CAIROLI                                     via Adelaide Cairoli

 

TARGA: via - Adelaide Cairoli     ---    strada privata

                                              

                                        

 

  QUARTIERE ANTICO: Mercato

 da MVinzoni, 1757. In fucsia, antico e moderno inizio di salita Belvedere; rosso, ipotetico tracciato di via A.Cantore; celeste corso AMartinetti

 

N° IMMATRICOLAZIONE:   2737

                   

Da Annuario pagano 1961                              Da Google Earth.2007 in rosso, via A.Cantore;

                                                                       giallo corso L. Martinetti; fucsia via N.Ronco.

CODICE INFORMATICO DELLA STRADA - n°:   09880

UNITÀ URBANIST ICA: 27 BELVEDERE

CAP:   16149

PARROCCHIA: NS del ss.Sacramento (nel ’61 era di S.M.della Cella)

STORIA:  nello stradario comunale del 1910, essa appare già così intestata: ‘da corso dei Colli verso la proprietà Moro’ (non e chiaro chi era questo Moro: se il solito dell’olio o altri; se occupante l’officina che è ospitata nel fondo interposta con corso Martinetti o se proprietario dei terreni ove furono costruiti i palazzi popolari tipici degli anni seconda metà ottocento); il Novella (1900-30) la cita distaccantesi da corso Dante Alighieri.

   Nel 1927 era classificata di 5° categoria, ed eguale nel 1933; nel 1950 era migliorata alla 3.a categoria.

STRUTTURA

   Strada che si apre verso levante,  all’inizio di corso L.Martinetti; ed in fondo è chiusa.

   Lo spazio stradale, delimitato dai palazzi ai due lati, è diviso a metà da un muretto longitudinale. La nostra strada, privata, è la metà a monte che poi curva a 90° per terminare in uno micro-slargo nel retro del grosso palazzo ove si aprono i tre portoni.

La metà a mare, che sfocia in fondo in via N.Ronco, fa parte di corso Martinetti che ha i suoi primi due civici neri dispari in questa rientranza stradale. Il muretto serve a delimitare la proprietà privata da quella comunale; le due procedono verso est  gradatamente sempre più slivellandosi in due diversi piani stradali

   Consentito il traffico veicolare in doppio senso ma, per ristrettezza, è unitransitabile.

CIVICI

2007= NERI   =dal 2 al 6

           ROSSI = dal 6r al 30r (mancano dal 2 e 4)

  Dal Pagano/1921 al civ. 8-10 (rossi), in angolo con corso dei Colli, inizia la presenza della filiale locale delle acciaierie Poldi, diretta dall’ing. Pizzigoni P.; /1925-33 la stessa, ma al civ. 10-12r, diventa ‘soc.an. ing. Pizzigoni P. interessata all’acciaio Poldi’ (la via principale allora si chiamava corso D. Alighieri).

Nell’ultima data c’era anche  la fabbrica di mobili in legno (venduti in via della Cella) di Ambrosini Annibale  

Nel 1940 è citata da corso dei Colli con tre civici rossi, 8r=un falegname (Lombardi GB); e 10r, 20r due maglierie.

 

   Civici neri sino al 6. Sino al 1960 esisteva anche un civ.1 nero (assegnato ad una nuova costruzione nel 1949) che in una sistemazione della numerazione divenne in quella data il civ.35A di via A.Cantore.

    Nel 2002, attualmente, c’è civico rosso solo il 10r: una bottiglieria e deposito di vino piemontese, gestita da Morino Stefano e figli. Gli altri sono box privati.

DEDICATA  :

 Adelaide assieme  a Benedetto, Giovanni ed Enrico.

Milanese,  nata il 5 marzo 1806, figlia del conte Benedetto Bono (ricco avvocato nominato nobile e prefetto a Milano durante l’impero napoleonico, deceduto precocemente). Visse con la sorella e la madre a Belgirate sul lago Maggiore ricevendo una educazione rigida e patriottica, sino all’idea del possibile sacrificio personale per queste idee. Ammiratrice di Napolone e i Eugenio Beauharnais nonché fervente antiaustriaca. Collaborò poi con i carbonari aiuando i latori di missive e propaganda e distyribuendo lei stessa opuscoli pro-liberazione. Appena sedicenne ebbe l’avventura di disarmare con un candeliere un  servitore ubriaco, che minacciava con un’arma da fuoco la madre indifesa, dimostrando fermezza e temperamento; epperò scioccata dal fatto, fu curata dal clinico Carlo Cairoli docente di chirurgia ostetrica a Pavia, proprietario di alcuni poderi in Lomellina, vedovo con due figli. Tra i due nacque una seria passione, malgrado la differenza di età: si sposarono (lei diciottenne, lui quarantasettenne) nell’apr.1824.

Divenne madre di 8 figli (5 maschi: Benedetto (nato 1825), Ernesto (nato 1832 cadde per primo, nel 1859 con i Cacciatori delle Alpi a Varese, colpito al petto da un colpo di fucile, dopo aver ferito a morte con baionetta un tamburino nemico. Malgrado la forza d’animo, la fede cattolica –per lei era una Santa causa- e l’impegno pericoloso ed attivo, l’impatto con questa realtà fu un fortissimo trauma psicologico. Le scrisse Garibaldi direttamente, ponendo le basi per l’ode che poi elaborerà per lei), Luigi (nato1838, morì di tifo a Napoli –Riccardi scrive a Cosenza- mentre nel 1860 risaliva la penisola con i Mille), Enrico (nato 1840, studente di medicina, morì contro i pontifici a villa Glori il 23 ott. 1867), Giovanni (1842, morì a Pavia nel 1869 dopo lunghe sofferenze durate due anni, di ferite riportate a fianco del fratello, a villa Glori); e tre femmine Rachele (morta trentenne di parto prima del 1970), Emilia (deceduta anche lei precocemente a 29 anni, nel 1856),  Carolina (quest’ ultima morta in fasce) ai quali riversò l’educazione di grande amore verso la patria (a quei tempi non ancora unita): Garibaldi accettò da lei un proclama alle donne sicule, stilato il 9 ago.1860, chiamandola ‘reincarnazione di una antica matrona romana’. Pastorino scrive che lei stessa portò i figli ad arruolarsi volontari sia nel 1848 (prima guerra di Indipendenza), che nel 1859 (nei Cacciatori delle Alpi)

   In fiorente gioventù, quattro dei figli su cinque seppero morire con comportamento eroico in combattimento nelle battaglie del Risorgimento 

   Il marito (morto poi nel 1849), ed il figlio primogenito, furono ambedue fortemente attivi ed anche loro combattenti nella lotta armata risorgimentale. Occuparono poi, in virtù dell’eroismo, posizioni di alto prestigio e responsabilità nel governo nazionale (Benedetto combatté nella prima guerra di Indipendenza nelle file dei volontari pavesi (1848); poi partecipò ai moti mazziniani del 1853 a Milano dovendo fuggire in Svizzera; con i Mille fu da Marsala, a Palermo dove rimase ferito ad una gamba, fino a Napoli , dove poi il 17 nov.1878 fece scudo al re Umberto I col proprio corpo impedendo all’attentatore Passanante di pugnalare il sovrano, e rimanendo ferito ad una coscia. Divenuto Primo Ministro del regno nel 1878 e dal ’79-81. Morì nel 1889 unico sopravissuto alla madre).

   Adelaide Cairoli si spense a Pavia il 27 mar.1871, nella sua casa ove si era sposata .

   Nell’anno 1952 è stato pubblicato un suo ricco epistolario con i figli; in esso si scopre l’alto ed equivalente valore che ella dava alla famiglia ed alla patria.

Ode scritta da Garibaldi ad Adelaide

« Sei mesta tu! Perché sei mesta, o Donna,

sublime esempio delle madri? A Italia,

pascolo infausto delle arpie, il tuo

astro risplende qual brillante faro

al tempestato navigante. E forse

senza di te, credi che la speranza

santa d’esser redenta, a questa patria

darebber le livree, i corruttori

sacerdoti del ventre? La celeste

alza tua fronte, ed ai tuoi piè contempla

queste turbe ingannate! Esse dal tuo

labbro di miele e di virtude un cenno

speran del Vero, i farisei del tempio

e del seggio a travolger nella melma.

Quattro ti orbaron figli! Oh! Dio che figli

ti fregiavan Madonna E tu perduti

credi di averli? Dello schiavo il pianto

dunque non giunse al santuario santo

ove inchianata ti addolori? E quello

cambio non fu della materia? Quello

che morte chiama la volgar gentaglia?

Chi, se non lor sulla venduta serva

d’estranei servi torreggian, fregiati

dall’aureola del martirio, in fronte

della schiera di prodi, per cui rosse

son l’italiche zolle? Accovacciati

invan nel fango si ravvolgon lordi

questi nuovi giudei, urlando: «manna»!

Ma quando il nome dei Cairoli rombi

tra queste vili turbe, insofferenti

le vedrem di servaggio, e   in un travolti

impostori e tiranni.

                     A lungo schiave

regger non ponno le ingannate genti

su questa terra, ove s’innalza, sacro,

il mausoleo di Groppello e dove

inginocchiati – simulacro eterno

delle italiche glorie – impareranno

da te i venturi a non soffrir predoni».

BIBLIOGRAFIA

-Archivio Storico Comunale

-Archivio Storico Com. Toponom. scheda 685

-AA.VV.Annuario-guida archidiocesi-ed./94-pag.388---ed./02-pag.425

-DeLandolina GC– Sampierdarena -  Rinascenza.1922- pag. 34

-Enciclopedia Motta

-Enciclopedia Sonzogno 

-‘Genova’  Rivista del Comune  :  4/52.40

-Lamponi M.- Sampierdarena- Libro Più.2002. pag. 174

-Morabito.Costa-Universo della solidarietà-Priamari.1995-pg.476 (Rivarolo)

-Novella P:-Strade di Genova-Manoscr.Bibl.Berio.1900-30-pag. 16

-Pagano annuario/33-pag.245---ed/40-pag.224---ed./61-pag.112

-Pastorino.Vigliero-Dizionario delle strade di Genova-Tolozzi.1985-p.265

-Storia Illustrata – Mondadori - n° 165/1971-pag.12 foto


 

CAIROLI                                  via Benedetto Cairoli

 

 

Il nome fu proposto nel 1901 per la strada che attualmente è ‘via san Giovanni Bosco’; accettato dalla giunta municipale, rimase in atto o in sospeso fino al 1906 quando fu deciso trasferire la titolazione  al  fondatore  del  complesso  salesiano  (non ancora santo). 

Questa scelta - anche se mai scritto in nessuna relazione – forse avvenne perché don Bosco era  favorito; sia  in quanto già il tracciato era popolarmente chiamato “la strada dei preti”; ma  sia soprattutto dopo  un reciproco scambio di appezzamenti terrieri Comune-Salesiani,  utili ad entrambi: in particolare, lungo la strada ed al fine di poterla  allargare ad oltre otto metri,  fu ceduta una lunga striscia di terreno già giardino della villa Bianca divenuta salesiana; in cambio i sacerdoti ebbero la possibilità di inglobare un equivalente terreno costituito da una stradina che da via A.Saffi saliva verso est, ovvero verso Belvedere, ma tagliando a metà la loro proprietà.

Già questa titolazione appariva a Voltri ed a Prà.

 

BIBLIOGRAFIA

Archivio Storico Comunale. 

 


CALATAFIMI                                         via Calatafimi

 

 

   Non più a Sampierdarena, ma in zona  Castelletto.

   Corrisponde all’attuale via C.Orgero.

    Nell’anno 1900 fu proposto alla Giunta municipale questo nome, per il ”vicolo a notte di via Polcevera (via G.Tavani), detto Daste”.

   Nel Pagano/1908  (scritto: vico) compare al civ. 8,  l’officina di costruzione meccanica di precisione ed incisori di metallo, nonché fabbrica di viti a metallo e rubinetteria, di Clavenna Enrico e Genta. Ancora nel Pagano/1911 e 12 tel.4323,  ma dove Genta diventa Genco. Dal 1919 al 1925, c’è solo Clavenna Enrico al civ. 4  sempre come officina e  fabbrica di viti  e di bolloni torniti di ottone, tel. 41-130)

   Nel 1910 è descritto “vico, da via G.Tavani verso nord, a fianco della ferrovia” e già con civv. solo dispari,  fino all’11.

   Per il Novella la strada era ‘da via Umberto I’ (via W.Fillak) ma l’indicazione non appare esatta perché coesistendo nei suoi indici  già via  G.Tavani e via Varese,  era da esse che iniziava e concludeva   (confermato su Pagano/61).

   Il Pagano 1925 segnala in più al civ.10 la fabbrica di cordame di crine di Morando Vittoria

   Nel 1927 era ancora ‘vico’, e risulta fosse di 5° categoria.

   Per l’ufficio toponomastica, il percorso era delimitato: da via G.Tavani a via Bezzecca.

   Nel Pagano/1933 è sempre di 5ª categoria e viene delimitata da via G.Tavani e via Varese, con civici neri solo dispari fino all’11.

Compaiono  al n° 11 l’officina i Vignolo & Boccardo; al 16  una fabbrica di cordami di crine di Morando Vittoria, e non specificato dove, la fabbrica di acque gassate di Bacigalupo Tomaso

   Con decreto del podestà del   19 ago.1935 la titolazione venne soppressa e variata,  dedicandola al pittore.

 

DEDICATA   al ricordo dell’omonima  località di battaglia, vicino a Trapani  del 15 magg.1860. Sbarcati a Marsala, dopo Salemi ove Garibaldi assunse la dittatura in nome di Vittorio Emanuele II, i garibaldini  ebbero qui la prima grande battaglia e la prima vittoria.

 I Mille si scontrarono violentemente contro il doppio di soldati dell’esercito borbonico:  l’ 8° battaglione guidato dal generale Landi, è asseragliato sulla cima del colle, detto ‘del Pianto dei Romani’,  ove anche è il paese.  La disputa fu inizialmente assai incerta cercando di studiarsi reciprocamente ma contando i borbonici sul numero (famosa la frase di Garibaldi quando l’esito della battaglia sembrava volgere al peggio «qui si vince o si muore»).

 Solo alla sera, i borboni tentarono un attacco in massa; ma, progredendo ravvicinati, furono falcidiati dai Carabinieri e costretti alla fuga. Inseguendoli,  si raggiunse la vittoria finale dei garibaldini lanciati all’assalto con la baionetta  obbligando il nemico a continuare la fuga.

Così conquistata la città e con il morale alle stelle, si posero le basi per  consolidare il successo di tutta la campagna.

   Si coprirono di gloria i 43 Carabinieri genovesi - pressoché tutti sotto i trent’anni -  comandati da Antonio  Mosto, seguito da F.Bartolomeo Savi luogotenente, Antonio Burlando e Stefano Canzio sergenti, Stefano Cervetti e Giuseppe Sartorio caporali – tra essi, possessori di una carabina, anche un veneziano, quattro piemontesi, un palermitano e due lombardi - posti alla testa delle 8 compagnie dei Cacciatori delle Alpi.

Da quel giorno, scrive Abba, essere carabiniere fu titolo d’onore.

  182 furono i garibaldini feriti (10 carabinieri); 31 i morti (tra i quali 5 carabinieri:  l’avv.Luigi Sartorio (un  causidico che aveva lasciato udienze e tribunali, per seguire i garibaldini di Mosto e che fu il primo a cadere nella battaglia); Profumo, Fasce, Casaccia, Belleno Giuseppe (Vigliero dice Bellesio; facoltoso mercante, appartenente ai carabinieri genovesi. E quattro  i liguri della truppa:  Simone Schiaffino (25enne  camogliese che difese con la vita la bandiera donata dagli italiani di Valparaiso ed ora custodita per l’appunto a Camogli); Boggiano, Montaldo, Romanelli.

    Nei pressi della città, fu eretto un ossario, monumento a ricordo della battaglia.

   Abbastanza famosi nella anedottica risorgimentale, sia un raccontino di Abba, di quando giunse al paese accolto dal popolo festante;  e sia la poesia di ASNovaro.

BIBLIOGRAFIA

-Aimonetto L.-Il Risorgimento-Lattes 1958-pag. 182.188.

-Archivio Storico Comunale

-Archivio S. Com. Toponomastica . scheda 694  +

-DeLandolina GC – Sampierdarena- Rinascenza. 1922- pag. 34

-Enciclopedia Sonzogno

-Novella P.-Strade di Genova-Manoscritto bibl.Berio-1900-30-pag.17 

-Pagano/1908 – pag. 873-9---/33-pag.245

-Pastorino.Vigliero-Dizionario delle strade di Genova-Tolozzi.85-pag.269.

-Pescio A.-Giorni e figure-LEM.1923-pag217

-Pescio A.-I nomi delle strade di Genova-Forni.1986-pag.63


CAMBIASA                                    strada Cambiasa 

                                                       (o dei Cambiaggi, o Cambiaggia)

 

 

   Nella carta del Vinzoni 1757 appaiono due tracciati: uno di una strada diritta, la quale passava tra il torrente ed i terreni appartenenti ai Crosa (dalla Marina sino al ponte) ed ai Grondona (dalla strada provinciale sino a san Martino); e un secondo, di una strada fatta come a scalini (che poi sarà chianata ‘strada al Ponte di Cornigliano’).

   Fu nel 1770  che il doge G.B. Cambiaso volle lungo la riva del torrente ‘la strada del Polcevera’ detta poi ‘strada Cambiaggia’, per arrivare alle sue terre oltre Bolzaneto; pagando personalmente la cifra necessaria (oltre 5 milioni).

G.B. Cambiaso era nato nel 1711 da Giò Maria q.Giò.Batta e da Caterina Roncalli; ebbe un fratello Nicolò Maria –che avrà in discendenza5 figli - ed una sorella Antonia M.Teresa monaca;  coniugato con Tomasina Balbi; morì il 23 dicembre 1772). 

In pratica ricalca le attuali via Pacinotti, Spataro, Fillak.

Nella primavera del 1773, Giacomo Agostino Brusco (savonese, 1736-Genova1817 , ingegnere militare specializzato in progettazioni stradali: aveva già studiato in proprio, esponendolo in 36 tavole rilegate in volume in possesso alla biblioteca Berio;  un progetto di ‘rendere carrozzabile la strada tra Voltri e Savona’) venne incaricato di ‘levare il piano’ di  una strada che percorresse tutta la val Polcevera dalla marina fino a Campomorone; nell’impegno era compreso la costruzione di un molo di contenimento del torrente e della strada nel tratto tra Teglia e Rivarolo superiore (progetto che elaborò assieme all’arch. Gaetanpo Cantone, suo collaboratore anche in altre opere pubbliche).

Dalla relazione del 1821 si dedurrebbe che l’inizio della strada era su terreni di proprietà del Doge, ma non si capisce le parole ‘da tempo immemorabile’ quando dal 1770 sarebbero al massimo cinquant’anni.

In questa relazione, viene ufficialmente comunicato al Comune la richiesta di chiusura della strada che dal Ponte di Cornigliano conduce a san Martino, chiesta dai signori Cambiaggi, proprietari. Il Consiglio ribatte che ‘primieramente’ il Comune ha sempe avuto da tempo immemorabile,  in mezzo agli orti dei signori Cambiaggi, il libero passaggio, per trasferirsi alla parrocchia di san Martino,  e coll’andar del tempo detti signori per togliersi questa servitù fecero aprire, a loro spese e a comodo di questa Comunità, un’altra strada lungo un molo verso la ghiaia  della Polcevera in rimpiazzo della prima strada appropriatasi, e questo per comodo dei predetti, che si conservarono gli orti attigui a detta strada.  ---omissis—Il consiglio quindi chiede all’Intendente Generale di Genova che non si chiuda la strada”.

   La presa di possesso dei Savoia, dopo le migliorie apportate – considerato che arrivava a Torino - le fece cambiare nome in ‘strada Reale a Torino’

BIBLIOGRAFIA

-Quaini M. & Rossi L.-i cartografi in Liguria-Brigati.2007-pag.95

-Remedi A-Gazzettino Sampierdarenese-2/08-pag.19

-TuvoT-Memorie storiche di SanPierd’Arena-dattiloscr.inedito-pag.95

CAMIONALE                               piazzale della Camionale

 

                                              

TARGA : piazzale – della - Camionale                                       

   

                                               

QUARTIERE ANTICO: Coscia

 da MVinzoni, 1757. Ipotetica zona del piazzale, con in fucsia tracciato di via A.Cantore; gialla, villa Spinola

 

N°  IMMATRICOLAZIONE:   2738

  

da Pagano/1961                                           Da Google Earth.2007

                                                                     in rosso via A.Cantore; giallo via s.B.d.Fossato.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CODICE INFORMATICO DELLA STRADA - n°  :   10300

UNITÀ  URBANISTICA: 28 – s.BARTOLOMEO

CAP:  16149

PARROCCHIA:   s.Maria delle Grazie

STRUTTURA:    da via A.Cantore, all’ingresso dell’ autostrada Genova-Milano (inizialmente chiamata Genova-valle del Po).

   Nel 1975 furono erette alcune nuove costruzioni che ebbero i civv. 3, 6 e 7. Nella sistemazione numerica, venne assegnato il 4 e poi, nel 1990, anche l’1.

   È servito dall’acquedotto Nicolay

CIVICI

2007=neri   = da 1 a 7 (manca 5)

                       da 2 a 6

===Civ. 2  :  la sede della Direzione del 1° tronco dell’azienda Autostrade

                     area militare (della Polizia  di Stato-Autostrade).

STORIA:

Oggi si chiama A7, Milano - Genova.

Nacque nell’ambito sia di una necessità internazionale di aumentare le reti stradali  (nel 1931 era avvenuto a Monaco  il “VII congresso internazionale della Strada”, dove l’Azienda Autonoma Statale della Strada italiana , nella sua relazione vantava 20mila km di strade nazionali e la realizzazione, per primi in campo internazionale, di costruzione di una autostrada ideata dall’ing Puricelli nel tratto Milano-Laghi); sia dei  grossi giochi di interessi tra ministeri statali e finanziatori in cui erano di fronte la amministrazione ferroviaria (che vantava arrivare sempre in perfetto orario! ed essere vastamente rappresentata sul territorio ed a tariffe fissate dal governo; ma non offriva la capillarità del servizio); e sia di una fiorente e sempre più in sviluppo industria di autoveicoli, con la FIAT in prima linea (apparentemente sempre più competitiva delle ferrovie sia per la capillarità che per il prezzo specie da quando la scoperta del diesel  permise un notevole risparmio nell’uso del  combustibile). 

   Fu fatta la scelta a favore del trasporto su strada, concependo  l’idea di potenziare la rete stradale. Sino allora,  per la Liguria il traffico su autoveicoli a quei tempi  usufruiva solo, e con non poche difficoltà, della strada statale dei Giovi  iniziata da Napoleone  nel 1810 ed aperta al traffico nel 1821. È statistica dell’ anno ‘33, il passaggio giornaliero per il passo dei Giovi (posto a 472 m.slm.; a quei tempi con dislivelli del 9% , larghezza 6 m., curve con raggio 14 m., ma soprattutto con metà percorso praticamente all’interno di abitati), di   570 autocarri (367 con rimorchio), 582 autovetture e 90 motocicli  (nel ‘28 erano stati  rispettivamente 105 (42), 204 e 35).

   Era storia antica, aver già cercato dal febbraio 1900, e poi in altre occasioni attraverso le vie parlamentari, di aprire il cosiddetto “quarto varco” (dopo le due tratte ferroviarie e la strada dei Giovi), sempre naufragato per inerzia, per guerra, per problemi economici, impatto ambientale, usanze (soprattutto la ancora, vastamente in atto, trazione animale; al massimo l’esistenza della linea ferroviaria ma valida solo per le lunghe distanze). Così, negli anni ’20, l’ing. Puricelli Piero aveva studiato una specifica strada per veicoli (perciò battezzata ‘auto-camionale’).

Negli anni immediatamente a seguire, il regime aprirà altre autostrade (e non tutte completamente finanziate dallo Stato; ricordiamo la Milano-Laghi nel 1925, e la Milano-Bergamo nel 1927, e subito dopo la Milano-Torino, la Firenze-Viareggio, la Roma-Ostia,  la Napoli-Pompei tutte ad uso prevalente automobilistico.

     Sul SecoloXIX, Dossena precisa che il Duce aveva scritto il 10.2.32 al prefetto di Genova, esprimendo il suo parere - considerando che qualsiasi sua riflessione ‘doveva immancabilmente coincidere con quanto riflettevano gli italiani’ - (ma forse era vero la richiesta del contrario!), circa la opportunità di preferire una autostrada ad una direttissima ferroviaria; chiudendo la lettera con un ‘mi riferisca’. Alla lettera seguì la presentazione di una decina di progetti ed immediata la scelta.

   Così, col beneplacito di Mussolini si diede il via nel febb.1932 al progetto di una autocamionale da Genova a Serravalle, totalmente finanziato dallo Stato: 175milioni di lire, pari a 3,5 milioni/km (quando altre in pianura erano costate 1,1=Mi-Bg; e 2 la Napoli-Pompei (il duce Mussolini, aveva inizialmente voluto chiamare ‘autocamionabile’ l’autostrada Genova-Milano, per sottolineare il fine a cui era particolarmente destinata; il decreto di questi lavori dichiarati di pubblica utilità, firmato a san Rossore il 18 giugno 1932 (anno X), fu pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del regno il  4 luglio; ‘a spese dei Lavori Pubblici salvo contributi della città di Genova’. Per il progetto fu istituito uno speciale ufficio del Genio Civile, supportato dalle migliori forze intellettuali: era in moda la corrente culturale del futurismo, e la velocità acquisiva il ruolo determinante e tangibile della volontà di progredire in senso economico e sociale).

   Caratteristica innovativa fu che essa era la prima strada che attraversava gli appennini in gallerie, rompendo l’isolamento di Genova. Ma anche a livello internazionale, perché dovevano essere: 50 km di strada a carreggiata nei due sensi, senza  interruzioni con le arterie stradali comuni; in forma continua e col tracciato più breve compatibile col terreno; con uscita ed entrata presso alcuni paesi; spartitraffico continuo (solo in alcuni punti diritti, poteva esistere una terza corsia centrale unica per il sorpasso, ma per ambedue i sensi);  pendenza non superiore al 4%; curve con raggio non inferiore a 100 m.; larghezza 10 m di cui 9 pavimentati per tre piste di cui una centrale per il sorpasso; limiti di velocità idonei allo scorrere veloce dei veicoli; rettifili pari a 29km sui 50 in totale; massima altezza quota 413 slm; 11 gallerie (la più lunga era quella dei ‘Giovi’, in uso ancora attuale nell’andare verso Milano (progettata di 892m. fu allora chiamata ‘Littorio’; la seconda, di Campora, allora chiamata XXVIII ottobre, di 507m); oggi è di 902 m. di lunghezza e 9 di altezza; fu aperta a minore altezza (59m. essendo a quota 413m. slm) rispetto il passo omonimo della strada statale), 28 viadotti (il Montanesi è lungo 273m ed alto 46), 12 cavalcavia; 112 sottopassaggi compreso le rampe di accesso.

Tutto, oltreché funzionale, doveva essere anche bello ed esteticamente di rilievo, un’opera che doveva dare lustro al regime: l’ingresso delle gallerie, i muri bugnati con squadratura esagonale,decorazioni a suon di fasci littori realizzati in marmo verde di Pietralavezzara; le pietre venivano lavate prima di essere posizionate.   

.

   Storia. Il 21 apr.1932 (natale di Roma) il ministro dei LL.PP. e funzionari regionali studiarono i preliminari e appaltarono i  progetti diretti dall’ing. Giovanni Pini (compresi gli espropri dettati obbligatori per pubblica utilità; i capitolati d’appalto e bandire la gara); il 18 giugno venne la regia autorizzazione previo decreto n° 757; nel settembre viene approvato il progetto definitivo, e - con una rapidità senza precedenti -  il 6 ottobre si diede il via ai lavori, con un primo stanziamento di 110 milioni. 

Con epicentro a Busalla, furono reclutati 26.882 operai (scalpellini, muratori, carpentieri, minatori, genieri, ecc. ;  per le 550mila giornate lavorative necessarie, furono accasati in quindici diverse ‘cascine’; costavano 4,50 lire cadauno di vitto ‘sano ed abbondante’ più £ 1,42 all’ora per un manovale=a £.12,75 essendo la giornata lavorativa di nove ore; di essi 10500 genovesi, 3631 alessandrini, 2189 bellunesi, 784 udinesi, 1725 carraresi, 1533 bresciani, 2184 bergamaschi, 620 trevigiani, 240 vicentini, 197 lucchesi, 3279 da altre provenienze;  non utilizzati tutti assieme in continuità, ma a gruppi secondo i vari settori).   Il serpentone, fu diviso in 22 lotti, con un massimo d’insieme di 8264 uomini; e fu dato in  appalto a 28 imprese –delle quali 16 per i lavori stradali e 12 per illuminazioni ed impianti.  Furono usati 124.800 kg di dinamite. A fine, furono adottate come ‘case cantoniere’ cinque edifici, tinti del caratteristico ‘rosso pompeiano’ tanto caro all’ideologia dell’epoca.

I primi due cantieri, iniziarono nel secondo semestre del ‘32; furono  per il tratto da Busalla a Genova e da Pietrabissara a Serravalle, per poter spostare la mano d’opera man mano che la strada si completava.

Il tutto comportò un notevole beneficio economico e demografico per tutti i paesi del percorso. Fu vanto anche essere riusciti a traccialo, intrecciandosi ripetutamente con la ferrovia e la statale, attraversando aree abitate e torrenti. Fu chiamata “autocamionale Genova-Valle del Po” o “camionale dei Giovi”,  per l’indicazione ed indirizzo prevalente al traffico pesante  e di merci, tramite camion da trasporto a nafta, atti a fornire un più rapido smaltimento delle  derrate da e per l’entroterra lombardo-piemontese ove poter raggiungere mète sempre più capillari.

   Una migliorata funzione del porto in genere e l’apertura di nuovi accosti nel ponente, assunsero particolare rilievo nel decidere l’apertura del tracciato.

il primo tracciato,  nell’aprile del 1937

                      

  Piazzale.   Una volta deciso l’incremento del trasporto su gomma, nacque la necessità di organizzare aree e viabilità idonee a raccogliere e smistare le merci verso questo nuovo canale; e questa esigenza si sommò al progettato sbancamento del colle per aprire la comunicazione tra Genova ed il ponente : divenne unico interesse realizzare un vasto splateamento del colle (già iniziato nel 1927), ed aprire la strada ed il piazzale d’ingresso.

 

1933

 

 

Questo, all’inizio, si apriva solo verso nord al viadotto iniziato,  ed a mare con un tratto in discesa che lo collegava con via Milano, ed a cui fu dato il nome di via Carducci.  Vasto oltre 5 ettari (440x117 m),  fu inizialmente destinato agli uffici ed al parcheggio e servizi dei mezzi pesanti; per realizzarlo dovettero prima demolire le grandi caserme che coronavano il colle in quel tratto (che aveva anche il pregio di essere molto panoramico) e poi  eliminare  la naturale barriera del colle, che fu aggredita con una cava sia sul versante San Pier d’Arena che Genova dopo averle messe dapprima in comunicazione con una galleria di 196 m., poi scomparsa con la progressiva caduta del diaframma (ad occidente il colle era formato da schisti a contatto con calcari, mescolati, sconvolti e degradati nella zona di impatto orogenetico; e quindi di più facile scavo con gli escavator. Dall’altra parte la roccia era di calcari alberesi compatti, che richiesero l’uso di mine giganti, fino a 2300 kg di dinamite).

 

   La scarpata a monte e sovrastante il piazzale, nella parte del terreno schistoso, è alta 70m ed è sostenuta da uno spesso muro  di cemento armato lungo 150 m. a larghe maglie (l’8 maggio 2003 venne inaugurata dall’assessore comunale alle politiche culturali Bruno Gabrielli, una serie di pitture ‘acrobatiche’ dipinte tra le rocce nell’interno dei vari riquadri, opere di Mario Nebiolo, sponsorizzato dal Comune e dalla soc. Unimar. Questi, arrampicatosi sulla parete ed utilizzando  rilievi e scanalature naturali delle rocce dipinse figure umane nell’atto dell’arrampicata a significato di ascesa e desiderio di superamento dell’ingabbiatura di cemento. Nel 2010 le figure sono ancora intravisibili.

   L’abbattimento di 1.100mila mc di roccia in gran parte calcarea, fu usato  per riempire le acque del porto nascente,  utilizzando una apposita ferrovia a 2 binari soprapassante le strade Carducci e Milano, e sottopassante i binari delle linee ferroviarie normali;  di questi, solo 50mila mc. furono utilizzati per riempire ed allargare la parte ovest del piazzale, rivolta verso via san Bartolomeo.

   Fabbricati   Fu, allora, preventivato su disegno dell’ing. Calza Bini anche una stazione, lunga 60m e larga 11 m , adatta ad albergo (anche diurno, lavanderia,  servizi (bar, giornali, pronto soccorso, posta, rifornimento), 16 camere a due letti; nel 1950 era di quarta categoria e gestito da Gatti Maria), ristorante (che nel 1950 era gestito da Vasco Tabolini) e bar (nel 1950, gestito da di Nosco Alessio).   La spesa fu di 15 milioni e 400mila lire.

Nell’area del piazzale, ha sede il centro operativo della Polizia Stradale (Polstrada), con oltre 50  telecamere poste lungo il tragitto nei punti più significativi e delicati, capaci di ingrandire le immagini di guasti, code, incidenti (e rilevare se ci sono feriti: nei primi dieci mesi del  1997 ci furono 41 incidenti mortali e 1547 feriti),  fino allo zoom per il ghiaccio o oggetti perduti sull’asfalto.

Dal Piazzale al mare:  l’Elicoidale.  Fu demolita ampia parte della facciata a ponente del colle di san Benigno (a ragione quindi è limite di confine attuale) e fu innalzato dal CAP un ponte in cemento armato, in elicoidale, che scavalcasse in unica campata alta 13m e con  40m di luce la nuova via di Francia, e sui pilastri laterali la strada, su lesene di pietra rosa di Finalmarina, fu posto come ornamento un gruppo di tre fasci littori:  prosegue verso il mare con curvatura di 50m di raggio, a doppia rampa d’accesso-deflusso larghe 18m., utilizzando 5000 mq di  area di proprietà del Consorzio (2800 coperta e 2200 scoperta) a cui di dovette un attivo contributo in idee,  progetti e finanziamenti.

 

 

 

 

 

 

anno 1935

 

                             

anni 1938                                                    1950

 

La spesa fu di 10milioni di lire, circa di allora. 

   Scomparso san Benigno a tagliare il territorio da monte a mare, questa costruzione ebbe peso determinante nel ricreare uno stacco all’assetto della nostra città: ecco questo piccolo mostro contorto che nuovamente ripropone un rilievo, distaccato dal contesto cittadino, separante tutta la zona della Coscia: iniziò così quel processo mentale di ‘non appartenenza’, che poi in seguito si ritorcerà  permettendone lo spianamento  nell’indifferenza di tutti.

Nella carta allegata al Pagano1940 si rileva che da levante, l’accesso all’elicoidale non avveniva da via di Francia ma dall’attuale via Albertazzi.

Infatti nello stradario il piazzale è raggiungibile da via Milano tramite una apposita strada chiamata “strada accesso Camionale” cha andava “dal Porto (Passonuovo) al piazzale”

 Pagano 1940

   La parte a levante dell’elicoidale viene considerata il confine nuovo ideale tra Sampierdarena e Genova, corrispondente alla antica ‘facciata’ del colle di san Benigno. Dal 2000, si parla addirittura di abbatterlo col consenso del CAP proprietario dell’area, per aprire a nuove prospettive d’insediamento la zona dell’antica Coscia: i progetti ci sono, ma dal dire al fare…ci sono di mezzo gli euro. (vedi a Passo di Francia). Nel 2000 si parlava aprire nell’area il nuovo mercato del pesce: “lavori urgenti di adeguamento”...”decisa accelerazione”... “entro due anni”; e di nuovo tre anni dopo con lo stesso fine, è stato presentato nuovo progetto da realizzarsi entro il 2005, che prevede anche la eliminazione del ponte sopra via di Francia.

           

anno 2010 visioni dall’elicoidale: verso ovest                    e verso nord

 

Ma a fine  2004, è tutto fermo come prima, escluso le baracche interne all’elicoidale, centrali all’area, incluse come in un grosso anfiteatro in parte sfruttato nelle strutture sottostanti la strada; tutte, nel 2009 appaiono evacuate anche se restano però in piedi lo stesso.

Nell’anfiteatro, per terra, sono incluse delle rotaie rotonde a largo raggio, come se fossero per far girare qualche gigantsca gru, ma della quale non riusciamo a capirne dimensioni ed uso (vedi foto sotto,  a destra del piazzale) .

panoramica interno dell’elicoidale anno 2008

 

 

Dal Piazzale a monte, il tracciato della camionale scelse il fianco di ponente della valletta di san Bartolomeo: un posto chiamato comunemente “taerapin” dai sovrapposti ripiani a scala, molto favorevoli alle scampagnate domenicali o festivi (25 aprile, 1 maggio, Lunedi di Pasqua, ecc.).

  Il primo colpo di piccone  d’inizio lavori per la strada, fu dato senza alcuna cerimonia formale, anzi sotto forma prettamente simbolica: a ponente del rio e poco sopra l’abbazia, il mattino del 6 ottobre del 1932 (X dell’era fascista) ad opera del ministro Araldo di  Crollalanza si  iniziò lo scavo di un solco che diede il via ai lavori, divisi in vari lotti appaltati.

   Richiesero tre anni di lavoro, svolto da 30mila operai (dei quali ben 26 morirono in incidenti vari). L’assunzione di così elevato numero di maestranza, fornì al regime anche l’arma politica propagandistica dell’assorbimento della mano d’opera operaia, esclusa da altri settori dell’economia (l’Italia  possedeva allora ben 1.129mila disoccupati; una percentuale di analfabeti del 40% ; un calo del consumo annuo procapite di carne e di zucchero). Gli operai, distribuiti in 22  lotti  del tracciato, con mezzi meccanici molto rudimentali rispetto gli attuali (perforatrici, scavatrici, martelli pneumatici), costruirono la strada, compresi 11 gallerie e 30 ponti-viadotti.

Dovendomi recare giornalmente ad Alessandria ove svolgevo servizio militare, nel 1964 sino a  Serravalle, la strada non era stata ancora duplicata ed era ad unica corsia perm senso di marcia, una in salita ed una in discesa affiancate; ricordo lo sconcerto se, a livello di Bolzaneto avevo davanti un camion con rimorchio: era impossibile sorpassarlo fino oltre la galleria dei Giovi.

   Moderna è la barriera anti inquinamento sonoro, posta sulla rampa di accesso nel 1994, costata 3 miliardi e mezzo, costituita di pannelli fono assorbenti ed altri suppletivi  inclinati  od orizzontali, sempre con identico scopo.

    

anno 2008

Cerimonia di inaugurazione. Il percorso fu aperto al traffico il 28 ottobre 1935 praticamente in contemporanea  con via A.Cantore  (la data fu scelta appositamente per corrispondere all’ “alba del XIV anno dell’era fascista”: ognuno era impegnato a salutare l’evento. Così, frenetica fu l’attività per essere in tempo a tutta una serie di inaugurazioni nazionali; grandi come a Firenze ove si inaugurava la stazione ferroviaria di s.M.Novella ed a Roma la città universitaria; più piccole, a Pegli, il raddoppio del binario ferroviario per Voltaggio la passeggiata alle acque solfuree ed una nuova ringhiera di  ferro): ad inaugurarlo fu il re Vittorio Emanuele III, arrivato a Serravalle in treno da San Rossore. Partì da Serravalle Scrivia alle ore 8,45 su un’auto scoperta.  Con  tutto il corteo reale (il cerimoniere fu il conte di sant’Elia), ed i gerarchi fascisti, rappresentanti del contemporaneo governo (il ministro del LL.PP Cobolli Gigli e dal prefetto di Genova s.e.Albini): ad accoglierlo erano le massime autorità militari (il maresciallo Caviglia in alta uniforme comprendente il collare della SS.Annunziata e le insegne dell’ordine militare di Savoia; con i generali Fara, Montuori, Poggi, Bruzzo, Piva, Saibante, Porro, Ragazzoni, e l’ammiraglio Rizzo),  civili ( i senatori Reggio, Celesia, Moresco, Pozzo, Bonardi, Cattaneo della Volta, Cogliolo; nonché il primo presidente della Corte d’Appello Bindo Galli, il presidente del tribunale ed l procuratore del re),  politiche (il direttorio della federazione fascista al completo, il segretario del GUF dott.Catto, il centurione Carioti capo della segreteria politica, il comandante della milizia DICAT il console Raggio, ed il seniore Passalacqua quale vice segretario federale) e religiose (l’arcivescovo di Genova s.e. Carlo Dalmazio Minoretti, con  mons Sanguineti del capitolo metropolitano,  mons. Marchesani segretario e mons Incisa cerimoniere). Non mancavano i  consoli di  tutti i paesi rappresentati a Genova: Argentina,  Belgio, Brasile,  Cina,  Egitto, Francia, Germania, Grecia, Guatemala, Inghilterra, Lettonia, Norvegia,  Olanda,  Stati Uniti,  Svizzera, Uruguai.

   Arrivati alle 11,05 al suono di fanfara, ed al grido “viva il re”, al suono delle sirene delle navi e degli stabilimenti, delle campane e del vocio di migliaia di presenti,  Vittorio Emanuele III passò in rivista i fanti del 43° e salutò la bandiera; poi - in un silenzio profondo - da un palco  toccò un tasto elettrico che scoprì dal tricolore la lapide con i nomi dei 26 operai morti sul lavoro, benedetta poi dall’arcivescovo, alla quale  seguì  “l’appello”: l’on. Morigi, vice segretario del PNF, chiamò uno ad uno il nome dei caduti, e la folla all’unisono che rispondeva “presente!” (scolpita da Antonio Morera;  i morti furono 14 nel 1933, 7 nel 1934, 5 nel 1935; di tutta Italia:  Brescia, Como, Bergamo (i più tanti), Belluno, Rovigo, Treviso, Vicenza, Udine, Genova, La Spezia, Milano e Firenze. La lapide, posta su una stele marmorea  (leggi sotto) posta all’ingresso della ‘strada autocamionale’.

Si racconta (ma la prima foto sotto, smentisce questa successione dei fatti) che venne rimossa dopo l’ultima guerra nel corso di lavori di ristrutturazione della zona e rimase abbandonata tra i detriti in un angolo del cantiere; e che nel 1993 su iniziativa di un consigliere, fu promesso dalla società Autostrade la rimessa in atto del cippo con lapide. Questo però avvenne subito e, quando fu fatta, in gran silenzio fu posta alla base dello strapiombo, nel fondo del piazzale, fuori vista da tutti forse perché appare contornata dai fasci littorio ed inizia con la scritta “ i lavoratori ai camerati caduti sul lavoro” ed ultimata con la  scritta “presente”, ripetuta tre volte.

Nessuno ha mai segnalato l’elenco dei feriti e degli invalidati; si sa che chi  lavorò per i tre anni, ebbe la possibilità di  guadagnare 10 milioni all’anno dei quali la metà poteva essere inviata alla famiglia lontana).

                   

saluto al Duce; era già a ridosso del muro             anno 2008 ; solo spezzata la lama dei fasci

Seguì la visita all’edificio progettato dall’arch. on. Calza Bini,  tra l’applauso della folla stipata sul piazzale e sui tetti vicini.

Dopo un discorso di s.e. Cobolli Gigli « Sire, tre anni or sono il Duce ideava l’autocamionale Genova -Valle del Po. Tre anni fa iniziavano i lavori che dovevano rapidamente dotare la Grande Genova, ricca di glorie marinare e fervida di attività commerciali di una nuova arteria che la congiungesse ai principali centri del Piemonte e della lombardia. Nel clima dell’Italia fascista, oggi, gli esecutori hanno la gioia di aver collaborato ad un’opera che unisce al miracolo della rapidità quello della perfezione tecnica . Ed è con sentimento d’orgoglio e di profonda riconoscenza alla Maestà vostra che le maestranze ed i dirigenti hanno avuto la grande soddisfazione di salutare con vivo entusiasmo il Re di Vittorio Veneto sulla nuova via aperta al traffico. L’opera è degna dei tempi nuovi, di quelli di oggi e di quelli che verranno perché essa, come disse il Duce è di “stile romano”. Sia la moderna strada non solo anello indissolubile tra la Grande Genova e l’alta pianura padana, ma tramite per sempre maggiori traffici e più gloriose sorti per questa bella terra ligure che scrisse per l’Italia marinara pagine di gloria e di vittoria. Sire, i dirigenti, le maestranze, il popolo tutto oggi presente, saluta la Maestà Vostra con profondo sentimento di riconoscenza e devozione; Camerati, saluto al Re!»), il re si recò a scoprire la stele posta all’ingresso del piazzale (ancora era lì nel 1975, con la scritta Autostrada in verticale ma alla quale erano cadute delle lettere per cui rimaneva solo: S RAD.

 

anteguerra

    

anno 1950 circa                                                       anno 1976

 

Inizialmente alla stele era applicato il monumento eretto per commemorare i lavoratori morti incidentalmente nel lavoro; questa commemorazione fu moncata  spezzando la parte più alta e togliendo la lapide  perché significative di una mentalità sconfitta) e quindi, il re fu portato in auto verso il porto tramite l’elicoidale e poi al palazzo reale di via Balbi, sempre  attraverso due ali ininterrotte di folla applaudente e sventolante bandiere e fazzoletti.

Il giorno appresso avrebbe visitato ed inaugurato le nuove costruzioni in Genova (il palazzo della Questura con la copertura del torrente, corso Italia, le piscine d’Albaro, il padiglione sanatorio Maragliano a san Martino, la casa dello studente).  Attraverso corso Giulio Cesare (corso Gastaldi, aperto nel 1933), dalla stazione Brignole  rientrò a San Rossore, portandosi in omaggio un bronzo del san Giorgio, riproduzione in piccolo di quello presente della cripta del monumento ai Caduti, ed un album contenente disegni della pittrice Pina Villanis, che illustravano i punti più pittoreschi del percorso svolto (per tale opera, la pittrice fu l’unica donna ammessa ai vari cantieri dall’inizio dei lavori).

   Dal Ministero della Cultura Popolare, gli organi di informazione venivano opportunamente invitati a definire l’opera  come “... una geniale anticipazione della nostra potenza creatrice, degna dei figli dell’antica Roma !”.

   Mussolini era assente, ufficialmente sia perché molto occupato in quanto il 3 ottobre aveva dato il via  alla conquista dell’impero invadendo l’Etiopia  ed anche per cercare di difendersi dalle ventilate  “inique sanzioni”, decretate poi ufficialmente il 18 novembre dalla Società delle Nazioni, per l’aggressione. A voce, si mormorava che non gradiva apparire col re.

Il casello

   Il giorno dopo, aperta al traffico normale, la camionale costava come pedaggio anticipato, dalle 4 lire per le vetture, sino a 35 per i grossi veicoli con rimorchio. Tassa che certamente non permetteva coprire le ingenti spese fatte, ma potevano servire per la manutenzione.

Nel dopoguerra fu allargato a più riprese erodendo i fianchi della collina e proteggendo con muraglioni (rifatti) la faciltà di sfaldamento (è la stessa roccia del cimiero sovrastante, che continua a slittare).

 

anno 1977

 

   Conclusione dei lavori. Solo con il prolungamento sino a Milano e contemporaneo raddoppio della carreggiata, conclusi nel 1966, si chiamò “autostrada”. Fu data in gestione alla AA.SS (Azienda Autonoma Statale della Strada;  che poi diverrà ANAS) sino al 1962. Poi fu data in concessione alla Società Autostrade, con contratto fino all’anno  2018.  Oggi, è chiamata “A 7”.

Per il raddoppio  si dovette aspettare sino al 1962: iniziarono da Serravalle verso Milano; e tre anni dopo verso Genova, collegandola con la sopraelevata (1965) e la A10 tramite il ponte Morandi sul Polcevera (nato nel 1967).

 

arrivo a San Pier d’Arena anni 1990

 

   Per allacciarsi all’autostrada dei Fiori, caratteristico fu costruito il  viadotto sul Polcevera, iniziato il 1 lug.1961 ed inaugurato il 4 sett.1967 alla presenza del Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat.  Progettato come opera semplice ma stilisticamente e strutturalmente perfetta, tenendo conto dei forti venti e della difficile posizione orografica, dell’impatto ambientale, della ferrovia sottostante, dsu progetto dell’ing. arch. Riccardo Morandi, romano, autore in tutto il mondo di grosse realizzazioni ingegneristiche;  ha in Europa il primato nelle realizzazioni in cemento precompresso (secondo al mondo, dopo il ponte sulla laguna di Maracaibo in Venezuela, progettato dallo stesso ingegnere).  

 

1964                                                      inverno – dal Campasso

 

  

                                                                      1975

                             

 

Alto sino a 45 m. dal terreno sottostante (mentre i pilastri si ergono sino a 90 m.); lungo 1102m; largo 18m.,  a 4 carreggiate; ha tre campate diverse: di 207,88m (la più grande d’Europa), 202,5m, 142,65m.. Nel 1980 furono corrette le prime imperfezioni messe in rilievo dall’architetto progettatore stesso, e  fu riverniciato con apposite sostanze atte a proteggere la struttura dai vari insulti; tutto il ponte, compresi i tre enormi doppi tiranti in cemento detti tralli, corrosi dal salino e dall’usura, sono stati negli anni ‘93-7 soggetti a delicato lavoro di ripristino strutturale, coordinato dall’ing. Pisani.

Nel 2003 sono in piena bagarre innumerevoli flash personalizzati: la Soprintendenza presume ci siano i presupposti per dichiarare il ponte manumento nazionale; la Sociatà Autostrade ha classificato il ponte elemento il più pericoloso del paese (il cemento usato, che allora era dato per ‘eterno’, ha dimodstrato non reggere il peso del traffico moderno, con ‘malattie’ che lo rendono in perenne manutenzione; i pompieri giudicano assurdo non aver previsto la corsia di emergenza; il Comune pensa al sottostante territorio da sgomberare per innalzarne un altro cento metri più a nord; si inizia anche a parlare ufficialmente di “gronda”  che non interessa direttamente il ponte ma ne coinvolge la circolazione complicando gli interventi: l’Unione europea bacchetta per i soldi; la soc. Autostrade dovrà rifare le gare; rogne per tutti gli svincoli e snodi necessari; Mignanego rifiuta un viadotto; la nuova bretella autostradale da Voltri a s.Benigno, prevede (non più passare sotto il torrente)  la eliminazione dell’attuale viadotto a favore di un nuovo ponte, largo 43m., a sei corsie (più altre due per emergenze), posto da 50 a 150m più a nord dell’attuale,  demolizione di –da 2 a 5- palazzi, con la A10 divenuta tangenziale urbana; sulle ceneri del ponte e di altri 4 palazzi (in totale 6-8 case, per oltre 220 alloggi, con trasferimento in zona ‘vantaggiosa’ come valore di mercato), nascerebbero giardini e campi di pallone.

   Dal 2004 in poi diventa impossibile seguire i progetti, i controprogetti, le dichiarazione e le controdichiarazioni. Resta accertato che nel 2008 è ancora tutto come prima.

   Dopo attraversato il ponte procedendo verso levante, alla fine, e cento metri prima di immettersi nella Mi-Ge, c’è una curva a largo raggio ma pur sempre difficoltosa; allo scopo hanno posto un limite di velcità a 40 km/h.

Dalla stupidità di chi affronta questa curva (segnalata!) a cento all’ora, parallela stupidità di chi la pone a 40 che, se potrà essere giusta per i tir che andranno verso Busalla (curva più stretta), non lo è per le auto. È ovvio che chi segue questa assurda indicazione, si becca gli improperi di chi viene dietro: ligio, ma insultato; oppure giusto, ma multato.

 

 

BIBLIOGRAFIA

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-Gazzettino  S.   :   6/75.18  +  8/75.7  +  9/93.5  +  8/94.13 + 03.04.7 +

-Genova Rivista municipale :  5/32.474.493  +  7/32.663  +  10/32.989foto  +  11/32.1089   +   12/34.      +   11/35.677   +   9/37.71 foto e disegni   +  5/67.5 foto elicoidale

-Il Secolo XIX del 30.3.86 + 29.10.95 + 24.2.00pag.30 + 27.9.00 + 28.9.02 + 16.2.03 + 6.3.03foto + 26.5.03 + 8.5.03 +  18.9.03pag.22 + 19.11.03 + 22/7/05 -Jaja G.-Il porto di Genova-Anonima Romana.1936- pag328schema

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-Pero PA-Il fossato, la sua gente, le sue storie-SES.2005- pag59.

-Poleggi E. &C-Atlante di Genova-Marsilio.1995-tav.36.52

-Schiavi A.-la chiamavano ‘la camionale’- La Casana n.3/06-pag.38

-Stradario del Comune di Genova, edito 1953-pag.35
CAMIONALE                                strada Camionale

 

  È una strada che interessa vivamente il tessuto locale ma per tutta una serie di peculiarità non deve essere classificata come strada cittadina di libera percorrenza anche se le necessità di traffico lo augurerebbero.

   Questa dizione viene riportata solo su un unico ma autorevole testo stampato dal Comune di Genova; vi appare con n° di immatricolazione 2739,  e riguarda San Pier d’Arena, Rivarolo, Bolzaneto, e stranamente anche Pontedecimo (visto che questa delegazione non è coinvolta col tragitto); senza numeri civici.

  Esiste sul Pagano 1940 una “via Camionale” che inizia “dal piazzale omonimo” ma non dice dove va; forse, al casello

  Questa ‘strada’  non c’è sulla guida delle strade di Genova/ed.1950, e su Pagano/61; e, sulla guida/1950, neppure il piazzale.

  Si riparla di questa via dagli anni in cui si progettano raddoppi (del ponte sul Polcevera),  ‘bretelle’, nuovi valichi, ‘gronda’ alta, media e bassa.

  Il problema è grosso e la scelta è molto difficile. Tutte le proposte sono in fase di progetti su carta e quindi fatti e disfatti in mezzo a polemiche, insurrezioni popolari in vallate minacciate dal disastro cementizio.

  Contrariamente a quando fu decisa l’autocamionale e in pochi mesi ci fu l’avvio ai lavori, qui sono già passati oltre quattro anni e non esiste forse nemmeno più il finanziamento per fare qualcosa perché sicuramente andrà rifatto tutto, con prezzi lievitati.

  A pagare, sarà sempre la  Valpolcevera. A decidere ci sono enti con differenti competenze spesso contrastanti, interessi, mire, programmi politici (tipo i Verdi, ma anche i MM ai LLPP, legati ad una coalizione di governo ove si promuovono le finanze in questa o qualla direzione), l’ANAS, la soc. Autostrade, la Regione, la Provincia, Comune, società di costruzione (tipo COOP7, ecc), comitati, ecc.

 

 BIBLIOGRAFIA

-AA.VV-san Teodoro, un secolo in un sestiere-Tolozzi.1977-pag.147foto

-Il Secolo XIX del 28.9.02 + 26.1.03

-Stradario del Comune di Genova, edito 1953-pag.35-

-Pagano 1940-pag.225

-Poleggi E. &C-Atlante di Genova-Marsilio.1995-tav.10-11


 

CAMPASSO                                 a)  via vecchia del Campasso

                                                      b) strada del Campasso

                                                      c) via nuova del Campasso

                                                      d) parco ferroviario

                                                     e)  vico

                                                    

 Sono tutte dizioni che corrispondono a varie età e date, meglio descritte al nome: ‘via del Campasso’ . Comunque:

a) Il 29 maggio 1817, subito dopo la restaurazione, il nuovo ‘sindaco’ Antonio Mongiardino firmò un elenco di strade locali tra le quali compare scritto «la strada vecchia detta del Campasso: comincia dalla Strada Reale, (seguendo sempre il tracciato attuale di via Vicenza)  finisce al Borgo della Pietra, confina con il Comune di Rivarolo» ( in quel tempo Certosa era sotto giurisdizione di San Pier d’Arena).

Tuvo conferma questa dizione, copiata nel “quadro statistico territoriale della comunità di San Pier d’Arena, relativo al 1819 nel quale veniva giudicata “in condizioni mediocri“.

b) Tuvo cita la “strada del Campasso, lunga km. 1,300”  come strada considerata ‘vicinale’ del Comune, tale riconosciuta nel 1825 nell’”elenco delle strade comunali e vicinali,  sotto la giurisdizione della Amministrazione del borgo”.

Appare poi citata come ‘stradone del Campasso’ nel regio decreto del 22 magg.1857 che approvava con regio decreto i nomi scelti dal comune di San Pier d’Arena da dare ad alcune delle proprie strade più importanti.

Fu ufficialmente nominata  ‘strada del Campasso’, con delibera del consiglio comunale di San Pier d’Arena  del 17 giu.1867; con percorso da via Vittorio Emanuele (via W.Fillak) a via della Pietra. (ricordando che,  il primo tratto iniziava da strada Reale a Torino, poi Vittorio Emanele, poi Umberto I, poi delle Corporazioni, poi Walter Fillak  ma corrispondeva all’attuale via Vicenza.

c) Si desume che la “strada nuova” sia il tratto attualmente  iniziale dalla ex via Umberto I (oggi via W.Fillak), sino alla piazzetta prima del sottopasso ferroviario.

 

Nel Pagano 1908 risulta che al civ. 5-1 vi risiedeva la commissionaria-rappresentanza di Clavenna Attilio.

d) esso viene citato,  assieme alle strade cittadin, e solo da DeLandolina. Egli precisa:  «parco ferroviario... da un campo che prima delle nuove molte costruzioni v’era. In vernacolo ligure sarebbe propriamente l’ingrandimento della parola ‘orto’».

e)  Accanto alla strada del Campasso, tra le strade considerate ‘vicinali’ ma pur sempre giurisdizionalmente di competenza del borgo, Tuvo cita anche un ‘vico del Campasso, di m. 200’, che non sappiamo localizzare

BIBLIOGRAFIA

-Archivio Storico Comunale

-Archivio Storico Com. Toponomastica.scheda  

-DeLandolina GC.-Sampierdarena-Rinascenza.1922-pag.34

-Gazzettino Sampierdarenese : 7/93.4

-Pagano/1908 – pag. 872

-Tuvo T.-Memorie storiche di SanPierd’Arena-dattiloscr.inedito-pag. 107
CAMPASSO                                   via del Campasso

 

 

 

TARGHE:

via – del – Campasso

San Pier d’Arena – via – del - Campasso

    

angolo con via W.Fillak 

 

                                                                                      

angolo con campetto parrocchiale

 

     

muraglione a lato dell’ex- Mercato dei polli

                                   

QUARTIERE ANTICO: san Martino

  da MVinzoni 1757. In celeste via s.Martino; giallo via Pietra.

 

 

 

 

N° IMMATRICOLAZIONE:   2740   CATEGORIA:  2

  da Pagano/1961

 

 

 

 

 

 

UNITÁ URBANISTICA : 24 - CAMPASSO

CODICE INFORMATICO DELLA STRADA - n°:   10480

Da Google Earth 2007. Giallo via W.Fillak; rosso via Vicenza; celeste via Pietra; fucsia salita V.Bersezio.

 

CAP:  16151

PARROCCHIA:  dal  civ.1 al 5 + 2 e 4 = s.G.Bosco  --  dal 9 al 51 e dal 6 al 16 = s.Cuore del Campasso  --  24 e 26 = s.Bartolomeo della Certosa

STORIA:

il rione: ai tempi del Vinzoni, 1757, San Pier d’Arena finiva poco dopo l’abbazia di san Martino, e si saltava passando direttamente all’abbazia di Certosa. Nel 1800, e sino a cento anni fa, il Campasso era una vasta zona di forma rettangolare, avente i lati est-ovest segnati dalla cresta  del Belvedere-torrente Polcevera; i lati sud-nord delimitatidalle: salita Millelire -salita Bersezio con  la Pietra.

Rimaneva quindi compresa tra la zona Palmetta a sud (quest’ultima corrispondeva a  identica parte: dal Belvedere sino al torrente; da via Currò circa, a salita Millelire; con punto focale presso la abbazia parrocchiale quindi in san Martino), ed a nord la zona della Pietra (la quale occupava il territorio tra la salita Bersezio e via Brin,  confine con Rivarolo. Anche la Pietra, era sampierdarenese). 

Dal dizionario dei toponimi, si rileva che il nome, detto pure “o campassu” oppure “il campaccio”,  trae origine da un  “terreno usato solo per colture”,  ma non di prima qualità come nella fascia a mare, perché acquitrinoso stagnante e pantanoso soggetto alle esondazioni dei torrenti che scendono dal Belvedere e l’acqua stagnante nella piana, laterale al Polcevera. Quindi, evidente conseguenza sia con un sottosuolo che non assorbe l’acqua piovana, e sia quella dei torrenti quando straripano.

Mentre la parola ‘campo’ implica l’idea di un terreno pianeggiante e coltivato, il nostro vezzeggiativo è tendenzialmente - e non apparentemente - spregiativo: sta ad indicarne sia l’ampiezza ma soprattutto le qualità declassate. Da Miscosi veniamo a sapere che, oltre a SPd’Arena, un nome simile è a Sestri ed a Borzoli.

Chiaramente fa riferimento ai torrenti che scendono da Belvedere e che non essendo incanalati – escluso qualche tratto ad uso mulini - lasciavano la zona pianeggiante acquitrinosa, fangosa che si prolungava alle terre  altrettanto paludose più a nord laddove il Secca confluisce col Polcevera creando tutta una zona di difficile transito se in tempi piovviginosi.

Sappiamo che ancora sino a metà ed oltre dell’800, molte zone del genovesato erano soggette a malaria (già chiamata “febbre intermittente”, e curata col solfato di china) favorita dalle inondazioni secondarie a straripamenti per ogni piovasco; essi creavano un vasto ambiente malsano per acque putride  e stagnanti capaci di rovinare qualsiasi coltura di grano, vino, legumi, ecc. e di rendere sterile il terreno (valeva questo problema per numerose terre liguri: anche per l’ampia piana di Albenga prima di una bonifica; attorno a Savona con interventi anche del Magistrato di Sanità locale; per Cogoleto) contro le quali non bastava  l’apparente risanamento nei periodi di siccità, mancando allora l’acqua per l’irrigazione, essendo il terreno ripido.

    

esondazioni del torrente da Belvedere-via Pellegrini, prima dei lavori definitivi

 

STORIA Al confine, fu eretta nel 1200 l’abbazia-parrochia di san Martino: così isolata forse per nasconderla ai saraceni e pirati che infestavano la costa; però la chiesa pare mai abbia coagulato attorno a sé un centro abitato vero e proprio.

   Non è da poco rilevare che quando i nobili genovesi iniziarono nel 1500-1600 ad accaparrarsi terreni per costruirvi delle ville, nessuno andò a comperare oltre via Caveri, là dove erano prati brulli e vasti (ma per lunga parte dell’anno acquitrinosi, con più o meno grossi stagni, e senza strade ben strutturate su cui si affacciavano rare casette contornate dal proprio orto a vigneto e frutta (ricordando che quando non c’era la ferrovia,  era tutto aperto sino al Polcevera: qualche vecchio ha decritto l’asinello che, girando la novia*** attingeva l’acqua dai pozzi ancora all’inizio del 1900)); molto gradevoli ed idilliaci forse d’estate, ma  poco invitanti d’inverno quando il tutto era esposto alle bizzarrie della tramontana  che incanala lungo il torrente il vento gelido del nord; del Polcevera stesso  tutt’altro che tranquillo; nonché di quei torrentelli provenienti dal Belvedere capaci perfino di muovere le pale di qualche mulino (come quello nel Chiusone) e allagare la zona (come anche è successo qualche decina di anni fa prima del completo rifacimento dell’incanalamento dei torrenti e delle fognature) tutto si sommava alla scomodità, rispetto le zone più abitate vicino alla marina, alla minor vitalità  e giro di guadagni: le carte planimetriche di San Pier d’Arena del Vinzoni, della seconda metà del 1700, arrivate a descrivere la medievale pieve di san Martino, si fermano e non includono la zona del Campasso, seppur indicando che i terreni a nord appartenevano alla famiglia Cicala

  La vicina e primitiva abbazia  poteva forse creare conforto e privilegio di agglomerato, ma anch’essa già a fine del 1700 venne considerata eccessivamente decentrata rispetto al centro del borgo vissuto, di traffici, degli abitanti e dei viandanti (che però fin dai tempi romani non passavano dal Campasso, ma risalivano in alto  lungo salita Bersezio, o dal centro ma solo per andare nel ponente).

 

 carta fine-settecento: in rosso il vecchi tracciato con in verde le due chiese (san Gaetano e san Martino);  in orizzionatle il progetto del nuovo; a sinistra ‘Aree Cicala’ e ‘molino’

 

   In una carta anch’essa di fine del XVIII secolo, simile a quella stilata dal Brusco, i terreni appaiono in buona estensione di proprietà del un sig. Ponzio (nella zona a mare,  dal ponte ferroviario al fondo della discesa davanti la chiesa); e del principe Santangelo (verso nord, nello spazio tra la precdente e la Pietra. Gli Imperiale erano  “principi di sant’Angelo”). Questo, mentre l’abbazia era già bella e distrutta con la parrocchia trasportata alla Cella.

     Ai primi dell’ottocento (quando gli abitanti del borgo erano in tutto 5345); e dopo, nella prossimità di divenire città (quando allora gli abitanti erano divenuti 13.396), la zona era la meno popolata del borgo, con poche case lungo la strada (cinque o sei), forse qualche osteria-locanda, qualche orto; pressoché ancora abbandonata: genericamente un po' squallida e brulla campagna (anche se  l‘Anonimo’ del 1818 che in viaggio da Novi a Genova descrisse lungo la ‘strada della Polcevera’ dopo Certosa (ma probabilmente già in prossimità del borgo): “…Questa bella strada, l’unica che sia nelle vicinanze per Genova per il sensibile colpo d’occhio che procura e per la bella veduta delle dianzi enunziate colline e palagi di villeggiatura, che dai due lati del fiume vedonsi eretti, congiungersi a pié del ponte di Cornigliano alla strada di Ponente…”)  

         Fu  la nascente industria in espansione dopo il 1850, ricordiamo in zona - nei pressi dell’orto del sig. Emanuele Sasso -, l’ officina meccanica dell’ing. Thomas Robertson, che di più importante produce macchine idrauliche; e poco distante  una fonderia di Bardin & Ballard  (nonché i Wilson&MacLaren,  ed il cordificio) che riempirono la zona di operai provenienti da tutta Italia, quasi tutti analfabeti ed abbisognevoli di case e di misera sistemazione della famiglia, creando un misto di campagna e periferia, con le prime case popolari, dotate di numerazione irregolare (tra due civici - ad esempio 7 ed 8 - nascevano il 7a, 7b,...7e, ecc) ed erette senza un preciso piano regolatore; con alcune trattorie - di cui una divenuta famoso ristorante - ma soprattutto con osterie e relativi ubriachi, risse, grida; con depositi di merce mista,  eretti a fantasia ed a seconda della bisogna; modeste fabbriche artigianali e magazzini;  vissuta da bimbi (i più scalzi) a giocare nei terreni incolti o a rubacchiare la frutta  per sopravvivere.

   Ma pur sempre rimase zona ‘dimenticata’ dalla civica amministrazione, al punto che nel tardo 1800 si formò un comitato mirante a staccarsi da San Pier d’Arena per aggregarsi a Rivarolo; si presume – visto il niente di fatto - che la sortita riuscì forse a far ottenere dei miglioramenti nella viabilità (però non ancora risolti nel 2003, visto che nessun mezzo pubblico percorre la strada, mantenendo quell’atmosfera di ‘località distaccata’, un paese viciniore e  non appartenente alla città.

      Tale rimase, finché la ferrovia non attraversò quei prati e – poi, su progetto di quei Vincenzo Capello ed Enrico Porro ai quali la città ha dedicato una strada - si appropriò nel 1906 circa del grosso appezzamento per farne un parco treni. Questi  tagliò un largo fuso di terreno nel centro del rettangolo, perpendicolarmente al mare,  separando la zona a levante,  quella vissuta, tra il muraglione del parco  e le falde del colle, e che ha conservato l’antico nome di “rione del Campasso”; ed a ponente dei treni, ove ora  via Fillak e Porro sino al torrente ha lasciato una zona  che ora è un po' senza fisionomia toponomastica precisa, perché è sempre Campasso, ma nessuno più la riconosce tale.

in basso la zona del Campasso, vista da Belvedere, nel  1910 circa.ù

in basso a destra, presumo, la villa dei Ricca

 

Nel 1964 nacque il primo Comitato di quartiere, alle cui votazioni, con la partecipazione di oltre 550 persone, fu eletto Nacci Gabriele, seguito da Turbati Piero, e DeMartino Luigi.    Dal censimento 1997 si segnalano: una popolazione di 9029 residenti (contro i 9350 del 1991 = 3,4% in meno); 4134 famiglie con media di 2,18 componenti; una prevalenza delle femmine in percentuale di 100 contro 91,2 maschi ; 4985 nati nel comune, contro 336 nati fuori; età media 45 anni ( 937 ultra75enni);  3957 abitazioni; 2% di laureati, 17,2% diplomati, 9,2% senza titolo di studio, gli altri con licenza elementare o media .

   Nel 2005 la “massiccia invasione di extracomunitari” con differenti abitudini di vita a volta inconciliabili, la presenza di vandali, ladri, ubriachi, fracassoni e TD ha fatto promuovere la nascita di un nuovo Comitato di quartiere supportato da un Comitato Mamme. Per prima cosa, hanno promosso il ripristino dello spazio giochi, del campetto di calcio e dei giardini che salgono a via Baden Powell (ove era franato un muretto)

Attualmente la zona viene chiamata ‘Unità urbanistica Campasso’, che ha una superficie totale di 85,9 ha.; considerata tutta ‘centro abitato’. 

   Il parco ferroviario, detto anche ‘scalo ferroviario’ o ‘parco vagoni’ del Campasso, venne creato tra il 1900-7 da imprese salernitane ed amalfitane, nel programma di decongestionare il porto ed organizzare i treni per il trasporto delle merci verso il nord, distinto dalla circoilazione passeggeri (sino ad allora il traffico era  suddiviso e smaltito da Novi, nel parco di san Bovo).

    

La linea è lunga 2 km. circa; parte da 3 zone portuali, e mediante tre binari e gallerie, confluisce in 2 binari; attraversa la galleria dei Landi e percorre la valletta alle spalle di via Ardoino (terreni una volta di molti proprietari tra cui l’istituto don Bosco, ed a loro espropriati  “per causa di pubblica utilità” da parte dell’ Ispettorato Generale delle Strade Ferrate; la proprietà salesiana rimase tagliata in due parti, che furono dapprima riunite attraverso una passerella metallica poi quella a levante della ferrovia venduta dove ora sono le case di via P.Cristofoli: datato 8 giu.1907, l’area di circa 1000 mq aveva allora un valore riconosciuto di lire 22/mq).

    

foto anno 2008 da sopra il ponte

I convogli arrivano al parco (passando sopra via Campasso):  un’area sopraelevata,  lunga 1200m, larga 180m e capace di ospitare oltre 2000 vagoni, per poi ricongiungersi – strozzando il centro di Certosa - con le linee normali verso i Giovi.

Questa enorme struttura rialzata, costruita nei tempi in cui le ferrovie ed il porto erano in forte espansione (e quindi con caratteri prioritari di ‘ragion di stato’ rispetto anche il piano regolatore del 1879 – aggiornato nel 1887- che programmava tutto diverso per quella zona) condiziona tutta il territorio, tagliando la parte a monte (a cui è rimasto l’antico nome del Campasso), dalla zona a ponente fino al torrente, che cercò nell’industria e nelle case popolari di acquisire una autonoma denominazione senza però più ricongiungersi né riconoscersi nell’antico rione, né raggiungendone uno  nuovo proprio.

La strada =  sino a metà del 1700, la viabilità era dipendente dalle incostanti bizzarrie del tempo; preferibile quindi per chi arrivava dalla Bocchetta, by-passare la zona salendo dalla Pietra a Belvedere; se non addirittura provenire a mezza costa da Begato; o passare decisamente alti da Granarolo.

Fino al tardo 1700 il collegamento con Rivarolo attraverso il Campasso era appena appena un tracciato ad uso locale, poco idoneo anche per le rare carrozze che collegavano Genova con la Lombardia, ed a uso prevalente del commercio tra l’entroterra fino alla spiaggia (dove poi trovava vero sfogo per la città e la riviera). Solo allora nacquero i primi progetti, mirati a decongestionare il centro del borgo cercando di rettificare il tragitto dal Canto a Rivarolo (lungo una direttrice che da san Martino si sovrappone alla via W.Fillak).

Così divenne la via principale che dal nostro borgo arrivasse a Rivarolo.

    Per arrivare più comodamente in carrozza nei propri possedimenti dell’entroterra (in particolare a Cremeno), iniziò in quegli anni l’interesse del doge GB Cambiaso (19 lug.1711--23 dic.1772- discendente di ricca famiglia veronese ascritta  alla nobiltà genovese dal 1731, molto colto, commerciante, finanziatore, protettore del Banco di San Giorgio, doge dal 16 apr.1771. Ancora vivente gli fu eretta una statua nel palazzo Ducale, distrutta poi durante il periodo giacobino). Il 3 gennaio 1772 dichiarò pubblica impresa l’apertura di una strada che avrebbe unito Genova al colle della Bocchetta per Gavi eNovi: tracciandola opportunamente più vicino alle falde del colle piuttosto che nel centro della piana allacciandosi alla strada  che, di provenienza dalla Porta della Lanterna portava all’abbazia. Su alcuni testi si scrive che iniziò a partire dalla zona della Pietra  (si presuppone che in contemporanea abbia fatto migliorare anche la strada che dal borgo arrivava al Campasso, e da esso (la somma delle attuali via Vicenza-via Campasso) alla Pietra; ma nessune parla di questo tratto intermedio).

   Iniziati i lavori l’anno dopo, in tre anni l’impresa fu conclusa sino a Campomorone dove fu allacciata alla vecchia strada per la Bocchetta. ed    Per non incidere sulle casse della Repubblica, i lavori furono finanziati a proprie personali spese (5 milioni circa). Quindi prima di quella data non esisteva una strada che attraversasse  idoneamente il rione e la viabilità era limitata a mulattiere e tracciamenti come possiamo vedere ancor oggi nelle zone di campagna.

   Nel 1818, l’Anonimo descrittore di un viaggio, citato sopra, scrive anche:  «…comincia l’altro grande stradone  alberato sempre lungo la ripa del fiume  il quale protratto negli ultimi anni addita da quel punto l’orizzonte del mare per sua ultima meta».

  È riconosciuta ufficialmente nel regio decreto del 1857, quale “ stradone del Campasso”; in quell’epoca si staccava da via Vittorio Emanuele (via W.Fillak) come oggi, ma non nel punto attuale: essendo un tutt’uno con l’attuale via Vicenza, iniziava nel punto dove ora inizia quest’ultima (e dove c’era ‘l’osteria del Gay’ che faceva da punto di riferimento ufficiale; anche se per comodità e per conoscenza popolare veniva chiamata ‘la via della Gina’, dalla trattoria omonima ).

  Per il Comune, poco prima dell’anno 1900, era ‘via Campasso’.

  All’inizio del 1900 fu aperto il nuovo e largo sbocco  in via Umberto I,  quale è ora;  a questo tratto - fino al sottopasso ferroviario - fu dapprima dato il nome di “ via Nuova del Campasso”.

    Subito dopo, su proposta fatta alla giunta comunale a fine dell’anno 1900 da parte un Commissario straordinario appositamente nominato, nel 1901 divenne “via Giordano Bruno “, riunendo sotto il nome del frate la via ‘nuova’ (da via UmbertoI al sottopasso) con quella ‘vecchia’ (dal sottopasso al mattatoio fino alla salita Pietra); e nominando diversamente ( via Vicenza) il tratto dal sottopasso al vecchio sbocco nella strada principale).

   Quest’ultimo nome rimase praticamente sino all’unione di San Pier d’Arena nella Grande Genova avvenuta ‘per decisione superiore’ con decreto del 14 gen.1926; da allora, per evitare doppioni, la periferia dovette cedere i nomi doppi al centro; ma nell’elenco delle strade comunali pubblicato dal podestà del 1927 la titolazione è ancora invariata.

   Fu appunto per altro decreto del podestà, del 19 ago.1935, che  si preferì tornare al vecchio nome semplificato, l’attuale.

      I TIR : Un lungo terribile ventennio, tra il 1970-90, ricorda questi enormi bestioni. Dove in via Spaventa era una antica fabbrica di ghiaccio, l’edificio venne trasformato in deposito frigorifero per derrate alimentari provenienti dai paesi scandinavi; l’unica via di accesso  a questo deposito era questa del Campasso, con percorrenza giornaliera di grossi camion con rimorchio che, per la ristrettezza del passaggio , per anni crearono non poche difficoltà al traffico, sia nella linea di percorso ma soprattutto nei punti in curva e le macchine in sosta. L’unica novità applicata per favorire lo scorrimento dei mastodontici veicoli, fu la demolizione di un ponte che era stato gettato tra il mercato dei polli e la ferrovia. Nel nov.89 un’ordinanza del sindaco Campart ne aveva sospeso il passaggio; ma un ricorso al Tar la annullò ripristinando il passaggio dopo pochi mesi; questo fino al trasferimento in altra zona del deposito stesso. E’ comunque rimasto un tragitto  tormentoso, anche ora che essi non passano più . 

 

STRUTTURA:   nel primo tratto, da via W.Fillak (da cui inizia) sino all’ex mercato dei polli, è difficoltoso doppio senso viario; poi al momento in cui la strada passa davanti al mercato stesso la viabilità diventa senso unico: A) per proseguire verso Rivarolo occorre passare per via Pellegrini, via Spaventa, rientrare in via Campasso, percorrere la lunga strettoia affiancata alla ferrovia, sino all’incrocio con salita Bersezio. 

B) da Rivarolo l’imbocco della strada è vietato (occorre fare il giro da via Fillak). In questa direzione è senso unico viario, il tratto dall’inizio della strettoia al mercato.

Attualmente appartiene a Sampierdarena sino ai civ. 51a e 16;  a Rivarolo dopo il 53 e dopo il 24 (da dopo la strettoia).

Sotto la bitumatura, appaiono spesso i masselli di pietra che costituirono il primo selciato stradale.

La strada è servita da pochi negozi concentrati nella zona centrale e che nel tempo hanno innumerevoli volte cambiato proprietari ed uso: da molte rivendite di vino, oggi vediamo solo due bar, un panificio, elettrauto, tabacchino, giornalaio, un vetraio.

È servita sia dall’acquedotto Nicolay che il DeFerrari Galliera

CIVICI

Nel 2007=NERI= dispari dal 1 al 51a (compreso 29a)

                              pari dal 2 al 16 (compresi 6a-6b-14a)

                 ROSSI=dispari dal 1 al 147 (compresi 15a-127c-127d-127n-

                                                               mancano 73-77-79-87-89

                              pari dal 2 al 58 (compresi 16a.16b-18a.18b-54a-                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                        

                                                                        58d.58e.58g.58n.58p

   Verso la fine del secolo XIX, a cavallo tra 1800 e 1900  vi avevano casa di proprietà : al civ. 1 , la marchesa Passalacqua ved.Negrotto Cambiaso ; al 4 , Rocca Luigi; al 3a , Ballestrero e C ; 5 e 7 , Tuo (eredi e Luigi) ; 6 e 7 , marchese Catterina ; 8, Venzano GB ; 9, Rapallino eredi ; 9a, Demarchi eredi ; 10 e 18 , marchese Piuma ; 10a , fornace e fabbrica mattoni Carosio (nel 1912 è descritta dei f.lli L.A.)  ; 11, Sciallero e Carbone ; 12 , Venturini Giovanni ; 13 e 14 , Ricca Tomaso;  14a , cancello di villa Sibilla; 15 e 16, Figari GB;  17 e 19 Degola  Matilde.    

(tre marchesi, con altrettante ville!)

      Nel Pagano/1902 si descrivono le attività commerciali di : Dellepiane Agostino con deposito di birra e fabbrica di acque gassose;---i f.lli Carosio L.A. hanno una fornace di mattoni (a vapore);---

    Nel Pagano/1908’ e /1912°  risultano operanti nella via la fabbrica a vapore di mattoni e laterizi vari dei f.lli Carosio L.A.’° (vedi 1900 al 10a); e la commissionaria di Clavella Attilio’ al civ.5-1 (nel 1912 trasferita in via Varese).

    Il Pagano/40  delimita la strada tra via della Corporazioni e via della Pietra; vi descrive oltre al civ. 2 il macello civico, 4 vinai, 8 commestibili, 4 fruttivendoli ed altrettanti parrucchieri, tre latterie ed eguali carbonai, un bar, una trattoria, merceria, macellaio, tabacchino ecc. Di industrie la SAIF (soc.an.ind.frigorig.); due di lubrificanti: la Clingoil e la Galtesax Oil Company; la Aracne al civ.37 industria delle calze; la CAICCEA industria delle carni. 

    Nel dopoguerra,

-il Pagano/1950 segnala la presenza di due bar : al 7r di Cavo M.; al 32Ar di Verrua F.;

-furono costruiti nuovi i civ.37a, 47, 47a. 49 (’49), 12 e 37 (’51) , il 28 ed il 51 (’52), il 41 ed il 16 (’53), il 14 (’56), 14a (’57), 6a e 29a (’61), 24a (’69).

demoliti invece i civv. dal 12 al 20 + 37 e 41(nov.1949), il 41 (1951, sinistrato),  il 47 e 47a (1961), il 37a (2000); 

variati il 51a e 26a (nuove aperture), il 26a (soppresso nel ‘70) ed il 6b (acquisito da un civ.rosso, nel ’72).

 

   Percorrendo la strada attuale da via Fillak, nel palazzo di destra ove è il civ.1, eretto alla fine del 1800 ed i  cui fondi furono inizialmente adibiti a stalle, si vede nell’angolo smusso una grossa (m.1x070) immagine di san Martino, nell’atto classico di tagliare il mantello. Quando fu necessario ristrutturare il palazzo nei primi anni dopo il 1990, l’immagine fu rimossa e se non si interessava la popolazione alla fine dei lavori, probabilmente sarebbe andata... perduta; invece il Gazzettino ed il circolo Nicolò Barabino si fecero portavoce per ricuperarla, malgrado sia definita artisticamente modesta e di scarso valore. Non è scritto se il Circolo ha provveduto a far rifare l’immagine o se quella antica è stata oggetto di restauro: la si intravede ben incorniciata, anche se troppo in alto per gli sguardi fuggenti della popolazione frettolosa.

 

 

   Nell’angolo opposto,  a sinistra, una lapide ricorda il fatto che un gruppo di partigiani - tra cui il diciottenne Edoardo Malacchina - residente a Pegli, comandante di un distaccamento partigiano - il 18 apr.1945 (pochi giorni prima della Liberazione), transitando in tram per via delle Corporazioni (via W.Fillak) con altri compagni, vide due soldati dell’esercito tedesco entrare nell’osteria Beccaria, in via Campasso 4r.; decisero di sorprenderli e provocarli, come si voleva al fine e con l’intento di destabilizzare e rendere insicuri sia i poliziotti che gli arroganti occupanti tedeschi;  per cui scesero ed entrarono nella fiaschetteria intimando la resa: ma ci fu reazione, e nel conflitto il partigiano, a cui si era inceppata l’arma, rimase gravemente ferito: morì in ospedale. Per la sua temerarietà ed atto giudicato eroico seppur compiuto pochi giorni prima della definitiva resa dei soldati tedeschi, avvenuta sette giorni dopo,  fu riconosciuto medaglia di bronzo al V.M.. Una relazione del commissariato di PS della Repubblica di Salò, confermò che rimasero feriti anche un compagno del Malachina - Ferrando Giuseppe - ed il sottufficiale tedesco (maresciallo Hepsadam, colpito al fegato e ad una mano e ricoverato tramite la Croce d’Oro, all’ospedale con prognosi riservata).  

   Prima del ponte ferroviario, in uno slargo della via, c’è  a destra una cappellina dedicata alla Madonna, eretta - come dice la targa - nell’anno mariano del 1954 dai fedeli del Campasso (anche se essa è in territorio di competenza della parrocchia di don Bosco), e restaurata nel 1994. Vi era ospitata una statua della Madonna, antica pare perché proveniente dal distrutto Oratorio di san Martino: è stata trafugata nei primi mesi dell’anno 2000, da ignoti; rapidamente sostituita l’immagine, rimane la rabbia del furto non certo realizzato per fervore religioso ma per volgare lucro di arte antica.  Nel 2005 i Carabinieri arrestarono Marco Ottaggio ricettatore di statue rubate (in casa aveva duecento Madonne, dal XVI secolo in poi, e trecento tele) ma non sappiamo se tra esse c’era la nostra.

 

anno 2008

 

===civ.14r :   di fronte, a sinistra, era l’ingresso dell’ antica trattoria della Gina del Campasso (“Ginn-a  do Campasso”). Sfrattata dalle ferrovie da un locale vicino più antico ed adibito a osteria-cucina casalinga, la Gina (al secolo Caterina Marchese (leggi sotto per la famiglia) già vicina ai settanta, piccoletta tarchiata e robusta, accanita e fortunata giocatrice al lotto) si trasferì  nel 1860 in quei locali, chiamandoli “Trattoria della Gina, (Campasso)”.

  

La ‘reclame’ all’inizio la poneva  - ed ancora nel 1902 - in “via Vittorio Emanuele, loc. S.Martino”; poi in  via Giordano Bruno al 14 e 16 rosso, ricreando  dapprima una trattoria di campagna, facendola  divenire poi via via un ristorante di lusso, un obbligo da visitare: le mense coperte da fini tovaglie ed allietate da fiori e porcellane decorate, ma soprattutto con la fama di  dove si “mangia bene” e si beve del vero Coronata. Le sue specialità erano: antipasti tradizionali; ravioli, lasagne o trenette al pesto; fritto misto (piatto forte del locale, con cervella, carne -di vitello o manzo-, laccetti e filoni, verdure dai cavolfiori ai carciofi, zucchini o melanzane, e latte brusco) o lo stocche in tutti i modi compreso coi bacilli, accompagnati dalla scorsonæa, dai cuculi e crocchin.

Tale lista delle vivande, era nota ‘urbi et orbi’: non solo ai sampierdarenesi, ma a tanti ‘foresti’ (piemontesi toscani e lombardi, perfino cinesi); a  gente famosa come il sindaco Mario  Bettinotti (sindaco di San Pier d’Arena nel 1919 che dalla Gina teneva spesso discorso, agli ospiti del Comune); Lorenzo  Stecchetti (direttore della biblioteca Universitaria); G.D’Annunzio (questi nel 1914 la definì ‘badessa intingola’, titolo aulico, per lei di difficile interpretazione e inizialmente genericamente non gradito... la parola intingolo fu mal interpretata); i congressisti provenienti dalla inconcludente ‘Conferenza della Pace’ (con Trotsky, il più illustre frequentatore); i dirigenti dell’Ansaldo e loro ospiti (tra cui viene ricordato il dr. Federico Giolitti figlio del ministro).  La fama era veramente planetaria : dopo una visita al porto o ai caruggi ed alla cattedrale, per riempirsi lo stomaco a Genova non c’era alternativa: San Pier d’Arena era la patria dell’arte culinaria  (nel 1920, vi esistevano 27 tra ristoranti e trattorie, dei quali una diecina ‘storici’); una tradizionale mèta  di gitanti buongustai (valeva ben mezz’ora di tram da Caricamento!). Marinai appena sbarcati,  cerimonie religiose (comunioni, cresime e matrimoni), frequentatori sportivi della vicina piazza d’Armi  (detti ‘footballers’), i soci delle società di mutuo soccorso, i portatori di Cristi prima della pomeridiana spirituale fatica in processione,  le famigliole in gita o alla spiaggia.  Il nipote Luigi, era il sommeiller dei vini (faceva visitare la cantina  solo agli amici che la descrivevano ’linda e pulita e senza una ragnatela, lucida e brillante, ove erano scaffali ripieni di bottiglie’. Non certo la Gina, ma la trattoria pare sopravvisse sino a dopo l’ultima guerra.

 Due aneddoti ricordano: il pappagallo ammaestrato che vicino all’uscita con divertimento generale avvertiva ‘gh’è gente’ se qualcuno entrava, e chiedeva  per chi usciva:”han pagou?”; mentre per gli invidiosi era sulla bocca uno stornello che suonava “la Gina del Campasso,  con la sue raviolate, fa i soldi a cappellate”.

 

   Vicino, ormai da immemore tempo cancellate e non localizzabili, prima del 1896, c’erano l’osteria “la Primavera” ed  una pista da ballo all’aperto chiamata “Mondo nuovo”, dove la moderna gioventù si ‘bruciava’ in nuovi balli scandalosi, al suono di un organetto; questo divertimento determinò i ‘mugugni’ dei benpensanti per cui fu giocoforza la relativa chiusura da parte della questura; il tavolato della pista del ‘Mondo nuovo’, fu poi mandata a fuoco da sconosciuti teppisti.

===15A : nel 1950 vi aveva sede la ‘Edizioni Musicali’ Vigevani Carlo.

===civ.18r attuale numero - dove era prima la trattoria - occupata a lungo negli anni fine 1900 dall’azienda autotrasporti Cardonetti.

I locali sono  stati più recentemente usati da una organizzazione degli immigrati latino-americani (equadoriani in maggior parte) ma furono chiusi d’autorità negli anni 2009, causa eccessi (ubriachi, chiasso notturno, vetri di bottiglie rotte, ecc.). Nel 2010 apare chiuso.

 

   Il ponte, serve a far passare, sopra, la ferrovia che – proveniente dal porto e passante sotto la galleria dei Landi - conduce al parco del Campasso.

   Sotto il ponte ferroviario, un’altra lapide ricorda il 15 genn.1945, quando nel posto furono  fucilati due partigiani, operai dell’Ansaldo, il diciannovenne Giuseppe Spataro (vedi) ed il quarantaduenne Ernesto Jursé (vedi). Questi, catturati alcuni giorni prima e tenuti nella ex sede dell’Universale (il Secolo scrive ‘da Marassi’; ma ritengo difficile che provenissero da là, che era in mano ai tedeschi, i quali non li avrebbero certo lasciati a facinorosi generici italiani ancorché delle brigate nere, che invece la facevano da padroni in periferia. Tanti prigionieri, prima di essere trasferiti a Marassi, ‘soggiornavano’ nelle sedi locali) dopo essere stati picchiati a sangue, furono condotti sotto l’archivolto ed lì uccisi nella notte (col messaggio simbolico -non ben spiegato neppure da chi visse quei giorni, anche se ripetuto più volte, del panino ed una mela in tasca;  si presume, per farli parlare dopo averli allettati con del cibo e con l’idea di un trasferimento in un campo di concentramento. Musitelli spiega che nella seconda metà di gennaio 45 anche a Genova dal IV settore di Marassi, le B.Nere prendevano i prigionieri raccontando libertà e fornendoli di un sacchetto con panino e mela: la colazione del mattino; caricati sui camion di notte, venivano scesi ogni tanto e li fucilavano lascandoli a terra come monito).

Il posto fu appositamente scelto per dare un monito a tutto il quartiere sempre particolarmente  ribelle alle direttive del partito nero.

Nel gennaio 2003, poco prima della cerimonia di commemorazione (promossa dall’Anpi “Martiri del Turchino” e dall’Arci “Giuseppe Spataro”) la lapide ed il muro attorno furono imbrattati da uno spay nero con scritta (“S(ilvio).Parodi” nome di una brigata nera, assunto da un gerarca della Repubblica di Salò) e simboli di svastiche (episodi simili erano avvenuti due mesi prima alla Benedicta ed a RivaTrigoso; qui a San Pier d’Arena, dieci mesi prima alla lapide di piazza Masnata, con ovvio interessamento della Digos. (è legalmente proibita l’apologia del fascismo).

   Partito socialista italiano di unità popolare

dipinta sul palazzo dei turaccioli (leggi dopo) è l’unico residuo di una mentalità politica accesa e convinta degli abitanti del Campasso, orientata compatta a sinistra anche nei tempi del fascismo. E  motivo per la fucilazione dei due partigiani, i cui corpi poi lasciati in zona, a inutile minaccia.

Dopo il ponte, un lungo muraglione innalza di oltre un piano le già erte scale delle case popolari, costruitevi  alla fine del secolo 1800. 

A monte di esse, doveva passare a scendere la strada della Quota 40, ma non se ne fece nulla forse per mancanza di fondi o per non ingorgare ulteriormente la zona,  che prima di sfociare a Rivarolo, era già densamente abitata e la strada era divenuta uno ‘stretto budello’.

===civ. 8  dopo la galleria ed un muraglione che sostiene una casa delle ferrovie, con questo civico anizia la parte abiata a ponente della via. Il cornicione contiene la base di una insegna o di uno scritto fascista.

 

=== un forno fa tornare alla memoria  un fattaccio locale: l’uccisione da parte di un fornaio nella strada – non specificato dov - di un giovane orfano al fine di carpirgli un biglietto, vincente una quartina al lotto; l’omicidio fu scoperto e punito: ed è  da allora che una leggenda sui campassini tramanda che essi, forti giocatori,  non riferiscono mai ed a nessuno le loro vicende di gioco.

===civ.14 : sullo stipite marmoreo, sta inciso “casa Venzano”; un GB abbiamo visto risiedere al civ.8 nell’anno 1900; conosciamo un omonimo cognome titolare di una trattoria negli anni 1919-25 nella strada (allora via G.Bruno al civ. 28; quando  a fianco, al civ.30, c’era anche quella ‘del Lillo’).

 

===civ.20: si chiamava ‘casa Durante’ e vi abitò da prima del febb.1905 ad oltre il 1908 il pittore G.B.Derchi (che morì nel febbraio 1912 (vedi)).Doveva a questa altezza, partire una strada che portava ad orti posti dietro le case -compreso l’attuale civico 14-; cosicché il portone è posizionato non sulla strada principale ma in una rientranza.

===civ.25 :  sul muro del palazzo posto di fronte al portone, c’è una targhetta in marmo che segnala “Zona Militare, m. 250”.La targhetta risale alla guerra 15-18 quando i forti erano zona militare e  pertanto, dopo breve tratto, era zona invalicabile e delimitata da filo spinato; per raggiungerli ovviamente  era necessario l’uso dei muli; e questa rientranza pare fosse l’inizio di una mulattiera che arrivava ai forti soprastanti. Tale targhetta la ritroviamo sulla casa della Nora Torre (in via Pellegrini, 1) e sparsa per la città, come in via alla Porta degli Angeli. 

 

===civ.33  :    dopo il palazzo, in posizione arretrata nel declivio del colle, negli anni 1940  di inizio guerra, fu aperta una galleria, ben visibile per l’impostazione esterna in cemento, che doveva arrivare ai Landi, da usare come rifugio nei bombardamenti. Rimase incompiuta dopo 200 metri di profondità, ed in pratica non fu mai usata. Venne utilizzata come deposito di legname; ma questo, nel 1982 andò a fuoco facendo scoprire potenziale pericolosità per chi si fosse avventurato in profondità, per cui fu chiusa.

 

la galleria, prima del campetto

 

Segue uno dei tre  caseggiati ad uso abitativo, che il libro “un’idea di città” a pag.141 segnala per la  presenza di decorazioni esterne con caratteristiche liberty (ne cita tre, ma non precisa a quali numeri civici corrispondono (uno di essi presumibilmente è il civ. 39); sappiamo che uno fu eretto nel 1906 (proprietà ed architetto , Adriano Cuneo), uno nel 1910 (è il civ. 35: proprietà Cazzullo; architetto geom.Pietro Giacomardo), ed uno nel  1911 (proprietà Riccapenna, arch: A.Petrozzani).

===civ 16  Nel Pagano/1908 e 1925 genericamente in ‘via al Campasso (s.Martino)’ sono descritti un deposito di birra ed una fabbrica di acque gassose di proprietà Dellepiane Agostino.

Nel 1936 fu eretto un edificio ad uso della soc. Ifelc, salumificio ed insaccati vari, di Ghezzi Osvaldo, poi di Dardano Giuseppe.

Nel 1970 fu occupato per breve periodo dalla cooperativa Lacas che fallendo, lasciò lo spazio alla FrizzSoda, sempre di Ghezzi (Il Secolo XIX- 2002 scrive essere di Ettore Ceruti), che riprese il marchio della bibita “Gassosa”, abbandonato negli anni ’60 (Il primo stabilimento della bevanda fu aperto al Campasso –non sappiamo dove-  e fu una delle prime società per azioni interessate al ramo alimentare, nate a Genova. Venduta in centro ed allo stadio, per una decina d’anni  conobbe una impressionante popolarità, divenendo leader dell’industria locale: iprodotta nelle bottiglie con la biglia, nonché acqua in sifoni. Fu anche deposito di birra e lavorazione delle spume).

Rimodernato è divenuto nella parte ad est  affacciata sulla strada, prima magazzino di carne macellata, poi deposito frigo chiamato dapprima  Biemmezeta poi Avicola Zena, di Barellari e Zunino.

===civ. 26r nel 1950 c’era una ‘agenzia giornali’,  di Sanna.

===civ. 39r nel 1950 c’era una trattoria, di Cighè C..

In precedenza esisteva nella via, non precisato dove,  ‘in una casa d’angolo poi distrutta da una bomba’, la trattoria “del Lillo” (non nel Pagano/12; si nel Pagano/19 e /25: in via G.Bruno, 30); gestita da uno dei tanti eredi della famiglia Marchese una volta proprietaria di gran parte dei terreni (anche la Gina era con questo nome - leggi sotto).  Ancora nel 1950, dei f.lli Marchese gestivano al civ.69r un negozio di legna e carbone (in SPd’Arena ce ne erano allora ben 32 di esercizi similari, di cui 3 al  Campasso: civv. 28r e 29r). Vedi al 58r.

===civ.49r  nel 1950 c’era uno spaccio di vendita della soc. an. Azienda Autonoma Annonaria.

 

Lo slargo stradale esistente, esteso alla vicina via A.Pellegrini fu negli anni 20 punto di raduno e partenza del Carrosezzo Sampierdarenese (nel pomeriggio del giorno, una diecina di carri allegorici, variamente addobbati con casette, fiori, uomini mascherati con semplicità, qualche strumento musicale per intonare canti e balli tra lancio di stelle filanti, coriandoli e qualche arancia (alcune maschere sono rimaste nella memoria quale quella di personaggi reali, del Beppe che vestito da balia allattava Cinninini un omuncolo tendenzialmente tonto che vendeva giornali e ruote del lotto; e la riproduzione dei comici di allora (Charlot, Ridolini) e maschere conosciute (Arlecchino, Balanzone, Baciccia o di fantasia propria). Importante era partecipare.

Normalmwente, il corso partiva dalla piazza scendendo in piazza Ferrer (Vittorio Veneto) da cui risaliva via Vittorio Emanuele (Buranello) fino a piazza Bovio (piazza Barabino) per tornare lungo via C.Colombo (Sampiuerdarena) sino al Baraccone del sale o a piazza XX Settembre (del Monastero) per la premiazione e dove si scioglieva. Ma più d’uno potevano essere i tracciati, a seconmda della promozione locale

 carri in via Fillak presso le case dei ferrovieri

A questo punto la strada di via Campasso ruota a sinistra, mentre continua diritta in via Pellegrini ove sono censite la chiesa ed il suo campetto sportivo.

===civ. *** ha ospitato per anni una cooperativa di soci (la cui sede era in piazza Ghiglione vicino a via Currò); Da essi passò al supermagazzino denominato cooperativa Scasa che cessò la attività traslocando in altra sede verso Teglia, nel 1986. Attualmente è detto che  funge da deposito comunale di materiale per i periodi elettorali (sedie, cabine, urne, riquadri per i manifesti, ecc) ed è gestito dalla coop. Moro trasporti.

 

 

La strada prosegue costeggiando il muraglione del Parco ferroviario. A levante costeggia invece il fianco del mercato

===civ. 58r  a ponente invece, fino ancora nel 1950 erano alcune stalle per  cavalli, di proprietà di quei Marchese (presumo i fr.lli, carbonai nel 1940) padroni di tutti i terreni ad est della strada, estesa  da via Millelire al fondo di via Pellegrini (erano Marchese, sia la Gina che il Lillo; per  ultimi negli anni 1950 erano tre fratelli, conosciutissimi in porto perché trasportatori e magazzinieri, solo citati da Franich tra le ditte che si occupavano di trasporti e che possedevano carri e cavalli (“Marchese F.lli – Sampierdarena”): tutte le mattine presto tre carri trainati da due cavalli partivano per il porto e ritorno, facendo una bella sfilata, finché i motori non soffocarono l’attività. Il Pagano/61 cita  Marchese Luigi autotrasporti, al civ.35-6,  ed al civ.69r Marchese f.lli carbone e legna. Sono ancora dei Marchese le stalle che si aprono in via Spaventa e che ancor ora ospitano dei cavalli, di privati).

MANISCALCHI   Da sempre, l’uomo ha ferrato e custodito cavalli; da sempre quindi erano sparsi sulle vie principali i maniscalchi atti a ferrare l’animale e le ruote dei carri (fucina, mantice, martello, incudine e ferri vari). Decine, e poi centinaia di cavalli; e più cresceva la popolazione ed i lavori connessi, diventavano migliaia. Ed altrettanto numerosi i maniscalchi. Alla fine di via Mercato, ove ora è il civico 50 di via Cantore, la zona era tipicamente detta “le stalle”: erano baracchette basse, col tetto spiovente, ed ospitavano cavalli, forse anche muli, fieno e tutto l’occorrente. Alla Coscia, quello che diventò un deposito dei tram, prima era una grande stalla usa anche per il traino degli Omnibus. Ancora nel 1921, sulle quattro strade principali della città V.Emanuele, C.Colombo, UmbertoI, N.Daste, in 24h transitavano 2904 veicoli trainati (carri, carrozze, diligenze, tranvaietti, tombarelli, fiurgoni, ‘stamanoin’. Tanti dovevano essere allora gli stallieri, i fabbri e ferraioli. Vengono ricordate le imprese di trasporti, dei Carpaneto (quello dei dock), dei fratelli Rossi, i Robba, Bianchetti, Bagnasco, Bruzzone, Meirana, Lanati (con ‘il Domicilio’).

  dalla foto non è possibile collocarli nella strada

 

Tra i tipici –e spesso a conduzione familiare, con i figli che imparavano il mestiere andando a militare come stallieri nelle scuole di cavalleria- vengono ricordati Ferrando Vincenzo, detto ‘Balla’ e poi il figlio Natale che lavoravano prima in piazza Omnibus, punto di passaggio anche per grandi viaggi, in Piemonte, Lombardia ed oltre (poi trasferiti in p.za Cavallotti e poi ancora in via NBarabino) La loro casa era punto di riferimento per i limiti stradali: vedi A pag.79 ; GB Civani detto ‘da o Bocca’, seguito dai figli Luigi e Celestino, con bottega in piazza Tubino e via del Mercato; gli Zuccoli, Dante coi figli; Guarneri Francesco con i figli Armando e Luigi che andarono ad aprire anche in Genova al Carmine.

Solo nel 1937 dovettero unirsi in cooperativa per l’eccessivo sviluppo dei mezzi a motore. 

La parte a ponente della strada, ha il muraglione della ferrovia reso intoccabile perché i primi due binari limitrofi, pare siano da essere sempre liberi riservati dalle FFSS allo Stato per necessità sociali nazionali urgenti (guerre, disastri, ecc).

===89r  c’era una fabbrica di sughero e tappi, di cui rimane la scritta - insegna ancora leggibile sopra le ampie entrate o saracinesche, Il palazzo ha il portone di ingresso in via Spaventa.  

===97r Seguiva l’ingresso della fabbrica di poligrina, lisciva, varechina ed altri materiali per pulizie, di Gallino Severino che poi si trasferì a Rivarolo vicino al campo sportivo Torbella.

===civ. 35 con data 24 gennaio 1910, venne presentata domanda al Sindaco, firmata da Cazzullo Michele (su disegno del geom. P. Giacomardo), divenuto proprietario di un piccolo ‘apezzamento (sic)’ di terreno già di proprietà dei sigg. Scorza e Casanova per erigere lungo via Giordano Bruno una costruzione (=il civ.35) per abitazioni civili (costruiti pare per ospitare gli operai della vicina fabbrica del ghiaccio - che a sua volta era in via Spaventa. La nuova costruzione nella sua parte più a nord era sovrapposta ad un fossato proveniente dal monte a levante). Tra le clausole imposte dalla giunta comunale, c’è che il Cazzullo doveva “…coprire un fosso colatore destinato a ricevere gli scoli della casa in progetto e di quella Parodi (=civ. 37 già presente in quella data, ed eretta su terreno dei Ricca, proprietari della villa soprastante; questo caseggiato appare poi demolito nel 1949 e ricostruito nel 1951); nonché alla sistemazione della strada (mantenuta larga 10 metri) …” : era davanti a questo civico che viene descritta - sino a fine 1900 - l’esistenza di una bassa galleria – scolo fluviale sottopassante il parco ferroviario sino a via Fillak (un tunnel, evidentemente il fossato di cui sopra che raggiungeva il Polcevera e che con la sistemazione della rete fognaria, fu eliminato): nel 2002 la fessura non compare più, ed il muro appare chiuso con  massi eguali agli altri da non rilevarsi nemmeno la traccia di aggiustamento rispetto l’insieme.

La facciata fu decorata con disegni di stile tardo liberty.

=== dopo il civ. 37  una rientranza verso est, lunga cento metri, ospita alcuni stabilimenti (che comprendono anche i civv. 37/39) tra cui il ‘Bon Jour industria dolciaria srl’ che aveva iniziato l’attività nella sovrastante

Belvedere (ove sovrasta l’insegna luminosa ben visibile giungendo in autostrada) e che ora amministrata da Emilio Sacco, con poche decine di dipendenti produce brioches e dolciumi, rifornendo supermercati e coop.

===civ. 39 e 41 : furono costruiti su terreno di proprietà Ricca, facoltosa famiglia locale proprietaria della villa soprastante il civ.49. (vedi foto a “Storia della strada, 1910”). Il primo, possiede delle decorazioni liberty in riquadri sovrapposti alle finestre e sul bordo del tetto, riproducenti rami di palma incrociati.

===civ. 43 cancello. Porta ad una casetta  soprastante il 41 e raggiungibile-sulla cartina- da una apertura a nord del caseggiato (in pratica si passa dal retro della casa, nella rientranza su descritta).

===civ.49 In fondo alla via larga, limitato da un cancello, si apre -prima del restringimento della strada, percorso  fiancheggiato dalla ferrovia- un viottolo che porta ad alcune ville soprastanti. Una, la più in alto e soggiogata dall’incombente ponte autostradale, fu già di proprietà Ricca, poi delle famiglie Carpaneto e Marasso. Fu resa famosa perché usata dalle Brigate Rosse, quando il 19 apr.1974 rapirono il magistrato Mario Sossi, sostituto procuratore della Repubblica, e lì lo ospitarono prigioniero (aveva svolto il ruolo di pubblico accusatore nel processo ad una banda di malviventi , detta “ XXII Ottobre”; fu liberato a Milano il 24 maggio successivo. L’atto, fu il preludio dei  terribili e sanguinosi, definiti “anni di piombo”). Fu rimodernata e resa accessibile dall’alto dalla società Autostrade, ad uso circolo dei dipendenti del tratto Genova-Serravalle-

===civv. 51-51a:   di altre due case, visibili dalla strada sottostante, una appare una casetta  abbandonata di piccole dimensioni; l’altra è un casermone  che è stato espropriato dalla soc. Autostrade, e chiuso. Invece  è stato sfruttato a lungo negli anni 2001 dagli extracomunitari illegalmente ospiti in Italia, specie slavi e di colore: dopo svariato bliz della polizia, è stata murata negli accessi e cintata; però dal budello per raggiungere via della Pietra è ancor ora raggiungibile scavalcando il muro con una scala. Nella mattina del 30 lug. 2009 infatti, alcuni ‘inquilini abusivi’ son riusciti accidentalmente a dare fuoco alle loro masserizie, causando l’intervento della polizia e dei pompieri (che han fatto ‘piovere’ acqua dal ponte soprastante non potendo raggiungere la casa); due poveretti rifugiati sul tetto, furono salvati –mezzo intossicati- dai pompieri del nucleo di soccorso alpino/fluviale (i Saf).

  Dopo la lunga stretta , limitata da due muraglioni che limitano la collina e la ferrovia, le ultime case prima di continuare con via della Pietra, arrivano ai civici 57 e 28.

===civ____la fabbrica di estintori soc.an.Minimax (apparecchi ed impianti contro l’incendio, a mano idrici, a schiuma, a tetra, a polvere a CO2 ), con sede a Genova.  Era già attiva nel 1933 (quando si interessava anche di riscaldamento, combustori a nafta, caldaie per acqua calda, sanitari, banchi di stagno per bar e caffè).

 

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CAMPI                                                 via  Campi

 

TARGA:  via - Campi

                                              

 

QUARTIERE ANTICO: San Martino

                      

da MVinzoni, 1757. In giallo via Pietra; celeste                     da Google Earth 2007.

via Campasso; verde ipotetico tracciato di via                         In rosso via W.Fillak.

Campi                                                                                                

 

 

 

N° IMMATRICOLAZIONE:   2741  CATEGORIA 3

 

CODICE INFORMATICO DELLA STRADA -n°:    10640

UNITÀ URBANISTICA: 24 - CAMPASSO

CAP:   16159

PARROCCHIAsan Bartolomeo della Certosa (Rivarolo)

STORIA:  La zona. Nei registri della Curia arcivescovile di Genova, ripetutamente si fa riferimento ad una località - facente parte della antica Curia di San Pier d’Arena negli anni attorno al 1140-60 -, chiamata ‘Glariolum’ (dal latino glarea ovvero ghiaia) relativa alla sabbia del torrente, in zona Campi (dalla stessa parola deriva anche il Geriato, torrente di Molassana).

É conosciuto che anche nei secoli posteriori, il greto del torrente era molto largo, senza argini, irregolare come può esserlo un capriccioso come il Polcevera con campi non coperti da terra ed erba ma da ciotoli, sabbia ed erbacce le più strane ed idrodipendenti

 La strada. Il nome ovviamente deriva  dal fatto che, per gli antichi abitanti del borgo tutta quella vasta zona - pressoché abbandonata ed estesa da ambedue le parti del torrente - fosse genericamente ‘i campi’. La strada segue un tracciato che dev’essere  assai antico; attraversando i prati attorno al greto del torrente, era utilizzata per collegare le  due sponde ai commerci locali o forse percorsa quasi solo dai carretti dei minolli e dei ‘massacan’ che andavano sul greto a raccogliere sabbia, e prese quindi così lo stesso nome (che però rimase più radicato nella parte a ponente del torrente, dove si conserva il nome Campi proprio come frazione della delegazione di Cornigliano; difatti quando il Comune di San Pier d’Arena alla fine del 1800 decise riordinare le strade dando un nome preciso a ciascuna, la proposta fu di “ via a Campi”).

   Nel luglio 1884, istituita la Parrocchia anche a San Gaetano, la strada si presenta già  frequentata e conosciuta, in quanto segnata come confine parrocchiale (presumibilmente perché ai fini parrocchiali interessano le case e non i terreni, i quali  in quegli anni ed a nord della strada, erano ancora prati disabitati: “...confinia  jam statuta et cognita, quae separabant auxiliaris ecclesiae s.Gajetani distructum a parochiali ecclesia sancti Bartolomaei de Certosa “ (i confini già stabilti e conosciuti, che separavano la chiesa ausiliaria e distrutta di s.Gaetano dalla chiesa di san Bartolomeo della Certosa)..., confini delimitati dalla via provinciale Vittorio Emanuele (via W.Fillak) , e la via “vulgo” del Glucosio (via Campi),  oltre lo sbocco dell’attuale voltino, sino all’argine “in aex maedio fluminis usque ad punctum muri viae ferratae ” (dalla metà del fiume fino al punto del muraglione della strada ferrata).

Come sempre il nome a certe strade proveniva dall’edificio o proprietario o struttura che maggiormente richiamasse la conoscenza del popolo: così uno dei primi nomi che appaiono per definirla nostra strada, abbiamo letto essere stato “via del Glucosio(vedi).

   Pochi anni prima dell’anno 1900, il ponte di unione doveva essere già stato eretto, e fu proposto alla giunta comunale il nome di ‘via a Campi’, a  “quella strada al Polcevera  che da via Vittorio Emanuele lungo casa Bonardi, oltre la piazza d’Armi, porta al torrente”;  permetteva il passaggio dei carri dal torrente alla via principale. Esisteva infatti un civ. 1 quale ‘casa Bonnardi’ ed un civ. 5  ‘casa Raggio Carlo’. 

  Nell’anno 1901 l’impresa Rebora Calvi Barabino, appose la targa in marmo con la scritta “via Campi”, quale è ora.

  Nel 1910  c’era solo il civ. 1 (segnalando che “la parte pari è nel Comune di Rivarolo Ligure”).   Negli anni prebellici (1910-4) , sul marciapiede di via Umberto I  (via Fillak ) - di fronte a dove inizia la strada, a levante del ponte ferroviario ed a ridosso del muraglione della ferrovia - fu posto il gabbiotto del dazio (ma già esistevano vari ‘casotti del dazio’ tutti di proprietà comunale: nel 1890 vengono descritti uno Centrale; uno alla stazione ferroviaria, a porta Lanterna, alla Crociera, ed a Certosa, tutti con peso a bilico; altri presso il forte Crocetta ed a porta degli Angeli)

   Essendo in quegli anni ancora il confine posto al “torrente Pietra” ovvero  di via Brin dove ora scorre la metropolitana, questo limite daziale può aver favorito lo spostamento del confine a quel punto, essendo anche rimasto confine parrocchiale.

   Nel Pagano 1919 si segnalano civv. non precisati l’officina meccanica di Cordone & Garattini – ancora presenti nel 1925; e quella identica di Remaggi Domenico e C. presente fino al ’33.

   Nell’elenco delle strade edito dal Comune nel 1927, appaiono due ‘via Campi’: una a S.P.d’Arena (presumibilmente la metà a mare) ed una a  Rivarolo (la metà a monte), ambedue di 5a categoria. 

     Della stessa categoria era ancora nel 1933.

     Nel ‘50 era divenuta di 3a. categoria. Nel gennaio di quell’anno fu costruita una casa, per Ernesto Parodi,  progettata dall’ing. Petrozzani: non è intuibile quale.

    Nel 1946 fu costruito nuovo il civ. 4;  nel 1951 il 13a ; nel 1957  il 15a.

 

Confini con Rivarolo.  Attualmente il confine tra le due delegazioni, è misconosciuto a quasi tutti, perché ha perso interesse pratico; forse dovrebbe delimitare il campo di interventi  dei Consigli di Circoscrizione  ma di essi a San Pier d’Arena, ne sanno ben poco, e nella sede non esiste nessuna carta allo scopo. È comunque accertato che il centro carreggiata di  via Campi rimane la attuale direttrice principale est-ovest di tale confine: dalla metà del torrente, alla sommità della collina, in quanto certe strade poste a levante del parco ferroviario e che prima erano parte del territorio sampierdarenese (via Frassinello, via della Pietra, via A.Ristori ecc.), ora non lo sono più.

   Ma più anticamente, il confine tra Sampierdarena e la frazione Certosa di Rivarolo, era segnato -con andamento irregolare -,  cento metri  più a nord di questa linea.

   Con l’inizio del secolo 1900, nacque una nuova gabella locale: il dazio. Ogni merce, nel passare questa barriera, doveva pagare una tassa; eluderla era accusa di contrabbando.

    Dal Sindaco, nel 1904, venne proposto espropriare per causa di pubblica utilità ai proprietari dei terreni posti al confine, sia una striscia di terreno (al marchese Piuma, i cui terreni già in parte erano stati occupati dal parco del Campasso) atta al passaggio di una guardia daziaria e per porre un reticolato metallico; sia  (ai proprietari Degola e Tubino) spazi  necessari per costruire i casotti daziari  - ad un piano al forte Crocetta per soli uffici, a due piani con abitazione; pare intuire non se ne fece nulla, anche per l’esosità della cifra da spendere.

 Nell’ anno 1905 circa, sempre a seguito della gabella del dazio, nacque la necessità di porre una nuova cinta, detta “daziaria”, che rispecchiasse i confini territoriali di ogni Comune. Così, da questa parte della città popolarmente scritta ‘a notte’, un preciso confine - sia con Genova che con Rivarolo -,  che dal forte Crocetta arrivasse al Polcevera, passando nella ‘frazione Pietra’,  onde contrapporsi - con adeguata sorveglianza e garitte -   al contrabbando.

   Evidentemente sino alla messa in atto della cinta daziaria, il problema dei confini non era mai prima validamente esistito  tra i vari Comuni.

   Fu così rispolverato un verbale del 1890, stilato da parte di una Commissione censuaria ove erano stati tracciati i confini tra i due comuni: (‘col fine di un riordinamento della Imposta Fondiaria onde determinare in modo certo e stabile i confini del territorio’; stilato dalla Città di San Pier d’Arena, ed inviato alla provincia di Genova, al Comune di Rivarolo Ligure, alla Commissione Censuaria; furono invitati a presenziare i proprietari dei terreni confinanti; di San Pier D’Arena erano i sigg. Bonardi Giacomo, Degola Narciso, Monticelli Giambattista, Cappellano Luigi; ed i sigg. Raggio Carlo, Malatto Rodolfo, Bonardi Giacomo sconfinanti in ambedue i comuni). Nella riunione del 2 maggio 1905, si covenne che il confine iniziava da metà dell’alveo del torrente Polcevera -  passava nel centro di via Campi fino oltrepassato il sottopasso ferroviario che la incrocia a metà circa - appena usciti dall’archivolto proseguiva lungo il muraglione posto a levante della ferrovia  orientandosi così verso nord (attuale via Borsieri) - sino alla fine della proprietà Bonardi (la casa Bonardi aveva il civico 61 di via V.Emanuele e poi divenne 58 di via Umberto I; mentre la proprietà, confinava a nord con quella dei fratelli Traverso che si ritrovarono di Rivarolo (è visibile una cartina) - dove girando a levante lungo il muro di cinta posto tra le due proprietà (attuale via Frassinello) arrivava alla via Provinciale. Proseguendo di nuovo verso nord al centro di quest’ultima via (allora Vittorio Emanuele) -  all’altezza dell’inizio del vico della Pietra (che portava al fossato omonimo, attuale via L.Ariosto) girava ad angolo retto verso levante nel mezzo del vico  per seguire l’alveo del ‘rivo della Pietra’ (detto pure Cappellano, dal proprietario dei terreni confinanti, ed altrove chiamato anche  Copello) - sino a dove ora è l’arco a sud dell’entrata della galleria della metropolitana - ed estendendosi in alto verso la sommità del monte fino al punto di origine del rivo, presso forte Tenaglia,  laddove si incontrava con quello di Genova (la proprietà di SPd’Arena comprendeva anche una fascia di terreno a nord del rivo (strutturata a bosco, di proprietà demaniale del comune di Sampierdarena    ed allora delimitata: a mare dalle proprietà  dell’avvocato  Filippi Antonio in basso, Pendola Ernesto sopra, e Galleano Pittaluga in alto; a nord –di Rivarolo quindi- dalla prorpietà di Bonino Clotilde in Pisano).

Nel maggio 1906  una prima lite:  era appena finita la costruzione della galleria tranviaria che porta a DiNegro:  per la sua costruzione era stato necessario spostare il letto del ‘Rivo della Pietra’ e -a lavori eseguiti- riportarlo nella sede primitiva perché linea di confine; nacque un piccolo contenzioso perché al nostro sindaco parve erroneamente che l’ingresso del tunnel fosse in territorio di San Pier d’Arena e pertanto propose porre la linea daziaria a nord di qualche metro dalla  bocca d’entrata della galleria,  e seguire il ‘fognone  esistente in quella località e già detto di Copello’;  l’Unione Italiana Tramways Elettrici rifacendosi al verbale del 1890 contrappose essere invece in territorio rivarolese, ed aveva ragione.

   Nel marzo 1907, malgrado il verbale del 1890, ancora dovevano definirsi i confini precisi con Rivarolo: evidentemente esistevano delle contestazioni  attualmente sconosciute.

   Nel 1926, l’annessione delle delegazioni nella Grande Genova, pose fine alla ricerca  lasciando strascichi irrisolti se si considera che le pubblicazioni del Comune di Genova, sia del servizio toponomastica edito nel 1950,  che della ripartizione anagrafe-elezioni edito nel 1953, suddividendo la città in sestieri, rioni e delegazioni riportano ancora per via Argine del Polcevera essere di San Pier d’Arena dal civ. n.1 al 7 (mentre sono di Rivarolo oltre il 7); via Campi essere di San Pier d’Arena : ediz.1950 i numeri pari (Rivarolo i numeri dispari); ediz 1953 dal civ. 1 al 3 dispari  e dal 2 al 6 pari (Rivarolo dal 5 alla fine dispari);  per via Frassinello (non per niente anticamente chiamata “via del Confine’) essere di San Pier d’Arena il civ. 4 (di Rivarolo l’1); per via W.Fillak sono di San Pier d’Arena dal civ.1 al 37 e dal 2 al  ediz.1950 : 66, edizione 1953 all’80 (di Rivarolo dal 39 e dall’82); per via A.Ristori essere di San Pier d’Arena, edizione 1950 tutta di San Pier d’Arena; edizione 1953 i numeri dispari e dal n.10 in poi solo pari ( di Rivarolo i numeri pari dal 2 all’8); per via della Pietra edizione 1950: a San Pier d’Arena tutta; edizione 1953, tutta la numerazione meno il n. 2 a Rivarolo.

   Un po' più sorprendente è la constatazione che la ex circoscrizione comprende un territorio grosso modo coincidente con quello dell’antico comune: ed  il confine a nord, segnalatoci dal Settore Statistico del comune, inizia sempre dal torrente a metà del ponte; segue  via Campi, risale via W.Fillak  verso il mare sino al viadotto dell’autostrada Genova-Savona (incluso, assieme ai civv. da 1 a 33 e da 2 a 80); a questo punto curva a 90° per seguire il tracciato dell’autosctrada verso il monte  arrivando  a forte Crocetta (incluso), salita al forte della Crocetta (inclusa) e forte Tenaglia (incluso).   Facendo parte ora della Circoscrizione II “Centro Ovest” , comprendente anche san Teodoro ed Angeli, il confine attuale prosegue sino a Granarolo (civ. 129 incluso) ed al forte Begato incluso.

STRUTTURA:

 da via W.Fillak, sottopassando tre rami delle ferrovie (in corrispondenza di due dei quali la strada non ha più marciapiede ed il pedone è abbandonato all’educazione del guidatore), arriva al greto del torrente Polcevera, nella cui prossimità si incrocia con via Argine Polcevera (vedi) e in direzione ponente si continua su un ponte che, attraversando il torrente arriva  nella frazione omonima di Cornigliano (una volta questo ponte era assai trafficato, carrozzabile a senso alternato senza semaforo; da quando hanno aperto la superstrada lungo il torrente, è divenuto solo pedonale, impedite le auto da un alto scalino).

 

due dei tre sottopassi                                           sbocco in via Perlasca

 Doppio senso veicolare anche se con alternanza nei due sottopasso ferroviario.

Nella strada non vi sono negozi eccetto la rivendita di laterizi che però è sul ‘marciapiede’ di Rivarolo.

Appare servita da ambedue gli acquedotti, Nicolay e DeFerrari Galliera

CIVICI

2007=NERI=2-4-6         ROSSI= nessuno

   Nel Pagano/40 la strada andava ‘da via delle Corporazioni a via Arg. Polcevera’; con descritti civici neri 2 e 6, 3.5.7.19.21.29 alcuni delle FFSS; e rossi 2,5,7 per rottam.ferro, cartoleria e latteria

   Nel Pagano 1950 e 61 sono segnati una sola osteria al 3r di Olivieri R., ed alcune imprese artigianali; non bar né trattorie

===civ. 2 è un grosso caseggiato popolare, senza ‘fronzoli’ tipo terrazzi o decorazioni e probabilmente senza ascensore.

===civ.4  è una piccola casetta, aperta in uno slargo subito dopo il secondo sottopasso, e delimitata sulla strada da un alto muro che impedisce vedere se il retro è prato, orto, o altro.

===civ.6 è un cancello chiuso da lucchetto, tra le cui fessure è visibile una serie di vani tipo box, ad un solo piano, in completo stato di abbandono.

Caratteristica, a fianco del cancello,  è una ennesima tomba stradale circondata da tanti fiori finti ed ormai sporchi, ben strutturata con lapide in marmo, croce ed intestazione ad un giovane dal nome arabo-mussulmano ma con simboli cristiani

                                             

BIBLIOGRAFIA

-Archivio Storico Comunale - palazzo Ducale 

-ArchivioStorico Comunale - Toponomastica, scheda 509  

-A.sconosciuto-dattiloscritto parrocchia s.Gaetano-s.Bosco-vol.I-pag.83

-AA.VV.-annuario-guida archidiocesi- ed./94-pag.389—ed.02-pag.426

-Belgrano LT-i registri della curia arcivesc.-S.Lig.St.Pat-vol II-pag. 703

-Comune di Ge.-Atlante demografico della città-V ediz.1998-pag39

-DeLandolina GC – Sampierdarena -   Rinascenza.1922 – pag. 34

-Genova Rivista municipale:  3/33.

-Lamponi M.- Sampierdarena – LibroPiù.2002- pag.131

-Novella P.-Strade di Genova-manoscritto bibl.Berio.1900-30-pag.17

-Pagano/33-pag.245 -- /61-pag.117

-Stradario del Comune di Genova edito 1953-pag. 13.35.77.81.139.153  


CANEPA                                       lungomare Giuseppe Canepa

 

 

 

TARGA:

S.Pier d’Arena – lungomare - Giuseppe Canepa – giornalista-politico – 1865-1948

 

Una prima targa, con sopra tutto la scritta San Pier d’Arena; ed un’altra con solo

 “Lungomare Canepa” nell’anno 2010 non ci sono più.

 

 

 

all’altezza di piazzetta dei Minolli

 

all’altezza della deviazione per via T.Molteni

 

 

all’altezza della deviazione per via T.Molteni                                             

 

QUARTIERE ANTICO: Canto  (- Castello) – Coscia

Non riproducibile la carta di M.Vinzoni, essendo il Lungomare sovrapoposto al mare.

 

N° IMMATRICOLAZIONE:  (non assegnato)

  tratto a ponente sino p.tta Minolli

 a levante sino rampa per autostrada

da Pagano 1967-8

 

CODICE INFORMATICO DELLA STRADA - n°:   11220

UNITÀ URBANISTICA: 26 - SAMPIERDARENA

in rosso via San Pier d’Arena; in celeste strada elicoidale. Da Google Earth 2007.

 

CAP:  16149

PARROCCHIA :   dal 2 all8 rossi = s.Maria delle Grazie – il resto, s.Maria della Cella.

STORIA  non ha storia questa strada, se non che prima di essa, c’era il mare. Nacque con il riempimento del litorale, col materiale conseguente alla demolizione del colle di san Benigno (due piccioni con una fava), processo iniziato una volta deciso di fare il porto davanti a San Pier d’Arena. Operazione tanto utile al porto di Genova, quanto deleteria per la città di San Pier d’Arena che perdette il contatto col mare. Prima di formare la strada, a lungo rimase un largo pianoro, di proprietà del Demanio,  utilizzato come scalo merci e sosta autotreni, campo di atterraggio aerei, campo da football. Finché fu recintato e delimitata la strada che appartiene al Demanio ma in usufrutto al Comune per il transito di veicoli.

 

il primo palazzone a destra,  è il retro del civico 4-6 di via SanPierd’Arena; a levante, non c’è ancora il civ.2 palazzina Bertorello; a ponente il palazzo in centro  sarebbe il retro del civ.14  con –al suo immediato ponente- la palazzina del ClubNautico=civ.16 e, dietro, l’ex pretura nella piazza dei Minolli. Il palazzo a sin. sarebbe quindi il civ. 14 di via SPdA. Con dietro il campanile della Cella senza guglia= il ché pone la foto a cavallo tra fine 1800 e primi 1900. Da chiarire la casetta a mare

 

STRUTTURA:

la strada, dirigendosi da Genova verso ovest,

=inizia dalla fine del  viadotto elicoidale dell’Autostrada (Camionale) in corrispondenza del varco di entrata e doganale a ponte Etiopia,

 

                              

 la strada, da fare                                    foto 1976 del Gazzettino Sampierdarenese

e procede in rettilineo a monte della recinzione doganale, fino a che permette

=una prima deviazione a destra, per un breve tratto stradale anonimo ma di pertinenza della via San Pier d’Arena che viene intersecata (alla Topogr è scritto erroneamente ancora ‘in via N. Barabino’) per immettersi in via Molteni per la viabilità degli autoveicoli diretti al centro, o a Rivarolo o a ponente.

=prosegue in rettilineo verso il torrente, passando a mare della zona nuova della Fiumara, fino alla corrispondenza del varco al ponte Libia, ove la strada appare terminare, chiusa  dall’ingresso di alcune imprese private (quest’ultimo tratto, nella Guida del Porto edita da Pagano nel 1954, è scritto chiamarsi “’via al Ponte Carlo Canepa’, dal termine della via Operai alla testata del ponte Carlo Canepa”).

    Tutto il lungo rettilineo, ricalcando il limite spiaggia-mare,  non è proprietà comunale ma è incluso in territorio di proprietà del CAP il quale in forma determinata si è posto al di à del muro di cinzione, ma che anche al di qua mantiene una quota di possesso.

 

È quindi riconosciuta una ‘comproprietà’ (il CAP del terreno ed il Comune dell’uso) - in attesa della realizzazione di un programma preciso riguardante tutta la zona sino al torrente -, che nei fatti

impedisce di gestire il manto stradale ed i  bordi (per esempio allargarla, o abbattere quanto di fatiscente  o utilizzare quanto già libero).

 

antiche presenze “al di là” del muro – 1941 campo da football e da atterraggio

 

    

i docks sampierdarenesi                            1937-foto Pasteris- il muro ancora da erigere

  Il traffico diretto a levante,  proviene da via Pacinotti: può proseguire diritto per via SanPier d’Arena, o con uno slalom inserirsi nel Lungomare   ove - al termine - si biforca (una verso l’autostrada, l’altra costeggiando il porto, passa a mare della Coscia e va verso la caserma dei Pompieri. 

   Quindi è una strada in rettilineo che consente ai veicoli un aumento della velocità con corrispondente rischio di incidenti gravi; ed essendo in prossimità del porto, è soggetta a parcheggi di grossi automezzi con conseguenze più volte mortali. Innumerevoli sono gli articoli che i giornali quotidiani  segnalano in rapporto alla pericolosità della strada; non ultima è una relazione del Comune-Aster-CAP i quali promettono, non appena finita la realizzazione dell’opera fognaria bianca in corso, l’asfaltatura ed una revisione nei pressi di via Molteni. Ancora sul Secolo del 18.4.04 si preannuncia, in previsione del ‘giro ciclistico d’Italia’, per l’indomani, la asfaltatura dall’elicoidale alla rotonda.

  Avrebbe dovuto essere coadiuvata da un prolungamento verso ponente della sopraelevata, già portato avanti ed esistente, e previsto sino circa alla zona dell’ aeroporto, ma poi il progetto venne accantonato.

Sono previsti invece importanti modifiche alla viabilità, non appena pronta la zona Fiumara.

==a lato mare scorre lungo la recinzione doganale; si aprono due varchi per entrare nel porto, chiamati:  di ponte Etiopia a levante e di ponte Libia a ponente.

varco doganale Ponte Etiopia nel 1976

 

CIVICI (non tutti sono segnati esteriormente e quindi non è possibile assegnarli alle singole aperture)

2007 = NERI   = 3, 55, 59 (mancano 1, 5→53, 57)     e 2, 4.

            ROSSI =  9r, 121r, 129r, 149r→155r (mancano 11→119, 123→127, 129→147)               2r→8r, 80r, 82r (mancano da 10→78)

Dei civici, risultano: eretto il civ.20 nel 1953 ; divenuto civ.rosso nel 1961) ; e demolito il civ.22 (’62)

=== il centro san Benigno

===civ.3 un grattacielo della Finanza ospitante il Comando nucleo regionale Polizia Tributaria della Liguria.

Si apre in via delle Fiamme Gialle

Così detto perché specifico e totalmente occupato dalla Prima Legione  della Guardia di Finanza.  Di 15 piani, alto 45m e lungo oltre 50; sorge su area demaniale del CAP  di 1164 mq.,  concessa all’Arma militare e strutturato con i requisiti del “manufatto di importanza militare”, del quale è quindi impossibile avere dettagli perché caratterizzati ”da imprescindibili motivi di sicurezza passiva”). Ha sempre fatto sorridere - nella grandiosità di un grattacielo - l’idea di doverlo salire a piedi: eppure questo è successo nel maggio 2003 assieme al funzionamento dei condizionatori (si scrive  per colpa della riduzione delle spese; ma ricevendo l’onore della cronaca).

Di fronte, sul lato di via P.Chiesa, nel 2000 esistevano ancora tracce dei binari ferroviari che percorrevano la strada.

La Guardia di Finanza comprende:

*4 ‘gruppi di sezioni’ Genova per settori tributari, tutti con gli stessi scopi finanziari, ma con particolari incarichi (I gruppo=giudiziari,contrabbando, ricettazione, ecc), II (verifiche alle aziende.ecc), III ( imprese minori, ecc.), IV (imprese maggiori , ecc.).

*il gruppo investigativo criminalità organizzata ‘Gico’;

*il gruppo operazione antidroga ;

*il gruppo repressione frodi e di sezioni .

*caserma dedicata a T. Testero (vedi in via P.Chiesa), costruita nel 1950 sul sedime di vecchi capannoni della soc. Grendi.

Ha sede nel grattacirelo anche il Circolo sportrivo GF diretto da Paolo Tagliaferri di judo facente parte  della Federazione Italiana Judo-Arti Marziali

===La strada è fiancheggiata da piccoli edifici di imprese artigiane e piccole industrie, in un decoro di simil-abbandono baraccopoli.

il retro, con gioco bocce, del Club dei Carbonai di via P.Chiesa

  

dopo il distributore di benzina, che è a mare della “villa Buranello –civ.2” di via SPdArena, primo capannone è della I.F.N. forniture navali. Il palazzo dietro è il civ. 4-6 di via san Pier d’Arena. Foto marzo 2010.

 

                 

officina aperta di via SPdA tra il civv. 6 e 8                   officina, posta nel retro del civ.8 di

 foto 2010                                                                        via  San Pier d’Arena

 

  

foto 2010                                                           in angolo con piazza dei Minolli capannone

                                                                          già dei “Trasporti Ferrini”  (non ci sono nei                      

                                                                          Pagano); ?-Foggia-Genova-Pescara – Foto 2010

 

 

autotrasporti Ferrini in angolo      a mare del palazzo Municipale Foto 2007     

con piazza dei Minolli

 

a mare del Palazzo del Sale . foto 2010

 

===A livello del Palazzo del Sale, la bocciofila ‘soc. Carlo Bottino’ CPS (il professore fondatore del centro petanque sportivo sampierdarenese)  forte di 300 iscritti; essi hanno ricuperato con lavoro di volontariato ben diciannove campi esterni per il gioco delle bocce e della petanque (questa si differenzia per l’irregolarità del terreno, dimensioni ridotte delle bocce, minore movimento ma maggiori difficoltà), ed otto campi interni (anche se sono in attesa di regolarizzare la sistemazione  all’interno del grosso edificio a cui si appoggiano).

Il Club, fondato nel 1975,  paga al CAP l’affitto del terreno: all’inizio la cifra era simbolica ma dal 1985 è un vero affitto precario. Dai campetti, sono emersi campioni arrivati quarti ai mondiali e secondi in Italia nel 1985.

 

  

 

 

       

   Lungo la strada, dove anche atterravano dei caccia militari,  fu aperto un campo di calcio, in sostituzione di quello chiuso nel retro di villa Scassi; e fu intitolato a Bertorello. Anche questo campo fu eliminato per occupazione del terreno da parte delle attività portuali; e il gioco fu indirizzato a Cornigliano determinando che  San Pier d’Arena rimase senza alcun stadio, fino all’apertura del Morgavi .

    Nello slargo,  negli anni dopoguerra e prima che la TV chiudesse la gente in casa, c’erano due ‘arene’ ovvero due baracche con un palcoscenico e poche sedie o panche, ospitanti due comici locali in concorrenza nell’inventare battute per far ridere soprattutto i bambini: Fagiolino e  Padella (vedi a Pavanello).

1970 circa - verso levante; a sinistra il benzinaio che      stesso punto, verso ponente

 serviva nel punto di raccordo con via Molteni

 

   Nel tratto finale, la strada era costeggiata a monte dalla facciata a mare delle fatiscenti costruzioni dell’Ansaldo,

 

 

tra i quali anche quello chiamato  “proiettificio”. Esso  ora è stato completamente rimodernato; la fonderia aveva una grossa ciminiera prospiciente la strada, e di cui fino al 1999 era rimasta solo la base, in attesa della completa demolizione.  A metà  del 2005 appare in fase finale di ristrutturazione e già parzialmente occupato.

  

 

  

proiettificio con ciminiera                                                                                 residuo 2008

                                

proiettificio, facciata a mare                                                             facciata in via  Fiumara

 

 

 

===civ.151r   Nel 2010, a questa altezza, corrispondente al palazzo col tetto a scala dell’AMGA Energia, la cui ta targhetta al cancello segnalava  CAE (Centrale Amga Energia) di cogenerazione, via Lungomare Canepa. Essa, nel 2010 è diventata soc. Iride.

La strada si biforca. Forse ambedue i rami appartiengono al Lungomare essendo anonimi.

  

muraglione di confine col torrente.Foto 2007

In particolare:

--- il ramo più a monte (aperto definitivamente solo quando nel 2003-4 fu ristrutturata la Fiumara), procede per un centinaio di metri fino ad una aiuola rotonda alla cui destra ci si immette in via P.Mantovani. Procedendo diritti, si costeggiando il fianco del Vaillant Palace (foto c) quando la strada di triforca: la corsia centrale porta ad un terrazzamento dietro il Valliant e finisce in esso; -quella di destra – senso unico - compie un anello verso ovest e ritorna  nella terza corsia. Quest’ultima, prima fiancheggia un’area di proprietà delle Ferrovie che è in fase di ristrutturazione (foto a); poi i residui delle quattro arcate dell’antico ponte che poprtava la ferrovia sotto Coronata.  

  

foto a)  2010 spiazzo, posto dietro il muretto rosso della foto b                           

 

    

foto b                                                              foto c)

---La  corsia a mare, dopo un centinaio di metri nei quali costeggia una doppia linea ferroviaria in disuso (foto b),  a sua volta si divide in due rami:

-quello a  mare va a chiudersi ai cancelli del Terminal dei Messina gestito dai fratelli Gianfranco, Giorgio e Paolo. Così si completa da alcuni anni la strada, arrivando al terminal container; il cui accesso è simile ad un vasto casello autostradale che controlla un traffico di alcune centinaia di camion e treni in entrata ed uscita. Il 21 dic.2000 si segnalava lo storico imbarco del milionesimo container, dall’inizio attività nel 1996.

-quello diritto,

        

 

 

finisce in uno spiazzo che, nel 2010 è ‘privato’ e quindi chiuso alla gente. Ci passano grossi camion della ditta Spinelli che, dopo averla traversata proseguono su un ponte ad una sola corsia, il quale traversa il torrente per arrivare nell’area riservata a questo trasportatore.-Da questa piazzetta ancora nel 2009 (a ponente del muro che delimita la proprietà Messina con il suo ‘casello’), si arrivava  al greto del torrente nei pressi della sua foce; a destra si andava sul greto vero e proprio; a sinistra si percorreva una stradina la quale - senza una targa stradale specifica - corrispondeva alla “via Lungo Argine del Polcevera”: passando sotto le arcate di un ponte ferroviario in disuso del quale una parte fu chiamata “strada del Papa” (vedi via AdPolcevera) -sempre per concessione del CAP- avevano una sede (ed ora sfrattati) i numerosi atleti della società ‘UGES Esperia (dapprima  ospitati in ponte Canepa  e poi trasferiti sulla sponda sinistra del torrente ove in alcune baracche hanno gli spogliatoi, le attrezzature, i gozzi, le jole ed altre barche, ma non una palestra; dapprima con ufficio presso il bar Foglino in via Sampierdarena, ora in via Mamiani, 13r;  nata l’11 nov 1953 attorno ad un tavolino del bar Lino (o Foglino,  ex Monica) al Canto, per volontà di dieci concittadini amanti dello sport del canottaggio, che diedero il via a giovani atleti capaci di vincere innumerevoli trofei tra cui  il Torneo dei Rioni nel ‘54 e ponendosi in posizioni da podio nel Palio di san Pietro (primi alla prima edizione), palio del Levante, e con rappresentanti vogatori nel Palio delle Repubbliche.

Vi aveva sede e spiazzo di attracco anche il Club Nautico Sampierdarena e gli ultimi pescatori , i sopravvissuti di generazioni e generazioni di lavoratori che hanno vissuto sulla nostra spiaggia  facendo il pescatore professionale senza mutua né pensione sociale: partono da qui per arrivare alla diga o nell’interno di essa, alla ricerca di quella microscopica porzione di mare raggiungibile dalla foce del torrente, per amore atavico dell’onda, della salsedine, dell’antica sfida con la natura, circondati da concittadini molti “foresti”, gli unici a loro agio che del mare non hanno  traccia né odore né passione del rumore di risacca. Purtroppo –nel maggio 2005- pare per difetto del depuratore, la foce del torrente è pura fogna, con l’odore e colore conseguente: ovvio per chi mette in mare uno scafo, lo schifo dell’acqua e la preoccupazione anche della “loppa” (scarto finale della lavorazione dell’acciaio, che anni addietro veniva venduta per essere riciclata e che invece ora –pare dalla acciaieria di Cornigliano- venga gettata in mare).

 

   Il rettilineo di Lungomare è la quarta via in orizzontale, che graticcia la città  e permette un parziale ma basilare sollievo al traffico stradale, soprattutto per il transito dei veicoli pesanti.    Tutta la strada alla sera si rianima, ed è ospite di ‘farfalle’, scaricatori abusivi di detriti, malavitosi  in genere, abusivi extracomunitari in cerca di un asilo.

     Come già accennato, la strada diverrà  oggetto di prossime sostanziali trasformazioni, quando a ponente verranno ultimati il quartiere Fiumara e l’incrocio viario con la Valpolcevera, ed a levante verrà realizzato il transito di attraversamento del centro con un ponte o un tunnel.  

   Dopo l’ anno 2000, numerose sono le segnalazioni di dissesto stradale concausa di innumerevoli incidenti anche mortali. Nonostante apparenti accordi (5/02, 10.02.03, 15.4.03) tra tutti gli enti, il bisticcio di competenze appare così ingarbugliato che passano gli anni e  nulla o a singhiozzo viene fatto in pratica (sindaco, assessori, autorità portuale, aster, c.d.c.), con il classico “la situazione non è sopportabile oltre” (asfaltatura, segnaletica, canali di scolo (non ci sono caditoie), posteggi). ‘Strada da terzo mondo’.

   Tutta la strada , nel 2003 è ancora in attesa di realizzazioni a vasto respiro di viabilità.  Il progetto (curato dall’Anas con la collaborazione del Comune, Provincia, regione, CAP, ed approvazione verbale del Ministero delle OOPP che però non ha firmato l’autorizzazione) di trasformare la strada in una struttura di smaltimento veloce del traffico, con accessi al porto ed alle strutture limitrofe, è bloccato dalla carenza dei soldi: nel 1993 di fronte ai previsti 144 miliardi di vecchie lire, era ferma alla cifra di 85.   Finalmente ai fine aprile03 un giudice stabilì che ‘per pubblica incolumità’: il Comune doveva addossarsi la priorità delle spese della strada anche se di proprietà del Cap (e data da esso in gestione al Consorzio san Benigno).  Nel 04.2003 si prevedevano 220mila euro (sic) a carico del Comune e 60mila (sic) a carico del  CAP, ma appena convenuto ci si è accorti che la cifra era già in deficit e quindi, da rifare i conti (per 5,5 km. fino a Multedo, verifiche geologiche, due corsie per senso di marcia, corsia di emergenza; svincoli, riorganizzazione ferroviaria: il Comune ha previsto 500milioni di e., di cui uno stanziato dall’Anas per le prime verifiche).

A fine marzo 03 doveva transitarvi il Giro dell’Appennino, ma un sopralluogo della polizia municipale confermava una situazione per cui ‘le voragini di cui è disseminato l’asfalto non garantiscono le condizioni minime di sicurezza’. Lo stesso a maggio subito dopo, quando programmando una tappa del giro ciclistico d’Italia la polizia municipale negò l’autorizzazione al transito per eccesso di pericolosità.

A settembre 03 l’annuncio: ‘via ai lavori’ con un giro di centinaia di migliaia di eutro, tra Autorità Portuale e Comune.

Ancora nel 2004 si scava per regolarizzare lo scarico delle acque bianche: sui giornali –col titolo ‘la beffa’- della strada si parla solo per segnalare gravi incidenti stradali e per i ‘rattoppi’ al manto stradale che rendono pericolosissimo il percorso ai motocicli specie quando piove e le buche si riempono d’acqua. Lunga la polemica e gli scritti dei cittadini, anche di fronte a due incidenti mortali (magari non legati direttamente alla sola pavimentazione ma anche alla segnaletica, al buio, alle vie laterali di immissione ecc). Duro il rapporto della polizia municipale: ‘strada da chiudere perché carente del minimo  di sicurezza’. Due recenti sentenze hanno dato torto al Comune, dichiarato ‘responsabile della sicurezza stradale, indipendentemente dalla proprietà’. Scrive giusto il giornalista del Secolo: come nelle soap opera della tv, anche se perdi quattro o cinque puntate, cambia nulla.

Nel marzo 2005 si scrive di un muretto limitante un tetto di un edificio ad un piano, parzialmente crollato e lasciato lì, transennato.

      Il nome è stranamente condiviso con  una ‘via’ voltrese***; qui, la via fu così denominata con delibera del consiglio comunale, l’8 apr.1952. 

 

La polemica nasce quando hanno deciso di chiamarlo “lungomare” :  i miei concittadini dovrebbero partecipare alla rabbia di essere presi ulteriormente in giro: aver distrutto la spiaggia con l’erezione del porto quale necessità pubblica per Genova,  non esclude il concetto che per avere un bene,  si abbia il diritto di distruggere ed addirittura snaturare nella sua parte più bella la città di San Pier d’Arena: è sempre stata una città di mare, ed adesso col mare non ha più nulla a che vedere, murata lontana da esso dietro una barriera di cemento e mattoni, e che di lungomare ha solo il nome beffardo. I sampierdarenesi sono diventati come i piemontesi: andare a nuotare in piscina (se funziona); ma se vogliono vedere il mare debbono prendere un pullman, anche loro con quella faccia un po’ così… tra il meridionale ed il colombiano...

 

 

 

STORIA:

   Da sempre, ma in pratica da oltre mille anni, dalla sua nascita di borgo, San Pier d’Arena  visse in funzione della sua spiaggia.

   Sull’arenile avveniva praticamente tutto quello che era vita e sopravvivenza: anche se non perfettamente strutturate, c’era ‘tutto come a Genova’:

la natura (Giustiniani (negli Annali,1535) scrive “chi volesse compiutamente narrare l’opportunità, la magnificenza e la nobiltà di questa villa sarebbe necessario forse un volume. Contiene questa Pieve una spiaggia lunga un grosso miglio tanto comoda al varar delle navi che non potrebbe esser più, e par che la natura l’abbia fabbricata a questo effetto… i forestieri…essendo a Sampierdarena credono di essere a Genova…”; GB Gonfalonieri (1592) scrive che era “una vaghissima contrada rurale, in pianura ed in collina, intersecata da bellissimi giardini…”; Accinelli (1774) : “si passa al borgo di Sampierdarena che si estende longi la riva del mare per un miglio, il più sontuoso borgo di tutta l’Italia.”; Bertolotti Davide (1834) “i palazzi di cui si adorna il borgo di Sampierdarena basterebbero a far rimbellire una metropoli…” ;

lo spettacolo Nel 1097 partì dall’Europa la prima vera crociata; gli eserciti  di Lorena, di Germania e parte di Francia si riunirono anche qui per imbarcarsi verso la Terrasanta assieme a Guglielmo Embriaco.  Il 18 lug.1242,  ben 132 galeazze e tre grosse navi armate (Novella dice “83 galee, 13 torride e 3 onerarie, tutte colorate di bianco colla croce vermiglia”) si schierarono lungo la spiaggia e furono passate in rassegna dal podestà genovese Corrado di Concessio, pronte a partire per vendicare un attacco subito dai pisani.   Penultimo, Napoleone stesso si ritrovò a San Pier d’Arena per far marciare e far fare evoluzioni su questo litorale a 4mila suoi fanti; ultimo lo stadio da foot-ball, ospitato qui per qualche anno, come già scritto sopra. Meno clamorosi, ma pur sempre ludici, Padella e Fagiolino col loro spettacolo di clown. Ed ultimissimo, lo spettacolo che sta dando la nuova etichetta alla città: farfalle, trans, clandestini, spacciatori, malavitosi...sic transit...

le difese (le 7 torri saracene medievali e le guardie che a ronda sorvegliavano il litorale; poco delle autorità locali alla Lanterna; posta proprio al confine territoriale, è più proprietà di Genova. Ancora ben visibili invece le torri cinquecentesche delle ville dell’epoca posteriore ai guelfi-ghibellini);

le calate per carico e scarico di merci (ad iniziare dalla Cella fino al Calandrino della Coscia);

i capitani di navi famosi nel mondo alla pari dei camoglini. Tra essi i Casanova (sottodescriti); Ratto ( da cap. dei Dallorso, acquistò in proprio uno scafo che comandò e chiamò col proprio nome usandolo per trasporto di ale dalla Sardegna);

Quasi tutti  i  capitani erano anche gli armatori – o almeno ne avevano in famiglia-.

--degli armatori e capitani    =Acquarone Giovanni (del brick ‘Queirolo’ e della nave ‘Cristina’); =Tixi B (del ‘F.Tixi’);  =Timossi GB (dello ship ‘Callao’); =DeAndreis T (dello ship ‘Bell’avvenire’);  =Gambaro Angelo (dell’Angelo’); =Bertorello (della ‘Nanan’ portata verso Pensacola); =Casale Bartolomeo;    nonché dei:

=Dallorso Matellin, capostipite della famiglia chiavarese, trafficando in trasporto ardesie e grano, preferì venire ad abitare a San Pier d’Arena. Ebbe cinque figli (il primogenito nato a Chiavari; gli altri 4 nati qui; tutti capitani di navi): Matteo (che divenne energico direttore di una casa granaria marsigliese);  Giacomo (che diresse la casa a Berdiannsck, ove trafficavano in grano ben 40 bastimenti); Sebastiano (che fece il contabile); Pietro (famoso come ‘granatino’ a piazza Banchi); e Salvatore  (ricordato per bontà d’animo ed anche quale animatore –con famosi ‘chatillons’-, nello scagno di piazza sanLuca, palazzo dei Brignole). I loro bastimenti furono costruiti pressoché tutti a sestri.

=dei tre fratelli Casanova, Nicolò (anche lui si dovette trasferire a Sestri);   Guglielmo; più famoso di essi fu Francesco, 1778-1848, abilissimo lavoratore con l’ascia ed il cartabono. Aveva iniziato a navigare da bambino con uno zio ed imparato il mestiere lavorando a Tolone per conto dell’imperatore.  Fu il primo della famiglia  a rendersi autonomo nel costruire sulla nostra spiaggia  bastimenti di mezza e grossa portata, ed anche ad essere  fondatore della famiglia armatoriale.  Era volgarmente chiamato ‘capitan giastemma’ perché –seppur  mite e di bontà estrema-,  non sapeva comporre una frase senza ricorrere –tremendo!- al nome di santi o anche ‘più su’.

il brick ‘Francesco Casanova’ , , ‘Luigi Casanova’. Con cantiere nella ‘zona della Catena’ (vedi via-) , limitrofa alla Coscia, aveva varato i suoi bastimenti che ebbero nome: bombarda ‘San Salvatore’; ship ‘l’Orco’ (affondato in Atlantico, aveva cap. B.Gambaro. vi figuravano vari caratisti).; la polacca ‘Intraprendenza’. A terra, abitava una casa  sulla riva del mare, a livello dell’ex proprietà degli Spinola (pag.143); e  risulta essere stato il primo presidente della soc. Unione Umanitaria. 

Fu  capostipite di famosi comandanti di navi, abili lupi di mare che per la loro audacia e capacità manovriere,  ebbero più volte risonanza internazionale nella stampa marittima: tra essi i figli Guglielmo ( omonimo dello zio?- i cantieri del padre –quando le redini  passarono nelle sue mani-  furono trasferiti a Sestri poiché la spiaggia iniziò ad essere invasa dagli stabilimenti meccanici : arrivato sulla cinquantina,   verso il 1870 impostò a SestriP.  un grande  e veloce veliero, il ‘Luigi Casanova’ di 1700 t., da comandare personalmente per rotte verso l’America del Sud, munito di 16 comode cabine per passeggeri di classe, biblioteca,  pianoforte e distillatore dell’acqua);  LuigiFrancesco (1847-1902, da bambino sulle navi comandate dal padre, studiò nautica a Genova divenendo Capitano di LungoCorso prima ancora dei vent’anni; a 24 anni era già capitano di velieri come il CleliaCasanova, il LuigiCasanova, il Sampierdarena, l’Orco, per 15 anni il BiancaCasanova. Divenne suocero del com. Davide Chiossone), Martino, Salvatore (questi navigò per ltre 47 anni su tutti gli oceani, anche sulla nave ‘Salvatore’ dei Dallorso; comandò lo ship ‘Martino Casanova’ attraversando l’oceano per 5 volte senza mai entrare nel Mediterraneo, tornando a casa dopo sei lunghi anni).

Bastimenti dei figli, molti  varati in San Pier d’Arena  furono:   il veliero ‘Sampierdarena’ (di 1800 t.; partita da Cadice al comando del cap. Lorenzo Canevari,  carica di sale, per Buenos Ayres, scomparve nell’Atlantico); lo ship Sorpresa’ che fu comandata da Francesco figlio in persona (effettuò in pieno Atlantico un difficile salvataggio di una nave inglese guadagnandosi una medaglia d’argento al valore, ed un cronometro d’oro con la sigla imperiale) ed anche da Martino (per viaggi nel Pacifico, sia di passeggeri che mercanzie);  ‘Bianca Casanova’ (ship divenuto famoso per  velocità,  fortuna  -tanto che era leggenda di marinai avesse stretto contratto con gli spiriti abitanti Capo Horn- e   regolarità nelle sue innumerevoli traversate verso il Pacifico. Da S.Francisco di California, portava grano in Inghilterra, ad Amsterdam ed a Genova. Lo comandò a lungo  LuigiFrancesco conquistatore di una specie di record di velocità, con gli elogi della stampa marittima); lo ship ‘Caterina Casanova’ (di 1600 t., che viaggiò verso le Indie al comando di Martino e del cap. Gaggero, pegliese); lo ship ‘Martino Casanova’ di 1200 t.; gli ship ‘Barba Luigi’

‘Ausonia Casanova’ ,’Clelia Casanova’ tutti tra i 1200 e 1400 t..

Navi della loro flotta,  non varate qui, furono: ‘Angelo Casanova’ ex Mana-Loa; ‘Luigi Casanova’ varato a Sestri.

=i fratelli Devoto  furono famiglia che nel periodo risorgimentale, essendo fedeli mazziniani, fecero costruire 4 scafi da 1000 t. coi nomi a chiave: ‘Solo’, ‘Unico’, ‘Scopo’, ‘Giuseppe Mazzini’.  Questa successione non passò inosservata e fu oggetto di denuncia al Consolato del mare che li costrinse a cambiare nome all’ultima: essi la battezzarono ‘Speranza’ che però andò perduta in un viaggio verso la Guinea. La prima fu adibita a viaggi verso Pensacola; la seconda andò perduta in viaggio verso Deal; la terza, comandata da uno di loro Luigi (che già all’età di nove anni era a navigare; ebbe una medaglia per eroici salvataggio di equipaggio norvegese)  Invece Giacomo (fu capitano del brig. ‘Nettuno’ che trafficava col Brasile); Francesco (viaggiatore verso le Indie, accompagnato dalla moglie alla quale aveva insegnato l’uso dei macchinari di calcolo nautico).  Un altro Luigi, probabile figlio di uno dei cinque, divenne un colto avvocato, esperto nel diritto marittimo, con posizione assai onorifica nel Porto genovese. Conoscitore di cinque lingue -latino, franc.ingl,ted,spagn- fu piùvolte arbitro in difficili questioni di diritto internazionale.

Lunghissimo è l’elenco -descritto da Ferrari- dei capitani di velieri, e lunghissimo diverrebbe se aggiungessimo i secondi, i  marinai e macchinisti, in un borgo che viveva sul mare. tra essi ne annotiamo solo alcuni rappresentativi per altri versi: un Mosè Galleano  che potrebbe essere della famiglia che dava toponimo ad una zona vicino alla Cella o al Campasso; Cipollina, che fabbricò ed abitò il civ. 8 di via Carzino; Giacomo Bove, a cui fu intitolata una strada.

le guerre nel 1527 il borgo fu saccheggiato dagli spagnoli sbarcati dal mare; nel 1684 quando i paesani respinsero un tentativo di sbarco dei francesi di Luigi XIV e ne subirono il bombardamento con discreti danni; nel 1797 e nell’assedio del 1800 la spiaggia era punto dei tentativi di forzare il blocco navale inglese;

i cantieri navali (Genova, da medievale a fine del 1800, non avrebbe potuto essere Genova, se anche San Pier d’Arena non le avesse fornito le navi.

--1248, 15 luglio (Regesti di valPolcev. II. Pag.240) in Genova, Oberto di Camilla confessa a Ottolino d’Alamanno d’aver speso nella costruzione della nave chiamata Bonaventura che costrusse presso Sampierdarena –e nel corredo e nelle necessità di esse- all’inizio della costruzione- £ 300 di reali coronati di Marsiglia, sborsate dalla proprie tasche.

--1254, 29 marz (Regesti vP II p.247) Vassallo Basso di Langasco promette a Lanfranco di Campomorone di fare metà dei pennoni di una galea che costruisce maestro Oberto di Giardino, e promette di consegnarli finiti sulla spiaggia di sampierdarena entro la metà di aprile prossimo venturo.

Gatti scrive “dal XV sec... il centro più importante è da tempo SPd’Arena, dove abita la maggioranza delle maestranze e che è il vero cantiere  della capitale sia per le galee private sia per le navi di maggiore dimensione...Varazze è il cantiere più attivo delle Riviere, caratterizzato da una continuità..che lo apparenta solo a S.Pier d’Arena...solo S.Pier d’Arena e Varazze hanno avuto continuità di attività costruttiva capace di sostenere gruppi di maestranze relativamente fissi alle dipendenze di un capo maestro.

Gatti scrive che nel medioevo, “le costruzioni di galee avvengono, si può dire, su qualunque spiaggia disponibile, ma soprattutto a S:Pier d’Arena e nello stesso porto della capitale” (quasi tutte private: il Comune –nella necessità- ricorreva al noleggio).  A pag 38, la stessa Gatti, vagamente accenna negli anni 1670 ad un cantiere? di demolizione a S.Pier d’Arena: una grossa nave ‘nata male’ perché -nel cantiere di varo (Varazze)- era stato usato legname non idoneo (cerro, faggio, pino, pioppo), e che marciva (mentre è più forte il rovere). La fornitura del legname, dapprima era nell’ambito della Repubblica ma ben presto ci si avvide che economicamente il trasporto poteva essere più vantaggioso anche da zone più lontane (val Polcevera, che si esaurisce nel 1650; Voltri  o Rossiglione fino al 1700; Sassello e Corsica nel 1700).

--1405, 16 gennaio: al maestro d’ascia Bertoldo de Casali, un imprenditore di Portovenere ordina per un prezzo di 165 lire una galeotta da costruirsi in 75 giorni e da vararsi a rischio del maestro, sulla nostra spiaggia. La barca è prevista lunga –da ruota a ruota- 25 goe (18,59m) e larga in coperta 11 palmi e ¼ (2,79m) ed al piano fondo 6 palmi (1,49m); avrà tre timoni: uno poppiere (detto baonense) e due latini ai lati di poppa; due banchi,  per quattro rematori a prua e per tre a poppa. Nel contratto si stabilisce che il corpo saràrinforzato da ‘quatuor bonis catenis’ ovvero bagli di ferro; il legname sarà di quercia stagionata escluso la coperta prevista di pino escluso una tavola di quercia che farà da banda presso il trincarino.

--1415,  7 maggio-Leonardo di Campofregoso  dice che al tempo del q Antonio DeGoarcho fece costruire nave in Sancto Petro arene; allo scopo tagliò molti alberi ‘in terra Sexini’ ‘pro constructione et fabricatione dicte navis que arbore valebant libras sexcentas Ianuinorum’, Cipollina Regesti di ValPolcevera;notaio FogliettaPaolo a pag. 256

--1449 18 genn. Sempre sul Regesti (II.279), si legge che Sireto da Vultabio di Genova, vende ai genovesi Barbaba e Oliverio Calvi la carena e la ruota di una nave da lui cominciata sulla spiaggia di SPdA, assieme a tutto il legname che dovrà giungere sul sito pel perfezionamento della medesima.

--Un atto datato 1472, segnala che Benedetto deMarini, cofinanziato da due Spinola (ciascuno 25%)  fa costuire ‘balenierum unum, sive navem unam’ (il baleniero nel medioevo, era una lunga nave a remi, di origine basca)

--1571 riporta O.Grosso che Gerolamo Sambuceti maestro di navi (ebbe due figli, Leonardo e GioMaria, anch’essi intagliatori) e Niccolò di Pelo si occuparono della poppa della Real Galera messa sullo scalo di Sampierdarena per il re di Spagna, a somoglianza di quelle dei Lomellini e degli Spinola

--1599 una galea pubblica, è incaricata di prestare aiuto ad una nave pronta a vararsi, tirandola dal mare verso l’acqua (‘auxilium in deducenda navi confecta in litore Sancti Petri Arene’).

--Nello stesso anno -a marzo- è in via di completamento un galeone -ordinato il 15 novembre di due anni prima- da Cesare Lomellini, pagato 78.800 lire. Il  ‘faber ferrarius’ Battista Ratto (figlio di Defendino, anche lui fabbro ferraio) si impegna a consegnare per settembre elementi in ferro necessari per il timone (‘fulcimenta ferrea que erunt necessaria per fulciendo timone’); la nave sarà battezzata San Francesco da Paola

--nello stesso periodo, 1582 i calafati erano riuniti in associazione, guidata dai maestri  che sceglievono a comandare quattro consoli (2 di Genova, uno di SPd’A, uno di Camogli)

--1627, 19 febbraio: viene ordinata la costruzione di un galeone dagli eredi di Giacomo DeMarini. Poiché dovevano esserci altri scafi in cantiere, questo è precisato essere ‘primus in ordine existens a parte occidentalis, prope (davanti) palatium  m.ci Georgii Grimaldi..

--1632 il magistrato dell’Arsenale propone finanziare otto galeoni da 2000-25500 salme (475-600 t), da poi affittare a privati in cambio di un 5% annuo delle spese sostenute: di essi le due maggiori da far costruire sulla nostra spiaggia.

--negli anni 1675 lavorava ad una nave del cap. Viviano imprenditore, il maestro d’ascia settantenne varazzino Antonio Fava fu PietroGirolamo ( Fava,  fu una famiglia di maestri d’ascia)

--1723: il marchese Antonio M.Montanari fa costruire una fregata -ad uso mercantile-, chiamata Santa Maria e  che sarà comandata da Antonio M.Rolla.

--1729 viene citato il maestro Tixe Michele, che costruisce una nave

--1788 vieve costruita una nave a S.Pier d’Arena, battezzata ‘Santa Maria degli Angeli’: per costruirla erano stati necessario del legname (al prezzo di lire 3 al piede), comprato a SestriP e portato sulla spiaggia per mezzo di carri; il cantiere ne aveva ordinato 1800 piedi per farne altre due, la ‘Pace’ e ‘la Speranza’. Erano capo maestro il sessantenne GB Briasco fu Francesco, ed il trentaduenne maestro d’ascia Francesco Savignone di Giuseppe.

Si segnala che nel 1830 ancora ma unica fu varato una bombarda sulla nostra spiaggia, probabilmente di tonnellaggio di poco inferiore a 100t.

Lungo -e forse sterile- l’elenco dei nomi di sampierdarenesi;  ma  si ricordano quelli dei Coronata; Boccacci; Dapelo; Sambuceti;     

--delle società Torriani;  Wilson Maclaren;  la soc. Ansaldo (praticamente per ultima, prima di trasportare tutti i cantieri a SestriP.); la Coop. di Produz;

i famosi bagni descritti in via San Pier d’Arena e Colombo;

i pescatori  ed  i minolli (descritti ai corrispondenti nomi), gli artigiani (storicamente ricordati gli intagliatori del legno, necessari sia per costruire le navi sia per abbellirle; ed i fabbricanti dei mezzeri) e le piccole industrie.  

 

 la dicitura descrive “ la strada di accesso e la zona da colmare, a ponente del bacino XXVIII  Ottobre”

Il porto.   Da quando Genova era lentamente riuscita a sottomettere tutta la Liguria e creare una Repubblica, di formato regionale ma stabile, una delle prime leggi medioevali -ribadita poi nel 1440- fu la eliminazione di ogni attrezzatura portuale lungo la riviera al fine di costringere le comunità a far entrare o uscire le merci solo dal suo porto, ove pagarvi i dazi (è storia, la lunga controversia con Savona e la sua recriminazione verso ‘l’egoismo genovese’, giustificato solo da prevalenti preoccupazioni militari a carattere difensivo, e non solo per i pirati dal mare quanto dalle mire espansionistiche dei piemontesi e dei francesi)

Già nel 1550 Leandro Alberti scriveva che «egli è tutto il lito de’l mare di questa regione da Monaco infino al principio di Thoscana senza porto, benché ritrovinsi alcuni piccioli luoghi disposti a ricevere li navighevoli legni, non però ivi si possono fermare alle ancore».

   Rincara la dose all’inizio del seicento Andrea Spinola che, nel descrivere gli approdi nella riviera ligure, pur premettendo che «La parola di porto  io qui prendo largamente. Di maniera che ogni seno, o sia cala dove i vascelli hanno riccetto sicuro dalle tempeste, io voglio intender che sia porto». Della nostra San Pier d’Arena neppure un accenno; e per lui ed a quell’epoca, da Genova sino a Savona, il vuoto.(E riconoscere a posteriori che questa politica permise di non costruirne uno a Portofino lasciandocelo abbastanza ‘naturale’, è sufficiente a farci esclamare ‘benomale!’).

   Non è da poco riconoscere che costruire un molo e mantenerlo in funzione, per un piccolo centro come il nostro, era sicuramente una operazione fallimentare. Così, se si sfruttavano appendici naturali per favorire un approdo, sino agli anni 1930 non si può parlare di porto.

   Questo ovviamente favorì altro sfruttamento della marina, modesto perché di minima portata ma più vicino alla alacre imprenditorialità dei cittadini locali (come il commercio dell’olio) e tale per cui tutte le attività nei secoli mai furono nella misura di rubare alla popolazione tutto il percorso litoraneo, ma lasciavano ampi spazi perché essa godesse quella meraviglia che madre natura aveva regalato  e che tutti gli scrittori anche stranieri venuti verso Genova, descrissero con stupore ed invidia.

 Così era nel 1800, quando incrementata la popolazione nacquero più capaci cantieri navali, alternati da sedi di ritiro delle barche dei pescatori (la lunga spiaggia era divisa in ‘territori’ di lavoro, sia per le barche che le reti : alla Coscia i famigli del ‘Caporale’; alla ‘scûggiâela’***-accanto ai cantieri Bertorello-,*** le famiglie Cabella, i famigli di ‘Moetti’, ‘Ballin’, ‘Xinne’ ; alla Giunsella  i Ricci, detti ‘frae Gillo’; al  Comune i Morando della Natalinn-a; alla Creusa di bêu i fratelli Volpino. I veri nomi con cui erano conosciuti, erano in realtà i propri soprannomi : Lasèn, Ostin, Angin u scrolla, Ballon),  e a fine secolo infine dai bagni.

   Quindi, sino ancora l’anno 1928, al posto della strada lambivano le onde del mare sulla spiaggia a ciottoli e sabbia; e nelle sciroccose giornate di mare mosso le ondate arrivavano ad invadere le case erette a monte della via C.Colombo (via San Pier d’Arena).

 

 

 

 

 

 

    In aprile di quell’anno, su progetto già presentato da Coen Cagli nel 1919 e riveduto nel 1926 dall’ing.Albertazzi, riguardante il bacino che avrebbe coperto la spiaggia di San Pier d’Arena sino al Polcevera ( che prese il nome di bacino XXVIII Ottobre) l’ammiraglio Umberto Cagni diede il via al porto facendo  iniziare dapprima la costruzione della diga a difesa, chiamata “ principe Umberto “ e lunga 1850 metri.

   Nel sett.1929 successe alla direzione del porto l’ammiraglio marchese Negrotto Cambiaso; questi proseguì il progetto sino al 1942, facendo costruire i cinque grandi ponti sporgenti obliqui -lunghi 400m, larghi 130m i primi due e 150m gli altri, intervallati dalle calate: da levante,  ponte Etiopia (1928-31,  metri 283 a levante e 391 a ponente ) - calata Massaua (m.160) - ponte Eritrea (1930-9 , m.392)- calata Mogadiscio (m.160)- ponte Somalia (1930-9 , m.397) - calata Tripoli (m.157) - ponte  Libia (completato dopo il conflitto, m.390 ) - calata Bengasi  (m.157) e ponte Carlo Canepa (1930-9 , m.173 a levante, 397 a ponente) - calata  Derna (m.214), sino al molo Ronco (m. 260) sul margine di levante del torrente.  Così in pochi anni si realizzò la distruzione della parte più significativa della  nostra città, enfatizzati dal trionfalismo di chi –di SanPierd’Arena- non gliene importava più di tanto.

   Nello stesso periodo era stata sistemata a terra  la rete ferroviaria, sia in via P.Chiesa e via C.Colombo.

  Durante il conflitto 1940-45, fu ovviamente un obbiettivo dei bombardamenti: ma personalmente non trovo sufficiente spiegazione se non nella logica del terrorismo, nell’impiego di parecchie migliaia di bombe scaricate su Genova e - di esse - le più, indirizzate sulle case dei cittadini piuttosto che su obbiettivi industriali o militari (Ansaldo e ferrovie per esempio, ed il porto stesso); infatti – bene o male - il porto continuava a funzionare.

Secondo grave pericolo fu vicino alla fine del conflitto quando, per ordine di Hitler il porto doveva essere distrutto: furono piazzate mine per lo scopo, che però non furono fatte saltare per intervento di numerosi fattori: in primis le alte gerarchie militari tedesche non più ciecamente disponibili ad obbedire al fuhrer e - sottoposte a pressioni sia dei comandi fascisti, della Chiesa, delle SAP e delle Brigate partigiane (la zona portuale dipendeva dal Comando Piazza Centrale agli ordini del maggiore Mauro Aloni (chiamato ‘Violino’) politicamente indipendente) - usare l’annullamento dell’ordine come merce di scambio per la propria incolumità di fronte alla evidente imminente disfatta.

   Nel 1950, presidente del Consorzio il generale Filiberto Ruffini, fu sistemata con criteri più solidi la recinzione doganale del bacino, con l’erezione del muro con rete, che ha una logica economica, ma a noi  sampierdarenesi ha eliminato definitivamente qualsiasi accesso al mare.  

   I lavoratori sono prevalentemente occupati nelle operazioni da “camallo”: tutto arrivava in sacchi che, attraverso l’uso di un apposito gangio che fieramente ed a simbolo del proprio lavoro portavano appeso alla cintura; con esso agguantavano il sacco per porselo sulle spalle, per il trasloco. Era divenuta consuetudine che alcuni sacchi si rompessero ed era divenuto quasi naturale servirsi del versato. “O loua in to porto” era sinonimo di arrangiarsi, prelevando radio, giradischi, giubbotti, magliette, babane e caffè, e quanto arrivava o partiva. A capo dei camalli, Console della CUMV (Compagnia Unica Merci Varie) era Paride Batini, nostro concittadino perché abitante prima al Fossato, poi in via Ronco. Solo l’uso dei container interruppe l’ “usanza”-.

   Il percorso del ‘lungomare’  è quindi sancito non essere più parte della delegazione, ma è terra demaniale, quindi di proprietà del CAP: il confine di proprietà del Consorzio è tracciato ed inciso su grosse lastre per terra, sul lato a mare di via Sampierdarena.

   Però è soggetta a pubblico e libero transito dei cittadini: diventa così una ‘strada vicinale’ cioè tra città e porto.

 Da qui l’equivoco delle competenze (illuminazione, manto stradale, segnali, controllo posteggi abusivi ecc.) tra il demanio marittimo consortile proprietario, ed il Comune usufruttuario. Complica le responsabilità la ferrovia che ovviamente vanta dei diritti propri poiché sui binari transitano convogli in manovra dal porto all’esterno (e che attraversano obliquamente la strada, laddove –se dovessero persistere- penso basterebbe dirizzarli sul lato mare, liberando la strada da un pericoloso incrocio). 

   La cinta portuale funge da confine a sud, della città di San Pier d’Arena; e la via rappresenta il “fronte del mare”.

   Il piano regolatore del 1997 per questa strada prevedeva sei corsie (3+3) a scorrimento veloce, raccordamento con autostrada,sopraelevata e vie del Polcevera, risanamento da parte del Comune della sfilza di edifici laterali più o meno fatiscenti

   Nel 2003 è ancora tutto fermo; la strada che dovrebbe continuare sino all’aeroporto, prevede un ponte nuovo sul torrente, nuova collocazione dei binari, proseguire dentro l’attuale area dell’Ilva di Cornigliano utilizzando corsie anche sotto gli Erzelli; ma le vicende legali tra Riva – proprietario dell’acciaieria - e gli altri enti, minaccia di far slittare i finanziamenti  (78milioni di e.) per l’opera, già approvati.

   Finalmente a maggio 2005, accordati con Riva - e da lui ceduti a Cornigliano 10mila mq (previo indennizzo di 2,15 milioni di euro che dsaranno pagati dall’Anas)- si darà via ai lavori per  formare i by-pass per i camion in direzione Rivarolo; un nuovo ponte sul Polcevera al posto di quello “del Papa” per approdare sulla banchina di Cornigliano dopo bonifica (nel 2008 hanno distrutto -con un boato da esplosione- il vecchio ponte; Lungomare allargato a otto corsie dopo aver trasferito (espropriandole d’obbligo e respingendo le istanze di ricorso) le trenta aziende ospitate ai lati della strada; la cinta del porto che si sposterà di due metri verso monte (per consentire un riuso ed allungamento della ferrovia nello smistare con quel mezzo i contrainers).

   Tutte belle teorie, nel 2008 molto spesso presentate sui giornali, ma ancora non realizzate, a parte l’abbattimento del ponte.

     Mi rendo conto che il mio pensiero, avverso al cemento invasore, viene espresso con parole nostalgiche che servono a poco o nulla, essendo gli interessi – allora ed ancor oggi - molto alti e necessari (il primo, che tappa la bocca a chi come me ‘mugugna’, è il lavoro). Ma, utilizzando parole di Maggiani,  cerco – e non trovo - altri motivi e  giustificazioni all’esproprio di beni che (non appartengono alla ‘città’ né allo Stato con i suoi dirigenti politici, ma) sono della ‘comunità’,  ed all’installazione di industrie (che si sono sempre dimostrate insensibili alle bisogna ambientali del popolo –ricordate le polveri rosse dell’Italsider e guardate come, crescendo la popolazione- hanno costruito case senza rispetto dei servizi, e quindi poco rispetto della comunità). Le risorse paesaggistiche e quelle naturali in genere, le intrinseche bellezze  che sono le spontanee risorse di una città  (nonché la parte più redditizia e preziosa di sé, rappresentanti una unicità mondiale)  erano da tutelare ed abbellire e non da distruggere in modo non rinnovabile. Ciò che è stato distrutto non è più risarcibile in moneta di natura (il contatto diretto col  mare, per primo) e nessuno riesce neanche a chiedere i danni. Ma quello che più mi infastidisce è quella massa di popolo, a cui in contrapposto competeva la responsabilità di conservazione e di non sottostare alla speculazione, e che invece ha partecipato attivamente alla distruzione, nella più becera servitù del padrone al quale mentre gli leccava le mani dall’altra doveva strappare, con profonde avversità, un bricciolo di benessere.

Propongono il turismo come risorsa produttiva degli anni 2000: ma cosa possono proporre a ponente della Lanterna? Nulla! Ed è forse per questo che per Tursi, Genova finisce alla Lanerna  e quello che c’è dopo è come una latrina: da tenere chiusa la porta e non fare vedere.

 

DEDICATA

al politico socialista - e forse, così si legge, anche massone -, nato a Diano Marina  (IM)  il 15 mar.1865 da famiglia agiata e colta. Laureato in legge all’università di Roma.

   Come giornalista nel 1884 era scrittore sul periodico genovese “l’Era Nuova”, organo del partito socialista di cui fu poi direttore fino al 1888 e con il quale collaborò anche Pietro Chiesa. Fondò ad Oneglia nel 1893 il settimanale “la Lima”;   divenne fondatore (nel 1903) e direttore (fino al 1938 89.476 dice 1922) del quotidiano genovese tutt’ora in edicola “ Il Lavoro”. Riuscì a preservarne l’autonomia anche nel burrascoso periodo fascista, quando la stampa non godeva più di libertà di scrittura.

   Interventista, con l’ideale di partecipare alla “libertà del mondo, pensiero costante col quale nessuno può essere pusillanime”,  partì cinquantenne come tenente volontario di complemento nel 90° fanteria alla prima guerra mondiale e il 15 ott.1915 fu ferito sull’Isonzo (nelle stesse battaglie sul Mezrli, dove aveva perduto la vita l’atleta Dante G.Storace) ricevendone una medaglia d’argento al VM.

   Come politico,  acquisì particolari alti meriti divenendo, per spontaneità, uno dei precursori del socialismo; idea maturata nella consapevolezza del dramma sociale esistente (L’Italia era fatta, ma era stata creata da Mazzini, Cavour, Garibaldi e VEmanuele, senza la partecipazione attiva del popolo, delle masse contadine e operaie le quali se ne sentirono staccate d’interesse anche perché all’unità monanrchiaca si associava ad un non malcelato anticlericalismo profondamente avverso alla base. La plebe era rimasta nella miseria materiale, culturale e morale di prima; anzi, nei primi tempi, la ricerca di stabilità  statale creò maggiori pressioni mal tollerate dal popolo (questa era stata una delle ragioni della sommossa genovese di trentanni prima; ma nulla era cambiato nel frattempo).  

   Sua missione divenne quindi innalzare  il popolo italiano al fine di inserirlo nella madre patria: col riformismo, organizzando gli operai (assieme a P.Chiesa, S.Canzio), tipizzando le idee sul ‘Lavoro’ (i suoi scritti, a fianco di quelli di Salucci, Caveri, Pellegrini  rivelarono la particolare bravura nell’esporre idee chiare e semplificatrici, nel porlo per tre lunghi lustri quale dominatore della vita politica genovese).

Nella pratica fece parte del Consiglio comunale della sua città, e poi di quello provinciale di Porto Maurizio;  si prodigò per superare la crisi economica seguente il terremoto del 1887. Nel 1894 (13 e 14 maggio) organizzò assieme a P.Chiesa ed altri, il primo congresso socialista ligure, tenuto a San Pier d’Arena, in cui lesse una relazione sull’occupazione operaia e contadina.  Candidato al Parlamento,  non rimase eletto per le prime quattro volte tra il 1895 e 1904; divenne poi deputato dal 1909 per 4 legislature, fino al 1926 (ricoprendo incarichi di sottosegretario all’agricoltura e commissario generale per gli approvvigionamenti  e consumi, nel 1917); nel 1911, in occasione della guerra libica, dapprima fu anticolonialista, poi si dichiarò favorevole (il fatto fu definito “revirement di Canepa”).

Partecipò fin dal suo sorgere, al Partito Socialista Riformista (Reggio Emilia 1912) di   cui  fu  solerte  propagandista: alla camera nel febb.1923 lesse una relazione - a nome del Partito Socialista Unitario - di opposizione al corso politico nascente fascista per cui subì poi violenze multiple (casa incendiata e saccheggiata, estromissione dalla vita parlamentare, processi e confino).

Alla fine della seconda guerra, sulla ottantina, aiutò gli amici partigiani andati in montagna; divenne dirigente del movimento “per la difesa delle nazionalità oppresse”;  partecipò all’ Assemblea Costituente nel 1946; fu eletto senatore nel 1948, anno stesso della sua morte, avvenuta a Roma il 22 dicembre, in seguito ad una caduta mentre correva al Senato ove si sarebbero discussi importanti interessi liguri.

A suo nome è stato chiamato anche un ponte nel bacino di San Pier d’Arena largo 150m, inizialmente concesso alla soc. Ansaldo per allestirvi delle navi.

 

 

BIBLIOGRAFIA

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-Gazzettino S.   :   4/72.15  +  7/73.1.2  +  6/79.4  +  5/78.19  +  2/82.8  +  6/84.12  +  1/86.6  +  6/86.13  +  1/87.1  +  8/87.11  +  4/89.9  +  9/90.3  +  1/91.1  +  4/92.7  +  7/94.8  +  4/96.7  +  7/97.4  +  2/98.5  +  4/98.4  + 05.02.13 + 01/03.5 + 10/03.3 + 04/04.5 + 08/04.6

-‘Genova’ Rivista municipale: 10/37.53foto  +

-Genova e Liguria-Dove e chi-2000.pag.72

-Grosso O. -all’ombra della Lanterna-Erga 1968-pag. 94

-Guida del porto di Ge.Pagano.1954. pag.34.68

-Il Lavoro , quotidiano: 27 sett.79

-il Secolo XIX : 20.8.97 + 21.11.99  +  13.10.00  +  15 e 21.12.00  + 18.7.01 + 23.12.02 + 11.1.03 +  08.02.03 + 14.02.03 + 07.03.03 +22.03.02  + 26.03.03 + 29/03/03 + 14.04.03 + 16.04.03 + 04.05.03 + 26.9.03 + 31.11.03 + 25.1.4 + 2.2.4 + 18-30.4.4 + 3.5.04 + 1 e 17.5.05 +

-Lamponi M.-Sampierdarena-LibroPiù.2002-pag. 41

-Pagano/1961-pag.119.445-467

-Pero PA.-Il fossato, la sua gente…-SES.2005-pag.65

-Poleggi E. &C-Atlante di Genova-Marsilio.1995-tav. 33.49.50.51  

-Ragazzi-Teatri storici in Liguria-Sagep.1991-pag.475


 

CANEPA                                       vico privato (Canepa)

 

 

Nell’elenco delle strade del 1910, si fa notizia della sua esistenza, con il nome Canepa messo tra parentesi e senza specificazione della persona, esteso tra via Umberto I (via W Fillak) e via U.Bassi (via Vicenza).  Dovrebbe corrispondere quindi alla attuale vico L.Stallo.

Subito dopo questa data, la proposta di questa titolazione del vicolo fu annullata.

BIBLIOGRAFIA

Archivio Storico Comunale


CANTORE                                                  via Antonio Cantore

 

 

TARGHE:

S.Pier d’Arena-via-Antonio Cantore-Generale Alpino-Medaglia d’oro al V.M.-1860-1915

via - Antonio Cantore – generale alpino – medaglia d’oro al V.M. – 1860-1915

 

 

 

 

                                                       

angolo con via s.Bartolomeo del Fossato (?)

 

                

angolo con via Pittaluga                                                   

 

 

facciata del civ. 31A.

 

angolo con rientranza ‘dalla sbarra’ presso Calderoni

 

 

a fine strada, angolo con via G.B.Monti

 

 

QUARTIERE  ANTICO:  Mercato-Comune e Coscia

Ipotetico tracciato di via A.Cantore. Da MVinzoni, 1757. rosso via CRolando; giallo, via NDaste; celeste via LDottesio; fucsia via sBdFossato.

 

N° IMMATRICOLAZIONE:   2742      CATEGORIA: 1

 

 


 

 

CODICE INFORMATICO DI STRADA - n°:   11640

 

 

UNITÀ URBANISTICA: 25 – SAN GAETANO

                                           26 - SAMPIERDARENA 

                                           27 – BELVEDERE

                                           28 – s.BARTOLOMEO

in giallo via P.Reti; rosso lato levante di piazza N.Montano; fucsia inizio via A.Cantore a Genova. Da Google Earth 2007

CAP:   in territorio sampierdarenese 16149

PARROCCHIA:   dal 7 al 17 + dall’8E al 24 = s.Maria delle Grazie 

--dal 15 al 35 + dal 26 al 62 = s.Maria della Cella 

--dal 37 al 51 = NS del ss.Sacramento.            

STORIA:   dai vari piani regolatori dell’inizio secolo 1900, era prevista l’apertura di una nuova strada che collegasse Genova al ponente ed alleggerisse il traffico, sopportato solo da via C.Colombo (via San Pier d’Arena) e da via Vittorio Emanuele (via G.Buranello). Si prospettava o una nuova galleria, o lo sbancamento del colle di san Benigno; la prima idea appariva la più logica e più facilmente adottabile con i mezzi di allora, perché il colle stesso era già stato ripetutamente traforato  per le vie ferroviarie e tranviarie.

   Riemerse il progetto nel 1920, sia quando si progettò che la strada doveva essere “molto larga e fiancheggiata da costruendi palazzi ‘signorili’ con portici - salvo ovviamente quelli preesistenti -; e sia in concomitante progetto di un elemento nuovo entrato in fase esecutiva: il riempimento portuale; questo fece decidere definitivamente per lo sbancamento.

   Malgrado le evidenze, soprattutto legate all’aumento vertiginoso della popolazione e del traffico, un vero piano regolatore stentava a decollare: ancora nel 1924 si discuteva tra una grande arteria centrale larga 24m (con una quota di strada in salita - nel taglio di san Benigno - per superare di almeno 11 m. le gallerie sottostanti del treno) o una circonvallazione a 40m slm.; nell’aprile 1925 il piano regolatore generale studiato dall’ing. Pietro Sirtori venne approvato (con in più un’altra grossa arteria a mare), ma l’assorbimento nella Grande Genova del 1926 fermò ogni iniziativa e rese ancora  tutto vano; l’ing. Luigi Connio, trasferito da SPd’A a Genova, seguì le fasi evolutive del P.Regolatore, mentre l’assolutismo fascista ribadiva chiaramente, a scapito della nostra piccola città, l’idea dominante di una Grande Genova ed un grande porto, ma con priorità del centro rispetto la periferia destinata all’industria pesante e quindi all’ovvio degrado (quest’ultimo  fece scomparire il nostro arenile, coperto da 2 milioni di roccia, sbancati dalla collina  per poter aprire il diaframma che per secoli era stato il preciso confine tra le due città).

   Così, solo nel 1930 si riprese il progetto, vedendo interessati per la grande importanza dei terreni attraversati, oltre all’amministrazione civica, anche quella portuale, ferroviaria, militare e privata: foto di quell’epoca dimostra i lavori di ‘gettata’ della strada con il pietrame basale, percorsa solo da un carretto mentre nella piazzetta retrostante la villa Scassi, alcuni ragazzi eseguivano esercizi di ginnastica scolastica.

   Finalmente approvato, il progetto verrà reso operativo nel 1934 anche se nel frattempo erano già stati realizzati alcuni tratti della nuova strada centrale, alcuni anonimi come titolazione, di cui il primo fu alle spalle poco sopra e sotto della villa Scassi, chiamato via G.Carducci e, con palazzi ai lati, però non muniti dei portici previsti approfittando del piano regolatore non  vincolante perché non ancora approvato.    Il primo tratto,  iniziante in san Teodoro da via Milano (con varianti, demolizioni e nuova costruzione dell’angolo a levante) fino all’incrocio con via Chiesa delle Grazie fu realizzato d’urgenza dal Comune appunto sfruttando l’antica cava della Chiappella e con ulteriore sbancamento del colle; e fu inaugurato nei suoi 1000 metri nel 1935; questo,  passando davanti al novello piazzale della camionale (finanziato dallo Stato), fu allacciato al tratto già pronto che arrivava sino all’incrocio con via Masnata (villa Serra-Doria-Masnata) lungo 350m.: nell’ottobre 1935 gli abitanti di questa via ricevettero l’ingiunzione di sfratto da effettuarsi in quindici giorni perché il palazzo, detto ‘gemello’, il civ.2 era “compreso fra quelli da demolirsi”; i due tratti uniti mantennero il nome di via Giosuè Carducci.   Quindi, nel 1935, su 1750 m. complessivi, ne furono aperti ed ultimati 1530 m., essendone già pronti altri 180 m. ancora più a ponente).

Il 19 agosto 1935 il podestà deliberò che la strada si chiamasse “via Antonio Cantore”.

   Alla fine del 1936 (anno XV dell’E.F.) rimanevano ancora due interruzioni - dovute alla presenza lungo il tracciato di edifici e terreni da espropriare e demolire: uno di circa 80 metri, costituito dalla proprietà Ronco e dalla ‘casa rossa’ (al quale seguiva verso ponente un tratto di 100 m già pronto dall’anno prima). La seconda interruzione era di 140 metri costituita dall’Oratorio della Morte e Orazione (rilevanti difficoltà furono trovate  dovendo abbattere l’Oratorio per la sua natura e le speciali leggi che lo proteggevano e vincolavano;  richiese pratiche più complesse per i vincoli della Chiesa e relativi Patti firmati da poco) e da alcune vecchie case vicine poste ai due lati dell’erigenda strada (Gli ultimi 80 metri, davanti alla villa Carpaneto erano già stati liberati e pronti, conservando alcune piante ornamentali nelle aiuole divenute spartitraffico; e con l’augurio che le Ferrovie dello Stato rifacessero la stazione - come da noto progetto - e portassero a livello stradale l’entrata, ed eliminando così la rampa d’accesso).

   Tutto, venne completato l’anno dopo: il 15 mag.1938 la strada fu inaugurata ufficialmente con, nel pomeriggio, una grande sfilata militare in occasione della visita di Benito Mussolini alla città: in contemporanea fu completata l’illuminazione delle strade.

   La decisione finale venne ratificata il 23 giugno 1939 quando fu delimitata definitivamente tutta la nuova strada, da via Milano-di Francia a piazza N.Montano (denominando: via Milano il primo pezzo di strada da DiNegro, che  anch’esso inizialmente aveva avuto il nome unico di via A.Cantore; dopo la guerra si procedette anche alla distruzione delle case nell’incrocio a levante con via Milano, guadagnando per entrambi le strade un allargamento).

  Il lavoro (costruzione della sede stradale, impianto di fognature, marciapiedi comunali, pavimentazione a massicciata e coperta da bitume, diversa dalla laterali coperte in masselli di granito) fu eseguito dall’impresa Torriani e diretto dall’ing. cav. GianLuigi Connio; comportò, solo nell’anno XIV, la spesa di 850mila lire.

   Divenne così la strada principale della delegazione, scalzando dal ruolo la lunga e tradizionale via N.Daste. Per la sua realizzazione sono stati sacrificati orti e giardini vari: la testata del colle di san Benigno; via san Bartolomeo del Fossato; giardino di villa Spinola; taglio dell’accesso alla villa DeAndreis-Menotti (l’attuale via alla Chiesa delle Grazie); di via Imperiale e giardino della villa Scassi; giardino-orto di villa Doria Franzoniane; taglio di salita s.Rosa; giardino villa DoriaMasnata; viale accesso a villa Ronco; palazzo gemello di via Masnata; giardino di palazzo Bonanni (a me sconosciuto); taglio di corso dei Colli; giardini di villa Serra-Doria-donDaste; Oratorio dei Morti e Orazione; case delle vie NBixio, Mercato e piazza capitan Bove; giardino di villa Centurione-Carpaneto.

   Via Cantore è stata per anni (1970-2000 circa), mèta naturale delle ‘vasche’, ritrovo mondano dei giovani basato sull’andare e venire sotto i portici, a ‘cicaleggiare’ o ‘tallonare’ ed imparare i nuovi gerghi ed usanze.

   Ma  è anche la strada più ‘trafficata’ di tutte: nell’ottobre 69 e nelle ore diurne ( h.7-21) diede passaggio a  31.300 veicoli al giorno.   Il 2001, nell’occasione dell’incontro politico internazionale denominato G8, insieme alle diatribe ideologiche, portò dei soldi che permisero la riqualificazione della strada: con la spesa di 1,555 milioni, e quattro mesi di lavori, furono rifatti l’impianto di illuminazione (136 bracci con lampada ad alto rendimento), il manto stradale, le aiole spartitraffico (con annaffiamento automatico e nuove sempreverdi). In quell’anno oltre settanta commercianti diedero vita ad una idea di ‘centro integrato’, detto CIV (facendo nascere un consorzio chiamato ‘via Cantore e dintorni’; ossia iniziative atte ad accompagnare sotto i portici le distrazioni (musica, sport, banchetti, dei passanti).

STRUTTURA :

  Iniziando da est, da via di Francia e da via Milano, appartiene a san Teodoro  sino ai civ.neri  3 ed  8a; non esistono il 5 e l’8b). Entra in territorio sampierdarenese, in corrispondenza dell’ex fianco di ponente della collina di san Benigno: dall’ 8c al 62 e dal 7 al 51, fino a piazza Nicolò Montano.

In tutto è lunga 1652m, larga da 21 a 24m; raggiunge una pendenza del 4%.

   Appare servita sia dall’acquedotto De Ferrari Galliera che Nicolay.

   Disegnata a sei carreggiate, con aiuole spartitraffico munite di cespugli ornamentali ed antiabbaglianti, conta otto interruzioni al traffico veloce tramite altrettanti semafori non sincronizzati. Inizialmente fu disegnata anche una corsia preferenziale per i mezzi pubblici, con parcheggi a limiti orari ma continuamente disattesi dalle auto in sosta. Le periodiche e necessarie possibilità di svolta laterale, fanno sì che le corsie non hanno linearità continua, ed obbligando i mezzi a zig-zagare o strombazzare per pericolosi cambi o per errore di corsia, rallentando la marcia (che, in contrapposto, se tutta diritta, potrebbe divenire troppo veloce e causa di più  incidenti mortali di quanti già avvengono, con tanto di mazzi di fiori finti attaccati ai piloni centrali o ai palazzi).

  

CIVICI

2007=UU25* (solo lato monte, dall’angolo di corso LMartinetti all’angolo con via GBMonti)

                              NERI   = da 41 a 51 (escluso 49)      

                       ROSSI = da 153 a 277 (compreso 219ab, 265a, 267a)

          =UU26  (solo lato mare)

                       NERI   = da 26 a 50 (compresi 30ABC, 32A, 62???)

                       ROSSI = da 92r274r (mancano 128r→132r, e 152r→162r. Compresi 134ABr; 182Gr e 200Ar)

             =UU27 (solo lato monte)    

                              NERI   =   da 17 a 39 (mancano 25, 27. Compresi 29ABDF e 31A)      

                           ROSSI =  da 69r a 151r (compresi 75Ar→Lr, 87Ar, 109Br, 133ABCFGr, 135 Ar→Gr)

            =UU28 NERI  = da 7 a 15 (manca 9. Compreso 11A)

                                     da 8C a 24   (compresi  8EFGH)

                      ROSSI = da 9r a 67r (manca 11r e 33r. Compresi 29Ar→Gr, 31Ar→Er, 33Ar→Fr, 67Ar→Dr)

                                                  da 26r a 90r (manca 30r, 32r. Compresi 34Ar→Or, 44Ar→Qr, 46Ar, 52Ar, 82Br).

(RIASSUMENDO:

NERI dispari da civ.    7→15=uu28;           17→39=uu27;                                         41→ 51=uu25.

          pari     da civ . 8C→24=uu28;                                               26→50=uu26.

ROSSI dispari da civ 9r→67r=uu28;      69r→151r=uu27;                                    153r→277r=uu25

            pari    da       26r→90r=uu28;                                         92r→274r =uu26)

   Dai dati sopra rilevati, come costruzioni, San Pier d’Arena inizia a levante, con civv. neri 7 e 8C; e rossi,  9 e 26.  

   Dal Pagano 40 si rileva: ‘da via Milano a via Martiri Fascisti’; civici neri a privati e, al civ. 16, la chiesa evangelica Valdese; 31, asilo infantile M.Mazzini e la r. scuola di avv. N.Barabino; 32, Banca d’Italia; 34, assoc.naz.Combattenti; 42/4 ist. Palazzi scuola privata;  civici rossi sino ai civv.226r e 277r (in particolare al 51 farmacia Saglietto; 165, Gragnani torref caffè; 210 casa d’Aste e Galleria; tra tutti 10 commestibili, 8 parrucchieri, 7 vinai, 5 fruttivendoli, 4 macellai e latterie, 3 bar, 2 trattorie, ecc.

   Nel Pagano 1950 vengono segnalati cinque bar: 44r di Quasco M.; 72r di Appino C.; 76-80r bar Miro; 124r di Fochi F.;  180-182r di Ricci D.;  un chiosco, di Brusasca Giuseppina. Nessuna osteria né trattoria.

   La nuova denominazione di strade laterali  come via G.Pittaluga, portò nel 1954 alcune variazioni numeriche nei civv., con scomparsa dei 11a e 11b; di via LaSpezia nello stesso anno, dei civv. 25, 25a, 27; di via N.Ronco nel 1966, con scomparsa dei 33 e 35 abcd; (via G.Pedemonte nel 1973 non apportò modifiche numeriche); acquisizione del 31a dalla eliminazione (1960) di via Masnata .

   Furono assegnati a palazzi nuovi : l’ 8e (1953) ; 8gh (1970) ; 11 (1953) ; 29a (1951) ; la scala A del 30 (1955); 30b (1972) ; 30c (1988) ; 31 (1995) e 31b (1964) ; 35 (1968) ; 50 (1954)  ; furono invece demoliti il 9a (1954) ; il 35 (1964) ; dal 50 al 58 (1954) ; 60 (1961).

 

   Percorrendola dal piazzale della Camionale, troviamo:

A MARE

===civ.  non segnato. Se fosse 8B, per il Comune, è collocato in s.Teodoro. Corrisponde al distributore di benzina ERG: nato dopo un lungo contenzioso con il precedente gestore di lavaggio auto e distribuzione di benzina, di cognome Valente, che dopo lunga diatriba fu sfrattato ed andò a porsi di fronte al palazzo Lancia con solo più moderna attrezzatura di autolavaggio. La Erg è stata la prima in città a rifornire le auto con una organizzazione fai-da-te alla distribuzione e  centralizzata al pagamento.

Inizia la UU28-san Bartolomeo.

===civ 8C è il Novotel. Unico hotel a 4 stelle esistente in Sampierdarena, posto di fronte all’uscita dell’autostrada (quando purtroppo, per colpa del nome dato ad essa, abbiamo perduto l’identità venendo chiamati con l’orribile nome GenovaOvest). Recente costruzione monovolume  di nove piani in stile moderno tutto vetri, sorta nel 1993 per conto di operatori cittadini della soc.‘Fortune’ del gruppo Gadolla: 224 camere, tutte matrimoniali; l’interno è semplice e prevale il bianco, con frequenti  quadri e serigrafie di autori moderni; un piano è pressoché adibito a sale per raduni, attrezzature congressuali, ristorante. Come onere urbanistico l’impresa ha dovuto costruire il passaggio passerella aerea coperta, a ‘bruco’, di collegamento tra via A.Cantore-Matitone raggiungibile mediante ascensore e v.D.Col; più un autosilo nella sottostante via di Francia, libera a tutti i cittadini

===a mare dell’albergo, si vede una imboccatura di  entrata della via ferroviaria che forò la collina: l’ingresso è a testimonianza di dove era la facciata del colle di san Benigno, e della sua base.

Residuano infatti come in una profonda gola, altre vie di accessi ferroviari, posti a livelli più bassi. Tra essi la via ferrata che provenendo dal parco del Campasso, iniziava la famosa galleria di san Benigno, esplosa nel 1944.

 

Sopraelevata A.Moro

 

===civ 8G ed 8H  sono due corpi in una struttura: formano il grattacielo, detto “torre Cantore”.  Fu ultimato nel 1968, costituito da  una torre alta 24 piani  adibita ad abitazioni, più altri 80 mini appartamenti da affittare già ammobiliati e chiamati ‘meublé‘, e servizi. A mare, una parte più bassa di 7 piani, adibita ad uffici, collegata alla torre con servizi centralizzati.

Nella zona, c’era prima l’oleificio Moro e prima ancora era terreno di ville,  a giardini ed orti.

 il grattacielo visto dall’elicoidale

 

Via Pittaluga

 

==il tratto finale della discesa, in corrispondenza sul lato a mare con la sopraelevata via A.Moro, ha creato un falso sovrappasso, con i palazzi sottolivellati: corrisponde all’antico tracciato del rivo proveniente dal Fossato (esso  praticamente scorreva pochi metri davanti alle imboccature ferroviarie, ma lo spianamento del piazzale dell’autocamionale e l’ingresso autostradale posto sul fianco a ponente del Fossato stesso, obbligarono gli ingegneri a spostare il letto del rio un po' a ponente rispetto il suo naturale decorso). Tutti i civici sino al 24 sono sottolivellati rispetto il manto stradale perché nati prima della strada: dove lo sbalzo divenne più evidente e vicino all’asse viario si dovette provvedere tramite un muretto di rialzo e ringhiera.

===dove è stato per tanti anni un distributore di benzina, esso fu costruito su uno dei primi spiazzi ove giocavano al pallone della nostra città, detto popolarmente  “campo dê moneghe” per la vicinanza di un collegio di suore: arrivava, verso mare, alla villa Spinola circa, ed a nord con una villa DeAndreis (usata come punto di riferimento, non è riportata in nessun libro e non si sa quale sia; evidentemente abbattuta nello spostare l’apertura a via san Bartolomeo del Fossato. Lui, di nome Gottardo, probabilmente è lo stesso la cui fabbrica di lavorazione della latta, era in via Cassini); non aveva le dimensioni precise ma sufficienti ad ospitare la Sampierdarenese nei suoi primi incontri. Si ricorda che nel 1920, la squadra nazionale italiana di ginnastica artistica vi fece un saggio prima di partire per le Olimpiadi di Anversa: dei venti atleti, ben sei erano della nostra “Ginnastica Sampierdarenese”.

 

Via Bottego

 

===civv. 10 e 12 sono compresi in doppio isolato: il primo inizia col 46r, comprende  gli uffici delle Poste ai civv. 50-54r., e finisce col 60r che fa angolo con le scalette che scendono a villa Spinola. Il secondo inizia con un cancello che da adito al civ. 14, seguito da civici rossi dal 62r al 70r; questo ultimo palazzo offre la sosta ai bus in transito verso Genova.

===civ. 14 : Palazzo del san Giorgio.  Fu costruito nel 1926, con ingresso sul fianco a levante; ed un altro speculare a ponente, che però è il civ 3 di via Chiesa delle Grazie. Sulla facciata, all’altezza del 5° piano, centrale, c’è una gigantesca statua di san Giorgio che uccide il drago; sotto di essa, c’è un grosso riquadro riportante  versi di G.Carducci: “Io vo vedere il cavalier de’ santi, il santo io vo veder de’ cavalieri“ (similare affresco con stessa dedica è nel cortile di palazzo sGiorgio; sono il 7° ed 8° verso del sonetto XIV delle Rime Nuove  scritte nel 1886 col titolo originale di “Ripassando per Firenze” e poi pubblicato col titolo definitivo “San Giorgio di Donatello”. E quindi sono anteriori all’esperienza genovese del poeta:

 


Rime Nuove – XIV - 30 aprile 1886 – San Giorgio di Donatello

«Siede novembre su le vie festanti

«ove il maggio s’aprì de’ miei pensieri,

«e spettral nella nebbia alza i giganti

«templi la tua città, Dante Alighieri.

 

«Meglio così; ch’io non mi vegga avanti

«gli academici Lapi e i Bindi artieri:

«Io vo’ vedere il cavalier de’ santi,

«il santo io vo’ veder de’ cavalieri.

 

«Forza di gioventù lieta da’ marmi

«fiorente, ch’ogni loda a dietro lassi

«d’Achei scalpelli e di toscani carmi,

 

«degno, San Giorgio (oh con quest’occhi lassi

«il vedess’io), che innanzi a te ne l’armi

«un popolo d’eroi vincente passi).

 

  


 

 

Sotto a questi due vistosi addobbi, un altro cartiglio contiene l’immagine del grifone genovese. La scelta di un verso del Carducci consegue al fatto che il tratto stradale, all’epoca dell’erezione del palazzo, era titolato al poeta, ovvero prima della completa apertura di tutta la strada e solo dopo allora dedicata al generale Cantore; le stesse righe sono sottoposte ad un affresco esistente  nella loggia a piano terra di palazzo san Giorgio a Caricamento, mentre il grifo fa parte dei simboli di Genova e della Associazione ‘A Compagna’.

           

Via Nostra Signora delle Grazie

 

===civ. 16: palazzo detto dei Valdesi. La comunità sampierdarenese nel 1909 era cresciuta abbastanza da costruirsi questo palazzo per il proprio culto ed abitazioni,  progettato dall’arch. Emanuele Rutelli. La facciata  dal progetto doveva essere di un liberty modernista: il portale con un timpano di richiamo romanico e le due aperture pianoterra di destra sormontate da un cartiglio; alla realizzazione, molte cose non si concretizzarono e la facciata appare  più semplice, senza cartiglio e con dei brutti poggioli.       Nel dopoguerra l’edificio dovette essere venduto per difficoltà economiche della comunità che nel 1968 si trasferì in via G.Buranello al 42 r., continuando a svolgere  culto ed a ricercare proselitismo (questa fede inizia la sua storia nel XII secolo per opera del mercante Valdo di Lione che fece tradurre e divulgò la bibbia presso il popolo contro il monopolio  di preti di allora, troppo spesso saccenti e miranti ai beni terreni più di quelli spirituali; e spogliandosi dei propri beni  predicò la povertà e chiese la possibilità di far predicare anche i laici. Nel rigore della chiesa ufficiale, queste novità furono sufficienti per una scomunica ed inserimento nel gruppo delle chiese riformate: a questa successero persecuzioni e soppressioni; ciononostante questa fede sopravvisse fino a Lutero e Calvino, dei quali accettò la riforma ‘protestante’ nel 1532. Loro motto è la frase “lux lucet in tenebris”, simboleggiata da un candeliere a sette bracci, e mirata a portare la luce ai più emarginati (barboni, tossici, immigrati, carcerati, alcolisti ecc). In Italia furono sempre a loro volta  emarginati, fino al 17 febb.1848 quando Carlo Alberto concesse loro i diritti civili ma non quelli religiosi; questa libertà permise però una discreta proliferazione di piccole comunità sparse per la penisola. Primo a Genova giunse nel 1852 il pastore Geymonat i cui proseliti furono patrocinatori dell’ospedale Evangelico nella circonvallazione a monte di Genova; e, dal 1864, anche a San Pier d’Arena ad opera del pastore Gay Antonio (sono la stessa persona?))  Nel 2001 la chiesa ha ritrovato sede in San Pier d’Arena occupando i locali di via U.Rela. Nel 2002 hanno festeggiato i 150 anni di vita a Genova.

===civ.18***. Non ha storia importante conosciuta.

In questo isolato, i civv. rossi iniziano col 72r e finiscono con l’82r

Nell’angolo con via Malinverni, dove ora è una edicola di giornali, venne aperto  nel 1928 circa, il primo distributore di benzina sampierdarenese (il Pagano/1961, nella via, ne cita -compreso il tratto di Genova- ben cinque addirittura: della Petrolcaltex (Capelli F.); della Mobil Oil (Guzzardi I.); della B.P. (Morsia A.);  della Shell (Corsini E.); carburanti (Chiavacci & Montecucchi)).

 

via Malinverni

 

Il palazzo inizia con civ. 84r e finosce con 90r

===civ. 22, all’interno 14 ha sede la “G.S. Send Italia CSM”, squadra di calcio nata nel 1996, iscritta alla FIGC, con colore sociale il verde,  il cui campo da gioco ufficiale è il Comunale di Sori ove disputa il campionato di terza categoria girone C***.

===civ. 24,   eretto nel 1908.

 

Via Damiano Chiesa

L’asse centrale della strada, separa la UU28-san Bartolomeo a levante e già descritta sopra, dalla UU27 a ponente, descritta sotto.

 

Cento metri di percorso, affiancano i vari servizi appoggiati al retro della villa e delle scuole; ultimo il campo da bocce della Sampierdarenese.

===civ. 26 si accede a questo portone, posto sulla facciata a levante del palazzo delle Franzoniane, attraverso un cancello ed una piccola aia privata. Al secondo piano è ospitato un centro CIF (centro di formazione professionale, intitolato a Maria Bugiardini Patrone, dal quale, a fine corso, viene rilasciato un attestato di idoneità meccanica o turistico-alberghiera).

    

al civ. 26                                      centro CIF

Il lungo palazzo delle suore, inizia col civ. 92r di una agenzia di viaggi e finisce col 112r di un tabacchino.

===civ.28 Si apre l’ingresso scolastico principale dell’Istituto scolastico delle Madri Pie Franzoniane (essendo l’ingresso della villa  in via N.Daste 9, là si trova descritto tutto il complesso). Si racconta che le suore furono dispensate dall’erigere i portici, come imposto dalle Belle Arti per i palazzi di via A.Cantore (il palazzo di fronte, nato senza portici perché anche lui eretto prima della legge del piano regolatore, dovette provvedere costruendoli dopo, come pure quelli a ponente del civ. 47 e quelli della villa Carpaneto in piazza N.Montano); per i maligni la spiegazione era nell’intercessione ottenuta dal loro cappellano don Traverso, così addentro nelle gerarchie del fascismo locale da riuscire a far risparmiare quei soldi evitando il lavoro. In compenso si legge su Genova, che “il 16 maggio 1930 la Congregazione delle Madri Pie Saedes Sapientiae, cede al Comune del terreno, per la prosecuzione di via Carducci”.

 

Via delle Franzoniane

 

Prospicente la strada, unico isolato in tutta la strada si erge un grosso leccio, di assai vecchia nascita

 

.  anno 2009 

==civ.30 fu costruito dall’impresa Mantelli nel 1932, pochi anni prima dell’apertura della grande strada. Ospita 70 condomini in tre scale ABC, alle quali si accede tramite un unico portone. L’usufruibilità sotto i portici di spazi per negozi, ha obbligato, almeno per A e B, a creare assurde erte scale interne per raggiungere i rispettivi ascensori.

Una profonda ripulitura nel 1994,  ha messo  in risalto all’esterno le belle ed eleganti decorazioni.

 

civ. 30                                                                     civ. 30A

Questo civico, fu coinvolto nel 2001 per l’installazione sul terrazzo di un ripetitore per telefonia mobile (in un periodo di incertezza della loro innocuità); e nel 2002 per una “querelle” sull’inaugurazione al 5° piano, int. 20, di un centro spazio famiglia” gestito dal Comune nel programma “città amica dell’infanzia”.


Il palazzo inizia col civ. 114r e finisce con il 124r del ex-Banco di Chiavari (famosa filiale, in città, per essere la più rapinata di tutte: sino al 2006 aveva una guardia esterna, ma prima ancora nulla che la proteggesse dai malviventi a caccia di rapina) attuale (2006-10) Banco di Lodi che in parte possiede  il  vuoto  col


palazzo successivo, chiuso da robusto cancello (eretto nel 2006;  prima c’era una banale catenella) nel quale esistono alcuni civici rossi dal

===126r al 134Br.

===Segue col 126r fino al 134Br

===civ. 30A; è un palazzo che inizia col 136r e finisce col 142r di un negozio che vende materiale di plastica, letti e materassi (che possiede una vetrina, tra il 138 e 140, che non ha civico).

 

 

Via Agostino Castelli

=== civ.30B   è stato finito nel  72, eretto dalla ‘coop.S.Antonio’ demolendo casupola e giardinetto di una costruzione sette-ottocentesca, tipo contadini, preesistente.

Il lato a levante del palazzo, inizia col 144r e confina con l’ultimo tratto della salita Salvator Rosa: essendo  stata la salita tranciata dalla grande arteria nel 1935, l’ultimo pezzettino di salita allo sbocco con via Daste è stato così snaturato perché allargato ed inglobato in via Castelli.

Il palazzo finisce col 150r che fa angolo con una cancellata, della quale la prima metà sovrasta la discesa –che inizia in via Daste- e scende nei box sottostanti il palazzo; la seconda, attraverso un cancello, da adito al

===civ. 30C posto sul fianco di levante del palazzotto sottodescritto, abitato da tre condomini

=== civ.32    la ex-Banca d’Italia (attuale sede della Banca Popolare di Novara), è un pregevole palazzotto dei primi anni del 1900, con pesanti decorazioni di stile neoclassico. Il terreno e gli stabili siti all’angolo tra via Masnata e la nascente A.Cantore primitivamente appartenenti alla villa Serra sotto descritta , furono venduti il 15.1.1928 -col consenso del Comune- dalla direzione dell’ospedale, alla banca, affinché potesse costruirvi una sua filiale. A causa del taglio della futura strada, questo terreno –una volta facente parte della villa Serra-Masnata- rimaneva distaccato dall’edificio, ed al di là della costruenda via A.Cantore; e se dapprima si pensava utilizzarlo per erigerci un cronicario (per il quale poi fu utilizzato l’istituto di Coronata), si  preferì poi recepire la cospicua somma offerta dalla banca di via Dante che vi aprì una, ed unica, agenzia.

Il conte Calvi Parisetti Carlo fu Giuseppe, avvocato, non iscritto nel collegio genovese, nel 1933 capo agenzia della banca sottostante quando il palazzo aveva il civico 32 di via Carducci fu il primo ad abitarvi, al piano nobile. Poi vi abitò pure il medico dr. Adolfo Pastine qui trasferito da via Colombo, civ 75. Grande personaggio, vissuto nel periodo bellico e post; grintoso, energico e volitivo: mutue, specialista radiologo e cardiologo, durante la guerra rimase in città ed ebbe modo quindi di curare tutta SPdArena. Coniugato con ... figlia del calderaio con officina in via SPdArena e possessore del palazzo sovrastante. Dopo la guerra fu esponente della DC nella giunta comunale con assessorato alla sanità. Ebbe tre figli dei quali uno divenuto primario oculista a Santa Margherita, scrittore di libri storici ed esponente dirigenziale del CAI; un altro professore universitario di lettere a Roma; un terzo, più delicato in salute, morì in giovane età).  

Il palazzo, fu restaurato e ‘ripulito’ dallo smog a metà degli anni  1980-90.

La facciata a ponente è separata dal palazzo dopo da un tratto di strada anonimo, i cui civici  -solo rossi- seguono la numerazione di via N.Daste.

===civ. 32A ha in angolo di levante un fioraio al civ. 164r e finisce con il 166r.

===L’isolato seguente inizia col 168r e finisce col 182r; ed  ha due portoni, i civv. 34 e 36.

===senza civico, ma calcolato sarebbe il 182gr la ‘baracca’ di un fioraio  da tutti chiamato solo Gino, ma che negli scontrini risulta nel 2010 – anno in cui lui è deceduto -  di Margiotta Maria, nello stacco col palazzo successivo, da molti anni ha attività commerciale.

===segue un isolato con due portoni, il civ. 38 e 40. Il primo ha una facciata decorata ‘a castello antico’, con finestre e portone in ferro battuto. Dalla finestra del primo piano, sventola perenne una grossa bandiera della squadra di calcio Sampdoria.

  

civv. 38;  40  (giallognolo);  e – dopo via della Cella – 42-44                   a destra il civ.40 preceduto da casupola; sul

                                                                                                                   fondo della strada il palazzo ‘gemello abbattuto

Il secondo, al secondo piano int. 2 e 3, è di proprietà di una signora Giuseppina Rizzo ved Canepa, cognata del notaio Biagio (nel 1933, uno dei tre professionisti, residenti in SPdA), ora abitante in Piemonte che preferisce tenerlo vuoto, forse perché preziose sono alcune stanze internamente decorate con pareti e soffitto di legno lavorato che ... alzano eccessivamente il prezzo, ma non è a norma CEE.

Vi abita Mancini Clodomiro (+2009; docente in Storia della medicina ma nella pratica valente cardiologo, amante della musica classica-operistica);  e la dottoressa Balboni, moglie (pediatra) dell’ultimo erede dei De Franchi.

Finisce con il 198r di un negozio di scarpe, oggi TipToe, anticamente Varese, precedente a negozio di quadri, gestito da Chianese Nicolò (nato a Savona 1898 morto a SPdA 1971, autodidatta, si avvicinò alla pittura negli anni 20 reduce volontario della guerra; presente a esposizioni, ebbe premi e riconoscimenti, riconosciuto ne “ambito novecentesco” – fu lui a evidenziare le capacità e conoscenza di Dante Conte; padre di Mario, nato 1928, pittore e incisore).

via della Cella

=Unico sbocco di uscita delle ambulanze della Croce d’Oro, è un continuo, anche notturno acuto di sirene spiegate per inserirsi in via Cantore a volte anche col rosso (è del maggio 2007 un incidente causato da tale manovra).

===l’isolato ha due portoni, i civv. 42 e 44.  Il grosso edificio era di antica  proprietà di Emilio Masnata, sulla cui area fu edificato negli anni 1930. 

Via Nicolò Daste

===civ. 46 ha il portone che è visibile nelle foto del velodromo costruito nel 1905 proprio di fronte al palazzo. Anche esso è slivellato rispetto la strada principale, ma è il vero livello dell’antica via Mercato che le passava davanti prima di, pochi metri dopo, essere tagliata da via Cantore.

===civ. 48 la casetta, ristrutturata negli anni 1990, è sul piano di via Cantore; e quindi forse più recente di quello che sembra.

Sul suo portone per anni nel 1960-70 vendeva caldarroste Carlo il ‘gobbetto’, figura tipica di quegli anni. Morì nel 1973.

Nelle prime decadi del 1900, l’area – che era collegata con via Nino Bixio (vedi),  aveva none “Le Stalle” perché era occupata da casupole con tale funzione – cavalli e carretti- di un certo Carpaneto Giuseppe (non quello della strada che era GB) ovviamente legata a trasporti commerciali sia col porto sia con lavori privati, essendo le uniche vetture destinate ai traffici.  

===civ 50 è l’ultimo della strada a lato mare,  penultimo dei neo- costruiti nella strada: circa nel 1953 (abitabile dal 1959). Fu ironicamente chiamato “palazzo dei ladri” perché  - considerato  gli alti costi per l’acquisto di un appartamento - era d’uopo pensare fossero tali gli eventuali compratori.

    Davanti al portone, negli anni tra il 1955-60 vi faceva capolinea la linea E (Sampierdarena-Nervi), la prima attuata con i bus, detti ‘celeri’; ancor ora è sede di  una fermata ed una postazione operativa dell’AMT. Da sempre è un punto di particolare forza del vento, che flagella chi aspetta i mezzi dell’AMT senza una sala d’attesa, ed i passanti con strage di ombrelli.

In anni passati, alla base - ove ora è una banca - era ospitata una ‘sala corse di cavalli’ poi trasferitasi in via Malfettani.

===Al 266r si apre Squillari, ora (2006-10) Spuri Mirko, grande negozio di vendita al minuto di vini e liquori, la cui fornitura e fama funge da riferimento nelle indicazioni di punti locali conosciuti.

Zona – una volta chiamata ‘le stalle’ - soggetta ad allagamenti quando imperversa il cattivo tempo.

La fine della strada titolata a via Antonio Cantore, è pure linea di separazione tra la UU26-Sampierdarena e la UU25-san Gaetano

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A MONTE (civici dispari)

La strada inizia in zona san Teodoro, dipartendosi da via Milano. Tutta la prima parte in salita, sino all’autostrada, fa parte di Genova, di san Teodoro, di Genova (fanno testo le varie imboccature delle ferrovie e la Lanterna a dare una linea di dove c’era il fianco della collina sovrastato dalle mura; San Pier d’Arena è a ponente di esse; e Genova –dalle mura ad est- è comprensiva di tutto il pianoro di san Benigno, dalle mura a levante.

A ponente del civico 2Ar di via Dino Col e del 9r di via Cantore, inizia la UU28-san Bartolomeo (che arriva fino a via G.Pittaluga di ponente, con il civ. 15nero, 67Drosso compresi).

Dopo il muro di sostegno del piazzale della Camionale, e dopo via s.Bartolomeo del Fossato, i primi civici sono tutti senza portici. È probabile che gli imprenditori edili molto furbescamente si siano adoperati a costruire appena il piano regolatore fissò l’apertura della nuova strada ma non aveva ancora stabilito per legge questa regola che però aleggiava nelle volontà della pubblica Amministrazione (è chiaro che i portici fanno perdere una non poca area edificata, da dedicare invece a redditizie imprese commerciali – come al civico 30).

 

Via san Bartolomeo del Fossato

 

===L’isolato comprende due palazzi con il civ.7 la cui facciata si vede nelle foto dell’inaugurazione della Camionale, e quindi antecedente agli anni 1930. Posto in curva, fu arrotondato dando l’impressione di uno stile misto tra la fine del Liberty e un vagito di quello  -non ancora definito ma poi chiamato- stile mussoliniano. Il palazzo inizia con il 13r e finisce con il 27r.

Seguono uno stacco, chiuso da due cancelli affiancati, ed il palazzo successivo con il civ. 11 ed il 29r davanti al quale c’è una importante fermata dell’AMT e che fa angolo con

 

via Gerolamo Pittaluga (levante)

 

il secondo isolato comprende anche lui due palazzi con tre portoni: i ===civ. 11A nel primo, con i civv rossi dal 31r al 35r; e 13 con 15 nel secondo, con civv. rossi da 21r al 47r.

 

via Giacomo Balbi Piovera.

 

Il terzo isolato, anche lui con due palazzi, è caratterizzato da non avere i portoni che si aprano sulla strada principale; iniziano d’angolo con il 49r di una tabaccheria (nel 2007, di Baglini Michela) e finiscono con 67Dr di un negozio di sanitari; tra il 597r e 61r ci sono due cancelli che danno adito nello stacco -tra i due palazzi- ad una aia privata.

===civ.  53r   la farmacia Cantore.    Si apre sulla piatta facciata che era il retro di un palazzo, i cui portoni e le decorazioni si offrono sull’attuale retro dove là passava la strada quando ancora non esisteva il progetto di via Cantore (distaccata da salita Imperiale, ed aperta a tornanti per poter salire verso l’ospedale con i carri del matetriale edile e ambulanze a mano). Nel 1911 sul Pagano la farmacia non appare ancora. Compare per la prima volta sul Pagano/1912, in via G.Carducci e titolare il dott. Anselmo. nel /1913 non è citata tra le farmacie; ma ricompare in quello del /1919 è chiamata  ‘farmacia Internazionale’. Non sappiamo quando, divenne di  Chiappori Giuseppe. Il palazzo che la ospita era già presente dal 1910,  preesistente alla attuale via A.Cantore ma il cui tronco stradale però era già stato costruito ed inizialmente  battezzato via G.Carducci: in quello del /1925 ricompare e precisa essere al  civ. 51r. Nel 1933 appare chiamarsi ‘farmacia Chiappori’ ma essere di Saglietto Francesco Inizialmente essa come entrata principale si apriva sull’attuale retro del palazzo, in via Pittaluga a fianco di dove ancor oggi si aprono i portoni dei palazzi: invertì la posizione aprendo l’entrata principale in quello che era il ‘retro’, non so in che data ma quasi sicuramente nel dopoguerra (ed ancora nel 1950 era il civ. 51r di v.Cantore).  ed ancora nel 1950; poi di Buttini Giovenale (titolare ancora nel 2004) che la fece chiamare  -come è oggi- semplicemente ‘Cantore’.

 

via Gerolamo Pittaluga (ponente) Separa la UU28-sBartolomeo (a levante), dalla UU27-Belvedere (a ponente; comprendente la zona dal civ. nero 17 al 39; e dal 65r al 151r)

 

in angolo iniziano i:

  entrata ovest

 

 

=== giardini della villa Scassi. Originariamente iniziavano dal retro della villa (il cui portone principale si apre sul lato a mare, in largo Gozzano, già in via N.Daste) e risalivano la collina quasi sino all’apice di Promontorio.  

(Il taglio creato da via A. Cantore, obbliga  ‘tagliare’ l’antico parco in tre parti separate e non più un tutt’uno con la villa: la prima parte è  a mare di via A. Cantore e viene descritta con la villa, in Largo P.Gozzano (vedi).

Altrettanto una terza, contenuta nel recinto dell’ “Ospedale Villa Scassi”, oramai completamente avulsa –amministrativamente e territorialmente- dal resto. Ritengo opportuno descriverla con l’ospedale, in corso O.Scassi (vedi)).

La parte di mezzo, ormai avulsa dalla villa e posta a monte di via A.Cantore  costituisce i giardini veri e propri attuali, e viene descritta qui sotto. Per essere un vero e proprio parco manca di prati e di suggestionanti zone di passeggio; ma è l’unico rimasto degli innumerevoli giardini che arricchivano ogni villa locale, tutte all’incirca a fasce, arroccate su per le colline. Quindi è altrettanto l’unico spazio verde rimasto al cittadino (assieme ai tre poveri e spelacchiati alberi di piazza Montano lasciati a rappresentanza del parco di villa Carpaneto, ai mai nati giardini di villa Ronco, al microgiardino di via Pedemonte, ai giardini Pavanello e  i due, in alto, a Belvedere).

STORIA  dei giardini

Le terrazze che lo compongono - ancora immerse nel verde totale della collina, vergine da manomissioni, (con spiazzi delimitati da larghe balaustre decorate con grossi vasi in cotto a fioriera e centrati dai ninfei a grotta con statue e fontane, tra loro collegate a mezzo di ampie scale a rampa) sono visibili nello sfondo del famoso quadro che riproduce la famiglia Imperiale (olio su tela, di 266x315, del 1642) attribuito a Domenico Fiasella (1589-1669) e bottega (in particolare il suo collaboratore GB Casone, già del museo di sant’Agostino, ora nella Galleria di Palazzo Bianco;  Nocchiero-GB Derchi-, scrive pag.182 che era attribuito a GioBernardo Carbone ed era custodito nella civ.bibliot.Lercari nel palazzo Imperiale di san Fruttuoso. Vedere in questo testo tante riproduz. del Derchi dei giardini).

particolare

  Boccardo-Di Fabio nel libro di Poleggi scrivono che mentre i giardini dimostravano importanza (“nella qualificazione delle dimore e nell’idea stessa di magnificenza abitativa che caratterizzèò la ‘civiltà dei palazzi’ genovesi...con modello emblematico le scelte compiute da Andre Doria per la propria residenza suburbana di Fassolo...solo nel caso di ville suburbane era possibile organizzarli con larghezza su vasti terrazzamenti in declivio”), essi rappresentano “uno spreco lussuoso” (non siamo d’accordo sull’uso della parola ‘spreco’ in quanto è un minimo ma tutt’ora in atto e godibile da parte di tutti, di quanto ci è rimasto di quell’epoca in San Pier d’Arena).

Coerente con i desideri del committente, il giardino fu arredato come un posto incantato,  dove ogni essere vivente si confonde con la natura e si permea in un tutt’uno fantasioso, stimolato dalle allegorie dell’acqua, dalle  statue dai corpi trasformati fantasticamente, dalle  grotte che aprono ai segreti della potenza creativa della natura, dalle siepi limitanti i trucchi dei labirinti.

Precedentemente sempre gestiti da privati, la villa ed il suo parco, furono acquistati dal Comune di San Pier d’Arena.

   La lettura degli innumerevoli grandi scrittori che dal 1537 in poi (il Giustiniani, il Confalonieri e via via lo Scotti, lo stesso Gio Vincenzo Imperiale, il Sauli, il Biffi, il Fürttenbach, il Duval, il Volckammer, il Vinzoni, il Ratti, il Gauthier, tutti tesi a decantare le meraviglie dei giardini, ci convince sempre più che, quello che rimane della villa e del parco, serve solo a piangere per quello che la pubblica amministrazione dai primi del 1800 ad oggi, è riuscita a distruggere, lasciandoci una città riempita solo di case una addossata all’altra, alla disperata ricerca di un pezzettino di terra ove solo costruire - speculando o no, figuriamoci ! - senza lasciare un briciolo di spazio per convivere; distruggendo - in nome del sociale e dell’assurdo e paranoicamente esaltato manchesterismo - tutto quello che alla città dava un aspetto irripetibile, paradisiaco, a misura d’uomo, elogiato da tutti i visitatori italiani e stranieri.    Faceva comodo ad una ristretta cerchia decisionale, prospettare per tutto il ponente genovese una così orribile fine: nascosta a mo’ di specchietto per le allodole da  una bella ma non duratura fasciatura di lavoro e prosperità, e  con la silente e passiva approvazione di una cittadinanza prevalentemente importata e quindi insensibile, naturalmente opportunista, e spesso realmente affamata. E’  stata portata a termine così una catastrofe ambientale,  artistica, e sociale, di cui  si ha mai -da nessuno politicamente impegnato- avuto pubblicamente vergogna.

Nel 1801 la villa venne acquistata da Onofrio Scassi, che però dovette aspettare una quindicina d’anni per abitarla, essendo ‘in pessime condizioni: dirutam’ dopo l’occupazione austriaca.  Nell’occasione non si cita il parco, come era; si presume che nessuno lo curasse più sino ad allora.

Nel 1861 ed ancora nel 1908, attribuendo erroneamente la villa all’Alessi, venivano definiti “giardino pubblico Galeazzo Alessi, e terreni attigui con entrostanti case coloniche”.

 

 

foto del 1895 – forse la prima in assoluto (ripresentata sotto, del 1901 per cartolina). I giardini in primo piano, ove ora scorre via ACantore, sottolivellata essendo, il primo ninfeo, più alto di essa. Il viale che portava al terzo ninfeo.

A destra in alto la torre e la villa Piccardo  descritta in via GB Botteri.

 

 Vecchie foto, gli acquarelli di GB.Derchi ed alcuni quadri di D.Conte, evidenziano che ancora agli inizi del 1900 era parco pubblico frequentato anche da bambini e ‘gitanti’. Allora, il complesso era attribuito e quindi titolato all’Alessi.

                                      

tre immagini dello stesso posto

    

 

L’apertura in alto di via Roma nel 1910 circa (corso O.Scassi), e il campo sportivo che andò a sovrapporsi alle aiuole retrostanti la villa (con il primo rialzo destinato a tribuna per gli spettatori; prima ancora quindi dell’apertura di via (1930-5) A.Cantore), delimitarono i confini dell’attuale parco  pubblico, ridotto quindi di dimensioni, unico polmone verde nell’inquinamento generale assieme ai giardini Pavanello. Nel tempo però, a causa dell’incuria e del tempo era divenuto sempre più immiserito, con pezze di selciato e poi d’asfalto, con degrado generale delle aiuole: i necessari giochi per i ragazzi arrugginiti ed abbandonati (che nella logica di allora dovevano trovare sfogo altrove!).

  

Già era stato restaurato  nel 1928 per celebrare il sesto anno della marcia su Roma (avvenuta il 28 ott.1922): sulla rivista municipale “Genova” viene descritto che il podestà Broccardi Eugenio fece ripristinare il giardino che era rimasto di 12.000 mq dopo l’occupazione dell’ospedale, e “diviso in due parti separate da una rampa: nella parte superiore il viale era fiancheggiato da statue, fontane ed alberi (querce (quercux), cipressi (cipressus), 4 palme, alloro, pini (pinus palepinsis), lecci (ilex), filari di pitosforo comunque tutti sempreverde (sempervirens) ed a foglia perenne); nella parte inferiore la fontana del Nettuno, grossi vasi e coppe decorative poste su piedistalli; l’accesso era solo in via GB Botteri ma si stava allestendo un nuovo ingresso in basso ove era il campo da pallone, con due rampe nuove”.

    

      

foto  anno 1901

 

foto Pasteris –  aprile 1937                                       idem – maggio 1937

 

foto Pasteris – maggio 1937

   Da allora, più nulla. Furono recintati solo nel 1972 dopo un iter burocratico durato 3 anni, sollecitati dal mal uso che ne facevano i gruppi di sbandati e dei primi drogati in fase di crescita numerica.

  Nell’apr.1982 dei teppisti scalzarono nottetempo tutte le statue posate sul piedistallo e ruppero due ippogrifi ed un grosso vaso: tutto questo materiale fu ritirato nei magazzini comunali in attesa dei restauri (solo il grosso vaso, pesante oltre il quintale, fu rimesso nel recinto del laghetto, le statue giacciono, cataogate, salvate ma dimenticate, a sant’Agostino).

      Dopo dieci anni di progettazione è stato soggetto di completo restauro (restyling rafforzamento dei muri e valorizzazione del parco stesso, alla ricerca dell’antica bellezza),  dal genn. 1998 (con 3,4 miliardi di spesa e tutto secondo i dettami della Soprintendenza alle belle Arti: posare nei sentieri ciotoli e pisanelle come in uso antico; non abbattere gli alberi (ovviamente secondari all’originario parco); per le strutture murarie, delle quali alcune interamente da rifare; statue; irrigazione e deflusso acque; arredamento; più un altro  miliardo per l’illuminazione (attivata dalle officine comunali con proiettori sui campetti e le grotte, 62 nuovi lampioni sullo stile delle antiche lanterne a gas e ad intensità regolabile da garantire un minimo di luce anche di notte per la vigilanza e contrastare il vandalismo, e l’impianto attorno alla vasca); ed altre opere guidate dall’ assessore interessato: dott.ssa Malagoli Chiara) ed affidato all’impresa ‘Giustiniana srl’ di Gavi (AL).    I lavori, divisi in due lotti, permisero la riapertura del parco prima nella parte alta e nell’ottobre dell’anno 2000 fu riaperta al pubblico tutta l’area, con grande festa. Alla fine dell’anno 2001 si annunciò il funzionamento di una nuova illuminazione con 62 punti luce ad alto rendimento, posti su pali in ghisa come in antico; nonché ripristino delle fontane e dei giochi d’acqua.

 

Sul primo muro sormontato da cancellata, e corrispondente ad una fascia dell’ex giardino (oggi separa la strada dalla villa, forse era parte di un primo rialzo dell’antico giardino (ma è più facile sia stato fatto con la strada) è ora il primo confine dove  inizia il parco come se fosse una cosa a sé avulsa dal palazzo sottostante (del quale si vede il retro), fu apposta una lapide a ricordo dei 113 cittadini sampierdarenesi, caduti nella lotta per la liberazione negli anni 1943-45; tra essi spiccano tre medaglie d’oro e due d’argento. Uno scritto aggiunto in basso, ricorda quando nel marzo 1954, ignoti ruppero il marmo scatenarono ampia e sentita  protesta cittadina. (v.Tuvo-SPd’Arena come eravamo-pag.276-80). (vedi via A.Cantore).

 

VISITA ai giardini.


 Ricordare sempre che essi vogliono essere – come voluto dall’Imperiale – un inno alla natura; dagli alberi (la nuova vita) ai ninfei (le ninfe e le muse), dalle pietre contenenti conchiglie preistoriche (la vecchia vita) alle statue (l’Olimpo), dagli animali mostruosi (la fantasia), ai leoni (l’esotico). E da leggersi con lo stesso significato di ‘metamorfosi della natrura’ alla pari della vicina grotta Pavese.


       foto 1976

Entrando da uno dei due ingressi (dei quali, quello a ponente ha avuto distrutta la targa nel 2005 e due anni dopo è ancora vuota la cornice metallica) di via A.Cantore, il primo impatto - che ricorda l’antico - sono i graziosi muretti (con pietra grezza di Finale che delimitano le aiuole e che danno sensazione di pacata luminosità) e l’ acciottolato (fatto di mattoni e pietre bianche nelle scanalature per l’acqua piovana).


Dietro una fila di maestosi platani, troviamo un primo viale di passaggio -parallelo alla strada, trasversale rispetto l’evoluzione in salita - con al


centro un primo ninfeo composto da tre fornici  mancanti delle statue laterali, due di giovani femmine, e una maschile (delle quali ne rimane solo il frammento di una, senza braccia e arti inferiori).


 


 

                                     

 

                                    


Le statue tutte, che erano collocate nei giardini – soprattutto quelle del ninfeo superiore -   hanno storia complessa e non risolta: nel suo ‘Stato Rustico’ edito nel 1611 GioVincenzo mai parla direttamente della villa, ma indirettamente cita i viali, le terrazze, i ninfei ed i marmorei corpi a decorazione di essi. Si pensa che delle statue, alcune siano state collocate  dopo che lui ne comperò una decina di marmo a Roma (5 dic.1629; c‘erano i sei pianeti conosciuti: Saturno, Giove, Marte, Venere, Mercurio e Luna, più altre figure restaurate o addirittura abbondantemente rifatte, di ambosessi, in parte nudi in parte vestiti, in parte singole in parte con amorini); da una piccola vasca e da decorazioni scultoree di telamoni ed altre figure che sorreggono la balconata superiore.

Sopra esso, al secondo piano, una più vasta piazza alberata da alti fusti di bagolari, oggi divisa in due zone: una a ponente adibita a giochi per bambini,

    

l’altra a levante con la rotonda originaria fontana del Nettuno o meglio del Tritone, attualmente arricchita di due palme interrate (questa statua appare mutilata, mentre foto recenti dimostrano che sino a pochi anni addietro era abbastanza completa);

   

in fondo, un secondo ninfeo,  più ampio e più lavorato, anch’esso a tre fornici, con grotta centrale arricchita da vasca d’acqua .

 

 

Esso è sormontato dallo stemma della famiglia Imperiale (nel quale l’aquila appare con le ali spiegate, per concessione del re di Spagna al titolare, grande banchiere e finanziatore delle imprese spagnole di quei tempi) ed ai lati dalle sigle ‘SA’ per Alessandro Scassi (figlio del medico, restauratori; oppure Imperiale di sant’Angelo) ed ‘OS’ per Onofrio Scassi; composto da cinque fornici separati da pilastri -una volta decorati-

       

 

  foto 1912

 

che aprono ad un locale ricco di grossolane stalattiti e stalagmiti e con a terra la presenza del laghetto alimentato da acqua corrente (acqua e statue di dei, ninfe ed Artemide erano tipici arredi dei ninfei a cui davano il carattere sacro e di antichi riti agresti.

 

 Nel fondo della grotta centrale - posteriore al laghetto - il ‘Centro studi sotterranei di Genova’, da un foro aperto sulla parete destra della grotta centrale, ha seguito un cunicolo - molto ben nascosto alla vista dall’esterno - che subito dopo il muro si biforca: un ramo prosegue diritto per 4 metri fino alla completa chiusura per franamento della volta; l’altro un poco più largo e con doppio soffitto a volta sorretto da un pilastro centrale, gira fino dietro il ninfeo e termina anch’esso occluso delimitando piccole stanze laterali, apparentemente senza particolari funzioni se non di probabile natura deposito per i giardinieri o forse per andare a regolarizzare e controllare il decorso dell’acqua che alimentava la vasca). Mancano all’appello due grossi mascheroni, sottratti all’inizio dell’ultimo restauro ed alcune statue di marmo (una maschile con pantera ai piedi; due statue muliebri acefale, trattenute a sant’Agostino per ricercarne un restauro).

Due rampe convergenti portano ad un terzo piano superiore; per primi troviamo due leoni accovacciati, tradizionale punto di riferimento fotografico dei bambini posti a cavalcione, rilevabile dalla lucentezza e levigatezza della pietra . Ad uno di essi è stato  visibilmente spezzato parte del muso. I veri leoni, di marmo, erano stati già da tempo  prelevati e portati al museo di s.Agostino; al loro posto delle copie di gesso fortificato con intelaiatura ferrea; nel 2010 uno di essi è stato rotto e dopo alcuni mesi non restituito. Leggere la polemica  sul Gazzettino sampierdarenese.

  

                                                       2007-dai tondini rimasti, si desume che

                                                                         questa era già una copia

Da questa terza balaustra, la più bella, inizia un viale centrale in salita, mattonato e con ciottoli ai lati. Una volta era affiancato da statue in pietra rosa, calcare conchiglifero (gusci di pecten), di probabile provenienza da FinaleLig., riproducenti animali mostruosi mitologici, deità o ninfe (dei quali solo alcuni si sono salvati dal deturpamento naturale e provocato dal vandalismo incontrollato (o ‘copie perfette ’?, come scritto su Il Secolo XIX), ma per fortuna anche così ‘rotti’, ricollocati (dopo un restauro?). C’erano fino alla fine dell’ultimo conflitto, come è riscontrabile dalle fotografie dell’epoca; poi furono tolte per lunghi anni; infine in piccola parte rimesse nel restauro del 1999, delle quali due all’apice: due leoni ed una statua di un dio).

           

foto anni 1910 – 1920

        

 

 

Ai lati del viale sono stati costruiti altri piazzali per giochi dei ragazzi in particolare a ponente una pista per pattini ed a levante un campetto recintato per pallavolo o basket,

                   

circondati da aiuole ricche di alberi (nel 1978 il Gazzettino elenca d’alto fusto (lecci, cedri, bossi, tassi, allori , e ginepri (che però non sono piante d’alto fusto) e di macchia (l’agrifoglio, mirto, viburno, veronica). Nel 2000 contiamo anche  platani, bagolari, abeti bianchi, cipressi, pini (silvestri, d’Aleppo, domestici, cembri))

Dai Servizi Giardini del Comune, si apprende che vi sono piantati alberi d’alto fusto: cipressi, pini (abeti, larici, cedri), olivi, lecci, falsa canfora, allori, carpini, tassi laurococchi, corbezzoli, lagerstroemia bagolaro, magnolie, platani, oleandri, palme (trachicarpi, palma di san Pietro (camero), palma latania);  arbusti: bossi, osmantus, nandine, allori eleagni, alaterni, azalee, pitosfori, abelie. rose, lauroceraso; e tappezzanti da sottobosco: edera, veronica, acanto, riscus falangium, cotoneaster. Il SecoloXIX nel 2003 segnalò la presenza di pericolosi parassiti delle piante, specie la cocciniglia e la processionaria per le conifere e la corithuca cigliata per i platani

A sinistra troneggia una antica costruzione, un massiccio casino cinquecentesco. Questo l’edificio è visibile nel quadro della famiglia, nel quale, ingrandendo, si può leggere che era decorato dalla scritta ‘Imperialis’ quindi probabilmente anticamente adibito per la caccia o per svaghi signorili. I balconi sono stati murati. Ha come strana caratteristica di esterdersi ‘fuori’ del recinto originale del parco, quale fosse un baluardo; il che lo propone anche come possibile torre di avvistamento (considerato che il palazzo non possiede altra torre, comune invece a molte altre ville dell’epoca) o via di fuga (a quei tempi non tutto era idilliaco come sembra, ed i ricchi signori dovevano prevedere anche il peggio). Negli anni 1891-1908 in un documento comunale viene definito “casa di abitazione detta la Torretta, nel giardino Galeazzo Alessi“ (quando ancora si era convinti che la villa fosse stata disegnata da quell’architetto). Oggi infine è deposito degli attrezzi dei giardinieri. Un altro deposito per  attrezzi, più piccolo, è a levante (posto a ridosso delle scale che scendono da via Balbi Piovera a via Pittaluga).

    

                                                                                                    sul torrione si legge “ALIS”; ed ha un               

                                                                                                    giardino davanti: luogo di ‘fuga’

 

Alla sommità, oggi finisce il parco, interrotto dalla  strada G.B.Botteri e corso O.Scassi. Le strade e l’ospedale  ne distrussero la continuità, abbattendo  l’ultimo ninfeo e riempiendo il vasto  lago artificiale (vedi a via O.DScassi).

Sul corso Scassi, seppur facente parte dell’ antico giardino,  viene descritto ormai a sé, sul margine a mare del corso, fuori dell’attuale recinto, è rimasto a ponente un grande portale cinquecentesco, che separava ad ovest la proprietà da quella che circondava salita san Barborino e  che forse dava adito ad uscire dalla proprietà nei pressi della chiesa di san Giovanni. Dai quadri del Derchi, si vede che altri archi decoravano le mura del parco, ma furono distrutti. Su questo, è stata posta una lapide***

 

 

===il quarto isolato inizia avendo al fianco di levante. Nello stacco tra i giardini ed il palazzo, l’ingresso dell’ascensore  per salire in corso O.Scassi a livello dell’Ospedale civile.

la gabina di arrivo in alto

 

Dal 31 genn.1977 si può comodamente salire usando un biglietto a tariffa ridotta dell’AMT o sfruttando in tempo utile quello usato in altri mezzi cittadini (il primo mandato del Comune all’AMT per la costruzione di un impianto, risale al genn.1970 ; espletate le necessarie burocrazie, la gara d’appalto fu indetta nel 1972 e vinsero l’azienda ‘Cantieri dello Scrivia’ per le opere murarie ,e la Stigler-Otis per gli elevatori ; i lavori iniziarono nel 1973 ; tra gli intoppi vengono ricordati l’abbattimento di due pini alla sommità avvenuto dopo abbondanti controlli , e la necessità di rinforzare la galleria ferroviaria sottostante che porta al parco del Campasso). Si arriva all’elevatore percorrendo una galleria lunga 175 m.  (in parte aperta e ristrutturata per l’occasione; in parte già esistente come rifugio antiaereo ed in collegamento-via d’uscita di emergenza tramite una scalinata- con la galleria dei Landi. È stato oggetto di lamentele contro il Comune, la gestione del corridoio per l’eccessiva umidità che trasuda dalle pareti nei periodi piovosi, che crea laghetti nel percorso degli utenti e danneggia le macchinette elettroniche di distribuzione biglietti) Il pozzo è di m. 9,35x4,55; contiene delle scale er eventuale risalita a piedi, dei piani di servizio e le corsie per due cabine sollevate da un motore di 29 HP.  L’ascensore è gestito dall’ AMT cittadina, con l’uso degli stessi biglietti dei bus, e colma un dislivello di 26m. alla velocità di 1,75m/sec. Ogni cabina è sorretta da 8 funi ed ha una portata massima di 15 persone, controllate  nella stazione inferiore tramite due monitor  a circuito chiuso da un unico addetto, posto nella stazione superiore; questi è capace di governare tramite un banco di manovra ambedue le cabine, che -affiancate- possono reciprocamente trasbordare i passeggeri in caso di necessità. I primi biglietti costavano lire 30, oppure valeva il biglietto del bus ancora valido nell’orario. Dal 2009 è fermo.

 

Il primo palazzo dopo i giardiani, porta il :


===civ. 17 Vi ha sede la Federazione It. Baseball e Softball; ed alla base,

===civ. 75r un supermercato IN’S, che fa angolo con uno stacco che ha su quel lato tutti i civici rossi il 75Ar→Lr; in fondo il

 


=== civ. 19 eretto nel 1936; a ponente il terzo palazzo con

===il civ. 21 (al quale hanno rifatto la pavimentazione dei portici nel 2002 assieme al civ. 23), e –dei rossi- tutti i civici dal 77r fino all’87r.

===civ. 77 (non specificato; presumo rosso) nel 1950 esisteva la fabbrica dell’aperitivo Bertola, dei f.lli omonimi.

Lo stacco a ponente del palazzo, con il civ. 87r, chiuso da cancello, è privato.

 

Salita san Barborino

 

Il nuovo quinto isolato ha un solo palazzo, che inizia con il 89r, e finisce con il 97r Nel 2005 ospita i segg. negozi: 89r Optical; 91r abbigliamento; 93r bar; 95-97r abbigliamento "Vizi e virtù"...

===civ.23. Il progetto, che porta la firma dell’ing. sampierdarense G.  DegliAmmirati, fu intestato a nome della CEPEP: «soc. Coop. per pensionati e pensionabili dello Stato ed Enti locali», risale al 2 dic.1928 (consegna ufficiale il 10 c.m.) e dato abitabile nel 1932. Il 7 gennaio 1929, il progetto fu inizialmente respinto perché in contrasto con il Piano Regolatore; ma poco dopo furono sanati i dubbi in quanto i lavori edili erano iniziati prima dell'entrata in vigore del P.R. stesso. Si ebbe dapprima l’autorizz. del Civico Reparto di igiene e  sanità (4 marzo 29); poi il 3luglio1930 avvenne la presentazione della domanda alla commissione edilizia rispondendo ai vari requisiti che proponevano tra altri: "un palazzo posto sulla 'nuova circonvallazione di Sampierdarena', presso il preesistente vico san Barborino" e con "un disegno di facciata più organico nel quale i tipi di apertura siano, per quanto possibile, resi uniformi"; infine l’approvazione fu  firmata dal podestà il 29 dic.1930  con indicazione che "i portici fossero di uso comune, i negozi muniti di servizi igienici, i muri perimetrali alla base fossero di  spessore non inferiore ai 35cm.". La costruzione fu finita con il collaudo del cemento armato firmato dell’ing.G.Gugliada;  e pagati i diritti di approvazione, fu abitata.

Dopo sei anni, il  7/7/1938, l’istituto di Igiene e Sanità denunciò due irregolarità. Una, relativa alla costruzione del terrazzo affiancato a levante del secondo piano: era stato abusivamente ampliato nelle misure cosicché gli abitanti del primo piano -sotto i portici- avevano le finestre oscurate rispetto a quanto di diritto per legge (la superficie di una finestra deve corrispondere almeno a 1/8 della superficie del vano); e l’altra fu relativa al cortile aperto intorno all’edificio,  che era stato ridotto abusivamente da quattro a tre metri a seguito dell’ “allargamento” dell’edificio stesso di un metro per tutto il perimetro. Posto a levante di salita s.Barborino, ha uscita anche al civ.1 di via laSpezia. La facciata fu restaurata nel 1985. Sotto i portici, hanno rifatto nel 2002 la pavimentazione

===civ. 25 e 29 – non ho notizie particolari

===civ. 27:  nella foto che mostra il civ.29 appena terminato, appare - a fine anno 1928 - ancora in erezione, con le impalcature in travi di legno.

I civici 27n + 97r, a levante, fanno angolo con

 

via La Spezia

 

Il prossimo isolato è composto di due palazzi, inizia con il 99r ove  il Pagano/61 segnala la presenza della ditta “Cavo Giacomo & Emanuele, negozio di acciaio, ferro, ghisa e metalli.

 ==civ. 29: Il caseggiato fu dato abitabile il 19 aprile 1930.

Il terreno faceva parte della villa – dominante dall’alto - Centurione-Pallavicino-NCambiaso-PittalugaVapori di salita s.Barborino (demolita nel 1956; la sua proprietà si estendeva a ponente della proprietà Doria-Franzoniane). L’appezzamento di 2350mq. Era stato comperato il 25 nov. 1927 dalla soc.an.Cooperativa Edile “L’Egida Ligure”, e rivenduto alla soc.an.Cooperativa  Edilizia  sampierdarenese “La Brennero” (che si era costituita il 5 apr.1927, presidente Parodi Attilio),  che costruì il caseggiato economico popolare per i soci della cooperativa e che fu completato nel 1929. Il caseggiato aveva confini: a sud con via GCarducci (poi ACantore); a est con ‘strada privata ai caseggiati 23 e 25 di via A Cantore); a nord  -tramite distacco- con il rimanente della proprietà Pallavicini; a ponente –tramite distacco- con la proprietà eredi Delle piane.  In una foto sulla rivista Genova (2/30.129) appare appena terminato: interessante il muro a ponente preesistente e delimitante una antica proprietà, ed ancora conservato in parte: appena varcato il primo cancello posto ad ovest del palazzo; nella stessa foto si nota vagamente anche il retro casa, ove ora scorre diritta via LaSpezia. Essendo stato eretto prima della apertura di via Cantore, presumibilmente vi si arrivava ancora e solo da via NDaste. Possiede due portoni: uno il civ.29 in via A.Cantore, con due scale (una a ponente ed una a levante); ed uno sulla facciata di levante (oggi via La Spezia 1, allora civ. 27 di via ACantore) con una scala condominiale. Gli appartamenti furono assegnati per sorteggio tra i soci della cooperativa; uno toccò a don Davide Lupi, allora direttore dell’Istituto don Daste di salita Belvedere 2; alla sua morte lasciò l’appartamento in beneficio alle suore dell’Opera di donDaste in cambio di una messa quotidiana; a nome di esse, suor Maria Luisa Provinciali di Biella, lo rivendette a privati. Dei negozi, quello a levante (con una vetrina su v.Cantore e 4 su via LaSpezia) fu acquistato  dai fratelli Cavo (Giacomo ed Emanuele, fu Lorenzo), industriali abitanti in via Imperiale ¼ che lo adibirono alla vendita di materiale agronomo e di muratura (cazzuole, carretti, setacci, ecc.). Il negozio fu poi ceduto alla Piaggio motocicli (soc. Ingenieros)

Inizialmente la costruzione fu progettata senza portici ma con negozi (lo si desume dalla stessa fotografia, nella quale si intravede che dentro -dalle aperture che prospettano sull’ancora da formare via ACantore- parte un muro interno, ogni tre fornaci; a significato che avevano già diviso il pianoterra in negozi); probabilmente fu ingiunto dal Comune di inserirli nel progetto: per questo motivo sono più bassi degli altri palazzi non comprendendo il primo piano; ed anche l’apertura ai due estremi appare più stretta. Questa variazione di progettazione, dovette costare al Comune perché pare infatti che detti portici sono di sua proprietà, e non condominiale; nel riordino del 2002-3 della pavimantazione del portico e relativa spesa, i condomini non sono intervenuti.

Il primo palazzo finisce con il 109r a cui seguono due cancelli affiancati:

===109Br L’intervallo tra i palazzi, è diviso a metà da un muretto che appare antica delimitazione di ville padronali. A levante sembra più un corridoio di fascia al palazzo; 

===111r posto a fianco a ponente, è il  che nel 2007 ospita un supermarket per animali chiamato Arcaplanet. Lo spazio carrabile che passa davanti a questo supermercato, sembra proseguire e scendere nel garage sottostante il palazzo (raggiungibile anche dal lato a ponente del palazzo, dal 133r).

Il secondo palazzo dell’isdolato inizia con

===113r di Quaglia, uno dei migliori pasticcieri locali.

Seguono una serie di civici, tutti 29, dalla A alla F

===civ 29A realizzato dalla cooperativa La Rinascita (di cui faceva parte il famoso Carletto pescivendolo (vedi in via Ghiglione Bruno) fu eretto nel 1948 su progetto dell’ing. Bonistalli Renato e costruito dai fratelli Stura. Nel piccolo atrio d’ingresso, dove inizia la scala A (e, tramite un corridoio, poi la scala B), sulla parete a ponente c’è un dipinto lucido di A.M.Canepa, in stile liberty con tre danzatrici; alla sommità di esso la scritta incisa “questa casa costruita per volontà di cooperatori poi progettata da Renato Bonistalli rimane quale sua ultima opera testimoniaza di alta virtù e fecondo ingegno” 

 

civ.29A

All’estremo di ponente ha il fianco del palazzo con saracinesche che dal civ. 121r arrivano fino al

===133r  del garage che, scendendo dal retro, finisce sotto il caseggiato antecedente.

 

salita Inferiore s.Rosa 

 

===civ. 29B:    la villa Serra - Doria - Masnata

1613 Fu costruita in quest’anno, in posizione (15 m. slm) lievemente dominante rispetto l’asse stradale (oggi via N.Daste) e lateralizzata verso levante rispetto al terreno a disposizione perché eretta riadattando una precedente costruzione alta e forse anche grossa eguale (Nel capitolato dei lavori, l’arch. B.Bianco precisa che  il tetto di tutta la fabbrica nuova si farà con la stessa pendenza che halsi di già fatto, unendo ed incastrando con molta diligenza il nuovo col vecchio… e dove si congiongeranno le nove radici (l’apice del muro perimetrale ove inizia il tetto) con le vecchie e la colmegna (spigolo del tetto) nuova con la vecchia… sopra il tetto della casa si faranno li parapetti tutto intorno, tanto alla fabbrica nuova quanto al tetto della casa già fatta… tutti gli atratti della vechia casa saranno o riutilizzati o portati via (li zetti si porteranno alla marina si come tutta la terra che si caverà per fare li fondamenti e le stanze sotto il piano del portico) ).

Ordinatario fu il nobile Paolo Maria Serra  (poco si sa di lui; sul libro “i Serra” di Emilio Podestà e altri –pag.499- ci sono 3 Paolo ma nessuno combacia per età;

     Dalla genealogia risulterebbe essere quel Paolo Maria  (figlio di Antonio e nipote –perché fratello del padre, del Geronimo della villa Monticelli; fratello di Battista, Maria, Francesco, Giovanna; sposo di Violante Spinola→dei 5 figli, Giacomo –fratello di Agostino, Antonio, Paola, Elena; sposo di Giovanna Doria q.GioLuca; però non spiegherebbe il passaggio ai Doria avendo –oltre una figlia Elena- un figlio Paolo andato sposo a Paola Spinola.

Nelle ‘memorie di Genova’ di Agostino Schiaffino, esiste nel 1926 un Paolo Serra che andrà con altri ambasciatori ‘in riviera’ –ovvero incontro, su nave- a ricevere il Legato card. Francesco Barberino che sbarcherà a SPdA e vi pernotterà  (con atto notarile del 5 febbraio di quell’anno, stilato  dal notaio Gio Agostino Cabella).  Progettista fu Bartolomeo Bianco (ante1579-1640 (altri scrivono 1590-1657).  Venuto a Genova a 23 anni, nel 1602 appare nell’elenco dei maestri lombardi dell’Arte dei muratori; divenne Architetto Camerale; fu prolifico costruttore anche in a Chiavari, in Corsica, Imperia oltre che in Genova di ville, palazzi, chiese, opere portuali e delle mura dell’ultima cinta quale principale collaboratore del domenicano frà Vincenzo da Fiorenzuola. Per seguire i lavori della erigenda villa, dal notaio fece chiedere una parcella di “vinti duue miliia e cinque sento monete di Gienova e di dete libre ve ne siia mile di darle secondo avera la bona servituu”). Capomastro costruttore, fu Stefano Storasio. 

(Nel 2002 scrissi al prf che aveva scritto il libro sui Serra, per avere notizie di questi nostri, ma presumo per ‘sovraccarico di impegni’ non ha ritenuto opportuno rispondere. Ho saputo poi che, invece, era morto).

Viene descritto che il disegno di Bartolomeo Bianco, servì nel 1622 ad altro architetto (Francesco da Novi) per una  villa eretta per Giacomo Lomellini (q.Filippo, detto il Moro, cugino del doge, a sua volta committente del Bianco).

Lo scopo fu creare un palazzo di magnificenza e di facile raggiungibilità, agibile sia d’estate come villeggiatura, che d’inverno come ‘fuga dallo stress’ cittadino. 

1708     In una carta incisa da Krieger ed inclusa nel volume del Volckammer; la villa è contrassegnata con la lettera E; appare senza le ali laterali; nella successiva del 1757 (del Vinzoni) c’è la terrazza di ponente che poi nel restauro comunale fu abbassata con la contemporanea erezione della controlaterale a levante

    Non si sa quando, divenne proprietà dei Doria, casata molto rappresentata  a SanPierd’Arena (loro erano anche le attuali  Franzoniane, la villa Monticelli  e l’Istituto don Daste).

                   

pianta del piano terra                                                            il gen. Antonio Botta Adorno - 1765

1746    Fu durante la proprietà di  Carlo Doria, che nel vi soggiornò - non certo ospite, ma da superbo dominatore -  il marchese Antonio  Botta Adorno, generale degli austriaci

Il PERSONAGGIO crebbe con un astio verso la Repubblica, per la grama vita che essa fece fare al padre, dal ragazzo giudicato innocente. La vicenda partiva dal matrimonio del genitore, marchese lombardo con la genovese Maddalena Adorno. Questa portò in dote il feudo di Silvano d’Orba, interposto tra Genovesato e Lombardia. Così il Botta divenne feudatario genovese ed iscritto nel libro d’oro della nobiltà, ma personalmente era e si sentiva vassallo del duca di Mantova. Così, quando ambedue le nazioni pretesero le tasse, egli optò rimanere fedele al duca mantovano. Genova gli mandò un capitano di Ovada, che sequestrò i buoi dalla cascina Nova del paese. Saputolo, il marchese andò a Ovada e a mano armata si riprese le bestie. Il Magistrato di giustizia genovese nel 1689 lo condannò a morte per deapitazioe; il Senato fece confiscae la sua casa genovese e pose una taglia (cosa quest’ultima che poneva la vita di quest’uomo in perenne minaccia di qualche avventato in caccia dei soldi). Il figlioletto crebbe con l’odio verso chi per lunghi anni ricercò il padre costringendolo ad una vita non serena dovendo schivare di entrare nel Genovesato pena il patibolo. Quindi non traditore, ma certo non devoto suddito della serenissima Repubblica.

Le CIRCOSTANZE storiche= prima? del 1746  la Repubblica era in alleanza con l’Austria.

Morto Carlo VI nel 1740, imperatore d’Austria, lasciò erede sua figlia unicogenita Maria Teresa. Moglie del Granduca di Toscana Francesco Stefano di Lorena. Questa nomina alla successione dell’impero asburgico ad una femmina (detta Prammatica Sanzione) non piacque ad altri regni che appoggiarono –per interessi- la cugina di M.T. MariaAmalia  (figlia dello zio di M.T. GiuseppeI  e moglie dell’elettore di Baviera che mirava a staccarsi dall’impero. In particolare, la Francia=desiderosa della fine dell’egemonia austriaca; Spagna di FilippoV che mirava al milanese; Prussia che mirava alla Slesia; e la Rep. di Genova –inerte- a rimorchio della Spagna e con il rancore legato al fatto che la futura regina-imperatrice Maria Teresa aveva donato al re di Sardegna il marchesato di Finale Lig., già acquistato dal padre nel 1713, obbligando la Repubblica a spostare l’alleanza verso i franco- ispano-napoletani i quali invece promettevano mantenere l’autonomia e neutralità repubblicana).  Così mossero guerra all’Austria, detta “di Successione austriaca (L’Austria fu aiutata da Inghilterra e da CarloEmanueleIII duca di Savoia. Dell’armata alleata era a capo un generale spagnolo (che era già impegnato in altra complessa situazione: la regina di Spagna voleva mettere suo figlio al comando del ducato di Milano. Allo scopo inviò una grossa armata di 100mila uomini, arricchita da 10mila genovesi comandati da Francesco Brignole q.AntonGiulio. Mentre le truppe si avvicinavano a Milano morì la regina spagnola; il comando passò ad un generale francese che nel 1746 venne sconfitto. Tale guerra durò nove anni - finirà con il trattato di Acquisgrana nel 1748 col quale il marito di MT divenne FrancescoI imperatore, ma l’Austria perdette la Slesia ed una fetta della Lombardia, tra il Sesia ed il Ticino). Alla sconfitta militare  seguì il rientro delle truppe in ritirata, passanti per Genova: prima le spagnole (guidate dall’infante D.Filippo), poi i francesi, ambedue inseguiti dagli austriaci. In poco tempo la Lombardia fu invasa dagli Austriaci, ed altrettanto si proposero fare col genovesato.

Qui nasce un non piccolo disguido storico: mentre MT viene descritta come di grande energia ed illuminata regina, che nel tempo trasformò l’Austria -e la Lombardia- con sagge riforme (riorganizzando l’amministrazione laicizzandola, emanando un nuovo e moderno Codice Penale, eliminando la ‘manomorta’ =indipendenza patrimoniale ed economica dei beni ecclesiastici dallo Stato-; nazionalizzando le scuole; ridistribuendo gli strati sociali –con vantaggio della borghesia produttrice, e dei contadini- nonché abolendo la ‘servitù della gleba ancora esistente; prendendo le distanze laiche dal clero –a cui tolse il diritto di censura sui libri, e sciolse i gesuiti- pur restando fervida religiosa);  a Genova, il Botta Adorno fece di tutto per farla temere, ma soprattutto odiare. 

Infatti l’esercito –guidasto da conte Broune- il 7 (in altro libro si scrive che il giorno 4 entrarono in SPdA) settembre 1746 calò dalla Bocchetta ed invase la Polcevera devastando tutti i paesi del percorso (Murta fu occupata dal gen.Piccolomini, e venne distrutta); mentre la flotta inglese andava a bombardare Sanremo, le truppe austriache arrivarono a  occupare, attestandosi sia nel borgo di SanPierd’Arena e sia -in buona parte- sulla riva sinistra del Polcevera che in quella stagione era asciutto. Ma un nubifragio (per i genovesi fu la volontà protettrice della Regina di Genova) ed una improvvisa piena del torrente investì e scompaginò le truppe, delle quali “sopra mille uomini vi rimasero annegati”. I genovesi non approfittarono di questa confusione nemica e mandarono due patrizi (Marcello Durazzo e Agostino Lomellini) a contattare il generale Botta appena arrivato da Novi (con tutto un seguito, tra cui il fratello maggiore Alessandro, sua moglie ed un figlio) per cogliere il successo della conquista di Genova, e momentaneamente ancora attestato col suo quartier generale nella villa a San Pier d’Arena, sottratta a Carlo Doria q.Ambrogio. Di fronte alla delegazione, il generale fu abbastanza duro ed inflessibile proponendo in tono spietato di diventare ‘padrone della città’ entro l’indomani alle ore 21: la confisca di tutti i beni dei napo-galli-spani; il controllo delle porte e del porto della città; la resa della fortezza di Gavi sino ad allora inutilmente assediata; l’andare il Doge a Vienna (Gio Francesco Brignole Sale 1695-1760; primogenito di Anton Giulio) a chiedere supplica e perdono ed implorare la cesarea clemenza;  il versamento di 50mila genuine (aumentate poi a tre milioni) ‘a titolo di rinfresco e quieto vivere; quattro membri del senato ostaggi a Milano; la scritta di sottomissione; più altri tributi’ quali spese di guerra, come cannoni e mortai da mandare all’assedio di  Savona. Durante la rivolta impose al Doge si sparare sui ribelli ma ebbe la fiera risposta «mai la Repubblica userà sui suoi cittadini le armi destinate alla difesa di essi».  

   Lamponi segnala che il 7 settembre di quell’anno nella villa furono depositati 170 sacchi di monete d’oro ed argento (corrispondenti a 250mila genovini d’oro) pagate come imposta all’Austria dalla Repubblica. Non potendosi difendere, i genovesi lasciarono occupare la Porta Lanterna dai granatieri e, arrogantemente il Botta si impossessò anche della successiva Porta san Tomaso, essendosi già impadronito di considerevolissima quantità di farina, di altri viveri, di armi e suppellettili lasciati da’ Galli-spani nei loro magazzini di San Pier d’Arena.

   Le truppe acquartierate nella case dei cittadini sia dentro che fuori città si diedero ad estorsioni, violenze, richieste di cibo e vettovaglie e quante altre vessazioni inimmaginabili, sino al famoso trasporto del mortaio dalla Cava versop piazza DiNegro ove sarebbe stato imbarcato; nell’attraversare Portoria avvenne il famoso  ‘che l’inse’ del Perasso (parola che nella toscana favella vale a dire : ‘che la incominci a rompere?’). La folla inseguì il nemico in fuga, arrivando sino ai suoi magazzini di rifornimenti occupati nel nostro borgo, ove si fermarono per fare bottino. Gli Austricaci, fuggirono da Genova in rivolta; cosicché il Botta -da San Pier d’Arena- studiò la biliosa vendetta e minacciò pesantissima rivalsa:  arrogantemente continuò nelle pretese, mentre però le sue truppe incalzate dal popolo rinunciavano a tutte le occupazioni fatte. Il generale iniziò tentando di richiamare a raccolta nel nostro borgo tutte le truppe  acquartierate nei villaggi attorno ed anche quelle dislocate nella riviera  di levante, le quali però trovarono grossi ostacoli nel procedere, per l’insurrezione delle popolazioni che riuscirono ad evitare il ricongiungimento e che poi obbligarono queste truppe abbandonate (più di 3500 uomini e cento ufficiali) ad arrendersi. Genova, mandò a San Pier d’Arena i suoi ambasciatori Agostino Lomellino figlio di Carlo ed il principe d’Oria  per patteggiare non più da umili vinti ma da risorti vincitori anche se ancora non in possesso di armata capace di controbattere definitivamente  l’austriaco che teneva  ancora le due Porte; roso dalla rabbia e dalla vinta sua arroganza, tentò per un giorno come ripicca di trattenere prigionieri gli ambasciatori; ma dovette cedere perché dimostrando inutili i diplomatici tentativi di armistizio o di  tregua, il popolo corse alle armi e con la morte di otto cittadini e trenta feriti cacciò definitivamente le truppe dagli insediamenti (le due Porte e san Benigno) che ancora tenevano ed obbligandoli precipitosamente ad incamminarsi verso San Pier d’Arena. Il giorno dopo il Botta, temendo gli si chiudesse anche la ritirata, di notte ed in fretta fece convergere le truppe verso la Bocchetta, caricando sui carri quanto più saccheggio aveva potuto fare. L’indomani mattina, il ‘basso popolo’ trovato il borgo libero dai nemici entrò nelle case da loro occupate e nei magazzini, facendo razzia degli equipaggiamenti austriaci e delle scorte abbandonate; il Senato ordinò portare all’ospedale i soldati ammalati ed abbandonati ed bloccò tutti gli accompagnatori che non erano stati avvertiti della fuga.  Nella popolazione genovese si accese il desiderio di andare a liberare Savona; il tentativo fu ostacolato dalla flotta inglese che bombardò Varazze cosicché molto popolo, appena arrivato a Sampierdarena, scoperto nel Palazzo del Sale viveri ed equipaggiamenti,  abbandonò l’impresa militare e si diede a saccheggiare lo stabile. San Pier d’arena fu spettatrice ed attrice di accurato saccheggio del campo lasciato dall’austriaco in ritirata e salvatosi appunto perché gli insorti si erano fermati ai depositi o erano stati corrotti dai tesorieri in fuga che prelevavano a man bassa dai ‘muli carichi di sacchi di monete’.

   Questa guerra,  mentre internazionalmente da nessuno viene descritto il ruolo –evidentemente insignificante- di Genova; in seno alla storia della città, è sempre stata identificata nel gesto del Balilla genovese senza mai sviluppare i risvolti e le conseguenze nei territori della Repubblica  fuori delle mura. Vengono sempre descritte le mosse dei potenti, i movimenti e le grandi strategie militari; ma ben poco si descrive della gente comune dei paesi terreno di battaglia; quelli che non fecero la guerra ma la subirono.  Qualsiasi occupazione militare comporta sempre violenza: da quelle fisiche alle altre di ogni tipo, morali e sessuali;  coprifuoco;  tasse; altre pesantissime condizioni per i civili sconvolti nella loro vita per mancanza di lavoro o traffici commerciali (o costretti alla fuga sui monti o nei paesi vicini); razzie e saccheggiamento della campagna (i raccolti tagliati anzitempo per dare cibo o paglia agli animali da guerra, o animali sequestrati per dare cibo alle truppe nemiche); concessione obbligata di alloggiamento con ruberia di beni e suppellettili; arruolamenti obbligati per essere inseriti assolutamente inesperti tra truppe cosmopolite ed accozzaglia di disertori o transfughi alla caccia di prede e saccheggi più che di vittorie. E alla fine, spesso, punizione per chi aveva collaborato!.

    Si scrive che i Doria, per ancora tre generazioni (un Ambrogio, un Carlo, un altro Ambrogio) la mantennero fino ai primi del 1800 (per cui tradizionalmente i cataloghi danno questo nome alla villa).                                                        1757  Ma nella carta del Vinzoni tutto il terreno –compreso quello della villa soprastante oggi Ronco - viene assegnato ai DeMari principi di Acquaviva (vedi a via N.Ronco). Se tale titolazione è giusta per la villa soprastante, per la nostra molto probabilmente è un errore, sia perché non combaciano né le date né le persone.

   Non si sa se direttamente o tramite altri proprietari,  all’ultimo Ambrogio Doria subentrò il nobile Giuseppe Masnata. Pur possedendola, probabilmente non la abitava se accettò, approvando lo scopo umanitario del sindaco cav. Nicolò Montano,  di farne il primo ospedale cittadino (secondo, in realtà, se risulterà vero che il complesso monastico di San Giovanni di salita san Barborino fu nel XVI secolo attivo come ricovero ed assistenza ai viandanti: si conosce una bolla del 1570 di papa Sisto V che chiuse questo ed altri ospizi a vantaggio di Pammatone, equivalendoli; ma altri testi sugli ospedali medievali non lo citano ed implicitamente ne escludono la funzione). Accettò così di venderla al  Comune di Sampierdarena nel 1873, seppur essa si trovasse allora in gravissimo stato di degrado, in cambio di una rendita simbolica perpetua anziché un capitale (fu incisa una lapide: «in questo palazzo - del sig. Giuseppe Masnata fu Francesco - ceduto - a vantaggiose condizioni - al Municipio di San Pier d’Arena - è stato eretto - l’ospedale pei poveri - l’anno MDCCCLXXIII’».

lapide nell’atrio

In sostanza tre marmi, uno affermante che Masnata era nobile, uno semplicemente signor, un terzo sotto il monumento gli dona il titolo di cav.)

   La scelta di un ospedale locale fu dovuta soprattutto alle quotidiane necessità subentrate all’immigrazione incalzante di persone povere, non sempre sane e le più senza assistenza , nonché all’industria in sviluppo crescente ma con i suoi quotidiani incidenti, ed infine all’eccessiva lontananza da Pammatone specie per le urgenze:  la città si era finalmente  accorta di avere teatri, industrie, un sano bilancio in pareggio, una bassa percentuale di analfabeti (l’8%), le banche, i pompieri, la biblioteca, ma non l’ospedale.

   Fu necessaria una energica opera di ristrutturazione durante la quale come già detto seppur conservando la grandiosa distribuzione spaziale cinquecentesca, l’ala a terrazzo posta a ponente fu abbassata; sulla facciata fu dipinto sopra il portone d’ingresso lo stemma della città di San Pier d’Arena;  e nell’interno -per la destinazione a reparti-   scomparve la cappella privata.

   L’attività iniziò con tre medici: uno per medicina, uno per chirurgia  ed un direttore (il primo si chiamò Paolo Ambrosini , rimasto famoso perché per primo in Liguria applicò una trasfusione di sangue; il secondo fu G.B.Botteri);  tre uomini e due donne i primi infermieri; mentre i servizi furono affidati a 7 suore di sant’Anna (le quali dopo due anni di servizio furono ritirate dalla fondatrice ed il servizio passò alle Figlie della Carità); del servizio farmaceutico fu incaricato il dr. Angelo Raffetto.    L’assistenza spirituale fu affidata nel 1874 a don Giovanni Antola che anche ebbe cura della cappella , allestita al piano nobile del palazzo. Le cure erano gratuite per i poveri e se cittadini ; per i paganti, costava 25 centesimi  una visita ambulatoriale e 1,25 lire al dì  la degenza; il Comune pagava una unica  sovvenzione annua, e l’ospedale si manteneva con donazioni, lasciti e qualsiasi iniziativa cittadina (spettacoli, balli, lotterie).

   Il 26 gen.1873, un regio decreto elesse l’opera ad Ente Morale; anno in cui una nuova epidemia di colera provocò 21 morti..

    Il 15 marzo 1874 fu ufficialmente inaugurato dal primo amministratore, il cav. avv. Nicolò Montano; i primi ammalati vennero ammessi dal 1 apr.1874, ed alloggiati in letti con pagliericci di foglie di mais: il piano terra (dedicato al chirurgo ligure GianLorenzo Botto) adibito per chirurgia uomini, al primo piano per medicina (dedicato a Guglielmo da Saliceto, un padre della medicina storica italiana), e sottotetto gli alcolizzati, epilettici, mentecatti e gli infettivi  (il colera nel giu.1884 da Marsiglia, vaiolo e colera nel 1886, i tubercolosi); i servizi furono destinati nei fondi mentre la chirurgia donne e maternità vennero ospitate in una ‘dépandance’  a due piani, posta a lato est del cancello (dedicata ai dottori Assalini, Paletta e ad Anna Morando, illustri e dotti maestri nella specializzazione).    Nel 1883 aveva sessanta letti, occupati a permanenza, con un movimento di 600 degenti all’anno, più maschi, colpiti nell’apparato respiratorio o feriti per risse o incidenti sul lavoro. Nel 1888 iniziò l’attività l’ INAIL (Cassa nazionale assicurazioni infortuni sul lavoro) .

   Fu messo in atto anche  un servizio idroterapico (dedicato a tal Paganini di Oleggio primo cultore delle virtù di quelle acque, allora vendute a secchi per 12 centesimi )

   Ma nel 1890 già si iniziò a pensare di ampliare la villa, oppure costruire un nuovo ospedale adeguato: quest’ultima idea prevalse e nel 1911  iniziarono i lavori in territorio di proprietà del Comune, all’apice della villa Scassi.

   Nel frattempo, già dal 1902 l’amministrazione aveva deciso di studiare un apposito capitolato per il servizio assistenziale e spirituale, sino ad allora affidato a suore: quando nel 1907 Pietro Chiesa diventò consigliere, siprestò a decidere per la laicizzazione dei servizi interni;   così nel 1909 si aprì la prima scuola infermiere, ma con risultati non brillanti cosicché  -finché l’ospedale  rimase al Masnata,  per difetto di personale laico-, l’assistenza rimase in gestione alle suore.

   La villa fu evacuata dai malati il 14 mar.1916, e tornò così vuota, in mano al Comune. Dapprima fu affidata alle autorità sanitarie militari (dal mag.1916, fino al 1918, per ricoverare i reduci della grande guerra); poi divenne cronicario (dal 1919 al 1926, fino a quando i ricoverati furono trasferiti a Coronata ed il palazzo donato ufficialmente al Nuovo Ospedale).

   Fu forse in questo intervallo, che la villa ospitò un collegio femminile, come attesta una foto che mostra tante allieve, di varie età (5-18anni), intente a giocare davanti alla scalinata, sorvegliate dalle suore cappellone (Lamponi)

   Nel 1932 l’amministrazione fascista gestita dal podestà Broccardi, chiese all’amministratore dell’ospedale dr. Ferdinando Ferretti la restituzione dell’immobile ottenendone un diniego: riuscì a spuntare solo un contratto simbolico d’affitto per la villa (per 25 anni, al canone di una lira), ed il terreno antistante (700 mq) per far scorrere la nuova erigenda via.

   Nel frattempo la Soprintendenza alle Belle arti, nel 1934 pose vincolo e tutela sull’immobile.

   Nel 1935 il piano nobile fu occupato dalla Biblioteca comunale (proveniente dal ‘palazzo Centurione, detto dell’’istruzione’, in piazza XX Settembre, oggi del Monastero): le fu assegnata la cifra di 3mila lire annue e prima fra tutte le biblioteche cittadine fu attrezzata con scaffalatura metallica detta Lips-Vago; anche se non era ben organizzata nei cataloghi (sia quello per autori e per materia). Nelle altre stanze dal 1933 aveva trovato collocazione e vanto il regio Liceo classico intitolato a G.Mazzini, di nuova formazione nell’ambito cittadino. Per esigenze di spazio e di prestigio, la dirigenza del Liceo nel 1939 riuscì a  far traslocare di nuovo la biblioteca ed occupare interamente lo stabile (fu posta una grossa scritta sopra portone; per questa funzione e destinazione ad aule, palestra e servizi, furono necessari ulteriori rimaneggiamenti dei locali ). Quindi nel 1950 risulta totalmente dedicato al Liceo Ginnasio governativo (detto ‘classico’) <G.Mazzini>.

Nel 1957 allo scadere dei 25 anni, l’amministrazione ospedaliera  riuscì a ‘restituire’ il palazzo facendoselo pagare dal Comune ben 50milioni.    Così tornata in mano al Comune, divenne oltre che sede del Liceo classico  Mazzini anche sede di un asilo e infine di una succursale della scuola media statale di 1° grado Nicolò Barabino (che ha –anno 2000/1- due succursali in via NRonco,29 ed in via Daste,8.

Il Liceo traslocò in via PReti 25,  per l’anno scolastico 1967, ove è tutt’ora, con una sede distaccata a Pegli. In settant’anni sono maturati circa settemila studenti, tra cui l’astronauta Francesco Malerba, l’architetto Renzo Piano, lo storico Ferdinando Fasce, il professore Fausto Cuocolo, l’onorevole Bruno Orsini, il prof. Francesco Surdich.

Da allora è sede di una succursale della Scuola Media statale N.Barabino

   All’esterno, il lato ad oriente ha sempre costeggiato anche nell’origine, l’erta salita  Salvator Rosa, prendendone i confini (nella carta vinzoniana il sentiero è aderente alla facciata est del palazzo, mentre poi  ovviamente fu spostato verso levante, per costruire il modulo laterale).

    Il cancello  dell’area giardino si apriva in via sant’Antonio (via N.Daste) al civ. 19 . Appena varcato, questo che era collocato al centro della proprietà, aveva a ponente un terreno ove ora è in via A.Cantore il palazzotto, ex-della banca d’Italia, ed a levante  una costruzione a due piani, forse per le stalle (poi adibita a reparto ostetricia-ginecologia), e vicino la casa del custode.  E’ da quel cancello che entrarono i primi ammalati all’ospedale.

   Tramite un lungo viale, centrale al  giardino, si ascendeva all’ingresso principale, che si apriva direttamente sui giardini ed orto sottostanti senza gli scaloni esterni: appare fosse munito solo di una corta e piccola scala esterna di pochi gradini, essendo il terreno lievemente degradante.

 

ad uso ospedaliero con padiglioni esterni        foto anni 1920 con facciata dipinta

 

                                                                      

anni ‘30; via Cantore in allestimento;                         anni ‘50; tra la villa ed il palazzo si vede

esiste ancora il palazzo “gemello”                               esistere un muretto di divisione

 

     

anni ’50                                                           anni 2000               

                                                                     

                                                                           

 

   La costruzione di via A.Cantore nel 1930,  eliminò  il giardino anteriore (e di conseguenza anche  il cancello d’ingresso), portando il fronte principale della villa direttamente sulla neonata strada: rimanendo così l’ingresso molto più alto rispetto l’asse viario: fu ovvia necessità per raggiungerlo, munire la facciata di due scalinate divergenti  e riattare i fondi divenuti piano terra .  Queste variazioni hanno trasformato le proporzioni estetiche, da uno sviluppo orizzontale, ad uno più cubizzato ed appesantito, seppur snellito dalle due costruzioni laterali.

    Il restante giardino fu interamente lottizzato ed edificato cosicché non rimane all’edificio nessun altro spazio se non un giardinetto nel retro: un minuscolo appezzamento di giardino, che fu dapprima forse giardino a fasce terrazzate (viene descritto un piccolo rudimentale ninfeo sul muro di contenimento del terreno a monte), poi occupato da una costruzione adibita a camera mortuaria del vecchio ospedale (pare che allo scopo dapprima fu usata la sala a piano terra posta nel retro a ponente, perché la più fresca); e poi -dal 1977 durante  restauri comunali- utilizzato con l’aggiunta di un corpo basso costruito su nuove fondamenta, ed adibito  a palestra , a stretto contatto con quello che resta del soprastante giardino della villa Ronco.

    La facciata era dipinta alla genovese, prima del restauro comunale che preferì un intonaco con  uniformità di colore; la balconata centrale ed i balconcini laterali -anche se non appaiono nel progetto iniziale del Bianco- sono tipicamente riferibili ai  primi trenta anni del seicento (palazzo Grimaldi in via san Luca), proprio per la presenza dei mascheroni antropo e zoomorfi posti a decorazione della parte inferiore delle mensole.

   Il 4 giu.1944, l’edificio subì anche l’insulto di un bombardamento che per fortuna distrusse solo parte del tetto.

   Nell’interno. Nel ‘capitolato di costruzione’ B.Bianco definì nei dettagli il materiale e le strutture da innalzare. Nei fondi sotto il piano porticato, praticamente allora previde  che in ogni parte di tutta la fabbrica si faranno cantine, cucine (con relative cappe per le gole dei camini: per 1 o 2 forni più fornelli vari), forse anche al piano nobile per esigenze giornaliere; probabile cisterna con acqua piovana dal tetto o torrentizia ricuperabile con secchi e carrucola; lavelli e scarichi per condurre l’acqua fuori di casa in qualche fossa ,o, vero nel condotto maestro; ‘et altre stanze repartite nel modo che piacerà al signor Paolo, tutte  indalbuzate lastricate di mattoni ferraioli over di pietre in coltello con calcina…’. Il portico sarà lastricato con pietra di finale o di lavagna; nel salotto a ponente si farà un camino incorniciato da lavagna; le finestre basse, con  ferrate di ferro; nelle stanze laterali dell’atrio si ospiteranno i servitori. Le scale saranno due: una per la servitù che potrà scendere nelle cantine o salire nei piani alti, e l’altra di rappresentanza. Al piano nobile ‘si farà un camino di Pietra Lavezzara di bella sagoma e rilievo, ben lustrato e polito; un pavimento di chiapello e di quadretti di Savona; si farà un bagno con due caldare di rame’ una per l’acqua fredda e per quella calda è previsto un fornello sottostante con camino per i fumi: i gabinetti, evidentemente senza scarichi, saranno costruiti ovunque venga richiesto dal padrone committente . Il tetto sarà rifatto a ‘Padiglione’.

   Nel periodo in cui l’edificio fu adibito ad ospedale, si sa fosse stato abbellito con statue e busti marmorei di medici e benefattori cittadini; nella trasformazione a scuola, dette statue furono tolte ed immagazzinate; e là rimasero finché furono riscoperte nel 1984 nel corso di un controllo casuale (furono  ritrovati anche uno stendardo ricamato in oro, alcuni vasi di maiolica e dei quadri).  

     

apice atrio                              sopraporta nell’atrio           salone del piano nobile

  Sull’apice della volta dell’ingresso, è rimasto affrescato solo lo stemma di San Pier d’Arena (guardato da sotto, sovrapposto allo stemma locale sembrerebbe poter leggere la figura di un uccello ad ali spiegate: è una illusione data dal gancio del lampagario); e la nicchia sovraporta centrale, con una Madonna, ritta, col Bambino in braccio.

 

                                             

                                                                                                        atrio - inizio scale

  Dopo l’entusiasmo del ritrovamento e qualche perplessità sul ripristino, le statue sono ritornate nel dimenticatoio, escluso quelle del donatore Giuseppe Masnata, sul cui basamento è riportata la scritta «QUESTA EFFIGE – A - RICORDO PERENNE DEL – CAV. GIUSEPPE MASNATA – CHE SENTI’ – LA PIETA’ DELLE SVENTURE UMANE – DALL’EGOISMO DEI FELICI – NON COMPRESE – O TROPPO SPESSO DIMENTICATE». Al Masnata è dedicata anche una lapide sopra una porta «in questo palazzo – del signor Giuseppe Masnata fu Francesco – ceduto – a vantaggiose condizioni – al – Municipio di SanPierd’Arena – è stato eretto l’ospedale per i poveri – l’anno MDCCCLXXIII». Dietro la statua, una più grossa lapide elenca i nomi dei benefattori: i nomi più importanti della città di allora e nella quale al Masnata viene dato il titolo di ‘nobile’ e non di ‘cavaliere’ come nel basamento e ‘signor’ nella sovraporta.

  Altra statua è della munifica Scaniglia Tubino sul cui basamento è scritto «... – i tesori – d’una beneficenza – senza orpelli e senza vanagloria – irradiando dietro una fulgida luce – faro e guida ai doviziosi»   che tutt’ora troneggiano nell’atrio di ingresso (dal costruttore definito ‘portico’;  l’atrio sembra quadrato per effetto prospettico, ma in realtà è di circa m. 8x6) assieme a quattro lapidi sormontate da medaglioni di altri benefattori (uno  dedicato a «Giambattista Moro del fu Tomaso – di questa opera pia .- già benemerito presidente – largivale con le ultime volontà somma cospicua  --.--  a riucordo perenne – dell’integro carattere dell’onestà – dell’illuminata filantropia – l’amministrazione pose – li XXIV giugno MDCCCC».   Altro dedicato a «Ad eternare il ricordo – della cospicua elargizione con cui – Sebastiano Dall’Orso fu Francesco – per ultima manifestazione dell’animo suo generoso – volle beneficiare questa Opera Pia – l’amministrazione riconoscente – della quale il benefattore fu membro solerte – questa memoria dedica  - addì 1 dicembre MDCCCLXXXVIII» ).

     

 Dall’Orso                                    Moro                Parodi-Croce                          loggia allapice scale

  Altro dedicato a «questo marmo – murato per cura dell’amministrazione – addì 21 aprile 1897 – ricorda un atto generoso – di Clementina Parodi-Croce – che memore  del suo soggiorno nella nostra città – volle giovare a questa pia istituzione – col dono di lire settemila --.—nacque a Novara il 26 maggio 1852 morì in Genova il 21 gennaio 1895».

  All’inizio della scala, si apre una stanzetta verso nord, la quale ai tempi dell’uso ospedaliero era adibita ad obitorio, essendo ‘la più fresca’.  

  La scala inizia in fondo all’atrio a sinistra, e con tre rampe ciascuna a 90° sfocia a nord  nella soprastante stanza della loggia (che il costruttore chiama ‘galarea’ cioè galleria), dalla quale si accedeva verso il lato mare tramite una triplice apertura (un portale centrale con balaustrine laterali sormontate da colonnine) costituito dal grande salone di rappresentanza (descritto essere con proporzioni tipicamente spagnoleggianti di 2/3), affiancato a levante da tre sale, ed a ponente da due. Nel 1929 vennero segnalati in una sala  5 medaglioni affrescati dai Calvi (presenti dopo il 1571 anche alle Franzoniane ed a Serra-Monticelli), raffiguranti le ‘fatiche di Ercole‘; e in altra sala altri affreschi con riprodotti episodi dell’ ‘Orlando Furioso’. In seguito a ristrutturazione, gli affreschi -evidentemente deteriorati- , furono coperti.

===civ. 29C non esiste

===civ. 29D: la ex biblioteca Francesco Gallino (i libri sono stati trasferiti nel 1991 al Centro Civico).

Dal 30 maggio 1992 divennero ospiti alcuni servizi scelti dal Consiglio di Circoscrizione: la centrale operativa regionale di Liguria Emergenza, per coordinamento e chiamate di ambulanze in forma non urgente (tel.010.46.0404) assieme all’Associazione Naz. Pubbliche Assistenze. Esse nel 2009 si sono trasferite altrove senza essere sostituite.

 

 

 lapide appesa nella prima stanza a destra,               2011-il locale nel quale erano

quando i locali erano in uso della biblioteca;           le scafalature metalliche dei libri

e lasciata dopo il trasloco, fino ancora nel 2011.

Dalla stessa data, subentrò in due piccoli locali la sede della SES (società editrice sampierdarenese) che – oltre a libri - edita il Gazzettino Sampierdarenese, gloriosa testata giornalistica seconda a parlare dei fatti locali (il bollettino ‘Corriere di Sestri’ è nelle edicole dal 1951), e dal 1999 inserita in Internet.

Nacque ad opera di un terzetto nell’aèprile 1972. Rino Baselica si stava interessando della sqaudra di calcio locale, la “Sampierdarenese ‘46” (della antica Sampierdarenese, la parte rimasta dissociata dal gruppo dirigenziale che aveva preferito fondersi con l’Andrea Doria e formare una nuova squadra, la Sampdoria che ebbe sede a Genova). La squadra locale aveva innumerevoli problemi, ai quali Baselica cercava un rimedio con gran spreco di energie personali; e quando la squadra raggiunse i 25 anni di età, Baselica pensò di onorarne la tenacia con qualcosa di clamoroso. Si accordò con due giornalisti appassionati della propria città

Ettore Bertieri e Giannetto D’Oria per fare una pubblicazione, al limite numero unico, con questo scopo (la testata portava lo stemma del lupo, simbolo della squadra stessa; solo nel maggio 74 fu cambiata con un purtroppo non perfetto stemma della città di San Pier d’Arena: il sole appariva coricantesi sul mare anziché sorgente da esso; fu giustamente corretto nel 1983 quando fu possibile con l’uso della fotolitografia inserire anche maggiore sponsorizzazione). E così fu edito il primo numero con un articolo di fondo intitolato “Impegno a servire”, foriero della volontà di proseguire nella pubblicazione del Gazzettino Sampierdarenese, nell’intenzione di farne “la voce” della popolazione, foglio libero per tutti, ed indipendente da tutti (specie dai politici anche se ciò avvenne in modo relativo essendo pressoché tutti con precedenti giovanili di partigiani e quindi tendenzialmente – e per alcuni anche decisamente - spostati alla sinistra politica: le critiche nei decenni dopo, erano “troppo di sinistra e troppo sampdoriano”... neanche più sampierdarenese...). Ai due ben presto si associarono  Bruno Palazzo e lo storco Tullio Macciò; la prima sede fu aperta in via Bruno Ghiglione al civ. 10, secondo piano e poi, seconda sede fu in salita inferiore S.Rosa 1. Ebbe subito successo arrivando - da una tiratura di poche centinaia di copie alle attuali (con circa 1000 abbonati enumerosi acquirenti dai giornalai) con vasta e minuziosa descrizione delle notizie a tutto raggio interessanti la delegazione e le viciniori ed il calcio (Sampdoria in primis, ovviamente, ma – che intendano l’antifona i genoani - a pagamento del club locale = da quando esso nel 2009 ha smesso di pagare, resiste la simpatia ma niente più pagina specifica). Con l’entrata –anno 1982- di un sesto collaboratore (Vasco Martellucci), il giornale - periodico mensile – divenne prodotto dalla ‘società editrice Sampiedarenese r.l.’ entrando ufficialmente nel mondo dell’editoria – con pubblicazione di 25 libri - e delle testate ufficiali.

   Vi ha sede anche il Centro Culturale N.Barabino: circolo artistico nato nei primi degli anni 70 per iniziativa di un gruppo di pittori sampierdarenesi quali Andreoli, Barbieri, Campani, Marsili, Fondato, Lippi, Molinari e da loro via via molti altri. Questi, dopo alterne vicende, ottennero dal Comune e dalla Circoscrizione la sede attuale, adatta per sviluppare il loro programma che vuole aiutare ad esprimere la propria personalità attraverso l’arte e disciplina pittorica: mai dimenticare i Massiglio, Rigon, Bagnasco, Galotti, Liberti, ecc.

   La palazzina fu dedicata all’insegnante di matematica Francesco  Gallino, che per trent’anni lavorò in città, ove morì nel 1929, acquisendo così l’onore storico della memoria  per la serietà professionale (vedi a CentroCivico di via N.Daste).

 

La ex via G.Masnata, è oggi una rientranza di via A.Cantore. Vi troviamo pressoché tutti in fondo alla rientranza:

===civ. 29E non ha la targhetta del numero civico, ma è un primo cancelletto che da adito ad una scaletta che scende nei fondi del palazzo 29D

===civ. 29F secondo cancelletto affiancato al precedente, che da adito ad un corridoio tra la palazzina 29D ed il muraglione, che finisce nel retro, a livello dell’ammezzato in un piccolo spiazzo abbandonato ed inutilizzato, sul quale si aprono le finestre del Gazzettino.

===civ. 31, un portone in ferro, dà ingresso pedonale ai box, al lato di levante della grossa saracinesca per le auto, che è segnata

===civ. 133Fr e 133Gr danno ingresso auto e secondo pedonale (simmetrico al precedente che però ha civico nero) ai box-Gadolla (se ne descrive a villa Ronco, via N.Ronco). La facciata, decorata a mattoni, come in salita Inf. S.Rosa, ha un mattone in bronzo con la scritta “10.034 - Le terre di Matilde - 1993 “ ed un simbolo con motivazione sconosciuta. Ha pure una nicchia con una Madonna  che fu restaurata dal pittore Lippi; coperta da una grata e grossolanamente tenuta pulita con una mano di calce; di difficile valutazione storica, è la stessa che sino a pochi anni fa era ospitata tra le pietre del primitivo muraglione ed ivi ricollocata alla ristrutturazione.

  

quando c’era il muro                         dopo fatti i box

===Il 133B  posizionato in fondo alla rientranza, dal lato del civ. 31A, stranamente viene dopo il G, dà adito a posti macchina privati, nel retro del palazzo ‘gemello’ seguente.

===civ. 31A, palazzo senza portici, offre un fianco alla strada principale


essendo la facciata nella ex via Masnata. Era conosciuto come uno dei due “gemelli”; perché ne esisteva uno eguale (vedi foto, sopra, alla villa Masnata) collocato ove ora scorre la strada principale  (in altri testi erano chiamati ‘case rosse’, dal colore dell’intonaco; o ‘Menagiati- Menoagiati’ perché abitati da famiglie indigenti o comunque di ceto operaio, neo immigrati dalle regioni limitrofe per lavorare nell’industria); come detto, dei due quello più vicino all’asse –allora principale- di via N.Daste trovandosi sulla traiettoria della costruenda via A.Cantore, fu demolito.                            

anno 2000


 Il portone di questo palazzo rimasto, è infatti aperto lateralmente, affacciandosi su una strada perpendicolare a via Daste  che –come già detto- si chiamava via G.Masnata, soppressa nel 1960 ed il tratto rimasto inglobato in via A.Cantore. Senza poggioli né decorazioni, era la tipica costruzione popolare per operai. Anticamente mi sembra fosse collocata sulla facciata di levante una nicchia con madonnetta giudicata di trecento anni fa: è stata spostata non si sa perché sopra l’ingresso dei box e l’intonaco appiattito. La facciuata che scorre con via ACantore, ha un cancelletto in ferro, senza civico. A ponente il palazzo finoisce con un terrazzo terrapieno che fa da giardino al primo piano.

Segue uno stacco col palazzo successivo, chiuso da cancello che porta il

===civ. 33: è un cancello che chiude lo stacco tra il 31A ed il 35; dà adito al retro del civ.35 ove esiste uno spiazzo –raggiungibile anche da via NRonco limitato da una sbarra- adibito a posteggio auto. La villa DeMari-Salvago-Ronco: una volta si apriva in via Daste e quindi in via A.Cantore. Ma da alcuni decenni è reggiungibile solo pedonalmente da via N.Ronco, e là viene descritta.

Il palazzo seguente, inizia con il 135r di una banca, ed ha tutti i civici rossi con lo stesso numero (135Ar, fino al 135Gr del negozio di scarpe Roa).

===135D la libreria EUSI.

===civ. 35 è un nuovo palazzo, eretto al posto di una antica villa che, sino al dopoguerra ospitava la ‘mutua s.Giorgio’. Era la villa Cardinale (essa  appare - nella planimetria del Vinzoni del 1757 - proprietà di Angelo Cardinale, del XVI secolo; nella carta è di proporzioni decisamente  piccole,  affiancata a levante al più vasto possedimento dei DeMari.  Vi trovarono sede le Suore di sant’Anna  quando ancora l’edificio si apriva in via Daste (esse, furono trasferite in via Currò e lasciarono la villa  alla Mutua aziendale Ansaldo san Giorgio, finché non venne inglobata negli anni ‘60 nell’assistenza dell’INAM (istituto nazionale assicurazioni malattie, che nel ‘79 divenne USL)).

 a destra l’edificio, quando della mutua.

Qualcuno lo ricorda come sede anche dell’INPS ma come palazzo normale e non villa antica: questo lascia pensare che la antica villa fu distrutta precedentemente e già sostituita con un caseggiato. Ultimo ad occuparla, fu la banca del Credito Italiano, prima che fosse  distrutta nel 1964.

L’attuale palazzo fu riedificato: alla toponomastica è scritto nel 1968.

 

via Nino Ronco.

 

Il nuovo isolato è composto da due palazzi affiancati in modo tale da apparire unico, ma con disegni decorativi diversi sulla facciata e sulla volta dei portici. Inizia con il 137r e finisce con il 141r il primo; dal 143r fino al 151r il secondo.

===civ. 147-9r la pellicceria Mirabella, in attività dal 1953

===civ. 37-39: con due distinti portoni e due distinte facciate,  appaiono ambedue con stile della prima terza decade del 1900. Furono costruiti sul sedime e terreno della villa Lomellini – Boccardo (antica casa residenziale patrizia, descritta in via Mercato).

===151r (il bar Liz che Cecere Riccardo titolò alla moglie, ed ancor oggi, nel 2007, conserva questo nome pur avendo tentato di cambiare due volte gestione per andarsene in pensione: tentativo fallito per incompetenza (e forse carenza di sacrificio) dei subentrati. Il locale è divenuto negli anni fino ancra nel 2010 un punto di ritrovo specifico per la zona: aperto sino alle ore piccole, con clientela selezionata dal proprietario, serviva specialmente aperititi e cocktail di alta fattura)

 

corso L.M.Martinetti; questo corso separa la UU27-Belvedere (già descritta sopra) dalla UU25-san Gaetano, descritta sotto.

 

Il palazzo inizia con il civ. 153r; non ha portoni direttamente sulla strada; come negozio più conosciuto c’è, al civ. 163r, Maiolino che vende scarpe; finisce con il 167r.

Una sbarra elettronica limita una rientranza tra questo edificio ed il successivo, come fatta a T, con un largo corridoio del loro retro adibito a posteggio dei residenti. Nel 1945, durante l’occupazione ‘alleata’, la zona era “off limits” militare: i segnali erano pitturati sui muri del palazzo, prima della totale cancellazione con un restauro negli anni 90. In questa rientranza ci sono tre civici neri (41, 43 e 45) e molti civici rossi (dal 169r al 239r); nella sua parte più a ovest è delimitato da un muro che: risulta molto antico e quindi originario, facente parte del parco della villa Doria-don Daste oggi di salita Belvedere; sembra a doppio rialzo (probabilmente perché la parte superiore fu effettuata in tempi successivi all’originale, forse per il velodromo); nello scendere verso il garage, si nota che esso ha la forma tendenzialmente ovoidale (come aveva la parte occidentale-inferiore del giardino –fatto a 8- della villa, e che risulterebbe essere limite al velodromo costruito nella zona nel 1910), e che ha -nella discesa- un largo arco di mattoni sovrapposti a pochi metri dal pavimento come ad indicare l’esistenza di un pozzo o di una rientranza a nicchia, ma sembrerebbe non avere alcun significato se non di scarico architettonico del peso.

nella discesa verso il garage, appare una volta di mattoni  semicircolare,. 

===civ. 41  È l’entrata dell’ala di ponente del palazzo delle anfore  (un altro portone, che si apre in corso Martinetti al 4 (e là viene descritto), serve la scala di levante). Come altri, i due portoni non furono aperti sulla strada principale o  perché l’edificio è di poco più vecchio (1930) della via Cantore (1935), o per lasciare sulla grande arteria gli spazi commerciali, decisamente più redditizi di due portoni.  civ. 41 con le anfore

Su disegno dell’ing. Bonistalli (che poi vi venne ad abitare all’int. 12), fu costruito dalla coop. che si autodefinì ‘popolare’, “la Ligure Edilizia” degli Stura su terreno da loro acquistato, e fu chiamato così perché alla costruzione furono poste sul tetto sei grosse anfore che andarono prima rimosse poi distrutte all’inizio della guerra 40-45, per evitare il pericolo di crollo causa bombardamenti. Le facciate, esclusa quello del retro, portano decorazioni post-liberty e grossi mascheroni; quella di via A.Cantore era arricchita nella parte centrale  da un disegno a mattoni che non vennero ripresi nella ristrutturazione del 1970 per ragioni economiche, e rimasero cancellati.

 

===civ. 43 fu costruito dalla  coop. “la Saggia”, su terreno allora appartenente ad un  sig. Bagnasco (vedi alla via omonima, ma non è certo sia la stessa persona).

 

===civ.45 (assieme al 47): delle foto ricordano (vedi via Mercato e via Daste) l’esistenza - sui prati ove ora sorgono i due palazzi (la zona si chiamava Mercato, vicino a dove ora è via Alfieri) - di un edificio a due piani, forse inizialmente casa dei guardiani della villa e poi destinato alla palestra della soc.ciclistica N.Barabino. Dal suo ingresso partiva un velodromo (vedi via Mercato) che aveva la curva di ponente - in corrispondenza del muro a 8 suddescritto dei giardini della villa Doria, e quella di levante a livello dell’attuale corso Martinetti.

 

1910 velodromo                                        a sinistra, l’attuale portone civ. 46 di via Cantore

 


              

Al civico 45 abita Lino Bruzzone, 58enne. Detto “il mancino di San Pier d’Arena” perché pluricampione di bocce, in varie società (Savio, Cornigliano, ADoria, Sampierdarenese, Lancia di Torino, Abg, Colombo, Bolzanetese, Tigullio e, ultimamente socio della Chiavarese (1999-2000), soc. Ferrero e poi della Voltrese.

Nel 2009, risulta 36 volte campione italiano; 75 convocazioni in nazionale e 8 volte campione del mondo; 5 volte vincitore di coppa Italia; 9 in coppa Campioni, e 5 europee.

Nel 2007 incaricato federale del Coni.


Il palazzo, che come detto  ha il portone sulla facciata di levante, dentro la rientranza,  inizia con il 241r, finisce con il 255r ed ha il negozio:

 ===civ.245r   è ospitato il negozio ‘Calderoni’, premiato negozio di cartoleria: il sig. Primo Calderoni iniziò l’attività come azienda per la riproduzione dei disegni negli anni 1920 (via Dattilo), allargandosi poi al commercio di tutto ciò che può servire ad architetti, geometri, e gente di fantasia artistica; tramite il sig. Alfati, succeduto al proprietario e nell’anno 2000 ancora presente in negozio,  è divenuto un punto di riferimento nella città.

I portici sembrano continuativi nel succedersi, ma in realtà sono diversificati in tre frazioni diverse anche nello stile architettonico: la prima corrisponde al palazzo del civ. 45 su descritto; la seconda corrisponde al terrazzo che separa i due palazzi ed appare come un corto ammezzato a tre fornici (nel quale c’è il portone del civ. 47 e due rossi 257r e il 259r di Montanari, ottico); la terza, con sei fornici aperti su via Cantore, corrisponde ad un ampio terrazzo - senza palazzo sovrastante - contenente i civici rossi dal 261r al 267Ar.

===civ.47  grosso caseggiato, meno decorato del precedente, che all’interno 1 ospitava la Associazione Mutilati ed Invalidi, e che ha nel retro ad ovest, il muraglione su descritto (quello di cinta, divisorio a ponente della proprietà Doria. Oggi a ponente,  c’è il giardino del civ 2 di via Vittorio Alfieri); nello stesso punto in cui il muraglione arriva all’altezza di via Cantore, iniziava la


facciata di ponente dell’Oratorio della Morte e Orazione, poi demolito perché si protraeva verso il mare ‘intasando’ la futura strada (Infatti, la via ACantore nel suo finire, fu costruita con un tracciato che coinvolgeva un terzo della chiesuola:  fu ovvio distruggerla assieme alle casupole a fianco perché pure intralciavano il percorso diritto della nuova arteria. È descritto in via Daste. (vedi carta).(vedi disegno in Gazz.S.6/73.3).


  

civ 47 – verso ponente                                  ingresso villa Doria ora Ist.donDaste -anno 1905        

 

anni 1940 – verso levante                muraglione residuo, verso i box

===civ. 49, non esiste.

Via Vittorio Alfieri

L’ultimo palazzo, inizia –appena discesi cinque scalini- col civ. 269r

===civ. 51 la facciata principale ha il portone posto più basso del livello stradale, perché costruito prima della definitiva sistemazione della via Cantore; quindi in linea con l’antica strada (via Mercato) come anche non parallelo al civ. 50 di fronte a mare  ma un poco in diagonale come era la strada primitiva; e –dal 2006- ha praticamente due marciapiedi: uno quello antico classico, che da est inizia scendendo alcuni scalini; l’altro nuovo –parallelo ed esterno al vecchio- fatto a passerella che discende gradatamente evitando gli scalini. La facciata a est offriva l’appoggio ad alcune casette  –tra esse, l’Oratorio- esistenti prima dell’apertura di via Cantore ed ultime ad essere abbattute  perché aggettanti sulla strada da tagliare: di esse rimane il segno del tetto nella parte alta della facciata. Questa fu utilizzata per  reclamizzare il fascismo in epoca prebellica: vi fu affrescata l’immagine del Duce a cavallo con la spada protesa verso mete di gloria (altri mi dicono che c’era disegnata la sola testa con elmetto); sotto a grossi cubitali le solite scritte che a lungo sono rimaste visibili anche decenni dopo la guerra: Alla  base di questa immagine, nei giorni della Liberazione non pochi civili fascisti o semplicemente simpatizzanti furono tout-court fucilati da sedicenti partigiani (come i sarti Lusuardi (Giuseppe: sicuramente era nel 1933 in via Umberto I, 61. Nel periodo bellico svolgeva anche servizio nella contraerea al forte Tenaglia. Nel 1945 si dice avesse negozio nell’attuale via G.Buranello, altri dicono in via Cantore;  nei giorni di fine guerra appena firmata la resa dei tedeschi, non scappò ritenendosi non coinvolto; invece fu sequestrato da –si dice partigiani in attività di giustizieri- e fucilato sul ponte di Cornigliano; ritrovato poi dai parenti all’obitorio assieme ad altri cento corpi di similari; ai famigli fu proibito fare ed assistere ai funerali) e Soldani di via S.Canzio, che  cucivano le divise antrace. Altri egualmente uccisi non da veri partigiani ma da delinquenti vestiti da partigiani -perché più desiderosi di una propria vendicativa giustizia che di un equo processo ed in spregio alla democrazia ed alla libertà che andavano portando-,  furono lasciati sul marciapiede dove ora è il fotografo Caradossi (tra cui un commissario col suo cane, definito un brav’uomo tendenzialmente portato ad usare la sua carica per aiutare i malcapitati che cadevano nelle mani dei fascisti violenti); ed altri nell’attuale via  Avio davanti al cinema Politeama. Pastine ricorda che nel sedare una rissa, i carabinieri di corso Martinetti fermarono un individuo che teneva in tasca una lista di nomi di ‘borghesi, i più in vista’ della nostra delegazione).

===civ. 277r negozio di parrucchiere Gullaci, finisce via ACantore

via GB.Monti 

===sulla piazza, al termine della strada, non si può non ricordare il Vigile Urbano, negli anni del dopoguerra fino agli anni 1970 ed olre. I Messo al centro della strada, sul piedistallo cilindrico a regolare il traffico quando non esistevano i semafori, al freddo, al vento ed intemperie che in quel punto non riaparmiano; così nelle feste natalizie, ma a Befana in partticolare, era circondato dai doni dei cittadini, che un po' con amore un po' con odio hanno sempre portato rispetto a propri “cantuné”.

===lo sbocco del sottopasso,  è al limite tra zona di piazza Montano e quella di via CRolando.

 

DEDICATA al generale alpino sampierdarenese.

Nato alle ore 24 del 4 ago.1860, da Felice  (fu GB,  era casellante -o più preciso definito nell’atto di nascita ‘portiere alle vie ferrate’ nelle ferrovie locali- All’epoca i caselli erano posto a distanza di 1 o 1,5 km dovendo essere controllato a piedi il tratto di competenza; l’abitazione era delle più semplici con vano unico a due piani: di sotto servizi; nel sottoscala la  latrina; di sopra camera da letto -anche per il figlio- riscaldata in inverno dal camino della cucina sottostante) e da Ferri Mariana (fu Giuseppe, ‘lavoratrice di casa’, di modesta levatura sociale), abitanti in una casetta-casello di proprietà delle ferrovie: (potrebbe essere quella presso vico Cibeo (inizialmente una antichissima chiesetta della famiglia Cibo, abbandonata all’erezione del viadotto della strada ferrata, e trasformata in casello con abitazione. Se è lei la ‘via Ferrata’ citata da alcuni biografi, corrisponde a quello stretto passaggio che subito dopo il sottopasso porta alla casetta, ed ora chiuso perché privato delle ferrovie. Il nome della strada ovviamente non è ufficiale ma solo popolarmente indicativo;  al civ. 8 abitava la famiglia Cantore). Fu battezzato il giorno dopo dal curato don Giovanni Ferrari nella parrocchia di san Martino della Cella con i nomi Antonio Tomaso (documento conservato nell’archivio della chiesa; padrini al battesimo Antonio Landro e Teresa Frei). Scolaro diligente, maturò conoscendo il significato di dovere e fatica, dapprima frequentando l’Istituto tecnico poi  avviandosi alla carriera militare: pare che fu scartato nella leva di marina perché miope, frequentò i corsi della scuola militare di Modena, da cadetto alla prima nomina di sottotenente ottenuta a vent’anni; e poi lentamente sino ai gradi di capitano di fanteria.

   Dopo alcuni corsi speciali di guerra, divenne tenente (1880), maggiore (nel luglio 1898, e destinato agli alpini (da cui poi uno dei vari nomignoli: ‘alpino di mare’.  Il corpo degli Alpini era nato nel 1872 dietro proposta del cap. GD Perrucchetti, nel desiderio di avere un corpo di fanteria specializzato nella guerra di montagna. Attualmente è composto da quattro brigate –Cadore, Julia, Taurinense, Tridentina facenti parte del 4° corpo d’Armata)) e poi finalmente il grado di colonnello (dell’88° reggimento fanteria della brigata Friuli).

Con questo grado, nel 1909 costituì –e l’ 1 ottobre ne prese il comando- l’8° Reggimento alpini (genericamente detto “reggimento Cantore”, composto dai battaglioni  Susa, Vestone, Feltre e Tolmezzo), con l’incarico di addestrarlo per compiti diversi dalla montagna.   Infatti, mentre era previsione degli alti comandi riprendere la campagna coloniale (interrottasi nel 1896 con la sconfitta di Adua) dapprima gli alpini furono impegnati nella guerra italo-turca (1911.12, alla fine della quale ricevette una decorazione); e poi, partiti da Napoli col suo reggimento furono inviati il 28.9.1912 in Tripolitania (Libia), con lo speciale incarico di combattere le bande di ribelli:  nelle battaglie di Assaba e Tebedut (vengono citate località tipo Ettangi ed El Mduar), riuscì col battaglione Tolmezzo  a  battere il Senusso usando le armi dell’astuzia (grande mobilità e rapidità: dopo marce forzate di centinaia di chilometri in pochi giorni, sorprendeva e spiazzava l’avversario apparendo da parti diverse), e del coraggio (due volte consecutive appiedato dal cavallo colpito, ogni volta ribalzava in piedi continuando ad incitare i suoi alpini e creando il mito della sua invulnerabilità). Così si distinse e seppe assicurare il controllo della colonia, compreso l’interno della Tripolitania e Cirenaica;  per cui meritò la croce di Cavaliere, e quella di Ufficiale dell’ordine militare di Savoia.

Quando le sue truppe furono fatte rientrare in patria, volle consegnare a ciascuno un atto di elogio e di saluto; lui restò in Cirenaica ove nel 1914 divenne Maggiore Generale per merito di guerra, continuando ad impegnare il Gran Senusso con ardimentosi raids sulle colline di Braksada,  con l’occupazione di Gebadia, con le battaglie di Merg e Tecniz sempre con tattiche capaci di frenare l’ardimento del nemico.

Via via assunse il comando della brigata Pinerolo, poi del 3° Alpini, e poi della Mantova. Appassionato  e facente parte della Società Geologica Italiana, procurò ad essa preziosi rilievi topografici e geologici delle montagne, riconosciuti  veri documenti scientifici.

All’approssimarsi dello scoppio della guerra del 1915, fu richiamato in patria, ottenendo il comando della III brigata Alpina: il giorno stesso della dichiarazione di guerra, 24 maggio, dopo personale ispezione della zona, con le sue truppe si lanciò fulmineamente in val Lagarina mirando verso Trento, travolgendo le ancora disorganizzate difese nemiche; il giorno dopo era già oltre il monte Baldo ed il 26 occupò  l’ Altissimo. Il 27, partendo da Peri conquistò Ala, e il 29 mattino arrivò sul monte Coni Zugna -strappandolo alla resistenza austriaca- (quest’ultimo, caposaldo nemico, era particolarmente munito di difese). Dopo due giorni, aveva già occupato la Biaièna, una montagna  difficilissima e dominante.

Per queste capacità, fu spostato da questo settore – per merito suo divenuto meno importante nell’ottica complessiva della guerra – e promosso generale di divisione per merito di guerra gli fu affidato il comando in Trentino nella zona di Cortina d’Ampezzo, della gloriosa II divisione della IV armata (‘val Boite-Cadore’), a sostituire il gen. Savero Nasalli Rocca accusato di essere troppo prudente e lento. Vi arrivò con la fama di collerico, impulsivo, caparbio sino anche violento, ma in compenso generoso, ardimentoso, intelligente ed altruista: lui non mandava la truppa in avanti, ma la precedeva condividendo rischi e pericoli e con l’aureola dell’invincibile e immortale. Appena arrivò, migliorò la linea delle postazioni essendo mutate le condizioni di guerra in alta montagna e tendendo ad instaurarsi la ‘guerra di posizione’.

L’intera zona era chiamata dagli italiani ‘settore val Costeana’; il giorno stesso dell’inizio ostilità, una pattuglia di alpini entrò nel settore, trovandolo sgombro da austriaci che arretrati fortificavano la linea dello spartiacque dell’alta valle Travenanzes con il Castelletto, annidandosi nelle rocce della Forcella Fontananegra (m.2580), a nord della Tofana di Rozes e su due avamposti allo sperone TreDita e la Spalla della Tofana di Dentro che vanificavano agli alpini poter occupare la bassa val Travenanzes. Gli italiani occupavano le cime delle altre Tofan (di Mezzo e di Dentro) e accerchiavano la forcella di Fontananegra attraverso la quale speravano discendere in val Travenanzes. Ma, alla fine, con gli austriaci a quota 1800 e gli italiani a quota 1300, per un distanza di circa 500 m., ogni assalto era un massacro.

“Con Cantore, non si dorme!”; ma dando sempre l’esempio, costante nella presenza e responsabilità, aveva conquistato la devozione di tutti i soldati, innalzando alle stelle il senso di fiducia; per lui non doveva esistere una guerra di posizione ma di movimento, e l’unico modo era studiare bene la zona per vedere come e dove attaccare. Così ideò e maturò con sopralluoghi, un colpo di mano sulle Tofane, necessario per tagliare al nemico la via di rifornimento di Dobbiaco: propose di iniziare l’attacco dallo sbocco della val Travenanzes per sopraffare le difese poste a nord della terza Tofana e così prendere alle spalle le difese di Fontana Negra, del col di Boise e di Falzarego:  dopo un esordio favorevole,  le truppe scelte dell’Alpen Corps  ben appostate su punti dominanti dei monti, lo obbligarono a ritirarsi e rivedere il piano d’azione; così sempre con il suo tenace disprezzo del pericolo, convinto che la pallottola che l’avrebbe ucciso non fosse ancora stata fusa, il 20 lug.1915, uscito dall’hotel Posta dove alloggiava in Cortina, salì a Vervei sulle Tofane (i cacciatori di aneddoti sottolineano gli eventi più utili per dimostrare le loro tesi: volendo raccontare l’astio crescente nei confronti del nuovo generale, vengono descritti due avvenimenti: l’incontro con un ufficiale della brigata Como che aveva conquistato Cortina, e avendolo trovato lontano dal suo reggimento, punito severamente (nervosismo); arrivato a Vervei, ai soldati esclama “domani sarete tutti lassù”... sulle vette occupare dagli austriaci o in cielo? (scaramantico); alle ore 19, dopo aver conversato con gli ufficiali, volendosi rendere conto personalmente delle difficoltà che si frapponevano andò con quattro alpini a studiare le postazioni in un osservatorio avanzato dove era la 9.a compagnia in località Forcella di Fontana Negra e da dove pensava poter riiniziare l’attacco. Arrivato al ghiaione che porta alla forcella, zona chiamata dai soldati ‘contagocce della morte’ perché chi poco si sporgeva era ucciso, perché gli austriaci erano a 200 metri di distanza, in alto. Mentre tentò di guardare col binocolo, venne mirato alla testa da un cecchino il cui primo colpo lo sfiorò; il secondo colpo gli perforò la visiera, facendolo cadere a terra all’indietro due metri più in basso senza poter pronunciare una parola avendolo lasciato fulminato.

              Una relazione rilasciata da un fante presente assieme ad altri 12 soldati del 45° fanteria e quattro alpini del ‘Belluno’, riferì che appena arrivato si era messo a colloquio con i due ufficiali superiori (il magg. Ottina, del 3° batt.-45° fanteria; ed il cap.  Comucci della 12° compagnia del 23° fanteria) con i quali studiare come conquistare il rifugio Tofane posto ad appena trecento metri di distanza. Dopo il colloquio si portò a controllare la zona esponendosi al cecchino e rimanendovi testardamente anche dopo che un primo colpo lo aveva fallito per poco.

La sua salma, portata a valle con non poche difficoltà (solo Lamponi, dice che due alpini perdettero la vita nell’operazione), ebbe un solenne funerale per le vie di Cortina e fu tumulata dapprima in un cimiterino locale sulla strada del Falzarego e poi, quando eretto, nel vicino sacrario di Pocol (intitolato a lui) assieme alle migliaia dei suoi soldati che come lui perdettero la vita su quelle alpi.

   Fu insignito della medaglia d’oro al valor militare alla memoria (in ordine cronologico dalla sua istituzione, sesto tra i liguri); la   motivazione    riconosce “esempio costante e fulgido d’indomito ardimento alle sue truppe, le condusse attraverso regioni difficilissime ove il nemico si era annidato riuscendo a sloggiarlo. Cadde colpito da palla nemica sull’osservatorio dal quale esplorava e preparava nuovi ardimenti. Forcella di Fontana Negra, 20 luglio 1915” .

   Sul luogo, fu eretto un piccolo cippo con una lapide “ a Cantore . m. 20-VII-1915 . Assoc.Nazion.Alpini . 5-IX-1921 “.

   Il 09.10.2010 gli Alpini di San Pier d’Arena hanno scoperto una lapide in suo onore nel muraglione della stazione ferroviaria di via di Francia: con piccola ma sentita cerimonia : «Gruppo A.N.A...

Nei pressi di questo sito / in vico Cibeo / il 4 agosto 1860 / nacque il generale Antonio Cantore / medaglia d’oro al valore militare / caduto sulle Tofane / il 20 luglio 1915 / nel 150 anniversario della nascita / l’Associazione Nazionale Alpini, sezione di Genova – Municipio Centro Ovest / posero».

      

monumento a Cortina d’Ampezzo - foto Tardito                                                           9 ottobre 2010

 

   Di lui nacquero leggende, racconti, memorie; di uomo eccezionale, la penna nera per eccellenza: per lui morto tra i primi dell’alto comando, ed i suoi soldati falciati in enorme numero, fu ideato un apposito ideale reggimento detto delle ‘penne mozze’ (nel quale prestano ‘servizio permanente’ tutti gli alpini morti in guerra, fedeli all’impegno preso di lottare per la Patria, aleggianti in un particolare paradiso, idealizzato nel monumento in bronzo eretto a Cortina).

   I numerosissimi ricordi dei particolari sulla sua vita si sovrappongono quando vanno a descrivere il generoso entusiasmo patriottico, misto al senso di abnegazione, alla rude schiettezza, all’istintiva capacità di capire le necessità dei più umili e semplici soldati (che lo chiamavano “Toni”, per dire che era uno di loro), alla fermezza nell’indicare lo scopo e le motivazioni  del sacrificio.  Per i fedelissimi invece, era  “il colonnel” oppure “il vecio Toni”: quello della Cirenaica, è tutto un sottolineare le capacità tecniche, l’intuizioni vincenti , decisioni pronte di scelta -in una vasta sfera di possibilità d’azione-sintomatica di una visione superiore e completa dei problemi  da affrontare.

E’ dimostrato dalla storia che l’uomo, dai tempi degli Assiri ad oggi, è capace di immensi sacrifici, se ne ha un motivo per farli. Sempre la storia insegna che elemento fondamentale di ogni uomo è quello di cercare sempre di imporsi una mèta per avere uno ‘scopo’, possibilmente più nobile del vil denaro e della semplice sopravvivenza: la ‘famiglia’ per la religione, l’’onore’ per i cavalieri, il ‘Ché’ per alcuni giovani d’oggi, il ‘dovere’ per i tempi di Cantore: ai suoi tempi, l’amor di patria, il nemico invasore, l’unità d’Italia da completare, ma –come detto sopra- soprattutto il ‘senso del dovere’, erano gli stimoli che spingevano un fante all’attacco sul Carso, quando già in partenza sapeva che aveva pochissime –a volta nulle- possibilità di sopravvivenza; non era certo l’enocordial sufficiente a creargli quella ‘temerarietà’, se alla base non aveva questi supporti morali. Toccava quindi al superiore in grado non solo comandare ma soprattutto dimostrare che quei valori esistevano. Cantore fu l’emblema di questo modo di comandare: non si limitava a dire (quello che poi irrisoriamente fu stigmatizzato nella famosa frase ‘armiamoci e partite’), ma lo faceva -anche se diverso-, ma uguale e se possibile di più a quello che doveva fare il fante: per questo è divenuto un mito.

Questo identico ‘senso del dovere’, è quello che l’Alpino di oggi vuol conservare; nella vita associativa, nei raduni, ma soprattutto nel soccorso del prossimo in qualsiasi circostanza se ne abbisogni.

Ed è per questo che occorre conservare e valorizzare i miti che abbiano saputo ‘dare l’esempio’, uguale ed a rappresentanza delle migliaia e migliaia di ignoti che altrettanto come lui hanno dato la vita –a volte anche in forma più gloriosa di lui- ma sempre per un ideale ben preciso e voluto.

Per queste capacità e carattere, fu più volte paragonato a Nino Bixio.

Gli fu intitolato anche un cacciatorpediniere; sono più di cento i centri  abitati italiani che hanno una strada intestata ad A.Cantore.

D’Annunzio lo citò nella “preghiera del combattente”: «il valor rise come il fiore sboccia – Ala, una città presa per amore! – E l’eroe d’Ala avea nome Cantore – e il suo canto è scolpito nella roccia».

L’Associazione Nazionale Alpini è in via Cantore al civ.34***

 

Un tiratore scelto degli alpenjäger, tale Attilio Berlanda di Susa, a lungo si vantò essere stato il cecchino determinante, mostrando una medaglia d’oro ricevuta dall’imperatore in persona; cercando di dimostrare che quel giorno era lui a controllare la zona della Forcella; ma poi risultò essere un millantatore perché in quella data era assegnato in territorio molto  lontano da quella zona e la medaglia si riferiva ad un evento militare accaduto in Galizia. Come rileva Tardito, frequenti erano gli avvicendamenti  delle truppe nelle zone di guerra e quindi è possibile che nei giorni appresso alla fatidica fucilata, il tiratore sia stato spostato di zona; ma il silenzio del nemico, avvalora che il cecchino non si era accorto di aver colpito un alto ufficiale, e che quindi il colpo sparato fu uno dei tanti che tentava, spesso senza neanche sapere contro chi e se aveva successo o no. Così mai fu possibile identificare il nome del fatale tiratore.

Dai verbali, nessuno dopo il fattaccio ha interogato i quattro alpini che lo avevano accompagnato.

Altrettanti sconcertanti ed insolubili problemi, scatenarono altre ipotesi contrastanti la versione ufficiale della sua morte; con rivelazioni da studiare perché troppo spesso inattendibili: il foro del berretto, più consono al calibro di un fucile in dotazione italiana (diametro 6,5mm) che non a quello in dotazione tedesca (diametro 8mm);  voci di scontento tra i suoi alpini – addirittura odio per alcuni - perché lui rappresentava assalti al nemico e per essi - troppo spesso - la morte: ammirato e temuto. Voci che il cecchino fu uno dei nostri, un italiano ampezzano o in genere un trentino: senza considerare che molti di essi da sempre erano più affezionati all’Austria, e considerando l’italiano un invasore militavano in divisa austriaca: Cesare Battisti  e F.Filzi ne sono l’esempio opposto, e furono impiccati quali disertori, per questa scelta. 

LE POLEMICHE

   Molte considerazioni sottocitate, vengono da approfondito studio su Antonio Cantore condotto da Carlo Tardito e per ora non pubblicato.

   La morte del Generale, aprì una serie di illazioni che, ancor oggi a novant’anni di distanza, ogni tanto vengono riproposte come se non avessero mai avuto una chiarificazione. “La calunnia è un venticello...” rimasta lì a covare come il fuoco sotto la cenere: è riemersa nell’occasione di una mostra sulla Grande Guerra tenuta a Cortina nel 1998, durante la quale il giornalista Massimo Scampani scrisse sul Corriere della Sera un articolo sottoforma di ‘giallo’  riaprendo così vetuste ‘verità’ evidentemente non mai ben chiarite.

  Facciamola noi, adesso una verifica ai dubbi più rilevanti, constatando che per nessuna di queste polemiche esiste una prova materiale matematica. Ai dubbi e ipotesi quindi, contrapponiamo altrettanto due ipotesi teoriche, ma che nell’impossibilità della certezza, valgono come valutazioni ponderate sul piano delle probabilità e dell’intelligenza.         Sappiamo che la verità dei fatti, il più spesso, è la più semplice.

   Il primo di essi chiede se fu un cecchino austriaco ad ucciderlo, od un fante italiano esasperato, reattivo ed al limite delle condizioni emotive (visto che vivere in quel distaccamento avanzato doveva essere tutt’altro che rilassante, non per nulla veniva chiamato ‘contagocce della morte’.   Ad essi si accosta il libro - edito nel 1974 del prof Viazzi, titolato “i diavoli delle Tofane”,  nel quale a pag. 47 nota 2 riporta lo scritto del prof. Fabbiani - che dell’argomento cita delle ‘voci’ paesane e lo scritto di due sacerdoti  locali che qui è impossibile, per spazio riprodurre per intero: alpini che gioirono e che si ubricarono; alpini che già  si comportavano fuori dalla legge militare e civile; alpini che – sicuramente furono loro! - lo uccisero e poi inscenarono la faccenda del cecchino). =L’analisi si fraziona in più parti

=Da parte nemica si scatenò la corsa per acquisire il merito di aver colpito un alto ufficiale solo molto tempo dopo il fatto, tardi nel tempo, quasi solo quando la guerra era già finita.

= Solo al funerale solenne la notizia divenne palese conoscenza del nemico, al di là delle prime ‘chiacchiere di paese’ riportate dai sacerdoti riguardanti il comportamento di alcuni alpini: questo avvalora l’ipotesi che anche il cecchino stesso non si era reso conto della grossa preda e della reale fine di essa.

=Caduto all’indietro il generale andò fuori della visuale del tiratore che al momento non potè mai sapere se aveva colpito o no, né chi, anche se i gradi nel berretto avrebbero potuto dirgli qualcosa rispetto l’impegno di mirare – e velocemente premere il grilletto - nel momento che inquadrava quel poco che sporgeva dalla roccia. 

=É accertato, che il giorno dopo l’evento, la terza compagnia dei territoriali Landsturm n° 165, della quale faceva parte uno dei candidati cecchini, venne avvicendata da un plotone di Jäger bavaresi. Tra altri, un tiratore scelto degli alpenjägher, tal Attilio Berlanda di Susa a lungo menò vanto di essere stato presente quel giorno sulle Tofane e quindi essere l’autore dell’evento; ma accertamenti successivi appurarono che in quella data era molto lontano dalle Dolomiti e non poteva rientrare nel numero di quelli avvicendati. Comunque il tiratore, allontanato e destinato altrove, evidentemente seppe dell’evento poi molto tempo dopo, e nella presunzione di essere lui l’eroe fortunato, come faceva a ricordare diligentemente tutti i particolari che poi per lui erano rappresentati da una porzione di testa, forse coperta anche da un binocolo e scomparsa dopo il tiro; si presume che se si fosse reso conto di aver colpito un alto ufficiale sicuramente oltre ai commilitoni ne avrebbe fatto relazione ai suoi superiori scatenando una quantomeno vivave reazione in campo nemico.

=Questo silenzio può stare a suffragare varie ipotesi: pare che Cantore, appena arrivato esprimesse l’idea di vincere rapidamente (a scapito degli altri), di far evacuare Cortina (con grave rancore degli abitanti) e di attaccare subito (con rancore dei soldati di dover andare a morire). Pare altresì che tra i soldati italiani ce ne fossero tanti ‘sbravazzati’: sicuramente ci saranno stati militari, moltissimi analfabeti, non degni della divisa e dell’onore di essere alpini – ma questa idea non ci appare degna di considerazione sia perché il Generale era arrivato a Cortina due giorni prima e non poteva essere responsabile - anche agli occhi di un eventuale abbruttito - degli immensi sacrifici che sopportavano; ma soprattutto perché quel giorno fatale, nella ridotta avanzata, c’erano 16 soldati, di fanteria e alpini, guidati da un maggiore Ottina, del 45° fanteria,  e da un capitano Comucci del 23° fanteria: che per ordini superiori tutti abbiano taciuto un così grave omicidio di uno di loro è abbastanza impensabile; che non sia seguito alcun processo all’omicida è assurdo; che nulla sia trapelato quantomeno anche dopo il conflitto quando – almeno i soldati - non più erano vincolati da ordini di superiori, rende l’ipotesi poco valida.

=Che il franco tiratore potesse essere un ampezzano è giusto, ma sicuramente in divisa austriaca: la grande vallata vedeva gli italiani incalzare da sud, ma per molti abitanti essi erano invasori, essendo lo spirito, la tradizione, la lingua e  l’educazione fedeli agli Asburgo. Cortina, da 400 anni era sotto l’Austria; per tutti, il clima internazionale era amichevole e tollerante; la lingua tedesca ma con insegnamenta a scuola dell’italano; ma altrettanto, per molti abitanti le truppe italiane non erano liberatori ma invasori. Non facile la scelta di quei trentini; presumo che molti si siano arruolati nell’esercito austriaco, se non altro per non venire classificati e puniti come traditori vedi Cesare Battisti e Fabio Filzi). =Infatti sappiamo che tra  i Landsturm molti erano ampezzani austriacanti.

=Ed altrettanto, ma con aggravante, vale per i due sacerdoti: non è chiaro se imparziali relatori o anche loro ‘austriacanti’; e per necessità di adattamento, con i piedi in due scarpe: ancora oggi, a settanta anni dalla guerra, in quelle terre la santa messa domenicale viene detta in tedesco e non in italiano.

=E poi, perché il parroco, don Pietro Alverà, scrisse questi fatti sul bollettino-diatrio parrocchiale, e non segnalarli all’Alto Comando – come si compete a persona di cultura - essendo il fatto giudicabile di estrema gravità?

=il basso livello culturale generale nelle nostre truppe - tantissimi gli analfabeti - sicuramente trovò terreno fertile per far attecchire ogni ‘voce’ specialmente se rivolta contro gli ufficiali, e riportate poi  da persone sì di cultura, ma o vili o addirittura fuori legge, militare e civile.

=Per ultimo, e non ultimo, la serietà delle valutazioni dell’Alto Comando: l’obbedienza cieca era determinante durante la guerra, ma che tutti abbiano mentito anche col nobile scopo di non demoralizzare la truppa, non è solo offensivo ma sarebbe stato da punire; e comunque e soprattutto, fuori della mentalità di un vero Alpino.

   Il secondo  è il calibro del fucile valutato sul foro della visiera: 6,5mm per i nostri, 8mm per i tedeschi; il foro nel berretto appare 6,5.

Certamente meriterebbe una perizia balistica. Oggi più facile di allora, per i mezzi tecnici a disposizione. Ma inutile: solo per dare soddisfazione a qualche detrattore con le caratteristiche sopra descritte per i sacerdoti? Una pallottola in arrivo non fa un buco netto, ma slabbrato, quindi apparentemente più piccolo; il cuoio nel tempo si può restringere; oppure si trattò di un fante austriaco che usava un fucile italiano? visto che chi spara si sente a proprio agio non con tutte le carabine.

  Occorre accettare che ognuno, nella libertà di espressione, dica la sua, purché essa non sia a scopo di seminare zizzania o discredito: di fonti simili non mancano mai, ed oggi più di prima considerato essere di moda essere ‘controcorrente’ e revisionisti; come ultimi, alcuni commenti sul valore  globale delle truppe italiane in quella guerra, scritte  (ottebre/04) su un giornale tedesco.

 L’intelligenza media di una persona normale rifiuta dar credito a questo tipo di polemica. Consideriamo il tutto: CHIUSO, anche se il vero possa avere avuto risvolti diversi. La fugura del generale, nell’insieme, cambia di nulla.

 

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-Genova-Rivista municipale/comunale:  1/28.47 + 4/28.214 + 6/28.348 +  10/28.547 + 1/29.26foto lui+berretto + 6/29.325 + 6/30.467.536 + 6/31.465 +  11/33.964 + 6/34.474 + 12/34.1027 + 10/36.210 + 8/37.31 + 12.38.35 +  1/70.43

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-Il Secolo XIX   :  7/11/97  +  5/12/97  +  27/12/97 +  10/1/98  +  3/5/98  +  9/8/98 + 23/9/98 + 21/10/98 + 6/10/99 + 7/3/.20 + 14/11/00 + 12/6/01 + 06/7/01 + 07/7/01 + 26/7/01  + 17/10/01 + 20/10/01 + 15-16/11/01 + 05/12/01  +  6/12/01  +  30/12/01 + 28/11/02 + 13/3/03 + 24/4/03 + 27/5/03 + 30.11.03 + 24.6.04 + 23.9.04 +

-Lamponi M.-Sampierdarena-LibroPiù.2002- pag.43.54foto    

-Lamponi M.-Genova in bicicletta-Valenti.1977-pag.70foto

-Magnani L.-Il tempio di Venere-Sagep. 1987–pag.194

-Medulla M.-Sampierdarena- DeFerrari 2007-pag. 16

-Mignacco-Protagonisti del calcio genovese-DiVincenzo-2001-pag.150

-Millefiore.Sborgi-Un’idea di città-Centro Civico SPdA1986-pag.42

-Ministero della Guerra-Militari caduti nella…-Poligrafico.1930-pag.87

-Pagano/33-pag.852--/40-pag.231--/50–pag.213--ed./61-pag.123.591    

-Parrini S.-Antonio Cantore-Enciclopedia dei Liguri Illustri.1970-vol.1-

-Pasolini A-Semmo da taera de Colombo-NEG.1990- pag.71

-Pastine G.-Fuoco sulle montagne verdi-DeFerrari 2007-pag-.138

-Pastorino P.-Viaggio sentimentale nella GGenova-DeFerrari2007-pag.85

-Pastorino.Vigliero-Dizionario delle strade di Genova-Tolozzi.1985-p.310    -Pepè M.-Genova magica-Devega.1998-pag.47

-Piersantelli G-storia delle biblioteche civiche genov-Olschki.1964.-pag 53

-Piastra W.-Dizionario biografico dei Lig.-Consulta Li.1994-vol.II-p.507

-Pirlo & Ottonello-1747 Masone in guerra- Comune di Masone- ed.1998

-Poleggi E-l’invenzione dei rolli-Skira.2004-pag.139

-Poleggi E. &C-Atlante di Genova-Marsilio.1995-tavv.34.35.36.37  

-Remondini A&M -Parrocchie dell’archidiocesi di Ge.-1897.vol.11-pag.75

-Rocchiero-DerchiGB- pag.29          

-Roscelli D.-Nicolò Barabino-soc.Universale.1982-pag..154   +

-Saj arch.S. -Centro Studi sotterranei-rilievo del 6.XI.95

-Schmucker A-Album fotografico di Ge Antica-Mondani.1976-foto 173

-Tuvo T.-SPd’A come eravamo-Mondani.1983-pag.179foto.199foto  

-Tuvo.Campagnol-Storia di Sampierdarena-D’Amore1975-p.85.100.316foto  

-Vianelli.Cenacchi-Teatri di guerra sulle Dolomiti-Mondadori.2006-p.165


CANTORE                                  via Generale  Antonio Cantore

 

scritta posta sul muro del giardino della Fortezza

poco dopo la sua morte, su proposta anche di GB.Botteri (allora in qualità di Presidente del consiglio direttivo del comitato distrettuale della CRI), venne proposto intitolare una strada all’illustre eroico concittadino. L’impiegato comunale addetto, ingegnere civico, propose al Sindaco i nomi delle strade sostituibili: via Operai, via sant’Antonio, via san Bartolomeo, largo Lanterna, piazza del Teatro Modena, via della Cella.

    Il 29 giu.1917 fu deciso, ed il 10 luglio decretato dalla Giunta comunale, cambiare il nome da ‘via sant’Antonio’  a ‘via generale Antonio Cantore’. Quindi soppiantando l’antico nome del santo,  fu dedicato al generale alpino quel tratto di strada in prosecuzione di via de Marini, che da via Palazzo della Fortezza  arriva sino all’incrocio con via della Cella; ove iniziava e proseguiva via N.Daste (già via Mercato).

   Da quella data al 1930  in base ad una delibera straordinaria del Comune del 31.3.1921, decisiva per aumentare le tasse ad alcune società, delle quali, che esistessero nella strada sono citate: Cassanello e figli, fabbrica di pasta;- Rebora Andrea e figli, molino e pastificio (in villa Grimaldi, via Daste 4);- soc.an. RES, ovvero Rinnovamento Edilizio Sampierdarenese (vedi a ‘via RES’).

   Nel febbraio di questa data, fu deciso dagli iscritti al Partito Nazionale Fascista (abbreviato PNF)  di affittare le ex stalle dei regi Carabinieri site in questa strada, per farne la prima sede fissa; da loro affettuosamente chiamata ‘la stalla’ perché tale era la funzione di quei vani prima della loro occupazione; fu visitata da Mussolini in una suo giro all’Ansaldo  nel maggio 1926 e vide nascere la locale ‘Squadra di combattimento’. Furono presi in affitto dei locali oggi posizionabili nel retro dell’attuale palazzo civ.40 di via A.Cantore, in via N.Daste di fronte alla villa SerraMonticelli: un cancello da adito ad un atrio e, a ponente si aprivano i locali suddetti. Dopo questa prima sede, il partito – acquisito numero, baldanza ed impeto violento -, si ritrasferì il 4 novembre 1933-XI in via Mameli  (via Carzino).

     Dal Gazzettino S. viene descritto nella strada una ‘trattoria-caffè La Dominante’ di  Parodi Alfonso, atleta più volte premiato nel sollevamento pesi e nella lotta greco-romana. Il bar, titolato pure ‘cantine Parodi’, da lui aperto dal 1920 al ’45 (ma sul Pagano 1920 e 25 non c’è; sulla Guida genovese Costa 1928, esiste -alla voce ‘vini’- un Parodi, ma Giacomo, in via G.Cantore 20r), fu ritrovo di sportivi (alla Sampierdarenese era stato cambiato il nome per volere politico, ed appunto si chiamava Dominante), artisti ed amanti della musica leggera (con una discoteca fornitissima: fu sui ritmi del genere sincopato - lo swing - che nacque nei locali la figura artistica di Natalino Otto, al secolo Codognotto), del canto corale (fu lo stesso Parodi a far nascere e presiedere dal 1932 il ‘coro Euterpe’;   complesso che in dieci anni di vita passò di successo in successo a livello nazionale, diretto dal maestro Pieragostini (sue le parole di una musica andata perduta: «vint’anni ‘na chitära e a primmaveja, // ‘na seja tûtta argento che a m’ammïa // ‘na sâe de baxi canto stasseja, // sperando che s’arvisse unn-a gioxïa, // con questa aietta ch’a pa ûnn-a caressa. // Brûnetta, ti me veu sta ûn pò a sentì, // quante stelle e serenate gh’en staneutte de vellûo, // quante coppie innamoâe che se baxian // tremando dove gh’è ûn pitin de scûo, // mentre o mâ o l’è ciatto e-o m’ammïa // Zena a brilla comme a so e ti ti dormi, // alloa mi canto tûtta a neutte o mae amô».  Fino a pochi anni fa era ancor vivente un componente del coro dalla voce deliziosa, soprannominato ‘Culin’,  delle battute del comico Marzari  e delle sfide di forza tra Maciste e Palmiro (la gara tra i due era tra chi più volte riusciva ad essere capace di sollevare con una mano - dapprima posta a terra e con sopra due persone erette - e posarle su un tavolo; il vincitore era festeggiato con brindisi di vino buono).

      Nel Pagano 1925 vengono segnalati: al 2 la fabbrica casse in legno di Calvi Romolo;---  e la carrozzeria di Boveri Luigi rappresentante, con officina di montaggio delle gomme piene per carrozze della soc.Talbot di Milano;--  al civ. 4 Rebora Andrea e figli hanno in esercizio, tel. 41-333, un mulino a vapore (vedi v.Daste4); ma come ‘pastificio’ compare Rebora Salvatore fu Andrea, lasciando intendere che ‘il vecchio’ era morto l’anno prima;---al 23-4 Muratori Antonio negoziante in legnami (ancora attivo nel 33); 34r la cartoleria di Berardi Giovanni (eguale nel 1925; timbri in gomma e metallo; lo ritroviamo nel 1933 in via Daste 41.43; nonno dell’omonimo titolare della cartoleria di via C.Rolando; con stampati e cancelleria per uffici); 89 Fossati Giacomo e f.lli sono uno degli 11 stabilimenti che lavorano la latta, tel 41486 (ed ancora in attività nel 1951 in via Rela ed in via GB Sasso,11)

   Segnalati invece dal Novella, già da molti anni vi si aprivano il Conservatorio delle Madri Pie e la chiesa di santa Maria della Sapienza.

      Nel 1927 un elenco pubblicato dal Comune ed approvato dal podestà nel giugno, riporta la titolazione, errata nelle sequenza del nome di ‘via Cantore Antonio’ (eguale ne esisteva un’altra a Genova Centro, e così verrà battezzata dopo una decina d’anni la nuova strada centrale), anziché ‘via generale Antonio Cantore’ (una sottigliezza, che però urta contro l’usanza di allora, di far precederei  il nome dal titolo, come ‘via generale Garibaldi’, ‘via capitan G.Bove’, ecc.).

   Nel 1928, la Guida Costa segnala: al civ. 2-Boveri Luigi, fabbrica carrozze; 2bis-Carubbi Angelo gestisce il garage SPD’Arena ed anche 29-Motto Agostino ha un garage;  4- Rebora Andrea&figli con 95-MatteucciBordi Carolina vendono pasta alimentare; 5-Castelli Angelo e 117r Casale Giacomo hanno macelleria;  8-f.lli Pessino, bottai; 10r Moscatelli Costantino,  33r-Arata Carmine,67r Montanari Calogero, hanno la merceria; 11r-Lungavia Leopoldo, 34r-Berardi Giovanni, 81-Serra Olimpia, vendono materiale di cartoleria; 12Gandolfo Mario è trasportatore; 13-sorelle Bixio ricamatrici; 14- Massardo&Diana vendono conserve alimentari; 15r-Bottero Amedeo e 86r-Segale Maria, vendono commestibili;18r-Battisti Paolo,  88r-Casale Giuseppina hanno una latteria;  27r Professione Ferdinando è tornitore in legno; 29-Bariatti Ugo, e 36r-Usolini Luciano, calzature; 29-Farlenga Luigi fabbrica casse per imballaggi; 31r Battisti Ettore è gelataio; 45-Pastorino Severino vende porcellane e terraglie; 50-Benso Lazzaro è falegname; 51r-Bozzo Teresa è fruttivendola; 54r-Ercole Stefano e 39r-Iberti Eugenio, gestiscono una osteria; 55r Rametto Cesare è orefice, orologiaio e gioielliere; 57r-Frambati Quirino vende mobili; 66 Maccaferri Imelde è straccivendola;  71-Polo Alessandro e 83-Argentini Pietro sono confettieri e pasticcieri;  73-Bagliani Francesco, è parrucchiere; 75r-la società Coratio applica saldatura autogena; 79r Gattavara Maria tabaccaia;  82r Bruni Amalia e 19 Profumo Domenico e 1 Remrino Eugenio si interessano di vino; 20r-Parodi Giacomo 84r-Cassi&Fravega sono negozianti di carta e cartoni; 85r-Ruggeri Maria ha una tintoria; 89-Fossati Giacomo&f.lli lavorano latta; 94r BoninoL&f.lli lavorano producendo sacchi;   96r-Soc.An.Coop.OrtoAgricola Ligure tratta generi agricoli; 97r-Chianese f.ll sono vetrai;

   Per il Pagano/1933: al 2 Boveri Antonio come nel 1925; al 4 le scuole elementari Giuseppe Mazzini e Maria Mazzini;  il palazzo Scassi con le scuole di avviamento commerciale  Dante Alighieri e  le  scuole  serali  professionali  commerciali ( disegno, diritto, fisica, contabilità, lingue, computisteria); poco più a ponente, senza numero, persiste Rebora Andrea e figli, come nel 1925; seguiti dalle Franzoniane ’Istituto femminile Madri Pie’ (l’asilo, il collegio convitto, una scuola esterna  con elementari, medie, cucito, ricamo, pianoforte e pittura); al civ. 14 abitavano i fratelli Diana (dei quali il commendatore ed ex-sindaco era Manlio) produttori di generi alimentari; al 17 la segheria di Masnata Giuseppe;  al civ. 26  un panificio della cooperativa C.Rota; al 29 i f.lli Balestrino & C: avevano una officina; al 34r la cartoleria di Costa Andrea; al 35r la tintoria di Ferioli Bianca; al 101r il negozio di Chianese N. vetri, cristalli, porcellane divenuto pregiato pittore come pure il figlio, più illustre ancora.

 

 Con l’apertura nel 1936 del nuovo tracciato parallelo, posto poco più a nord , la  dedica a Cantore  fu trasferita a tutta questa nuova grande arteria, compreso il primo tratto di strada a levante che era già stato dedicato a Giosuè Carducci. Nella via sottostante, il nome del generale venne sostituito - come è oggi - con via N.Daste; che si aggiunse al tratto di ponente, già a sua dedica.  

Sul muraglione che sostiene il parco della villa della Fortezza, c’è da quasi novant’anni, ancor oggi, intonacata a fresco (non in marmo) la targa, della strada che nel 1933 era classificata di 3.a categoria.

BIBLIOGRAFIA

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