaggio pubblico”.
É spregevole dover ricorrere alla minaccia di rielencare tutto in prossimità delle elezioni; e se è vero come dice il proverbio, che «non c’è miglior sordo di chi non vuole sentire», penso sia opportuno questa scrollatina d’incoraggiamento.
ALLEGATO 33 LETTERE AL GAZZETTINO
Il sig. Marovich scrive protestando nei confronti della Soprintendenza alle belle Arti ed al Provveditorato agli Studi di Genova, per il patrimonio edile “lasciato andare al più triste degrado”. L’attenzione del Gazzettino su questo patrimonio è incessante: praticamente su ogni numero uscito, per un verso o l’altro si propone il tema delle nostre ville. Giustamente il problema è in alto, laddove presupponiamo esiste il gravoso impegno di scegliere: e loro hanno scelto. Dalla Lanterna a ponente non è zona turistica e pertanto è tutto di secondaria importanza; il degrado poi è secondario alla impossibilità economica di mettere a norma CEE gli stessi edifici divenuti quindi inadatti sia ad ospitare scuole, ma anche musei o importanti strutture pubbliche: la stessa Arpal, come leggerà in altre pagine, ha trovato ospitalità alla Fiumara, nei nuovi edifici rifatti, anziché in queste ville. È un grosso problema da districare, proprio quando sempre dall’alto cadono provvedimenti economici restrittivi. Noi promettiamo “non mollare l’osso” , anche se siamo piccoli e poco ascoltati.