2) SALITA BELVEDERE
TARGHE:
salita Belvedere
San Pier d’Arena – salita - Belvedere
inizio salita da corso LA Martinetti
sulla scalinata, angolo a monte di via GB Monti
arrivo della salita nella piazza antistante il Santuario
QUARTIERE ANTICO: Promontorio
N° IMMATRICOLAZIONE: 2725 categoria
CODICE INFORMATICO DELLA STRADA - n° : 05020
UNITÁ URBANISTICA : 25 - SAN GAETANO
27 - BELVEDERE
in celeste corso Belvedere e da Pagano 1967-8 in celeste via dei Landi; in giallo
Santuario. Giallo via NDaste; tratto iniziale, a via corso Martinetti; in blu il Santuario
rosso via A.Cantore; fucsia GBMonti e a Da Google Earth 2007
via della Cella. salire .
da M.Vinzoni, 1757
CAP: 16149
PARROCCHIA: 1 e 2 = NS del ss.Sacramento - sopra = NS del Belvedere
STRUTTURA: da corso L.A.Martinetti, a Corso Belvedere. Sono stati lasciati carrozzabili in due sensi: i primi 30 metri, e - da sopra le scale di Quota 40 - alla sommità.
Corso L.M.Martinetti
All’inizio salita, una catena evidenzia non essere strada carrabile anche se per servizi più volte tale limitazione è – forse legalmente ma solo per le suore - violata (questo tratto del stradina, per riparazioni di un pannello elettrico inserito nel muragline, fu rifatto e fortificato ma inopinatamente non ripristinato a ciottoli ma asfaltato, nel 1999).
inizio - con pavimentazione primo tornante - appare anche nella carta del Vinzoni
di asfalto a pezze multiple
Un cartello avvisa esserci l’“inizio percorso storico-naturalistico Sampierdarena-Forte Diamante”, con tempo di percorrenza di 3ore e 20’, segnato con un cerchio rosso dalla FIE Liguria che periodicamente ne cura la segnalazione e pulizia in collaborazione con i tecnici dell’Anas-sentieri.
Due primi tornanti (visibili nella carta vinzoniana, ed ancor oggi fatti a mattoni e ciottoli e quindi solo pedonali) fanno superare la proprietà di don Daste (mentre a levante – salendo - c’è quella delle Pietrine). Dopo essi, la salita è stata tutta asfaltata anche se sempre solo pedonale.
composizione multipla del muro, con vecchi ganci (troppo bassi però per un passamano)
basamento edificio delle Pietrine area ludica Pietrine
Madonna del Belvedere svasato. Muro cinquecentesco.
Crosa asfaltata
A ponente - dopo le suore - inizia la proprietà che è stata degli Stura (ove si narra era zona di ‘passeggiata delle novizie’, sotto un berçeau): dapprima, sulla salita, c’era un cancelletto che dava ingresso a tutta l’area sovrastante le suore; alla cui sommità – affacciata sulla strada di via GBMonti - essi costruirono i civv. 25 e 27 di detta via: ora questo cancello permette l’entrata delle auto per il posteggio privato dei palazzi (allo scopo pertanto, gli ultimi 5 metri della salita, prima dello sbocco in via GBMonti, sono di nuovo carrabili).
via GB Monti
La nostra salita, a questo punto, è stata troncata per l’apertura di questra trasversale per cui fu necessario costruire sul lato a monte una scala per riallacciarsi alla parte superiore della salita stessa.
Dopo la scala, superato il civico 48 di via GBMonti, sul lato di ponente si apriva un sentiero (che oggi finisce incontrando via Tosa) che portava a terreno coltivato da contadini che coinvolgeva tutta la fascia di collina che dal crinale (dove c’è la salita) scende sino a via GBMonti ed oltre (coinvolgendo anche via Battaglini e via dei Landi).
Cento metri dopo, per superare il dislivello collinare, la salita compie altri due tornanti, ben visibili anche nella carta del Vinzoni. Ovviamente dalla scala ai tornanti, la salita è solo pedonale.
Nel restante grossomodo rettilineo sino alla sommità, la salita di per sé, nei secoli, non ha subito ulteriori modifiche escluso essere divenuta carrabile nei due sensi.
STORIA: se già ai tempi dei romani, la strada di percorrimento e di grande comunicazione da e per Genova, di carovane e mercanti provenienti dalla riviera o dall’interno, passava a mezza costa in alto (a livello dell’attuale via alla Porta degli Angeli-Bersezio), un collegamento tra tale via e la spiaggia, non poteva che sfruttare il ripido -ma pur sempre il più logico -percorso della nostra salita. E da lassù, antichissimo è il nome “bello videre” a chiarire la posizione felice per spaziare sulla spiaggia e tutta la riviera ponentina, sul fiume, sui monti da Coronata fino al Teiolo ed alla Guardia.
Il Gazzettino dice che il primo atto scritto ove compare il nome del colle, risale ad un ‘istrumento di vendita di terreno nell’anno 1134, forse ancora conservato negli archivi dello Stato’ .
E’ invece del 18 lug.1197 un atto di vendita da parte di Montanaria, figlia di Martino Curto, per 40 lire, al monastero di san Siro, un terreno sotto la strada e sino al fossato, confinante con altro terreno del monastero, in località “Sancti Petri de Arena, ubi dicitur Belmont”. Dimostrando esistere già sull’altura, in quegli anni, un convento di suore Agostiniane.
Nel giugno 1285 un altro atto notarile ricorda di una Mainetta figlia di Gio Ascherio, che donava lire venti al Monastero di ‘Sancte Marie de Bervei de Janua’.
Così, senz’altro già prima del cinquecento, l’antichissima crosa iniziava direttamente in zona Mercato, in fondo all’attuale via N.Daste, allora anonima. Costruite in quell’epoca le ville Grimaldi (Carabinieri) e Doria (ist.don Daste), per il loro accesso la strada fu senz’altro ampliata e forse allungata con tornanti per permettere alle vetture trainate dai cavalli di raggiungerle.
A fine dell’estate 1831 il sindaco propone ‘la rinnovazione del selciato’, molto corroso e degradato anche per ‘il frequente passaggio di carrettoni d’artiglieria che si trasportano alle sovrastanti fortificazioni’.
Il regio decreto del 1857, ovviamente riconosce nella toponomastica cittadina, la salita Belvedere, quale ora. Il consiglio comunale deliberò la conferma del nome il 17 giu.1867.
foto primi del 1900 con villa Pallavicini, il forte e tanti orti
Nel tratto iniziale in basso, nei primi anni del 1900 si aprì un’ unica nuova strada -che venne chiamata “corso dei Colli”- (oggi corso L.Martinetti); quest’ultima nei primi centocinquanta metri si sovrappose all’antica salita cosicché gliene ‘rubò’ quel tratto e spostò l’inizio della salita dove ora più a monte, subito dopo i Carabinieri (a sua volta l’apertura di via A.Cantore dissecò ‘rubando’ un tratto subito dopo l’antico inizio da via N.Daste).
Ed ancora nel 1910 lo stradario cittadino vede la “salita Belvedere (comprendente anche il Corso Belvedere) da Corso dei Colli presso l’istituto delle Pietrine per Belvedere, alla stessa arteria”; e possedere civici pari e dispari sino al 22 e 29.
viene segnalata la “via dei Colli”, poi corso Martinetti. Davanti ai villini, il collegio don Minetti
Il Pagano 1925 segnala al civ. 1 il “collegio convitto della Presentazione”.
Nel 1927 la salita compare nello stradario comunale, di 5° categoria, assieme ad una autonoma ‘salita vecchia Belvedere di 6° categoria’, non facilmente collocabile se non nel tratto dalla chiesa in su, in fase di divenire il ‘corso’. Nello stesso elenco, compare una ‘località Belvedere’ a Voltri.
Nel 1933, era peggiorata, declassata di 6.a categoria, ed arrivava “da corso D.Alighieri (corso L.A.Martinetti) al piazzale della Chiesa di Belvedere”; lo stesso nel 1961 (da corso L.A. Martinetti), laddove però detto piazzale ha acquisito una autonomia toponomastica solo per breve tempo, risultando l’ingresso della chiesa lungo il corso, e non nella piazza.
La numerazione civica, continua dal basso in salita, proseguendo ininterrotta nel ‘corso’ sino all’incrocio in alto con corso Martinetti.
Nel 1940 vengono descritti solo tre civici neri, nessuno rosso (1=Pietrine, 2= Presentazione, 19=un privato.
Nel dopoguerra, l’apertura di Quota 40, tagliò di nuovo la crosa 150 metri dopo il nuovo inizio, costringendo -per continuare verso il monte- a costruire una scalinata (che ovviamente non esisteva all’origine).
Nel 1997 il tratto iniziale fu soggetto a riparazioni: l’adozione dell’asfalto per coprire in velocità i buchi dell’acciottolato, ha distrutto in maniera idiota la struttura tradizionale (favorendo tra l’altro l’allagamento delle zone distali, durante gli acquazzoni, con buona pace per chi ci abita o ha negozi e magazzini Gazz.S :7/87.3 ) .
Vinzoni. Al centro, alla lettera E, la chiesa e convento di san Pietro in Vincoli; sopra ed a levante la proprietà; a sinistra della creuza Belvedere, la proprietà di MarcAntonio Doria con –diritto- il viale d’accesso oggi scomparso
CIVICI
2007 = UU25= NERI = dal 2 al 26 (mancano 10, dal 18 al 22)
UU27= NERI = da 1 a 19 (mancano da 11→17; compresi 1A, 13A, 15A)
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===civ. 1: Alla base di un ampio terreno a forma di esagono irregolare, che si sviluppava a levante della creuza che saliva a Belvedere (ben visibile nella carta vinzoniana), venne costruito nel 1630 un complesso conventuale con una chiesa, dedicata a san Pietro in Vincoli con soprastente l’ex convento, poi adesso ricovero per anziani.
Ciò avvenne, per disposizione testamentaria del nobile Marco Antonio Doria, con l’impegno che fosse gestita dai Gesuiti (Compagnia del Gesù, collegio di Genova, con sede in via Balbi nel palazzo ora dell’Università) almeno tre mesi all’anno (come risulta da una lapide posta all’interno, a destra di chi entra ***) che dice: «D.O.M. - IN HON. B.M.VIRG. - ET S.PETRI AD VINC. - AEDEM HANC SOC. IESV - AEDIF. MDCV KAL. AUG. - ELEMOS PIOR CIVIUM - PAVLO V PONT. MAX. SPINOLA ARCHIEP. - CLAVD. ACQ. PRAEP. SAC.» = IN ONORE DELLA BEATA VERINE MARIA E DI SAN PIETRO IN VINCOLI - QUESTA SEDE LA SOCIETA’ DEL GESU’ EDIFICO’ ALLE CALENDE DI AGOSTO DEL 1605 - CON L’ELEMOSINA DI PII CITTADINI - PONTEFICE MASSIMO PAOLO V - ARCIVESCOVO SPINOLA - SACERDOTE PREVOSTO CLAUDIO ACQUARONE *** .
In totale sono circa 4000 mq, ripartiti tra chiesa, casa e giardino; con alberi secolari (tra cui alcune piante di canfora, uniche in città assieme a quella nel piazzale della Croce d’Oro ambulanza).
La chiesa apre il suo ingresso dopo pochi metri dall’attuale inizio di salita Belvedere. Gli attuali gestori, nel 2009 non ci hanno permesso visitarla.
Storia=la festa che commemora l’evento è il primo di agosto; ricorda la dedizione della chiesa all’Apostolo sull’Esquilino eretta nel 431 circa, ristrutturata pochi anni dopo da SistoIII, ove si conservano le catene con le quali fu tenuto in carcere Pietro. La festa è propria di Roma, non trovandosi nei libri liturgici ed avendo trovato poca espansione nella cristianità occidentale. Ovviamente il libro del Cambiaso non cita la nostra chiesuola.
Interno= negli anni a cavallo tra 1600-1700, il quadro centrale dell’altare maggiore fu circondato da un ornamento pittorico disegnato dal bolognese Antonio Haffner (1654-1732; bolognese, produttore di ornamenti in molti siti genovesi. Il Soprani scrive «Bello è pure l’altro ornamento, che egli fece intorno al quadro dell’Altar maggiore entro la Chiesa di S.Pietro ad Vincula»); mentre le pareti delle cappelle laterali furono dipinte a chiaroscuro dal pittore Domenico Parodi (Genova 1668-1755, Scrive il Soprani «…dipinse a chiaroscuro per gl’istessi PP. Gesuiti le pareti delle laterali cappelle della Chiesa di S.Pietro ad vincula in San Pier d’Arena. La riuscita dell’Opera superò l’espettazione di chi gliel avea commessa».
Conteneva anche il grosso quadro ora esposto nella chiesa della cella, sopra l’entrata della sacrestia, raffigurante s.Francesco Borgia (che fu uno dei Generali della Compagnia) (vedi a Giovanetti x chiesa della Cella).
Assai modesta di spazio, era nata con tre altari, sul centrale -maggiore- c’era il quadro della ‘Presentazione di Maria al Tempio’ (una volta dedicato alla ‘Madonna della Salute’; ed un altro dedicato al ‘SS.Cuore di Gesù’), mentre sulle pareti delle cappelle laterali erano degli affreschi in chiaroscuro di Domenico Parodi, già andati distrutti dopo il 1797.
Vi vengono segnalate anche due tele di Pier Paolo Raggi (Genova,1646-1724) con l’”adorazione dei Magi” e “Ester e Assuero”, prodotte in età giovanile, quando il pittore -dopo una scuola con maestro non conosciuto, iniziò l’attività autonoma-. Nella chiesa era anche una grande tela -oggi nella chiesa della Cella, sopra l’ingresso alla sacrestia- raffigurante san Francesco Borgia, di G.B.Carlone .
Dal 1934 è specificatamente vincolata dalla Soprintendenza alle Belle Arti.
Con i bombardamenti, la chiesa (e quindi gli ornati dell’Hoffner, ecc. Le suore alla ricostruzione fecero aprire al loro piano una cappella, che usano ancor ora comunemente lasciando la chiesa solo a particolari ricorrenze) e buona parte del complesso conventuale andarono distrutti: furono ricostruiti lasciando le strutture ancora valide come quelle esterne, ma su modello di un uso scolastico
Anche a Roma esiste dall’anno 431 una chiesa omonima, ove si venerano le catene che imprigionarono san Pietro prima della miracolosa liberazione e momentanea fuga. E’ l’unico legame storico col nome del borgo: la venerazione di san Pietro avvenne molto presumibilmente per opera dei vari missionari che si sparsero per portare la ‘novella’; una leggenda -non vera- voleva che il Principe degli Apostoli, lasciato Roma per fuggire le persecuzioni dell’imperatore Claudio, passasse per la nostra contrada ove dormì sulla spiaggia.
Normalmente è chiusa al pubblico.
I gesuiti rimasero nel convento -risiedendoci soltanto nella stagione autunnale tipo villeggiatura- fino al 1773, quando dovettero lasciarlo causa definitiva soppressione dell’ordine, in mezzo a tutti i torbidi politici conseguenti la rivoluzione francese (avvenne il 13 ago., con una breve di Clemente XIV; per la quale i loro beni in Liguria -detti “asse gesuitico”- divennero proprietà del Serenissimo Governo che poteva disporne a piacere (“il Direttorio esecutivo è incaricato di fare quelle soppressioni, concentrazioni e traslocamenti delle corporazioni ecclesiastiche regolari di ambo i sessi che crederà più conveniente al comodo della popolazione ed al vantaggio della nazione”) dovendo pagare migliaia di soldati stanziati nel territorio, e compensare i sostenitori “il direttorio esecutivo era autorizzato a requisire ori, argenti e gioie di tutte le chiese e monasteri, conventi, Opere pie, oratori esistenti nel territorio ligure, perché passassero alla tesoreria nazionale. Ai gesuiti furono requisiti dal segretario generale del Direttorio della Polcevera, ori e gioie per 258 lire“).
Per questo restò ‘chiesa soppressa’. Le aspre vicende di quei tempi, il passaggio e l’alloggiamento di soldati in tempi di frequenti aggressioni verso Genova, fanno supporre l’uso che ne fu fatto e lo scempio a cui fu soggetta (In contemporanea, anche la chiesa di san Giovanni Battista -oggi san Gaetano-Don Bosco-, era in stato di abbandono, gestita per conto di privati da 2 sacerdoti Teatini che vi risiedevano però solo sei mesi all’anno; la casa parrocchiale era nella zona di San Martino del Campasso, ma la gente brontolava per lo scomodo a raggiungerla).
Il complesso monastico ebbe così un lungo e grave periodo di abbandono e decadenza finché il Serenissimo Senato emanò un primo decreto 14 sett.1771 con il quale si decideva l’acquisto per 36.500 lire della chiesa di sanPietro in Vincoli -che fu dapprima offerta ai Teatini, avendoli già esclusi ed allontanati da san Giovanni -con decreto divenuto definitivo il 23 nov.1796; ma loro rifiutarono questo trasloco e preferirono ritirarsi nella loro casa madre in san Siro a Genova. Prima di concretizzare i propositi, il Senato venne sostituito dal Corpo legislativo (Consiglio dei Sessanta) che nel mar.1799 decise il passaggio delle proprietà -sia di san Pietro che di san Giovanni Battista- al governo laico della novella Repubblica Ligure, la quale in attesa passò la pratica al Municipio locale che usò gli edifici per uso non sacro e militare. La perfetta successione non è chiara ma –sembrerebbe che in coda a tutti questi passaggi- alla fine il complesso fu acquistato da un privato (Campodonico?). Questi, al subentro del governo Sabaudo (che dopo 1815 -esilio di Napoleone, congresso di Vienna, restaurazione- restituiva una discreta libertà di culto), vendette il complesso alle suore che alloggiavano a Belvedere (questo acquisto –pagato con moneta raccolta da donazioni multiple- fu effettuato non dalla Congregazione ma dalle suore riunite in gruppo di soggetti singoli –quali liberi cittadini- e parimenti proprietari, con la clausola che alla morte di ciascuna, la sua parte andava alle altre; finché l’ultima poteva vendere il tutto ad un altro gruppo di suore, e così via. Questa catena si spezzò quando furono firmati i Patti Lateranensi ed il complesso poté divenire proprietà della Congregazione).
Le suore. Fu nel 1827, che si riprese la gestione religiosa da parte di sacerdoti ed affidando il complesso alla direzione delle Suore della Divina Presentazione di Maria Vergine -comunemente dette “Pietrine”dal nome del santo Apostolo a cui è dedicata la chiesa-. Esse venivano dal santuario soprastante di Belvedere, essendosi colà formate pochi anni prima, per idea della sestrese Anna Castello, nata Forte. Donna di singolare pietà e generosità, già a Sestri aveva promosso con l’aiuto del marito Domenico, notaio, l’istituzione di una nuova congregazione con lo scopo dell’educazione delle fanciulle. Da sestri, la fondatrice si propose allargarsi verso il nostro borgo, occupando dapprima (1825) alcune stanze nel santuario sul colle -ancora proprietà militare-, ma acquistando in secondo tempo (1826) la chiesa e convento soppressi.
La sua opera fu approvata poi con regio decreto di Carlo Alberto, il 4 feb. 1832; mentre i 2 marzo successivo l’arcivescovo mons. Tadini approvò il nome di “suore della Presentazione” e l’abito religioso da indossare. La fondatrice ebbe a morire nel 1835 quando la sua istituzione già contava 22 suore e 5 converse; nel 1875 ospitava 40 educande interne più 80 esterne, mantenendo per oltre trent’anni l’incarico della istruzione delle civiche scuole femminili di San Pier d’Arena. Nel 1884, sommando le suore educatrici sopra il centinaio, fu aperta un’ altra sede a Novi).
Queste, nei dieci anni a seguire l’inserimento, sotto la guida della superiora suor Teresa Celesia -assistite dall’arciprete Giuseppe Bava, e col concorso di benefattori quali il negoziante Nicolò Pittaluga fratello del prevosto di Rupinaro, ed il munifico Francesco Rolla-, riuscirono a dare al complesso una notevole miglioria strutturale, quale esternamente vediamo ancor oggi (porticato d’ingresso alla chiesa, la scritta, la cancellata; il tutto ricordato da altra lapide interna : “ SUB AVSPICIIS DEIPARAE VIRGINIS - PRIMO AD TEMPLUM TRADITAE - SORORUM DEVOTA CONGREGATIO - AEDEM IAMPRIDEM APOSTOLORUM - PRINCIPI SACRAM PIISSIMI LARGITORIS - MUNERE RESTAURABAT ORNABAT - ANNO MDCCCXXXVIII “ SOTTO L’AUSPICIO DELLA VERGINE MADRE DI DIO ......... LA DEVOTA CONGREGAZIONE DELLE SORELLE RESTAURò ED ORNò LA SEDE GIà’ PRIMA SACRA AL PRINCIPE DEGLI APOSTOLI NELL’ANNO 1838 ***).
Nel 1863, anche per interessamento del sindaco Nicolò Montano, si aprì uno dei primi servizi di asilo infantile a protezione di tutti i bimbi più piccoli e portando così il complesso -nato inizialmente per sola beneficenza- ad un vero Conservatorio, da allora detto “delle Pietrine”, ampliandosi ad istituto scolastico, con elementari e medie; nel 1933 viene chiamato “istituto privato educatorio della Presentazione”, con rettore don E. Pitto; e nel Pagano/33: ‘collegio convitto della Presentazione’).
Nel 1916 l’abate Brizzolara di Promontorio ne lamentava inutilmente all’arcivescovo la non appartenenza al suo territorio parrocchiale. Secondo lui perché il terreno già dal 1773 era compreso nel “Suburbium Genuae (quindi entro il confine parrocchiale di Promontorio quando era ‘Antica Chiesa di s.Pietro in Vincoli’ ed apparteneva ai Gesuiti; e questo fino ancora al 1800; il tutto assieme a tutta la montuosità del borgo rappresentata dalle tre colline (Angeli, Costa, Belvedere) che vanno ad unirsi col forte Tenaglie, come tutta la villa Imperiale e Monte Galletto); cosicché la giurisdizione della chiesa “plebana” di san Martino terminava a sud-ovest di Belvedere con la villetta Gaggien (non conosciuta) situata in cima alla salita del Campasso, volgarmente detta salita del Rompicollo. Cosicché sempre secondo don Brizzolara la chiesa delle Pietrine doveva essere una succursale di Promontorio come lo era l’Oratorio degli Angeli entro le mura.
Ancora nel 1933 sotto la prevostura dei Salesiani -con direttore il sac. Pitto Ernesto- porta sulla facciata -migliorata con la costruzione di un porticato frontale eretto nel 1837- la scritta ancora contemporanea “APOSTOLORUM PRINCIPI IN VINCULIS “ (prima, a lettere cubitali, c’era scritto: “adducentvr virgines post eam”).
L’Istituto scolastico. Grande parte dei giovani sampierdarenesi, sessantenni nell’anno 2000, hanno formato i primi passi culturali sui banchi di questo istituto.
Non è specificato da quando, l’intero Istituto è posto sotto tutela e vincolo della Soprintendenza alle Belle Arti.
Dove ora è il tennis (sul quale gioca nessuno), erano orti coltivati da un manente che poi fu allontanato dalle suore; dove è il berçeau era la ‘passeggiata delle novizie’.
Durante la guerra del 1940-5, avendo subito gravi danni, buona parte fu sottoposto a decisi rifacimenti; sono intuibili i muri esterni frantumati dalle bombe e rifatti (esempio lungo la salita Belvedere in quanto cadono a perpendicolo col terreno del vicolo mentre quelli antichi sono lievemente svasati a rinforzo della base) .
Il Pagano/1950 al civ. 1 si segnala la presenza dell’ «Educatorio ‘Presentazione’ (Pietrine)».
Dal maggio1998 -chiuse tutte le scuole- è divenuto “Residenza Pietrine”, istituto di residenza protetta per 65 anziani ambosessi, autosufficienti e non, in camere singole e doppie (ad essi è stata dedicata un’intera ala dell’edificio, con camere singole, confortevoli, munite di Tv e telefono; completano l’arredamento una palestra per fisioterapie riabilitative e sale di accoglienza comune, un bello spazio verde di oltre 4mila mq , ai cui estremi in alto si ergono alcuni rari fusti di alberi di canfora. Se l’assistenza è ottima, la retta da pagare non è per tutte le tasche).
Nel 2009 una casupola sita in corso Martinetti pressoché sotto la chiesa – che per tanti anni ha ospitato auto ed anche gli scout - è stata abbattuta ed al suo posto è stata creata una aiuola rialzata (si dice per evitare posteggio abusivo delle auto).
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===civ.2: subito dopo la chiesa, sul lato a monte, si apre il palazzo Doria, poi
divenuto Serra-DeMari, forse anche ***Ronco, ed infine alle attuali suore della Divina Provvidenza per l’ Istituto Don Daste e per la Fondazione di religione opera don Nicolò Daste (ente con personalità giuridica).
===i DORIA ghibellini, presero come stemma l’aquila nera posta su uno sfondo che nella metà superiore ha campo d’oro; in quella inferiore, argento.
In ascendenza, avi non interessati alla villa, furono:
Lamba Doria, con rispettivi figli Opicino→Bartolomeo→Giovanni→ DomenicoBartolomeo.
Quest’ultimo ebbe due figli Giovanni (la cui discendenza porta ai Doria di villa Franzoniane) ed Agostino (1).
1- 1466 AGOSTINO di Dom.co Bart.meo, sposo di Sobrana Grimaldi q.Nicolò. Essi ebbero quattro figli : Maria, Niccolò, GioBattista (2), Giacomo (3),.
2 - GioBattista Doria di Agostino 1470-1554 (Battilana pag.52).
Pare che la villa sia stata edificata per suo volere sposo della mag.ca Gironima Lomellini q.Battista, non ebbe figli.
Già a 38 anni continuamente ricoprì cariche ufficiali per incarico del Senato come governatore della Corsica e confidente di Andrea Doria quando sbarcò il suo esercito per liberare la città dallo straniero. Senatore nel 1536, divenne 5° doge biennale dal 4 gennaio 1537 al 4 genn. 1539, anni in cui fece erigere la nuova cinta di mura e ricevette Carlo V ed il Pontefice (che stimolò a far revisionare i monasteri che non vivevano l’opportuno spirito religioso). La sua effige da doge, venne affrescata sul soffitto del salone al piano nobile (vedila sotto). Alla fine del mandato divenne Procuratore Perpetuo. Morì nel 1554 e, deposto in una cassa di piombo, venne sepolto nel coro della chiesa di san Domenico.
3 - GIACOMO, figlio primogenito di Agostino, fratello di GB. Sposò Battina DeMarini q. Goffredo con la quale ebbe 9 figli: Niccolò (4); Stefano, Eliana, Sobrana, Ginevra, Orietta, Agostino (5), Isolta e Girolamo). Fu unico genovese con rapporti e ritratto dal Tiziano (1489-1576). Fece parte della delegazione che andò a Piacenza a rendere omaggio al papa Paolo III Farnese, in viaggio verso Nizza per incontrare CarloV ed il re di Francia FrancescoI. Gestiva capitali e finanze a livello internazionale avendo occasione di risiedere anche a Venezia. Fu eletto senatore. Non si sa se sopravissuto al fratello, allora lui erede della villa; o se dopo, ed allora erede fu subito uno dei suoi figli, non il primogenito e quindi come a significato che questa villa era un ‘bene secondario’ della famiglia.
4 - NICOLO’ qGiacomo, quindi nipote di GB (zio) e di Agostino (nonno).
Dall’età di trent’anni ricoprì cariche pubbliche. Fu ambasciatore a Venezia; a Brescia acquistò il campanone del palazzo ducale. Fu eletto 27°doge biennale, dal 20 ott.1579 al 1581, primo ad avere il titolo di ‘serenissimo’. Sposo di Aurelia Grimaldi q.Niccolò (detto ’il monarca’), ebbero 9 figli, tra i quali GioStefano (doge nel 1633), GB (6)., Marcantonio, Giacomo, Camillo, Livia, Maria (7), GioGirolamo, GioPietro). Morì il 13 ott.1592 a 76 anni e sepolto in san Matteo).
5 - Da GB, perché senza figli, appare che la villa diventò proprietà nipote Agostino figlio di Giacomo, omonimo del nonno. Doge nel 1579. Il 15 luglio 1587 acquista da Nicolò Grimaldi –per conto del fratello Nicolò e di Barnaba Centurione- tutti i beni ‘profanati che erano il monastero del s.Sepolcro. Con bolla datata 1 gennaio 1606 fece erigere nel nostro palazzo la cappella-oratorio, su licenza papale di PaoloV. Si fece ritrarre in miniatura con la famiglia, da Guilliam van Deyen (L’Età di Rubens, pag. 204). Sposò Eliana Spinola q.Goffredo da cui ebbe 7 figli vissuti a cavallo tra il 1500 e 1600: GiacomoMassimo (8) primogenito; GioLuca; GioCarlo (9); Marc’Antonio (10); Battina e Virigina. Morì nel 1607).
6 – GB di Nicolò è citato nell’epigrafe marmorea murata in controfacciata relativa a papa PaoloV, datata 24 febb.1607. Chiesa e monastero ottengono -su richiesta di GB- speciali indulgenze avendo risposto ai requisiti voluti.
7 – Maria di Nicolò sposata a Gaspare Spinola, ebbe figlia Brigida Doria-Spinola ritratta da P.P. Rubens.
8 – Giacomo Massimiliano fu –nel 1605- il primo marito di Brigida Spinola di Gaspare, senza prole. Morto prematuramente nel 1613, ella si risposò nel 1621 con GioVincenzo Imperiale.
9 – GIO.CARLO. 1577-1629- terzogenito dell’ex doge Agostino; fratello di Giacomo Massimiliano e Marcantonio. fu ritratto a cavallo dal Rubens.
GioCarlo, incisione di Simon Vouet
Sposò Spinola Veronica q.Ambrogio nel 1608 che rimase vedova nel 1629 dopo aver avuto (Battilana) 2 figli (GioGirolamo ed Agostino quest’ultimo, che Boccardo scrive unicogenito, morì nel 1640). Fu doge nel biennio 1601-3, politicamente legato ai ghibellini, anche lui fu grande collezionista e mecenate d’arte: attorno a lui ruota gran parte delle vicende collezionistiche genovesi del primo quarto del seicento. Dal 1988 è tornato Genova, palazzo Spinola, un suo grande ritratto a cavallo del 1606 del Rubens ove vi appare con le insegne dell’Ordine di san Giacomo concessegli dal re di Spagna Filippo III nel 1606 (divenuto proprietà del figlio Agostino e poi –dal 1640- del fratello Marcantonio che lo destinò a GioFrancesco, la tela ebbe numerose peregrinazioni divenendo anche proprietà di Adolf Hitler). Ricevette in regalo dal Granduca di Toscana un bel cane chiamato Mugnaio –simbolo di fedeltà-, che ebbe l’onore di una lirica da parte di GB Marino e di essere effigiato da B.Pagano col padrone. Al Louvre è invece un olio col suo ritratto, di Simon Vouet del 1621 quando soggiornò a SPd’A; e del Procaccini il suo volto per san Giacomo (l’Eta di Rubens-pagg.211-12-32).
10 - MARC’ANTONIO o Marco Antonio Doria, o Marcantonio I, 1572-1651. Nato da Agostinio (doge 1601-3), passò col fratello lungo tempo a Napoli – sua seconda patria - per imparare l’arte dell’essere mercanti (investimenti, capitali e beni fondiari), contattando nel frattempo artisti vari ed affinando le sue innate qualità di intenditore e cultore d’arte, ed ove diede origine -comperando tramite giureconsulto e per 40mila ducati un feudo di Angri nel salernitano- al casato dei Doria d’Angri che nel 1636 fu elevato a principato per concessione di Filippo IV di Spagna (ramo che si trasferì definitivamente a Napoli agli inizi del 1900 con Marcantonio VI). A Napoli la famglia aveva cospicui ingteressi, e lui li seguì con attenzione
Nel sud consolidò il commercio e l’esportazione granaria calabrese, e comperò una vasta distesa paludosa ad Eboli per l’allevamento dei bufali.
A Genova si dedicò all’alta imprenditoria, ereditando anche la cospicua parte del fratello Giacomo, e dei cugini (che convivevano con lui a Genova, GB e GioStefano) tutti morti privi di discendenza. A vent’anni sposò Isabella DellaTolfa figlia del conte Carlo di san Valentino e già vedova di Agostino Grimaldi duca d’Eboli e principe di Salerno, gestendo i lautissimi beni che la vedova gli portò in dote; con essa ebbe 5 figli (Niccolò primogenito 1599-1688, sposo di Maddalena Spinola qAntonio, morto senza eredi; GioFrancesco secondogenito, che però sopravvisse al padre solo per due anni (1601.1653); Vittoria che sposò Agostino Spinola marchese di Lerma; Margherita fattasi suora nelle Monache Turchine di Castelletto; Barbara). Nella sua indole imprenditoriale, non era distaccto dalla politica cittadina, assumendo cariche di alta responsabiltà: per undici volte tra i trenta dei Consigli e le quattro estrazioni nei Collegi; procuratore (1625-6) col titolo di illustrissimo; senatore (1628-30 - 40-41 e 50-51: quando morì ‘in carica’) =erano tempi nei quali gli olgarchi si dividevano in ‘nobiltà vecchia e nuova’, mentre gli spagnoli ‘si contavano’ (filospagnoli-i quali, da ‘tutti’, ora erano in fase calante di condivisione), per contrastare il crescente numero dei repubblichisti. E stare di qua o di là costava la carriera..
Si trovò a difendere Bernardo Strozzi , nel 1625, alle accuse di Luigi Centurione; sempre stando attento al concetto artistico da essere un committente anche di Rubens.
Nel 1630 fece parte di una deputazione incaricata di ricevere – di passaggio a Genova - la regina d’Ungheria, Anna Maria d’Austria
A San Pier d’Arena fu molto legato, frequentandola quando era conosciuta come ‘della loggia nella principale strada del borgo’. Il 4 giugno 1613 dal fratello GioCarlo -notaio Nicolò Zoagli- ricevette il pieno godimento della «domo cum ruri sita in Sancto Petro Arenae». In questa casa nell’ottobre 1637 morì il venticinquenne Nicolò Grimaldi duca di Eboli, figliastro per Marcantonio essendo figlio di primo letto della moglie. Quando fu aperto il testamento del giovane si apprese che il desiderato era “lascio il corpo mio alla terra mentre si donerà alla cappella che i miei antenati han fatta nella chiesa di san Pietro detta la Cella in la villa di s.Pier d’Arena”.
Fu uomo politico, ambasciatore a Mantova nel 1619; non mancarono spiccati interessi artistici (attratto in forma determinante dal caravaggismo, dai suoi stilemi e dalla commissione di tele di suoi imitatori), culturali (letteratura, amicizia con Ansaldo Cebà) e spirituali ( frequentazione con teologi, preoccupandosi del destino dell’anima e della retta conduzione familiare; l’ansia religiosa lo portò a raccogliere un vasto reliquiario –tra cui quella del preziosissimo sangue di san Giovanni Battista, protettore di Genova, ricevute dalla chiesa napoletana di san Giovanni a Carbonara) . Un suo ritratto, di Justus Sustermans datato 1649, lo mostra 67enne, due anni prima della morte. (L’Età di Rubens.pag.215).
La casa principale e cittadina dei Doria, di proprietà paterna, era in vico Gelsomino (vicino a piazza s.Matteo-vico Falamonica), ma assieme avevano la villa ‘di campagna’ a San Pier d’Arena, dove viene ripetutamente descritto l’esistenza di un “delizioso casino”, posto “poco distante dalla sua casa di campagna” abbellito da una loggia da cui si doveva godere di un panorama idilliaco. Fu Marcantonio quello che più di tutti curò questo secondo edificio che così storicamente passa concordemente col suo nome: Casino di Marcantonio Doria Nell’accezione antica di allora, era ‘casino’ il luogo scelto dagli uomini per incontri di divertimento, sportivo in genere ma anche letterario o di gioco, discosto dalle mura di casa di evidente maggiore ‘dominio’ femminile. Pochi, ma assai ricchi i collezionisti genovesi di allora, attenti ad artisti emergenti il mondo di allora o di collezioni da ricuperare, comunque capaci in silenzio di comporre quadrerie di alta qualità e quantità. Purtroppo alla loro morte, queste collezioni da passaggio ereditario all’altro, vennero alienate ed a loro volta disperse. Per questo edificio, è del 1605 una proposta di Marcantonio a Caravaggio -di passaggio per Genova proveniente da Roma invitato dai Sauli-, di decorare una loggia del casino pertinente la villa di Sampierdarena. A seguito del netto rifiuto dell’artista, nel 1610 l’incarico fu affidato a1 decoratore napoletano Battistello Caracciolo con le storie di Abramo e di sant’Orsola (per questo lavoro ‘opera fatta a olio ed a fresco’, fu pagato a Napoli nel dicembre 1618, ma un documento dimostra che nel 1624 il pittore era ancora attivo nella villa; risulta che nel 1620 il nobile proprietario possedesse una ventina di tele dell’artista napoletano, il cui tratto pittorico, colore ed ombre, fu di meditazione -e passaggio alla pittura prevalentemente di colore- a D.Fiasella). Gli successe nella decorazione Orazio Gentileschi negli anni 1621-4 (Pisa 1565-1647; il Ratti dice che morì quarantenne a Londra ove aveva vissuto per 12 anni ed ove fu sepolto in gran pompa sotto l’altare maggiore della regia cappella di Sormersethaus; sul Secolo si scrive che morì a Londra nel 1639). Era stato uno dei primi a cogliere il colore e lo stile del Caravaggio; adottò questo stile a Genova nel suo non breve soggiorno. I dipinti del Gentileschi però andarono tutti distrutti con l’abbattimento dell’edificio.
Sia nella villa, che nel casino: non viene descritto come i quadri fossero distribuiti; gli affreschi sui soffitti rappresentavano come d’uso, fatti religiosi: si sa solo di una sala, ove il quadro centrale raffigurava ‘Abramo trattenuto dall’angelo prima del sacrificio del figlio’; esso era circondato da altri quattro riquadri rappresentanti storie di Giacobbe: ’Isacco benedice Giacobbe’, ‘Esau vende la primogenitura a Giacobbe’, ‘Giacobbe vede in sogno la scala misteriosa’, ‘Giacobbe lotta con l’Angelo’; nelle lunette erano rappresentati Mosè, Aronne, Giosuè, Giona, Davide, Giuditta, Giobbe e Sansone; negli spazi delle mezzelune le quattro Sibille. In altra sala c’era un “san Gerolamo atterrito dalla tromba del final giudicio”. Altrove si vedevano un “pazientissimo Jobbe dalla moglie indiscretamente rimproverato” ‘Mosé vicino al rovo ardente’, ‘Tobia che seppellisce i morti’, ‘Tobia che ricupera la vista ungendosi col fiele del pesce’. Tutti argomenti di repertorio ma insolitamente usati in funzione decorativa).
Nel 1610 Marcantonio grande collezionista d’arte, risulta compratore di opere del Caravaggio (il ‘Martirio di sant’Orsola’), di van Dick, di Rubens (che ritrasse il nobile a cavallo, in un quadro presente in palazzo Spinola di Pellicceria); del Ribera (il bellissimo ‘compianto sul Cristo morto’); e in seguito protettore di artisti come lo Strozzi (del quale fu mallevadore nella lite con Luigi Centurione per degli affreschi in Strada Nuova))-. Nel 1621 assieme al fratello, ospitarono in questa villa il pittore francese Simon Vouet che li ritrasse entrambi (sebbene ad oggi è conservato al Louvre solo il grande ritratto del fratello Gio.Carlo, definito stupefacente per introspezione psicologica’).
L’edificio del ‘casino’ andò distrutto poco prima del 1700 .
Nel 1636 Domenico Sauli è amministratore dell’eredità dei fratelli Marcantonio II e Ignazio Doria figli di GioFrancesco e loro eredi: tra tanto, anche dei ‘beni a Sampierdarena’. Dal 1702 al 1716 esiste l’elenco settimanale delle spese per i lavoratori e fornitura di materiale per lavori edilizi nel palazzo di GiuseppeM Doria q.Ignazio in Sampierdarena
La villa rimase ancora proprietà quindi di questa famiglia, per alcuni secoli.
Infatti appare ancora nel 1757, nella mappa vinzoniana, essere proprietà del mag.co Giuseppe Doria (il quale probabilmente (da vedere a Battaglini) è quello descritto da Battilana a pag. 64, discendente dal Marcantonio Doria di cui sopra, vissuto 1730-1816, che divenne doge nel 1795 e che sposò Isabella DeMari q Girolamo (e poi in seconde nozze Barbara Fieschi q. Ettore).
Acquistando anche una casa e terreno sottostante (da parenti -ma di un ramo diverso dal suo, e tra loro fratelli: Francesco e Marc’Antonio Doria; quest’ultimo è lo stesso che ordinò la costruzione della chiesa di san Pietro in Vincoli) costituì una delle proprietà più ampie del borgo - dopo quella degli Imperiale (poi Scassi), estendendola dalla via principale sino alla vetta del colle di Belvedere. Il terreno, dalla villa fino alla sommità, era dedicato a frutteto e bosco. Nel febb.1800 il governo della Repubblica Ligure ordinò un inventario di tutti i suoi beni quale ‘cittadino emigrato’ non sappiamo dove; non ebbe figli maschi, solo la figlia Maria Doria Cattaneo. Ereditò tutto un GioCarlo IV (1788-1854) primogenito del ramo cadetto proveniente da GioFrancesco che risiedeva a Napoli.
Nel 1780 fece apportare dei restauri importanti e migliorie: sottostante casa, fece aprire un ampio e degradante giardino all’italiana (anche se ispirato alla francese di Versailles, come dettato dagli usi dell’epoca), che si snodava a ventaglio, dalla villa fino alla zona compresa tra le attuali via G.B.Monti e corso Martinetti, sino alla sottostante via principale -oggi via N.Daste -, al civ.28, poco a levante della chiesa di Prae Giordan.
Essa, eretta sul poggio, venne aperta collegandola alla strada principale (via Mercato-N.Daste) con lungo viale contornato da giardino; tutto viene così descritto: “nella principale strada del Borgo di San Pier d’Arena: sito, che comunemente chiamasi la loggia Doria”. Da ciò si presume che i numerosi riferimenti di una generica ‘loggia d’alto’ siano legati a questo edificio.
la villa antica, eguale ad oggi, ma con ampi foto del 1920
spazi attorno
Possedeva una cappella privata, posta a sinistra appena entrati dall’ingresso principale entro il portico; sull’altare di marmo, era un ovale con l’effige del ss.Rosario con san Domenico e san Carlo Borromeo. Sulla volta, un affresco con lo sposalizio di Maria. Tito Tuvo conferma riferendo che ancora nel 1813 quando la villa era ancora di proprietà Giuseppe Doria esisteva tale cappella.
Poi, col taglio di via A.Cantore, fu costruita a limitazione in basso, un alto muraglione a bugnoni, con una porta che dava accesso a piedi tramite una scalinata aperta tra i muri di recinzione (vedi foto in Gazz.Samp.) ed in carrozza lungo una strada che per salire compiva un tornante ad ampia curva. Nell’entrata, troverà sede la “Palestra Barabino” che nel 1905 organizzò una gara ciclistica nell’anello antistante
in basso, la pista; dove poi la nicchia visibile ancor cosa rimane del giardino
passerà via A.Cantore. oggi: all’inizio di via davanti: un corridoio, ed
Dietro la sommintà del palazzotto si vedono il Battaglini; e nella foto, un terrazzo sopra via
tetto della villa; ed in alto le ville Boccalatte sopra, del 1920 Farini
e Crosa-Antoniano
Il parco –fu disegnato da Andrea Tagliafichi, architetto genovese (1729-1811; dopo aver servito Cristoforo Spinola, acquisì tale fama da essere desiderato da tutti: primo ad essere servito fu Giuseppe Doria che nel 1780 lo aveva chiamato a San Pier d’Arena ove il Tagliafichi fu “specialmente ammirato (per) certo ingegnoso sforzo di meccanica; e ne uscì fama per le stampe, avarissime in que’ giorni a ragionare di belle arti”. Poi molto lavorò in città, giudicato il miglior interprete del nuovo metodo di decorazione di interni per apportare stucchi, grottesche e chiaroscuri).
Questi utilizzando un tempietto preesistente, già di per sè elegante e leggiadro che sorgeva a forma di grotta vicino al palazzo; ricchissimo di coralli, maioliche e conchiglie, con ingegnosa e ardimentosa manovra lo spostò tutto intero in luogo più adatto poco lontano di 200 palmi, per un cammino tutto in declivio (quindi portati in basso, verso l’ingresso), e vi aveva inventato fontane, laghetti, cascatelle, giochi d’acqua e una grotta a ninfeo di eccezionale ricchezza decorativa: con cupola – giudicata assai fragile ma - ricca di marmi di conchiglie e coralli.
Inizialmente anche questo attribuito all’Alessi; andò distrutto dall’apertura di via Cantore.
Lo stesso architetto restaurò la villa, come minuziosamente rilevato dal Gauthier*** (1818-32), con una decorazione esterna neoclassica (un timpano sorretto da lesene ioniche), che si sovrappose alla precedente di stile palladiano;
sulla facciata aperta in salita Belvedere, sopra l’ingresso per i veicoli, cè l’icona di una Madonna alla quale era particolarmente devoto il Daste.
Mentre all’interno si trovano: a piano terra un soffitto con figure grottesche e lunette con paesaggi (già preesistenti all’ammodernamento);
atrio d’ingresso - affresco centrale idem - uno dei quattro laterali idem
piano terra - una stanza laterale piano terra - bagno in marmo e soffitto
quadri in sale laterali del piano terra inizio e arrivo al piano nobile
al piano nobile, un salone rettangolare, con il lato lungo rivolto al mare, articolato con breve galleria dal lato monte, in cui spiccano sia l’elegante decorazione a stucco bianco di gusto particolarmente raffinato, sia - nel soffitto del salone - i ritratti dei Dogi di casa Doria: si presume che proprio in queste stanze, il 4 sett.1793 Giuseppe Maria Doria - seppur inizialmente renitente a tale responsabilità - sia stato supplicato dai delegati dell’agonizzante Repubblica di assumere l’estremo ma vano onere del dogato, per tentare di salvarla.
salone del piano nobile - stucchi affreschi affreschi e stucchi
piano nobile – salone G.B.Doria divenuto doge
piano nobile – sala laterale
Nei primi anni dell’ottocento, la villa divenne proprietà De Mari la famiglia della moglie di Giuseppe: antica, nobile e potente, presente nella storia genovese -dai tempi di Carlo Magno nella lotta contro i saraceni-, con dogi, navigatori e diplomatici; tra tutti , più famoso fu Ansaldo DeMari ingegnere e realizzatore delle mura del 1630 e del molo Nuovo del 1642.
È tra il 1779 (data presunta) ed il 1786 (data sicura, tratta dall’elenco pubblicato sul giornale “l’Indice de’ Teatrali Spettacoli”) l’uso di un salone al fine di Teatro, detto ”della Loggia”; assieme a quello detto “della Crosa Larga” in palazzo della Fortezza, fu il primo teatro di dilettanti in San Pier d’Arena. Ultimo della famiglia in più documenti di fine secolo 1800, viene chiamato Ademaro (oppure Admaro o Adamaro).
Alla fine del milleottocento divenne proprietà del marchese Serra. Ancora nel 1919, anziani ricordano i Serra (padre, moglie e figlio) partire ed arrivare da Genova in carrozza
Una foto dell’epoca, mostra l’entrata nella villa probabilmente rientrata rispetto via Mercato, subito a levante dell’Oratorio della Morte; l’alto muraglione di cinta è interrotto da una muraglia di grosse pietre squadrate regolari, ed al centro uno stretto portale, bugnato a corona*** , con arco a sesto acuto.
Nel 1910 la parte in basso del giardino fu attrezzata a pista ciclabile
Nel 1920 viene demolito nel parco della villa, il cinema “Centrale”, ivi esistente da una diecina d’anni circa.
Nel 1921, per interessamento del direttore sac. Davide Lupi, tutta la proprietà, sempre ricca di 2mila mq di terreno, divenne sede dell’Istituto don Daste, gestito dalle suore della Divina Provvidenza (istituto descritto in via Carzino).
Nel terreno accanto alla villa, nel 1923 venne edificata una casa di 4 piani -con al pianoterra una tipografia-teatrino, sala adunanze al piano superiore ed una cappella (ove sarà trasportata la salma di don Daste nel ‘24 , in una tomba in marmo opera del prof. Daniele Danusso di Torino) al terzo piano. Allo scopo, in luglio, fu fondata la soc.an. “La Costruttrice” per lo sviluppo degli Orfanatrofi femminili “Don Daste”, mirata allo sviluppo dell’Opera Divina Provvidenza Don Daste: essa emanò 4mila obbligazioni da £.100 al portatore firmate da Davide Lupi (4% annuo netto di imposte e tasse, rimborsabili in 25 anni a partire dal 1934).
Nella tipografia, definita ‘propria’, venne stampato “l’Eco di don Daste” bollettino mensile illustrato ‘per il mantenimento delle 150 (nel 1923) orfanelle’.
Nel 1931 (tel 41-144) già si facevano promotrici della ‘pia opera della Messa quotidiana perpetua’ (che poi verrà ripresa dai sacerdoti Oblati della chiesa sottostante con la preghiera perpetua – ovvero 24/h su 24) e della oblazione del ‘pane di s.Antonio’ necessario per il mantenimento delle ricoverate.
Permangono a tutt’oggi (2008) gli impegni –per l’istituto religioso in quanto accoglienza, scuola (materna ed elementare) di educazione, formazione ed istruzione morale delle fanciulle e della gioventà più bisognosa. Numerosa la comunità indiana tra queste suore: su oltre 40 suore, negli anni 2008 hanno celebrato il 25° di professione religiosa suor Vallavhirakan Lucia, Chirayath MariaLucia, Yhattil Maria, Chirayankandath Letizia.
A Genova, oltre la nostra casa (madre e generalizia), le suore prestano servizio anche nelle scuole materne di SestriP (via Vado); Prà (via Murtola); Bogliasco (via DeMarchi).
Dal 1934 l’edificio è posto sotto tutela e vincolo delle Belle Arti.
Nel dopoguerra divenne asilo ed anche scuola elementare; si narra che allora, la superiora suor Elisabetta ebbe un consistente dono col fine di erigere una cappella, esterna alla villa, mancante nella struttura religiosa e progettata dove sino ad allora era l’orto. Quando avvennero i lavori, la ruspa trovò sottoterra una bomba inesplosa – fata risalire al bombardamento navale del 1941 - che venne rimossa dagli artificieri; al suo posto venne collocato la fondamenta del secondo pilone destro; la cappella fu consacrata dal card. Siri e l’evento fu colorito di religioso miracolo (bomba inesplosa scoperta con lo scavo; artificieri; medagliette gettate dalla suoperiora in ogni foro per fondamenta, ecc.
Nel ’52 alla villa fu aggiunta una nuova ala con funzione cucina-refettorio ed iniziò una scuola noviziato e formazione delle suore; nel ‘57 si aprì anche una scuola di addestramento professionale per maglieria, taglio e confezioni per arrivare al diploma di artigiano professionale qualificato. Anche la chiesa del SS.Sacramento si inserì nel territorio (vedi via GB.Monti).
Quasi tutto del giardino e della proprietà fu o espropriato o venduto, cosicché le abitazioni private ora incalzano da vicino la villa soffocandone gli spazi e l’estetica generale che una volta costituivano una delle bellezze più clamorose del borgo.
===civ. 3 fu assegnato nel lug.1971 ad una porta, accesso secondario del 34D di corso Martinetti
===civ. 4 fu demolito nel magg.1967 ; l’ 11 nel 1970 .
===civ. 5 e 7 furono demoliti e ricostruiti nel 1967; lo stesso il 9 (1970).
negli anni 1970 2010
Prima dei due villini sotto descritti, la crosa forma un doppio tornante che era già presente nella carta vinzoniana e legata a un punto di erta e ripida salita.
===civ. 6 ed 8: due villini novecenteschi, chiamati palazzina Meda (o Boccalatte) e Giunsella, di piccola dimensione, con torretta sopraelevata con funzione di belvedere. Sono visibili ancora da soli, isolati sul crinale, in foto del 1904. Ora sono divisi in appartamenti abitativi.
Al civico 8, nel 2008 ha sede la Soc.Culturale ZENA ANTIGA il cui presidente è Angelo Rebagliati. Fa parte della Associazione Città di Genova, e – insieme - della Consulta Ligure. Curano i costimi antichi, specie popolari, e relativi balli, canti e folklore.
da via Battaglini
===civv. 13, 13abcdefg risultano nuove costruzioni del 1971
===civ.14 e 16: nuove costruzioni del genn.1961-2
===civ.15: villa Crosa, De Franchi, posta a metà circa del tratto superiore della salita sul versante a levante.
la villa vista dal basso (2008) giardino ‘di sotto’
giardino ‘di sotto’
panorama di levante, dalle finestre di villa Crosa
Nata nel XVII secolo, nella planimetria vinzoniana del 1757 risulta proprietà dei mag.ci Crosa (gli stessi della villa in via N.Daste e segnato sulla carta del Vinzoni- di vasto appezzamento di terreno boschivo a nord di salita Bersezio), quale probabile casa rurale, con ampie fasce adibite ad uso coltivo sul versante sud-est del colle (oggi di altri proprietari ed in gran parte occupate dall’incalzante edificazione abitativa). Viene citata dai fratelli Remondini nel 1897 perché “Nel luogo detto cima della Crosetta, i Marchesi Crosa hanno Cappella di N.Signora della Misericordia”.
Passò poi ai DeFranchi (albergo chiamato De’Franchi, fu formato da diverse famiglie patrizie genovesi (inizialmente i DellaTorre, Figoni (Ascheri accetta che possano essere sampierdarenesi), Tortorini, Vignosi, Lusardi, Guani, Magnerri, Sacchi,Pagana; poi si aggiunsere altri tra cui i Toso ed i Boccanegra), unitesi nel 1393 per discordie e guerre civili e che annovera religiosi, militari e poeti. Dei DeFranchi di origine Figoni, vengono ricordati un Battista di Raffaele, nel 1431 podestà della Tana; e suo fratello Cattaneo capitano di una galea mandata in soccorso di Scio e poi impiegato per altri magistrati. Nel 1478 Giovanni fu uno dei 12 cittadini popolari eletti in difesa del popolo. Nel 1508 Antonio di Stefano fu nel consiglio degli Anziani e quattro anni dopo inviato console ad Alessandria di Egitto.
L’insegna aveva un falcone, cambiato a fine 1300 con tre corone d’oro in campo vermiglio e sovrapposte alla croce rossa in campo bianco della Repubblica.
L’ultimo di San Pier d’Arena sposò una famosa pediatra locale, dott.ssa Balboni che gli sopravvisse senza prole; abitarono in via Cantore 40 negli anni 1960-70. Possedevano un meraviglioso olio di Vernazza riproducente la collina di Belvedere, ora di proprietà di nipoti).
Essi la trasformarono volumetricamente ad L, seppur mantenendo il prospetto principale rivolto a sud, ricevendone in sostanza una sistemazione più rappresentativa specie con nuovi portali (sia nella facciata nord che quella sud), ed assumendo l’aspetto della tipica villa genovese tradizionale.
Nel giardino antistante, un leone coricato, fa da guardia all’ingresso; e, in una aiuola, c’è una fontana con grottesca (foto sotto, al centro).
Angolo nordovest gel giardino con sopra il parco pubblico
parte a mare del piazzale superiore attuale ingresso alla villa
L’interno vede un seminterrato adibito anche a cucina; un piano terra con ingresso dal giardino a monte (da dove si entra dalla salita Bevedere; e che rimane piano nobile dalla facciata a mare), decorato nei soffitti (e ospita una ampia cappella nella parte a ponente);
atrio d’ingresso
ed un ammezzato a tetto, con le spaziose camerette e l’aula scolastica per i bambini ospitati.
La decorazione del piano nobile è ottocentesca, affrescata ai soffitti con stile barocco-grottesco (in alcuni riquadri, ci sono belle vedute di Genova e paesagg di fantasia).
Nel 1934 fu posto sotto tutela e vincolo della Soprintendenza alle Belle Arti
Dopo i DeFranchi, passò di proprietà all’ Orfanotrofio femminile, retto da religiosi che lo chiamarono “Istituto Antoniano femminile, Figlie del Divino Zelo” del padre Annibale Maria di Francia (una piccola targa, ne comunica l’esistenza allo sbocco del corso Belvedere con corso Martinetti). Il fondatore, nato terzogenito a Messina il 5 lug.1851 dalla nobile famiglia dei marchesi di santa Caterina dello Jonio (il padre Francesco era viceconsole pontificio e capitano di marina; la madre Anna Toscano dei marchesi di Montanaro). Essendo rimasto orfano di padre a meno di due anni, la madre non riuscendo a reggere quattro figli, fece ospitare il bimbo da una zia che però dopo un anno morì di colera; anche lui fu contagiato dalla malattia e ciò lo fece rientrare in famiglia. Nel 1858 entrò in collegio dai Cistercensi; visse così la sua prima gioventù di nuovo lontano, seppur in ambiente agiato; ma nel 1866 fu soppresso l’Ordine religioso e dovette proseguire privatamente. Colpito nel 1868 dalla folgore religiosa, malgrado il parere negativo della madre, assieme al fratello minore, decise farsi sacerdote (favorito dall’aver conosciuto affiliati al “battaglione sacrilego”: molti sacerdoti –alcuni spretatisi-preferirono seguire Garibaldi sbarcato nel 1860, favorendo in Sicilia l’ondata laicista e liberal-massonica dei garibaldini. Nelle diocesi sicule si era così instaurato un grave disordine morale con abbattimento drastico delle vocazioni sacerdotali). Così, neosacerdote a 27 anni iniziò l’apostolato vivendo in mezzo ai poveri e per i poveri; più reietti erano, e più lui era presente, ricevendo i consensi della misera gente e troppo spesso l’altero e disgustato rifiuto di tanti benestanti , degli amici e del clero stesso. Come in Don Bosco, don Daste, don Franzone e don Orione, nel 1882 l’idea dei giovani abbandonati divenne prioritaria: iniziò a raccoglierle dalla strada e con mille fatiche ad organizzarsi, facendosi aiutare da alcune giovani che vestito l’abito religioso, diedero vita nel 1887 alla congregazione delle “figlie del Divino Zelo”; dieci anni dopo i primi collaboratori iniziarono i “ Rogazionisti (dal latino = coloro che pregano) del Cuore di Gesù”. Superando mille difficoltà, dal comune giornaliero bisogno di mangiare e dar da mangiare qualcosa, ai grossi debiti per la casa, riuscì a farsi aiutare da tre confratelli ed a creare una istituzione che ha lasciato traccia ovunque nel Paese di carattere educativo ed assistenziale. Tre grossi eventi furono significativi: durante il colera del 1887 una ricca signora fece il voto a sant’Antonio da Padova di provvedere al pane dell’orfanotrofio se i suoi figli si fossero salvati dall’epidemia; questo si avverò, e per anni non mancò il pane ai fanciulli; fu chiamato il ‘pane di sant’Antonio’, ed a questo santo fu dedicata una venerazione particolare, significativa e duratura da parte di tutta la congregazione, tanto che l’istituto si chiama ‘antoniano’. Secondo evento fu l’ospitalità offerta a Mélanie Calvat, una veggente di La Salette cui era apparsa la Madonna, e che aveva necessità di sottrarsi alla morbosa curiosità di tanti fedeli: donna energica e volitiva, fu decisiva per dare struttura alle suore della congregazione, creando una serie di laboratori femminili con maglieria, corde per sedie, fiori di carta, berretti, sino ad un telaio per tessere. Anche per i maschi si creano una tipografia, calzaturificio, falegnameria e mulino con pastificio. Terzo evento fu la salvezza di quasi tutti gli ospiti dell’istituto, quando Messina fu colpita dal terremoto il 28 dic.1908: alle ore 5,20, in 37 secondi, tremendi scossoni accartocciarono le case ed uccisero 80mila persone (morirono anche 13 suore).
La prima guerra mondiale offrì la possibilità di aprire un altro istituto vicino a Bari per ospitare le orfanelle dei caduti; ed un altro a Padova per i feriti e calzature per i soldati, mentre il canonico ristorò ed ampliò la casa messinese. Il 1 giu.1927 padre Annibale esausto e debilitato si spense. Fu riconosciuto Beato il 7 ott.1990 ed innalzato agli onori dell’altare da papa Giovanni Paolo II.
Durante l’ultimo conflitto mondiale, la villa fu occupata da un comando tedesco. Il sig. Bertaglia ricorda la presenza di due carri armati in giardino, che per entrare dovettero abbattere una parte del muro di cinta sulla crosa.
Il 9 apr.1947, cinque suore della comunità presero possesso dell’istituto, sampierdarenese, aprendo una scuola materna; l’anno dopo quella elementare e nel 1987 la casa per ragazze madri in difficoltà.
Recentissimamente, per adattarsi alle leggi anti-infortunistiche e preventive, l’intera struttura è stata restaurata e ammodernata ed arricchita di una nuova costruzione vicina capace di ospitare in modo decoroso le numerose persone bisognose di questo tipo di assistenza: pur ospitando bambini dai 3 ai 16(se femmine)-10(se maschi) anni, e ragazze madri è scomparsa la parola orfanotrofio, sostituita da ‘istituzione assistenziale’. L’istituto, sempre gestito da suore, accoglie in un ambiente pulito, allegro e ben fornito sia bambini, figli di ragazze nubili o immigrate o separate comunque sempre in difficoltà ed in situazioni psicologiche affettive di grande sofferenza, tensioni e conflitti sociali; qualche volta le terribili situazioni affettive delle ricoverate, sfociano in dramma: come quella madre di 27 anni, originaria del Madagascar con tre figli, che nel giu.2001 dopo aver denunciato il marito italiano per maltrattamenti, si è impiccata nella sua cameretta.
=== un ampio giardino pubblico, sempre aperto, si apre sulla destra, cento metri prima del santuario e sopra la villa precedente con la quale confina a sud. Si estende su due piani sovrapposti
piano superiore ingresso (a destra) e piano inferiore (a sinistra)
Nacque dopo un contenzioso tra il comitato di quartiere ed un costruttore (Fossati, ex presidente del Genoa, mentre questi stava costruendo i due caseggiati sottostanti in corso Martinetti (chiamati ‘del sole’); le “voci” dicono che essendo state riscontrate alcune gravi “irregolarità” (sfruttamento non previsto ad appartamenti, anche dell’abside, il giardino ben strutturato e con funzione di oasi verde fu ottenuto -come pure un appartamento in altra casa di proprietà del costruttore da adibire a sede delle manifestazioni del comitato sociale locale- in cambio di una “pace sindacale”, altrimenti sarebbe stato ostacolato e danneggiato gravemente nei tempi di costruzione). Appena completato, fu donato al Comune, che ne cura la pulizia. È una piccola oasi per chi ama gli animali, essendo il giardino in posizione scomoda per altre funzioni.
=== 15a dato a nuova costruzione eretta nel 1985
=== all’inizio del secondo tratto di salita, dopo le scale di quota 40, esisteva un “convitto don Minetti” in villa, visibile in foto del 1904, ma non documentata (probabilmente è la scuola aperta a nome del sacerdote, in SPdArena – vedi in via Buranello). TuvoT-come eravamo-.33foto.74.79 (non c’è in Pagano/33)
=== civ. 19 è la casa affiancata a mare della chiesa; le altre dietro, sono senza numero, aperte dal parroco a gente che lui assiste.
===civv. 24. 26 assegnati nuovi nel 1962
villa Lomellini (civ. 26): nel lato a ponente della salita, per la planimetria del Vinzoni -1757 -si era nei terreni del mag.co Lomellini Lorenzo, che possedeva tutto il versante a ponente del colle, strutturato a fasce coltive e boschive. Questi possedeva due ville: la prima, divenuta proprietà Bocci, ora scomparsa, era in basso (vedi v.GB Monti 20); la seconda posta proprio allo sbocco sul piazzale, è tutt’oggi un fatiscente edificio rettangolare col lato lungo e l’ingresso principale sul piazzale stesso, da molto tempo abbandonato (inaccessibilità degli eredi ?) e parte del tetto sprofondato (2010)
facciata a nord
facciata a ovest
***La descrizione a pag.48 su “Le ville del genovesato” è di quella d’angolo; la foto invece appare essere di quella villa ristrutturata, 50m. sotto lo sbocco di salita Belvedere; di proprietà arch.Vermicelli ?=a voce).
***la chiesa è descritta in corso Belvedere
***il forte è descritto in salita Millelire
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