Articoli pubblicati nel 2011-
n. 1 - Gennaio a pag. ..... SPdArena com’era, le strade e rivi (in terra battuta) 01
... Medicina-Ridere 1 ... 02
n. 2 - Febbraio “ 9 SPdArena com’era foto panoram da sBenigno 03
13 Medicina Influenza ............................................... 04
n. 3 - Marzo “ “ Notizie Cassonetti rumenta – .................................. 05
Garibaldino alla Castagna ................................. 06
Medicina Ridere 2 ............................................ 07
Associaz. Centro culturale Barabino .................... 08
SPdA com’era : il prato dell’amore ................... 09
n. 4 -Aprile “ “ 5 25 aprile : libertà .............................................. 10
11 Notizie le pietre ....................... 11
14 Associaz UnioneRicreatPromontorioBelvedere 12
17 Personaggi Vittorio o bezagnin ........................ 13
n. 5 -Maggio “ “ 9 Medicina – non sparate sul MMG ......................... 14
19 Medicina – le allergie ............................................. 15
-Giugno=SPECIALE pag. 2 riprendiamoci SPdA............................................ 16
n. 6 -Giugno “ “ 7 Per capirci qualcosa – rumenta .............................. 17
8 SPdArena nel 1500 .................................................. 18
15 Medicina - Insonnia .................................................. 19
n. 7 - Luglio 2 Notizie (pietre dimenticate/leoni villa scassi/pagelle) 23
9 SPdA com’era – foto da levante-ospedale ............... 21
12 Notizie (i fiori)
14 Medicina – la psoriasi............................................. 20
19 Associaz, Zena Antiga ........................................ 22
Leoni ............................................................................23
n. 8 - Settembre a pag. 9 SPdArena com’era – la Coscia 24
14 Medicina – stalking e violenza ................................. 25
16 Notizie = i test .universitari................................. 26
19 Medicina glicemia ed HbA1c .............................. 27
- settembre=SPECIALE CBE 2011 (musica). nessuno ............................. 0
n. 9 - Ottobre “ “ 8 SPdA com’era ‘a Manchester d’Italia .................... 30
9 SPdA com’era : la corsa podistica ............................ 29
14 Medicina: genialità e follia ..................................... 28
-ottobre=SPECIALE 150° pag.4 Toponomastica
Un libro per ricordare
-novembre=SPECIALE EXPO pag.8 dall’Expo del 1906... ................... 31
n. 10 – Novembre pag. 3 Notizia: una strada per Baldini ................................... 32
9 SPdA com’era- reduci dalla Libia ............................. 33
18 Medicina – l’oculista ................................................... 34
n. 11 – Dicembre pag. 14 SPdA com’era il campo dei tranvieri ....................... 35
15 Notizie: c’era una volta il decoro ..................................36
17 Medicina: il silenzio e il rumore ................................. 37
21 Il calendario 2010 del campasso ................................. 38
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01 - ARTICOLO – SpdArena com’era - strade e rivi
È argomento attuale sui quotidiani genovesi, una indagine sulle condizioni delle strade cittadine. Buche, incuria, incidenti sono all’ordine del giorno ed ubiquitari. I tempi evolvono, e le necessità attuali acuiscono quegli stessi problemi, ma che ci sono sempre stati - anche se forse erano vissuti con meno stress.
Dagli inizi del nostro borgo (anno mille circa) alla fine del 1800, per otto secoli quindi, la poche strade esistenti erano solo sentieri, in terra battuta, al massimo semplici carrettabili (come appaiono ancor oggi le ‘strettoie’ di via Daste o di via della Cella). Ad ogni acquazzone, da Belvedere e Promontorio, per ogni piega di terreno, si formavano vari torrentelli, a cielo aperto, brevi ma impetuosi, liberi nel loro scorrere verso il Polcevera o il mare, traversanti impunemente strade, terreni e case, lasciando vasti acquitrini, laghetti, pantani, fino - addirittura - variazioni di percorso a seconda di un masso o una scanalatura.
Fu negli anni nel 1500, che solo alcuni più grossi torrentelli, vennero imprigionati in laghetti sulle pendici dei colli, a formare soprattutto riserve d’acqua per le ville sottostanti. Ma la massima parte dei rivi erano ancora liberi e selvaggi, utilizzati quali unici ‘spazzini’ che ripulivano dove le fogne neanche si sapeva cosa fossero.
Fu attorno all’anno 1750 che il Senato della Repubblica, con tremila ‘anime’ a carico nel territorio di San Pier d’Arena, cercò di capire l’andamento di questi “acquedotti” naturali incaricando ingegneri dipendenti, perché dessero un ritratto della situazione. Dalle loro carte, abbiamo visione come, dal lato a ponente, nella zona del Campasso – che andava dalla sommità di Belvedere al torrente Polcevera, i vari corsi d’acqua che si formavano con le piogge, considerato il crinale piuttosto inclinato come ancor oggi visibile in via Pellegrini, erano di difficile gestione ed il loro impeto era capace di fare da motrice ad un molino; mentre il terreno più a valle restava a lungo acquitrinoso e pantanoso (da cui, il nome tendenzialmente dispregiativo ‘campasso’; rione che dopo ripetute alluvioni, fu definitivamente sanato solo negli anni 1980 circa. Ricordiamo che, prima, quel vasto quartiere non aveva le linee ed il parco ferroviario, né via Fillak, e che – prima ancora delle fabbriche ottocentesche - era tutto prati più o meno incolti ed inutilizzabili sino al torrente). Su quel versante, i vari corsi attraversavano impunemente anche la strada san Martino (oggi via C.Rolando), con grosse difficoltà poi per il passaggio pedonale e dei carri (sanato definitivamente solo negli anni 1990) ma soggetta ancor oggi ad alluvioni ed allagamenti.
Dal lato a sud, verso il mare, le cose andavano meglio, essendo – da via Daste al mare – tutto coltivato e quindi genericamente i rivi incanalati a pettine rispetto la strada. Da ponente era il rio della crosa dei Buoi, seguito da quello Belvedere, che scorrevano dove ancor oggi il loro greto è ricoperto con lastre di granito a formare rispettivamente via Carzino e della Cella; ma altri greti poi incanalati con pareti di mattini e voltini a chiudere, sono sotto ogni strada che sbuca in via San Pier d’Arena, da vico stretto S.Antonio, via Raffetto, via Cassini e – il più grosso in via Carpaneto – il torrente proveniente dal fossato di San Bartolomeo.
Sappiamo oggi, che in profondità, il terreno, da Quota 40 al mare è prevalentemente di ciottoli e sabbia portati a valle dal Polcevera in milioni d’anni e riplasmati dal mare sulla costa: quindi terreno che in parte assorbe, ma solo sino a un certo punto, ma che comunque a valle restituiva acqua filtrata, potabile, raggiungibile con pozzi.
Le strade quindi, avevano una viabilità caratterizzata da pedoni, rari cavalli – a volte al galoppo -, muli e carri, rare carrozze; i bambini soprattutto erano soggetti ad incidenti e non uniche vittime; il pantano non creava grossi problemi, perché quasi tutti andavano ...scalzi. L’assestamento delle strade era quindi un optional, ma - che io sappia - il Comune non faceva pagare tasse specifiche e non applicava multe.
Una sistemazione civile iniziò ai primi del 1900, con interessamento economico dei proprietari limitrofi alla strada e con applicazione di assai costosa pavimentazione a lastre e, per le strade secondarie, a ciottoli.
Oggi c’è l’asfalto, ma non ci sono soldi! Che è come dire: prima c’erano (?), ora non più. Quindi, unica soluzione saggia, mentre mugugnamo... andiamo adagio.
02 - ARTICOLO RIDERE 1
La fisiologia del corpo umano si studia al secondo anno del corso di laurea in medicina. Per me, un po' per i 50anni trascorsi da quei tempi universitari, un altro bel po' per l'Alzheimer senile che incombe ora: cosa studiai su quei ponderosi testi (due volumoni) non me lo ricordo più nei particolari. Ma mi sento sicuro affermare che, sull'argomento “l’uomo fisiologicamente ride per accompagnare un sentimento positivo”, c'era nulla. Insomma, per i trattati di studio, il 'ridere' non è argomento di conoscenza per il futuro laureato in medicina.
Escludendo così una competenza medica (salvo i rari casi di interesse psichiatrico conseguenti ad un basso quoziente intellettuale o malattie rarissime, come quella di La Tourette), forse il ridere è di interesse del laureato psicologo. Mah! presumo però anche essi ne sanno poco, o addirittura nulla.
Argomento di nessuno quindi, proprio mentre tutti ci domandiamo “che vita sarebbe, senza ridere?”.
Pertanto, risparmio al lettore quel poco di scientifico che conosco, di muscoli perilabiali che si contraggono, ecc., non senza sottolineare come venga pesantemente trascurata la cultura e l'insegnamento di questo elemento basilare della nostra vita; e analizzo con lui alcuni tratti salienti, tipo: ridere è un atto istintivo, alla pari di tanti altri istinti che i genitori dovrebbero ‘educare’ nel bambino, alla pari dell’alimentarsi, evacuare, comportarsi... sino a – da più ‘grande’ – gestire la sessualità). Infatti, già istintivamente si comincia dalla culla, quando il bimbo è ignaro di tutto e per lui qualsiasi cosa è una scoperta: buon segno, e speriamolo per lui, se essa lo fa ridere, e non lo spaventa.
Poi, diverrà così istintivo sorridere-ridere per esprimere partecipazione di felicità, di gioia, di libertà mentale; un viso sorridente è presunzione di disponibilità (vedi il sole nello stemma di San Pier d’Arena), di ambiente rilassante, di blocco dei meccanismi di difesa. Infatti questi ultimi sono gli antagonisti al ridere; ed esso riemergerà al termine dell’ansia, con la presa visione dello scampato pericolo.
Ecco che il comico ha trovato il fulcro sul quale far leva per il suo lavoro: essendo rare le persone capaci di ridere di se stessi (essere spontaneamente spiritosi su se stessi è assai difficile, direi “da eroi”; d’istinto, qualsiasi evento a nostro danno è solo e troppo spesso interpretato serio, grave, offensivo e drammatico), mentre la maggioranza è capace di ridere quando lo stesso evento colpisce qualcun altro (dalla torta in faccia, a una caduta rovinosa, a 'Scherzi a parte') lui gioca facendo dribblare il nostro istinto, che carica l’evento negativo su altri ipotetici, convertendo così in noi l’ansia del danno in una risata liberatoria, del tipo “m'è andata bene” o “che faccia da scemo rimane a quello lì”. L'interprete, l'interlocutore di questo ‘dribbling’ mentale, dall'antichità (il giullare) a ieri (il clown) ad oggi (il comico), sono quei seri professionisti che da un lato, sanno vedere l’aspetto spiritoso e dall’altro lato lo sanno presentare sempre a carico o di se stesso o di qualcun altro, escluso lo spettatore. Come in tutte gli istinti gestiti dalla nostra psiche, è questione di misura. Anche la comicità si presenta come una linea colorata, di tonalità crescente, ai cui estremi ci sono gli abusi di essa. Nel mezzo invece c'è una dote che non tutti possiedono e che, a mio avviso, per chi l'ha, è una ricchezza superiore all'oro e una fortuna superiore a quella di un superenalotto: lo humor; ovvero la capacità di intravvedere in ogni fatto un lato comico (di per sé, liberatorio).
Questo humor, collocato nel centro dell’ipotetica linea colorata, va dalla persona capace di ricordare ed usare le semplici e fugaci battute (le barzellette) a quelli che con fantasiose trovate, ci fanno sganasciare dalle risa (con possibili riflessi viscerali, dalle lacrime e tensione dei muscoli addominali, fino alla ... incontinenza urinaria): Coinvolgendo quelli che adottano l’ironia (la quale – a sua volta - se vuole coinvolgere di più, sconfina nella satira, pungente, grottesca, al limite dell'inverosimile).
Striscia la notizia, Zelig, la Baistrocchi, per non citare i singoli comici, sono esempi delle mille modalità adottate per strappare una sana risata. Quindi, se il comico – come dicevamo – è l'interprete che rilegge e ri-racconta in modo paradossale gli eventi della vita, andrebbe valutato da tutti alla stregua, dell’angelo custode, di un mecenate, di un grande benefattore dell'umanità. Perché essere comico, è un modo di amare, sia la vita che il prossimo.
Ridere, fa bene al sangue! almeno, così si dice; anche se - stranamente – non lo leggerete mai sui trattati medici!
03 - ARTICOLO - SPdArena com’era -
Una piccola sfida per gli appassionati della vecchia San Pier d’Arena: prima di leggere le spiegazioni sotto ed andare infine a controllare le soluzioni, cerchino di capire da soli i vari punti di repere in questa foto che vede la città verso ponente; è stata scattata dal forte di san Benigno e risale alle prime decadi del 1900. Da allora, il territorio in basso, è stato praticamente sconvolto.
Analizziamo: (1) i due caseggiati in basso a sinistra racchiudono tra loro la via DeMarini, circa dove era la trattoria del Toro ed ora è il WTC; quello a sinistra (2), col tetto più spiovente, era una villa del 1700 di proprietà dei DeFranchi→Costa e sopra essa la chiesetta (3) che - seconda delle tre col nome dedicato a S.Maria delle Grazie – era in uso al tempo della foto. Tutto è scomparso, anche attorno e, al loro posto prima c’è stato parte dell’oleificio Costa.
Individuata la via De Marini, non si deve far altro che proseguire in diagonale (alto→destra) per imboccare dopo la ferrovia, via L. Dottesio (4) e via N. Daste: si vedono allora il grosso caseggiato della villa Spinola (5) con la torre e, sopra esso a sinistra la villa Grimaldi della Fortezza (6), il tetto della Imperiale→Scassi (7), e sopra esso, la torre delle Franzoniane con – a mare, la villa della Semplicità. Mentre all’estrema destra della foto, la villa De Mari→Ronco e sotto a sinistra, apparentemente più piccola, la attuale villa Serra→Masnata (8) di via A.Cantore 29c.
La via di Francia (9), che oggi scorre ad un lato del grattacielo, verrà aperta eliminando gli orti al di qua del muro della ferrovia ben visibili nella parte bassa-destra della foto (10). Al di là del viadotto ferroviario, quasi al centro della foto, ben visibile anche oggi guardandolo da via di Francia all’altezza della stazione ferroviaria, la facciata di levante del grosso caseggiato (11): ha il portone sulla facciata opposta, civico 1 di via GB Carpaneto. Di fianco a mare di esso, il tetto (14) delle ville Negrone→Moro di via Pittaluga e, sopra, Pallavicino→Moro della quale rimane parte della facciata col portone in via L.Dottesio. All’estrema destra in basso, si vede la torre ottagonale (13) di vico nCibeo. Il fumo centrale di una locomotiva in transito, nasconde la strada ferrata che sta entrando nella piazza Barabino; ed a destra del fumo, un lungo tetto basso (15) segna il percorso dell’attuale via GD Cassini, in cima al quale la attuale e terza chiesa delle Grazie non appare perché non ancora eretta. Neanche è aperta la via A.Cantore, che scorrerà (16) dalla metà destra della foto, in diagonale verso sinistra passando presso il retro della villa Scassi (8), traversandone i giardini (17).
A sinistra del fumo, si vedono i palazzi (18-19) che ancor oggi costeggiano l’inizio di piazza N. Barabino e la torre del Labirinto (20) sopra la quale scorre la via Vittorio Emanuele (21), oggi via G.Buranello, con la deviazione verso mare (22) che sfocia in via C.Colombo (oggi via S. P. d’Arena). In alto a sinistra della foto, il campanile della Cella (23) con davanti quello (24) della abbazia di sant’Antonio di via N.Daste (oggi scomparsa, abbattuta).
Le innumerevoli ciminiere, danno l’idea dell’inizio dell’industrializzazione, con tante fabbriche specialmente di lamiere di latta per inscatolamento del pesce e conserve.
Non ho la pretesa di essere il sapientone di turno; pertanto, se qualcuno ha da obiettare o da aggiungere, sarà molto gradito un suo contatto.
04 - ARTICOLO - L’influenza
Abbiamo scritto nulla sul tema, nei mesi scorsi, per non ripetersi tutti gli anni. Ma arrivati a fine febbraio, merita qualche considerazione il quasi “dopo pandemia”.
Per primo, l’assurdità della ricorrente frase sciocca – espressa anche da persone che per altri versi possiamo definire ‘colte ‘ – del tipo “ho fatto il vaccino e la malattia è venuta lo stesso; non lo farò più”. La stoltezza di queste parole consiste nel decidere il futuro, accettando di base una falsità. È infatti falso dire che “il vaccino impedisce di ammalarsi” perché quando il virus entra nel nostro corpo, all’inizio vince lui. Laddove è invece vero: sia che il vaccino è sufficientemente innocuo da non richiedere test di prova; e sia che – in maniera fortemente significativa – solo prepara le difese e quindi solo limita i danni (i giorni febbrili e di ricupero; e le conseguenze, che vanno dai decessi ai, più ... fortunati, con le ossa rotte e debolezza per una ventina di giorni). Infatti, puntualizziamo, che a metà del febbraio 2011 e nella sola Italia, i morti per influenza sono stati tanti (44, riporta anche il Secolo del 10 u.s. a pag.9; rimarcando che siamo a metà strada), causati da severe complicazioni polmonari malgrado l’altissima preparazione delle strutture di terapia intensiva. Forse, abituati alle notizie di stragi delle autobombe appariranno pochi; ma se avesse bussato all’uscio di casa nostra ...
Per secondo, rendersi conto che contro i virus “non esistono medicine”: quando esso aggredisce il corpo umano, possiamo solo sperare che le nostre difese arginino l’aggressione, e aspettare. Ovvio che se esse sono pronte e tante, l’aggressione sarà molto meno invasivo.
Per terzo mettere in stand by le informazioni dei media quando, su questo tema, invece di solo riferire i dati, troppo spesso inseriscono anche commenti che favoriscono scetticismo e confusione. Per esempio: dal 2003 imperversa nel mondo la aviaria con altissimo tasso di mortalità; anche se poi annualmente in decrescendo, ma rimanendo sempre elevato. Nel 2009 e l’anno scorso, l’OMS aveva lanciato l’appello in maniera capillare perché il virus dell’aviaria, trasmettendosi anche tra i suini, aveva modificato le sue componenti genetiche determinando nuova e pesante suscettibilità all’infezione. Per fortuna, nei due anni scorsi la pandemia non è arrivata con la cattiveria temuta, sollevando un coro di antagonisti e scettici, con anche accuse pesanti agli studiosi (di aver favorito le ditte fornitrici del vaccino, per l’elevato guadagno conseguente).
Ma, se negli anni scorsi aveva fatto flop, quest’anno l’aggressione ha picchiato più duro, seppur classificata di grado medio-lieve; e purtroppo più pesante nei bambini, tra i quali si è avuto il più alto tasso di decessi; trovando indifesi anche buona parte degli scettici che si sono presi la febbre (e, non so sino a che punto si siano divertiti, ...assieme ai farmacisti. No di sicuro l’INPS, la Regione, i medici, la scuola, i datori di lavoro, ecc.).
La cattiva informazione (i media, le singole Regioni, gli stessi Medici di MGenerale) è stata la principale cortina fumogena che ha determinato scarsa adesione; infatti ha fatto consumare meno di un milione di dosi di vaccino, contro gli oltre 50 che siamo. Sull’altra sponda, l’evidenza clinica composta da seri e preparati immunologi, come il genovese prf. Pietro Crovari - seppur imprecisa nel leggere il futuro (pretesa assurda) e incapace di uccidere il virus (come invece fanno gli antibiotici con i germi; ma solo con essi) è concorde nel non allentare l’allarme e favorire maggiore serietà nella valutazione della vaccinazione preventiva, sia a scopo individuale che sociale. Già aver creato il vaccino, che nella sua innocuità è – ripetiamo – solo prevenzione di gravità di infezione, è una grande vittoria della scienza.
Oltre esso, per ora insostituibile contro i soli tre virus che lo compongono, l’esperienza sta allargando valutazioni sulle modalità da tenersi per i vari tipi di soggetti a rischio (differenziati tra loro), e per i ‘sani’ che sono solo degli untori, involontari ma moralmente responsabili, perché tengono in vita il virus il quale tramite loro si ‘spantega’ (un po’ di genovese non guasta): sino a che punto il bimbo romano di 22 mesi che è morto per ‘choc settico refrattario a qualsiasi terapia’ (45° quindi, per ora; da Il Secolo XIX dell’11 febbraio, pag.9) lo deve a chi, non vaccinato, ha permesso lo ‘spantegamento’ di cui sopra?
05 - ARTICOLO ALLEGATO CASSONETTI RUMENTA
Ci segnala una lettrice, un disuso dello smaltimento dei rifiuti e dello spazio dedicato ai sei cassonetti dell’AMIU di via Scaniglia. Non solo abbandono di oggetti ingombranti il cui destino sarebbe l’isola ecologica, ma anche materiali impropri (lattine aperte di olio che poi si è versato abbondante sull’operatore e sulla via costringendo al blocco stradale ed assorbimento con segatura “un incidentche , e non si sarebbe verificato se tutto funzionasse a dovere, che ha fatto perdere tempo e denaro e ha messo a rischio l'incolumità dell’operatore e di chi transita”); ma anche cibi, (secondari forse all’obbligo di gettare alla sera quelli non venduti).
Per colpa di certi cittadini ineducati – ne basta uno – che ‘dimenticano’ che esiste l’isola ecologica; ma consci che, se non hanno un trasporto, il prelievo a domicilio ha un prezzo “a pezzo”...salato, nasce il problema: quando un abitante della zona, educatamente ma fermamente, cerca un referente responsabile a chi si rivolge? Normalmente si attacca al telefono, o sms o email rivolgendosi ai singoli enti e, quando avviene risposta - pressoché sempre improntata di cortesia e “scambio civile di modi di pensare” ... e questo sembra un avvio felice - però subentra lo scaricabarile burocratico, capace di mandare in tilt qualsiasi anima onesta e positiva.
Si presuppone questo avvenga quando un singolo tema coinvolge vari uffici: subentra il ponziopilatismo perché nell’AMIU di uffici ne esistono tanti con funzioni diverse: così, per quelli addetti alla pulizia e smaltimento tutto si svolge con regolarità prefissata, e nei loro compiti quotidiani, pare non rientri il controllo dell’abbandono degli oggetti ingombranti lasciati sul marciapiede, tipo reti metalliche, mobili, frigoriferi, macchinari, ecc. o materiali impropri scaricati nei cassonetti (spesso inquinanti tipo vernici, oli, ‘bratte’); i Vigili urbani che hanno la responsabilità del controllo e, dietro segnalazione, vanno a verificare per fare un verbale per poi coinvolgere gli interessati di competenza; ma, ci si lamenta che nel giro usuale o casuale, i cassonetti passano troppo spesso inosservati o forse, passa troppo tempo tra stilare il verbale e coinvolgere chi di competenza...se loro lo trovano; l’ufficio tutela dell’ambiente (ARPAL?) ed i Noa (carabinieri) riferiscono che non è di loro competenza.
Parole, parole, parole...oppure. Chiediamo solo: a chi si deve rivolgere un cittadino affinché sia esercitato un serio controllo sulle problematiche della vita in comune: nel nostro caso, per quel che riguarda la gestione dei rifiuti? Per dare soddisfazione alla lettrice, e per utilità di tutti, gradiremmo sapere chi ha il dovere di controllare e intervenire. E magari anche, punire.
06 - ARTICOLO ALLEGATO
Riceviamo e rispondiamo
«Quanta malinconia mette la
tomba di quel garibaldino, sarto e
carabiniere, su alla Castagna, tutta piena di polvere, senza un fiore e
senza nessun segno di cura. Forse l'ottusa mentalità di certi nostri
politici che pare vogliano trasformare l'unità d'Italia, il Risorgimento,
Garibaldi e tutto quelle che ne conseguì, in una cosa trascurabile e da
mettere nel dimenticatoio. O forse certi principi sociali di fratellanza,
vanno ostacolati e ostracizzati come idee malsane e da combattere con il
silenzio. Non credete che questa tomba vada un poco considerata, almeno in
questa occasione e indipendentemente da ideologie politiche ma solo in nome di
una storia che ci appartiene e che fa
parte del nostro DNA come la prima guerra mondiale?
Uno sfogo e un salutone. E.G.
Rispondiamo il nostro parere. Si, una sensazione di pena, però mista ad ammirazione per il soggetto: ai miei occhi, un eroe. Un residuato scolastico fa ricordare il foscoliano “a egregie cose il forte animo accendono l'urne de' forti ...”; ma onorare la memoria dei Caduti, dopo gli osanna del ventennio ed una guerra perduta, non è sentimento insegnato ai giovani; quindi l’abbandono fa parte di una incultura voluta, che a noi piaccia o no: la colpa è della nostra generazione. Probabilmente la discendenza del garibaldino si è esaurita e più nessun parente va ad ossequiare la memoria, come succede per altri, sepolti poco lontano e per i quali abbiamo già scritto sul nostro mensile: ma anche per i tanti elencati sia nei giardini Pavanello, quelli Ansaldo Meccanico ed alla Castagna. Esiste a San Pier d’Arena una Associazione ex combattenti, ma è composta da pochissimi - più più che meno... arzilli novantenni; ed a loro non possiamo girare l’impegno: lo onorano per tutti, nel giorno dei morti, a novembre. A mio parere, no a togliere la polvere: fa parte dell’antichità del monumento.
Si, e reciprocamente, se verremo a conoscenza di iniziative mirate allo scopo.
07 - ARTICOLO ALLEGATO RIDERE
Arlecchino, scherzando, diceva la verità. Perché solo mettendola sul piano dell'ironia, poteva dire ai potenti 'certe verità' senza che quelli gli mozzassero la testa. E, di controparte, chi può permettersi di ridere a 'certe verità', è solo un potente e la sua corte, specie quando - con il loro riso - destabilizzano e mandano fuori ruolo l'opposizione che invece vorrebbe affrontare le stesse rogne con estrema serietà.
Già ai tempi dei greci e romani esistevano le comiche negli scritti ed a teatro; e divenne poi mestiere specifico dei buffoni e dei giullari di corte, fino ai comici del varietà dei tempi più moderni: con battute e scenette denunciavano le iperbole della vita come era impostata dal potente di turno, e delle sue prepotenze, senza offenderlo direttamente, ma esponendo le varianti di visuale, non incluse nelle regole di vita dettate dall'alto. Il popolo rideva di conserva, cogliendo quella porzione di verità che più interessava: un po' perché non aveva diritto decisionale e un altro po' perché la battuta è lo sfogo equivalente delle sofferenze.
Si potrebbero invertire i ruoli: se il giullare - a suon di dire il giusto nel modo suo e in più facendo ridere ma alla fin fine dimostrando essere consapevole dei problemi – venisse nominato sire, eccolo che, per restare alla ribalta politica e continuare a raccogliere dovrà inventare nuove mode tutte dettate a suo vantaggio magari anche sconfinando nella volgarità (dito medio (vaffa...), romanesco, parolacce, comportamenti border-line, ecc.) per indicare che più basso di così... Diventerebbe un'altra faccia, ma della stessa medaglia del sire.
Alla fine, chi ci rimette è sempre il popolo, mai il sire; perché un conto è mettere alla berlina certe scelte, e un conto è governare veramente.
E se si eliminassero i giullari? Peggio: il sire avrebbe nessun contraddittorio o confronto entro cui fare delle scelte: sarebbe libero. È il popolo ancora ci rimette perché si eliminerebbe il riso, tutti diventerebbero seriosi e tristi, morendo precocemente di rabbia, di rancore o di noia.
Se invece, per autodifesa, tutti diventassero giullari – specie se per primo lo facesse il potente, e gli altri dietro 'perché fa moda', una specie di carnevale tutto l'anno – chi ci rimette sarà sempre il popolo perché tra una battuta e l'altra non si riuscirebbe più a capire come e quando affrontare i problemi nella loro crudeltà quotidiana.
Insomma, il popolo ci rimette sempre, in ogni caso. Ai tempi antichi i contrapposti erano in due: il re e il popolo. Oggi, in democrazia, abbiamo anche delle categorie di mezzo: i rappresentanti del popolo e l’opposizione, i quali in genere aborriscono il riso e la satira e vorrebbero essere sempre seri, in quanto denunciatori di ingiustizie, degrado, magagne: non ci trovano nulla da ridere. Ma alla fine, il popolo ci rimette ancora perché loro difensori sì - e benvenuti - ma tanta serietà alla fine fa vivere solo di rancore e stress da impotenti.
Il popolo, quando vuole acquisire un ruolo anche momentaneo ma da libero, vuole ridere; vuole lo humor sapendo che cambia nulla ma almeno gliel'ha mandata a dire. Viva così l’ironia se educata: dei comici, della Bai, della Vietz al Sindaco (al Confuoco); anche se, come la barzelletta – tanto per sorriderci sopra anche noi, finisce con “le ho buscate, ma gliene ho dette...”.
08 - ALLEGATO ASSOC Il CENTRO CULTURALE “NICOLO’ BARABINO” Da un gruppo di appassionati d’arte genovesi nacque, negli anni ’90, una associazione informale di artisti pittori il cui scopo principale voleva essere quello del dialogo e dello scambio culturale tra gli aderenti. Dopo pochi anni, con il patrocinio del Comune di Genova, il gruppo iniziò l’attività associativa sia legalizzandosi con uno statuto - per il quale si precisa che il sono apolitici, apartitici, indipendenti, autogestiti e non perseguono fini di lucro; sia dandosi il nome di “Centro Culturale” dedicato all’artista più grande e noto di San Pier d’Arena, Nicolò Barabino; sia iniziando manifestazioni espositive nella precedente sede di via A.Cantore (attualmente abbandonata per ristrutturazioni) o sul territorio; sia promuovendo iniziative culturali ed artistiche utili alla collettività ed ai singoli; e sia infine aprendo la sede ai soci – adepti delle più varie muse: pittori nelle più varie forme dal disegno all’olio agli acquarelli, poeti, scrittori fotografi e musicisti. Il fine è riunirsi e produrre arte e cultura: come scrisse il precedente compianto presidente, Luigi Cardiano, la produzione artistica è una emozione che trasforma ogni attività umana in una impresa. Ed è con questo sprone che il Centro si prefigge di diffondere l’amore per l’arte attraverso liberi dibattiti, unione di artisti, esposizioni e convegni. Il Gruppo, è attualmente composto da oltre settanta aderenti e viene gestito da un Consiglio direttivo del quale è presidente la signora Marcella Tracci Cardiano; vice presidente Salvatore Giglio; addetto alle pubbliche relazioni Giorgio Flosi; e da una Commissione artistica composta da quattro soci. Ogni socio ha a disposizione uno spazio contenente un curriculum artistico, la riproduzione di alcune proprie opere, eventuali note critiche o altro. ISCRIZIONI: sono aperte per i “corsi gratuiti” (necessaria solo la quota associativa) di disegno, pittura ad acquarello, pittura a olio. NOTIZIE sul sito www.ccnbarabino.it ; o via email: info@ccnbarabino.it PROSSIMI EVENTI: dal 2 aprile p.v. (inaugurazione ore 17,00) al 13, si terrà una mostra collettiva degli artisti iscritti. Da sabato 30 aprile (inaugurazione ore 17,00) all11 maggio esporranno, con tema “Paesaggi e nature racchiuse”, le pittrici Teresa Fior, Annamaria Raggi, Maria Luisa Turbino. SEDE attualmente l’attività direzionale, espositiva e dei corsi ha sede nel Centro Civico Buranello di via Nicolò Daste, 8, al piano terra, lato biblioteca.; la segreteria è aperta nei giorni di giovedì e venerdì, dalle ore 15,30 alle 17,00.
Giorgio Flosi, già presidente, è colui che con spiccata generosità, ha regalato al Gazzettino un suo bellissimo acquarello, al fine fosse donato ad un abbonato estratto a sorte – come consuetudine ogni anno. Quest’anno questa cerimonia è avvenuta sul palco del Modena; tra tutti è stato sorteggiato Pasquale Bruzzone notissimo pluri campione di bocce - iridato, tricolore e locale.
EBaglini
Quando San Pier d’Arena era un piccolo borgo con una o due al massimo migliaia di abitanti, all’estremo ponente, racchiuso tra la spiaggia e il torrente c’era il vasto appezzamento oggi chiamato Fiumara ma da tutti allora conosciuto come “prato d’Amore”. Un qualcosa di idilliaco, forse maggiormente goduto se tornassero oggi a vedere com’è combinato: l’ amore c’è anche adesso... ma diverso, più rasoterra e squallido.
La zona, era fuori del normale andirivieni popolare, tanto che sulla spiaggia era stato costruito, ai tempi delle epidemie manzoniane, un lazzaretto: può essere che il nome Amore derivi dall’assistenza fatta da volontari e religiosi ai sofferenti e moribondi di tali infezioni (le principali a quei tempi il tifo, il colera, la peste; adesso è più di moda l’Aids).
Nella seconda metà del 1700 il prato dell’Amore “forma una specie di piazza pubblica in riva al mare, uno dei punti più belli del Paese” ed era di proprietà di un certo signor Bartolomeo Savignone il quale lo propose in vendita al Comune non potendolo lavorare. Divenne poi di proprietà dei fratelli Crosa quando nella zona la famiglia Dufour apriva uno stabilimento zuccherificio e vi aveva una grossa ed antica villa la marchesa Maria Oriettina Lamba Doria, moglie del marchese Fabio Pallavicini, ambasciatore del Regno Sardo in Baviera.
Probabilmente i sampierdarenesi avevano da scontare grossi peccati quando nel 1846 il Padreterno fece arrivare in quella zona mister Taylor, il quale pensò bene investire i soldi ricevuti da Cavour costruendo nel prato una fabbrica metalmeccanica, la quale dopo sette anni prese il nome di Ansaldo.
Il terreno era allibrato al Catasto comunale di San Pier d’Arena, ove è scritto che la regione veniva detta “al Canto” o “alla Fiumara” o “del Lazzaretto o Prato dell’Amore”.
Naturalmente chi abitava nella zona si oppose al progetto: la marchesa per prima, seppur ‘appoggiata’ a corte; la corderia dei Carena e Torre; la fabbrica di amido di Pescetto; la saponeria di un Pallavicino; la vasta proprietà dei fratelli Rolla proprietari di una tintoria; nonché tre case circondate da canneti, con vigna ed orti di “prima qualità avendo il pregio massimo di un’abbondanza d’acque perenni, e che non vi sono in quel paese altri orti che li pareggino”. Ma inutile; come possiamo ricostruire oggi, il Consiglio di Stato di Torino giudicò perdente il ricorso dei proprietari, dichiarando la proposta di Philip Taylor di “pubblica utilità pel servizio della nostra marina”; ed accettò valido il controricorso dell’inglese il quale prometteva che “come a Londra, a Parigi ed a Manchester vi fossero fabbriche ... e se anche ravvolte di fumo, si fabbricassero le migliori telerie del mondo”.
Fu così che la sorte ci portò in regalo questo inglese di Norwick favorito da tre concomitanze: la necessità del regno Sardo di possedere una flotta capace di esercitare un certo potere anche in mare; la costruenda ferrovia che passava vicino; i finanzieri che non abitavano il borgo e quindi poco gliene importava se esso si inquinava.
Nacque così “la vocazione” locale all’industria pesante. Che presa in giro!
Probabilmente il Padreterno si pentì, ed infatti il Taylor (ed anche l’Ansaldo) finirono male; ma ormai la frittata era fatta. Quando andremo di là da Lui, noi sampierdarenesi – ricordatevelo - saremo creditori di molti benefici arretrati.
10 - ARTICOLO ALLEGATO 25 APRILE = LIBERTA’
Significativa e doverosa, la memoria di questa data italiana, 25 aprile 1945.
L’Italia fu liberata soprattutto dall’esercito degli alleati che lentamente e tra mille insidie risalivano lo stivale; con loro si sciolse come neve al sole anche la dittatura locale corrotta e deviante.
Ma fu solo a Genova che i partigiani, i quali da due anni vivevano alla macchia, sopportando torture fisiche e psicologiche, finalmente videro sfibrare le forze dell’avversario sotto il logorio delle loro mille piccole battaglie e, facendo barriera sui monti, crearono una ‘sacca’ insormontabile alla fuga di mezzi e di uomini molto più forti ed armati.
Messi “all’angolo” dalla tenacia dei “ribelli”, per i tedeschi non c’erano che due soluzioni: o una battaglia impari ma sanguinosissima, o la resa ai partigiani e non agli anglo americani. Al generale Meinhold va il merito morale sia di non aver dato esito agli aberranti ordini di Hitler mirati a distruggere le infrastrutture cittadine già minate, e sia per la scelta della seconda soluzione, la più ovvia per i suoi uomini umanamente parlando. Ovvio il trionfo dei partigiani.
Eguale situazione locale del 10 dicembre 1746. Anche allora avvenne che l’invasore si arrese al “popolo” genovese che da solo arrestò la superbia dell’invasore costringendolo a non disdegnare la fuga precipitosa oltreappennino. A quella data, fu il Balilla la scintilla che accese lo spirito di un popolo che nel suo dna mal sopporta gli arroganti (e già secoli prima aveva assaggiato lo stesso spirito il Barbarossa) e che ha sempre mirato a salvaguardare in primis la Libertà: non a parole, ma a fatti concreti, sia di politica comunale che personale.
Per noi quindi, sono due date per ricordare un unico evento: due diverse generazioni di genovesi che hanno eguale reazione: bruscamente risvegliate alla Libertà, si sono riscattate non solo dalla soggezione di un invasore molto più forte, violento e prepotente ma anche dalla perfida ideologia imposta e basata sulla arroganza fisica e morale.
Un migliore esempio da proporre ai giovani di oggi, non credo si possa trovare.
11 –ALLEGATO PIETRE, PIETRE, PIETRE
È nei programmi della civica Amministrazione, rendere pedonabile via N.Daste rifacendone il selciato. Appunto, selciato; parola che proviene da selce, sinonimo di pietra. Non asfalto quindi: zero nelle nostre aspettative anche se veloce a stendersi e pratico; né blocchetti di porfido come in via Rolando o mattoni in piazza Settembrini – non disprezzabili ma storicamente lontani dalla tradizione delle nostre strade, specie via Daste che è millenaria e da più secoli formata da lastre di pietra. Paventiamo i geniali acquisti di stoccaggi di pietre fragili le quali laddove – e tropo spesso mal appoggiate - si rompono dopo una notte a passarci in bibicletta.
Le pietre che intendiamo noi, quelle vecchie e solide, le abbiamo visto emergere rifacendo i marciapiedi di via Cantore, che sappiamo esistere nei depositi di Bolzaneto, come vediamo in alcuni punti inutilizzate o sconnesse in via Fillak ed in vico Stretto s.Antonio laddove una sana asfaltatura farebbe il piacere dei residenti; e come supponiamo esistono in tanti altri punti ancora della città. Sappiamo altresì che ciascuna lastra costa un sacco di soldi, per l’appunto tali da valorizzare il nuovo manto stradale. Sicuramente il raccoglierle e posizionarle avrà un costo, ma neanche vorremo che il ‘restailing’ venga fatto con quell’economia tipo autarchico del vecchio regime, che duravano dal giorno alla notte tanto per soddisfare che il “lavoro è stato fatto”. Si, diciamo noi; se fatto sarà fatto, ma che sia fatto bene.
12 – ALLEGATO URPB - UNIONE RICREATIVA PROMONTORIO BELVEDERE
Non sono poche oltre trecento persone che cercano, nelle ore libere dal lavoro o nel meritato svago pensionistico, rifugio in quell’oasi di tranquillità di via porta Angeli 33, sufficientemente immersa nel verde e nello stesso tempo con la fermata del bus sotto il naso: tre campi esterni (con il proposito di attrezzarne uno per i bambini, e gli altri per attività tipo tornei di bocce e danze d’estate) e due grandi saloni interni (uno per i giovani, con ping pong, e biliardo ed uno superiore con palco per orchestra per ballo, cene, raduni, ecc.).
L’oasi è occupata dal CRPB (circolo ricreativo Promontorio Belvedere) una associazione che attualmente ha - quale presidente - la volitiva signora Paola Fontana (impegnata al padiglione 8 del nostro Ospedale nella delicata opera di ginnastica respiratoria per i gravi insufficienti); e vice Aru Paolo.
Nacque 113 anni fa, il 24 aprile 1898, come circolo Unione Previdenza di Belvedere, con sede in salita Bersezio, per opera di operai residenti nelle crose attorno e d’altura. Era un circolo di mutuo soccorso tra operai, svolgendo assieme ruoli multipli: culturali, di svago (carte, ballo, bocce, cene) e sportivi (la maglia sociale porta i colori bianco celeste).
La storia ricorda che nel periodo fascista (1925), furono obbligati a unirsi con la società di MS Promontorio nella volontà di ristrutturare le varie società in una unica organizzazione chiamata Opera Nazionale Dopolavoro; ebbero imposto la titolazione ad un loro martire: Cesare Arrori; e furono trasferiti in ‘salita al forte Crocetta’. Era socio del circolo il pittore Ettore Vernazza che ha lasciato due preziosi disegni a tempera, uno con il ritratto di Nicolò Barabino e uno di se stesso.
Con la fine della guerra e con la sede ed i documenti distrutti da una bomba, il direttivo decise spostarsi in salita superiore S.Rosa, ricambiando il nome in URPB.
A fine 1988, essendo stata venduta la sede a privati, dovettero ricambiare, per trasferirsi in quella attuale, acquisendola con enormi sacrifici. Soci conosciuti che frequentavano il circolo: il giornalista Renzo Fravega, mons. Berto Ferrari e Roberto Baldini.
Le iniziative sono in mano ad un Consiglio direttivo composto da giovani, che propongono idee e programmi, aperti ai soci e non, che poi loro stessi seguono con l’attenzione dovuta di chi si impegna e si responsabilizza nel volontariato: ballo con orchestra (sabato sera e domenica pomeriggio), tombole e cene (stagionali: ‘basanate’, castagnate, braciolate, ...), gare a carte (cirulla specialmente) e - per i giovani – carnevale, calcetto, biliardo, bocce (vincitrice, la bocciofila femminile).
Per iscriversi, si paga una quota fin troppo sociale per i tempi; importante è iniziare a frequentare per evitare l’isolamento e favorire l’aggregazione. La semplicità è regola base per l’accoglienza di tutti: giovani, anziani e vecchi.
A fianco del circolo, staccata, c’è una antica e preziosa cappelletta, interamente occupata da un altare di gesso lavorato sovrastato da una effige di Gesù portatore di Croce, presso la quale si fermava a pregare santa Caterina da Genova; è curata dalla Confraternita del S.Rosario e gestita dal Circolo stesso.
13 – ALLEGATO PERSONAGGIO- VITTORIO o bezagnin
Giuseppe Revere fu uno scrittore ‘foresto’ (triestino) vissuto nella seconda metà dell’Ottocento, il quale, dopo aver preso parte all’insurrezione di Milano nel 1848 ed alla difesa della Repubblica Romana nel 1849, finì per stabilirsi a Genova. Egli scrisse due raccolte di impressioni ispirate dai suoi soggiorni in Liguria: Bozzetti alpini e Marine e paesi.
In un racconto cita una sua gita, e l’impressione ricevuta gli fa scrivere che se fosse stato un ‘insalataio’ si sarebbe soffermato a scrivere sulla coltura delle ortaglie: “non v'ha minestra o minestrone genovese, ove non paghi il suo tributo alla val di Bisagno o a San Pier d'Arena, perché anche là si coltivano i migliori agli, le cipolle, le carote, i navoni, le rape, ..., i rafani e le scorzonere, ... Se il nome ‘bisagnino’ proviene dagli ortolani lungo il torrente a est della città, anche la zona intorno al Polcevera non era da meno.
Non è certo da quei tempi che il nostro Vittorio lavora in San Pier d’Arena; ma attualmente è pur sempre il più ‘vecchio’ verduriere e forse il più vecchio negoziante in assoluto della zona. Vittorio Grieco, nacque a Prè 86 anni fa e venne in via Rolando nel 1954 sposando ‘una di qui’; aprì allora il negozio di frutta e verdura, che è sempre stato al 92r.; e –tutti i sacrosanti giorni – è presente, aiutato dal figlio.
Sono così cinquantesette anni buoni, di vita pesante, iniziante alle ore antilucane per andare al mercato a rifornirsi, ed offrire il meglio reperibile, stando in piedi ed ‘al fresco’ anche d’inverno.
Tutti gli sono amici. Il Gazzettino lo segnala come esempio di attaccamento al lavoro, di serietà professionale e di semplice bontà di cuore
Grazie Vittorio.
14 – ALLEGATO - archeologia medica – non sparate sul MMG –
Finita la guerra nel 1945, sessantasei anni fa, la sanità periferica era prevalentemente gestita dai Medici condotti. Categoria di ‘privilegiato’ lavoratore che - col malato spesso gravissimo - doveva perennemente arrangiarsi da solo e quindi saper fare tutto, dal cavadenti all’ostetrico, dal pediatra all’igienista, dal chirurgo al ...veterinario. Quotidiana solitudine e responsabilità morale; senza sussidi tecnologici, il rapporto era prevalente di sconforto, erboristeria e paccottiglia. I contatti col farmacista dovevano obbligatoriamente essere stretti: non solo per la reperibilità, ma anche la prescrivibilità delle cure, la maggior parte non ancora inscatolate quali specialità, ma preparate nel retrobottega in forma galenica (Prendi: 30 grammi di ..., venti grammi di ..., ana di ... – Segna: mescolare bene prima dell’uso – Usa: un cucchiaino di polvere in cachet – era un’ostia da bagnare su un cucchiaio - dopo i pasti principali); per l’ipertensione le sanguisughe, per i dolori le coppette col fiammifero, per le coliche l’oppio o derivati (laudano specialmente); per ricostituente l’olio di fegato di merluzzo e l’olio di ricino quale toccasana generico per ‘depurare’ l’organismo;. Per o sciô mêgo, allontanarsi dalla condotta era possibile solo col consenso del sindaco; lavorava 365 giorni all’anno non avendo diritto a festivi, ferie e tredicesime e se non si trovava un sostituto; era considerato un ‘missionario’ (perché spesso non si faceva pagare... rimane famoso ancor oggi, il ‘per ora, grazie!’); non esistevano mezzi rapidi di comunicazione (rarissimo il telefono), né di spostamento (con l’avvio del detto classico: “potevo anche morire...”; biciclette e muli – solo i più ricchi possedevano una auto propria, ma appena fuori città, le strade erano ancora tutte sterrate); né di indagine (se non il fonendoscopio, la propria cultura e una buona dose di intuizione), né di aggiornamento (non se ne parlava proprio: ed esso è rimasto un fai da te per altri quarant’anni); i ricoveri erano rarità (per molti, l’ospedale era a pagamento; non esisteva un Pronto Soccorso; nascevano allora le mutue, eredità di un principio di assistenza sanitaria fascista, ma relative solo ai vari settori di lavoratori. Poco alla volta, questo tipo di professionismo fu cancellato, prima dalla pratica, poi dalla legge.
Negli anni settanta a livello universitario esisteva ancora la goliardia, ed appena laureati – se non si rimaneva nelle cliniche universitarie a far carriera – c’era la possibilità immediata, specialmente nelle città e con l’organizzazione delle mutue, di diventare un Medico di famiglia, perché incaricato di tutto il nucleo familiare, ma meglio conosciuto come “o mêgo da mütua”. Ancora per lui era riservato l’asciugamano di lino (dopo la visita; ancora negli anni ottanta, stupivo i familiari quando chiedevo di lavarmi anche prima della visita); i ricoverati restavano in reparto sino “alla guarigione” (quindi decine di giorni... qualcuno addirittura ‘svernava’ nei reparti); non esisteva la guardia medica e quindi possibili e frequenti le chiamate notturne senza possibilità di ricupero il giorno dopo; né esistevano pesanti limitazioni agli stupefacenti mentre i rari tossicodipendenti finivano all’ospedale psichiatrico; né i centri cardiologici per cui gli infartuati morivano in casa; il Pronto Soccorso era praticamente limitato alla chirurgia. Esisteva ancora uno stretto rapporto con i farmacisti, sempre determinato dalle chiamate di viste domiciliari per i tanti che non avevano il telefono ma anche perché – se di turno, aperte anche di notte – e spesso punto di ritrovo per scambi culturali ma anche bisbocciate e scherzi da ultima goliardia. Gli stitici se la cavavano con i coleretici-colagoghi ancor oggi in commercio ma allora ‘passati’ alla mutua; per l’ansia la valeriana e inutili prodotti tiroidei; per gli svenimenti era d’uso la Coramina: venti gocce e via!; per le coliche la Baralgina endovena; per le polmoniti antibiotici iniettati intramuscolo con siringhe di vetro, sterilizzate tramite bollitura ed aghi di acciaio ma multiuso (e quindi dopo un po’, spuntati... con conseguenti frequenti ascessi glutei).
Poco alla volta, anche questo tipo di professionismo è stato cancellato.
Da una ventina d’anni i Medici si chiamano “di medicina generale” e sono cambiati; non loro professionalmente: la maggior parte vorrebbe ancora ‘fare il medico’; ma prevalgono la burocrazia, la fretta, la rivalsa legale, la spesa regionale, i computer, la spedalità ipertrofica...
Non sono ancora capace di predire il futuro, ma tutto prepara il terreno perché anche questa figura scompaia per Legge. Sarà quel che sarà, e chi vivrà vedrà.
ALLEGATO 15 - le allergie
Il nostro corpo è composto da – diciamo simbolicamente per capirci – mille sostanze chimiche.
In natura, di sostanze chimiche ce ne sono molte di più: ... diecimila. Quando una delle novemila non componenti il nostro corpo, entra nel sangue (può penetrare attraverso le vie respiratorie, digerenti, la pelle, ferite, ecc.; viene chiamato ‘antigene’) il nostro organismo possiede delle cellule che iniziano a produrre una sostanza chimica (detta ‘anticorpo’) mirata a bloccare e poi espellere specificatamente l’intruso. Un po’ come se per ogni chiave che entra, si producesse una toppa adatta solo a quella chiave. Dai pollini ai germi, dai virus al veleno delle vespe, dalla saliva delle zanzare a ... ogni giorno entrano migliaia di sostanze estranee; ciascuna viene bloccata e resa inoffensiva da questo sistema protettore; e senza la nostra partecipazione attiva. E il bello è che, una volta che l’organismo ha prodotto la molecola di difesa, non se la dimentica più per tanto tempo (alcune, tutta la vita) e rimane in stand-by nella produzione se non arrivano aggressioni. Quindi, nel sangue di un vecchio, girano migliaia di anticorpi i più svariati; mentre nel sangue di un bimbo non ce ne sono e il suo organismo deve gradatamente farseli (e lasciate che se li faccia...).
Appare ovvio che se una seconda aggressione è massiccia ed improvvisa, prima che le difese compensino l’invasore, avviene una lotta inizialmente impari a vantaggio dell’invasore, che si traduce in arrossamento (corrisponde ad una aumentata vascolarizzazione del terreno di scontro, col fine di un maggiore apporto di difese e migliore eliminazione dell’intruso) il quale comporta calore (febbre), gonfiore e dolore.
Capita per una alta percentuale di persone (oltre due su dieci) che, delle migliaia di molecole estranee che entrano, il loro organismo non è capace di produrre quelle difese specifiche contro uno o più degli intrusi: l’aggressore non trova ostacolo alcuno e dal punto di contatto invade (mucosa nasale o bronchiale o intestinale; pelle; ecc.) scatenando così una lotta tra il fattore esterno e un altro sistema di difesa generico di riserva: l’istamina. Questa sostanza è contenuta in alcune cellule del nostro corpo e viene liberata quando avviene l’aggressione e l’antigene non ha prontamente bloccato l’intruso. L’istamina ha una forte azione vasodilatatrice locale (positiva, per aumentare l’afflusso di sangue); ma anche con conseguenze negative tipo trasudazione di siero dai capillari eccessivamente dilatati e conseguente edema o bolle o liquido nasale o tracheale, prurito, ecc.). Essendo l’istamina una sostanza energica ma altresì pericolosa, il nostro corpo è capace di produrre altre sostanze adatte a contenere eventuale una sua esagerazione: l’adrenalina ed il cortisone.
Tra tutti, esiste una regolamentazione protettiva che prevede al massimo tutte le eventualità.
Si iniziano gli esami, con test generici tipo Prist e, nell’emocromo, il conteggio degli eosinofili (ricchi di istamina). Poi, i laboratori di analisi, sono capaci di testare (Rast) un migliaio di sostanze che potrebbero produrre allergia; sia con prove sulla pelle e sia direttamente nel sangue (e quest’ultime, attraverso la ricerca delle immunoglobuline specifiche, con valutazione di immediatezza dell’aggressione o di solo stand by).
Questi test, in caso di incertezza causale, concentrano gli aggressori, dapprima in gruppi (Mix) e, se uno sarà positivo, si potrà in un secondo tempo valutare i suoi singoli componenti. Così esistono Mix erbe, Mix farine, Mix muffe... alberi, acari, parassiti, insetti, polveri, epiteli (di gatto, cane, pecora, oca, perfino topi, galline e criceti ...), tessuti (tipo lattice, cotone, nylon ...), farmaci, pollini, alimenti (anch’essi, colpevoli: dal salmone ai fagioli, dall’aglio al prezzemolo...), professionali (tipo vernici, diluenti...), minerali (cromo, piombo...).
Solo nel caso di non comprensione totale del colpevole, si inizierà con i ‘pannelli’, ciascuno comprendente 7-8 mix, concessi dalla USL con relativo ticket; suddivisi tra gli inalanti o da contatto o alimentari o professionali o ... (ne sono concessi tre per ogni ricetta).
Il soggetto deve porre attenzione alle concomitanze delle sue reazioni allergiche con uno dei su elencati antigeni; per indirizzare il medico nel chiedere gli esami idonei più vicino possibile all’agente causale.
Nell’equilibrio tra tutti questi fattori aggressivi, esterni ed interni, perennemente in lotta con il nostro organismo, si svolge la nostra vita quotidiana, che li ignora, dando la preferenza alle ansie (per i soldi, per invidie e per passioni) ma anche – auguriamo a tutti – all’amore... purché esso sia senza troppo prurito.
ALLEGATO 16 violenza - riprendiamoci SPdA
L’espandersi di un virus nel corpo umano è strettamente dipendente dalle tutele che l’organismo invaso ha a disposizione e mette in atto per proteggersi. Non servono gli antibiotici: solo le personali difese immunitarie possono salvare quell’organismo dalla malattia
Lo stesso avviene per i malavitosi che hanno invaso il nostro tessuto urbano; più la cittadinanza solo mugugna ma non si difende, e più essi riescono a prendere sopravvento: non c’è limite alla spudoratezza di chi si sente forte, ma non della propria forza, quanto della debolezza dell’avversario. Se la cronaca cittadina è ricca di ripetuti affronti alla morale, all’etica ed alla salute tra le tante cause una la ritroviamo appunto nella carenza di difesa. E questa, in ambito sociale ha un nome: ‘carenza di identità’. Quindi sia chiaro: qui trattiamo non tanto le colpe degli altri, tante o poche, decisive o incoscienti, quanto della nostra.
Se tutti gli sconvolgimenti sociali avvenuti negli anni dieci anni, hanno allentato la compattezza dei cittadini sampierdarenesi, determinando la sfilacciatura – fino quasi alla perdita - della propria personalità, notiamo innanzi tutto due cose determinanti: primo, che non esiste antibiotico che venga dall’alto a salvarci; e secondo, che se solo perdiamo tempo a cercare i colpevoli compileremmo un sterile ed inutile elenco di personaggi sopra e alla pari di noi che però servirebbe a poco per ‘salvare’ questo tessuto invaso.
È tipico del ligure il ‘mugugno’; ma è altrettanto tipico far scattare quel meccanismo di autodifesa che lo ha sempre contraddistinto nella storia genovese. Lo dimostrano nei secoli le mille difficoltà della nostra terra, con periodi di carestie e malattie, guerre ed invasioni di ‘foresti’, che Genova ha risolto solo e sempre in virtù della compattezza dei propri cittadini.
Pertanto, in pratica, molto più utile è quello che ha pensato il nostro sindaco del Municipio, Marenco: quasi novello Balilla, ha deciso far reagire la cittadinanza. Così ha organizzato un incontro dei suoi cittadini, che debbono tutti assieme rinforzare le difese. Non è un’idea da poco: il numero darà la forza e la dimostrazione di una conformità di idee. Momentaneamente appare essere questa la strada buona per salvarci dalla malasorte di avere in casa ospiti non graditi. Solo reagendo fieramente compatti gli uni con gli altri, si potrà creare una barriera che, inizialmente solo numerica diventerà alla fine un decisivo e forte messaggio alla controparte malavitosa: che i cittadini la rifiutano, sia lei che la nomea di territorio pavido e squallido. (nel testo pubblicato sono state aggiunte un setto-otto righe).
ALLEGATO 17 - RUMENTA
Noi riferiamo le segnalazioni dei cittadini, e le giriamo all’Assessore di competenza, partecipi della necessità di essere in due a svolgere un servizio, riconosciuto doveroso sia legalmente che moralmente. Notiamo che le regole non arrivano a conoscenza di una parte dei due; sappiamo che l’ignoranza non è una scusa, ma quando gli ‘ignoranti’ iniziano ad essere tanti, equivocando sui doveri reciproci qualcuno dovrebbe farsi un breve esame di coscienza.
Gli eventi di Napoli fanno intendere che dietro alla raccolta ci sono interessi cospicui ed appetitosi; siamo certi che nel nostro Comune questo non avviene, sia perché molto attento a queste speculazioni sia perché il servizio – in generale – viene svolto con regolarità; anche se ogni tanto dei flash su Scarpino, sui depuratori non funzionanti, su progetti e progetti nessuno realizzato e con ogni volta costi incrementati in modo esponenziale, ci lasciano un po’ sgomenti.
Così sottolineiamo che sono troppi quelli che hanno le idee confuse sulla differenziata – sia come sottolinea la nostra lettrice - di fronte alle innumerevoli qualità di spazzatura; sia sulla distanza e comodità di collocazione; sia sulla destinazione finale ed altro (che non ci compete, anche se ci incuriosisce).
Già in altri numeri abbiamo scritto sul tema rifiuti. Nel mese scorso una lettrice ci ha coinvolto con i cassonetti di via Scaniglia: non c’è stata risposta né partecipazione alcuna da parte di chi è competente. Forse siamo troppo piccoli per degnarci di una attenzione? (l’antico “ragazzino lasciami lavorare”! in questo caso “lasciami dare le multe”!).
Riferiamo quello che sappiamo noi, sperando in eventuali correzioni/precisazioni da parte dei responsabili del servizio.
L’AMIU: La società svolge tre mansioni di base: igiene del suolo (strade e marciapiedi); raccolta dei cassonetti verdi (e piazzola di collocazione); raccolta della differenziata nelle isole. In relazione al secondo e terzo sevizio, sappiamo che su ogni campana c’è un adesivo con indicazioni di massima; la Società pubblicò a suo tempo un pieghevole, indicando dalla A alla Z le regole, ma un nostro breve sondaggio è che nessuno ricorda averlo avuto per le mani ed ovviamente lo ha conservato; per i capaci di internet fornisce informazioni nel suo sito; per i muniti di auto si danno verbali indicazioni nelle isole ecologiche. Nel particolare della differenziata:
-il servizio a domicilio di oggetti ingombranti, sono gratuiti? A Busalla, per esempio, si: basta prenotare in Comune.
-le qualità di plastica: tutte? Facile per le bottiglie; ma i contenitori comprendono la vaschetta del gelato e quella che contiene i salumi venduti al supermercato? vale altresì dalla busta che racchiude le riviste all’espanso dei computer?
-vetro e carta: sono ovvi. Anche se il primo quasi mai solo tale e spesso misto a plastica o metalli. E nella carta anche i tetrapack del latte e vino; ma il cartone degli scatoloni? Il cellophane?
-metalli. Capito le lattine... di latta, da mandare insieme alla plastica. Ma l’alluminio, il ferro, i cavi, certi mobili...
-olio di scarto. Sappiamo che esiste una raccolta, solo un giorno alla settimana e solo in largo Gozzano. Non è un po’ troppo poco e disagevole per troppi, visto la conformazione del nostro Municipio?
Se è tanto o poco quello che sappiamo, aspettiamo una breve risposta dall’AMIU; disposti a pubblicare le loro più ampie e dettagliate linee guida in un inserto o uno ‘speciale specifico’ (non gratis ovviamente, ma con enorme vantaggio per il servizio).
ALLEGATO 18 - San Pier d’Arena nel 1500
Per una persona – e altrettanto per una città - è questione di vanto e di fierezza d’animo possedere una nobile – intesa di alto spirito – identità.
Avere identità per una città significa sentirsi elemento trainante una comunità; significa riuscire a far commuovere ed emozionare i concittadini ai suoi simboli e facendo condividere pregi e difetti; ovvero infine cercando di farli partecipi collaboratori nello sforzo giornaliero di migliorare sapendoli compatti con gli stessi fini.
Se la dirigenza municipale riesce in questa impresa, credere ed identificarsi in essa è, per il cittadino, un qualche cosa che vale molto anche, di ritorno, nella sua stessa esistenza.
L’identità si apprende in casa, molto a scuola se l’insegnante la condivide, e leggendo. Infatti un modo per raggiungerla - al di là delle iniziative pubbliche – è conoscendo le proprie radici, specie quando esse sono meritevoli di citazione.
Come quella sotto descritta e tratta da un libro edito postumo nel 1537, scritto dallo studioso mons. Agostino Giustiniani, intitolato “Castigatissimi annali” riferiti al Dominio della Repubblica di Genova.
Nelle pagine egli aveva dedicato molto spazio alla “Descrittione della Lyguria”, e tra esse, abbondanti righe su San Pier d’Arena. Prima di citarne alcune, concedetemi brevemente di descrivere l’autore: nato nell’anno 1470 - figlio unico - da nobile famiglia, a diciassette anni decise farsi frate domenicano. Talentuoso e studioso, da giovane viaggiò molto in Europa, predicando e scrivendo molti saggi religiosi compreso una traduzione della Bibbia nelle cinque lingue da lui conosciute. Finché, a Roma, all’età di 44 anni venne nominato vescovo di Nebbio in Corsica. Dopo una parentesi francese alla corte del re Francesco I il quale gli assegnò la cattedra all’università di Parigi di lingue orientali, tornò a Nebbio dedicandosi interamente oltre all’apostolato ed a spendere le sue risorse economiche nel territorio, agli studi della sua terra. Durante una traversata per tornare alla sua sede, morì per naufragio all’età di sessantasei anni.
Visse l’esatto periodo del trapasso del nostro borgo, da modesto insediamento di pescatori e contadini con rade case signorili, a vera zona residenziale di alto lignaggio. Nel libro su detto, scrisse ”nobil villa nominata S. Pier d’Arena… con chiesa parrocchiale S. Martino ... ha cura di mezzo Promontorio, ...contiene 325 case delle quali ve ne sono 113 di cittadini ed il restante di paesani: è in questa villa il monastero di nostra Donna della Cella, di frati eremitani di S. Agostino, ... monastero di S. Maria del Sepulcro dove già abitavano monache ed al presente resta deserto: vi è una cappella di S.Antonio ed un’altra nominata de’ Cibo, ed un’altra, contigua alla casa di Andrea Imperiale ... contiene una piaggia tanto comoda al varar delle navi, che non potrebbe esser più; e par che la natura l’abbi fabbricata a quest’effetto. Le case de’ cittadini con li giardini e ville loro sono magnifiche e in tanto numero che accade a’ forestieri, quali passano per S. Pier d’Arena …costoro sendo in S. Pier d’Arena si credevano essere in Genova; e certo la magnificenza di questi edificj e l’amenità de’ giardini … hanno fatto scrivere al Petrarca, che la beltà e superba edificazione delle case di Genova è stata vinta e superata dalla fabbrica delle sue ville... Si fa un mercato ogni settimana assai celebre, e si trovano in la villa tutte le cose necessarie al vivere senza che la persona sia necessitata venire alla città”.
Non credo sia necessario commentare queste righe, per trovare in esse un motivo di fierezza, rammentando la assoluta obiettività dell’autore, non avendo vissuto nel nostro borgo e, presumo interpretando la terzultima parola, solo passatoci in carrozza per andare in famiglia a Genova.
EBaglini
ALLEGATO 19 - L’insonnia
Il sonno, ormai tutti sappiamo, è divenuto materia di studio a se stante, in appositi centri (per noi genovesi, all’ospedale della Colletta), con statistiche ampie, coinvolgenti mezzo milione di adulti e quasi trentamila bambini, alla ricerca di una valutazione del suo ruolo nella vita e nella funzionalità degli altri organi. Il sonno fisiologico ha un andamento ondulante irregolare ed asimmetrico, distribuito nelle sette-otto ore necessarie: se lo stato di veglia è “quota zero”, nelle prime cinque ore la coscienza scende in profondità, a quota -5 per tre volte (detto sonno profondo), ma per un tempo sempre più corto (ad esempio la prima volta un’oretta, poi 20’, poi pochi minuti). Negli intervalli, ogni volta risale a quota -1 (detta fase REM) per un tempo invece sempre più lungo (la prima volta 10’, poi 20’ poi 40’). Nelle due-tre ore successive, scende a quote minori, a -4 e -3 per tempi sempre più corti intervallati da risalite a -1 per tempi sempre più lunghi, finché riaffiora a zero.
Sappiamo tutti che un organismo umano può vivere molti giorni senza cibo, molto meno - ma tanti - senza acqua, solo pochissimi senza sonno. Questo significa che se non dormire è mortale, dormire male è assai pericoloso anche se, come tanti altri disturbi è sottovalutato cercando piuttosto rimedio non nell’eliminare la causa ma con l’uso tamponante di qualche farmaco.
Purtroppo, l’insonnia è assai frequente, ed i suoi effetti negativi sono da paragonarsi alla polvere di casa: per pochi giorni non si vede; ma dopo un mese, di più; dopo un anno... ragnatele. Pertanto, quella che desidero rilevare con queste righe, è quella piccola, quella parziale, quella che lì per lì sembra solo moltesta, quella che infastidisce solo il 20% del riposo; ma che è quella che nell’accumulo porta più danni della prima. Sottovalutata dal punto di vista sanitario mentre invece ha pesanti ripercussioni sia sul sistema nervoso (aumento del consumo energetico neuronale per carenza di ‘ricarica’, con conseguente esaurimento delle riserve e ovvia sonnolenza diurna, sino al ‘colpo di sonno’), sia sul comportamento (irritabilità, riflessi più lenti e torpidi, minore lucidità intellettuale e rallentamento mnemonico) e sia infine su altri sistemi: quello ormonale (produzione circadiana del cortisone e ormoni sessuali; stimolo all’obesità), quello immunologico, ma soprattutto quello neurovegetativo (e quindi cardiovascolare), i quali tutti possiedono un fisiologico andamento che è parallelo e di adattamento alle fasi del sonno. Ovvero è lui che obbliga le altre funzioni involontarie a funzionare secondo il proprio ritmo; in particolare - nel gruppo neurovegetativo - la pressione arteriosa e la frequenza cardiaca la cui irregolarità rappresenta – tutti lo sanno - un fattore di rischio vascolare importante.
Ci sono vari tipi di insonnie: le più frequenti sono quella di non riuscire ad addormentarsi; quella dei microrisvegli multipli; quella del risveglio nelle prime ore del mattino e non riuscire a riaddormentarsi. Se l’insonnia, è il non dormire, non è essa il tema da trattare qui, essendo una malattia che chi l’ha... non ci dorme sopra, e va dal medico.
Nell’ambito causale, l’insonnia si fa ricadere nel novero dei disturbi depressivo-ansiosi. L’ansia è un fenomeno – fisiologico sino ad una determinata quantità – oltre la quale diventando patologica; sicuramente interferisce con le varie fasi del sonno. Ma è soprattutto la depressione - pressoché sempre accompagnata dall’ansia - che causa la malattia, specie se è accompagnata da almeno un altro dei seguenti tre sintomi: stanchezza abnorme (specie al mattino quando si dovrebbe invece essere più riposati); abulia (significa carenza di voglia di fare – compreso quella istintiva sessuale - rimandando a dopo lavori e doveri); malinconia vera e propria (pensieri pessimisti e tristi, voglia di isolarsi e piangere, tristezza).
Ovviamente non basta prendere due pillole mirate: con esse si starà meglio, ma non si elimina la causa, la quale, da sola non solo non va via, ma ciclicamente ritorna.
ALLEGATO 20 La psoriasi È una malattia della pelle che rientra nelle infiammazioni di essa, con lesioni di arrossamento (eritema rosso intenso) ed iperproliferazione (squame a placche secche, bianche-argentee), diffuse a chiazze nel corpo, con prevalenti le zone esterne delle articolazioni (nocche, gomiti, ginocchia, lombi). Molto antipatica perché portatrice di pesante disagio psicologico; anche se non è infettiva, appare come deturpante con ovvi problemi di percezione della propria immagine e ripercussioni nella vita di relazione. Appare anche di sgradevole lettura da parte del ‘prossimo’, specie quando essa colpisce parti esposte, per la impossibile differenziazione da altre malattie infettive. È purtroppo abbastanza frequente (3% della popolazione adulta – in genere dopo i 40 anni); ha andamento ciclico cronico recidivante; ha cause non conosciute multiple, in primis genetiche e immunitarie; scatenate da fumo, stress e infezioni; e concretizzatesi attraverso una cascata di coinvolgimento dei complessi meccanismi difensivi e di turnover delle cellule che compongono la pelle (parliamo difficile, citando linfociti T, citochine, interleuchine, interferoni, ...). La classificazione vede vari stadi (lieve, moderata, media, grave) tenendo conto della quantità della superficie del corpo coinvolta, della risposta emotiva (che dipende spesso dall’area colpita, se coperta o no), della resistenza alle cure, di eventuali complicazioni (malattie reumatiche).
È conosciuta e descritta fin dai tempi di Ippocrate (V secolo a.C.) dal quale fu descritta con parole che sono adottabili ai tempi attuali, malgrado siano stati raggiunti numerosi progressi, sia nella comprensione che nella terapia, i quali però non hanno ancora portato alla risoluzione del problema.
I primi farmaci usabili, di modesta efficacia, avevano delle componenti tossiche nella necessità dell’uso a lungo termine, sia topici (pomate a base di catrame) sia generali (dal cortisone alle vitamine A e D, ed a bagni di sole) fino a più recenti prodotti chimici sintetici emollienti e cheratolitici. Queste determinavano l’interruzione della cura sia al primo accenno di miglioramento e sia per sfiducia; cosicché – perso di vista dallo specialista – era necessità ricominciare ogni volta da capo. Migliorarono le possibilità curative, prima con radiazioni di luce ultravioletta poi con la eguale ma più estesa PUVA.
Almeno adesso si è capito che la cura deve essere “su misura” per il singolo paziente, e costante nel tempo: egli “deve” farsi seguire per essere conosciuto sia psicologicamente e sia nei tipi di risposta immunitaria personali potendo usare le moderne ciclosporine e prossimamente i farmaci biologici di nuova generazione (composti da molecole di selezionati anticorpi, capaci di attaccare ed interferire sui processi infiammatori - che poi sono alla base della suddetta cascata che porta alla dermatite. Ma non essendo ultimato il loro studio - occorrono dei lustri - sebbene i risultati appaiano soddisfacenti e promettenti non è ancora possibile ottenere l’indicazione specifica al trattamento della psoriasi.)
La ricerca scientifica è però un po’ “alle corde”; mille piccoli segnali e scricchiolii, avvertiti solo da chi vive nell’ambiente, fanno presagire i dannosi effetti che diverranno evidenti negli anni prossimi futuri: il nostro Stato non spende per essa, e quindi dipendiamo totalmente dalle grosse aziende estere e dai loro guadagni. E poiché è una parte di essi che viene riversata negli studi del settore farmacologico, le multinazionali accusano un pesante mancato guadagno causa il dilagare dell’uso del farmaco generico: esso fa risparmiare le Regioni, ma non paga la voracissima e sperimentale ricerca. Se prima esse – forse esagerando - ‘sguazzavano’ con il prezzo, dall’altro sono le uniche che reinvestono nel settore. Il ripetere “non ci sono soldi” è un mostruoso serpente che si mangia la coda; tutti hanno una fetta di ragione che ostentano come il tutto, ma more solito e alla lunga, ci rimetteranno i più deboli.
ALLEGATO 21 SPdA come era (pubblicato modificato) Questa antica foto, risale al 1917, anno di costruzione del padiglione 7 dell’ospedale. Innanzi tutto, per avere dei punti di riferimento che rimangono ancor oggi - in basso a destra – la fila delle prime case di via san Bartolomeo del Fossato. Invece, a fianco, a sinistra di esse, una villa seicentesca, con facciata decorata e con torre - che nella carta vinzoniana del 1756 era della famiglia di Giuseppe Ghiara (blu), proprietaria di molto terreno di quella fascia che scendeva al torrente /riga nera). All’epoca delle foto vi avevano sede le suore di sant’Anna con il loro collegio- orfanatrofio femminile, (quelle che accompagnavano i funerali); probabilmente collocate nella palazzina a sinistra della torre, prima che esse si trasferissero in via Currò nella villa Durazzo. Adesso nella parte alta del terreno di proprietà, dove erano tutti orti, c’è via Vinzoni ed a scendere, a tornanti, via Balbi Piovera.
Cerchiamo di leggere le numerose varianti rispetto oggi, confrontandola con un particolare della carta del Vinzoni del 1757: rispetto la carta, la foto è vista con il levante alle spalle, con direzione visuale nella freccia verde scuro: in basso (celeste) via Daste e le due ville (fucsia) non visibili nella foto, di villa Imperiale-Scassi e del duca Spinola di San Pietro; in rosa il vico Imperiale (oggi, dal basso, prima via Damiano Chiesa, poi GB Botteri che delimitano i giardini di Villa Scassi).
Tornando alla foto, a sinistra della precedente, la distrutta cinquecentesca villa del “prencipe di Francavici” (rossa) con tetto a pagoda e torre ancor oggi eretta e isolata, detta “dell’Ospedale”.
Non è leggibile nella foto se non ingrandendola, la scritta in rettangolo bianco sul muro di cinta che reclamizza una sconosciuta “FORTzza AZIENDA AGRARIA”. E sotto esso, dei terreni coltivati dove ora scorrono via Balbi Piovera e via Pascoli.
Dietro gli alberi a monte di detta villa, si intravede l’ingresso dell’ospedale, con a monte i padiglioni 3-4 e sopra 5-6 e sopra ancora il 7 in costruzione. Si vede alla base di questi padiglioni il muro (rosa) che delimitava la proprietà dello Scassi sino a Promontorio (in buona parte il muro di cinta verrà distrutto e l’ospedale si allargherà di un cento metri verso est – linea verde chiaro: dove ora scorre via Fanti).
Sulla cresta dei colli, in alto, i due villini ottocenteschi di salita Belvedere con sotto essi una grossa villa oggi demolita e sostituita da case abitative; e sopra l’attuale Orfanatrofio Antoniano, ex villa De Franchi; e al culmine – in alto a destra - il santuario di Belvedere.
ALLEGATO 22 ASSOCIAZIONE ZENA ANTIGA
Per contatti – Presidente ANGELO REBAGLIATI tel. 010 3728686 - 347 9181915
Coordinatrice MILENA MEDICINA tel. 010 9826000 – 347 1649339
Ha sede in San Pier d’Arena un gruppo musicale che cura un particolarissimo repertorio, caro a tutti coloro che non vogliono dimenticare le proprie radici ed anche a coloro che, meno giovani, desiderano riscoprirle.
È l’associazione “Zenantiga”, ente culturale senza scopo di lucro, che dall’anno 1998 cura il recupero e la diffusione – attraverso una rigorosa esecuzione dal vivo- del canto tradizionale ligure e genovese in particolare.
Il “vero” canto tradizionale, sottolineano i responsabili: cioè le “espressioni musicali” di un tempo: le filastrocche dei nonni, le serenate, gli stornelli, gli aneddoti di vita vissuta …; le mille forme, insomma., del ” racconto popolare” in musica.
Sono i componimenti poetici –ormai quasi perduti - di un popolo non colto: autori sconosciuti che hanno scritto e musicato, senza probabilmente conoscere la grammatica e le note, i più importanti momenti della loro vita cittadina e contadina, gli eventi storici dell’epoca, i disagi e le difficoltà quotidiane di chi combatte per la sopravvivenza. Eppure sono componimenti pieni di gioia di vivere, di arguzia, di ironia.
Purtroppo il recupero di questo importante patrimonio storico, che ci offre informazioni interessanti perché genuine, è avvenuto piuttosto tardi in Liguria: pertanto molto si è perduto. Resta ancora ciò che è stato tramandato oralmente ad opera dei nostri nonni e bisnonni.
L’esecuzione offerta dal Gruppo (quattro strumenti e quattro voci) è sempre diretta (dal vivo) ed illustrata ( i brani vengono introdotti). Lo spettacolo risulta divertente, i canti sono quasi sempre gioiosi e pieni di atmosfera, e…colorati: gli artisti, infatti, vestono i costumi della Genova della prima metà del 1800; antichi abiti che rappresentano i mestieri di piazza: venditrici di canestrelli, farinata, stoffe ; “camalli”, contadini, pescatori.
Lo spettacolo diventa una sorta di percorso immaginario nella Genova di un tempo, attraverso la rievocazione di luoghi ed ambienti perduti, di personaggi della vita agreste e cittadina, di episodi che riflettono usi e costumi di allora, di momenti storici collettivi (l’emigrazione…), ecc.
A fianco del repertorio tradizionale il Gruppo propone poi molti pezzi d’autore, scritti dai grandi musicisti e poeti genovesi di inizio secolo Novecento (si ricordano, ad esempio, l’immortale “Ma se ghe penso” e poi “Piccon dagghe cianin”, “Cheullia donde t’è”…)
Il Gruppo collabora con l’Associazione “A Compagna” e, attraverso questa, ha recentemente realizzato, su incarico del Comune di Genova, un CD destinato ai “nuovi nati”. Si tratta di una raccolta di filastrocche della tradizione genovesee della prima infanzia, nate come “ninne nanne” od utilizzate come tali. Il CD viene donato dal Comune di Genova a tutti i bimbi, di qualunque etnia, nati nel nostro Comune. Un atto d’amore della città nei confronti dei futuri cittadini e che vuol essere: un piccolo, iniziale legame con il territorio nel quale vengono alla luce.
Zenantiga ha scopi culturali e non di lucro; ha prestato – e presta - la propria attività sul territorio ligure e non solo: ha partecipato a trasmissioni televisive nazionali e si è aggiudicato importanti premi nel corso di manifestazioni fuori Genova (Albenga, Carloforte); è disponibile ad offrire interventi anche presso comunità, circoli, residenze assistite, parrocchie; in ogni occasione, insomma, in cui il ricordare insieme le atmosfere di un tempo possa contribuire all’informazione, al divertimento, all’emozione, alla reciproca conoscenza. Il Gruppo – in festante e gioiosa comunità - raccoglie materiale, esperienze, idee, volontari ed appassionati. Non utilizza basi musicali; si esibisce sempre dal vivo con strumenti propri (fisarmonica, chitarre, violino se disponibile). Possiede amplificazione propria per esterni ed interni. È in regola con le disposizioni di legge disciplinanti le associazioni no profit e gode di regolare agibilità Enpals (è iscritto alla FITA) . Può rilasciare fattura o regolare ricevuta.
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ALLEGATO 23 Leoni
Il nostro Municipio trova nella consigliera ___ l’impegno di riportare i leoni del giardino di villa Imperiale-Scassi a San Pier d’Arena. Se non è possibile reinserirli nel giardino, almeno portarli nelle sale del Municipio o della villa stessa, comunque ‘a casa loro’.
Attualmente ‘ricoverati’ a sant’Agostino, ce ne sono due in migliori condizioni e due necessari di un restauro che si aggira sui 2500-3000 euro di spesa, Allo scopo il Municipio è alla ricerca di uno o più sponsor che sentano, in queste statue, uno dei simboli della nostra città non essendoci bambino nato qui che non abbia una foto a cavallo dei due leoni posti da secoli sopra il grande ninfeo; e quindi rientranti nella ricerca di ricupero dell’identità sampierdarenese promosso dal presidente Marenco con il titolo “riprendiamoci San Pier d’Arena”.
Pagelle
Tra le iniziative che verranno messe in atto dal Municipio ad inizio anno scolastico, ci sarà anche la premiazione solenne degli studenti che nelle varie scuole sampierdarenesi, nello scorso anno, hanno riportato le migliori pagelle. Un dovuto riconoscimento alle ‘promesse’ di futuri dirigenti.
ALLEGATO 24 L’ULTIMO MURO = LA COSCIA
Il muro nella foto, assomiglia ad un rudere causato dalla guerra; ma i due camion di recente produzione ci portano a tempi più recenti: circa dieci-quindici anni fa, alla Coscia, per esattezza. Chi come me ama la storia, ad ogni pagina di libro legge che la natura ha creato e l’uomo – egoisticamente fregandosene - ha distrutto; addirittura che l’uomo ha fatto e poi un altro simile ma insensibile e sempre egoista, ha distrutto.
È il caso della Coscia: madre natura aveva creato il colle di san Benigno, sulla punta a mare del quale fu posta la Lanterna; dalla nostra parte, a ponente, il colle stesso precipitava in ripidissima scogliera prima che la piana si allungasse per circa un chilometro lungo la spiaggia. L’angolino, tra la scogliera e la spiaggia, i nostri avi lo avevano chiamato “la Coscia”, non si sa bene perché, si presume per la somiglianza, dal mare, della parte della gamba con al posto del piede la Lanterna. Nella primitiva caletta, un poco più larga ma simile a quella di Boccadasse, i nostri vecchi avevano costruito un primo insediamento abitativo di quello che poi diverrà borgo e che verrà chiamato “Sanctus Petrus Arenæ” – se si accettano origini romane; Santi Petri Arene, se medievali come riportato nei ‘libri iurium’ nei quali nell’anno 1142 viene per la prima volta nominato il nostro paese, già però Comune a sé, ben organizzato anche con servizi di guardia sulle torri tutt’ora esistenti seppur ‘ben’ nascoste.
Casa più, casa meno, sino al 1920 circa percorrendo l’attuale via De Marini si sbucava in Largo Lanterna, lievemente rialzato, dal quale o si saliva alla Lanterna, o col tram si imboccava la galleria che sbucava in via Milano, o si scendeva sulla spiaggia, ai bagni Margherita, fatta di fine ghiaino. Unici edifici industriali, i depositi di Carpaneto e quello dei primi tram trainati da cavalli, gli Omnibus. La decisione di allargare a ponente il porto, cosa auspicata da Garibaldi stesso, comportò lo sbancamento del colle, l’appiattimento della zona, l’affidamento dell’edilizia a complessi industriali sempre più grossi: prima i ‘Docks Liguri’, poi l’oleificio Costa, l’elicoidale alla camionale, oggi i grattacieli del complesso san Benigno il cui nome nell’indifferenza totale, si propone per ‘rubare’ quello antico di Coscia.
Il rudere della foto è una delle ultime case popolari a resistere all’assalto del ‘foresto’: cacciati via i sampierdarenesi, da prima i poveri romeni che ne fecero uno scempio, poi le ruspe (ecco la foto) per fare un nuovo grattacielo. Infatti, nel posto dove era la spiaggia, allo attuale sbocco di via Balleydier in via P.Chiesa, è sorto un nuovo grattacielo, che ha, nelle profondità delle sue fondamenta, il ghiaino descritto sopra.
Sarebbe bene che i giovani, che trovano tutto fatto e stravolto, non mettessero in cantina i ricordi e, aiutati dai ‘veci’, facessero vivere l’antico angolo almeno con la fantasia.
ALLEGATO 25 Medicina = STALKING e VIOLENZA
Giudicando l’attore: si chiamano 'bassi istinti', quelli animaleschi, quelli che i genitori debbono insegnare ai bambini da dominare, assieme a non farsi più la popò addosso, a mangiare con le posate, a procedere mano nella mano; quelli che poi da più grandi sfoceranno nel bullismo, nei maltrattamenti degli animali, negli iracondi e violenti in ogni senso. È educare l’autocontrollo a 360°. I genitori che non possono o non ci riescono, si affidino a chi può dare una mano: educatori di arti marziali, di scoutismo, di sport grintosi (rugby, vela, ecc.)
Ormai adulti, dalla parte della vittima, sono statisticamente le donne ad avere la peggio: sta divenendo chiaro a tutti che qualsiasi tipo di aggressione subita, lascia tracce indelebili, fisiche, o psichiche perché modificano la sicurezza dell’io. Parliamo di violenza fisica (pugni, schiaffi, calci), ma anche psicologiche (tradimenti, bestemmie, furfanterie, ricatti, fuorvianti mascolinità fatte di egoismi e basse bramosie extranaturali). Serie ricerche scientifiche hanno appurato che il 30% delle gastrocoliti ha una storia a monte di ansietà da maltrattamenti (fisici o sessuali); che tra due gruppi (uno che ha subito stalking, ed altro pari numero che no) il primo è soggetto a cure psicofarmacologiche cinque volte di più; e addirittura venti volte di più i tentativi autolesivi e la dipendenza da alcool (che diventano ventisei volte di più nella violenza sessuale). Se si pensava che la gravidanza proteggeva la puerpera dalla violenza, in chi l'ha invece subita è appurato che anche il feto rischia di sviluppare poi disturbi ansiosi o allergici in percentuali nettamente superiori. Nel caso di violenza su minori, la differenza tra una sgridata ed una 'urlata', tra uno sculaccione e inconsulti 'colpi di mano', sono determinanti nel gestire il potere del genitore a mezzo del terrore (ottenere dei risultati instaurando la paura e non il convincimento: il recente caso nei paesi scandinavi del genitore mandato in carcere per aver afferrato il figlio per i capelli): perché non corrispondono alla vera 'educazione' che ci si aspetta da un genitore.
Quei pochi casi che giungono al Pronto Soccorso, i più - favoriti dalla fretta degli operatori impegnati spesso in situazioni di più immediata gravità o di fronte ad un numero di pazienti arrivati che quindi impediscono fare con calma una differenza tra lesione accidentale e da violenza, e favoriti altresì dalla carenza di idonee strutture psicologiche recettive - sono soggetti alla sindrome della 'passiva accettazione'. È questa una forma di masochismo, causata dallo scompenso tra desiderio di giustizia e paura del raccontare la verità dovendo reintrodursi nell'ambiente sociale nel quale la violenza è stata subita. Determina racconti di incidenti domestici o occasionali, tali da impedire il riconoscimento delle conseguenze e del reato: mentre solo il 12 percento denuncia la verità, a significato che nella valutazione istintiva tra pro e contro per l’88% le 'botte familiari’ sono il meno, rispetto le grane (domicilio, dipendenza economica, avvocati, solitudine) che comporterà una denuncia del fatto, anche se ripetuto e ripetibile. Nella politica sanitaria attuale, mirata non alle prospettive preventive future ma all'immediatezza del rendiconto finanziario, ai quali la psicologia interessa poco (cosa succederà domani, ci penserà chi arriverà domani e saranno problemi suoi e di chi ora inizia un iter psicopatologico che invece potrebbe essere bloccato), non si tiene conto che il non offrire una rete di servizi psicologici adeguati, alla fine determina un deficit economico di ben peggiori proporzioni – anche se non quantificabile in modo preciso - legato non solo alle cure immediate dirette, ma anche a quelle indirette come il diminuito rendimento e le cure delle lesioni fisico-psichiche descritte sopra.
Quello che stupisce è la presenza, di fronte al violento, di donne che confondono amore e dedizione con schiavitù o servitù; decidono di sopportare e dedicare la propria vita a questi esseri indegni; e continuano a farsi del male maturando l'illusione di essere capaci di saper cambiare i difetti dell'amato. Ed è su queste illusioni che sopravvivono e vivono di rendita quei super eroi; i quali – a chiacchiere e molto spesso capovolgendo il tema – persino si dicono stufi di 'sopportare' donne così melliflue ed incapaci di dignità (levatemela di torno!). Per costoro, il cerchio si chiude se torniamo ai genitori che avrebbero dovuto educarli; ed alle strutture sanitarie per le quali tutto questo sono minuzie ingigantite dalle femministe.
ALLEGATO 26 i TEST universitari
È mio personale parere che i test di ammissione universitaria, sono assurdi, offensivi ed anticostituzionali.
Assurdi perché con essi si impedisce ad un giovane - dopo aver studiato per tredici anni mirando a quella meta sino alla fine, da “maturo” non poter realizzare il suo futuro: cosa fare dopo una laurea, è decisione del singolo (per cultura sua non finalizzata al lavoro, per andare all’estero o per altro lavoro) che deve essere tutelata. Offensivo perché con essi si sottintende che i docenti liceali hanno promosso degli immaturi; e quelli universitari sono incapaci di selezionare chi studia da chi non sa, chi frequenta e si prepara, da chi si iscrive perché altrimenti dovrebbe andare a fare un altro lavoro. E sarebbe l’ora di smettere di ‘sparare sulla scuola’.
Ingiusto quindi proibire il futuro professionale alla base un test generico e non attraverso seri esami di preparazione, tenendo sempre basale e determinante per un professionista la preparazione e non la fortuna
Anticostituzionale perché sono contro l’articolo 3, col quale si dispone che i cittadini abbiano pari dignità sociale e siano eguali ... ivi compreso lo svilimento del “compito della Repubblica” che è di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitano la libertà e l’eguaglianza...e che impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti ...). E, parallelo, sono contro l’articolo 9 il quale enuncia che “la Repubblica promuove lo sviluppo della cultura...”. Ahi!
Perché ci prendono per scemi dichiarare costituzionale il lasciare fuori dal lavoro dello studio (studiare, è un lavoro faticoso), una enorme massa di maturati? Che si arrangino! è questa la risposta di chi è addetto a controllare che la Costituzione sia osservata nei particolari?
Quindi, è un perverso sistema di selezione che mortifica tutti, esclusi i politici che l’hanno scelto (per niente, una battuta spiega che in quel mestiere farà carriera chi è incapace di fare tutti gli altri)
Furono adottati con una legge n. 264 del 2.8.1999 (presidente della Repubblica A.Ciampi; presidente del Consiglio M.D’Alema; ministro della P.Istruzione O.Zecchini) mirando a regolarizzare l’afflusso negli atenei con una “determinazione annuale del numero dei posti... sulla base della valutazione dell’offerta potenziale del sistema universitario (aule, attrezzature, personale docente e tecnico, ecc.); si presume che il superamento dei quiz doveva essere “di orientamento” e non di sbarramento, e che ad esso doveva seguire, una adeguata riforma dell’Università; invece è stato lasciato tutto com’era preferendo (a destra ed a sinistra) mantenere il ‘tapullo’ come definitivo, non preoccupati del futuro di migliaia di giovani, ma solo dei soldi, in barba alla signora Repubblica. Così che quando fu aperta la strada a tutti i diplomati nelle scuole superiori, con un’altra legge voluta proprio per sancire il diritto allo studio, l’Università si trovò ‘assediata’ da aspiranti a una laurea, impreparata a riceverli.
Ma, ahinoi, l'uso dei test impedisce proseguire anche chi 'sente la voglia e l'impegno' di svolgere quel determinato ruolo nella vita e nella società: una vera e propria porcheria legalizzata perché non garantisce la libertà allo studio e perché incapace di predire: sia chi è 'portato' a quel tipo di studi, sia chi parte con la volontà di impegnarsi e di sacrificarsi: elementi base indispensabili per un buon professionista anche nella sua vita post laurea.
Se un test appare un ostacolo oggettivo uguale per tutti (mentre la valutazione di un professore potrebbe essere soggettiva), non è capace di predire la bontà di una futura prestazione professionale. Accettando che qualche prof. possa non essere completamente disinteressato, pensare che lo siano tutti nell’arco di un corso, è illazione offensiva; sarebbe, in parallelo, da chiarire “chi prepara i test?” e scopriremo probabilmente che sono ditte esterne i cui manager si sono presentati con un programma (a pagamento, ovviamente) qualificandosi disinteressati (ma ahinoi incontrollabili); tenendo conto che essi non hanno responsabilità alcuna di fronte a chi non supera la prova, né di aver impedito ad un futuro scienziato di iniziare la partita della sua vita né di aver eliminato chi poi sarà incapace di sacrificarsi per guadagnarsi la meta, di imparare ed approfondire la materia per emergere, di essere utile nell'ambiente sociale. L’Università è statale e come tale appartiene a tutti i cittadini i quali debbono potervi accedere se ne hanno i requisiti (diploma) come credo sia in tutte le Università del mondo democratico. La selezione deve avvenire dopo l’ingresso libero. Soldi: se tutti quelli che sono stati esclusi dai test pagheranno le rette... salate, tanto per iniziare a fare riforme (aule e docenti), ce ne è di certo.
ALLEGATO 27 L’emoglobina glicata
Inizio con una malignità, tanto per sdrammatizzare il problema e prendere in giro i Colleghi. Il diabetologo, visto che la normale misurazione della glicemia è alla portata di tutti e forse per distinguersi un po’, adesso fa dipendere il destino delle nostre coronarie dalla “emoglobina glicata” (siglata: HbA1c); e forse anche per obbligarci a continuare a pendere dalle sue labbra. È certamente un dire provocatorio, ma c’è una parte di verità, essendo il medico ben conscio, che se la glicata dice di più della semplice glicemia – specie nella valutazione nell’arco di tempo più lungo - ha anch’essa dei limiti di imprecisione se non altro nella metodica di dosaggio (oltre 70 metodi diversi!) e da sola non tiene conto di altri fattori di pari importanza come gli altri cinque ‘rischi’, il costo e ‘la dea fortuna’... che non abbiamo tutti eguale. Quindi, ripetendo, se i dati statistici relativi al rapporto iperglicemia→malattia e iperglicata→malattia mostrano una maggiore precisione della seconda, ecco dimostrato la sua importanza rispetto la prima; ma non al mille per mille, ma solo nell’indicare “quel rischio” e che non necessariamente significa che avverrà la catastrofe.
Il valore standard della glicata è minore di 6. Un suo aumento corrisponde ad un aumento del ‘rischio’ di danneggiamento degli organi nobili (come già sapete, bersaglio primario sono le arteriole: dei reni, retina, cervello, cuore e vasta periferia); ed e assai probabile diagnosi di diabete, se supera 6.5. Mentre la glicemia esprime il valore presente nel momento del prelievo e necessita regola standard (non tutte le macchinette sono uguali e perfette. Comunque in negativo ha: digiuno da 8 ore – o eseguita due ore dopo dal carico orale; valore base volubile: sotto il 110 e non oltre il 125; essendo estremamente variabile, necessita una media di più misurazioni; non tutti i diabetici si sono autodenunciati (soprattutto per motivi di patente o porto d’armi) e non hanno diritto alle strisce gratis che... costano). Vantaggioso è il costo sociale accettabile.
Vantaggi della glicata sono: non ha rapporto col digiuno; esprime il valore medio della glicemia degli ultimi 15-30 (ed anche 60) giorni; non subisce interferenze di eventuali variazioni rapide ma fugaci della glicemia; è meglio correlata statisticamente con le complicanze. I lati negativi sono determinati da eventuali difetti dell’emoglobina (il cui simbolo nelle analisi è Hb) e del turnover degli eritrociti (globuli rossi) – ambedue peraltro assai rari; dalla non standardizzazione dei laboratori (è quindi opportuno non cambiarli sempre). Svantaggi, un prezzo più elevato e non è convenzionata dalla Usl con i laboratori privati ove cosa circa 13 euro.
Ecco il meccanismo di equivoco: elemento base non è la misurazione, ma la dieta. Gli zuccheri sono presenti, in varia quantità, in quasi tutti i cibi (escluse le verdure); fanno bene e sono indispensabili. Ma fanno male: a tutti, di più ai diabetici, se si eccede. Quindi il fulcro dell’attenzione deve essere portato non tanto sulla misurazione della glicemia ma su quella dell’alimentazione: i dietologi sono in grado di stabilire le quantità necessarie per ciascuno, in base ai suoi fattori fisici, professionali e ludici: ricordando che anche per i non diabetici, ogni eccesso tende a fare male alle arteriole. Ciò significa che maggiore sicurezza si avrà conoscendo bene se stessi e le proprie debolezze, e badando alla dieta – intesa come qualità e quantità dei cibi; sapendo che a ogni peccato di gola...zac! ... il valore va su - creando nel tempo un danno più o meno elevato, diverso per ciascuno, dipendendo esso dal ...latoB.
ALLEGATO 28 La GENIALITÁ
Nello studio condotto da tutti i psicofisiologi quando vanno alla ricerca delle singole componenti delle mente umana (ne cito alcune: affettività, produzione del pensiero, linguaggio, memoria, volontà ed altre) c’è inclusa anche l’intelligenza quale particolarità a se stante del pensiero e della personalità (può infatti verificarsi l’esistenza di un giovane con scarsa capacità di critica e comprendonio ma con memoria di ferro; ed uguale nel sentimento degli affetti). Per definirla si potrebbe sintetizzare con: “rappresenta la possibilità di avere il meglio col minimo”; oppure “esprime la qualità della reazione, agli avvenimenti, specie quelli non previsti”; per i latinisti corrisponde alla capacità di ‘capire e intendere’ (da intelligere). Esempio, alla portata di tutti come l’uovo di Colombo per ovvietà: un barilotto di polvere pirica, una miccia ed un fiammifero, separati uno dall’altro hanno scarso significato; diventano pericolosi se aggregati inopinatamente: è l’intelligenza che li colloca in un posto ben preciso e in una successione logica, mirata ad un fine. Sembra ovvio; il fattaccio è che, in pratica, troppi non utilizzano la miccia...
Mentre nell’adulto, un calo di questa componente è definita ‘demenza’ (la quale meriterà un discorso a sé, per vastità di forme – Alzheimer, per esempio - e suoi coinvolgimenti), nel bambino ha, a sua volta, svariate componenti, le quali sommandosi al fattore congenito, concorreranno nello sviluppare questa facoltà.
In primis le esperienze, corrispondenti alle cognizioni acquisite, le quali, accumulandosi disordinatamente nel tempo, abbisognano da parte dei genitori di essere allenate ad una elaborazione critica finalizzata alla utilizzazione; giostrando a tutto campo, ma favorendo quella più spontanea (che può essere pratica, o fantasiosa tipo artistica o intuitiva). Un genitore che si rispetti, non può interferire con la matrice naturale genetica, ma può aiutare il bambino sia favorendo l’acquisizione delle cose da imparare, e sia aiutandolo a ragionare sui vari “perché” (che poi, a una certa età, il bimbo proporrà spontaneamente in modo insistente).
Per valutarne in modo comprensibile la quantità dell’intelligenza, viene usato il test, inizialmente studiato dal fisiologo francese Alfred Binet, del Quoziente Intellettuale (Q.I.) che confronta, con varie prove, l’età mentale con quella cronologica.
Procedendo per ordine: fortunati sono i ‘normali’ (statisticamente, i più numerosi), con QI=100 (variabile, tra 90 e 110); con maggiore buona stella, se hanno genitori adeguati.
Mamma natura, può far nascere un bimbo con meno capacità intellettive (spesso per ipoossigenazione fetale o per alterazione cromosomica; in quest’ultimo caso rientra la ‘sindrome di Down’, anticamente definita mongolismo). È quando allora i medici parlano di oligofrenia o frenastenia (dal greco: frenos=mente, oligo=poco, astenia=stanchezza), dividendoli con parole, abitualmente troppo spesso male usate, dai più bassi in QI: idioti e stupidi (50-60%), ai meno gravi: imbecilli e deboli (70-80%). Ovvio il bisogno individuale della sola integrazione culturale.
Teoricamente, maggior successo dovrebbe arridere ai ‘super’, quelli con il QI superiore al 110, sperando per loro che incontrino genitori ed insegnanti capaci, in quanto possiedono attitudini o capacità straordinarie e sono comunemente definibili ‘geni’. Essendo consci di questa loro superiorità, possono aspirare alle dirigenze; ma a seconda dell’educazione, anche diventare egoisti, arrivisti, edonisti se non viene insegnato loro un adeguato autocontrollo ed utilizzo; o - peggio, se mal indirizzata o se non inseriti nel posto giusto o attorniati dalle persone giuste - può ritorcersi creando una categoria di persone definibile ‘genialoidi’ i quali, diventano ‘casinisti’ perché insoddisfatti (divorzi, fallimenti economici, decisioni legalmente ai limiti, lunatici frustrati e depressi, estremisti). Quindi l’invito di Steve Jobs di essere ‘folli’ nel dar voce alle pulsioni interne, estrapolato da solo, da un messaggio molto più complesso, diventa pericoloso se chi lo adotterà non ha alla base almeno la potenzialità mentale della genialità, ma con essa anche quella del self control, dell’intuizione e della perseveranza; combinazione di risorse che, ahinoi, sono possedute da uno su migliaia; gli altri rischiano miserevoli facciate e scivolamento nella delusione, rabbia e precipitazione nella stranezza: non certo quella psichiatrica, ma sicuramente quella psicologica: carenza di autocritica, abusi (alcol, sigarette, droghe, violenze), ossessioni, depressione... tutte manifestazioni già descritte sotto l’etichetta di ‘sregolatezza’ di aristotelica e dumassiana memoria e vissute ancor oggi quotidianamente. Alla faccia del ‘io sto bene di testa; sono gli altri...’.
ALLEGATO 29 SPdArena comme a l’ea – corsa podistica
Un volantino pubblicitario datato 1924 ci riporta indietro di circa novant’anni. Qualche centenario
potrebbe essere ancora vivo da documentare personalmente l’evento: una corsa podistica locale di quattro chilometri e mezzo, aperta a livello nazionale, chiamata “Tradizionale Giro di Sampierdarena”, promossa dallo “Sport Club Italia” . Definito ‘tradizionale’, senza specificare la data di nascita, vedeva partenza da via Pietro Cristofoli con questo percorso: v.C.Rota – via A.Saffi (via CRolando) – via Umberto I° (v.W.Fillak) sino a piazza d’Armi. Ritorno per via Umberto I° - v. Milite Ignoto (v.P.Reti) – via C.Battisti (v.E.Degola) – Crociera – via Garibaldi (v.A.Pacinotti) – via C.Colombo (v. SPdArena) sino alla Coscia – via De Marini – via Gen. Cantore (v.N.Daste) – via Mercato (piazza N.Montano) – via C.Rota e arrivo in via P.Cristofoli.
Nel Comitato d’onore persone di rango: tra cui il sindaco E.Broccardi, Tito Nasturzio (industriale delle latte e conserve), Carlo De Franchi (benestante), fratelli Gardino (legnami), dr. Steneri Carlo (medico specialista). I numerosi premi, dati a due categorie: la prima, libera a tutti; la seconda a non precisati ‘corridori allievi e non Classificati’; consistevano in medaglie d’oro ai primi sette, d’argento sino al venticinquesimo, di bronzo sino al trentacinquesimo.
Nascerà pochi mesi dopo, il 1 maggio 1925, l’Opera Nazionale Dopolavoro, organo fascista nel quale poi, e obbligatoriamente, confluirono tutte le società che si interessavano del tempo libero: le sportive per prime ed a ruota quelle culturali (bande, filodrammatiche, corali) e sociali (scoutismo; enti statali come Poste, Ferrovie; fabbriche).
Il meccanismo aggregante obbligatorio, è un po’ tipico di tutti gli stati totalitari, i quali si organizzano in tal senso mirando a massimizzare usi e costumi del popolo, col fine di creare un tessuto sociale compatto e quindi meno facilmente penetrabile alle ideologie avverse al regime; e nello stesso tempo tenere tutti impegnati in maniera di poter controllare in modo abbastanza capillare gli umori gli ideali e gli scontenti.
ALLEGATO 30 A Manchester d’Italia
San Pê d’Aënn-a, l’è de spesso dîta ‘a Manchester d’Italia’.
Se scrîve che o l’è stæto un çerto Leopoldo Marengo a coniâ pê a çitæ de San Pê d’Ænn-a o titolo de ‘Manchester d’Italia’. Aloa o teritöio s’e-a inpïo de indûstrie grendi e piccinn-e, con de erte e lunghe çiminêe che caciâvan fêua o fûmme che –pe fortûnna- a tramontann-a a o rebelâva a-o largo do mâ; levou quande gh’éa sciöco o lebeccio: alòa o recazeiva sorvia e câze e o tinzeiva de neigro i lensèu missi feua do-u barcon o in sci pròei a sciûga. E o l’intrava ascì in ti pormoin da gente... ma a quelli tempi se poeva spuâ into piato ch-o te dâva da mangiâ? anche se a vitta media de’n operâio a no l’andava ciù in là di sciusciant’anni.
Asomegiâ a ‘na çitae ingleize, o l’ea piaxiu a-o Doardo Maragian, o quæ, dindo tante votte questo titolo, o l’à fæt vegnî ben ben popolare.
M’è capitou inte moén ‘na cartolinn-a da vêa Manchester: ‘na cappa neigra, sorvia ‘na rîga de câze grixo-neigre, tramezo a fabriche grixo-neigre, con dexenn-e de çiminêe fûmanti in fummeneigro. Manco ‘n stissin de sô. Na tristessa infinïa.
Me s’è streito o chêu: che fregatûa sto nomme ingleize! In conto o l’è elogiâ o travaggio, fatigôso, pericoloso specce quand’o se fâ da vixin a-o færo fûzo incandescente, cscì da êse de longo vixin all’inçidente mortâle. N’atro conto o l’è pigiâ in gïo o lou con l’idea de belessa ch’a sciorte da ‘n paragon che bello o no-u l’è, ansi, o l’è ‘na fregatûa, e mortale pé zònta.
Quanti de quelli che stan in Arbâ se trasferievan voentëa a Cornigen o a San Pê d’Aënn-a?
A sto punto chi , quelli che dixan che San Pé d’Aënn-a a l’é da paragonâ a Manchester, me ven da domandâghe so-u dixan coscì, sensa pensaghe e sensa rendise conto cho-u paragon o l’é ‘n desprêxo pê a vitta de chi loua e pe a dèlegaçion, perché e abriche àn inquinô tûtto o teritöio, e àn inpio de fûmme quelli che ghe stan , e d’öo i portafêuggi de çertidun … che no stavan ne a Cornigen ne a San Pê d’Aënna.
ALLEGATO 31 EXPO
Negli anni a cavallo tra il secolo XIX e XX, la tante industrie e le altrettanto tante imprese artigianali, trovarono leale confronto tra loro partecipando a delle Esposizioni, nazionali ed internazionali.
Così leggiamo – e la cito solo come esempio di innumerevoli altre - anche perché forse una delle prime, la partecipazione nel 1846 nei locali del Seminario a Genova ad una grande Esposizione dei manufatti e prodotti nazionali (seta, lana, cotone, pizzi, pelli, carta, ecc). Ad essa ne seguirono a decine, da locali ad internazionali, come una Esposizione operaia italiana di Torino (1890); una Esposizione italo americana del 1891 (per la qualità della pasta); una Esposizione Internazionale di Igiene e Salvamento; ... ecc.
Da queste manifestazioni di confronto, le aziende traevano prestigio e qualifica di imprenditorialità e serietà, vantando alla fine medaglie di merito, diplomi e riconoscimenti dei quali giustamente fregiarsi perché guadagnati in competizione.
Di più alta risonanza fu, nel giugno 1906 – corrispondente al finire del mandato, dopo 5 anni dall’andata al governo comunale della giunta socialista di N.Ronco, la partecipazione del Comune di San Pier d’Arena all’Esposizione di Milano, prima in Italia di grande partecipazione internazionale, aperta per celebrare il traforo del Sempione inteso come modernità e progresso.
La nostra città innalzò un padiglione proprio, orientato verso il monumentalismo; che spiccava sugli altri per arditezza delle linee e perché unico di un Comune d’Italia. Infatti San Pier d’Arena, come Ente locale assieme alle proprie industrie ed ai quadri artigianali, affrontò il giudizio di una commissione internazionale.
l’esterno dell’edificio a Milano
Esternamente, Il “Padiglione S.Pierdarena - Liguria” di 250mq., si presentò con la grossa scritta esterna “S. Pierdarena”; di forma scatolare ingentilita solo dalla bandiera (con stemma centrale del sole nascente e non quello sabaudo). Architettonicamente il padiglione era stato studiato dal fiorentino Gino Coppedé con modello improntato al prodotto massiccio, pesante, gigante, serioso ed atto a dare l’idea non dell’eleganza ma della grande industria: con la evidente volontà di richiamare alla mente una macchina: tozza, piena di bulloni, ricca di antenne e paranchi; immagine che la città voleva proporre di se stessa al mondo quale essa rappresentante delle società ospitate e produttrice di piroscafi, locomotive, caldaie, macchinari, cibi, ecc.
All’interno, su due piani con scala e loggia, al centro unico vano con opere artistiche del Barabino a significato, solo apparentemente secondario, della cultura e del senso estetico; circondato da varie logge descrittive delle varie attività produttive: ne citiamo solo alcune tra le centinaia agrarie alimentari (delle quali ricordiamo: Chazalettese; f.lli De Andreis; Docks vinicoli; Frugone & Preve; i f.lli Galoppini; f.lli Liberti; Massardo & Diana; Molini AltaItalia; Molini Liguri; Nasturzio Silvestro; Savio Angelo; Tardito conserve; tanti, produttori di olio d’oliva), industriali (quali Giov.Ansaldo-Armstrong; torneria Boccardo; Cooperativa Ramai; D. Torriani; Sanguineti Michele; Società Fonderia Italiana già Balleydier; Storace & Rolla; cappellificio Bagnara Cinzio; Carpaneto GB; CasazzaA & Figli; Corderia Nazionale; acquedotto DeFerrari Galliera; f.lli Dufour; acqua di colonia Mulhens F.; OEG officine elettriche genovesi; Società Union De Gaz), societarie (soc.Alleanza Cooperativa di consumo Avanti; Cooperativa di Produzione navi in ferro; cooperativa spazzaturai – che aveva vinto l’appalto del servizio nettezza urbana -; Croce d’Oro; Camera del Lavoro; Ospedale civile; soc.Operaia Universale di M.S.) e scuole (collegi Dogliani; f.lli Koerting; Campanella & Ferrari).
L’Expo 2011, di minore respiro e spazi di quelli su citati, ma non meno ambizioso, con la modernizzazione del nome inglesizzato al posto del casuale vocabolo italiano, vuole valorizzare il concetto del volontariato, constatando che a livello municipale centinaia sono le Associazioni che fertilizzano il terreno sociale nei più disparati temi – da quello sanitario a quello ludico, da quello culturale a quello assistenziale, da quello musicale a quello politico-sociale - a 360°.
Grosso vanto di tutto il Municipio Centro Ovest II. aver constatato che già dall’anno passato a seguito della prima rassegna, i frutti sono divenuti tangibili, sia rilevando un entusiastico raddoppio delle iscrizioni all’Expo attuale, e sia avvisando già avvenute, numerose intercollaborazioni tra Associazioni che prima viaggiavano isolate, forse molte destinate a morire per mancanza di prosecutori, ma che al momento portano lo stesso entusiasmo e fertilità del terreno sociale .
ALLEGATO 32 UNA NUONA STRADA dedicata a Baldini
C’era una volta via De Marini. È stata ulteriormente modificata la antichissima strada, una delle prime del borgo di San Pier d’Arena ad essere titolata ad un personaggio che tanto – sia in vita che in postuma forma testamentaria - si era adoperato per migliorare la vita dei sampierdarenesi. Questa volta però, per una condivisa e meritevole nuova titolazione al nostro concittadino__Baldini il quale a sua volta tanto si è adoperato per il bene della nostra città.
Non vogliamo tediare narrando quante volte via De Marini sia stata stravolta nel suo percorso: sinteticamente ricordiamo non tanto il soprapassaggio dell’elicoidale; e neanche tanto - seppur pesantemente incisivo - il taglio di via di Francia; dopo il quale, la parte finale che arrivava a palazzo della Fortezza, venne dedicata a Luigi Dottesio. Quanto soprattutto l’erezione dei grattaceli del gruppo chiamato san Benigno, il WTC per primo, i quali sconvolsero il rione della Coscia: seppur grosso modo conservando la parte centrale dell’itinerario dell’antica strada, scomparve un rione millenario contenente la chiesuola seconda sede di NS delle Grazie, la antica villa seicentesca dei De Franchi, la mitica trattoria del Toro e tutta la popolazione facente parte della storia del primitivo rione. Dopo le tremende vicissitudini degli abusivi, nel primo tratto più vicino alla Lanterna, furono recentemente abbattuti i vetusti ed obsoleti palazzi che delimitavano la strada al suo inizio da Largo Lanterna, a ponente della Nuova Darsena; al loro posto sta sorgendo un altro grattacielo e così, la nostra strada, semiabbandonata nell’uso cittadino, recentemente aveva avuto un percorso nuovo che, da prima dell’elicoidale la porta a congiungersi con via Pietro Chiesa.
Come scrivevamo all’inizio, Baldini meritava una titolazione; e questa scelta era aspirazione di tutti quanti lo hanno conosciuto ed affiancato nel dirigere la nostra Croce d’Oro ...
ALLEGATO 33 Spd’Ænn-a comme a l’ea – Libia
Alcuni includono la prima guerra mondiale nel periodo dell’Unità di Italia.
Prima di essa, e già dai primi anni del 1800, i soggetti più avventurosi venivano sponsorizzati affinché raggiungessero l’interno inesplorato africano, con rischiose carovane. V’era un doppio intento: scoprire e descrivere terre nuove dell’enorme continente, ma anche stringere trattati a favore dei sovrani europei se non addirittura segnalare giacimenti o altro che inducessero a vere e proprie conquiste territoriali accaparrandosi vasti territori ricchi di materie prime, chiamate colonie. Germania, Francia, Inghilterra – ma anche Spagna, Belgio e Portogallo – furono artefici di queste scelte.
L’Italia, a fine 1800, solo da poco unita, si svegliò per ultima: Rubattino aveva acquistato la base marittima di Assab. Con essa, si aprì a Umberto I – della dinastia di personaggi un po’ troppo assetati di espansionismo - la politica di conquiste coloniali; poi – negli anni ’30 - pomposamente definite AOI (Africa orientale italiana). Il massacro di una nostra spedizione militare, fece scattare l’occasione per invadere l’Eritrea e conquistare Massaua. Dopo pochi anni, si tentò far riconoscere anche l’Etiopia protettorato dell’Italia, compresi le confinanti Abissinia ed altri piccoli sultanati.
Non senza pesanti nostre disfatte militari a Dogali, Amba Alagi ed Adua, nel 1902, l’Italia stipulò un accordo con la Francia acquistando diritto di influenza anche sulla Libia e Cirenaica.
Si faceva spazio la mentalità dannunziana, il quale solennemente declamava “basta! ad una italietta meschina e pacifista!”; ed auspicava una nazione con meno democrazia, e maggiore espressione di volontà, potenza, tenacia. Miele, per i nostri regnanti: infatti, subito dopo una vittoriosa guerra italo-turca del 1911, divenne nuova terra di conquista militare la Libia – allora occupata dai turchi. A fine settembre le truppe italiane sbarcarono a Tripoli e nel novembre venne decretata l’annessione (comprendendo Rodi ed altre isole turche del Dodecaneso). La Libia diventava nostra, pur dovendo continuare a combattere contro la guerriglia dei partigiani libici.
Nel 1913 rientrarono dalla Libia buona parte delle truppe: tra esse c’erano oltre duecento sampierdarenesi, ai quali a metà luglio fu tributata una festosa cerimonia al Modena, con ricordo solenne dei quattro morti (uno solo per mano nemica) e con consegna di due medaglie ed un encomio solenne al Valor Militare, ed a tutti una medaglia ricordo.
Facenti parte del comitato d’onore, molti personaggi noti perché oggi titolari di una strada cittadina: N.Ronco presidente del CAP e già nostro sindaco; GB. Botteri, medico vicedirettore dell’ospedale e presidente della sezione locale della CRI e della Lega Navale; GB. Sasso, industriale dell’olio; GB. Carpaneto, industriale di docks; o perché benefattori o esponenti del ceto imprenditoriale o nobile, come E.Broccardi; S. Nasturzio; P.Gandolfo medico e sindaco di San Pier d’Arena; M. De Andreis, L. DeFranchi. I festeggiamenti, promossi dalla Lega Navale Italiana sezione di San Pier d’Arena, fu conclusa con solenne consegna della bandiera sociale, cucita dalle Dame Patronesse dell’associazione stessa.
Di quell’anno, trascuro citare le disastrose mire espansionistiche verso l’Albania, e la lievitazione dell’assai prossimo primo conflitto mondiale.
ALLEGATO 34 medicina l’oculista
Anche per i laureati in medicina, gli oculisti sono ‘gente’ a sé. Sempre medici: come tutti gli altri: visitano, ricoverano, operano. Epperò, se tante malattie generali dal diabete alle neoplasie ed alla ‘circolazione’ sono capaci di colpire gli occhi, gli specialisti di questi organi, restano praticamente a se stanti nelle diagnosi, nell’uso delle medicine e dei macchinari, tranne poche eccezioni. Insomma, un medico di famiglia può intervenire su quasi tutti i disturbi appartenenti ai vari organi del nostro corpo; però assai poco o nulla su quelli che riguardano l’occhio; così che, forse, anche per la facile diagnosi di congiuntivite... non si può fare a meno dello specialista.
Se l’occhio è quindi delicato, quello di un giovane chiede maggiore attenzione. Quello di un bimbo si avvicina a raggiungere il completo sviluppo dopo i quattro anni di età; è quindi in questa età prescolastica l’opportunità di una prima visita per tutti. Malattie antipatiche, dalla ambliopia alla miopia, dall’ipermetropia all’astigmatismo, per le quali il pediatra non ha armi usuali per diagnosticarle in una visita ambulatoriale, possono essere scoperte invece con indagini appropriate.
L’ambliopia è in genere congenita; quindi, dal bambino poco apprezzata ritenendola normale; corrisponde ad una differente percezione della visione tra i due occhi. La differente messa a fuoco tra i due bulbi, può causare l’annullamento della funzione di quello volgarmente detto ‘pigro’, con ovvie ripercussioni più il tempo passa. Lo specialista usa sagome e giochi, trattandosi di bambini che non sanno ancora leggere; e con manovre innocue controlla il coordinamento e sincronia dei bulbi evidenziando anche eventuali piccoli strabismi (popolarmente detti ‘di Venere’) e se esistono differenze di refrazione o di messa a fuoco.
La miopia, per un difetto delle lenti proprie dell’occhio o della conformazione del bulbo, determina una visione sfuocata da lontano. Sarà quindi con l’età scolare che i genitori avranno segnalato dal bambino che ‘non vede lo scritto sulla lavagna’; ma potrebbero accorgersene prima scorgendo il bambino che si avvicina troppo allo schermo televisivo o del computer. Tende a peggiorare, ritardando la correzione.
Nell’astigmatismo, un punto stampato può non creare sulla retina una identica immagine; così che si sfuocano gli oggetti sia da vicino che da lontano, a causa della cornea che si è ovalizzata ed impedisce la messa a fuoco precisa sulla retina. Nelle forme lievi, la visione può essere buona e quindi non segnalata dal bambino. Non correggere il difetto, può comportare – causa lo sforzo: mal di testa, fatica visiva, bruciori anche da sfregamento, che rendono vieppiù ostica la lettura e quindi incidono indirettamente sull’apprendimento poiché il bambino – per istintiva reazione - tende ovviamente a rifiutare di applicasi sui libri.
Nell’ipermetropia, dipende dalla gravità; una forma lieve – al di sotto del valore di 0,75, può essere normale ed un bambino può vedere bene sia da lontano che da vicino, anche se potrebbe avere difficoltà a leggere bene le lettere stampate e quindi altrettanto tendenza al rifiuto a studiare con ovvio ritardo di apprendimento. Il difetto è che lui non è in grado di segnalare il difetto; cosa che invece nell’adulto succede perché vede male da lontano e peggio da vicino.
Lo strabismo... lo vedono anche i genitori; viene considerato fisiologico solo sino a sei mesi di vita; dopo, va valutato perché potrebbe essere causa della ambliopia. Tenendo ferma la faccia, si sposta un oggetto ai lati: si vede bene se le due iridi (la parte colorata) o le pupille (che sono un buco) non sono paralleli.
Per fortuna esiste la possibilità di correggere tutti questi disturbi: quindi la prevenzione di una diagnosi precoce è l’unica arma per evitare danni peggiori.
Diverse sono le malattie senili; le più frequenti il glaucoma, la cataratta, la degenerazione maculare, le vasculopatie retiniche. Ma sono un grosso capitolo a se stante; e come dicevamo all’inizio, di sola competenza di sua maestà l’oculista.
EBag
ALLEGATO 35 – SPd’Arena com’era IL CAMPO DEI TRANVIERI
Tutti gli appassionati della storia sampierdarenese e del calcio locale, conoscono i vari “stadi” utilizzati dai primissimi anni del 1900 per poter giocare al nuovo sport del foot ball: dai prati della piazza d’Armi alla zona Fornace (via Anzani/Rota), dal campo delle Monache (giardini di villa Spinola di san Pietro) e della Marina (area porto), al più ‘prestigioso’ di via G.Carducci (oggi via A.Cantore).
Penso sia una novità per molti che, un altro campo sportivo fu aperto, anche se per un anno solo, nel terreno che ora ospita il deposito dell’AMT di via P.Reti (allora, via Milite Ignoto). Quando nel 1929 l’UITE acquistò il terreno, impiegò un anno prima di innalzare i capannoni; e dove c’era la fonderia Torriani fu tutto spianato e concesso alla sezione sampierdarenese del Dopolavoro Tranvieri, i quali organizzarono una squadra di calcio che, appunto per un anno, raggiunse anche lusinghieri successi locali.
Nella foto, ripresa con alle spalle il muraglione della ferrovia, le case a sinistra si affacciano su via GC.Abba ed i muri diroccati che delimitano l’area, (ancora eretti oggi) sono quelli dell’ex fonderia. Gli edifici più in alto a sinistra, ad angolo, sono quelli dei salesiani di Don Bosco, sovrastati dalla guglia del campanile. Invece sullo sfondo del campo, dietro alla porta, due edifici di una villa seicentesca alla quale era aggregata la torre che ancor oggi è in piedi (via C.Rolando 56B rosso) appoggiata ed inglobata – in quanto usata come vano di appartamento- al civico 2 di via DG.Storace. La foto – per quanto a mie mani – è l’unica che raffigura questa villa che a metà del 1700 apparteneva all’”eccell.mo Domenico Spinola, ed i cui terreni, dalla villa, arrivavano sino quasi al torrente Polcevera (grossomodo sino a via G.Spataro). Fu abbattuta con autorizzazione della giunta genovese, negli anni 1960 circa, per erigervi la scuola che è il civ. 12 di via C.Rolando.
EBaglini
ALEGATO 36 C’era una volta il decoro personale
Il proteggere questa componente della propria persona, non si esteriorizzava solo nel lavarsi, vestirsi e comportarsi col prossimo adeguatamente, ma anche e con pignolesca accuratezza, anche nel lavoro, a qualsiasi livello capitasse di operare, dallo spazzino, al muratore al bancario. Era un vanto, essere definiti bravi.
L’iperprotezionismo dei nostri tempi ha capovolto quest’ultimo settore: capovolgendo il nome del mestiere, si è mascherato la scomparsa dell’‘amore per il proprio lavoro’; c’è al contrario quella sufficienza per la quale appare che ‘per quello che mi danno, è già tanto se mi degno di farlo’. Il frutto di questa pianta è evidente nelle foto: la campana gialla è vuota; significa che il lavoro di svuotamento è stato eseguito; ma l’accumulo legato al ritardo è lì, a dimostrare forse che ‘non compete’.
Un lavoro che è fatto senza onore; un lavoro da operatori “divesamente decenti“-
ALLEGATO 37 MEDICINA – IL SILENZIO ED IL RUMORE
-il silenzio ed il rumore. Siamo a Natale: momento che dovrebbe essere di silenzioso raccoglimento: Natale è l’inizio di un messaggio mistico ben preciso di come si deve vivere. Ma c’è tendenza a trasferite in secondo piano le intime preghiere inneggianti il Neonato, proponendo una musica mirata precipuamente al proprio benessere ed inconscia espressione di una sobillata rabbia sociale che abbiamo dentro.
Fatto è che sono tanti i giovani di oggi che, obbedienti al canto delle sirene, amano l’ubriacatura da chiasso. Presumo indubbio che la fuga dalla meditazione allo stordimento in roboanti rumori sia conseguente di tutte le ortiche che ci offre il mondo, e che esso sia come surrogato della droga; meno dannosa ma non senza danni.
È una moda, ed alla base c’è anche un errore educativo della mia generazione che non ha insegnato il senso del limite e del sacrificio, comprando il consenso dei figli tramite regali iperbolici ed ipertecnologici. Un autogol educativo che ha lasciato dei vuoti della personalità dei figli, cosicché poi alla fine essa assomiglia più ad una gruviera che a una compatta sicurezza dell’io. Eccoli quindi in troppi, cuffie nelle orecchie, nelle discoteche, nei negozi di apparecchiature elettroniche, a recepire musica con toni elevati; senza rendersi conto che l’eccesso ripetuto induce non solo allo stordimento ma – è dimostrato - alla sordità ed ai tumori.
Nel lavoro, per sei-otto ore quindi, è consentita una esposizione al rumore che non superi gli 80 decibel. Se consideriamo che una conversazione normale arriva a 40 decibel e ad alta voce a 60 decibel, non possiamo non aver constatato che alla TV schizza a 90 e più durante gli spot pubblicitari. Sopra gli 80 quindi, i rumori sono sopportabili per pochi minuti; dopo i quali si entra nel pericolo medico. Con gli auricolari o in auto finestrini spalancati si arriva a 80-95 decibel; 90 proviene dalle strade ipertrafficate; 100 vicini ad un martello pneumatico in funzione; 110 vicino alle casse di altoparlanti; 140 in discoteca. L’audio a toni elevati delle discoteche ha fatto presa sui giovani delle ultime generazioni: sono arrivate certe canzoni e balli che poco hanno a che fare con la musica ma hanno lo scopo di imporre movimenti sempre più scomposti con i quali riempire il vuoto della melodia: l’eccitazione del ritmo – specie se mescolata a nicotina ed alcool (non parliamo se anche a droghe varie) - fa secernere e poi spremere adrenalina, ormone dell’autodifesa che fornisce al fisico il massimo dell’energia; sino alla fine della secrezione e conseguente sfinimento; cosicché il soggetto entra nel tunnel dello sconvolgersi in un rapporto – non più preerotico come nel ballo classico tra uomo e donna abbracciati, ma autoerotico, ovvero solo col proprio corpo, a stancarsi sempre più finché arriva l’astenia totale, venduta come esito di un orgasmo. Contento lui!
Lo sfinimento fisico e lo sconvolgimento mentale richiederanno poi – anche se intramezzati da un sonno di ricupero - parecchie ore per riequilibrare i riflessi muscolari e la lucidità psichica; figuriamoci, senza un riposo, mettersi al volante di un’auto per tornale a casa: nell’esaurimento energetico totale, mancherà la forza fisica per girare il volante alla prima curva. Tutto questo viene giustificato col vuoto esistenziale da colmare con mezzi artificiali. Costituisce la corrispondente spinta ad emergere, ma senza fare nessuna fatica sui libri o nel lavoro: un cantante alla moda lo chiama “andare al massimo” e buon per lui, per i suoi fans e relativi genitori, se quello è il fine per vivere soddisfatti di se stessi.
Particolari segnalazioni arrivano dalle sale cinematografiche ove tanti si lamentano dell’eccessivo tono. I gestori si giustificano che è maggiorato l’effetto causa gli impianti digitali, al limite accusando i registi (negli effetti speciali) e le case produttrici che impongono i loro standard; sottolineando che le macchine sono controllate e programmate a priori (però, guarda caso, con escursioni più alte nelle ore dei giovani). Molto dipende anche dalle dimensioni della sala.
Le movide, promosse con lo scopo di animare un quartiere, iniziano bene ma poi troppo spesso razzolano male per colpa dei soliti – magari pochi - che non sanno gestire la loro partecipazione; così, come han chiuso salita Millelire per un pugno di drogati, obbligano a chiudere i pub e ritrovi vari perché vicino c’è anche gente che al mattino deve andare a lavorare.
Non c’è rimedio senza educazione e rispetto per se stessi e gli altri. E questo si deve insegnare fin prima dell’asilo, prendendo esempio dal Bambino e non dal politico di turno. Poi, non è tardi, ma...
ALLEGATO 38 CALENDARIO DEL CAMPASSO
È disponibile il “Calendario del Comitato di quartiere Campasso”, per l’anno 2012.
L’iniziativa, condotta dal presidente Roberto Robusti collaborato da due instancabili motrici: Matilde Gazzo e :::::Gagliardi, è encomiabile. Lodevole per la valorizzazione del territorio; per la dimostrata partecipazione dei Campassini; per – di assai importanza – la fornitura agli abitanti di uno strumento di identità; ed infine quale assaggio e premessa alla mostra delle foto antiche del rione, che il Comitato intende aprire a tempi ravvicinati e per la quale molto materiale è già stato raccolto ed è già pronto.
Il Gazzettino ringrazia queste persone, per il bene che fanno a San Pier d’Arena tutta.
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