4) CORSO BELVEDERE
TARGHE: corso Belvedere
angolo con corso LA Martinetti
dal Santuario
QUARTIERE ANTICO: Belvedere di Promontorio
in giallo, salita al forte della Crocetta; in celeste salita V.Bersezio; in fucsia salita Belvedere. In verde antico tratto del corso. Da M.Vinzoni, 1757.
N° IMMATRICOLAZIONE: 2724 categoria
da Pagano 1967-8
CODICE INFORMATICO DELLA STRADA - n°: 05000
UNITÁ URBANISTICA : 24 – CAMPASSO
27 - BELVEDERE
in rosso via R.Baden Powell; il giallo corso L.Martinetti; il fucsia, salita Belvedere; in blu il Santuario. Da Google Earth 2007.
CAP: 16149
PARROCCHIA: N.S. di Belvedere (dal 21 al 57 e dal 16 al 22)
STRUTTURA:
doppio senso viario, da corso LA.Martinetti a salita Belvedere.
CIVICI del corso
UU24 = NERI= da 16 a 32 compreso 16BC; mancano da 22→30
ROSSI = da 10r e 18r (mancano da 2r→8r e da 12r→16r)
UU27 = NERI = da 21 a 59 (compreso 25AB; mancano 1→19, 41)
da 36 a 44
ROSSI = da 3r a 35r (mancano 1r, 9r, 13r→31r)
da 22r a 36r (mancano da 2r a 20r)
Nel Pagano 1940 sono descritti solo tre civici rossi (nessuno nero) con: 12r trattoria ‘Bella vista’ di Stoppino E., tabaccheria, 25r osteria di Villa L.
Nel Pagano 1950 esisteva una sola osteria al 25r di Parodi F.
Risultano nuove recenti costruzioni il civ. 57-59 (feb.1958); 27 (genn.1963); 32 (genn.1967); 36 (giu.1969); 51-53 (lug.1970); 43-45-47-49 (ago.1971); 42-44 (mag.1974); 38 (mar.1976).
Risultano invece variati il 25a (dal genn.1963 ; era 27) ; il 40 (dall’ago.1974 ; era 22) ; il 25b (dal dic.1986 era senza numero); il 16b e 16c (dall’ago.1987, senza n°).
Nel febb.1984, con la titolazione di via Baden Powell, tutti i numeri civici relativi – già in forza al corso -, furono variati.
==civ. 28 (non ha esternamene un numero; ma è tale se 26 è la villa sul piazzale, ultima della ‘salita’): il Circolo Ricreativo Belvedere, delle ACLI, nato nel sett.1952, munito di vari campi da bocce e di una costruzione con funzione di bar e biliardo. Lo stemma del circolo è: metà sinistra bianco e metà destra rosso. Il Pagano del 1933 non solo colloca in salita Belvedere ma lo chiama Unione Ricreativa Promontorio (quello Belvedere viene collocato in ‘forte Crocetta’). Dai suoi iscritti, nel giugno 2004 è uscita una campionessa italiana di bocce, categoria A individuali, Maria Pilu.
All’interno dell’area del circolo, nel muretto che racchiude il complesso, quasi appoggiata a terra, è affissa una lapide che vuole porre attenzione ai cannonieri di rimuovere la cancellata prima di sparare (vedi foto dei cannoni e descrizione, poco sopra, a “3) Piazzale”).
Fuori del recinto, vicino al cancello, c’è un secondo cartello (il primo è all’inizio della salita) indicante al turista di essere sul percorso storico-naturalistico Sampierdarena-forte Diamante, seguendo il segno O rosso ed iniziato in basso all’origine della salita Belvedere.
STORIA Dall’epoca romana, per quasi 2mila anni, sino comunque agli anni 30 del 1900, al colle si accedeva ‘arrancando’ dalla spiaggia solo per l’attuale “salita Belvedere” o scendendo dal quadrivio, incrocio tra sal. Bersezio (già via Aurelia, poi via Pietra) e sal. al Forte Crocetta (Dal quadrivio, si può proseguire verso monte sino al forte ed oltre, laddove la strada prosegue ancora biforcandosi poco dopo: come sentiero si procede in costa, sino a Begato; oppure in forma di tratturo, salire sino al forte Tenaglia soprastante).
Infatti il tratto corrispondente al ‘corso’ non esisteva.
Ancor oggi la numerazione civica del ‘corso’, continua quella della ‘salita Belvedere’, progredendo dalla chiesa verso corso Martinetti. Questo indica che precedentemente alla nascita del toponimo “corso”, la “salita” Belvedere proseguiva oltre la chiesa e continuava in alto (quindi anche il primo tratto di salita al forte Crocetta) sino al quadrivio (nel 1910 la canonica era al civ.21-22; mentre un sig. Garibaldi Giacomo possedeva il civ.19 (casa colonica), il 22a,24 e 25 (tutte case coloniche); al 23 abitava Chiodo ed al 26 Pareto).
Già in quella data, 1910, si previde cambiare nome al tratto a nord della chiesa: infatti nell’elenco delle vie di quell’anno, si scrive: “salita Belvedere, da corso dei Colli presso l’Istituto delle Pietrine per Belvedere alla stessa arteria. Comprende anche il Corso Belvedere“. Aveva allora civici sino al 22 ed il 29.
Solo negli anni vicini al 1930, si aprì - quasi alla sommità dell’allora corso Dante Alighieri (attuale corso L Martinetti) - l’allacciamento laterale verso il Santuario; così che – collegandosi con la vecchia salita Belvedere - si potesse arrivare anche con mezzi automobilistici sino al piazzale della chiesa: ad esso fu dato il nome di “corso Belvedere”.
alla sommità, la villa De Ferrari
Proseguendo verso corso L.Martinetti, abbiamo:
Civici a destra.
==La chiesa, come tutti gli altri edifici religiosi, non ha civico.
==civ. 19: sarebbe il chiostro anche se esternamente non ha numero
==civ. 21: corrispondente a questo numero, la canonica, dove doveva esserci anche il Pio Istituto san Giuseppe
sovraporta della canonica
==civ. 23: casa, convento delle suore Brignoline
Dal 2002, pare che l’unica suora che era rimasta, sia stata allontanata, e quindi da allora la casa sia vuota.
antica foto di villa a monte del santuario (villa De Ferrari?) villa Poincervero
==civ. 35: villa Poincervero o come scritto sulla carta del 1757 del “Sig.r Pietro Poincervero”; poi passata di proprietà ai Garibaldi, poi ai Conte, ed infine ai Berchi (questi ultimi nel ‘73); attualmente divisa in più alloggi privati anche se dal 1934 – quando era dei Conte - è posta sotto tutela e vincolo della Soprintendenza alle Belle Arti.
Appare sia stata la più rappresentativa, non solo quindi ad uso coltivo ma anche abitativo e rappresentanza; attribuita al XVII secolo, ristrutturata nel secolo dopo quando fu affiancata da una più moderna costruzione che ne confonde la singolarità; riabilitata dal grave abbandono solo pochi anni fa ristrutturandola ad abitazioni. È la classica, tipica elegante costruzione secondo la mentalità locale del parallelepipedo, coperto da un tetto in ardesia a padiglione, con caratteristico ingresso principale che stringe la strada con la sua doppia breve scala di accesso esterna che porta ad un portale a cornice, molto semplice, affiancato da quattro finestroni tamponati con inferriata; al piano nobile è più evidente la distribuzione alessiana delle finestre sulla via: le tre centrali ravvicinate, e le due laterali più distaccate e vicine all’angolo estremo, su una facciata che presumibilmente era affrescata o decorata. Attaccato a nord alla costruzione c’è un corpo basso, rustico, il cui tetto fa da terrazza al piano nobile, e fiancheggia la scalinata Belvedere scendendo con essa rapidamente fino al rio omonimo delimitando i terreni di proprietà, una volta ad uso coltivo. Nell’interno, le tre finestre centrali corrispondono ad un ampio salone, circondato da varie stanze intercomunicanti.
sulla sinistra i numeri civici pari:
==civ. 16 è una villetta a due piani, di più recente costruzione (anni 1970 circa); di proprietà Angelo Carìa. Confina, a mare con i giardini del circolo ed a monte con la villa seguente; non ha proprietà nelle balze sottostanti. Nel 2010 è stata venduta a un ‘foresto’.
Sul muretto che separa questo villino dal prossimo, tra le pietre che formano il muretto è incluso un marmo con in rilievo un agnello religioso con stendardo. Qualcuno ha cercato di asportarlo, ma deve essere assai grossa perché dopo aver scavato intorno (2010) ha rinunciato.
==civ. 18 villa Rossi (non torna: dovrebbe essere il 30 !***):
Nella carta del 1757, appare piccola, insediata nei terreni scoscesi (tanto che, a livello strada è pressoché solo il tetto, sviluppandosi l’edificio nelle balze sottostanti appartenenti al mag.co Sebastiano Pallavicini descritti sotto; quindi nata non come singola villa ma forse casa dei manenti o scuderie).
Sul portale sovrasta una nicchia con una Madonna; sopra lo stipite c’è un rilievo con “l’agnus”; sulla colonna a monte del portone la scritta “villa Rossi”.
È un bell’esempio di villa coltiva, antica ma senza particolari interessanti se non la funzionalità dettata dalla disposizione intelligente a sfruttare il terreno a ponente della via, di forte pendenza, ponendo l’accesso principale sulla strada e quelli secondari per l’uso dei campi a fasce, lungo la vallata.
==civ. 20: un’altra villa contadina settecentesca, sempre nel terreno dei Pallavicini, con identiche caratteristiche della precedente.
Sulla strada principale si apre il primo piano retro della villa.
foto del 1913 - affiancate
Il Corso Belvedere quando abbandona il crinale, scende verso corso L.Martinetti: le case sono tutte recenti e senza storia particolare.
Anticamente invece, il corso proseguiva verso monte proseguendo con la attuale “salita al forte della Crocetta”, alla quale si rimanda per la prosecuzione delle descrizioni delle ville antiche.
cartolina con incisione di Ave Bassano; villa da individuare
Da studiare:
==civ.___: più vicina all’incrocio con salita al Forte Crocetta c’era un’altra, delle tante, villa Pallavicini. Nella carta del Vinzoni è segnata del “mag.co Sebastiano Pallavicini”, posta sul versante a ponente della strada (il doppio distante dal Santuario rispetto villa Poincervero che però è posizionata a levante), con ampio terreno sottostante, degradante dal crinale al sottostante Campasso (oggi via Vicenza e via del Campasso) e portata sino all’incrocio con l’attuale salita Bersezio. Costruita a forma di U, con la concavità rivolta al mare, il Remondini nell’elencare le cappelle esistenti nel borgo, nel vol. 11 informa che “Sulla costa di Belvedere Sebastiano Pallavicini avea la Cappella di San Pietro. Forse è la stessa Cappella di San Pietro dei Signori Bracelli segnata come ‘decente’ nella visita del card Durazzo del 1654”.
Forse è una villa diversa quella descritta dallo stesso Remondini nel vol. 1; scrive che “Fuori le mura esiste, nel palazzo Cataldi già Bracelli in Crocetta un di vicini della chiesa (di Belvedere? ndr) ed ora al nuovo cimitero, l’annessa cappella della SS Concezione. Questa dal 1865 servì per circa sei anni alle suore del Buon Pastore con le loro allieve quando qui ebbero stanza prima di passare a Marassi. Nel 1875 il municipio di Sampierdarena fece acquisto di questa tenuta che tramutò in cimitero, ma il palazzo esiste colla cappella” (anche se alcuni nomi di proprietari coincidono, non corrisponderebbe alla villa di nostro interesse come collocazione spaziale e come titolazione della cappella: potrebbe essere invece l’orfanatrofio di salita Forte Crocetta al quadrivio il cui ingresso è ancor ora in via Porta degli Angeli.
Non esistono altre tracce storiche di detta villa, che evidentemente fu distrutta non si sa quando, né – anche se si può presumere - perché.
4a) chiesa-santuario
Dedicato alla Natività di Maria SS. (la festa si iniziò a celebrare nel mondo cattolico, dopo la liberazione di Vienna nel 1683 dall’assedio turco di Maometto IV; ma era già all’attenzione locale dall’8 settembre 1298 quando durante la seconda guerra tra Genova e Venezia i nostri riportarono nelle acque dell’isola di Curzola una strepitosa vittoria navale facendo perdere al nemico ben 85 delle 95 navi impiegate, con 10 mila soldati morti e 7000 prigionieri (tra cui Marco Polo): fu considerata festa primaria, con obbligo a perenne ringraziamento da parte del Senato di assistere in gran pompa, alle funzioni in Duomo o in san Matteo con il deposito di un pallio intessuto d’oro ***).
È posta a 128m.slm.. Significativa la posizione con di fronte Coronata: fanno come stipiti di un portale d’ingresso alla Val Polcevera.
Ha origini - purtroppo sconosciute - che risalgono agli anni dal 900, alla fine del 1200, quando fu costruita decentrata, di dimensioni assai piccole nonché di modesta funzione spirituale essendo a quei tempi dato più importanza alla costruzione conventuale per le giovani aristocratiche - non tutte ospitate per vocazione ma le più per usanza - poiché vi dovevano vivere - seppur in umiltà - con certi agi e prerogative relative al rango sociale.
Un documento di vendita (vedi evidenziato in giallo) datato 1134, conservato all’archivio di stato, fa comparire per la prima volta il solo nome del colle ove sorge la chiesa.
Fin dall’inizio, gerenti della chiesa e dei rispettivi monasteri apparirebbero i frati dell’ordine di sant’Agostino (quindi, unicamente maschile), i quali si scrive erano arrivati a Genova nel XII secolo e favoriti in quanto più aperti degli altri ordini alla partecipazione femminile (in particolare erano canonici regolari della Congregazione di s.Croce di Mortara, legati alla regola di s.Agostino. Avevano monasteri sia in città che fuori: ricordiamo s.Teodoro; s.Paolo in Campetto; s.Lazzaro; s.Maria del Monte; s.Maria d’Albaro – poi passato alle Clarisse-; s.Maria di Granarolo; s.Maria del Priano – poi Virgo Potens-.
Esisteva a Genova un’altra congregazione agostiniana di origine toscana, stabiliti sia nella chiesa dedicata a s.Tecla in san Martino d’Albaro e sia in città in monastero con lo stesso nome.
Nel 1256 papa Alessandro IV ordinò che tutte le diverse congregazioni agostiniane, convergessero in un unico ordine = vestissero stesso abito, avessero un unico abate generale, vivessero in comunità vicine ai luoghi di aggregazione sociale per ricevere reciproca assistenza cion la cittadinanza. Il monastero cittadino dei Toscani, fu così dedicato a s.Agostino, in Sarzano, ed acquisì importanza di concentrazione direzionale e gestionale del suddetto ordine, detto perciò di primo ordine, coinvolgendo anche quelli di Belovedere, che divenne di secondo ordine assime ad altri femminili tipo –più importanti- s.GB e s.Nicolò di Granarolo del 1303; s.Nicolò di Vallechiara di due anni dopo; e s.Margherita di Granarolo). In parallelo le monache ovviamente acquisirono la identica confraternita: anche se i rari documenti rinvenuti lascino pensare che il monastero femminile sia antecedente all’insediamento degli agostiniani e quindi la chiesa e le funzioni religiose fossero gestite da qualche sacerdote proposto dai nobili dell’aristocrazia genovese che rifugiavano nel convento le figlie non destinate a matrimoni di convenienza.
Un altro tra gli antichi scritti riguardanti la chiesa vera e propria (segnalato da sac. Domenico Cambiaso nel 1913), è del 1285, in cui Mainetta -figlia di Giovanni Ascherio- dona cospicui beni (venti lire) alla chiesa del “monasterio sancte Marie de Bervei de Janua”; il nome “Bervei” è un termine di passaggio dal latino maccheronico “belo videre”, all’italiano “Belvedere”). Un eguale per lire 5 è del 1289 firmato da Giovanni Musso (“monasterii de Berveer”).
Datata 1290 la presenza quale priore del frate Nicolò Dentuto dell’ordine degli eremitani di s.Agostino. Questo frà Nicolò Deatato (o Dentuto) è il primo “priore” sicuramente conosciuto, di altri precedenti e dei 14 successivi. Egli, nel 1311 verrà delegato da Clemente V a partecipare al concilio di Vienna (1311-indetto da papa Clemente V –Bertrando de Goth- eletto 1305; nel 1309 trasferito ad Avignone; 1314 soppresse i Templari; Liber Clementinarum) venendo qui sostituito dal prete Simone Ceresola da Rapallo; e quando non poteva recarsi così lontano, era là sostituito da prete Enrico di Portofino).
In questi anni, con il molto probabile interessamento delle sorelle del frate, matura l’apertura del convento femminile; verrà realizzato nel 1303. Una lettera di papa Bonifacio VIII del 23 marzo 1295, segnala una Marinetta e suo marito Nicolò, di Portovenere, venuti nel convento quali conversi (=laici che lavorano in un convento; lui per quello maschile, lei per quello femminile)
Nell’anno 1303, 13 gennaio, (Cambiaso scrive 1290) appare infatti su un rogito di Ambrogio di Rapallo esserci un monastero “doppio” –maschile e femminile “cuius Prior erat F.Nicolaus Dentutus nunc de Pinellis, et Priorissa soror Jacobina cum XXVI moniliabilius ex nobilioribus Genuae familiis” (“il cui priore era frate N.Dentuto ora de Pinelli e badessa suor Giacobina con 26 consorelle provenienti dalle migliori famiglie genovesi” (ovvero molto pochi i frati, ed invece ben 26 monache, appartenenti alle più nobili famiglie, governate da suor Giacomina Dentuto (vengono citate degli Spinola, Regina e Boscarina; Lomellini, Isotta e Clarisia; DeMari Argentina, D’Oria Franceschina; Lercari Marietta; Pallavicini Margherita; Pinelli Leonetta; Dinegro Pietrina ed Alessia; Ricci Andreola e Catarina; Cicala Adelina; Fallamonica Marietta; DellaPorta Selvaggina; Vento Isabella; Boccaccia Caterina; Dentuto Jacobina -su citata- e Simonina; d’Asti Pietrina; Embrone Marinetta; Spezzapietra Francolina; Frumento Artemisia, Jacobina e Caterina;). Procuratori del nuovo monastero appaiono essere stati tal Pietro Ugolino e Giovanni di s.Ambrogio; e testimoni, prete Simone Ceresola da Rapallo; Luchetto Scaletta, drappiere; Giacomo Grosso di Belvedere; Nicolò dePace; Enrico Benvenuto di Belvedere.
Segno che il romitorio già godeva di ammirazione e stima da parte della nobiltà cittadina, possessori poi di ville e terreni nelle vallate sottostanti.
In concomitanza, si legge che essendo molte giovani rinchiuse non per volontà propria né per vocazione, non sempre se ne avvantaggiava la morale. I problemi di vocazione ‘obbligata’ si fecero risentire rapidamente, se dopo appena una decina d’anni le presenze femminili risultano dimezzate.
Del 1312 (quando il frà Dentuto si assentò per il Concilio di Vienna) si riferisce gerente un sacerdote secolare (don Simone Ceresola di Rapallo; probabilmente perché in quegli anni, i frati erano pochi).
Anno 1315: le suore appaiono essere solo 13. Cambiata la badessa (ora suor Maria Lercari) e la co-priora, suor Francolina Ghisolfi; ed anche il cappellano del monastero, fra Vignolo da Pavia.
E’ del 1320 un legato del 28 febbraio, col fine di ristoro del monastero (‘auxilium constructionis, hedificationis et meliorationis’) già deteriorato per l’età, di Sibellina (Sibilina) vedova di Giacomo Oltramarino.
Nel 1335 ne fu badessa suor Margherita Pallavicini; di essa si conosce un contratto con Bornello (o Bonetto) Grillo, la cui famiglia otteneva il diritto di particolare sepoltura nella chiesa (lapide ancor ora esistente, fregiata dallo stemma gentilizio).
Poco piùm tardi, 1339 troviamo come badessa suor Marietta Falamonica, con poche suore
Anche il benedettino Ansaldo Lomellini, con testamento datato 1345, lasciò al monastero lire dieci affinché le suore pregassero per la sua anima.
Si presume che i frati, in numero sempre più esiguo, non fossero di stanza fissa nella chiesa, ma vi si recassero nelle occasioni festive e più frequentemente nell’estate. Non solo calavano le vocazioni, ma era anche la posizione isolata e di scomodo accesso, esposto così alle lotte di fazione. Le suore invece, seppur fluttuanti, erano in discreto numero; ma rimaste poi sole ed isolate nel periodo di continue lotte civili interne tra famiglie e fazioni, guelfi e ghibellini, nonché violenti e briganti -da soli od in bande- che imperversavano indisturbate sulle alture, si trasferirono dal 10 ottobre 1351 nel monastero di santa Consolata Vergine a Genova Prè (altro antico monastero dell’ordine Cistercense, dal XII secolo posto in Fassolo tra san Tomaso e san Michele (=oggi piazza del Principe) e gestito da suore che osservavano le regole benedettine e si facevano chiamare suore di s.Consolata. Tra le reliquie conservava un braccio della Santa – poi traferito nella Metropolitana -. Portandosi dietro la sacra effige della madonna, il nuovo recapito assunse il doppio nome di “monastero di s.Maria di Belvedere e di s.Consolata”. Nel 1454 badessa era suor Diamante DeMarchi e ricevette soccorso per riparazioni in seguito ad incendio; nel 1472, 29 maggio, i giudici citano il monastero in causa con un altro piacentino, per cause non descritte; nel 1485 il monastero viene esentato dalla gabella del vino; nel 1499 si ricercarono i colpevoli di danni portati al muro di cinta e denunciati dalla badessa Tomasina DeMari e tesoriera Bartolomea Spinola. Esso fu poi demolito nel 1535 per la costruzione del terzo giro delle mura.”). Vendettero gli immobili, il chiostro e giardini, i terreni e le rendite (come delle ‘Compere del sale’) al nobile patrizio Leonardo Cattaneo (quale esecutore testamentario di un non meglio conosciuto Vasso o Vassallo, di Cogoleto. Scriba scrive: Cattaneo Grillo, forse parente di quello della lapide dell’anno dopo; D.Cambiaso propone il Grillo Ottaviano come altro nobile che beneficiò la chiesa).
Malgrado l’assenza delle suore, il convento continuò la sua missione religiosa, mantenendo il nome; passando le consegne dal Cattaneo agli stessi frati di sant’Agostino di Genova, con atto presso il notaio Gilberto Carpena, lo stesso 10 ott.1351, affinché la chiesa continuasse il culto quotidiano: anche se in esiguità di sacerdoti, almeno uno, con un chierico, risiedesse nel convento e celebrasse messa quotidiana in memoria dei benefici lasciati (é ovvio che l’allontanamento delle suore, molte delle quali provenienti da ricche famiglie, di colpo determinò l’azzeramento delle sovvenzioni da esse derivate); provvedendo a munirla dei fondamentali arredi sacri (calici d’argento, messali e libri liturgici, ecc); il patto prevedeva anche sia un ufficio religioso anniversario, sia l’invendibilità totale – anche nei casi concessi dal diritto canonico - e quindi che in caso di abbandono da parte dei monaci i beni sarebbero passati in pieno potere all’Arcivescovo di Genova e non ai frati.
Una lapide del 1352 posta sulla porta del campanile e ricuperata nel 1845 ricorda: “MCCCLII - DIE PRIMA OCTOBRIS - CONVENTVS FRATRVM EREMITARVM S.AVGVSTINI DE JANUA PROMISIT - CELEBRARE IN PERPETVVM VNAM MISSAM PRO ANIMABVS PREDECESSORVM ET SVCCESSORVM D. OCTAVIANI GRILLI - ITA QUOD SEX MENSIBVS ANNI - DICATVR IN CONVENTV DE HJANUA ET ALIIS IN LOCO DE BELLVIDERE - PRO BENEFICIO RECEPTO A PREDICTO DOMINO” (1352, primo giorno di ottobre - i frati eremiti del convento di s.Agostino di Genova promettono celebrare una messa in perpetuo per le anime dei predecessori e successori di Ottaviano Grilli, in modo che per sei mesi siano dette nel convento di Genova ed altri sei nella località Belvedere, per beneficio ricevuto, secondo il volere di Dio).
L’interessamento del patrizio dovette funzionare, se viene documentato nel 1357, un Capitolo generale provinciale (o Concilio di Lombardia) tenuto nel monastero dai padri eremitani Agostiniani della provincia di Lombardia. (una lapide ?***).
Ed altrettanto se le tasse diocesane appaiono abbastanza elevate rispetto altre chiese: nel 1360 il Monasterium de Belovidere paga sia lire 5 per una colletta imposta alle chiese dal legato pontificio card. Egidio Albornoz (per arrivare a £.1000); e sia 10 soldi per altra colletta per altri nunzi e cursori della SSede. E cinque anni dopo, 1365 13 maggio, versa sia £. 1,5 di imposta per una colletta promossa dal legato Androin; e sia £ 2 ad agosto per altra imposta dall’Arcivescovo di Genova per altre legazioni.
E nel 1368 appare che la chiesa era tributaria di un certo numero di ceri alla Metropolitana di san Lorenzo.
Nel 1378 con la morte di Gregorio XI, la controversia in seno alla chiesa cattolica portò allo “scisma d’occidente” con due sedi papali (Roma con Urbano VI, e Avignone con Clemente VII; e continuò fino al 1417 con l’elezione di Martino V. Genova si schierò con la chiesa romana. Nel 1385, il monastero versò prima 3 soldi, poi £.1,5 per ambasciate a Roma; e poi ancora £.3,10 per un regalo di 700 genovini offerti al papa quando venne a Genova.
Nel 1387 risulta che “monasterium de Belouidere” (tradotto dal cav. LT Belgrano in ‘Bella Donna di Belvedere’), fu soggetto a pagare 0.12 libbre (grano o di cera?) corrispodenti a £.3,5 di tassa straordinaria istituita da papa UrbanoVI per compensare le spese sostenute in guerre contro gli scismi.
Da una decina di anni, Belvedere pagava tasse tendenzialmente alte rispetto alle altre chiese, sintomo che era classificata ad alto reddito. Da quest’anno verranno ridimensionate le quote spettanti.
In effetti, Leonardo Cattaneo (junior, diremmo oggi), nipote del patrone della Chiesa, nei primi giorni di gennaio 1409 si lagnò presso la Metropolitana (Autorità diocesana e Capitolo) perché non veniva rispettato l’impegno di celebare la messa come convenuto; nonché la scompasa degli arredi di valore; e il non messo a frutto e dispersi per altri usi i redditi e proventi delle Compere del Sale (costituite da Vasso di Cogoleto). Un manoscritto anonimo - a cui non si può dar credito assoluto, ma che giustifica la difficoltà di gestione, essendo i frati troppo pochi ed il complesso così lontano ed isolato - dice che il 29 gennaio 1409 il monastero era divenuto dipendenza del Capitolo metropolitano di san Lorenzo; intervenuto questi -assumendone il governo - tramite un delegato sacerdote secolare, padre Giacomo, subentrato in carica a questa data (con l’impegno di dare una candela dal peso di una libbra; mantenendo a patrone, difensore e protettore lo stesso Leonardo Cattaneo.
1410 12 settembre «i canonici e il capitolo della chiesa di S.Lorenzo in Genova, adunati a capitolo e chiostro di detta chiesa, assieme all’egregio giureconsulto signor Leonardo Cattaneo, figlio di Carlo quale patrono della chiesa di S.ta Maria di Belvedere di Promontorio vicino a Genova, e quale procuratore ancora di detti canonici, costituiscono ed eleggono loro speciali procuratori per proseguire nella curia romana una causa di appello interposto da fra Agostino sindaco del Convento di S.Agostino in Genova da una sentenza interlocutoria profferita nella causa messa da Leonardo Cattaneo contro detto Convento (Cipollina-II.281).
1412, 17 giugno, il notaio Gio.Cavazza stende un atto dichiarante che gli ufficiali delle Compere del sale –presso cui la chiesa possedeva 10 luoghi- dovevano dare i proventi solo a Leonardo Cattaneo (o suo delegato; solo quattro anni dopo, Leonardo li cederà al priore, arrivando il 1 marzo 1417 a concedergli –rinunzia e cessione- anche ogni diritto di Patronato).
Nello stesso anno 1412, il Cattaneo dava in locazione la villa del monastero a Catterina, figlia di Simon Boccanegra e moglie di Angelo DeMari.
Ma se nel 1416 i beni (chiesa, monastero, terre e rendite) furono riconcessi gratuitamente -a parte il dono natalizio di un cero di dieci libbre- ai padri Agostiniani (di santa Tecla) in Genova. La congregazione si ritrovò in condizioni di netta ripresa, e potè farsi rappresentare nella carica di priore di Belvedere – a partire dal 27 gennaio 1416 - da p. Paolo Vivaldi genovese, già vicario del convento di s.Agostino, maestro di sacre lettere; favorì la attuazione della riforma in tutti i conventi della zona; priore che gli annali dell’ordine commentano “uomo di grande valore e molto stimato”; solo gli si vietò mandare a questuare entro le mura, permettendola solo fuori delle mura (anche del vino); ancora riservandosi il Cattaneo il patronato per il futuro, da Leonardo a tutti gli eredi della famiglia). Il patrone aveva così trovato i monaci necessari per continuare la gestione senza l’ausilio del Capitolo metropolitano essendo essi tornati ad essere abbastanza numerosi. In effetti le vocazioni erano aumentate con un fervore superiore degli inizi, comprendendo persone di alta virtù (vengono segnalati b. Giovanni Rocco Ponzia autore della riforma agostiniana in Lombardia e dal 1441 priore del convento della Cella; IL B. Benigno Peri genovese, che vestito l’abito agostiniano nel 1442 alla Cella, vi moriva nel 1497; GB Poggio, rapallese, fondatore della Congregazione agostiniana di s.Maria della Consolazione, il quale preso l’abito nel 1450 evangelizzò la Liguria fondando ben 11 conventi e che morì nel 1497). Il rientro degli Agostiniani, concomita con la concessione ai monaci di introdurre ed applicare la nuova riforma dell’ordine di sant’Agostino.
La floridezza del monastero, fu premiata nel 1425 come sede del Capitolo Provinciale dell’ordine agostiniano (vedi anno1357).
Nel 1431, a p.Vivaldi successe -come priore- p. Gregorio da Pavia (notaio Rolando de Laneriis). Dopo 5 anni, nel 1436 2 maggio, successe p. Donato Castagnola –notaio Foglietta Bartolomeo; il 15 nov.1442 ricevette l’autorizzazione dall’arciv. Giacomo Imperiale, di fare testamento al notaio Andrea DeCairo
Sicuramente è dal nome del colle che un ricco possidente diede origine ad una nobile famiglia, dei Brevei (o Brevoi): nel 1445 ottenne la facoltà (cittadinanza) di abitare entro le mura. E’ del 3 aprile 1456 un atto notarile firmato da ‘notaro Guirardo de Bervej’ relativo ad inventario del defunto Matteo Salvaghi. Un Lodisio di Brevei fu tra quelli che nel 1488 giurarono fedeltà al duca di Milano; questi, nel 1499 –fino al 1501- fu Consigliere della Repubblica, e nel 1502 sedette tra gli Anziani; morì 93enne nel 1532 sepolto nella certosa di Rivarolo; e dopo aver mutato il cognome entrando nell’albergo dei Fieschi (anche se essi erano guelfi e Lodisio aveva parteggiato per i ghibellini). Alessandro Brevei aveva sposato Cornelia Sauli la cui famiglia annoverava illustri personaggi politici, mercantili e religiosi.
Nell’anno 1464 alla chiesa di Belvedere toccò pagare 30 soldi di tassa , a Fabiano da Montepulciano commissario apostolico per la Crociata caldeggiata da Pio II, ma poi non eseguita.
Il 15 maggio 1446, lo stesso arcivescovo dava (in forza di una bolla papale Eugenio IV del 9 febbr. -notaio GB Calistano) il priorato a p. Lanfranco De Squassiis di Savignone. Alla sua morte (credo 1472), i proventi della chiesa -seguendo un iter proposto dal Vcario arcivescovile- furono consegnati al sindaco di sAgostino di Genova, p. Lazzaro Simonetti.
Si sa che solo nel 1485, 21 giugno, i padri agostiniani concedevano locazione a Belvedere a p. Gerolamo Castello sino a fine vita;
Sotto il governo della Repubblica, in quegli anni, il convento risorse a migliore vita e fervore religioso, divenendo esempio di asilo e pietà di fede e contribuendo non poco all’incremento e prosperità del sito. Un decreto del 1465 concedeva ad un povero storpio, come “grazia speciale” di vendere cialde in continuità delle chiese. Evidentemente fu già mèta di feste religiose e sagra, se nel 23 dicembre 1485 si sentì il bisogno di dare regole statutarie ai venditori ambulanti (nebularji) di dolcetti vari come canestrelli, collane di nocciole, cialde o burattinai.
Agli inizi del 1500 il Giustiniani, descrivendo Promontorio, nelle 101 case vi include il piccolo monastero di sM di Belvedere dei frati di sAgostino conventuali.
Nell’anno 1507 l’esercito di Luigi XII, al comando del gen. Chaumont d’Amboise. Arrivato a Rivarolo, iniziò a risalire a Belvedere, difeso da Leonardo da Monteacuto il quale, visto la stragrande potenza dell’invasore, preferì ritirarsi dando fuoco alle polveri prima che fossero catturate dai francesi. Il 25 aprile la posizione, compresa Promontorio, fu invasa ed acquisita dal portabandiere francese Giacomo d’Allégre. Il gen.non incalzò i fuggitivi e lasciato lassù un forte manipolo, tornò a Rivarolo. I genovesi fecero all’alba un contrattacco, riconquistando le posizioni; ma da Rivarolo tornarono all’assalto i francesi che spensero ogni ardore di vittoria; e Genova aprì le porte al re facendogli prima omaggio al Boschetto.
Nel 1514 successe p. Stefano da Zoagli al quale fu chiesto- in compenso alla pensione annua- 14 luoghi nelle Compere di sGiorgio.
Nel 1535, mons.Giustiniani, nel descrivere Genova, cita il “piccolo monastero di S.M. di Belvedere dei frati di S.Agostino Conventuali, posto alle spalle di San Pier d’Arena“. In quegli anni, seppur la chiesa fosse isolata e lontana dal borgo, gradatamente acquistò particolare venerazione e quindi grande concorso di fedeli devoti per l’immagine della Madonna (vedi descrizione sotto), però già presente nella chiesa da molto tempo. Così la chiesa progressivamente acquistò celebrità presso il popolo, richiamando moltitudini e celebrazioni.
Questi eventi favorirono la concessione papale di Pio IV nel 4° anno di pontificatoche con bolla del 13 ago.1563 (altri dicono nel 1565) su istanza dell’abate p.Alessio da Stradella (nato a Fivizzano, vestì l’abito agostiniano nel 1530 circa; dieci anni dopo era famoso quale insigne teologo eremitano agostiniano, con alti incarichi teologici in città e poi predicatore in molte città italiane; molto devoto al santuario di Belvedere; chiamato a far parte del Concilio di Trento (1562); a Perugia nel 1570 fu eletto Procuratore generale dell’ordine; divenne poi –ordinato da papa Gregorio XIII, nel 1572, vescovo di Nepi –Toscana-; nel 1580 fu inviato quale nunzio papale presso la corte dell’arciduca Carlo d’Austria: durane il viaggio, morì il 27 ago 1580) concesse una amplissima indulgenza perpetua per l’ 8 settembre a chiunque visitasse in pellegrinaggio il Santuario (in forma di amplissimo Giubileo perpetuo, a chi semplicemente visitasse la chiesa pentendosi dei propri peccati e partecipasse ai sacramenti il giorno della festa della Natività della Beata Maria Vergine (il testo della bolla inizia scrivendo “a tutti i fedeli dell’uno e dell’altro sesso, che veramente pentiti e confessati, ovvero abbiano fermo proponimento di confessarsi nei tempi dalla legge determinati, i quali nel giorno dedicato alla Natività di Maria Vergine, dai primi Vespri fino al tramontar del sole della suddetta festa, ogni anno, divotamente visiteranno la suddetta Chiesa di S.Maria in Belvedere, ed ivi, secondo la loro divozione, pregheranno Iddio per Noi, per lo stato felice di S.Chiesa Romana, e per la conservazione ed esaltazione della Cattolica fede; ovvero offeriranno altre preghiere, secondo la loro divozione : quante volte faranno questo, concediamo la remissione di tutti i peccati in virtù di amplissimo Giubileo”): bisognava confessarsi per venire prosciolti da anche i più enormi delitti -eccetto quelli segnati in una “bulla coenae”- e dai voti fatti -eccetto quelli di castità e religione-; tale concessione fu autenticata dalla sacra Congregazione dei Vescovi e regolari nel 1614 e dalla sacra Congregazione delle indulgenze nel 1712. Anche la curia arcivescovile genovese - firmatari di una bolla in data 1715 il vicario generale Salvatore Castellino ed il deputato Gianstefano Spinola -come si legge su una lapide collocata in chiesa- accettò la decisione dei Superiori, sottoscrivendo l’atto. Pio VII poi, prolungò nel 1814 questo tempo sino alla Domenica successiva alla festività; e Pio IX nel 1847, a tutta la settimana in cui cade la festività stessa. Tale era la convinzione dei benefici ottenibili da queste disposizioni, che i governanti assunsero un provvedimento di importanza fondamentale per tutti i tempi del cristianesimo: si impegnarono a concedere regolare salvacondotto personale per recarsi liberamente nella settimana a Belvedere (dal 5 all’11 settembre) a coloro che avevano conti da regolare con la giustizia umana o, affinché si regolarizzassero almeno con la giutizia divina; un editto del 1696 ripropone la concessione quinquennale del salvacondotto ‘per tre giorni inanti e tre dopo immediati’).
L’evento favorì la nascita di una gaia solennità festiva di cui approfittava il popolo del borgo sottostante e vicini per accorrervi ed apparire in comunità (l’antichissima festa, acquistò maggiore solennità in quanto concomitava con la ricorrenza della vittoria navale -il 7 set.1298 a Curzola, delle galee di Lamba Doria sui veneziani , in cui perdettero 67 galee inabissate più 18 catturate e tra i 7mila prigionieri fu catturato anche Marco Polo-; già allora alla stessa data, per disposizione del Senato ed in rimembranza, mentre i governanti si riunivano solennemente in san Matteo ove dovevano deporre sull’altare della Madonna un pallio*** d’oro in segno di perenne ringraziamento, il popolo era invitato agli altari dedicati alla natività della Madonna).
Da allora, ogni anno, si verificava una vera e propria mobilitazione generale genovese verso il Santuario anche se per essi era assai disagevole arrivarci per carenza di strade; così moltissimi usufruivano dei servizi via mare sui gozzi che dovettero essere opportunamente organizzati causa l’eccessivo affollamento: i Padri del Comune fissarono modalità di trasporto e limite di prezzi esigibili dalla riviera di levante genovese fino alla ‘zona Lanterna’ (per far salire a piedi la strada degli Angeli detta ‘della Pietra’) o sino alla spiaggia di San Pier d’Arena, per risalire l’erta crosa (una parpagnola a persona -ovvero due soldi; 20 soldi erano una lira- per non più di 10 passeggeri alla volta; la multa per le infrazioni era allora di 25 lire; portate a 100 o carcerazione nel 1750; in questi anni 1760-1778 si ha il numero delle imbarcazioni usate allo scopo, che in media era di 186 gozzi). Per le donne, i migliori vestiti; le popolane con gonne da smaglianti colori e giubbini scarlatto o a fiorami, i mezzari collane e brille d’argento tra i capelli, fiori - anche finti che già si vendevano alle sagre-; attorno -già regolamentati dal 1485 con particolari leggi - le baracche dei rivenditori coperte di frasche con la merce dentro le ceste, tra cui dolcetti (canestrelli, frutta secca); ed i casotti di teatrini, burattini, cantastorie, suonatori. Ancora nel 1661 la Curia sottolineava che la chiesa essendo troppo piccola per il numero di convenuti, occorreva che ‘per entrarvi bisogna aspettare che ne eschino quelli che vi sono entrati’ (spiega Scriba che risale al codice Giustinianeo l’usanza di fiera e mercato intorno al sagrato dei santuari, per vendere frutta, dolciumi e bevande; anche se a quei tempi la presenza era privilegio limitato ai cristiani sottolineando non essere giusto che gli eretici -.che non ascoltano i divini misteri- approfittino di tali assembramenti per proprio interesse).
Corsi, riferendosi all’8 sett.1801 scrive «bellissima giornata, coperta dal sole, la quale fa onore alle persone che si portano alla visita del Tempio di Nostra Signora di Belvedere per partecipare all’amplo Giubbileo... oggi v’è così concorso, che credo non vi sia mai stato. Inoltre vi è una abbondanza di noci, e gran masse di castagne, dove se ne spera una pingue raccolta»
Nel 1579 una nuova minaccia di infezione a Pontedecimo (dove gli imprenditori aveva i maggiori magazzini e lavoranti a domicilio) aveva fatto bloccare tutte le merci nei magazzini; la corporazione dei setaioli fece domanda di sbloccare il mercato della seta magari sotto tutela di ‘vigilatori’. I ‘conservatores sanitatis’ a ottobre accettarono lo sblocco purché la disinfezione non fosse a spese del pubblico erario, assegnando la guardia di dieci soldati per la custodia, e decisero che la ‘purga’ dei tessuti avvenisse ‘nell’estremità di una collina sovrastante il borgo di San Pier d’Arena’ presso il ‘Monasterium de Belvedere, posito in Promontorio, pro reponendis seti set pannis sete, et ibi purgandis…et sete conducende in ecclesia Sancte Marie de Bervei, concessa pro reponendis setis, conducantur per viam publicam promontorii sub cautellis et custodibus deputandis…’ . Furono reclutati trenta trasportatori (soggetti poi alla quarantena, pagati venti lire al mese, perché due voilte alla settimana facessero il trasporto sino al colle. Lassù, sei addetti –a 22 soldi al dì- sottoponevano i tessuti ‘infetti’ alla ‘purga’ (il più pericoloso) ed altri sei addetti alla ‘scioratura’ cioè stendere all’aria i tessuti. Responsabile era il ‘commissario in loco Brevei’ (il primo fu Paolo Cavo, e suo ‘iuvenis’ Giovanni Giustiniani) dotato di pieni poteri e paga mensile di 310 lire
Nel 1582, mons. Bossio, visitatore apostolico, scrisse che la chiesa (“ecclesia simplex D. Mariae de Belvedere”) aveva un solo altare, come ancora dal tempo della fondazione, però privo del prezioso e sacro calice dell’Eucarestia.
Cambiaso scrive che aveva tre altari per i rispettivi titolari: uno a Maria, uno a s.Agostino, ed uno al ss.Crocifisso. Giudicò i sacri vasi e paramenti “minus congrua” e di conseguenza ordinò che l’altare centrale oltre il crocifisso avesse 2 candelabri, tre carte-glorie, tre tovaglie con sopratovaglia, 5 palii, 2 messali, 2 leggii, 2 calici, 4 pianete, 5 corporali, 10 borse, 10 purificatoi, 4 camici). Ordinò smontare i due altari laterali, giudicando sufficiente quello centrale; rimuovere il tabernacolo perché insicuro e quindi non poteva conservare il ss.Sacramento; impedì praticare l’adorazione delle Quarant’ore (in Quaresima, a ricordo delle ore trascorse da Gesù nel sepolcro e rappresentate dal ss.Sacramento esposto per eguale periodo; entrò in uso dal medioevo) eccetto cause gravi e solo su licenza scritta dell’arcivescovo non essendo né parrocchiale né collegiata.
1635 22 aprile. Il priore fra Guglielmo, maestro, fa fare estimo della “villa di SM di Belvedere” da Camillo Ramasso
Nel 1650, divenne Santuario, acquisendo così fama e donazioni, con cui poter essere accresciuta ed abbellita. La Curia concede licenza di questuare, a p. GB Canevaro (forse priore).
Ma ancora nel 1661 29 ottobre, un Ambrogio Marchese, denuncia che la chiesa è rovinosa, incapace di contenere il popolo quando l’8 settembre esso va a far festa ed invita al restauro.
Negli anni del 1665 gli Agostiniani demolirono la vecchia chiesuola del 1300 e ne riedificarono una nuova.
Infatti, sino a quella data era ancora di ben piccole dimensioni: i pp. Agostiniani chiesero alla s.Sede poter alienare un terreno a fianco della chiesuola che valeva £.300, considerato che c’era un pio benefattore che offriva £.500 per una ‘nuova fabbrica della chiesa’. Il rimanente si sperava da donazioni, concorso di popolo, lasciti per tombe (i primi, della famiglia Frassinetti: Pantaleo di Guseppe, sepolto il 1 aprile 1606; Marietta, 11 giugno 1610; Catterina, 11 febbraio 1610; Giacomo, 8 marzo 1610 Bartolomea 20 giu 1615;. di Gabriele e fam del 1667. Poi Franca Castello 19 febbraio 1611; Craviero Maria 18 sett 1616; Matteo Rolla 7 sett.1618; Cesare Gambarino e fam 1670; del marc. Giuseppe De Ferrari fu Francesco 1726; dei Samengo: AngeloMaria 1811, GiuseppeAngelo 1818, CarloMaria 1825; nobile AntonioMaria Bracelli 1817. Altre 1800esche di AntonioMariaGiuseppeDerchi, RosaPodestà in Copello; Gaetano Capponi; baronReginaQuagliaAntonielli di Costiole; Adelaide Gautier in Capponi; MariaAntoniaDeAlbertis; MariaPlacidaCarolina Mariotti; AngelaMRosaBadini).
La s.Sede rispose positivamente il 4 dicembre per la vendita del terreno.
Cambiaso scrive che il benefattore si chiamava Giovanni Giacomo Gazino (da un decreto dell’Arcivescovo); altri scrivono che la cospicua donazione fu di Giacomo Costa, il quale da Cambaso viene invece citato come donatore di addirittura £. 10mila per il convento ed al quale i padri si obbligarono in perpetuo alla celebrazione di una messa quotidiana. Un controllo da parte del priore è testimoniata il 3 ott. 1675, quando p. Francesco Borzone si interessa dei ristori fatti dal Costa e predispone per la messa quotidiana in suo favore.
Ciò, comunque, permise la ricostruzione della chiesa (non è dato sapere se demolendo la precedente o usufruendone delle strutture e apportando modifiche o restauri) cambiando totalmente sia architettura, ornati, dimensioni e forma, divenendo come è attualmente: rettangolare con due cappelle esternate ai lati; fu aumentato il numero e l’ornato degli altari (il maggiore dedicato a Maria SS: Ella è raffigurata col Bambino in braccio, dipinta su una tavola ottagonale di legno, con cornice raggiata e posta in una nicchia): potrebbe essere quindi che l’attuale chiesa sia un secondo edificio e che quella antica e primitiva sia in corrispondenza della cappella che la fiancheggia a sud con un altare dedicato a sant’Agostino; ed ingrandimento anche del convento (sino ad allora chiamato ‘conventino’). La persistenza di alcuni muri medievali –come quello che separa, nella parte inferiore, il chiostro dalla cappella lat.sin.- inducono a pensare ad una “profonda ristrutturazione”; nell’osservazione diretta della attuale chiesa, non emergono più caratteristiche relative al primo impianto medievale. Però la obliquità della facciata rispetto le pareti laterali, porge dimostrazione di ‘adattamento’ alle strade e –probabilmente- a dei muri precedenti da usare.
Nei «Saggi cronologici di Genova», relativi all’anno 1743, si legge “la prima domenica dopo il giorno della Natività (di Maria), si fa da tutti l’ufficio del Nome della B.V. concesso dalla felice memoria d’Innocenzo XI quando l’anno 1683 a 12 settembre…fu liberata Vienna dal potentissimo esercito de’ turchi…in Genova si fa pubblica solennità…ed i Serenissimi Collegi vanno in Duomo…”. Nell’occasione anche a Belvedere iniziò il festeggiamento del “Nome di Maria”, in ottemperanza anche ad una grida del 1686 con la quale il Senato ordinava che detta “nuova festa” avvenisse con grande pompa in tutto il Dominio, prescrivendo che nella vigilia si facessero “fuochi di gioia, luminarie, spari et altri segni di giubilo soliti farsi per la solennità di s.Giovanni Battista”.
Frequentatrice della chiesa, era nel 1691 la giovane aristocratica Apollonia Acquarone; innamoratasi del plebeo Filippo Casoni (1662-1723, poi scrittore ed annalista famoso), architettarono un finto rapimento che fu messo in atto vicino alla chiesa: il giovane assoldando dei contadini e dei soldati corsi riuscì a far fuggire i valletti che seguivano la portantina e scappare con l’amata. I due se ne andarono assieme a Coronata nella casa di campagna dei genitori di lui, ma furono raggiunti dal Capitano del Popolo della Polcevera, furono separati: lei rispedita a casa e lui portato nelle celle del Palazzetto criminale (ove oggi è via Tommaso Reggio vedi foto a pag.72 del libro di Dolcino; fu condannato a vent’anni di carcere. Qui iniziò la sua opera letteraria (ma anche si ammalò di “distillazione salsa al petto”, cioè una bronchite catarrale divenuta cronica); quattro anni dopo il padre ottenne la scarcerazione avendo pagato mille scudi d’argento. All’annalista non bastò la lezione, se l’anno dopo andò sposo, ma poco dopo fu nuovamente ospitato al Palazzetto per nuove esperienze galanti ma irregolari, avvicendate da un secondo matrimonio nel 1710).Sappiamo che il 28 luglio 1717 frà Antonio Leonardo Piccaluga, bacelliere, era allora priore, perché concede a Giuliano Venzano di questuare per il convento e chiesa.
Nell’anno 1746 avvenne l’invasione austriaca. Belvedere era stato fortificato con 12 cannoni, ed ancora nell’aprile 1747 la difesa reggeva l’urto dell’invasore guidato da Schulembourg, sia che cercasse di proseguire in fondovalle, sia che si appostasse a Coronata; e qui fu portato –da Certosa- il quartiere generale della difesa di Polcevera alle dipendenze del gen. Gaspare Basadonne. Finita la guerra, furono indetti solenni ringraziamenti alla Madonna.
Il 18 novembre 1755 il custode-priore Giacinto Capponi, della chiesa e convento- dà incarico a Gerolamo Barabino di questuare per la chiesa.
Il tutto proseguì sino al 1797, sia quando furono regolamentati per legge dal governo napoleonico i beni religiosi e sia quando gli insorti –al grido di ‘viva Maria’ avevano occupato il forte Tenaglia (il gen Duphot con il comandante Va, debellarono gli insorti; di riflesso le truppe avevano invaso il Santuario e cacciato i frati. Il 26 ott.1802 il decano del Magistrato delle Finanze (sen GB Rossi) rimetteva agli amministratori laici le chiavi del Santuario (sig. Antonio Moro, Bartolomeo Arduino, Domenico Chiappori, GB Rivara)
Nel 1810 vennero soppressi tanti ordini sacerdotali e chiusi altrettanti monasteri e chiese: in quegli anni confusi, il santuario rimase vuoto, ma aperto al culto, affidato ad un “custode”, sacerdote secolare dell’archidiocesi genovese (nell’anno 1800 il primo di successivi 16 fu il sac. Murta Giuseppe; poi passò all’abate già agostiniano Angelo Righetti, che la gestì fino al 1814).
Alcuni anni dopo, nel 1815 circa, --prendono il governo gli ‘Stati Sardi” detti di “terra ferma”, monarchia assoluto-ereditaria della real casa di Savoia (Carlo Alberto). –al Santuario ritornarono gli Agostiniani che dovettero subito affrontare il gravissimo problema proposto da lord William Bentinck prima di abbandonare i suoi progetti e dare le consegne al Genio del governo Sabaudo: in quella posizione strategicamente dominante proponeva la demolizione di tutto, per erigervi un forte; e per intanto aveva dato l’avvio alla costruzione avanzata della Lunetta del Belvedere e le basi del futuro forte Crocetta. I piemontesi si trovarono col progetto iniziato.
1818 una ordinanza del sindaco Mongiardino Antonio impone che per vendere pane, canestrelli e vino vicino al santuario, occorre chiedere dove mettersi ai massari; proibito il pane di altri comuni; pagare il dazio per il pane locale.
Nel 1819, 7 gennaio, p.Giovanni Andrea Balzi, procuratore degli Agostiniani, con atto del 7 maggio presso il notaio Ignazio Carbone, dovette cedere in contanti all’Azienda di guerra di stato, i fabbricati sia della chiesa che del convento. La reazione popolare e la fabbriceria, molto si adoperarono perché il Santuario non venisse intaccato; e quando già numerose opere di demolizione erano state applicate ai fabbricati vicini, solo nel 1821 (8 ago) fu deciso spostarne la posizione nei terreni sottostanti, convenendo però col governatore genovese Roero di Sanseverino l’occupazione provvisoria di buona parte del convento per trasformarlo in magazzini militari (che persistettero per oltre settantanni, dietro relativo compenso).
Rimasta libera da vincoli e pericoli, e ritirati definitivamente i monaci, la chiesa venne affidata alla custodia di sacerdoti secolari.
Nello stesso anno, l’arcivescovo di Genova, mons. Luigi Lambruschini concedeva alla chiesa, di essere esente da ogni dipendenza parrocchiale.
Nel 1833, al Santuario salì la regina Maria Teresa Cristina di Sardegna, da due anni vedova del re Carlo Felice ( prima, era ‘duca dei Genevois’; a lui è dedicato il teatro lirico cittadino).
Nel 1839 --fu costituita una regolare Fabbriceria per volere del card. Tadini. Furono nominati membri i sigg. Giuseppe podestà, Francesco Bobbio, Bartolomeo Mongiardini, Angelo DeAlbertis e Francesco Rolla. – il regolamento napoleonico che regolava elemosine, rendite, beni, ecc. rimase in vigore, e quindi amministrazione autonoma, personalità giuridica indiopendente dal consiglio di Fabbrica,
Nel 1846 si ristorò il presbiterio (forse con l’ausilio dell’immancabile ed onnipresente arch. Maurizio Dufour: sicuramente a lui è attribuito il disegno della nicchia che accoglie il quadro della Madonna) ridando splendore agli stucchi dorati ed alle decorazioni pittoriche. La data fu incisa sul grande medaglione che è posto alla sommità di tutti gli ornati .
Nel 1849 un ufficiale e soldataglia dei bersaglieri al seguito di LaMarmora (inviato per reprimere i moti di ribellione avvenuti entro le mura), derubarono il santuario di due calici, una pisside e vari ornamenti preziosi. L’ufficiale riconosciuto complice, fu punito.
Nel 1884 -- il 24 maggio, la Fabbriceria, non più convocata da 19 anni, dà le dimissioni non trovandosi legalmente investiti nell’incarico (firmano: don Alberto Valle, don Nicolò Daste fu GB, Giuseppe Garibaldi fu Antonio, Giacomo Storace, Giuseppe Montaldo di Paolo). L’arciv. Salvatore Magnasco il 19 giugno nomina sia la erezione di un nuovo consiglio di Fabbriceria al posto dei dimissionari; e sia i componenti nel march. Lazzaro NegrottoCambiaso fu GB; Angelo Parodi fu GB; Ambrogio Brazzo fu Giovanni, da unirsi agli altri membri aventi diritto; debbono amministrare i beni della chiesa. Il 18 luglio il Prefetto, sentito il Sindaco di SPdA nomina membri del Consiglio di fabbriceria i sigg.Galleano Domnico fu Antonio e Bozzolo Angelo fu Lorenzo
--Le autorità militari decisero, impedendo così l’esecuzione della tradizionale festa dell’8 settembre, di occupare parte del piazzale con una batteria di cannoni come descritto al ‘piazzale
L’8 ott.1895 fu confermato per decreto dall’arciv. mons. Tomaso Reggio, il privilegio di essere direttamente soggetta alla giurisdizione dell’arcivescovo stesso, e tolta la giurisdizione di Promontorio; e nominò “rettore” il sacerdote custode del santuario (primo, fu il sac. Angelo Cappanera nel 1894); coadiuvato dalla Fabbriceria e Masseria; con facoltà di indossare il cappino rosso (come il rettore del santuario della Guardia).
Altre migliorie furono apportate nel 1896 con le pitture dell’interno (pittore Ghigliotti di SestriP e dell’Orgero –vedi sotto), nei tempi più moderni rivelatesi utilizzando materiali di bassa qualità .
Lo stesso arcivescovo, mons. Tomaso Reggio il 1 sett.1901, dopo apposito decreto di delega rilasciato dal Capitolo Vaticano, solennemente incoronò la Madonna -venerata da oltre sei secoli nella chiesa-, quale titolare del Santuario (la corona aurea è appesa in cima alla nicchia e fu eseguita in oro dall’orefice Traveso su disegno riprodotto dal modello di quelle in uso nel rinascimento; è possibile sia concessa solo per le immagini più insigni;) ed il Bambino; fornendo il 21 ago.1905 speciali facoltà per l’assistenza spirituale della regione circostante. Questi riconoscimenti favorirono sempre nel popolo la voglia di partecipare alla sagra: dai vari rioni la gente si faceva a piedi la salita, assiepandosi in chiesa, specie se pioveva, nell’attesa di - se c’era il sole - portarsi sui prati per gioire in modo profano e turistico della giornata di festa.
foto Pasteris del 1956
Per gli appassionati del Lotto tutto ha un significato; e per loro, l’8 (settembre) diveniva numero di una cinquina assieme al 29 (agosto, della Guardia), al 14 ( settembre di san Cipriano), al 28 (settembre di san Michele di Coronata) ed al 21 (settembre del Garbo).
Nel 1904 toccò il rinnovo del tetto e della facciata (due finestrine ai lati della porta d’ingresso, volevano offrire al viandante la possibilità di salutare la Madonna anche se la porta era già chiusa), e l’anno dopo del campanile e dell’altare maggiore (rifatto in marmo a spese del benefattore ing. Raffaele Serra) e consacrato nel 1907 dall’arciv.mons. Edoardo Pulciano. I pavimenti, marmo bianco e bardiglio, del 1908
foto del 1902 prima dei restauri foto del 1910-13 restaurata (inclinatura del tetto)
foto del 1902-3 foto 1913 con cannoni foto del 1920
Un censimento scritto da don Brizzolara in quell’anno, scrive la presenza (dal 15 gennaio 1903) nella “casa canonica di d.GiovanniB. Novara quale rettore, con Maria Traverso domestica; rev.Cappellano don Righetti MarioLuigi più Cesarina Gotuzzo ved. Righetti, avola”.
Opera del 1912 e di Martini Sertorio, i vetri istoriati nell’abside, mirati a dar luce all’altare maggiore.
Il Pagano 1921 segnala il santuario come abbazia, con parroco don Parodi Angelo e rettorato con don Novara G.B. don Novara GB
Il 29 dic.1930, il cardinale mons. Minoretti Dalmazio, constatando tutti i requisiti, di popolazione (solo in san Gaetano, si arrivava a 25mila persone), di consenso delle parrocchie limitrofe (san Gaetano, san B. di Promontorio e san B.di Certosa), di esistenza in Curia di un deposito (somma esclusivamente destinata al beneficio parrocchiale erigendo), firmò il decreto che costituiva la chiesa di N.S. del Belvedere, quale “ parrocchia autonoma, con proprio territorio - di giurisdizione, beneficio, amministrazione ed archivio - e con tutti i diritti ed oneri riconosciuti dai sacri canoni... le viene assegnato il territorio compreso tra salita del forte Crocetta - corso Belvedere - quota 80 (verso il Polcevera, sino al civ.31 di sal.Bersezio) - forte Crocetta - lato ponente di corso Dante Alighieri - dal civ.5 di salita Belvedere e la salita stessa comprese le palazzine Giunsella e Boccalatte allora ai civv. 6 ed 8 - la zona sopra la nuova strada intitolata a GB Monti“ fino all’incastro collo sperone del forte Belvedere. Il 6 genn.1931 iniziarono ufficialmente le funzioni parrocchiali, e primo “parroco” fu nominato il sac. GB.Novara.
Nel 1933 era Santuario Parrocchia di N.S.di Belvedere, con rettore-parroco lo stesso sacerdote Novara (questi morì parroco di Belvedere il 28 gennaio 1942 e don Parodi era divenuto economo; per il suo funerale furono pagate £.25 all’organista Rossi Andrea, £.25 per messa cantata, £.150 per 12 torcie (sic), £.50 per 26 candele altari)
Nell’anno successivo la Soprintendenza alle Belle Arti provvide a tutelare e vincolare il ‘Santuario di Belvedere e Chiostro’.
Un ultimo ristoro al tetto, agli intonaci anche del campanile, alla canonica ed all’antico chiostro, fu ridata lucentezza all’abside con lavori sotto la guida dell’arch.Giovanni Bozzo della Sovraintendenza alle Belle Arti e per opera del prof. Angelo Petrucci che ha ripristinato le originali pitture che circondano l’antica icona ricoprendo gli antichi fregi con autentica foglia d’oro.
Inglobata nel progressivo allargamento del tessuto urbano, il santuario gradatamente perdette buona parte della sua antica importanza di mèta di pellegrinaggi e di ristoro morale: era considerata la Madonna della Guardia sampierdarenese.
Quarto rettore (dopo 5 mesi di supplenza, amministrata dall’allora vicario coadiutore -oggi parroco della Cella ) fu don Aldo Tosetti, in carica dal 1980.
Sotto la sua rettoria, nel 1997 la festa dell’ 8 settembre è stata proclamata “sagra” o fiera, con la possibilità di lasciar accedere i commercianti con le bancarelle, la banda , la processione e speriamo di nuovo i “cristi” .
A questi è successo dal 30 gen.2000 don Walter Molinari (nativo di Piadena -Cremona il 17 apr.1948, fu ordinato sacerdote da mons. Siri il 29 giu.1977 ed incaricato alla parrocchia di santo Stefano di san Fruttuoso e poi vicario per undici anni alla Cella; finalmente nominato parroco, fu per sette anni a san Martino di Murta , tre a san Gerolamo di Quarto ed infine trasferito qui, per volere dell’arciv. Tettamanzi), che però fu allontanato alla fine del 2002 per –si dice- ’eccesso di libertà morale’.
Dal 2003 è stato seguìto da don Mario Novaro, che si deve interessare delle 3mila anime; nonché: all’inizio del mandato anche della abbazia e fedeli di Promontorio; dell’orfanatrofio Antoniano femminile (delle Figlie dello Zelo Divino di salita Belvedere), delle Figlie di s.Anna (del patronato s.Vincenzo de’ Paoli di salita Forte Crocetta)¸delle suore di NS del Rifugio in Monte Calvario – figlie della santa Bracelli- locate nella casa parrocchiale.
la chiesa vsta dai giardini sottostanti, di salita Belvedere
Il 12 novembre 2004, un evento miracoloso: un operaio peruviano intento a riparazioni del sottotetto, precipitava dall’alto del vertice della volta -fatta di vecchio canniccio ed intonaco-, da oltre 10 metri, per sfondamento causa il peso; una rete posta a metà strada per trattenere eventuali calcinacci, gli salvò la vita o grave invalidità frenando la caduta. Per vari mesi la chiesa restò chiusa per perizie. Poi riprese le funzioni con tutta una intelaiatura di tubi innocenti che la rendevano – seppur praticabile - non caratteristicamente bella per celebrarvi solennità e matrimoni. Così era ancora nel 2006; internamente liberata dal 2009.
L’ELENCO dei “governatori” del santuario
1--“priori” : dal 1290→1311 con Nicolò Dentuto; da esso salta al 1408→..., con un Giacomo; 1416, Paolo Vivaldi; 1431, Gregorio da Pavia; 1436→1442→..., Donato Castagnola; 1447, Lanfranco de Squassis di Savignone; 1485, Gerolamo Castello; 1514, Stefano da Zoagli; 1572 Alessio Stradella; 1635, Maestro Guglielmo; 1650, GB Canevaro; 1675, Francesco Borzone; 1717, Antonio Leonardo Pittaluga; 1755, Giacinto Capponi;
2--ad essi seguirono i “custodi” : nell’anno 1800, don Giuseppe Murta; 1803, don Bartolomeo Buono; 1806→1814, don Angelo Righetti; 1819→1821, frà Stefano Torretti agostiniano; 1821→1825, don Francesco Massucco; 1825→1830, don Lorenzo DeBattè; 1831, N.Repetto; 1831→1835, don Giovanni Ferrandini; 1835→1844, don Francesco Bessone; 1844→1848, don Angelo Remondini; 1848→1855, don Alberto Valle; 1855→1884, don Luigi Benvenuto; 1884→1887, don Giacomo Boccardo; 1887→1891, don Francesco Cambiaso; 1891→1892, don Giuseppe Zerega, 1892→1894, don Amedeo Casabona, poi vescovo di Chiavari.
Nella casa parrocchiale uno scritto fa riferimento ad un Bartolomeo Spinola abb., non incluso in questi elenchi
3-- dal 1894 iniziano i “rettori” di cui il primo fu don Angelo Cappanera fino al 1898; al quale poi seguì don Emilio Traverso fino al 1903 (sua è la lettera supplica affiché alla Madonna del Santuario vengano riconosciute le ‘aureee corone”); ed ad esso, GB.Novara fino al 1931;
lettera di don Traverso logo di Raffaele Serra 1891
quando divennero anche
4--“parroco”.
5—“fabbricieri” dal 1839 =(Giuseppe Podestà, Francesco Bobbio, Bartolomeo Mongiardini S., Angelo deAlbertis, Francesco Rolla P.)---1844 =(Carena Francio, Laviosa Giulio, Carcheri Domenico, Fossati Franco, Sasso Emanuele S.);---1846=(Moro Tommaso, Pittaluga Nicola);---1847 =( Garibaldi Nicolò); 1849 =(Tarelli Luigi, Tubino Agostino);---1853 =(Sommariva Giuseppe);---1854 =(Canepa Luca, Daste Nicolò, Montaldo GB.);---1855 =(Canepa Angelo, (Parodi Angelo Nazzaro), don Valle Alberto, Conti Bernardo);---1884 =(Montando Giuseppe, Storace Giacomo, Garibaldi GiuseppeP., marc. NegrottoCambiaso Lazzaro, Bruzzo Ambrogio, Parodi Angelo, Galleano Domenco, Bozzolo Angelo);---1884 =(Raffaele Serra già abbiamo ritrovato questo nome tra i benefattori che pagarono le spese dell’altare e campanile nel 1904// esisteva in città un omonimo – non ingegnere ma negoziante di articoli da cucina=vedi sopra l’intestazione di una fattura);---1886 =(Bottino Benedetto);---1891 =(Sbarbaro Giuseppe, Bruzzo Nicolò);---1892 =(Solari Pietro P.);---1894 =(Facco Pantaleo);---1896 =(Rebora Augusto, Monticelli Giuseppe, Bruzzone Giovanni);---1897 =(Moro GB);---1899 =(Moro Antonio);--- 1900 =(Tuo Bartolomeo);---1903 =(Pozzolo Agostino);--- 1906 =(Sbarbaro Giacomo);--- 1912 =(Montolivo Giovanmni);--- 1913 =(Moro Tommaso, Rossi Mario).
L’esterno, ha sul lato mare una croce in legno a ricordo dei “Figli di san Vincenzo” che nel periodo 19-26 mar.1954 (anno mariano) vi erano saliti in missione. Il fronte principale appare diviso in tre parti: il centrale – corrispondente alla navata centrale - ha come unico motivo d’interruzione della intera superficie, caratteristica delle chiese conventuali - una finestra serliana (con due parti rettangolari ai lati, interrotte al centro da una curva, caratterista seicentesca).
L’ingresso, il portale, più ante, è molto semplice e lateralizzato da due finestrine
con gra ta; ed è sormontato da stucchi barocchi racchiudenti l’effige della Madonna del Santuario.
L’interno, (NB***è tutto da controllare) è a croce latina; una navata con due brevi cappelle laterali.
Nella parete di sinistra, a nord, si notano due finestrelle in alto che comunicano col chiostro confinante; nell’interno esse si alternano con nicchie arcuate e di scarsa altezza. Alternanza che si ripete sulla parete destra, che confina e comunica con l’oratorio di sgostino, nel quale sia la volta a botte, sia le lesene nelle pareti che si interrompono a livello delle aperture, significato che il collegamento è avvenuto in un secondo tempo –ovvero che uno è trecentesco ed il resto è seicentesco.
La volta a botte mostra affreschi di Antonio Ghigliotti, pittore di SestriP, con le immagini di profeti e delle virtù completati nel 1896. Sopra il presbiterio nelle medaglia centrale, l’immagine dell’Assunta, dipinta dal sampierdarenese Carlo Orgero; mentre Fezelli (o Fazelli) da Parma vi aggiunse le pitture di ornato (effetti pittorici mirati ad imitare il rilievo a stucco) e probabilmente anche i motivi vegetali dei capitelli e la doratura della cornice sovrastante.
All’incrocio con i bracci la volta è a vela.
L’abside, separato dalla navata da una balaustra marmorea, appartiene al restauro ottocentesco, sia nella doratura che nell’altare; escluso la finestrella nella parete di fondo mirata ad illuminare la parete di fondo che è seicentesca (come di quest’ultima epoca sono le finestre disposte simmetriche anche se –per presenza di edifici conventuali affiancati- furono realizzate finte.
Sulle pareti, gli stemmi di vari papi. Da sinistra: Leone XIII, Pio X, Benedetto XV, Pio IV, Pio VII, Gregorio XVI, Pio IX.
Papa Gregorio XVI Papa Pio IV Pio X
Sulla parete di ingresso, a sinistra della porta lo stemma di Sampierdarena, a destra di Genova.
Il pavimento è in marmo bianco e bardiglio. Una balaustra marmorea separa la navata dalla tribuna. Tre finestre nell’abside mandano luce dai vetri istoriati.
Nell’altare maggiore, ricco di marmi, sculture, tarsie e fregi dorati, fatto appositamente fabbricare per volere del benefattore ing. Raffaello Serra, e solennemente consacrato dall’arciv. Edoardo Pulciano nel 1907, entro una ricca e marmorea nicchia rettangolare, racchiusa ai lati fra due colonne spiraliformi di marmo rosso ed in alto fra cinque angioletti posti come custodi osservatori, si vede l’antichissimo e venerato quadro in cornice ottagonale della Madonna →vedi in seguito (dallo stile, e a giudizio del critico pf. L.A. Cervetto, appare del 1300-primi del 1400. Nei fregi della cornice del quadro, appare –in cifre arabe e sui fregi del manto- la data del 1180; ma gli studiosi concordano nel giudicare -come anche nei dipinti della Madonna delle Vigne e della Madonna della Valle preso Gavi- che la data rappresenti l’epoca degli ornati più che del dipinto, mentre Scriba ricorda che i numeri arabi vennero introdotti ben dopo quella data, e riporta il pensiero di Varni il quale scrisse che in realtà non sono numeri di una data ma fregi di ornamento. Numerosi erano gli artisti –provenienti da tutto il genovesato –Opizzino da Camogli-, dalla Toscana -G.Tura, Taddeo Bartoli senese, Manfredino da Pistoia, Turino e Nanni da Pisa-, che nel 1300 risiedevano a Genova; tra tutti essi, lo stile si avvicina –e quindi viene attribuito anche se non non concordemente- a Opizzo, od Oberto, in realtà Bartolomeo Pellerano di Camogli, della famiglia Opizzino Pellerani, nato 1310? e morto 1348; primeggiava lavorando in Genova prima del 1350, e divenne il secondo grande pittore del 300 genovese. Di lui sino a poco tempo fa era conosciuta una sola opera su tavola, ora a Palermo e raffigurante la Madonna dell’Umiltà, del 1346. L’attribuzione è recente: uno studio specifico su questo artista compiuto nel 1979 dalla studiosa genovese Anna DeFloriani, ancora non lo attribuiva. D’Oria aveva scritto essere ‘probabilmente di scuola pisana del XIV secolo’ perché ricorda lo stile di un Turino e di un Nanni, ambedue pisani, e in periodo quando lavoravano anche Taddeo Bartoli senese e Manfredino pistoiese; ma queste attribuzioni non sono confermate dalla maggior parte degli altri critici. Molto opportunamente il tutto è protetto da un sottilissimo ma resistente cristallo che non si fa vedere).
Ella è ritratta col Bimbo sul braccio sinistro, la mano destra a tenere i piedini e Lei voltata nell’atto di guardarlo con sguardo amorevole e dolce come era d’uso in quell’epoca nel dipingere una Madonna; cercando appunto di esprimere il concetto di una maternità superiore a quella di tutte le donne. La presenza di un quadro così prezioso in una chiesa a quei tempi così isolata, si spiega facilmente ricordando che il convento ospitava tante figlie di nobili aristocratici i quali così si ingraziavano il convento con forti donazioni.
Lo storico genovese LA.Cervetto, nel 1901 scrisse la sua impressione di somiglianza all’espressione della Madonna scolpita da Giovanni Pisano nel Camposanto pisano; a quella dipinta da Giotto nella cappella degli Scrovegni a Padova; o a quella del Cavallini nella Basilica di Assisi .
È stato presunto che in origine la tavola fosse più grande, e tagliata ottagonale in tempi successivi. Il 21 mag. 1901, il Capitolo vaticano concesse l’incoronazione della Madonna, motivandola “in considerazione che l’immagine è tra le più venerate dall’antichità e per celebrità di culto”(l’ottava simile concessione nella Diocesi genovese dopo la “Pietà” in san Lorenzo, l’ “Incoronata” di NS del Boschetto camoglino , la “Madonna” di NS delle Tre Fontane in Motteggio, del Suffragio a Recco, di NS delle Olivette in Arenzano, dell’Acquasanta di Voltri, e -dal 10 giu.1894- della Guardia sul Figogna)
Sulle pareti laterali del presbiterio, due quadri: a destra quello di
-Anton Maria Piola,1654-1709 ( qualcuno dice che è di suo padre Domenico Piola 1627-1723. Novella a pag.46; GazzettinoS/59pag.25) raffigurante con gran sfarzo di colori il martirio di sant’Orsola e delle compagne (Il testo ‘la pittura a Genova e Liguria, non cita proprio l’opera),
-e un’altro a sinistra, di Gio Raffaele Badaracco (Genova, 1648-1726) con sant’Agostino ed altri santi (santa Monica, Bernardo, Nicolò da Tolentino, Domenico, Antonio, Rocco, Leonardo da Porto Maurizio )= attribuzione non confermata da “La pittura a Genova e Liguria”.II.pag.294).
-i sovrastanti vetri delle finestre furono dipinti da Camillo Sertorio Martini.
Ai lati, nelle cappelle, si venerano: a destra
- un crocifisso, fu scolpito in grandezza naturale in legno da Gerolamo Pittaluga.
-ed a sinistra un raro quadro, con la Madonna degli angeli, di Simone Barabino (o Barrabino; 1585-1630 pittore genovese di cui soltanto da poco si è riuscito a capire la produzione; fu senz’altro a Genova per due lustri, fino sicuramente nel 1615; poco dopo si trasferì a Milano, ove morì “nel bello degli anni”. La Madonna gli fu attribuita dall’Alizeri, ed accettata dai numerosi critici seguiti; tra essi , l’Alizeri sottolinea la sua pregevolezza non tanto per la bellezza quanto per la rarità; il Torriti dice che il Barabino si limitò ad inserire gli angeli, in una preesistente e più antica immagine della Madonna; GazzettinoS/59pag.21 confonde questa madonna con quella centrale). Vicino, un quadro di autore ignoto ma eseguito con un certo garbo, raffigurante san Giuseppe.
-nelle pareti, quattro quadretti ovali di scuola fiamminga del 1600, raffigurano i quattro evangelisti.
Nella cappella di sant’Agostino -creduta una parte della primitiva chiesa (non si ha certezza di questa possibilità; e, per varie ipotesi, appare improbabile)- si vedono delle
-un grosso ovale con la Madonna della Guardia;
-lapidi sepolcrali di cittadini sampierdarenesi, alcune datate 1673, 1726, 1811;
lapide sopraporta nella cappella laterale
MCM
AEMILIUS TRAVERSUS
RECTOR HUIUS AEDIS
ET CURATORES
HAEC TRADENDA POSUERUNT
A PIO VII P.M. DATUM UTI QUAE EX AUCTORIT. PIIII P.M.
LUCRANTUR QUI HOCCE TEMPLUM A PRIMIS *MDCCCXIIII
EX SACRO RITU PREDICATIONIBUS AB MEM MARIAE
NASCENTIS AD FESTUM VERGENS QUAE PONTIFICIAE
LITTERAE
POSTULANT EADEM LUCRARI POSSINT USQUE AD
INTEGRUM D. NOMIN MARIAN RECOLENDO.
PIUS VIIII P.M. TANTI LUCRI TEMPUS USQUE AD
INTEGRUM VIII D POST NATALEM DIVINAE *MDCCCXLVII
GENITRICIS PROTRAXIT
ORDO CANONICOR VATICANOR IMAGINI MARIANAE QUAE
IN HOC TEMPLO COLITUR AUREAM CORONAM *MCMI
DECREVIT THOMAS E. G . NOB REGGIA ARCHIEP
N AB O S S VICARIO MUNERE EXORNATUS
EAM CORONA REDIMIVIT K SEPTEMBRIB
HAEC GEMMIS REFULGENS AERE
COLLATO PARATA EST DISMA MARCHESE
ANT AQUENSIUM STATIELLAT NATAL VIRG
AUG IOSEPHUS CAPECCIUS ANT
ALEXANDRINOR STATIELLAT D NOMIN
MARIAN SACRA IN HOC TEMPLO SOLEMNITER
OBIERUNT IMAGINIS REDIMITAE HONORANDAE CAUSSA
AVE PIA MATER
IESU TUIQUE AMORE
OMNES DITA
due lapidi parete di fondo della cappella lapide II lapide VII
molte famiglie negli anni antecedenti all’obbligo napoleonico della sepoltura nei cimiteri, elessero la scelta della propria, nella cripta della chiesetta, affidando la memoria a lapidi che coprivano l’antico e rustico pavimento; furono traferite nelle pareti dell’attiguo oratorio di sAgostino, per ricodo storico.
-a terra una piccola lapide segnalante l’ossario di don GB Novara (1856-1942), primo parroco del Santuario; sua l’idea di usare il luogo per costruirvi il
- c’era, sull’altare, una tela con san Francesco da Paola, di autore ignoto
- l’organo.
== in sacrestia un quadretto con la testa della Madonna, ed un presepio.
- presepio natalizio, che da allora è divenuto un classico, citato in tutte le rubriche e libri che si interessano della conservazione di questa antichissima usanza, possedendo statuine del 1700 attribuite a Gerolamo Pittaluga (vedi); da oltre una decina d’anni, per interessamento degli “amici del presepe”, fa parte della mostra-concorso, da loro istituita, sommandolo a quelli contemporanei fatti da artigiani-collezionisti.
scuola del Maragliano
Molte navi furono battezzate col nome di NS del Belvedere: viene ricordato lo sciabecco armato dalla Repubblica Ligure come nave corsara ed affidato a Nicola Bavastro; su esso il 16 mag.1801 si imbarcò Luigi Serra che diverrà ammiraglio della marina sarda; nel novembre di quell’anno, i marinai liberarono un bastimento nelle acque di Alassio, già catturato dal corsaro Nicolò Oneto.
4b) ==chiostro,
indicazione (moderna) ingresso del chiostro, nel corso sovraporta
del XIII secolo essendo considerato parte dell’insediamento agostiniano conventuale del 1285; piccolo e molto bello, di gusto architettonico lombardo, quadrato. Il corridoio periferico, si apre verso il prato interno, arricchito da fontanella centrale; con 5 archi (o campate) per lato a tutto sesto, a loro volta sostenuti –sul muro, da sottili mensole- e all’interno da 4 pilastri in pietra rozzamente squadrata -tendenzialmente ottagonale-; a loro volta poggiati su un largo basamento posto tipo ringhiera si interrompe al centro del lato sinistro per dare accesso all’area centrale scoperta. Solo il lato sinistro, più vicino alla canonica (che anticamente era il convento) è aperto verso il centro; la tettoia che lo copre sui tre lati liberi dalla canonica, si appoggia al muro esterno permettendo a chi prega percorrere il giro al coperto; si chiamano astragali i sottili anelli decorativi posti sopra ed alla base del pilastro.
Gli angoli sono sorretti dall’unione di due pilastri; essi danno appoggio ad un unico arco ad angolo retto, che acquisisce così la forma di cuore. I corridoi sono in ciottoli bianco e neri. Alle pareti vari altorilievi in gesso di epoca più recente
Si ha la certezza -confrontandolo con altri originali nella città e databili del XV secolo (NS delle Vigne; sM di Castello; NS del Monte (quello orientale))- che sia quello databile tra la fine del XIII e l’inizio del XV secolo, e quindi il più antico.
verso nord corridoio da sud verso nord e quello a nord verso est
lato sud-ovest verso nord
risseau quadro dei priori
4c) ==casa parrocchiale o canonica
Una volta era l’antico convento.
Sulla facciata a mare c’è una meridiana con la scritta, a ponente “Nescit occasum” ed a levante “Lumen ecclesiæ”; nel mezzo lo stemma sampierdarenese (il quale rende più recente l’oggetto)
Nel corridoio, è stato salvato un affresco, in cui si legge “MONAST.UM S.CTAE MARIAE DE BELLVIDERE S. AUGUSTINI NON CUPAT.M*** BART. SPINOLA.ABB ***”.
4d) ==casa delle suore
Essendo vuota e disabitata, non siamo mai stati dentro a valutare la distribuzione dei vani ed eventuali affreschi o altro
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