TARGHE:
via - Stefano Canzio – antica “crosa dei buoi” – già via N.Barabino
angolo p.zza VVeneto
particolare; non più leggibile in basso a sinistra l’incisione “già via N.Barabino”.
angolo con via san Pier d’Arena
particolare
QUARTIERE ANTICO: Canto
da MVinzoni, 1757. In celeste zona
dell’attaule piazza VVeneto; fucsia di piazza NMontano; giallo via NDaste;
rosso via AScaniglia
N° IMMATRICOLAZIONE: 2743 CATEGORIA: 2
da Pagano/1961
CODICE INFORMATICO DELLA STRADA - n°: 11680
UNITÀ URBANISTICA: 26 - SAMPIERDARENA
in rosso, via Pacinotti; giallo via
san Pier d’Arena. Da Google Earth 2007
CAP : 16149
PARROCCHIA : s.Maria della Cella
STORIA: la strada è ubicata nel pieno della ‘zona del Canto’, spiaggia di pescatori e di lavoratori dell’attracco portuale locale (quelli che avevano trovato la Madonna, ora esposta in via Bombrini, che dovettero cedere spazio ai cantieri dell’Ansaldo, che dovettero soccombere all’imperativo del porto, che oggi sopravvivono spiazzati fuori dell’antico ruolo del rione).
1) Il primo nome acquisito dalla strada fu “Crosa dei Buoi” (vedi): come tale è citata nel regio decreto del 1875 quando il Comune di San Pier d’Arena chiese a Torino l’approvazione per la nomenclatura delle vie ma titolazione risalente a vari secoli prima, fors’anche al medioevo. La strada andava diritta, dalla marina a via Mercato (sino al cinfine di levante del palazzo Centurione-Carpaneto di piazza N.Montano).
Non è dato con sicurezza il perché di questo nome; con la mentalità di tre-quattrocento anni fa, quando le zone venivano indicate secondo l’evento od il personaggio più conosciuto dai più, le versioni offerte da vari studiosi i più accreditabili cercano spiegazione nella presenza di questi animali, le varie ipotesi formulate sono però inconsistenti: o per trainare carri – i tombarelli (dalla/alla marina- con merci da caricare/sbacate via nave o con sabbia), o perché di lì passavano per andare al macello (difficile perché neanche è tanto pensabile che la popolazione facesse così largo uso di carne da giustificare un intenso traffico di bestie) o al pascolo (difficile, perché non ne esistevano ma era zona solo di orti). Assai improbabili anche le spiegazioni date dagli storici del Gazzettino (11/81), ricalcanti le ipoesi su descritte: di buoi - avviati al macello del Campasso (in altro numero del giornale, i macelli sarebbero stati alla Lanterna) attraversanti mezza città, perché scesi ad uno scalo ferroviario posto alla Crociera (in altro numero, alla ‘stazione fronteggiante Piazza Omnibus’): assurdo, sia perché il nome precede di secoli i macelli e la ferrovia; e sia perché appare improbabile che - anche se ‘a gruppetti’, si facesse fare loro il giro dal Canto (via Pacinotti), e scendere lungo poi la crosa dai quali prenderebbe il nome, per attraversare il centro cittadino onde arrivare al Campasso; al limite, fosse vero, sarebbero passati per via Spataro, o scenderli addirittura nel parco del Campasso. Per l’altro numero del Gazzettino, “smistati” alla Lanterna, dove però nessuno cita ci siano mai stati macelli.
Due altre ipotesi le propongo io: là c’era anticamente una grossa stalla dove non solo si ospitavano questi animali, ma anche si potevano affittare gli animali per i lavori più vari (tanti ne avevano bisogno, il Comune per primo; mica tutti possedevano stalle, bestie e carri propri); oppure che gli animali c’entrano per nulla e bovi proviene dalle barche usate per trasporti marittimi.
Alla prima ipotesi, porta vantaggio anche la vicina ‘via della Catena’, quasi a confermare che da quest’ultima – essendo vicina ad una casa di signori - non dovevano passare, mentre da quest’altra, si; e, considerato che a quei tempi tutto il traffico - e con lui tutta la vita del borgo - si svolgeva via mare, tra i tanti anche l’opera indispensabile e continua dei minolli nel trasportare la sabbia alle navi A svantaggio, che a quei tempi i carri erano prevalentemente trainati da muli, più raro da cavalli e buoi (i quali, più lenti, divenivano anche facile preda dei tanti invasori a caccia di cibo).
2) la seconda mia ipotesi deriva da un attento controllo della carta vinzoniana; essa
fa leggere in corrispondenze della strada, la
definizione “crosa dé bovi”. Essa allarga la possibilità sull’etimo della
parola, non intesa ai buoi animali, ma ai bovi
imbarcazioni. Nel campo delle piccole barche a vela latina (oltre i più famosi leudo, pinco,
sciabecco), negli anni del ‘700 (della carta vizoniana e del blocco
inglese in epoca napoleonica) ed ‘800,
era caratterizzato dalla necessità di avere imbarcazioni capaci ma altrettanto veloci
e manovriere: con l’antenna di maestra dritta al centro ed alzata da un
bozzello, lungo 15-20m., portata <40t., carena quasi piana, prua slanciata a
sperone (poi concava), poppa dapprima a specchio (con un prolungamento
dell’impavesata) poi tonda. L’avvento
del motore fece scomparire tale tipo di bastimento. Di un uso, ne cita Ferdinando Casa.
Con l’instaurazione della ferrovia (1853) e dei primi impianti siderurgici o comunque industriali già si iniziava a delineare quello che poi definitivamente venne riconosciuto nei primi anni del 1900: la destinazione ad un ponente industriale, un entroterra mercantile (per il cimitero, mercato, gasometro era stata scelta la zona della val Bisagno) ed un levante residenziale.
Sino all’apertura di via Vittorio Emanuele (1853), che dalla Lanterna attraversando il borgo arrivava sino a Rivarolo, la vecchia ‘crosa dei Buoi’ dalla marina arrivava quasi in rettilineo, sino a levante della villa Carpaneto (in piazza N.Montano). La nuova strada longitudinale, parallela alla ferrovia, creò la piazza Vittorio Veneto e spezzò in due la vecchia crosa.
Ancora vivente il pittore N.Barabino (1832-1891), la municipalità decise di dedicargli una strada; e scelse questa nella sua metà a mare, cambiando l’antico nome di ‘crosa dei Buoi‘ in via Nicolò Barabino. Lui rifiutò l’onore; ma alla sua morte, fu riproposto la titolazione e, nel 1910 appare già eseguita e vi appaiono già presenti civici sino al 14 e 7. Nel 1933 ancora era tale.
Fu deciso infine, negli anni tra il 1933 ed il 1940, di trasferire il nome del pittore alla ex via C.Colombo (poi divenuta infine via San Pier d’Arena), e concedere quella in nostra considerazione al garibaldino S.Canzio.
Curioso ricordo personale di un abitante in zona: durante il periodo bellico 1940-1945, segnala lo sbarramento della strada con un muro fatto erigere da parte delle autorità tedesche e col passaggio limitato ad una porticina posta sul lato a ponente. Evidente zona di traffico d’armi e dei ‘banditi’ come descritto sotto al civ.7
Il Pagano/40 pone la via tra ’piazza V.Veneto e via N.Barabino’, con civici da mare a monte: neri e rossi.
Nel 1950 il Pagano cita esistere due osterie: al 10r di Pisterna Romolo ed al 43r di Rava T.; un bar al 23r di Ramolfo Francesco; nessuna trattorie.
CIVICI
2007 = NERI = da 1 a 7 e da 2 a 12
ROSSI = da 1 a 53 (manca 41) e da 2 a 56 (aggiungi 14A)
=civ. 1r, è la ‘premiata pasticceria Lorenzo Balocco’. Balocco fu un pasticciere venuto da Cuneo ad abitare di fronte al negozio, subito dopo le docce. L’apice della fama venne raggiunta il 5 giu.1905 in occasione dell’inaugurazione in piazza del Monastero, del monumento a Garibaldi: la regina, venuta a Genova e di passaggio in carrozza davanti alla pasticceria, fu invitata ’al volo’ ad assaggiare gli amaretti qui prodotti; piaciuti, ne ordinò altre confezioni che il proprietario si affrettò a regalare all’augusta sovrana. Dopo pochi giorni, il Balocco ricevette una missiva da corte, che lo autorizzava a fregiarsi del titolo di ‘fornitore della real casa’, degli amaretti da allora ‘della regina’.
Nel Pagano/1911 cita il Balocco, ma alla voce “liquoristi” e “pasticcieri”, non come “caffettiere”. Nel 1919 e 25 è “caffè-offelleria già Ballocco (sic) Lorenzo ora Garrone e Reverendito” (ed è preferita, come principale, l’entrata di via N.Barabino). Quando tra il 1911 e ‘19 cedette l’attività (non è chiara la successione: si dice andò ad una sua nipote ex dipendente delle poste che si chiamava Pedemonte C. (confermato nel Pagano) Nel /1931 si vantava essere la più vecchia nel ramo dei servizi nozze e soirée. Nel Pagano/33 non risulta più. Ricompare nel /’61 affermando che ha già ceduto l’esercizio). Altrove si scrive che fu rilevata (probabile in affitto) da Isnardi, Gambino & Mazza (tra loro soci, i quali nel 1933 risultano fossero anche in via C.Colombo all’1r).
Tipico, oltre gli amaretti, era il pandolce genovese, da loro prodotto. Caratteristica l’insegna: in città unica scritta su piastrelle di ceramica in stile liberty; molto elegante, colorata, raffinata con caratteri flessuosi, in un fascione posto sopra le vetrine e che anticamente appariva su ambedue le strade essendo d’angolo (mentre le piastrelle ai bordi della striscia sono bianche lisce, quelle della linea centrale sono singolarmente decorate con un ripetuto disegno di una pigna stilizzata, circondata da lunghe foglie ad ago, di pino).
===civ. 1: una edicola sopra il portone con la Madonna Immacolata a braccia aperte.
===civ.5: una edicola sopra il portone. Un vetro ed una grata impediscono un migliore riconoscimento di una Madonna col bimbo in braccio e due putti sovrastanti.
Al 5r vengono ricodati i fratelli Barazzoni, lattonieri e stagnini negli anni ’30 circa.
===civ. 7: viene descritta l’esistenza di una galleria, che dai fondi-cantina del palazzo, correva sottoterra parallela alla strada, sino a via San Pier d’Arena, nata non si sa a quale scopo (sicuramente utilizzata in guerra come rifugio antiaereo e come via di fuga da alcuni partigiani; ma da secoli era di interesse anche dei contrabbandieri: la Dogana genovese, si trovò sempre in accentuate difficoltà a controbattere la piaga del contrabbando sulla spiaggia: il Ministero delle Finanze il 10 ottobre 1800 approvò una restrizione delle zone di imbarco e sbarco delle merci nel tratto tra la crosa Larga e dei Buoi (specie come il vino, carbone e legna); venivano esclusi i pescatori). Caratteristica il sopraportone: due volute floreali laterali pongono nel centro un leone accucciato sorreggente uno stemma che ha banda laterale trasversa ed è scalpellato in due direzioni diverse a significato di differente colore non riproducibile nel marmo (o gesso).
===gli ultimi civici pari, hanno i balconi delle finestre con belle e lunghe inferriate che sembrano riportare ad un primitivo unico progetto o proprietario
===45r negli anni 60 era in attività il fotografo-ottico Massa Italo, tel. 43741
===civ. 47r la farmacia Centrale. Si scrive sia stata rilevata nel 1880 –quindi già esistente da prima - dal dott. F.Sommariva, subentrando ad un dottor Delpino Angelo che sappiamo però essere ancora in attività nell’anno 1889. Il negozio allora, non era sulla strada ma nella piazza oggi V.Veneto. Infatti quando a questi subentrò il dottor Pizzorni Giuseppe (che nel 1919, chiamato Pizzorno, divenuto titolare della farmacia chiamata col suo nome (servizio notturno), era ancora localizzata in piazza Ferrer; e nel 1933 in piazza Vittorio Veneto, 58). Nel 1940 appare in via S.Canzio e intestata sempre al Pizzorni quando però questo farmacista non esiste più nell’albo professionale di quell’anno. A tutti, subentrò infine la dott.sa Pedemonte Anna.
Catalogata nell’elenco delle botteghe storiche, si scrive che così arredata sia nata nel 1910, con mobili in stile liberty (credenze con vetrine, bancone in legno, credenza a ponte con specchi, soffitto con stucchi a cassettoni e rosone centrale, porta-vetrine-insegna originali. Nonché vasi in vetro, che all’epoca contenevano le varie preparazioni
===Posti nella strada, si ricordano antichi e vecchi negozi tipici : i Traverso-Moretto nell’angolo a ponente a mare. Era cartoleria cancelleria, e loro anche lavoratori vetrai e di porcellane di produzione propria; gestivano anche commesse per finestre di interi palazzi, lampadari di Murano e cornici (civ.2r). Il Traverso, era un attivissimo repubblicano, divenuto anche consigliere comunale locale: fu uno degli incaricati di andare a raccogliere a Pisa le spoglie di Mazzini ed accompagnarle a Genova.
Il ristorante Tamburelli e la trattoria ‘Lisin’ il cui proprietario andava a pescarsi i pesci personalmente. Un cinema (piccolo, con non più di cento posti e vissuto poco); vicino ai Danieli famosi per materiali elettrici (civ.14r). Un negozio di tessuti chiamato ‘la città di Genova’, gestito da Bartolomeo Parodi, e poco dopo il caffè Elvetico (civ.51r) gestito dai fratelli Fossati chiamati popolarmente ‘u velenu’ l’uno, e ‘a burrasca’ l’altro. La pasticceria Giacometti; le sorelle Costa (civ.7r) di frutta e verdura con le primizie; la salumeria fratelli Prato, con specialità la torta pasqualina e poi credo divenuta Benassi (civ.54); il Banco di Chiavari (civ39r); droghiere Colosso (civ.42r); gli idraulici f.lli Barazzone (civ.27);’alla città di Trieste’ tessuti (civ.18r); la lavanderia con l’onnipresente (ancora nel 2003) Argia Semino Morre (lei, sofferente di bronchite cronica, è sempre in negozio; scherzosamente le si diceva: forse… è nata li dentro); il tabacchino Grondona (civ.34r) non più aperto dagli anni 2000 perché lui in pensione; Picchio salumiere (civ 17r), Capriotti Manlio, costruttore di apparecchi radio e loro accessori come valvole, amplificatori, dischi, ecc.; nonché ottica, frigoriferi (civ 32r), Rossi ombrelli (civ 56r).
L’elenco non finirebbe più. Ma la memoria ‘vede’ anche un parrucchiere, strumenti musicali Alberti, calzaturificio, osteria, giornalaio, coltelleria profumeria, ottica Massa, friggitoria, calzolaio, merceria, trattoria Ratto , cappellaio, orefice; in cento metri tutti i servizi: un pre-super market completo!
La strada, dagli anni dopo l’ultimo conflitto mondiale, ha subito dello spostamento del centro vitale, dalla piazza Vittorio Veneto a via A.Cantore; e contemporanea agonia commerciale della marina (destinata al traffico pesante e di scorrimento), subendo un decadimento di movimento e di interesse, dalla proibizione di sosta dei veicoli.
STRUTTURA: senso unico veicolare, da piazza Vittorio Veneto a via San Pier d’Arena.
Strada comunale carrabile, lunga 129,5 metri e larga 4,2, con due marciapiedi larghi 1,5 metri; con 12 bocche dette ‘di lupo’ per parte, per la raccolta di acqua bianca piovana.
Una disposizione di fine 1998, ha decretato il divieto di posteggio per tutta la via, creando all’inizio strada una “strettoia”, obbligata da uno slargo del marciapiede sormontato da due paletti. Questa pedonalità non ha creato, a mio avviso, beneficio ai negozi ancora presenti.
le case a sinistra sono il retro della nostra strada; a destra si intravvede il palazzo delle Poste. Nel mezzo la casupola e due punte come di un ex cancello; fa ricordare antiche proprietà nel terreno non conosciute.
DEDICATA ad una delle più grandi figure garibaldine. All’indomito militare di non comune coraggio, divenuto poi uomo politico, ed amministratore attivissimo e perspicace.
1870 con la moglie Teresita
Garibaldi.
Nato a Genova il 3 genn.1837, da Michele (poliedrico geniale ed arguto personaggio artista: decoratore, pittore, scultore, architetto ed infine anche impresario. Vedi a via Daste-villa Scassi) e da Carlotta Piaggio (figlia di Martin, grande nostro poeta dialettale). Cugino, fu Michele Novaro, il musicista del nostro inno nazionale.
Crebbe, indirizzato quindi agli studi artistici, studiando al ginnasio Doria, a cui sembrava portato per l’ereditata estrosità, senso dell’umorismo ed irrequietezza comportamentale (come, -costantemente calato sul capo- un personale e caratteristico cappello a staio di vistosissime proporzioni), e per lo spirito (goliardico, gioviale, estroverso, eccentrico, iperattivo).
Pare però che da giovane ottenesse risultati culturali poco brillanti.
Perché il destino aveva deciso diversamente per lui. Frequentando Antonio Mosto ed Antonio Burlando (creatori dei Carabinieri genovesi, sorti dalla società di tiro a segno) a 22 anni si arruolò con loro come soldato semplice volontario, carabiniere genovese, per la II guerra di Indipendenza. Subito si distinse, sia a san Fermo (vicino a Como, 27 mag.1859 dove Garibaldi vittorioso poté annettere il territorio e subordinarlo al governo di Vittorio Emanuele II) ove fu nominato sergente; sia a Varese (dove, assieme a altri 48 volontari dei Carabinieri Genovesi, compì miracoli di valore respingendo gli austriaci del gen. Urban: le nuove carabine aprivano vuoti spaventosi nelle fila addossate dei soldati nemici avanzanti – e quindi facile bersaglio - con l’inquadramento dell’epoca napoleonica).
L’anno dopo, partecipò all’organizzazione, e partì con i Mille (con l’impegno di corrispondere al giornale mazziniano genovese “Movimento” le notizie della spedizione). Combatté fino a Palermo, ove meritò i gradi di ufficiale (tenente), ma dove fu ferito da una fuclata alla clavicola sinistra nella conquista del Ponte dell’Ammiraglio e fu sottratto al fuoco nemico da un carabiniere genovese – Pietro Damele di DianoCastello- che rimase pue egli ferito. Per questa - da lui definita - ‘potentissima frustata’ poté raggiungere i suoi soldati quando essi già erano giunti in Calabria; in tempo però per il Volturno, ove per meriti sul campo, fu nominato capitano e per entrare in Napoli a settembre con Garibaldi.
Dopo Teano, seguì fedelmente il suo comandante, quando questi si ritirò a Caprera; qui conobbe la diciasettenne (Badinelli scrive 16enne) Teresita - figlia del generale e di Anita -: «dunque voi amate la mia Teresina? Ebbene, sia vostra sposa. Nessuno meglio di voi è degno di lei...».
Così, lui ventiquattrenne, si sposò il 25.5.1861, celebrante il parroco della Maddalena.
Divenuto genero di Garibaldi, ancor più si sentì fedele braccio destro e luogotenente (succedendo nell’incarico a Francesco Anzani). Irrequieto come l’ Eroe, lo seguì a Sarnico; ad Aspromonte (’62); a Bezzecca (3.a guerra d’Indipendenza, ove meritò i gradi di maggiore, tant’è che venne chiamato ‘il vincitore di Bezzecca’, per aver ripreso la città al nemico; ed una medaglia d’oro al VM la cui motivazione dice : “nel momento in cui i nostri, sopraffatti dal numero dei nemici piegavano in ritirata, egli raccogliendo intorno a sé parecchi ufficiali, diresse l’azione, animò coll’esempio e, ordinato da ultimo l’attacco alla baionetta, contribuì specialmente all’esito fortunato della giornata. Bezzecca 26 luglio 1866”).
Nel ’67, riuscì a far evadere Garibaldi da Caprera con il suo “beccaccino”: impresa quasi da romanzo e che richiese invece audacia e freddo calcolo per sfuggire il blocco navale della marina piemontese. Riorganizzati, partirono - suocero e genero, e lui nel vestito con i rendigote ed il bislacco cilindro - per la battaglia di Mentana (1867 ove meritò i gradi di colonnello), nello scontro salvò pure la vita a Garibaldi calcandogli sul capo il suo cilindro ed impedendo che i francesi, armati di carabine a ripetizione (i famosi chassepots’), lo riconoscessero e lo prendessero di mira.
Nell’anno 1870, a fronte dell’apparente sociale tranquillità, per i patrioti repubblicani erano invece tempi di persecuzione fino all’odio per la loro avversione ai Savoia e l’insaziabile sete di Patria unita: perquisizioni e stretto regime poliziesco erano all’ordine del giorno. Il 23 marzo, Mazzini arrivò a Genova da Lugano e, all’ultimo piano del civico 6 di via san Luca, si fermò a parlare con il comitato rivoluzionario (comprendente oltre A.Mosto, altri otto ed il Canzio; appreso il fallimento dei moti di Pavia e Piacenza, stigmatizzò la prosecuzione dell’agitazione e l’impegno di ‘o Roma, o morte’). Bloccato così da questo primario impegno, con i volontari italiani inquadrati nella I e V brigata, andò a combattere in Francia nella guerra franco-prussiana, coprendosi di gloria in ogni battaglia (a Présnois caricò il tedesco sul fianco sinistro sbaragliandolo; personalmente si distinse perché condusse l’attacco e la carica dei “chasseurs à cheval” che aveva racimolato, seguiti dai suoi fanti, con la solita stranezza di non vestire la divisa ma la palandrana rendigote e sul capo il cilindro, senza armi ma solo con un frustino in mano. A Talant, ove resse per dieci ore di seguito ad un cannoneggiamento dell’artiglieria tedesca e poi infine avendone ragione. Al castello di Pouilly dove in gara con i “franc-tireur” di Ricciotti riconquistò per tre volte la posizione finché costrinse il nemico alla fuga. Ed a Digione (qui, trentaquattrenne, fu nominato generale sul campo perché concluse per tutti la battaglia che durava da tre giorni, con una carica risolutrice della prima brigata; con i soldati di Ricciotti conquistò l’unica bandiera che in quella guerra si riuscì a togliere al nemico. Nel monumento a Garibaldi eretto in questa città, il suo nome è scolpito sul piedistallo)). Il diario dell’impresa è custodito all’Istituto Mazziniano. Con questa campagna francese, si concluse pure il ciclo delle nostre guerre di Indipendenza.
Ritiratosi allora a vita civile, venne ad abitare in via Assarotti, 31 (ove è apposta una lapide “nell’ottobre MDCCCLXXX/ fu ospite in questa casa/ presso la figlia Teresita/ Giusepper Garibaldi”; La lapide fu rifatta nel 1948 perché andata distrutta durante il regime fascista, aggiungendo pertanto “Il Comune di Genova/ in memoria / MCMXLVIII”). Grazioso episodio di questo soggiorno è raccontato da Maria Vietz sul Bollettino della A Compagna: sua nonna, era a servizio dei coniugi Canzio; un giorno a tavola Stefano notò un piatto non ben lavato ed altezzosamente chiese che lo cambiassero. Il cuoco in cucina ci sputò sopra e dopo averlo asciugato lo fece riportare a tavola ottenendo l’approvazione del padrone.
L’usuale bellicoso guerriero non si sottrasse al nuovo tipo di combattimento. Avversando i falsi reduci ‘che potevano vantare solo la cicatrice...ombellicale’ o ‘la campagna...in villa a san Cipriano’ proseguì però la sua lotta repubblicana in forma alquanto diversa: accettò l’impegno in politica non schierato da una parte ma affrontando tutti i problemi che a suo personale avviso si presentavano da risolvere. Nel 1872 fu incaricato da Garibaldi con un telegramma di rappresentarlo ai funerali di Mazzini (morto a Pisa il 10 marzo), portando alta la bandiera dei Mille (era stata confezionata dalle donne di Napoli nel 1860 e consegnata in custodia al Comune di Genova l’anno dopo). Capitanò i moti popolari genovesi, per cui fu anche arrestato e condotto nelle carceri di sant’Andrea con l’accusa di ‘attività sovversiva’ (Durante la commemorazione mazziniana del 10 marzo 1879, avvenne un conflitto a fuoco tra la polizia ed alcuni esaltati repubblicani: subì un processo e fu condannato ad un anno di carcere, ridotto a tre mesi dalla Corte d’Appello; così fu arrestato nella sua casa e tradotto in sant’Andrea. Garibaldi, seppur invalido per l’artrite, cercò di venire a Genova ma cercarono di impedirglielo anteponendo intoppi burocratici imposti dal governo; allora, col solito cipiglio arrivò in lettiga ed inaspettato via mare il 4 ott.1880: col prestigio del suo nome e la deferenza di tutta la popolazione accorsa, ottenne per il genero una amnistia e la scarcerazione. Destino volle che Garibaldi in quei giorni concitati, conobbe la giovane Francesca Armosino nutrice dei nipoti: se la portò a Caprera per sposarsi la terza volta, non senza una certa avversione della figla).
Nel 1884 ricevette un’altra medaglia d’oro al valore civile, per l’opera attiva durante l’epidemia di colera.
Due figli del Canzio nel giu 1885 furono giudicati colpevoli assieme ad altri per aver picchiato a morte un operaio cattolico durante una sfilata religiosa; la pena (mitissima, non superando tre mesi e sei giorni di carcere) fu interpretata quale frutto della sottile campagna di odio verso la Chiesa (a Genova era arcivescovo mons.Magnasco; papa era Leone XIII) e comunque anticlericale da parte del governo sabaudo con pretta vocazione laicista. Il commento cattolico fu “i figli d’un padre della patria non potevano che finire nelle patrie galere”. Uno dei due, di nome Michele divenne insigne architetto, e partecipò all’ornamento della villa Scassi e del Municipio locale.
Fu eletto deputato nel 1891, ma il 4 lug.1903 rinunciò all’impeno romano preferendo la carica di Presidente del neonato Consorzio Autonomo del Porto di Genova (vedi disegno si ‘san Teodoro pag.35-dice agosto-). Con questo incarico di comando - allora chiamato anche ‘sommo magistrato del porto’ oppure ‘generale’ - il Canzio guidò per primo il CAP con la solita identica carica impetuosa ma aggiungendo oculata capacità, alta responsabilità e squisito senso tattico. Si scrive che di fronte alla minaccia di una rivolta sulle banchine dovuta alle sue prime decisioni, esclamò «vogliono il
sangue? ottimamente, da un bel pezzo non ne vedevo scorrere». Il porto era arretrato rispetto le nuove regole internazionali sia per gli imprenditori, sia sui moli che sulle navi (da vela a motore; da legno a ferro). Riuscì così, malgrado vive opposizioni ed aspre contrarietà, a imporre una legalità basata sul potere di un ente autonomo che se rappresentava lo Stato, non doveva rendergliene conto; uno stato nello stato: palazzo s.Giorgio amministra il territorio, stabilisce le leggi, codifica il lavoro delle categorie con piena giurisdizione, senza controlli superiori. Per primo, si fece riassegnare il palazzo del Banco in cui stagnavano – per mancanza di soldi - i lavori di restauro guidati da D’Andrade; e si fece carico del completo prosieguo dei lavori. Su sua richiesta furono apportate solo queste modifiche: inversione di orientamento dell’edificio con apertura dell’ingresso sulla facciata a mare, e costruzione ex novo del relativo scalone interno che porta alla Sala delle Compere e commissione al pittore Lodovico Pogliaghi di ridipingere le facciate deteriorate (dapprima eseguì un bozzetto, dopo che due pittori Ferdinando Bialetti e Gaetano Cresseri avevano fatto studi sui graffiti e sulle cromie rimaste) e nel 1913 completò l’opera.
Poi, riuscì a coordinare amministrativamente categorie di lavoratori incolti ma eccitabili e fortemente coalizzati in interessi settoriali, a modificare leggi eccessivamente burocratizzate in materia di navigazione di trasporti, di scambi ormai internazionalizzati e non ultimo di programmare nuovi impianti, consorziare i servizi basilari e sollecitare i grandi lavori.
Signorilmente povero, in corso Magenta ove era andato ad abitare, morì il 13 genn. 1909 per polmonite poco prima delle ore 23,15 (per altri la data di morte è il 14 gennaio, forse giustificati dalla tardissima ora del decesso; per altri è addirittura il 29 luglio; la malattia – pare una polmonite - fu contratta per essersi buttato in mare per soccorrere un portuale durante un incendio sulle calate. Gli successe interinalmente il vicepresidente comm. Natale Romairone (dal 15 genn. al 18 aprile 1909 quando fu eletto l’ing. grande uff. prof. Nino Ronco, già rappresentante il Comune di SanPierd’Arena in seno all’Assemblea Generale).
Fu sepolto nel Famedio di Staglieno (Pantheon, t.LXX). La lapide dice “Stefano Canzio / 1837-1909 // fiera tempra di soldato / come Nino Bixio / ebbe di Garibaldi l’affetto / e ne impalmò la figlia // opposto per indole al genitore Michele / la sua vita fu tutta una battaglia / illuminata da passione di Patria / combattuta dovunque / il nome d’Italia / splendesse sui labari / e sulle speranze”.
Dolcino riferisce di una pubblicazione che fa del Canzio un appartenente alla massoneria genovese, in una delle logge del Grande Oriente d’Italia.
Nel 1904 un curioso episodio riguarda il cerimoniale navale: ospite come presidente del CAP sulla nave francese Jena, non fu salutato con le dovute salve di cannone; dalle rimostranze consolari ottenne, ad una successiva visita, che l’ammiraglio Barnaud ne ordinasse 13 in suo onore, come dovuto.
In particolare per noi, l’evento più eclatante del suo ultimo impegno avvenne il 25 ottobre 1905 quando con grandiosa solennità (presenti i reali d’Italia, e le squadre navali italiana, francese, inglese, americana e germanica) venne calata in mare la prima pietra della grande diga esterna foranea (che sarà lunga 1700m.: un enorme macigno di 40t. tratto dalla cava della Chiappella con scolpita in rosso la data) a difesa del nuovo bacino del Faro riservato al movimento del carbone (o della Lanterna; ma che all’epoca, l’Assemblea del Consorzio aveva assegnato il titolo ‘bacino Vittorio Emanuele III’) che poi sarà inizio della diga verso SanPierd’Arena. I lavori avranno corso regolare dal 1906 secondo il progetto dell’ing. Inglese, poi modificato.
Mentre l’opera più grande è l’aver dato con intuito geniale il primo serio ordinamento al lavoro operaio nel porto superando le più vive ed aspre opposizioni. Il regolamento ripartiva i lavoratori in categorie (merci varie, carbone, ecc ...); a loro volta suddivise in compagnie (ad esempio, i carbonieri erano a loro volta suddivisi in facchini, scaricatori, pesatori, ricevitori); all’interno di ogni compagnia, i portuali potevano costituire cooperative di lavoro per strappare via via l’esclusiva delle operazioni di carico e scarico.
Gli è dedicata una calata nel porto.
BIBLIOGRAFIA
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-A.sconosciuto-Guida del porto di Genova-Pagano.1954-pag.28
-AA.VV.Annuario-guida archidiocesi-ed./94-pag.390---ed./02-pag-427
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-AA.VV.-Guida alle botteghe storiche.FeFerrari.2002- pag.128
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-AA.VV.-Novant’anni con “il Lavoro”-Basile.1993-pag.13
-AA.VV.-Pozzi E-a G.Mazzini,inaugurandosi…-Sordomuti.1882-pag.105
-Bertuzzi L.-Tra i Mille...e non solo...-La Berio n.2/2010-pag.83
-Cabona D-Palazzo sGiorgio-internet- //B:\genova/sangiorgio.htm|
-Carozzi & D’Aste-Il Secolo XIX quotidiano del 11.02.03
-Casa Ferdinando-Ponente ligure-Finalpia 1959-pag.52
-CuneoM&GPSicardi-Vocab.parlate lig.-lessici spec.2-II-ConsultaLig.1997-pag 105
-Dolcino M.-I misteri di Genova-Pirella.1976-pag.50
-Dolcino M.-Storie di Genova-Frilli.2003-pag.75
-Festa C.-Guida del porto di Genova-Luzzatti.1922-pag.42.110.
-Gazzettino S : 4/74.6 + 6/80.3 + 9/80.7 + 11/81. + 1/84.13 + 7/92.6 +
-Genova- Rivista municipale : 4/37.30 +
-Lamponi M.-Sampierdarena-LibroPiù.2002- pag.101
-Massobrio A.-Storia della Chiesa a Genova-DeFerrari.1999-pag.99
-Millefiore.Sborgi-Un’idea di città-CentroCivico SPdA-1986-pag.72.105 --Morabito.Costa-Universo della solidarietà-Priamar.1995-pag.182
-Novella P.-Le strade di Genova-Manoscritto Bibl.Berio.1900-30-pag.18.9
-Pagano edizione/33-pag.245—ed./40-pag.232---/61-pag.125
-Pastorino.Vigliero-Dizionario delle strade di Ge.-Tolozzi.1985-p.311 foto
-Poleggi E. &C-Atlante di Genova-Marsilio.1995- tav.33-34
-Terrile Vietz M.-Racconto di mia nonna- Bollettino ACompagna-3/2010
Il lavoro di Novella, riferito alle prime decadi del 1900 cita esistere allora, la “Nicolò Barabino (via), da via Cristoforo Colombo (già via Buoi)” , ed una “Stefano Canzio (piazza), da via Cristoforo Colombo“.
Dopo il 1910 all’elenco delle vie edito dal Comune fu aggiunto a mano: “piazza Stefano Canzio, di fronte al Casotto del Dazio centrale, con civico 2“.
Nel 1927 intestata al patriota ufficialmente c’era ancora solo la piazza.
Il Pagano del 1933 conferma che a quella data, l’attuale via S.Canzio si chiamava ancora via N.Barabino; e che la “piazza S.Canzio” era ‘da via C.Colombo al mare’, che aveva un civ. 2; ed era di 3.a categoria. Purtroppo non è intuibile a quale slargo si riferisca, solo che il dazio era a ponente del baraccone del sale.
Per delibera del podestà, del 19 ago.1935, la piazza fu cancellata ed inglobata in via N.Barabino (via San Pier d’Arena dal 1954).
BIBLIOGRAFIA
-Archivio Storico Comunale
-Archivio S.Comunale Toponomastica - scheda 811
-DeLandolina GB – Sampierdarena- Rinascenza .1922 – pag.35
-Novella P.-Le strade di Genova-Manoscritto bibl.Berio.1900-30-p.18.19
-Pagano ediz./1933-pag.245
TARGA: via - Vincenzo Capello – 1856 – 1920
QUARTIERE ANTICO: san Martino
Non descritta la zona nella carta del Vinzoni, 1757.
N° IMMATRICOLAZIONE: 2744 CATEGORIA: 2
da Pagano 1967-8
CODICE INFORMATICO DELLA STRADA - n°: 11720
UNITÀ URBANISTICA: 24 – CAMPASSO
da Google Earth 2007
CAP: 16151
PARROCCHIA: s.G.Bosco
STORIA: posta in piena zona dell’antica Piazza d’Armi, nacque con la costruzione di via Porro e delle sue case per i ferrovieri; per iniziativa delle FF.SS.; ed in quanto privata, inizialmente non sottoposta a scelte comunali.
Infatti, la Guida Pagano/33, la cita “privata, da via UmbertoI (via W.Fillak) al torrente Polcevera“, senza civici. Anche la scheda 813 della toponomastica e la guida Pagano/61 la pongono tra via W.Fillak e via Argine del Polcevera, con due civv. rossi.
A quel tempo quindi comprendeva il sottopasso della ferrovia, oggi chiuso al pubblico perché privato delle ferrovie; fino a dopo l’ultima guerra mondiale era aperto e transitabile; durante l’evento bellico una bomba esplosa troppo vicino, uccise due operai ivi corsi per ripararsi dal bombardamento. Nel Pagano/67, dalla cartina si vede il tracciato di questo sottopasso, che andava a sbucare in via Argine del Polcevera a livello del civ. 4A-B; dalla stessa cartina si rileva che allo sbocco c’era anche un civ. 1; e, di fronte, un altro civico definito A (ma forse anch’esso 4A)
CIVICI
Numerazione senza rossi e neri. Dal 2 al 92 (compreso 2b)
(mancano 8 e 78)
===civv. 2 e 4, furono eretti nel 1970 sul sedime di altri palazzi demoliti in quello stesso anno.
===il 2B fu assegnato nel 1985 ad una porta allora senza numero.
I civv. pari dal 10 al 92 furono assegnati negli anni 1995-98 all’edificio industriale ristrutturato.
STRUTTURA: strada chiusa, doppio senso veicolare, da via W.Fillak, ad un sottopasso (chiuso dalle FF.SS.) sotto il muraglione della ferrovia.
A metà, dalla destra, si stacca verso nord via E.Porro.
Non ha negozi.
Appare servita da ambedue gli acquedotti cittadini (Nicolay, De Ferrari G.)
DEDICATA al primo Capo compartimentale delle FF. SS., quando nel 1905 fu instaurato questo ufficio. Era in atto di programmazione l’esecuzione e riempimento del vasto parco ferroviario del Campasso, entrato in funzione l’anno dopo. Ed a lui, assieme al Porro, ambedue probabilmente con la laurea in ingegneria, si deve anche la progettazione e realizzazione delle case per i ferrovieri erette nella zona (da ciò, la targa probabilmente imposta dalle Ferrovie stesse).
Lamponi relaziona di una lettera del Capello datata 13 ottobre 1907 che ringrazia la P.A.Croce d’Oro per l’intervento in un incidente avvenuto nella stazione ferroviaria, e che premiò allegando la ragguardevole cifra per allora, di 150 lire.
Viene citato un ‘sig. Cappello’ (in alcuni testi, con 2 ‘p’) in quanto che, il giovedi 17.XII.1931, fu inaugurato un refettorio dell’ONMI (opera nazionale maternità e infanzia) in uno splendido antico palazzo di via Bosco, messo a disposizione dal proprietario, il quale - oltre a questa concessione - si è sottoscritto a versare annualmente 8mila lire per sostenere il centro. Il palazzo era munito di uno scalone marmoreo e ricco di vasti ed ariosi saloni affrescati e decorati con sobrietà e buon gusto. Si tratta ovviamente della villa del XVI secolo, che nella pianta vinzoniana del 1757 apparteneva a GioGiacomo Grimaldi; poi divenne dei Cristofoli; fino a passare in mano agli inizi del 1900 a questo Capello (con una ‘p’, da ‘le ville del genovesato’) che nel 1937 – Dio lo perdoni - la fece distruggere perché in stato avanzato di degrado.
Ma per il Pagano/33 a San Pier d’Arena unico ‘costruzioni edili’ era Capello Filippo, sito qui in via Pastrengo (mentre a Genova ne esiste un altro, Giuseppe, in v.Rovare).
Citato da tutte le enciclopedie (E. S.; E. M.; E. Treccani; internet) si trova solo un omonimo, generale del mare, veneziano del XVI secolo , che partecipò (nel 1538) alla campagna guidata da Andrea Doria, contro lo strapotere navale del turco Barbarossa.
BIBLIOGRAFIA
-Archivio Storico Comunale della Toponomastica - scheda 813
-AA.VV.-Annuario-guida archidiocesi- ed./94-pag.390---ed./02-pag.427
-AA.VV.-Le ville del genovesato-Valenti.1984-pag.106
-Genova Rivista municipale : 1/32.84
-Pagano edizione/1933 pag. 245---ed.1961-pag. 125
-Poleggi E. &C-Atlante di Genova-Marsilio.1995-tav.10
non citato da Encicl.Motta e Sonzogno; Novella; Liguri illustri
CARDUCCI via Giosuè Carducci
Attualmente questa titolazione non è più a San Pier d’Arena. É a Genova, parallela a via XX Settembre, in Portoria.
Corrisponde al primo nome dell’attuale via Antonio Cantore.
Prima di aprire il tracciato, la zona era pressoché tutta ad orti o giardini. Furono necessari espropri di terreno più o meno coatti, demolizioni di alcuni stabili; ma soprattutto sacrificare con noncurante spregio e lucroso vantaggio di alcuni, tutte le ville della zona che risultano oggi collocate in maniera snaturata (soprattutti villa Scassi di cui si ammira il retro del palazzo, e la villa Spinola soffocata dai palazzi eretti attorno) ed alcune addirittura successivamente abbattute a favore della nuova edilizia con i portici.
Fu ideata come quarta grande arteria longitudinale, e programmata perché divenisse la più ampia, comoda ed importante per la città di San Pier d’Arena.
Il primo piano regolatore, che porta la data del 1899, prevedeva l’apertura di una grossa ‘nuova strada di comunicazione tra Genova e Sampierdarena’. Ma tutto rimase nei progetti. Ed ancor quando poi fu aperta via di Francia, riemerse il bisogno di un’altra grande arteria centrale da porsi parallela a via Vittorio Emanuele (via G.Buranello); ma il progetto rimase fermo perché si doveva o passare sotto la collina di san Benigno, o abbatterla. Comunque, fu tracciato il tragitto e le caratteristiche: doveva avere ‘24 m. di larghezza, e misurare 2070 m da DiNegro al Ponte’. Dal 1910, prima ancora che il piano stesso - rivisto più volte - diventasse definitivo, alcuni imprenditori iniziarono a costruire palazzi (il Pagano 1912 inserisce nuova, la farmacia, di Anselmo) seppur lasciando adeguato spazio per la strada, la quale, con le case prese forma: così nell’elenco delle vie edito dal Comune nel 1910 si legge aggiunto posteriormente a mano “Giosuè Carducci (via) grande arteria tendente al taglio di S.Benigno”.
Queste iniziative corrisposero quindi solo alla prima parte di levante della lunga arteria; infatti, il primo tratto costruito anteguerra (del 1915-18): fu di 125 metri, racchiuso tra la villa Spinola (vedi in foto Carducci1 parte del parco ancora esistente) e vico Imperiale di fianco-est alla villa Scassi (via Malinverni), delimitato a ponente dal campo sportivo (posto retro la villa Scassi); ed a lui fu ufficialmente affidato il nome di ‘via Giosuè Carducci’.
il taglio in prossimità della camionale la villetta, prima a destra, potrebbe essere la
residenza dei DeAndreis
Il campo sportivo Dapprima non esisteva un vero e proprio campo specifico: chi voleva giocare doveva arrangiarsi a cercare spazi nei prati, disponibili ai primi che arrivavano, e contendendoseli con i tamburellisti (allora per la maggiore in quanto lo sport più seguito ed i nostri atleti campioni d’Italia:quindi sportivi seriosi); con gli studenti degli istituti viciniori in cerca di una partitella; con i giocatori della lippa; con i militi della Croce d’Oro in necessità di esercitazioni; ecc.
Di tali campetti restano famosi quelli nella Piazza Galoppini (vedi); nella zona della Fornace (vedi); ed in Piazza d’Armi (vedi) ed alla Marina.
Il primo aperto con velleità specifiche fu nel 1919 il “campo delle monache”, ospitate in palazzo Spinola e quindi posto nei giardini, nel retro della villa, ove oggi scorre via Cantore (il progetto della strada era appena stato varato e si attendeva la messa in opera: cosicché fu vissuto per un solo anno, quando iniziarono a costruire i primi palazzi della via G.Carducci (vedi); tanto bastante però perché fosse anche sede di allenamento per i nove (su venti in totale) atleti della Ginnastica Sampierdarenese facenti parte della Nazionale Italiana prossima a partire per le Olimpiadi di Anversa –1920 -; ebbero anche il tempo di comporre un saggio ginnico dimostrativo).
Più perfezionato, quello aperto nel retro di villa Scassi, spianato nel 1920 dall’impresa Stura e che andò a sostituire il precedente provvisorio campo in considerazione del grosso ‘boom’ che aveva ottenuto la nuova disciplina sportiva nell’attenzione del pubblico. Anche qui lo spazio era assai limitato, tanto da offrire la battuta di essere chiamato ‘scatola da pillole’ (definizione del giornalista Carlo Bergoglio); epperò regolamentare per giocare a 11. Era limitato dalla facciata posteriore della villa, dai rialzi dei giardini, dal muro delle Franzoniane e a levante dai ‘palazzi nuovi’. I giocatori, tutti ‘nostrani’ dilettanti, chiamati quindi per nome, richiamavano folto pubblico divenendo centro di attrazione per le signore civettuole, madri o fidanzate dei giocatori.
Nel Pagano 1920 al civ.2 si era già insediato il demolitore di navi Bertorello G.B. (c’era ancora nel 1925), tel.5584.
già ‘staccata’ la villa Scassi dai suoi giardini da tagliare la proprietà delle Franzoniane
in fondo alla strada il muro di cinta delle Franzoniane
Nell’aprile1925 l’Ufficio Tecnico del comune di San Pier d’Arena diretto dall’ing. Luigi Connio, elaborò un ennesimo Piano in cui si prevedevano tre strade principali (quella a mare; una centrale: via Carducci (per essa, il Pagano1925 segnala al civ.50 Profumo Cesare ha merceria, fabbrica di calze, commercia ingrosso maglierie e chincaglierie;--- senza preciare il civico: la “Farmacia Internazionale”; evidente primo nome della attuale “Cantore”); ed un’altra a monte mai realizzata). Ma con l’annessione del 1926, tutto venne bloccato per essere ridiscusso e riesaminato (l’ing.L.Connio venne trasferito a Genova, mantenendo l’incarico di seguire i lavori). Comunque la “via G.Carducci”, l’anno dopo appare nell’elenco ufficiale del Comune, ma presente sia a S.P.d’Arena che a Rivarolo ed in Centro. Nell’ott. 1928, trasferito il campo sportivo, il giorno 28 fu inaugurato l’allungamento verso ponente di altri 100 metri. In contemporanea furono restaurati i giardini di villa Scassi e concessa l’edificazione di due palazzi con i porticati.
Nell’anno 1930 (VIII dell’era fascista) fu aperto in gran fretta il tronco genovese dalla Chiappella (da via Milano) fino al tratto già fatto nel 1910 (essendo prossima l’inaugurazione della camionale che altrimenti non avrebbe trovato sfogo verso Genova; il Prefetto decretò l’espropriazione urgente delle proprietà, per 420 metri a partire dall’incrocio della via Chiesa delle Grazie, seguendo il progetto dell’ing. Connio e con una spesa di 1,2 milioni di lire; fu appaltata all’impresa Ferdinando Savio, mediante trattativa privata, essendo andata deserta la gara d’appalto per l’aggiudicazione): mediante comoda curva, si risaliva al piazzale della camionale e da lì la strada fu allacciata alla via G.Carducci (a ponente ancora ferma al confine ovest della villa Scassi) a tutto il tratto fu fatto assumere lo stesso nome anche se già era in programma di cambiarlo. Fu con questi lavori quindi, che avvenne il taglio trasversale di ‘via san Bartolomeo’, la cui parte a monte divenne via san Bartolomeo del Fossato; e che il palazzo (che nel 1961 ospitava l’impresa edile Stura & figli ed alcune aziende di autotrasporti, e che invece ora ospita un grosso centro di vernici e tappezzerie) che ha il portone aperto sulla direttrice di quella antica strada (il portone si offre infatti a ponente)- divenne l’8E di via A.Cantore.
Nell’anno 1931, sempre sotto la direzione dell’ing. Luigi Connio, si aggiunsero altri 252 metri, sino alle Franzoniane con i previsti palazzi solo muniti di portici ed alti non sopra i sette piani (furono scavati 11.000 mc di terra; corrette le fognature ed i rivi; costruita la scala per ascendere salita san Barborino; chiusura di parte della proprietà Franzoniane con cancellata (impresa Aldo Casadei in cambio di terreno ceduto dalle suore il 15.XII.29 ed accettato dal Comune in data 6 mar.1930).
“nuovi palazzi” foto Pasteris, 1937
Nell’agosto 1932 fu prevista una spesa di 287mila lire per aggiungere facilmente in 4 mesi e con l’opera di 20 operai, altri 25 metri – espropriati da una proprietà Dellepian e-, per arrivare così presso la salita Salvator Rosa davanti al primo complesso ostacolo costituito da un caseggiato di via G.Masnata che dovette essere svuotato e poi completamente abbattuto. L’operazione appaltata nel febbraio 1933, previde una spesa di 2milioni50mila lire e l’impiego da 70 a 90 operai per 12 mesi.
Man mano che la nuova strada si allungava, conservava sempre il nome del letterato; infatti il Pagano/33 pone ‘via G.Carducci’:“ da via regio Istituto Tecnico a via N.Daste”, cioè: dalla scalette che scendono alla villa Spinola, al punto di incrocio con via Daste dove si erano già inserite le strade adiacenti (Mameli e Rela) e dove era l’ultimo ostacolo da abbattere, l’Oratorio. Il Pagano-1933 cita al civ. 144 r il tappezziere Caorsi Giovanni.
Vengono descritti al civ. 5 un panificio; la presenza dell’attuale farmacia Cantore, a quel tempo ‘farmacia Chiappori’, ma già del dr. Saglietto Francesco; al civ.47r una sede dell’azienda autonoma Annonaria per la vendita di generi alimentari a prezzo minimo.
Classificata la strada , di 3.a categoria. Contati i civv. a partire dal 10 al 40 e dal 13 al 47 ( se fossero uguali ad oggi, corrisponderebbero da via Pedemonte all’incrocio con corso L.Martinetti ovvero sino all’<ostacolo> Oratorio della Morte ed Orazione, da demolire) . In quest’anno furono erette una casa sulla strada progettata dall’ing. R.,Bruno per il sig. Masnata Emilio, ed il fabbricato progettato dall’ing. Stura e ad uso scuola dell’istituto M.Pie Franzoniane
Abbattuto l’Oratorio, nel 1938 si aprì finalmente in forma totale la nuova arteria; fu inaugurata con un nuovo nome: via Antonio Cantore, anche se la nomina era già stata deliberata dal podestà il 19 ago. 1935. Ed allora la titolazione al poeta scomparve.
C’è un però, non chiarito: il Novella negli anni 1900-1930, descrive la strada: “da via Generale Cantore”, la quale, a quei tempi era il tratto dell’attuale via N.Daste compreso tra palazzo Fortezza e via della Cella: quindi come se al tratto iniziale di 125m fosse aggiunta anche la trasversale a scendere. Ipotesi: forse allora via Carducci essendo chiusa ai due lati, comprendeva anche via Malinverni o v.Damiano Chiesa.
DEDICATA Al poeta, critico letterario, mazziniano repubblicano, che unanimamente è stato giudicato ‘grandissimo’. Nel 1940 sulla targa stradale era “poeta della IIIª Italia”
Nato a Valdicastello (Lucca) nel 1836 (E.Zanichelli scrive: 27.7.35).
In polemica con i monarchici, fondò a Firenze la ’Brigata degli amici pedanti’. Ottenne la cattedra di letteratura italiana a Bologna. Gli eventi che miravano all’Unità d’Italia, dopo un incontro con Margherita di Savoia, lo fecero ‘convertire’ alla monarchia, divenendo così poeta ufficiale della nuova nazione per le poesie a carattere sorico-patriottico; e, nel 1890, senatore.
Nel 1886 aveva scritto il sonetto XIV de Le Rime Nuove, nel quel si parla del san Giorgio di Donatello. Nel luglio 1889 intervenne per la conservazione del Palazzo del Banco di SanGiorgio genovese, abbozzando una poesia intitolata “Palazzo di san Giorgio” che non assunse mai completezza né autonomia di poema perché rimase un frammento, pubblicato come “aggiunta” alle “Odi Barbare - Rime e ritmi”:
Palazzo san Giorgio – aggiunta di poesie – XVII – luglio 1889
«Stava su gli archi vigile vindice
«il grifio: sotto l’artiglio ferreo
«la lupa anelava, parea
«l’aquila stridere, franta l’ale.
«tale i nemici di Genova infrangere
«usa: diceva la scritta...
(dove si nota che il Poeta usa volutamente il termine “grifio” spiegato con un appunto di sua mano a lato “simbolo di Genova, preme un’aquila stemma dell’imperatore Federico, ed una lupa stemma di Pisa”, scambiando però la volpe con la lupa)
Nel 1906 fu il primo italiano a ricevere un premio Nobel.
Morì a Bologna il 16.2.1906. Donò in testamento alla regina Margherita la sua grandiosa biblioteca. Ella nel 1922 la rese pubblica.
Scarsi i suoi rapporti con Genova; nulli con San Pier d’Arena se non la scritta sulla facciata del palazzo detto ‘del san Giorgio’(vedi v.Cantore).
Un suo busto è esposto nei giardini di Villetta Di Negro.
BIBLIOGRAFIA
-Archivio Storico Comunale
-Archivio Storico Comunale Toponomastica scheda 870 +
-DeLandolina GC – Sampierdarena - Rinascenza .1922 – pag. 35
-Enciclopedia Zanichelli
-Gazzettino Sampierdarenese.
-Genova Rivista municipale: 10/31.878-9foto..884 + 2/33.127 + 4/33.362.365.367.407 + 2/35.114.117foto +
-Grosso O-Il palazzo san Giorgio-Sagep.1968-pag.52
-Museo s.Agostino-archivio toponomastica:
-Novella P.-Strade di Genova-Manoscritto bibl.Berio.1900-30-pag.19.20
-Pagano/1933-pag.245.1091---/40-pag.234--/1950 – pag.35
-Tuvo T.-SPd’Arena come eravamo-Mondani1983-pag. 79foto
CARPANETO G.B. via G.B. Carpaneto
TARGHE:
via – G.B. Carpaneto
via - G.B. Carpaneto – industriale – 1821-1884 – già via s.Bartolomeo
angolo ovest via L.Dottesio
angolo est via
L.Dottesio
angolo scala a v.
A.Cantore
QUARTIERE ANTICO: san Martino
da MVinzoni, 1757. In celeste via
LDottesio; giallo vico Cibeo; fucsia villa, giardino e all’apice, torre di
GBNegrone. A sinistra, villa del duca Spinola.
N° IMMATRICOLAZIONE: 2745 CATEGORIA 2
da Pagano/1961
CODICE INFORMATICO DELLA STRADA - n° : 12900
UNITÁ URBANISTICA: 28 – s.BARTOLOMEO
Da Google Earth 2007.
In giallo via L.Dottesio; rosso, via di Francia.
CAP: 16149
PARROCCHIA: s.Maria delle Grazie
STORIA: fin dal 1200 – da quando fu eretta la vecchia abbazia di san Bartolomeo - la strada corrisponde agli ultimi metri dello stradone di san Bartolomeo prima del naturale sbocco, nella allora unica via principale, Centrale, poi De Marini (oggi Dottesio).
Quindi la linea diritta del torrente era dalla abbazia a questa strada e diritto al mare.
Dalla mappa del Vinzoni del 1747, i terreni su cui fu tracciata, sono ascritti all’ecc.mo GioBatta Negrone, proprietario della villa all’inizio strada che fiancheggiava il torrente, il cui ingresso oggi si apre in via G.Pedemonte (e non come ha scritto Lamponi alla villa Pallavicino, che era affiancata a ponente di questa). E tale era ancora seicento anni dopo, nel 1838 (carta del Porro).
Nel 1933 circa, la strada era delimitante a levante la vasta proprietà della raffineria di olio d’oliva dei Moro che aveva inglobato tutto il vasto appezzamento intorno.
Negli stessi anni avveniva la costruzione del piazzale della camionale: da esso, per poter accedere al tracciato stradale verso nord - che scorreva sul lato sinistro del fossato - fu necessario allargare lo spiazzo verso ponente. Questo obbligò a sovrapporsi e quindi coprire il tracciato sia della antica strada di san Bartolomeo che del torrente: ambedue vennero spostati, di poco ma sensibilmente verso ponente. Cosicché il torrente fu interrato, deviato e fatto scorrere sotto via Pedemonte (o via Bottego); la strada, anch’essa spostata di alcune diecine di metri, fu tranciata dalla novella via A.Cantore. In pratica, mentre lo stradone prima arrivava sino all’attuale via Dottesio, il taglio di via Cantore ha generato il nuovo inizio della via sanBartolomeo; mentre il moncone distale della vecchia ed antica strada -rimasto sottolivellato rispetto la grande arteria trasversale - fu ad essa collegata con una scalinata (che aiuta a ricostruire l’antico andamento del terreno).
Con delibera del podestà, del 19 agosto 1935, il tratto già di via san Bartolomeo che dalla nuova via A.Cantore arrivava a via L.Dottesio prese il nome del Carpaneto, che era divenuto ricco proprietario dei terreni (nonché di altre proprietà nella città di San Pier d’Arena), prima della cessione all’oleificio.
Con la nuova denominazione, in corrispondenza non furono variati i numeri civici già della vecchia san Bartolomeo: dall’ 1 e 1a sino al 5, e dal 2 al 14 rimasero uguali, ma della nuova via.
Nel Pagano/1940 va ‘da via L.Dottesio a via A.Cantore’; al civ. 4 nero c’è l’oleificio Moro e figli; rossi: due osterie, due commestibili, una soc.an. lavorazione della latta Solertia.
Il Pagano 1950 segnala esserci stata due osterie: nel 3-5r di Falchero P.; nel 14r di Pigollo E.. Nel Pagano/61 c’è sempre l’osteria Falchero, la sede della spa Frizzsoda, tre officine meccaniche e la ‘cromature Sampierdarenesi’-
STRUTTURA: da via Dottesio, la prima strada comunale carrabile a destra, dopo il sottopasso ferroviario; doppio senso ma senza sbocco veicolare, perché chiusa in fondo; solo una scala la collega –a baionetta - con via A.Cantore.
Lunga 168,25 metri e larga 4,6 , ha due marciapiedi larghi un metro .
A metà percorso, si collega con vico Cibeo.
Risulta servita dall’acquedotto DeFerrari Galliera
civ. 1 civ. 10
CIVICI
2007= NERI = da 1 a 7 e da 6 a 14 (mancano 2, 4. Compresi 6A, 10a)
ROSSI = da 1r a 15r (manca 11r)
e da 2r a 46r (mancano 4r→8r, 10r. Compresi 16ABCr, 28Ar)
nel 2003 appaiono :
===civ. 1 caseggiato per abitazioni con, sulla facciata, sul retro e fianchi, delle finestre solo dipinte
civ.1 con finestre dipinte sulla e dalla stazione ferroviaria
facciata in via Carpaneto
===civv. 2 e 4: non esistono più (il primo murato nel 1973 e l’ultimo demolito nel 1966)
La villa, posta al lato ovest dello sbocco stradale, appartiene ed è descritta in via Pedemonte al civ.3.
È la villa Negrone (-ni) - Moro; fu costruita non si sa da chi, nè quando (però lo stile la colloca nel periodo tra il prealessiano e l’alessiano, quindi nella seconda metà del 1500.
Con l’avvento della ferrovia (1850), l’edificio ha rischiato la demolizione, passando questa con diritti di priorità a pochi metri dall’angolo sud-est; in quegli anni circa divenne proprietà del Carpaneto che poi la rivendette agli inizi del secolo a Moro Tomaso: questi ne fecero parte di un grosso complesso industriale di raffineria, che fu eliminato verso gli anni 1960.
La villa, acquistata da una società di navigazione (compagnia italiana marittima aeronautica, CIMA), fu da loro soggetta a completo restauro interno, esterno e giardino, con ovvi adattamenti interni ad uso uffici, senza però alterarne la pregevole struttura esterna.
Nel 2010 appare appartenere alla “Edi Software – soluzioni gestionali”
Ha una entrata da sud che era il principale; ma oggi l’ingresso principale è rivolto a nord, prospicente un giardinetto che faceva parte della villa e che allora si prolungava verso il colle oltrepassando di poco la torre ancora ancor oggi esistente, di cui la villa era munita; con l’eliminazione dell’oleificio e bonifica del terreno, anche il giardino ha riacquistato una minuta sistemazione ad aiuole e, vicino alla villa è stato ripristinato anche il ciottolato bianco-nero.
Appare piccola, perchè troppo stretta tra moderne costruzioni; ha invece notevoli analogie con la villa Pallavicino-Gardino di cui è contemporanea, posta di fronte sul lato mare. Sul lato levante si vede l’esistenza di una loggia vicino all’angolo con una elegante colonna ionica centrale; e sul lato ponente i resti di un corpo a terrazzo che univa questa villa a quella contigua (Pallavicini Moro); sul lato nord la tipica disposizione delle finestre al piano nobile (tre centralizzate, e due lateralizzate) e la balconata retta da mensole arricchite da mascheroni cinquecenteschi.
La torre (vedi sotto al civ.10),
L’interno, tripartito, ha due grandi atri centrali ciascuno relativo ai due ingressi; le rampe dello scalone sono in ardesia e portano al piano nobile in corrispondenza della loggia (aspetto tipicamente genovese); i pavimenti delle stanze con ottagoni di ardesia ed i pianerottili con quadrati di marmo
Tranne in una saletta del piano nobile, sono scomparse le decorazioni sui soffitti .
===civ. 6a assegnato a nuova costruzione nel 1951
===civ. 7 nuovo aggregato alla via nel 1960, sistemando la numerazione di via di Francia
===civ.13r negli anni 1950 lo stabilimento della spa SOLERTIA, fabbrica e lavorazione della latta, con recipienti e scatole anche litografati
===civ. la sede delle Pompe Funebri ‘la Generale’, con il loro deposito e parco macchine
===civ. la casa, ed attualmente studio professionale di Franco Malerba (si dice che lo studio, arricchito di sei antenne paraboliche, sia sede di rappresentanza di società con interessi internazionali). Nato a Busalla nel 1946 -ove visse sino all’età di 10 anni essendo il padre capostazione del luogo-, si trasferì in San Pier d’Arena nella residenza dei nonni materni; e qui crebbe ed abitò fino alla laurea in ingegneria elettronica ed un’altra poi in fisica, all’incarico di ricercatore scientifico, alle nozze nel 1985 con una giovane francese, alla nascita del figlio.
E’ stato il primo astronauta italiano: scelto nel 1978 in una rosa di 248 candidati europei per il programma ‘space-lab’, superò tutte le selezioni, tests, e prove , cosicché il 31 luglio 1992 a bordo di uno Shuttle Atlantis, assieme ad altri sei astronauti partiti dal centro aerospaziale USA di Cape Canaveral, stette per una settimana nello spazio. Compirono rilevamenti e studi, compreso il tentativo di un ‘satellite al guinzaglio Tethered’ di progettazione italiana, la cui missione però non ebbe successo per colpa del cavo. Dedicandosi alla politica, fu eletto divenendo europarlamentare; in questa veste svolse i ruoli di : membro della commissione ricerca tecnologica e energia; supplente nelle relazioni esterne economiche; supplente nella commissione per i problemi economici e monetari; membro della delegazione UE-USA.
===civ.10 la torre unica ottagonale della villa Neurone-Moro, di aspetto cinquecentesco (potrebbe essere un falso cinquecento, più recente; comunque c’era al tempo del Vinzoni 1757; la scala di legno la ripropone formalmente tale); oggi è ormai disgiunta e avulsa dalla villa a cui apparteneva: in origine – carta Vinzoni - era posta isolata in fondo al giardino di proprietà; difficile, valutarne la funzione collocata com’era fuori logica d’uso, ovvero così lontana dal mare e altrettanto dalla via Centrale (via De Marini-Dottesio-Daste); con l’aspetto poco guerriera e molto decorativa: ottagonale, forse unica in tutta Genova. La lottizzazione ottocentesca, l’ha poi completamente separata dalla villa da cui dipendeva; è stata così affianata da altri edifici ottocenteschi e forse anche più antichi ancora; comunque che tutti la nascondono come entità urbanistica. Conserva le scale in legno.
===civ.7 è una casa di proprietà delle ferrovie, composta di tre appartamenti, posizionata sopra due gallerie del treno (scalo porto-parco del Campasso), contornata dalla galleria san Lazzaro (Principe-Sampierdarena) e dalla sopraelevata (dalla quale sono già caduti sul tetto, una vettura ed... un carico di prosciutti); nel 1980 era munita di orticello con galline.
===civ. La DEPA
La strada termina chiusa; cento metri prima, raggirando il palazzo ha una breve scalinata che accede in via A.Cantore; alla base di essa, una pietra posta a basamento, porta una scavatura a cono da cui parte -verso il muretto- altra lunga scanalatura che interessa tre pietre; il tutto senza un apparente utile logico se non -forse - un cancello.
DEDICATA all’impresario e industriale vissuto 1821-1884, possessore di magazzini in località Coscia, (cioè all’inizio est di via Galata (via P.Chiesa) proprio sotto Largo Lanterna), e dei magazzini-officine dalla cui distruzione nacque via F.Avio. Erano depositi di merci, nonché empori commerciali, scuderie e vasto deposito di sale.
Miscosi racconta (però, non specifica di quali magazzini si trattasse, ma è significativo che essi erano a San Pier d’arena e vicino a piazza della Lanterna) di un commerciante svizzero esportatore che si trovò, negli anni venti del 1900 a dover portare in America delle castagne secche, molto richieste (provenienti dalla Campania (Avellino) e da Cuneo, contenute in casse da 60 chili). Allo scopo andò a ritirarle al magazzino del ‘cassaio’ e, avendo fretta pensò di raggiungere la nave attraccata passando nel tunnel del tram, poi rinunciò e prese la strada verso il faro, facendo fatica perché l’animale non riusciva a portare il peso in salita delle cento casse.
Con la evidente generosa rendita, divenne ricco e riuscì a porsi nella Sampierdarena benestante e manageriale di fine secolo 1800, pur senza conosciuti impegni sociali o politici.
i
vasti magazzini GB Carpaneto (quelli superiori, ‘commerciali’ quelli inferiori
‘sale’, alla Coscia
Negli anni attorno al 1850, divenne proprietario della villa che affianca la strada a ponente (detta villa Negrone-Moro (vedi via G.Pedemonte) che poi sarà venduta ai Moro assieme alla affiancata villa Pallavicino (quest’ultima poi distrutta negli anni del 1970 lasciando di essa solo la facciata sulla via Dottesio) nelle prime decadi del 1900, i quali vi aprirono una raffineria di olio e produzione di olio d’oliva, sapone e derivati). Alcuni danno per sicuro che nel 1875 traslocò, essendo divenuto proprietario della villa di piazza N.Montano (oggi conosciuta appunto prevalentemente con il nome di villa Carpaneto, ed acquistata in quell’anno dalla fam.Tubino).
Nel 1906 la sua azienda partecipò alla prima esposizione internazionale aperta a Milano in occasione dell’inaugurazione della galleria del Sempione; con molte fotografie – allora un evento ancora agli inizi - dimostrava le capacità della impresa di trasporto.
Nel 1933 appare ancora a suo nome (o di un omonimo) la proprietà della ditta-magazzini di deposito, in via C.Colombo,115. Ed erano di un Carpaneto i depositi dove ora ci sono via Molteni ed Avio.
Carpaneto-Carpeneto, era pure uno che gestiva ‘le stalle’ ove ora è via Rela-via N.Bixio (cavalli, carri ... depositi; sono tutti inerenti allo steso tipo di lavoro: facile sia stato un clan, di tipo parentela). Favretto cita un Carpaneto; ma, a parte che è segnalato quale proprietario di una fabbrica di conserve alimentari, è anche “uno dei maggiori commercianti di guano” (cosa possibile, possedendo vasti magazzini di stoccaggio merci, quindi più che un commerciante, uno della catena di importazione; in conseguenza di quest’ultima attività, probabilmente utilizzando il magazzino che aveva alla Coscia, lo stesso autore cita una «lettera firmata dai “Ballaydier Freres”, i quali fanno presente all’amministrazione comunale che le sostanze organiche in decomposizione, derivanti dalle lavorazioni e scaricate nei canali della zona, potranno “arrecare danni ai pozzi dove si preleva l’acqua” e si ricordano i “tristi casi” di colera che si sono verificati nell’estate precedente»).
Nel Pagano 1940, un Carpaneto GB possiede magazzini generali (soc.an.) in Largo Lanterna ed abita in via Scaniglia al 2
BIBLIOGRAFIA
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-Archivio Storico Comunale Toponomastica - scheda 907
-AA.VV.-Annuario-guida archidiocesi- ed./94-pag.391—ed./02-pag.429
-AA.VV.-Catalogo delle ville genovesi-Bertelli.1967-pag.147
-AA.VV.-Le ville del genovesato-Valenti.1984-pag.23foto
-AA.VV.-1886-1996 oltre un secolo di Liguria-Il SecoloXIX.1996-pag.666
-AA.VV.-stradario Guide Gallery
-Favretto G-Sampierdarena 1864-1914 mutualismo e...-Ames.2005-p.163
-Gazzettino Sampierdarenese : 5/73.4 + 6/76.4 + 1/78.__ + 7/92.1
-Il SecoloXIX-quotidiano-31.7.2002
-Lamponi M.-Sampierdarena-LibroPiù.2002- pag.14
-Lunario genovese del signor Regina ammo 1889-pag.541
-Miscosi G.-Genova e i suoi dintorni- Fabris 1937-pag.133
-Pagano/33-pag.1848--/40-pag. 1424--/61-pag.130;
-Poleggi E &C-Atlante di Genova-Marsilio.1995-tav.51
-Tringali S.-Sampierdarena 1864-1914 mutualismo e...-Ames.2005-p.189
-Tuvo.Campagnol-Storia di Sampierdarena-D’Amore.1975-pag.78
- Zerbini P.-Genova e Liguria , dove & chi-ediz.1999.pag.35
-non citato dal Novella né dai Liguri Illustri
TARGA: San Pier d’Arena – via Bartolomeo Carrea – scultore – 1764-1839 (la nostra targa ha la data di nascita sbagliata)
QUARTIERE ANTICO: Promontorio
N° IMMATRICOLAZIONE: . posteriore
Area di via BCarrea,
da MVinzoni, 1757. In fucsia, via OScassi; da Pagano/1961
rosso, via MFanti; giallo via GBDerchi
CODICE INFORMATICO DELLA STRADA n°: 13040
UNITÁ URBANISTICA: 28 – s.BARTOLOMEO
in fucsia via O.Scassi; giallo via
B.Piovera; rosso via M.Fanti.
Da Google Earth 2007
CAP: 16149
PARROCCHIA : Cristo Re
STORIA: Al catasto, ed ancora nel dopoguerra, la proprietà di 50 mila mq era censita come cascina con vigne, di proprietà del genitore di Giovanni Agnelli (proprietario della Fiat) e del cav. Cottino Paolo: alla loro morte, il terreno fu diviso in 36 lotti e - mediante sorteggio - divisi a metà, tra gli eredi delle due famiglie. Gli Agnelli utilizzarono il terreno per edificare; e si avvalsero di una legge amnistia del 1970 per mettersi al riparo da accuse di eventuali violazioni; le eredi Cottino, in parte edificarono nel 1953-4, escluso due lotti che furono ceduti in secondo tempo nel 1973. Quest’ultima operazione fece scattare la reazione del ‘Comitato Promotore’ che, vedendo svanire ogni possibilità di spazio verde o sportivo o quantomeno sociale, promosse inutilmente guerra.
La erezione degli stabili fu definita ‘la perla delle speculazioni italiane’, generando fiumi di inchiostro sui quotidiani; mugugni; critiche a chi deteneva il potere; discorsi politici con promesse non mantenute; ricorso alle vie legali con finale intervento della terza sezione penale di Cassazione che formulò assoluzione dei proprietari in sede penale e trasferimento della pratica al Tar per quella civile.
Il 19 ottobre, visto il contemporaneo tacito avallo del Comune, scattò la contestazione civile che però fu dichiarata legalmente scorretta e con torto trattandosi di aree destinate per legge all’edilizia. La civica amministrazione, per tenere fede all’impegno dato dal sindaco Cerofolini, inviò all’impresa una ingiunzione di sospensione di ulteriori costruzioni, in attesa di formulare un piano di migliore urbanizzazione (che ovviamente, rimase lettera morta).
La denominazione fu decisa dal consiglio comunale il 7 mar.1958.
Sono tutti caseggiati di ultima costruzione in delegazione, disastrosamente edificati uno vicino all’altro, senza spazi alternativi di verde, né posteggi; con rari servizi.
STRUTTURA
E’ – viariamente- a senso unico in discesa; ad anello inizia in alto proseguendo via M.Fanti, e finisce nella stessa via M.Fanti in basso. Mentre la numerazione dei civv. segue il senso inverso, dal basso verso l’alto. I civv. neri arrivano sino al 11 e 12.
Nel dic.2003 compare nell’elenco delle ‘vie private, di interesse pubblico’ aperte al pubblico senza vincoli o divieti. In programma di divenire municipali (passaggio di proprietà gratuito, in cambio dei servizi e manutenzione (cassonetti Amiu, rete fognaria, servizio Amt, illuminazione, ecc)). Nel 2004 ancora se ne parla; nel 2010 non è stato fatto nulla e non se ne parla più.
CIVICI
2007= NERI =da 1 a 11 e da 2 a 12
ROSSI =da 3r a 99r (mancano 1r, 5r. Compreso 83Ar)
da 2r a 152r (mancano 66r, 86r, 88r. Compresi 97Fr→Vr)
Tutte recenti costruzioni: il 2 (1958); 1 e 4 (1959); 3 e 6 (1960); 5 (1961); 7 (1965); 8 (1966) ; 10 e 12 (1969); 9 e 11 (1974).
===civ. il circolo Endas “La cumpa”, fattosi conoscere nel nov.2004 perché soggetto a furto di attrezzature.
===civ. 8/13 nel 2008 ha recapito la soc. Twin Car Olympus (Carrasi AMaria) facente parte della FCI (Federazione Ciclistica Italiana).
===civ. 11r il Club sampdoriano C.Mura
DEDICATA allo scultore nato a Gavi (AL) il 29 mar.1764, da Giovanni e Caterina Picollo.
Cresciuto a Genova, divenne allievo dell’ Accademia Ligustica, formandosi come artista alla scuola di Nicolò Traverso (indubbio caposcuola nel periodo neoclassico genovese); con il maestro divise progetti, lavori ed onori, al punto che diventa difficile distinguere i singoli interventi, vivendo assieme lo stesso clima artistico e culturale, imperniato sulle imprese di Napoleone.
Carrea, divenuto Accademico di merito e direttore della scuola di scultura dell’Accademia Ligustica, (e tale incarico gestì per lunghi periodi: 1802-8, 1814-17, 1836-7, impegnandosi anche in lavori pratici sia con stucchi (nel palazzo Pallavicino di piazza F.Marose, in collaborazione con Giuseppe Gaggini; nel coro di s.Stefano; ‘bellissimi bassorilevi in plastica’, nella sala vecchia del Consiglio a Tursi), o con bassorilievi e marmi (tombe; la figura della Speranza nella nicchia destra sulla facciata della chiesa di san Siro (1820); le Tre Grazie -ora collezione privata-; la figura della Concordia sulla facciata del ed un bassorilievo con “la commedia”, per il Carlo Felice (1828); ed altri), ed anche statue lignee (l’Immacolata, per l’altare maggiore della chiesa della SS.Concezione di Padre Santo).
I lavori studiati per l’apoteosi napoleonica appartengono al periodo che viene definito “effimero”, per la rapidità con cui si svolsero gli eventi del Corso (dall’ascesa militare alla restaurazione). Anche l’amministrazione cittadina, burocraticamente lenta e priva di una programmazione (preventivi, costi, scelta di un oggetto artistico, sua collocazione) non faceva a tempo ad ordinare agli artisti opere pregevoli, raffinate ed a volta anche spettacolari, che tale sclta era già travolta dalla storia cambiata e sconvolta.
In questo frenetico mutamento, merita un rilievo la celebrazione della venuta di Napoleone a Genova (30.6.1805; o venne in carrozza o probabilmente fu sbarcato sul litorale di San Pier d’Arena, perché fu accolto alla Porta della Lanterna dal maire Michelangelo Cambiaso, che gli offrì le chiavi della città -che furono cortesemente rifiutate- e pronunciò il discorso di omaggio): fu programmato un grosso impiego di arredi, dalla decorazione di interi palazzi, ad un tempio galleggiante nel porto, ed altre iniziative che rimasero di ovvio limitato sviluppo. Nel tempio, da collocarsi vicino alla Lanterna, doveva esserci un arco trionfale in legno disegnato da Carlo Barabino, e per il cui arredo il Carrea fu chiamato a partecipare con quattro grosse aquile coronate (pagate con 420 lire) e due statue, una dell’imperatore seduto coronato dalla gloria, ed un’altra allegorica della Storia.
Altro episodio, risale al 28 ago.1808, quando il Senato Ligure decise di sostituire le statue dei Doria (di Andrea e Gianandrea, gravemente danneggiate nei moti popolari di 5 anni prima), da porre su due piedistalli prospicenti il ‘Palazzo Nuovo’ (il Ducale), con altre due: di Andrea Doria e di Colombo; di esse quella di Andrea affidata al Nostro (tentò di ricuperare usando quella di Napoleone già praticamente fatta, solo modificandola nell’effige; l’altra raffigurante Colombo, fu affidata a Nicolò Traverso); le opere - seppur già pagate - non furono utilizzate perché per opportunità politiche dopo breve il Senato aveva già cambiato parere, scegliendo un gesso di Andrea Doria.
Per l’arrivo di Vittorio Emanuele I a Genova nel 1815, fu chiesta la collaborazione ordinandogli la figura allegorica del fiume Po, con cui arredare una fontana da porre alla Zecca, disegnata dal Barabino.
Sposò una pittrice genovese Rosa Bacigalupo (1794-1854) della quale alcune opere sono alla biblioteca Berio, all’Accademia Ligustica, in san Lorenzo.
Morì a Genova l’ 8 gen.1839 (Lamponi scrive che fu tumulato nella antichissima chiesa di santa Maria del Prato (Albaro - piazza Leopardi); il Dizionario delle strade non cita la tomba e scrive che nell’anno dell’assedio, 1800, la chiesa fu chiusa e “venne dagli austriaci ridotta a scuderia. Riaperta dopo alterne vicende…”).
BIBLIOGRAFIA
-Alizeri F.-Notizie dei professori del disegn..-Sambolino1864-vol.I-p.432
-Archivio Storico Comunale Toponomastica - scheda 915
-AA.VV.-Enciclopedia dei liguri illustri-Erga.1970-vol.III-pag.4
-AA.VV.-Annuario-guida archidiocesi—ed./94-pag.391---ed./02-pag.429
-Gazzettino Sampierdarenese : 3/79.5 +
-Genova Rivista Comunale : 5/33.770 disegno dell’arco + 9/33.770 + 1/34.8
-Il Secolo XIX del 25/11/03 + 23 /8/04 + 18.11.04 +
-Lamponi M. –Sampierdarena – Libro Più.2002- pag.174
-Pastorino-Vigliero-Dizionario delle strade di Genova-Tolozzi.’85-p.365foto
-Poleggi E. &C-Atlante di Genova-Marsilio.1995-tav.23.35
CARROZZE piazza delle Carrozze
Citata solo da T.Tuvo nel Gazzettino Sampierdarenese.
Nome popolare, non ufficiale, usato nella prima metà del 1800 per indicare la prima sosta in San Pier d’Arena di chi giungeva dal ponte sul torrente Polcevera , sia proveniente dalla riviera che dalla Bocchetta .
Era ubicata nella zona della Crociera; quindi presumibilmente dove ora è ‘largo Jursé’ .
Lo slargo era così già da allora, divenuto un punto di riferimento e di incrocio abbastanza ingorgato per il traffico intenso, per gli arrivi e partenze per l’entroterra, il Piemonte, Lombardia, riviera o Genova stessa.
Non corrisponde alla piazza Vittorio Veneto, a quei tempi non ancora esistente perché inesistente o in fase di strutturazione sia la ferrovia che la via Buranello; (questa ultima piazza andrà a sostituire la funzione di sosta e capolinea delle vetture, ma per la sosta dei primi tram avrà come primo nome ‘ piazza Omnibus’) .
In un documento del 24 lug.1861 si segnala la presenza di una officina dei f.lli Bardin, sita “presso la Crociera, mandamento di Rivarolo, a tramontana e ponente dei fratelli Cambiaso, a mezzogiorno di Torsegno Paolo, a levante della strada comunale e dipendenza della stazione delle strade ferrate”, adatta per la preparazione di acido solfidrico, nitrico e cloridrico.
Già conosciamo un Bordin come il creatore principale, nel giorno di Natale 1851, della società di MS “Unione Fraterna”. Ma non corrisponde essendo questi dipendente di una officina metalmeccanica. A confonderci un po’ di più Favretto scrive notizie che combaciano con quanto sopra, ma non in tutto: conferma che la Bardin & Ballard era una fonderia sita poco distante da via s.Cristoforo, la quale sappiamo che nel prosieguo del tempo cambiò attività dedicandosi alla distribuzione del gas (e così, forse, anche alla produzione chimica di cui sopra) per cui potrebbe essere la loro quella definita dallo stesso Autore “Ancora più pericolosa risulta la fabbrica chimica in cui lavora dal 1823 l’acido solforico, nitrico e cloridrico nonché altri prodotti chimici “alla Crociera” presso il ponte sul Polcevera». Ma anche Scerni lavorava quel materiale nelle vicinanze.
-Favretto G.-Sampierdarena 1864-1914 mutualismo e...-Ames.2005-p.163
CARZINO via Alfredo Carzino
TARGHE:
via - Alfredo Carzino – “Milio” – caduto per la Libertà – 1899-22-XII-1944
via – Alfredo Carzino – caduto per la Libertà
angolo piazza Vittorio Veneto
nella rientranza, presso il civ. 2
angolo ovest via A.Cantore
angolo est, vie N.Daste-A.Cantore
QUARTIERE ANTICO: Castello
da MVinzoni, 1757. In giallo la Creusa dei Buoi; rosso via
NDaste; celeste, via della Cella e antica salita
Belvedere
N° IMMATRICOLAZIONE: 2746 CATEGORIA: 1
da Pagano/1961
CODICE INFORMATICO DELLA STRADA - n° : 13180
UNITÁ URBANISTICA: 26 - SAMPIERDARENA
da Google Earth 2007
CAP: 16149
PARROCCHIA: s.Maria della Cella
STRUTTURA: senso unico viario dal confine via A.Cantore-via N.Daste, al confine via G.Buranello-piazza Vittorio Veneto.
La numerazione prosegue iniziando da via Buranello.
Strada comunale carrabile, lunga 139,90 metri e larga 6,05; con due marciapiedi larghi 1,62.
La parte a ponente è adibita a posteggio auto
E’ servita dall’acquedotto DeFerrari Galliera
STORIA: Essendo stato un sacerdote col titolo di principe Centurione a vendere la casa a don Daste, va de sé che tutta la strada è sorta nel terreno - una volta - di proprietà della nobile famiglia, residente nel palazzo omonimo in piazza del Monastero (anche il sottopasso ferroviario, nei tracciati schematici delle Ferrovie, adeguandosi viene chiamato dapprima ‘Centurione’, poi G.Mameli’, poi A.Mussolini, infine A.Carzino).
È storia non comprovata da documenti, che Teresita – figlia di Garibaldi e sposa di Stefano Canzio (figlio di Michele, stuccatore di grande fama) - abbiano abitato nella via. Un dipinto del Vernazza (al Monastero) rappresenta Teresita assieme al marito all’inaugurazione dei giardini di villa Scassi (chiamati ‘passeggiata G.Alessi’), nel 1890.
Alla fine 1800-inizi del 1900, la strada era dedicata a Goffredo Mameli (ora a Genova in Castelletto), anche se popolanamente la località era chiamata ‘in scià Providensa’ per l’attiva presenza di don Daste e del suo richiamarsi ad essa per il futuro delle sue opere, nonché dell’Universale che aiutava i soci in difficoltà, con le sue sovvenzioni.
In quegli anni, nella strada esistevano sette civici di cui : all’1 la Soc.Universale di MS ; al 2 casa Pittaluga Bartolomeo; (il 3 è saltato); al 4 casa Cipollina, Paolucci e C; al 5 e 7 casa Chiesa Lagorara e C ; al 6 Ist. della Provvidenza .
Nel 1910 la via Goffredo Mameli, che collegata via V.Emanuele con via N.d’Aste (sic), appare con civici sino all’8 ed al 3.
Tale rimase, sino a quando sotto il regime fascista, dopo delibera del podestà del 19 ago.1935, fu deciso il cambio nome con “via Popolo d’Italia”; nome tratto dal titolo del giornale quotidiano che Mussolini aveva fondato a Milano nel nov.1914 (dopo aver diretto per due anni il giornale socialista l’“Avanti” ) e che cessò la pubblicazione il 25 lug.1943.
anni 1935. Stanno finendo il palazzo in via Cantore anno 2008
Dopo il conflitto mondiale, su delibera della giunta comunale del 19 lug.1945, la strada fu dedicata al partigiano.
CIVICI
2007: NERI = da 1 a 7 e da 2 a 8 (compresi 2ABC)
ROSSI = da 5 a 45 (mancano 1 e 3; compreso 13AC –manca B)
da 2 a 30 (compresi 2ABCD)
Nel Pagano/50 si segnalano: al 43r l’osteria Bigozzi M.; ed al 2Br il bar dell’Universale.
=La numerazione è progressiva da mare a monte
===civ. 2a: Si apre non direttamente sulla strada, ma nel retro della società Universale. Inizialmente si apriva in via Prato. È detta ‘casa Stefano Frugone’ (chiamato ‘il Tigre’ e primo proprietario del vicino cinema Splendor); fu eretta su un terreno che faceva parte dei giardini della soc. Universale e che gli fu ceduto per scambio di possibilità di soprainnalzare anche la casa del fascio. Così, sulla scia, anche la palazzina fu sopralzata - pare abusivamente e grazie a legami di partito tra i proprietari ed il PNF nel 1933 quando l’Universale era occupata dai neri; l’archivolto corrispondente venne chiamato col nome del fratello del Duce, Arnaldo Mussolini. Finita la guerra sorse una causa legale gestita da De André per riappropriarsi del terreno e del palazzo sopraelevato giudicando averlo concesso illegalmente (il padre del cantautore e vicedirettore dell’Eridania), fino ad arrivare ad un compromesso.
Nel 2002-3 ospita l’Ente di formazione professionale IAL telefono 010 645.73.79 che a fine corso fornisce un attestato di qualificazione nell’area commeciale: addetto alle vendite e al magazzino; impiegato di amministrazione (addetto al lavoro di ufficio); turismo-alberghiero.
Nel 2010, all’int 1 e 2 dove era lo studio del commercialista iacchino Pollicino, c’è lo studio del nipote avv. Ravera. All’interno 3, dove fu il radiologo prof. Massimo Lertora ora c’è la sede della Terza età. All’int. 12 una casa famiglia.
Non confermato che nel 2009 in appartamento di 400 mq, vi si era inserito un nuovo ufficio della CNA (confederazione nazionale artigianato e piccola/media impresa) per pratiche fiscali, consulenze di lavoro, contabilità, rapporti con banche, sindacali, ecc.
===civ. 2, la palazzina della Società Operaia Universale.
All’esterno dell’edificio, in un grosso riquadro nell’intonaco, campeggia la scritta “associazione Operaia Universale - 1851“: rappresenta simbolicamente tutta la lotta compiuta dal popolo -dopo i più eclatanti episodi francesi della Bastiglia e delle guerre risorgimentali, ma non per questo meno faticosi e sudati- per acquisire la dignità e soprattutto la libertà di poter decidere di se stesso.
E non è poco, se sino ad allora da secoli, aveva comandato e deciso unilateralmente la classe ricca, o aristocratica, o armata (ed in Italia, pressoché sempre, straniera). Ed ancora, in quegli anni seppur emergente la classe borghese, l’operaio era pur sempre tenuto in soggezione sociopolitica di postulante e senza diritti.
Quello che ogni cittadino gode oggi, chiunque lavori, nacque qui, da questa gente.
Dal 1815 Genova fece parte, volente o nolente, del regno di Sardegna. Dell’atavica Repubblica conservava però forte e ribelle lo spirito.
Il popolo era dunque frastornato da due sentimenti concomitanti: da un lato l’amore dell’antico spirito repubblicano (con la propria autonomia democratica, fomentata anche sia dalle idee mazziniane, sia da un ribollire internazionale mirato a sovvertire l’ <ordine>, e sia anche da quei folli ribelli –genericamente malvisti e psueudobriganti- che fomentavano disordini chiedendo inutilmente appoggio alla popolazione); e dall’altro lato il forte freno delle idee conservatrici (della Chiesa, innanzi tutti, per la quale l’idea di dover combattere contro il Papa era da negarsi a priori e quindi non facile da assimilare; della massa indifferente che viveva alla giornata e non capiva le proiezioni future contiunuando a subire come sempre; ed infine di quelli che nutrivano speranza che la monarchia li guidasse all’unificazione e facesse nascere un orgoglio ed un amore di Patria).
Nel caos iniziale ideologico, il sangue e le sofferenze furono un tutt’uno: il re perdeva le prime guerre ed i patrioti rappresentavano una dolente spina nel fianco, per cui andavano o in esilio o processati e –da lì- in galera, o –i più arditi- fucilati (tra i primi e più carismatico Bartolomeo Savi, garibaldino e direttore del quotidiano mazziniano ‘Italia e Popolo’ : fu condannato a 10 anni di lavori forzati per aver partecipato al moto del 1857).
Ma alimento indispensabile per i futuri programmi del re furono proprio quei suoi apparenti avversari, usati poi per l’accrescimento graduale anche se contrastato della Nazione –sfruttando il loro sangue ed il loro sviluppo maturo e responsabile dimostrato con iniziative “fai da te” quali l’Associazionismo-. Le guerre di Indipendenza e la mèta di una patria unita, furono così il collante tra la agognata repubblica e la sopportata monarchia.
L’Italia era ancora da unificare, e già dal 1848 (fallimento delle prime campagne militari e promulgazione dello statuto), iniziarono a manifestarsi sempre più apertamente in Italia - ma in Genova in particolare - idee comunitarie ed associazionistiche, mirate a migliorare le condizioni economiche e sociali in genere, e soprattutto l’istruzione degli operai, i più dei quali, analfabeti.
Mazzini fu il promotore di questi programmi che - se giusti ed ovvi nell’ottica di oggi - erano scandalosamente rivoluzionari e da respingere a quei tempi. Le sue idee espresse quando il potere decisionale era ancora appannaggio di troppo pochi, riuscirono a sopravvivere sia per aperta dimostrazione delle loro virtù e bontà, tramite, per esempio, l’ Associazionismo concesso dal nuovo statuto Albertino del 1848, ma sia per maturazione culturale ed intellettuale dei sudditi -stante la necessità storica- obbligati a mantenersi inizialmente nel nascosto, nel ‘carbonaro’, nelle ‘società segrete’, nella massoneria.
Storicamente accettato che il primo movimento associazionistico-cooperativo fu nel 1844, inglese (a Rochdale nel Lancashire).
In Italia il primo fu piemontese, nel 1849 (ma da porre in un piano diverso da quello genovese, proprio per una diversa visuale, sia rigurdante le modalità (in Piemonte, create dagli stessi padroni o comunque da elementi moderati ligi al governo e mirate a ‘tenere buoni’ gli operai proponendo solo svolte prevalentemente salariali; quindi la sola assistenza degli operai, che permetteva ampia tolleranza e partecipazione da parte del governo e dei ricchi o benestanti) e sia le finalità (a Genova, tanto da contare prioritariamnete avversità da parte delle autorità locali e torinesi, da poco, il 16marzo1848 i minolli con i marinai e barcaioli, a San Pier d’Arena avevano violemntemente tumultuato; due giorni dopo i facchini applicarono una rumorosa dimostrazione di piazza; il 23 marzo 1849 erano state erette barricate anti Savoia con la soppressione eseguita dai bersaglieri di LaMarmora; l’idea repubblicana mazziniana e di indipendenza era fortissima; iniziavano a nascere ‘i rossi’ con tendenze sovversive. Quindi Genova era pericolosissima per l’intendente Generale Antonio Piola: laddove i propositi di assistenza in realtà nascondevano priorità politica democratica: rivoluzionaria, repubblicana, mazziniana in genere, unitaria e di indipendenza; la stampa - La Strega, il Balilla, l’Italia Libera, L’Italia - erano veicolo di idee tendenzialmente sovversive).
In Liguria nacque l’anno dopo, 1850: dapprime a Imperia (prima a Oneglia e subito dopo a Porto Maurizio);
Sono del 1851 (sempre in Liguria: a Sanremo, PietraLigure e Chiavari; a Genova con la iniziale disapprovazione e sanzioni della Curia, il 9 febbraio nacque la prima associazione di Mutuo Soccorso nell’oratorio de’ ReMagi, presieduta da don Giuseppe Piaggio prevosto di sanDonato, aperta da artigiani (specie dell’Associazione Tipografica Genovese e la Società Filantropica Lavoranti Sarti), da borghesi inseriti nel mondo del lavoro e da aristocratici, con carattere di assistenza generale; il giorno 24 si inaugurò la seconda, diretta da BartolomeoFrancesco Savi prevalentemente operaia ma anch’essa molto eterogenea, studenti, fornai, maestri, farmacisti ed altre 50 categorie (due anni dopo si uniranno in Confederazione; rappresentava le varie qualità prevalentemente dell’artigianato: falegnami, muratori, sarti, fabbri, facchini, tipografi, barcaioli). Nel genovesato infine =dopo la prima associazione voltrese (a gennaio la sms ‘Dio e Umanità’; recenti ricerche la anticiperebbero al 1846!) nata a gennaio; seconda creata da operai, laica, il 5 ottobre di quello stesso anno vide la luce a San Pier d’Arena (quando il borgo aveva circa 9.079 abitanti, non più servitù di aristocratici in villeggiatura ma, i più, occupati nell’artigianato e nel commercio; poche decine nell’industria, pesca, minolli; pochissimi nel porto perché ancora distante ed agricoltura) una società di Mutuo Soccorso, che fu battezzata ’soc.Unione Fraterna’ (V.Armirotti in una sua relazione letta il 26 sett.1886 in occasione del 35° anno di vita, pone prima nata nel 1851 la soc. Unione Fraterna; e seconda -1852- “un’altra associazione” non nominata ma che poi si intuisce essere la Umanitaria. L’idea fu attuata dal medico Parodi e da un gruppo di operai (capeggiati da Francesco Bordin -Tuvo scrive che si chiamava Ainé Bardin- il quale assieme ad un fratello e ad altri colleghi di origine francese o savoiardi, tutti accomunati dal lavoro in una fonderia ed officina del gas (vedi a ‘Carrozze’), a conoscenza delle esperienze nazionali di associazioni già fiorenti, il giorno di Natale del 1851 seduti ai tavoli della trattoria Cagnarin nella crosa dei Buoi diedero vita a questa Associazione, ben accolta da altri soci italiani, strettamente tutti di fede repubblicana. Ovviamente l’inizio fu stentato ed osteggiato). Tuvo segnala dei bilanci dell’Unione Fraterna: anno 1858: capitale sociale £.314,80-entrate £. 680,80-uscite £.880,60. Anno 1859: 9,29-730,20-950,86. Anno 1860: 362,72-969,00-606,25. 1861: 1458,15-1594,10-747,00.
Il movimento nasce con enormi difficoltà (non solo la mancanza di soldi –la vita dell’operaio era al limite della sopravvivenza e troppo spesso mancavano i mezzi da distornare per una quota associativa; ma anche ostilità governativa che vi legge la base più dura dell’opposizione rivoluzionaria (sequestri, chiusura e scioglimento, arresti o esilio); e per l’assenza di protezione da parte dei benestanti ancora mentalmente portati a finanziare beneficenza).
Separatamente, qualche mese dopo nacque nel borgo un’altra associazione: col nome di “S.M.S. dell’ Unione Umanitaria”. La prima sede di riunione fu un locale a capannone posto all’inizio a monte della stessa strada di oggi in zona Mercato (facente parte delle proprietà della fam.Rolla, la cui casa-villa privata era alla Fiumara) e gestito da ‘Baciccia de mûin’ (GB dei mattoni). Primo presidente fu Luigi Casanova -aiutato dal cap. Devoto Francesco, dagli operai Testa Angelo (detto û Zuetto), Ferrando Giuseppe (detto û –ma si scrive ‘o’Ratella), Pittaluga GB (detto û Carubba) e Pavese Pietro- il quale, sia inesperto, sia vessato dall’incomprensione tra le nuove idee (laiche, e con Mazzini che era riconosciuto all’unanimità socio fondatore) e quelle conservatrici (religiosi: la Curia del tempo, rimase stranamente perplessa, preoccupata, e concluse per un parere sostanzialmente negativo) promosse delle attività imitanti più le confraternite ed i cerimoniali tradizionali anziché proponenti quello spirito innovativo che diverrà poi la caratteristica forte della Associazione.
Il seme era stato gettato: il nome stesso se implicava “operare con umanità e moralità” nel campo del lavoro, implicava il concetto di unione al fine di autoemanciparsi, come poi anche “sovvenire ai soci resi malati ed a quelli che per infermità, vecchiezza, saranno divenuti inabili al lavoro”. É questo il vero miracolo della loro nascita: non aver fatto una rivoluzione o sommossa, ma aver reagito all’inglese da “self made man”: con dignità, acume ed autonomia, in quanto i problemi di fondo della popolazione, gradatamente in aumento non erano affrontati né conosciuti dal governo centrale torinese: immigrati poveri, ignoranti, impreparati (e quindi soggetti al facile abuso del padrone), pieni di figli (la mortalità infantile era altissima), spesso malati (tubercolosi, malaria, alcool, denutrizione; comunque per i più la prospettiva di vita non superava i 55-60’anni). I primi bilanci dell’associazione dimostrano un disctreto interesse: 1858: capitale 2271,70-entrate lire 1456,19. Anno 1862 capitale 2438,07-entrate lire 1267. Come sempre all’inizio, tale iniziative furono appannaggio di pochi; e pochi, inizialmente legati solo da una grande sensibilità; non certo favoriti da cultura, ampiezza di vedute politiche, contatti con altre associazioni per confroni e produzione di idee (i marinai informavano sulle iniziative anglosassoni dopo vari mesi di navigazione; Parma, Pavia, Milano erano all’estero e con esigenze diverse); rispetto invece la massa che inerte e potenzialmente povera, era vesseggiata nei servizi senza calmieri dei prezzi (e di rimando e molto presumibilmente- soggetta agli usurai), senza igiene né assistenza sanitaria né ospedale, senza scuole né attività ludico sportive per i giovani; Mazzini stesso –allora cinquantenne, era da tempo in esilio e comunicava con lettere non ufficiali (altrimenti soggette a censura) che impiegavano settimane a pervenire e quindi lui stesso non diretto organizzatore ma solo lontano ideologo di una vaga chimera rivoluzionaria che poi ciascuno cercava di realizzare mettendo in pratica ed agendo secondo il proprio buon senso ed iniziativa.
Nel 1854 le due associazioni favorirono assieme l’apertura di un terzo centro, chiamato “gabinetto di lettura e di cultura” aperto in ‘via dei Banchetti’, in una grande sala che era comunemente chiamata ‘Zane’ dal nome di un marionettista che in vernacolo vi lavorava col suo teatrino, con celato ma ovvio indirizzo politico, ovviamente senza satira né ironia non ancora concesse. Questo centro, sia per la propaganda che per il laicismo, fece scandalo; ciononostante gli operai più colti e vicini alle vicende italiane ed europee, riuscirono a coinvolgere sempre più alto numero di giovani che desideravano uscire dall’ignoranza ed isolamento. Nel 1854-8 fu da loro promossa una coraggiosa propaganda e partecipazione per le imprese di Carlo Pisacane (partecipe con lui fu Carlo Rota, che finirà prigioniero), Nicotera e Rosolino Pilo.
Due anni dopo le due società (con 250 soci) iniziarono a palazzo Boccardo (una ex-villa dei Centurione in via del Mercato 11, oggi distrutta, posta all’altezza di via A.Cantore civ.51) l’attività delle scuole serali per operai: enorme era a quei tempi il numero degli analfabeti: si proposero corsi di acculturamento anticipando l’ apertura di scuole pubbliche, sia con l’ istituzione di biblioteche che corsi elementari, disegno meccanico ed ornamentale, ma poi anche attività ludico-sportive (ginnastica, scherma e tiro a segno con carabina; la ginnastica darà vita alla Sampierdarenese; le altre due furono curate da Mosto con allievi Galeano, Quirico Moggia, Meronio ed i Canepa, senza celato scopo di preparare futuri combattenti capaci di imporsi al nemico usando le tecniche delle nuove armi da fuoco. Si posero così le basi per la nascita dei Carabinieri intesi -non come oggi arma militare- ma come esperti nell’uso della carabina, che praticamente tra pochi anni faranno vincere le battaglie a Garibaldi nella spedizione dei Mille, facendo da lontano vuoti spaventosi nelle truppe borboniche ancora strettamente inquadrate). Infatti, dei Volontari tentarono di partire verso il meridione, nel 1857, sul piroscafo Cagliari, con Carlo Pisacane. Tra loro Carlo Rota, che poi fu fatto rpigioniero e incarcerato a Favignana
Di nuovo nel 1860 con Garibaldi ed i Mille: ma per disguidi Stefano Lagorara, Lorenzo Castello, Michele Davovaro e altri, non giunsero in tempo all’appuntamento di Quarto cosicché autonomamente raggiunsero poi la Sicilia con Medici, Cosenz, Pianciani e Nicotera. dopo aver raccolto (e nella fonderia Fossati addirittura si fabbricavano) armi e munizioni da portare o inviare per le loro operazioni di guerra. Nel 1861 si fondò un giornale cittadino intestato ‘l’Operaio’.
Dopo nove anni di intensa attività volontariale socio economica, nel 1862, aderirono all’ ‘Emancipatrice’ fondata da Garibaldi avente carattere provinciale seppur espansa in tutta la penisola (assieme alla soc. Volontari italiani’).
Ma il 9 marzo 1862, dalle autorità fu decretato lo scioglimento forzato di tutte le società di MS.: la polizia non sempre trovava le prove che andava cercando con perquisizioni massive dei locali (in effetti nell’ambiente giravano sia personaggi che scritti, allora giudicati sovversivi; e –come detto- anche armi, sino a veri e propri arsenali, teoricamente disponibili per i vari patrioti, tipo quelli attivi a Sarnico ed Aspromonte nel 1862; nel Friuli, 1864; in Tirolo, 1866; nell’Agro romano e Montana, 1867). Dovettero tutte seguire la stessa sorte, chiudendo.
Ma i soci sampierdarenesi (i suddetti Devoto Francesco –capitano lupo di mare-, Bardin, Pittaluga, Testa Angelo (o Zuetto), Ferrando Giuseppe (o Carubba), Casanova Luigi, Pavese Pietro assieme a Dellacasa GB, Morando Giovanni, Botto Pietro, Romairone Natale, ed altri non ricordati) subito convocati, fusero le due società e costituirono una nuova “Associazione Generale democratica” di mutuo soccorso ed istruzione degli operai di San Pier d’Arena”. Con un gruppo iniziale di 200 soci, praticamente trappresentanti due diverse categorie: più numerosi quelli che lavoravano nelle industrie di quelli con mestieri diversi, come facchini, trasportatori, negozianti, ricamatrici e contadini. Per autosostenersi organizzarono anche esposizioni d’arte o industriali o manifatturali. Tutti ferventi assertori delle idee mazziniane e apertamente seguaci delle sue dottrine (“i diritti non sono altro che il portato dei doveri compiuti: fate sempre il vostro dovere e poi reclamate –non solo, ma vogliate- il vostro diritto”. Queste erano comunemente al vaglio degli iscritti, supportate con riunioni, lezioni, discussioni ed anche sottoscrizioni volontarie pro-Mazzini: ufficialmente una associazione di carattere assistenziale, ma con più o meno aperta attività politica a favore del movimento repubblicano), erano quindi sotto continuo stato di controllo poliziesco per subodorata (ed effettiva) attività antirealista piemontese ed antitemporale del Papa.
Quindi, seppur elogiati dagli amministratori pubblici ((quasi sempre a loro volta iscritti all’associazione) per le iniziative a carattere sociale specie per le calamità pubbliche, le malattie individuali, i casi di invalidità (specie da lavoro), per l’educazione dei giovani operai. Tipico il periodo del colera del 1854-5 : in questa occasione, il Municipio della città istituì un comitato cittadino di soccorso ed assistenza presieduto da due iscritti V.Armirotti e N.Barabino, ai quali fu poi riconosciuta una medaglia d’argento al valore civile, che i due vollero estesa a tutti i collaboratori e che il Barabino volle sul petto alla sua morte; sostennero anche economicamente uno sciopero degli operai di Lione; rifiutarono di inviare al governo i dati statistici con i nomi degli iscritti; appoggiarono lo sciopero dei cordai raccogliendo fondi per essi) furono altrettanto ostacolati per l’impegno politico (non espresso apertamente, ma fermamente avverso alla casa reale regnante: i Savoia furono sempre poco sopportati dagli iscritti, se non come unico mezzo per arrivare ad un bene superiore che era l’indipendenza nazionale).
Double face quindi: da un lato a cospirare (in ordine, prima contro l’invasore straniero, poi contro i Savoia e monarchi regionali, poi -per ultimo e con minore accanimento- contro il potere temporale della Chiesa), da un altro li vediamo attivi in tutti i campi sociali, messi in evidenza dall’enorme massa di operai immigrati (tutti poveri ed analfabeti), in seguito all’esplosione industriale, ed illuminati da personaggi come Rota, Stallo, Armirotti, Meronio, i 4 fratelli Canepa, Roncario, Molinari, Derchi, ecc.
Così, anche se spesso praticamente “fuori legge” (l’aiuto decisivo ad organizzare la partenza dei Mille; nel raccogliere fondi per propagandare le idee repubblicane in tutto il regno, in appoggio anche ai famosi Saffi, Quadrio, Campanella; nell’adunare uomini e raccogliere armi per le imprese di Sarnico, Aspromonte, Friuli, Mentana, Digione e la Repubblica romana) e perciò strettamente “sotto controllo poliziesco” (nell’organizzare attività sindacali, riunioni, scioperi, ribellioni alle gabelle; in un momento sociale di grande trasformazione, con viva esigenza di migliori condizioni di vita sociale, economica, culturale, logistica, per svincolandosi soprattutto dal concetto di ricevere per elemosina e creare invece il concetto di diritto al miglioramento, inizialmente tramite la reciproca organizzazione. Erano tempi in cui l’operaio lavorava 18-20 ore al giorno. Erano in pochi a ribellarsi: non tutti capivano e partecipavano alla lotta; anzi i più e più spesso erano i rinunciatari sfiduciati, mal guidati dal clero conservatore, spaventati dalle iniziative bellicose e dalle idee allora giudicabili antisociali e rivoluzionarie); “apertamente” diverranno nel 1866 la “Società Generale Democratica” nella quale conversero le tre iniziative (Società Umanitaria, Unione Fraterna e Gabinetto di Lettura) sino ad allora tenute separate anche per evitare azioni repressive di polizia.
Molti furono i volontari attivi nel frattempo: in occasione di Mentana, troviamo a combattere CRota, VArmirotti, CMeronio, LStallo
La lotta la lotta all’ignoranza fece maturare i tempi perché l’Associazione producesse altri servizi utili al popolo, come favorire i primi abbozzi di Cooperative per l’acquisto a prezzi più miti dei beni primari (nasceranno più tardi, 1864 -da questi semi- le Cooperative vere e proprie, specie quella di Consumo (vedi in via C.Rolando; con un primo spaccio in via A.Doria) e Produzione (vedi via Ulanowki): da esse nel 1901 l’Alleanza Cooperativa Ligure che –in SPd’A- univa le due più la Consumo fra Lavoratori e la Consumo tra Ferrovieri; e nel 1902 la Federazione delle cooperative comprendente carbonai, elettrici, calzolai, bottai, scalpellini ed i calderai; e nel 1903 l’UnioneRegionaleLigiure di tutte le Assoc.-Mutue-Leghe-Cooperative). Con esse l’erezione di case popolari sane e munite di impianti igienici ed acqua ancora esistevano le cisterne alla base dei palazzi, per la raccolta dell’acqua piovana e l’uso dei lavatoi e fontanelle esterne¸ specie dopo l’epidemia di colera; per iniziativa della Ass.Operaia MS Universale, nacque la prima cooperativa per la costruzione delle case popolari per persone dette ‘meno agiate ‘ - vedi via Masnata -: il primo caseggiato in città venne inaugurato nel 1878 ed nel teatro Modena avvenne l’estrazione dei destinatari; nel 1882 il secondo, nel 1887 il terzo di 30 appartamenti; nel 1906 all’Esposizione internazionale svolta a Milano in occasione dell’apertura della galleria del Sempione, Osimo Augusto incaricato della Cooperativa fece parte della giuria che offrì unpremio in concorso al miglior progetto di case popolari operaie per l’Italia settentrionale: il Comune di San Pier d’Arena – presente con un padiglione proprio sul tema - partecipò con un progetto di casa con 200 appartamenti (700 persone) dotati di gas, elettricità, fogne; il risparmio costituendo sempre nel 1864 una propria banca, chiamata ‘Banca Popolare di Sampierdarena’, aperta con i contributi della famiglia Gambero (importatori e commercianti all’ingrosso di cereali, con interesse nell’edilizia e cotonifici) nella via Vittorio Emanuele, presso la neonata piazza ancora senza nome ufficiale e quindi popolarmente conosciuta come piazza degli Omnibus: oggi pza Vittorio Veneto; se c’erano a Genova 4 istituti di credito di grosse possibilità di capitale (milioni), molto modesta era la nostra: 50mila lire nel 1866, portate a 100mila l’anno dopo ed a 250mila nel 1889, con aumenti di capitale sempre modesti pari al 4-5% contro il 15-20% nazionale. Poi nel 1925 confluì in quella di Novara; le attività ludiche (la filodrammatica ed annesso teatro); non ultimo l’aiuto anche nella salute (con l’apertura di farmacie (la Operaia, inizialmente nell’attuale via SPd’Arena nei pressi di via T.Molteni, poi in via Molteni, oggi in via Avio; e nel 1902 anche la vicina farmacia Popolare Sociale), di una cassa mutua (per i malati) e finanziamenti pro Ospedale come diremo tra poco).
Nel 1868, raggiunta l’unità nazionale, cessò la spinta patriottica e tese a prevalere l’attività sociale e politica: l’Associazione partecipò attivamente al 1° congresso delle SMS liguri, sollecitando un congresso nazionale ed aprendo una sottoscrizione volontaria mensile di 5 cent. pro Mazzini (questi ringrazierà per aver ricevuto 47,25 lire).
quadro di Federico Piccone foto del 1893 in occasione del raddoppio dei binari, da2a4
Nel 1869-70, i soci effettivi salirono a 500: non molti, per un centro operaio così numeroso, ma pur sempre uno dei solidalizi più forti ed attivi, osteggiato dai benestanti e dal clero per l’atteggiamento progressista ed anticonservatore, e sempre tenuto d’occhio dalla polizia con perquisizioni per i più banali motivi (ad esempio la lettera di ringraziamento di Mazzini, pur sempre un fuorilegge, trovò in quegli anni l’occasione per ispezionare, sequestrare materiale, porre i sigilli anche alla biblioteca, controllando i passaggi alla porta della Lanterna e nel teatro Ristori), fino all’ obbligo - decretato dal Ministro G.Lanza e firmato dal Prefetto - di scioglimento del gruppo (17 maggio 1870).
Però V.Armirotti segretario, ed i consiglieri -Meronio Carlo, Rota Carlo, Roncallo Angelo, Morando GB, Botto Pietro, Grondona Giovanni, Morasso Nicola- si riorganizzarono immediatamente (21 maggio), cambiando nome anche se similare: “società Operaia Universale di Mutuo Soccorso di San Pier d’Arena”, ed adottando sia lo stesso statuto sociale precedente che le cariche dirigenziali. Questa scelta non venne accettata né dal questore né dal prefetto, ed ovviamente quindi osteggiata ulteriormente. La sede era sempre in via del Mercato 11, in palazzo Boccardo, con una rappresentativa in via C.Colombo (v San Pier d’Arena, civ.17 - casa Delucchi, a fianco del teatro Ristori, 4° piano). In contemporanea venne inaugurata la fabbrica di pasta alimentare (che nel 1890 vincerà diplomi d’onore, medaglia d’oro e d’argento alle varie Esposizioni nazionali)
Nel 1871 partecipò economicamente alla ristrutturazione dell’ospedale della villa Masnata, contribuendo con la grossa cifra di 200 lire; propose una cassa per gli inabili al lavoro, per le vedove e gli orfani dei lavoratori che si realizzerà solo nel 1876; iniziò ad interessarsi anche degli asili, organizzandone l’apertura e l’utilizzo; partecipò in primo piano al XII congresso delle Società operaie (delegato Valentino Armirotti); protestò con manifestazioni, contro gli imprenditori che cercavano maestranze all’estero.
Nel 1872, alla morte di Mazzini a Pisa (10 marzo), viene decretato lutto per un anno, e viene comperato un ritratto da porre nella sede. Venne aperto finalmente ma tra i primi in Italia, un Circolo Operaio Femminile.
Nel 1874 si inaugurò una lapide dedicata a Carlo Meronio, socio dirigente caduto combattendo con i garibaldini in Francia nel 1870. I soci sono mille ed il capitale raggione 88.600 lire.
Nel 1875 nasce la Cooperativa di Costruzione case popolari per i Meno Agiati. Estrazione /ruota) al Modena. 1700 i soci.
Nel 1876 venne istituita la prima cassa di quiescenza per gli inabili al lavoro, vedove ed orfani. Tutte iniziative che supplivano l’inettitudine del governo, e che anticipavano di molti decenni le assistenze ai lavoratori e suoi familiari .
Nel 1877 fu votato lo statuto definitivo.
Nel 1878 i soci erano saliti ad oltre 1500. Nel 1880 si schierò apertamente contro un attentato a Napoli contro re UmbertoI “considerando la sacralità della vita umana, sia del più umile che di un re“.
Nel 1882 200 soci (in primis i Botto, durante e dopo uno sciopero all’Ansaldo con licenziamenti; essi iniziano la fondazione della prima Cooperativa di produzione meccanica (soc.an. Cooperativa di Produzione, Officina Meccanica e Costruzioni Navali in San Pier d’Arena) che riuscì a fiorire dando lavoro a questi operai altrimenti disoccupati.
Nel 1883 ospitò nei locali, per le proprie riunioni, la S.M.S. dei carrettieri e mulattieri (già nata nel 1864). La Coop.Produzione si trasferì in via B.Agnese.
L’Associazione aderì al ‘Fascio della democrazia’.
Nel 1885 la Coop. Consumo ha 1700 soci, 117.000lire di capitale, un mulino, macchinari per pastificio, nove spacci.
Nell’ottobre 1886, col socio Valentino Armirotti eletto parlamentare (primo deputato italiano operaio; poi nel 1900 verrà anche P.Chiesa: la loro elezione sottolinea l’acquisizione di un potere degli operai), la società prese possesso della sede di via Mameli (via Carzino). Alla cerimonia furono presenti 82 associazioni consorelle (il terreno, ancora a prato era stato acquistato dai soci per 16mila lire; l’edificio non si sa da chi progettato, ed un poco più piccolo dell’attuale, ne costò il doppio nel preventivo ma il quadruplo alla fine. Fu uno sforzo immane, sostenuto praticamente da soli e con l’appoggio della cittadinanza tramite iniziative multiple).
Nel 1892, all’esposizione di Genova, ricevette una medaglia d’oro di merito sociale (entrate 40.900 lire; uscite 35.000 di cui 7300 lire per medicine e 15.000 lire per sussidi ad ammalati).
Nel 1898 divenne Ente Morale, legalmente riconosciuto. (nel “titolo I” dello statuto societario è scritto che l’associazione fu disciolta una seconda volta nel 1898 : penso sia un errore di data riferendosi al 1870).
Nel 1899 il 29 aprile, l’Associazione fu legalmente riconosciuta con decreto prefettizio e dal Tribunale di Genova (registrata alla Cancelleria del tribunale il 17 mag.1899 con n.ordine 788, trascrizione n.513, società n.1708, fascicolo n. 3059). La SMS diede ospitalità al Partito Repubblicano Italiano, ed alla Camera del Lavoro.
Il PNF: vedi a Fascio (Secondo fascio d’Italia).
Il maturare e degenerare delle nuove ideologie politiche contrapposte, determinò che il commissario prefettizio dettò leggi restrittive relegando l’attività sociale di tutte le SMS al minimo vitale, in poche sale, obbligando l’Universale all’ultimo piano, diffidandola dallo svolgere attività o iniziative.
Forse fu lassù che nacque il Teatro del club ‘Ritrovo sociale’ inaugurato nel 1924 (si sa solo che fu “un grazioso teatrino” collocato nella sala del vecchio club. L’inaugurazione viene tenuta dalla compagnia dell’attore Riccardo Pittaluga che vi rappresenta la commedia farsesca dialettale di Davide Castelli ‘o testamento do scio Lumetti’).
Nel maggio 1926 il Duce venne a San Pier d’Arena per visitare sia l’Ansaldo che questa sede del PNF sampierdarenese, qui alloggiatosi dopo essere stato nella vecchia ‘stalla’. Aumentati di numero e ringalluzziti, come temuto, il 30 novembre di quell’anno le stanze dell’Universale furono occupate dalle squadre nere. Ben presto a livello nazionale furono varate leggi specifiche che legalizzarono il gesto determinando lo scioglimento obbligato di tutte le associazioni ed organizzazioni, riunendole in strutture del partito e cambiando loro nome.
Impossessati della palazzina e corrispondendo al IV° anno della rivoluzione delle Camicie nere, dopo il discorso del gerarca vice segretario del partito prof. Arturo Marpicati, venne celebrata la distruzione - tramite defenestrazione e rogo - degli incartamenti, arredi generici, biblioteca, busti di maestri di vita repubblicani, di due arazzi - questi segretamente ricuperati ed ora ospitati nella scuola del Monastero - e degli stemmi e bandiere conservati nella sede.
Un socio, Federico Piccone (1882-1963-vedere Gazz.SPd’A 12/90.8), divenuto - da giovane barbiere - un apprezzato artista e maestro di disegno nella ‘scuola di perfezionamento per i lavoratori’, avendo vissuto quegli anni, riuscì a salvare parte delle memorie che gli permisero di ricostruire la storia dell’associazione e la biblioteca.
la casa Littorio com’è ora – a destra la torre della Croce d’Oro
Subito iniziarono gli studi preparatori della ristrutturazione; seguiti dai lavori veri e propri (su progetto e direzione dell’arch. Raffaele Bruno, la soc. Stura la sopraelevò in cemento armato di due piani e modificò la torre (ebbe la sostanziale sopraelevazione di 8-10m. sino all’apice della torretta, una campana (come in uso per tutte le case Littorio, e da rotonda e merlata divenne quella attuale). Nell’interno, con decorazioni curate dai pittori Antonio Canepa ed Ernesto Massiglio; sul muro della casa fu incisa la frase “nel dodicesimo anno della rivoluzione delle camicie Nere. Chi è col popolo è con il Duce”.
Fu battezzata il 4 novembre 1933, anniversario della Vittoria, come casa del Partito Nazionale Fascista e sede del “secondo Fascio d’Italia” dedicandola al fratello del Duce, Arnaldo Mussolini. Ufficialmente la sede venne chiamata “Casa Littoria” (così diceva la grossa scritta posta tra il 3° e 4° piano all’esterno sulla facciata a mare; e sulla base semicircolare della torre- venne riproposto il motto mussoliniano “credere, obbedire, combattere” con al centro, il volto di Arnaldo, opera dello scultore Ruggieri. L’interno (con riscaldamento, illuminazione elettrica e servizi igienici) vedeva a piano terra la casa del custode, il bar-caffè, 5 locali per l’Opera Nazionale Dopolavoro ed infine aperte anche in via Mameli gli uffici con sale d’attesa per le Commissioni Assistenziali. Al primo piano il grande salone preceduto dagli uffici rilasciati alla Società Universale (era previsto nella programmazione iniziale la concessione di questi spazi all’Universale, ma alla inaugurazione evidentemente il progetto era già mutato, relegando i repubblicani tra gli avversari politici). Si scfrive che qui insegnavano musica la famiglia Gasparini (vedi in via Mameli)
Al secondo piano fu demolito il tetto a padiglione dando più spazio aereo al salone sottostante fatto in ceramica; nelle stanzette dell’intermedio furono collocati gli uffici dell’Associazione calcio Sampierdarenese, mentre al secondo piano facente parte della sopraelevazione alloggiarono gli uffici del gruppo Fascista A.Mussolini (del fiduciario, segreteria politica ed amministrativa, fascio femminile, cultura, biblioteca, stampa e sala riunione). Al terzo piano il Fascio Giovanile di combattimento, Artigianato, milizia, madri e vedove dei caduti in guerra, ufficiali in congedo ed associazioni reduci. Nell’interno della torre la scala per accedere ai piano e sulla sommità una campana battezzata ‘Vittoria’ e che aveva inciso la frase “il mio bronzo freme di amor di patria – l’eco possente dei miei rintocchi -. si diffonderà negli spazi lontani per celebrare – le glorie del fascismo . suscitare la solidarietà e la fede – affermare nel nome del duce la potenza invincibile – XXIX ottobre MCMXXXIII . Anno XII era fascista”.
Non è precisata la data, ma è probabile dopo queste ristrutturazioni, che l’immobile appare vincolato e tutelato dalla Soprintendenza per i beni architettonici della Liguria, come “ex Casa del Popolo ora sede Ass.ne SOMS Mazzini”).
Hockey - La sera del 24 nov. 1936 nella Casa Littoria, dalla Federazione Ligure di hockey (dipendente dalla nazionale, associtata al Pattinaggio a Rotelle) fu presentato a dei giovani sampierdarenesi un tecnico svizzero di hockey (Kurt Reber, ex giocatore del Zuricher He), determinando la nascita del primo gruppo genovese di detto sport (previsto per le Olimpiadi del 1940, con Roma candidata). Sono ricordati perché molti divenuti nazionali: Franco Adorno, Stefano Baschieri, Alberto e Remo Beltrandi, Cipriano Cuneo, Umberto Dondero, Franco Neumaier, Pier Vittorio Pampuro, Filippo Vado, Giovanni Zanelotti (1910-1993) Era stato fiduciario della stessa FGC sampierdarenese divenendo campione d'Italia nel 1938, e vincendo col GUF Genova il primo scudetto della storia dell'hockey su prato italiano. Divenne medico a SPdA, descritto ‘fascistissimo’ perché si era fatto -come volontario- la guerra di Spagna a fianco dei falangisti di Franco; nel 1945 ebbe guai di ritorsione, superati sia per la professione, sia per conoscenze, sia per aver saputo far intendere ‘essere sceso dal treno’ nel momento giusto. Negli anni 50-70 era molto noto sia per l’alto numero di mutuati, sia per il carattere brusco ed autoritario, e sia per una non nascosta ‘disinvoltura’ nel fare comparaggio); allenamenti bisettimanali; incontri casalinghi nel campo in terra battuta della Centrale Latte di Teglia (soprannominato Cajenna come il bagno penale nella Guaiana; terreno che era stato utilizzato anche come aeroporto). In ottobre furono inquadrati nel GUF di Genova (il ‘malocchio’ verso ciò che era della ‘perfida albione’, fu superato sia grazie all'autarchia di Starace per la quale, sui giornali l'hockey divenne «óchei»; eppoi ai programmi del regime: dopo le Olimpiadi di Berlino del '36, era stata proposta Roma quale sede per i Giochi del 1940 (e apposta si realizzò il quartiere dell'EUR), e –di conseguenza- si voleva che l'Italia partecipasse in tutte le discipline sportive; il regime spinse le Federazioni regionali a dare incremento anche all'hockey su prato, che da noi non aveva tradizione, a chiamare dall'estero degli istruttori; così nacquero le prime squadre e i primi campionati. Poi, in realtà, le Olimpiadi vennero assegnate a Tokio, e il sopravvenire della guerra ne impedì l'allestimento e lo svolgimento: ma questa è un'altra storia).
Alla fine del secondo conflitto mondiale 1940-45 (atto di nascita il 1 luglio 1944) divenne anche sede di un comando militare delle “brigate nere” e di un circolo politico fascista (i due corpi politico-militari della RSI erano la GNR e le B.N.).
Da loro, la sede di via Carzino (un’altra, era a Pegli) fu attrezzata anche come carcere per primari interrogatori e detenzione di prigionieri e da essa partivano per fare rastrellamenti, perquisizioni e gratuite e tracotantri violenze sugli inermi: l’abuso di potere, la malvagità, e soprattutto la violenza cresciuta a spirale inarrestabile, resero quelle celle di detenzione tristemente famose perché si arrivò quale estremo di perversione alla tortura fisica e morale. Alla guida di Franchi e Criscuolo (temuti e crudeli personaggi, si distinsero per ferocia contro i prigionieri specie quelli politici, per carpire informazioni; i due –a fine guerra- furono giudicati, Pastorino P scrive “in sede idonea” ove furono condannati a morte da un tribunale per crimini di guerra, e fucilati). Gli interrogatori si concludevano con il trasferimento alla sez.IV di Marassi in mano alle SS con destinazione deportazione o fucilazione. Tra i tanti malcapitati portati in questa sede, ricordiamo Giuseppe Spataro, Ernesto Jursé, Giuseppe Malinverni. Per fortuna, a lenire le loro sofferenze, il capitano medico riconosciuto ufficialmente in quella caserma dalle BB.NN. era il dottor Lambò Giuliano (infiltrato, perché in realtà combattente antifascista, collegato con il PCI e con gli agenti dell’Intelligence Service inglese, chiamato in codice ‘Isacco 313’).
Le B.Nere di Genova, costituitesi anch’esse nel 1944 con 460 iscritti (divenuti in un anno 1018) furono comandate da Livio Faloppa (riuscì a fuggire all’estero); con vice Spiotta Umberto (a Chiavari- fucilato nel 1946); e Benedetto Franchi (39enne comandante la compagnia di Sampierdarena-fucilato il 30 gen.1946). Avevano la titolazione ad un loro martire Silvio Parodi (alto ufficiale delle GNR, morto a Savignone in un agguato nello stesso anno). Portavano la divisa col distintivo del teschio.
Il 23 aprile 1945 furono ritirate verso nord, in colonna dalla Camionale intercettata nel decorso a Valenza dai partigiani. Molte BN, specie anziani, non capirono la gravità della situazione e rimasero in città pensando non essersi gravemente compromessi, ma vennero coinvolti nel ciclo delle vendette (punire i fascisti che potevano sfuggire alle sanzioni dei tribunali) e della guerra civile (che durarono anche fino al 1947).
Solo il 24 apr.1945, l’associazione rientrò in possesso dei locali, assumendo il definitivo nome di “Associazione Operaia Universale G.Mazzini, Società di mutuo soccorso e di cultura popolare”, inserendo il nome di Mazzini quale primo socio onorario, e col proposito di proseguirne il sacro apostolato, per il miglioramento dell’Uomo e per l’educazione dell’Umanità (coerentemente in quegli anni di ripresa sociale, fu data ospitalità al PRI, all’APP (assoc.perseguitati politici), all’AR (associazione reduci), al circolo Risorgimento Musicale, al Risveglio (circolo mandolinistico), l’Università Popolare); in contemporanea fu battezzata la nuova bandiera sociale.
Dal 1996 è iscritta al registro regionale delle associazioni che operano in campo della mutualità e della solidarietà sociale, con decreto del Presidente della Giunta regionale. Lo scopo è la realizzazione del fondamentale binomio “Pensiero e Azione”, con iniziative prestanti assistenza ai Soci; si promuovono iniziative culturali, artistiche e sportive; si ospitò RS1 (radio Sampierdarena); si trasformò la sala al primo piano in palestra per scuola danza, sempre cementando e diffondendo l’amore della Patria e dell’Umanità ed attendendo ai problemi dei cittadini .
nel 1991 un’altra lapide fu affissa sui muri a memoria e monito contro la violenza : “140° ANNIVERSARIO DELLA S.O.M.S. UNIVERSALE - SU QUESTI MURI - VOLUTI DAL POPOLO PER IL POPOLO - TESTIMONANZA DI SOLIDARIETA’ - UNIVERSALE CHE UN REGIME - FOLLE TRASFORMO’ IN PRIGIONE - OGGI CHE ALFINE CROLLANO IN EUROPA - LE FORZE DELLA TIRANNIA - FISSIAMO QUESTO MARMO -PER RICORDARE QUANTI COMBATTERONO - E MORIRONO IN NOME DELLA LIBERTA’ - E PER SALUTARE L’AVVERARSI - DEL VATICINIO DI GIUSEPPE MAZZINI - 1851 - 1991“. Il 28 gennaio 1998, all’esterno fu posta una targhetta indicante “proprietà SOMS Universale G.Mazzini”; e
Tra gli iscritti di particolare rilievo, ritroviamo quali soci “ad onorem “ (le persone che per la loro cultura e le loro opere arricchiscono il patrimonio ideale dell’Umanità) sia G.Mazzini che G.Garibaldi, V. Armirotti (primo deputato-operaio al Parlamento italiano), N.Barabino ( dapprima iscritto come socio ordinario, ed allora era ‘o Nicolin’, fu poi eletto a socio onorario quando -17 apr.1861- la sua fama iniziò ad essere di livello nazionale, e divenuto ‘o sciü Nicolin’ ; nel 1887 il pittore, affidò donandolo alla società (facendolo pervenire per posta da Firenze) lo storico dipinto-allegorico della ‘Libertà’ , rappresentato da un volto femminile cinto di foglie di quercia (notevole fu l’iniziale delusione, alla vista di quella grande testa forse …enorme, con un naso sproporzionato che divenne simbolo nei detti popolari nei confronti di chi aveva l’appendice anche solo un po’ fuori misura) ; egli stesso volle completarlo e collocarlo nella sala ove pensava nessuno avrebbe mai più osato spostarlo, essendo emblema-messaggio dell’ideale dell’associazione, proponente che solo attraverso il rispetto della libertà altrui, si può esigere la propria. L’idea fu disattesa quando “la allegoria della Libertas” fu rimossa dal salone per essere relegata in una stanza più modesta, pur restando simbolo del patrimonio culturale, sociale e spirituale della città di Sampierdarena. Ovviamente dopo la guerra ha ripreso il suo posto nel grande salone, ora adibito a palestra e scuola di danza); e non dimenticando Carlo Rota, Dante G.Storace, A.Carzino.
Nell’interno, si trovano gli uffici dell’Associazione, un bar, la biblioteca ricca di un migliaio di volumi, e la sede di una radio locale (R.S.1 ovvero Radio Sampierdarena Uno ricevuta sul canale FM-100,450 mghrz. Unici a trasmettere tra loro erano i radioamatori. Quando sul mercato nacquero i CB (citizen band, ricetrasmittenti a basa frequenza; erano vietati, ma la polizia non se ne curò purché non invadessero la loro banda; le radio libere dal dic. 1975 in pochi mesi divennero oltre 2600, occupando le varie frequenze senza regole e senza riverenze), su iniziativa di alcuni giovani (Bellico Mauro, DellaDucata Francesco, Gregianin Enrico, Savio Antonio e Savio Giovanni, più un sesto rimasto anonimo, coordinati da Rino Baselica, Danieli Angelo e Vallebuona Renzo) nacque la nostra, nel lontano 1976 circa, al Morgavi di Belvedere e poi trasferita in via Carzino nel 1978; le trasmissioni ascoltate regolarmente dagli entusiasti 150 ed oltre sostenitori, prevedevano musica (canzoni genovesi; dal jazz alla sinfonica), parlate dialettali (Pingas ovvero il Giuseppe che andava nelle case a leggere i contatori del gas), religione (don Walter), telefonate, dibattiti e dialoghi locali con sapidi “ciaeti”; nel 1987 avvenne una scissione con mantenimento di RS1 (gestita da Olivari, ma che chiuse fallendo nel 1990 circa), e con la nascita di Radio Lanterna City gestita da Rino Baselica, trasferita in via Gioberti sino al 2005, capace di trasmettere da Savona a Nervi usando un vecchio mixer degli anni '70. Veniva chiamata "indipendente" perché nel frattempo e per necessità di automantenersi oltre il volontariato, erano nate le radio private fino alla nascita dei network nazionali che fagocitarono le radio più piccole. Citiamo alcuni nomi conosciuti, di quelli che conducevano i programmi: Marco Terreni, Lucio D’Atri, Alba Olmi, Giannetto D’Oria, “Giuan do Porto”, Giuliana Barzaghi, Mauro Litterini, Paola Conti, Francesca Frixione, Roberta Paita, “zia Milvia”, Felice Girolamo, e -per ultimo- Claudio Gambaro.
Al primo piano il “salotto Universale”. Per perseguire il programma educativo, una attività organizzata iniziò dopo una ristrutturazione eseguita nel 1978, per iniziativa dell’attore Mario De Martini (compagnia teatrale), del regista Mino Ventura, e di Germana Venanzini (gruppo teatro genovese moderno) con rappresentazioni di commedie dialettali, cabaret, musica e teatro popolare; attivissimo negli anni 1980f u istituito un “Premio Letterario” (comprendente poesia, poesia dialettale, teatro dialettale, narrativa per ragazzi). Attualmente viene utilizzata come sala di scuola di danza.
===Civ.2Ar: nel Pagano 1950 si segnala la sede del grossista di medicinali Gallareto Pierino—all’interno 12 la “Frugone Ant. (dadi Wuhrer)”.
===Civ 2Br: A piano terra c’è una palestra dove si esercita la ‘thay (=da Tailandia, significa libero) box’, chiamato Tiger Kick Boxing. In origine chiamata Moai Tai (antichissima arte del combattimento a corta distanza, in cui si arriva subito al corpo a corpo; praticabile già dall’età di 4 anni e mezzo. In Italia c’è dal 1988 portata dal maestro Moïse plurimondiale del karate. La scuola sampierdarenese si è sempre imposta in campo nazionale, europeo ed internazionale, riportando per più anni (1999-00-01) il titolo mondiale.
===civ.3: prima della costruzione del palazzo, esisteva un prato dove frequentemente si fermavano i ‘baracconi’. Fu nel 1914 circa, che l’impresa Capello diede inizio alla costruzione del palazzo; ma arrivati a fine del 1915, con l’esterno completato (ricche decorazioni liberty sulla facciata e nel portone protomi femminili, floreali, in un cartiglio sovrastante il portone è inciso l’anno in cui fu finito: 1920) l’Autorità Militare requisì lo stabile non finito (ancora grezzo, senza porte né finestre, per adibirlo a caserma). Non specificato quando ma si presume appena finita la guerra, fu sgomberato dall’Esercito e poté essere completato negli interni. Sconosciuto il nome dell’architetto. Lo stemma con la scritta F.C.*** rappresenta probabilmente la sigla dell’imprenditore Capello che finanziò la costruzione.
Durante l’ultimo evento bellico, nel piano terra del palazzo, sostavano gli uomini dell’UNPA, con patetici secchielli di sabbia, maschere antigas e lanterne antioscuramento.
===civ. 4: nel giorno 1 maggio 1930 vi aprì la sede di spedizioniere il 34enne Macor. Inizialmente una piccola azienda, la ‘Placido Macor & C.‘ è divenuta nel tempo una tra le cinque più attive nello scalo genovese. A conduzione familiare, dai tempi dei carretti trainati da cavalli ai moderni elaboratori elettronici, sempre con modestia e specializzazione, a dimostrazione di lavoro serio, intenso e professionale. Nel 1980 il titolare fu nominato cavaliere al merito della Repubblica.
===civ.5-1 nel 1950 aveva sede una ditta Cavalli Umberto di materiali metallici
===civ. 7: all’angolo con via Daste, in piena zona Mercato, c’era sino al 1920-21 la casa della Provvidenza, di don Daste: la sua vocazione sacerdotale era iniziata più tardi del solito, ma quella assistenziale delle fanciulle orfane e sole nacque quando nel 1867 madre Angela Massa delle suore Franzoniane, dovendosi trasferire in altra sede, lasciò al prete l’incarico di assistere dodici ragazze che lei aveva sottratto alla strada per fornir loro assistenza ed educazione. Da una sede provvisoria in via san Bartolomeo, trasferita poi in via Goito (via A.Albini), poi in piazza Bove (via V.Alfieri), finalmente era arrivato in via Mameli (via Carzino). Con l’assunzione del gravoso incarico, era comune vedere per la città il prete che girava per raccogliere tutto quello che poteva servire, dalle sedie, alla legna per il fuoco, dal cibo alle elemosine dei più sensibili.
Un giorno, il principe Centurione, proprietario dell’immobile, sfidò la Provvidenza -’stampella del prete’- offrendogli a prezzo assai vantaggioso la possibilità di non essere più sfrattato e di poter acquisire per le ragazze una sede stabile. Gradatamente, con l’aiuto della amministrazione comunale (per primi i sindaci Dall’Orso Pietro e Federico Malfettani ai quali il sacerdote si rivolse dal 1887 affinché elargissero un aumento del sussidio (in atto dal 1871) ed eliminassero la spesa obbligatoria del dazio per introdurre i cibi necessari al pio istituto; nonché il pittore Carlo Orgero assessore (che per primo lo chiamò “l’uomo più grande di San Pier d’Arena”) e di privati (di spicco ricordiamo V.Armirotti, allora già deputato, fece incontrare il sacerdote con il re UmbertoI nel 1892 all’esposizione per il centenario colombiano, quando le orfanelle erano arrivate a 87, facendogli così ricevere un importante contributo dal re stesso; ed il comm.Bombrini, divenuto provvido sostenitore dell’istituto) il prete poté inaugurare nel 1878 la sua “casa della Providenza”, suscitando l’affetto e l’ammirazione di tutti quelli che lo contattavano, creandosi un’aura di semplicità, benevolenza, mitezza, ma enorme forza d’animo.
Non potendo gestire da solo il complesso istituzionale, il prete si fece affiancare da alcune suore, che assunsero il nome di “Figlie della piccola casa della divina Provvidenza”. Ovviamente nella casa esisteva un locale adibito a ‘cappella privata, a solo comodo e conforto delle ricoverate’
Dopo la morte di don Daste avvenuta il 7 feb.1899, fu deciso dall’Amministrazione comunale accettare una lapide che si vede tutt’ora sopra il portone, regalata da un comitato di cittadini (descritta in via G.Mameli).
Questa casa restò attiva sino al 1920, quando - sia per l’aumento delle ragazze: nel 1925 erano 150 - sia per vantaggiosa offerta - il complesso si trasferì nel palazzo Serra-Doria, in salita Belvedere civ.2, ove tutt’ora sono. L’edificio - in rappiorto all’assenso cncesso per applicare la lapide sulla facciata – si presume divenne proprietà delle signore Clotilde Pavan, Apollinia Dellepiane, Maria Dellepiane, Maria Morasso quali comproprietariedello stabile.
Della statua della Madonna, posta in una nicchia nell’angolo smussato della casa – angolo Daste-Carzino - non ho notizie; la sua presenza è segnalata dal Remondini nel 1882: poco si intravede attraverso un vetro ed una grata, per risalire almeno ad una dedica. Sembra una Madonna Addolorata. Si narra sia una statua scolpita per un paese dell’entroterra e da loro rifiutata considerandola mal scolpita: ricuperata dal prete fu posta a protezione della sua casa.
Il palazzo fu ristrutturato ad appartamenti privati, salvo una parte occupata dal ‘Circolo cattolico G.Borsi’ (non sono sicuro si tratti di Giosuè Borsi, Livornese 1888-1915, scrittore ed autore di opere narrative testimonianti una sofferta conversione religiosa, le più pubblicate dopo la sua morte in guerra) che per lungo tempo usò per la propria sede e per un teatrino da recite filodrammatiche domenicali di attori locali.
===civ. 8 fu finanziato a fine 1800 e poi abitato – all’inizio per intero stabile - dal comandante Cipollina Giuseppe nato 1853 (prima stava nel ‘palazzo dell’Orologio’), grande navigatore, uno dei primi a capitanare una nave a vapore (la ‘san Gottardo’) dopo secoli di sola vela. La fortuna economica, raccolta in avventurosi viaggi, passò alle due figlie e via via si disperse con i nipoti. Oggi ogni famiglia che abita l’edificio, forse nessuno ha rapporti con il comandante (ultima, lontana parente, è stata la signora Cordano Ester, abitante all’ultimo piano fino al 2005 circa).
===civ. 17r i Pittaluga Giovanni & Giuseppe si interessavano di pianoforti negli anni 1950.
===civ. 19r dal 2000 è l’entrata autonoma dell’albergo Modena. Da tanti anni si accedeva tramite l’affiancato portone civ. 3
===civ. 24r la farmacia Popolare Sociale. Compare per la prima volta nel Pagano 1919, in via Mameli al civ.8 e col nome “alla Cooperazione” (il nome, e la vicinanaza dell’US Universale fanno pensare che -come i forni e negozi alimentari, la banca, le case popolari, le sedi sportive-, fosse una dei tanti settori delle cooperative degli operai). Nel 1933 compare sempre eguale, facente da recapito ai medici dott. Gandolfo Peone (poi sindaco socialista negli anni 1908-15), Gandolfo Nicolò, Lanza Sebastiano, Bonanni Carlo (assessore comunale), Roncagliolo Italo, Steneri Giovanni (ginecologo). Solo nel Pagano 1953 (ma mi manca il controllo dei precedenti: probabilmente da dopo la guerra), compare il nome come l’attuale, in via Carzino, 26. Gli ultimi proprietari furono i dottori Roncagliolo; Belletti (o Balletto) Luciano; dal periodo dopoguerra Rigacci Laura, e dal 1969 l’attuale Prato Giulio dal quale è passata alla figlia.
=== civ. 7-11r*** l’ex cinema Alessandro Volta inaugurato nel 1909 (altri scrive 1914). Molto piccolo, aperto solo alcuni giorni alla settimana (giovedi, sabato e domenica) fu ospitato in un palazzotto costruito apposta come cinema forse ma molto probabile, nel posto ove ora sta la sala da ballo.
Pare sia rimasto aperto sino al 1917 quando per volere di Stefano Pittaluga pioniere del cinema italiano con stabilimento anche a Torino -allora la prima mecca della nuova arte, sorse nuovo, nell’area attuale delledificio, usando lo spazio a fianco del primitivo (che sino ai primi anni del 1800 era stata proprietà e giardino dei Centurione della villa del Monastero, e che veniva usata come giardino). Il nuovo edificio, che in quegli anni il Pittaluga possedeva in comunione con un certo Molinari, eretto su progetto di A.Spinola, fu caratterizzato da una tipologia architettonica definibile ‘eclettica’ (perché caratterizzata da un post-liberty strano, modificato, ed aggiornato ai tempi della costruzione; aveva pavimento in graniglia alla veneziana).
La sala fu poi ristrutturata, con strutture portanti in cemento armato e tetto calpestabile; ingrandita, migliorata a teatro, e chiamata come la strada che lo ospitava ‘cinema Mameli’ definito grazioso, con un bel vestibolo, senza alcun segno d’arte escluso sulla facciata esterna ove erano ai lati due ‘evanescenti scolpite figure muliebri’; come teatro, ospitò compagnie di rivista famose, quali vengono ricordate anteguerra di Petrolini e Bambi. Tale rimase negli anni del dopoguerra 40-45 , con rappresentazioni di avanspettacolo (personalmente ricordo solo Rascel e Dapporto, ma tanti altri devono aver calcato quelle scene), fino a quando divenne nel 1961 il “cinema Astoria“. Rimodernato del 1974, in cui fu tolto il palcoscenico, nel 1989 –di proprietà Pozzo e Calcagno, fu gestito da Renzo Calcagno; classificato di seconda categoria; con 740 posti a sedere, dei quali 580 in platea e 160 in galleria; poltroncine in legno e rivestimento in sky; impianto monofonico; aspiratore; proiettore da 35mm.
Infine dal 1990 circa ad ora, è sede di un supermercato.
=== 13r : nei fondi del cinema è ospitata una sala che inizialmente venne usata quale ‘accademia di biliardo Diana’; poi fu trasformata nella discoteca ‘Boomerang’ prevalentemente indirizzata ai giovani; dal 1990 col nome ‘il Coccodrillo’ vi viene suonata sempre ad indirizzo giovanile musica che spazia dal reggae ed afro, alla sud americana, al rock. Prima del 2000 la discoteca si chiamava ‘Fabrika’ il cui nome scritto trasgressivo la dice sul fatto che il locale era meta frequente della polizia per risse ed anche accoltellamenti. In quell’anno cambiò gestione divenendo ‘il Tempio’ nome che ha sostituito il precedente anche puntando su balli moderati come il liscio e sulla presenza dei giovanissimi. A luglio 2002 sopra l’ingresso è il nome ‘VIRGO’, che tutto dice sulle intenzioni parrocchiali degli attuali imprenditori.
===33r nel periodo dopoguerra ’45, vi era il negozio “Foto Impero”, tel. 43 321, sviluppo, stampa, ingrandimenti.
DEDICATA al partigiano sampierdarenese nato l’11 ott.1899, anno reso famoso perchè ultima leva di richiamo militare nella grande guerra. Fin da giovanissimo fu iscritto al partito repubblicano e, quando subentrò il fascismo ne divenne immediato acerrimo nemico, iniziando con propaganda e cospirazione (sia quando era operaio alla SIAC (a Campi), che poi quando alla FIAT a Torino, ove faceva parte nel periodo bellico del lug.1943 della commissione interna). Dopo l’8 settembre, scelse far parte delle SAP, divenendo prezioso elemento nell’organizzazione della 4.a brigata Mazzini. Individuato per delazione, dovette fuggire in montagna, ove divenne attivo col nome di battaglia “Milio”, dapprima nelle Langhe e successivamente nella VI zona, controllata dalla brigata garibaldina Cichero.
Durante un rastrellamento nella Fontanabuona compiuta dalla Wehrmacht e dagli alpini della Monterosa, in località Centonoci, vicino a Favale di Màlvaro (Ge), venne colpito mortalmente il 22 dic.1944 assieme ad altri 5 partigiani, mentre tentò una sortita da un casone dove si erano trovati circondati (un sesto compagno fu solo ferito).
Gli fu conferita la medaglia di bronzo al V.M., alla memoria.
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CASSINI via Gian
Domenico Cassini
TARGHE:
via Gian Domenico Cassini – astronomo – 1625-1712 – già via Manin
angolo piazza N.Barabino
angolo via L.Dottesio
QUARTIERE ANTICO: Coscia
da MVinzoni, 1757. In giallo la Fortezza; rosso villa del
duca Spinola
N° IMMATRICOLAZIONE: 2747 CATEGORIA 2
Dal Pagano/1961 Da Google Earth 2007
CODICE INFORMATICO DELLA STRADA - n°: 13900
UNITÀ URBAMISTICA: 18 - s.BARTOLOMEO
CAP: 16149
PARROCCHIA: s.Maria delle Grazie
STORIA: non si conosce perché all’origine si chiamasse “crosa delle Catene“; ma poiché tutta la zona fino al 1850 costituiva un quartiere (o ‘regione’) pure lui chiamato ‘Catene’ (confinante ad est con quello della Coscia ed a ovest con quello di Crosa Larga; e compreso tra il fossato della Crocetta di N.S.della Vista ed il fossato di san Bartolomeo), si può pensare che ambedue traessero il nome dallo stesso motivo. Unica interpretazione è desunta dall’esistenza della villa Spinola san Pietro, che fu costruita al di sopra della strada principale (allora detta semplicemente ‘comunale’, oggi via L.Dottesio) sulla quale si apriva con un bel giardino antistante ed un grosso portale; ma la proprietà terriera si estendeva prevalentemente oltre la strada, sino al mare. Questo vasto appezzamento di terreno, possedeva al centro una strada diritta che arrivava appunto sino alla spiaggia; e per impedire che questa stradina fosse di pubblico uso, soprattutto il transito dei carri di privati - essendo coltivata ad orti, vigneti e frutteti di prima qualità -, fu chiusa agli estremi con una catena. Evidentemente - nella fantasia popolare - faceva più notizia la presenza di questo sbarramento che la suntuosa villa soprastante.
Potrebbe essere legato al nome di una famiglia Catena (come: via Bombrini o Ballaydier o DeMarini), ma appare improbabile visto che anche W.Piastra.pag.135 del Dizionario Biografico non ne cita alcuna ligure con questo nome; non so dove Gri1lo-pag.309 l’abbia trovata per includerla nei nomi di persona.
Nel 1843, alla pianificazione della ferrovia che avrebbe tagliato trasversalmente tutti gli orti, i terreni degli Spinola cambiarono proprietario; rispetto la stradina centrale: quelli a ponente (estesi sino al fossato della Crocetta di N.S. della Vista) appaiono dei fratelli Derchi fu Antonio (sig. Giuseppe e sac. Emanuele, con un pozzo e la casa (o baracca) di Casanova Francesco al limite verso il mare); quelli a levante (sino al confine con la proprietà dei march. f.lli Pallavicino fu Domenico) di proprietà delle sig.re Gioannina Cambiaso e Geronima Carlotta sposata con l’avv. Cambiaso Carlo.
In contemporanea - l’apertura della piazza N.Barabino - le mozzò il tratto finale verso il mare.
Alla fine 1800-inizi 1900, venduti gli orti, la stradina appare già divenuta autonoma ed edificata con case erette nei bordi degli ex orti. Le venne dato dal Comune un nome ufficiale, dedicandola al patriota veneziano, ma non come via, ma come “piazza Manin, da via Vittorio Emanuele“ (ma probabilmente però potrebbe essere un errore del Novella); vi avevano casa dei Danovaro, Pittaluga, Timone, Carbone, Sanguineti, Bertorello (con ‘magazzeno scoperto’), G.De Andreis e Giacomo Casanova (forse figlio del Francesco su descritto; vedi anche sotto).
Un “Piano d’ornato e di abbellimento del paese”, quale primitivo tentativo di Piano Regolatore stilato dall’arch. Angelo Scaniglia durante l’amministrazione GB Tubino nel 1852 circa, fu messo in atto trent’anni dopo. Quindi nel 1880 circa, tra le altre cose, fu ampliata questa strada che –popolarmente- veniva chiamata anche “strada NS della Vista” in quanto conduceva alla cappelletta omonima (vedi via Dottesio)
Nel 1910 divenne (o lo era già da prima ma non in forma ufficiale) via Manin, e possedeva civici fino al 4 e 9.
Divenne invece “via Daniele Manin” nel 1933 (quando via Dottesio era ancora via De Marini) .
Fu cambiata la titolazione nel nome attuale con delibera del podestà, il 19 ago.1935, trovandosi p.za Manin ora a Castelletto, nel riordinamento delle vie della Grande Genova , onde evitare doppioni.
Il Pagano/40 descrive: ‘da piazza N.Barabino a via Dottesio’; al 6 nero la SAG De Andreis G. casanova, lavor. Latta’; nei rossi al 15 la farmacia Bassano ed al 28 Montecuicco G. vini.
STRUTTURA: strada comunale carrabile, senso unico viario da via L.Dottesio a piazza N.Barabino compreso il sottopasso ferroviario.
Civici neri fino al 5 ed il 10; rossi fino al 27 e 26. Lunga 100,96 metri, larga 4,45; ha due marciapiedi larghi 1,37.
È servita dall’acquedotto DeFerrari Galliera
2007= NERI = da 1 a 5
2 10 (mancano 2 e 6)
ROSSI = da 1 a 27 (compresi 1A→D, 3ABC, 5A,7A,9A)
2 30 (compresi 12 da A→F e N)
===civ.1: Nel 1950 vi aveva sede la ‘I.E.G.’ imprese elettriche generali, produttrice e distributrice di elettricità. Fu demolito nel 1953 e ricostruito nello stesso anno
===civ. 2 e 6: furono soppressi nel febb.1970, perché demoliti.
===civ.3 anche esso, decorato a mascheroni dello stile tardi liberty, dava adito a qualche fabbrica, visto le finestre tipiche dell’uso, al primo piano. Ora è adibito ad abitazioni. In tutta la facciata, sono due accessi affiancati che furono decorati con mascheroni e decorazioni, riuniti sotto una figura geometrica semiellittica: depongono per una costruzione dell’inizio secolo 1900. La decorazione però non ha nessun’altra attinenza con la restante facciata, lasciando presupporre o una personalizzata diversificazione di un negozio; o un portone decorato dopo da solo, in edificio abitativo inizialmente ideato con due portoni; o un edificio completato posteriormente ma rimasto senza i mezzi finanziari per completare la decorazione.
civ. 3 la facciata del palazzo De Andreis con scritta
===civ. 5 al primo piano erano ambulatori medici, di proprietà – dal 1970, comprati da Giuseppina Bertorello- della farmacia Bassano.
===Al 6 abitavano (vedi sopra) ed avevano sede la “soc.an. Esercizio stabilimenti riuniti DeAndreis-Casanova” fabbrica, lavorazione e litografia della latta per inscatolamento e conservazione di pesci e conserve alimentari. Alla prima esposizione internazionale realizzata in Italia, a Milano nel 1906 (in occasione dell’apertura della galleria del Sempione), l’azienda DeAndreis fu presente nel padiglione San Pier d’Arena: ebbe onori e particolare attenzione per lo stile geniale della sua arte litografica, dai colori vivaci e disegni di stile liberty riportati sia sulla latta che su barattoli portamercanzie. Nel 1933 era ancora una delle 12 esistenti in città ma con produzione cos’ dimunuita che fu costretta quasi a chiudere; comunque nel 1950 era una delle 13 ancora presente sul mercato. Lo stabilimento rimane dietro –a ponente- la fila di case che aggettano sulla strada, e nel 2005 appare ben ristrutturato: alto 5 piani, con conservate due ciminiere e con –sulla facciata- la grossa insegna in muratura). I De Andreis abitavano in via G.Carducci (poi A.Cantore ove oggi il civ. 11) nell’angolo con via s.Bartolomeo del Fossato, in una villetta immersa tra gli alberi; presupponiamo quando nel 1935 fu costruito il piazzale dell’autostrada (che costrinse a spostare il piazzale verso ovest con invasione dell’antica strada e del fossato verso ponente (vedi ‘Camionale’)).
davanti al campanile le due ciminiere della ex-fabbrica; fabbrica de Andreis vista
alla sua destra il tetto bianco di villa Spinola dal treno
===civ.4r nel 1941 esercitava la cartoleria-tipografia dei fratelli (uno era Oreste) Palmieri fu R.
===civ.5r la sede di una “chiesa cristiana evangelica”
===civ 8: palazzo dell’inizio 1900 di cui non si conosce l’architetto né la data di costruzione: la decorazione fu impostata usando elementi tardo liberty, più moderni, tipizzati da cornici curvilinee sopra le finestre, abbellite ed ingentilite da cordoni floreali .
===civ.12: il negozio di ferramenta Storace, che viene catalogato tra le botteghe storiche cittadine: l’apertura risale al 1922 e conserva i primitivi arredi degli anni 30: scaffali a muro con cassetti in legno, bancone rifasciato, bilancia in legno della ditta Grasso (antica ditta genovese, famosa per la precisione dei suoi attrezzi).
===civ.12r: L’antica entrata nello stabilimento DeAndreis che si apre ancor ora dietro la fila delle case; ha ospitato per anni la soc. DEPA, che vendeva pezzi di cicambio di auto (ora trasferita in via Carpaneto). Al posto di quest’ultima nel 2004-7 esiste un silos auto di due piani, escluso il piano terra a mare che è occupato dalla soc. Gynnastic Club trasformata in negozio (12E rosso).
Nel retro dell’edificio, quindi a ponente di esso, uno stretto corridoio lo separa dal retro delle casupole presenti al civ.5 di via Palazzo della Fortezza; strada raggiungibile anche da una rientranza affiancata alla ferrovia, chiusa da cancello.
===civ. 12Cr una targa segnala la sede del “Monstre Club”.
===civ. 14-16r il bar, che nel 1950 era di Biancardi V.
=== civ. 26r-30r: antica osteria Tubino, attuale bar. In una città che ha sempre manifestato “voglia teatrale autonoma”, la bottiglieria ospitò dal 1922 per una trentina d’anni la prima discoteca locale: una sala chiamata Auditorio Montecucco (di Montecucco Giacomo, nato a Cassano Spinola, e residente a Genova dal 1920).
Questo personaggio, grande entusiasta amante della musica classica lirica e sinfonica, era conosciuto nel mondo di quest’arte; amico di grandi autori e di cantanti con i quali si ritraeva in foto con dedica appese alle pareti del locale, aveva raccolto più di 12mila dischi, arricchendo ed aggiornando continuamente la collezione con acquisti in tutto il mondo, specie tramite le navi dagli Usa, raccogliendo la migliore produzione mondiale, sia in senso tecnico che artistico (i dischi erano ancora quelli a 78 giri, letti dal grammofono con una puntina di acciaio, da doversi cambiare praticamente ad ogni suonata per non rovinare il solco rappresentavano,
praticamente tutte le romanze, sonate, pezzi d’opera conosciuti, e cantati o suonati dai più diversi artisti; alcuni di essi erano autentici gioielli di rarità ed antiquariato: sui giornali venne definito ‘l’apostolo del disco’; ed il locale ‘l’antro armonioso’, ’il regno di Euterpe’, ’l’osteria musicale’ divenne meta di visita dei più quotati artisti lirici in tournée a Genova). Così, nella saletta lunga e stretta ancor oggi esistente, con una passatoia centrale ed i tavolini rotondi disposti ai lati in un ipotetico loggione di sedie sparse, ospitava all’ascolto la popolazione e gli artisti, in quell’epoca in cui il grammofono non era ancora un bene comune e l’audizione risultava l’unico svago lirico per tanti sampierdarenesi: serate dedicate ad un cantante, o ad un compositore, o ad un periodo musicale, con la migliore riproduzione, attraverso un complesso di strumenti ancora regolato dalle valvole. Il titolare fu insignito di medaglia d’oro, quale benemerito della cultura musicale genovese. Cessò la sua attività nel 1961 per ‘raggiunti limiti di età’, dopo 41 anni di lavoro nello stesso locale; tutto il materiale fu trasferito nell’abitazione in piazza N.Barabino civ. 10 ove offrì agli amici ed intimi i suoi concerti fino al decesso avvenuto nel 1972.
Nel campo della musica, Genova vantava in quei tempi il singolare primato di possedere le più ricche discoteche d’Italia (degli Zillichen, Gambino, Pittaluga); ma l’unica di cui potevano goderne tutti solo degustando del buon vino od un caffè serviti nell‘ “intervallo”, e quindi la più conosciuta ed amata era quella del Montecucco, ove il buon Giacomo “eseguiva” un concerto e faceva gustare la voce di Caruso o di Schipa, regolarmente due volte alla settimana, con autentica professionalità artistica e culturale .
===civ. 15r. Sull’angolo del palazzo con via Dottesio, un insolito e caratteristico bassorilievo rappresenta in un ovale centrale (con due larghe bande laterali a cartiglio) una figura femminile, drappeggiata, con le braccia avvolte dalle spire di una serpe e reggente in mano una coppa; elementi simbolici-decorativi e di richiamo della vicina antichissima farmacia Bassano: è quindi una insegna pubblicitaria, tipica della fine dell’800. Facile l’attribuzione ad Ave Bassano, scultore e probabile parente del farmacista; anche se dal Pagano emerge l’esistenza di un altro Bassano, Luigi, scultore pure lui, residente nella strada.
Molto antico anche questo negozio, che si fa risalire al 1898. Prima di rinnovare tutto l’interno, era gestito negli anni attorno al 1933 (la strada allora si chiamava via Manin) dal dott. Bassano GB (con il cui nome ancora nell’anno 2003 viene normalmente chiamata) ma che dal 19 dic.1951 era stata venduta al dr. Carlo Perasso (27.2.1911--9.12.1985) e rimase a lungo arredato con i mobili antichi, molto belli e caratteristici ma obsoleti ed inadeguati.
=== civ.*** il negozio di ottica-fotografia apparteneva a Zino Claudio, un valente sportivo figlio e fratello di sportivi sampierdarenesi.
===civ. ha per tanti anni ospitato una grande impresa di forniture per auto, chiamata DEPA, dal 2000 trasferita in via GB Carpaneto.
Popolarmente nella strada vengono ricordati sia una tipografia Palmieri; sia il negozio di rivendita di granaglie il cui proprietario fu organizzatore di una società sciistica locale chiamata (anni 1970) 3G; sia dell’abitazione di una Serafina che per il figlio, chiamato Checco u panetté: a quei tempi in cui non esisteva l’illuminazione civica, per il suo rientro che lavorava di notte, lasciava un lume acceso indicativo di dov’era la casa; ne nacquero le prime rime di un modesto ritornello popolare cantato da un chansonnier locale (“o Baccicin vattene a cà, te moae a t’aspeta, e t’a lasciou o lumme in ta scaa, e a porta averta…”), che poi il famoso cantante Mario Cappello assieme ad Attilio Margotti (quelli del ‘Ma se ghe penso’) completarono in una canzoncina che divenne assai famosa e che inizia appunto con quelle parole.
DEDICATA all’astronomo imperiese, nato a Perinaldo, Ventimiglia (allora compreso nella contea di Nizza; ora nella valle Crosia della provincia di Imperia; a 572 m. slm, primo contrafforte delle Alpi Marittime salendo da Bordighera. C’è casa con lapide, biblioteca e museo di strumenti astronomici: Michero sottolinea che la chiesa romanica dedica a alla Madonna del Poggio Reale è stata collocata sul punto di passaggio del meridiano), il 8 giugno 1625 da Giacomo (aver dato al figlio la possibilità di studiare, significa che non era di umile origine; in più, abitando in una casa con cinquanta stanze; presumibilmente corrisponde ad un gentiluomo locale – nobile quindi - dipendente dal marchesato di Dolceacqua) e da Giulia Crovesi, primogenito di nove (otto, scrive Michero) fratelli.
Uno zio materno, gesuita e dilettante astronomo, curò le sue prime e precossime capacità culturali, soprattutto - a quell’età - quelle poetiche (in latino: pubblicò nel 1646, a 21 anni una raccolta di poesie latine: faceva parte dell’insegnamento di allora, esprimersi in versi e, per i colti, nell’antica lingua).
Quindicenne, venne inviato – come consuetudine tra i nobili della riviera - a studiare a Genova, presso i Gesuiti, ove insegnavano teologia, etica, diritto civile; ma lui amando preferibilmente la poesia e l’astrologia, e – di quest’ultima - specie quella mirata alla giustizia ed all’arte indiziaria o divinatrice (essa era una scienza ‘in espansione’ il cui abuso portò a interpretazioni assurde. Un anatema fu lanciato anche da Pico della Mirandola, dichiarandola “falsa scienza”, perché era arrivata a pretendere di divinare il futuro degli uomini con precisi oroscopi. Queste controversie fermarono gli iniziali ardori del giovane verso questa disciplina, che però tanto lo appassionava: gli astrologi erano assai spesso interpellati alla stregua degli antichi oracoli capaci di predire il futuro attraverso il movimento degli astri).
Conclusi gli studi venticinquenne, nel 1650, fu proprio in quella veste, di matematico, geometra ed astronomo, che gli venne proposto di trasferirsi a Bologna, allora città seconda solo a Roma per cultura e abitanti; due avvenimenti vengono narrati come decisivi per questo trasferimento:
(fonte a)= ‘sponsorizzato’ dal marchese Cornelio Malvasia (1603-1644; anche lui infatuato astrologo; senatore bolognese; generale d’artiglieria; possessore di un castello a Panzano presso Modena, circondato a 180 ubertosi poderi. Egli lo aveva conosciuto nel 1648 quando il Nostro aveva appena 23 anni, e ne aveva intuito la genialità: lo aveva voluto includere nella propria specola, confermando così sia il primo istintivo giudizio).
(fonte b)= era stato interpellato per predire come sarebbe finita la guerra tra il papa (Innocenzo X) ed il duca di Parma Ranuccio II Farnese: lui predì che il comandante le truppe pontificie – il genovese Ottaviano Solio – avrebbe vinto: e così avvenne generando ammirazione e consensi.
Il Senato bolognese accettò la sua immissione nella prestigiosa università.
(prima vera università italiana ed allora, la migliore del mondo; in particolare il Cassini fu interessato agli scritti di Pico della Mirandola il quale aveva scritto un trattato ’Contra astrologos’ che servì a ridimensionare i suoi ardori in materia divinatoria, dando invece un indirizzo più scientifico alle sue ricerche astronomiche.
Quindi, riavvicinato agli studi di astronomia, fu così prolifico che l’anno dopo 1651, il Senato di quella città gli affidò anche l’incarico universitario, prima, di astronomia (detta cattedra universitaria era divenuta vacante per la morte del famoso padre Bonaventura Cavalieri (1598?-1647), alunno di Benedetto Castelli, a sua volta allievo di Galilei; copernicano quindi, che aveva dettato le basi del calcolo infinitesimale). poi dall’anno dopo anche di matematica in quanto, assieme al Malvasia, aveva studiato una cometa.
Nel valutare il suo lavoro, non dobbiamo dimenticare da quali basi esso iniziò: i mezzi erano primitivi ed artigianali; più che cognizioni comuni, molte erano geniali intuizioni personali; non da poco come ostacolo, era l’Inquisizione, pragmatica nelle sue decisioni. Il fatto che nella sua vita non ebbe guai (come invece Galilei), lo dovette sia alla sua indubbia ed innata capacità diplomatica, ma sopratutto all’aver espresso le sue idee mai discostandosi ufficialmente dalla concezione in atto, specie riguardo il sistema solare (Copernicano).
Come docente universitario, si protrasse per 61 anni, escluso l’anno 1665-6).
Tra i suoi primi lavori, si ricordano una opzione diplomatica tra Bologna e Ferrara circa lo sfruttamento del Po (leggi sotto); il progetto di risanamento dei terreni paludosi attorno al fiume Reno; il perfezionamento della meridiana (o meglio, eliometro) tra i colonnati della basilica di san Petronio durante il suo ampliamento (migliorò el 1655 la meridiana che era già stata tracciata nel 1575 dal domenicano Egnazio Danti, 1536-1586, matematico del granduca di Toscana, predecessore di Cassini. Il Nostro la perfezionò ampliandola e ricorrendo ad artifici ingegnosi come far passare i raggi solari da un foro rotondo nel tetto permettendo la lettura tutto l’anno. Risolvette un grande dilemma dell’astronomia di allora, il presunto ma non dimostrato rallentamento del sole d’estate (ché dura di più) ed il suo ingrandimento di diametro. Per due secoli permise ai bolognesi di conoscere l’ora; e regolare su essa il loro tempo); numerose perizie di questioni idrauliche (come nel 1656 il corso del fiume dell’Emilia-Romagna Reno, di 210 km.; la navigazione sulle acque del Chiana e del Po in qualità di Sovrintendente Generale delle Acque, da meritarsi gli elogi pure del Papa interessato alla disputa tra Bologna e Ferrara; in seguito gli affidò altri impegni sui corsi d’acqua e fortificazioni nello stato pontificio); studi di entomologia, sulla riproduzione degli insetti (mentre era in trasferta per i corsi d’acqua, notò e studiò gli imenotteri presenti nelle galle delle querce; allora si reputavano, dai tempi di Aristotele, spontanei e non soggetti a metamorfosi. Cassini affermò che gli insetti non si generano dalla putredine dei tessuti ma da un uovo, e che poi subisce una trasformazione. Il concetto sarà ripreso poi ufficialmente da entomologi qualificati come Redi); sulla trasfusione del sangue (di cui fu pioniere-scopritore; il primato in Italia è attribuito a Geminiano Montanari nel 1667 in casa di Cassini; quest’ultimo riprese gli esperimenti usando due agnelli, coronati da consolanti successi –e dalle sue lettere spedite ad altri studiosi su questi esperimenti, si rilevano date anteriori a quelle del Montanari-); sulla costruzione di fortezze (nel 1663 ebbe da Alessandro VII la sovrintendenza del fortilizio ‘Urbano’ (da Urbano III) a nordest di Castelfranco Emilia, uno dei più poderosi e temuti dell’epoca; lo stesso a Perugia).
Dedito soprattutto agli studi astronomici, perfezionò le tavole solari; misurò la parallasse del sole (problema ritenuto impossibile da Keplero e Bovillard); scoprì la rotazione (allora chiamata vertigine) di Marte, Venere e Giove (editò un libro nel 1668, sul frutto delle sue osservazioni, titolato “Le effemeridi dei satelliti di Giove”: per il solo pianeta Giove poi, il quotidiano controllo della posizione delle sue macchie fecero intuire la rotazione; e l’ombra dei satelliti fece definire il tempo di rotazione in 9h, 56’); scrisse un trattato su una cometa apparsa nel 1652 e seguita a Modena, e dei giudizi sul calendario indiano. Si dilettò pure di umanistica, poesia latina e volgare; di fossili.
Gli epistolari scientifici dimostrano come il nome di Cassini fosse noto universalmente al di qua ed al di là delle Alpi: allora era già membro della Royal Society di Londra e dell’Académie des Sciences di Parigi (nata nel 1666 per ordine dato dal re Sole, Luigi XIV su suggerimento del primo ministro JeanBaptiste Colbert (controllore generale alla corte di Luigi XIV, il Re Sole). Questi, era stato suggerito a sua volta dall’astronomo Picard. Tanti erano i pensatori invitati dall’Académie: Pascal, Racine, Molière, Fenelon. Prima di ‘assumere’ Cassini, che allora aveva 40 anni e da 15 insegnava a Bologna, lo usò, dapprima, come socio corrispondente e poi nominò membro dell’Académie, volendolo fisso a Parigi. Allo scopo, Colbert usò astuzia per non contrastarsi col Papa Alessandro VII Chigi – e dopo il giu.1667, con Clemente IX Rospigliosi - che volevano il Nostro a Roma: nel 1669 Colbert lo chiamò come diplomatico “in missione temporanea” per la quale ebbe l’assenso del Papa stesso e del Senato bolognese; una volta a Parigi gli offrì servigi tali per i quali quello se ne restò in Francia di ... sua volontà. E quest’ultima è verità, in quanto fu usato in senso inverso: venne in Italia per missioni temporanee, ma sempre se ne tornò a Parigi).
Infatti una volta a Parigi, le circostanze favorirono che il breve periodo si trasformasse in definitivo, sia perché, colmato di onori e di cospicuo stipendio, allora valutato in livres, assunse nel 1673 la cittadinanza francese (anche se tutte le sue successive scoperte furono descritte in italiano e latino; sempre ebbe difficoltà col francese) ed anche perché nello stesso anno sposò Geneviève Delaître, ricca proprietaria di vasti beni a Thury.
Una volta divenuto ‘francese per sempre’ (ma parlava pressoché sempre in italiano, ma scriveva e relazionava in latino), fu organizzatore-fondatore del nuovo Osservatorio parigino, costruito secondo i suoi suggerimenti (e del quale il titolo di ‘direttore’ lo ebbero solo i discendenti): dotato di apparecchiature prodotte in Italia (con non poche polemiche con gli invidiosi locali); con esso scoprì la divisione in due parti, separate da uno spazio scuro oggi chiamato ‘divisione di Cassini’ costituita da una nube, dell’anello di Saturno (che da allora porta il suo nome) e la presenza di altri tre satelliti (che chiamò “ludovici” in onore al Re Sole: Dione, Rhea, Giapeto; il primo, Tethis, era già stato segnalato da Huygens nel 1655. Oggi sappiamo che in totale sono 9).
Divenne Accademico di Francia, fu frequentemente ricevuto a corte, ricevette numerosi riconoscimenti ed onori, stimato come amico e consigliere del re il quale fece coniare una moneta con l’effige dello studioso e la scritta “Saturni satellites primum cogniti”.
Nel proseguio, altrettanto grandi risultati furono (collaborando con un suo assistente inviato a Caienna a 10mila km di distanza) la determinazione precisa della distanza tra la terra e Marte (il che permise conoscere subito le dimensioni delle orbite di tutti i pianeti) e tra terra-sole; la misura dell’arco di meridiano che passa per la Specola di Parigi (il “meridiano di Francia”); le leggi della rotazione lunare; la spiegazione scientifica del fenomeno della luce zodiacale (1683); il completamento di una meridiana parigina (iniziata da altri 15 anni dopo quella sua bolognese, e mai completata).
Scrisse numerose relazioni accademiche durante il soggiorno parigino, su numerosi rilievi astronomici, edite nelle “mémoires de l’Accadémie des sciences de Paris” che furono pubblicate postume, ed un libro di Memorie per la storia delle scienze .
La Francia per merito suo imparò la costruzione dei pozzi -come in arte a Modena da secoli-, ma universalmente conosciuti col nome di ‘artesiani’ come se fossero nati nella regione di Artois.
Nel 1695 tornò in Italia col figlio Giacomo suo assistente, visitando Perinaldo e Bologna (ove ‘avevano bisogno di lui’ per la meridiana, perché nel frattempo era stata abbassata la volta, chiuso il foro sul soffitto e falsato il livello del pavimento. Il pontefice Clemente XI Albani lo incaricò di fornire alla ‘Congregazione del Calendario’ i dati necessari a revisionare la riforma gregoriana per l’anno 1700: detta riforma prevedeva per quell’anno l’annullamento del 29 febbraio; e la data precisa era indispensabile per datare la Pasqua e le altre feste mobili. Per l’occasione Cassini si era portato dietro il nipote Giacomo Filippo Maraldi, figlio di Angela Caterina, sorella di GDomenico, e quindi anche lui di Perinaldo, e così bravo da essere chiamato a Parigi, allievo e astronomo dello zio).
In vecchiaia -come Galilei- soffrì di irreparabile perdita progressiva della vista, senza però perdere la grinta della ricerca e della conversazione (in francese, latino, italiano).
Morì praticamente cieco, ultra ottasettenne, a Parigi, il 14 settembre 1712 (alcune fonti dicono apr., altre nov.).
Suoi errori scientifici comprendono l’aver negato una legge sulla gravità dei corpi (l’errore nacque dall’aver determinato, si chiama geodesia, la “grande meridiana di Francia” triangolando il territorio da Dunkerque a Perpignan; e su questi dati aver stilato nel 1668 la “carta Cassini”. Quest’ultima forniva valori, consacrati per buoni, che impedirono per dieci anni a Newton di formulare la sua legge sulla gravitazione perché “non gli concordavano i dati”. La verità fu accertata nel 1735 quando la triangolazione fu effettuata ai due poli (Perù e Lapponia), accertando che la terra è ‘schiacciata’ – mentre per Cassini, per effetto centrifugo, doveva essere allungata – con ragione di Newton, anche se postuma per entrambi. Nonché la natura delle comete tanto studiate, considerate pianeti.
Come omaggio allo scienziato, Parigi gli ha dedicato una grande strada, e sia Sanremo (nel 1860) e poi Genova (dal 1923) gli intitolarono i rispettivi licei.
Suo figlio Giacomo (nato a Parigi nel 1677 e morto a Thury nel 1756: col padre prolungò la misurazione del meridiano da Parigi a Canigou e poi sino a Dunkerque, sostituendolo nella direzione dell’osservatorio); il nipote Cesare Francesco (nato a Thury nel 1714 e morto nel 1784, iniziò una completa descrizione topografica della Francia, che fu completata da suo figlio omonimo del Nostro); il pronipote Gian Domenico (1747-1845, pure lui divenuto direttore dell’osservatorio; durante la rivoluzione fu imprigionato e privato di ogni incarico pubblico perchè legato alla monarchia, ma Napoleone lo reintegrò nominandolo senatore e conte), tutti seguirono la sua scienza e divennero valenti astronomi e geodeti nell’università parigina, proseguendo ed arricchendo le conoscenze aperte dall’avo, e formando la gloria della locale Accademia delle Scienze. La famiglia si estinse con Alessandro (figlio di G.Domenico, 1784-1832 , che si dedicò alla botanica divenendo anche magistrato e pari di Francia).
Dai primi anni del 1990, a Perinaldo di Imperia (capitale degli astrofili), l’Osservatorio è intitolato a G.D.Cassini. Da esso viene seguita attentamente la sorte della sonda sottoscritta.
Il 6 ottobre 1997 fu lanciata verso Saturno la sonda Cassini; regolarmente c’è arrivato ai primi di luglio 2004 entrandoci dapprima in orbita e poi rilasciando il modulo Huygens che è sceso sul satellite Titano. I rilievi dati dal modulo (passando vicino a Giove e Venere ha chiarito di esse situazioni a volte sconosciute e ritenute l’oopoisto) hanno chiarito la natura degli anelli composti dal 99% da acqua ghiacciata in continuo ondeggiamento ed ‘inquinata’ da uno strano smog (ghiaccio nero) in un ambente a meno 90 sotto zero.
BIBLIOGRAFIA
-Archivio Storico Comunale
-Archivio Storico Comunale Toiponomastica scheda 969
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-AA.VV.-annuario-guida archidiocesi- ed./94-pag.392—ed./02-pag.430
-AA.VV.-Enciclopedia dei liguri illustri-Erga.1970-vol.III-pag.66
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-Beer S.-Un tricentenario di ...-rivista Civitas Sancti Romuli, 1987-p.23
-Bottaro.Paternostro-Storia del teatro a genova-Esagraph.1982-vol.II.pag.3
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CASTELLI via Agostino
Castelli
TARGHE: San Pier d’Arena – via - Agostino Castelli – mazziniano
angolo via A.Cantore
angolo via N.Daste
angolo via Buranello
QUARTIERE ANTICO: Castello
da MVinzoni, 1757. In rosso villa Doria-Franzoniane; giallo
villa Crosa; celeste villa Grimaldi-Gerace; fucsia, via NDaste
N° IMMATRICOLAZIONE: 2748 CATEGORIA 2
CODICE INFORMATICO DELLA STRADA - n°: 14240
UNITÁ URBANISTICA: 26 - SAMPIERDARENA
1960 Da Google Earth 2007 fucsia, via . . G.Giovanetti; giallo, via N.Daste.
CAP: 16149
PARROCCHIA: s.Maria della Cella
STORIA: Prima dell’anno 1850 e della ferrovia, la strada non esisteva ed il terreno era di privati -localizzato nella ‘regione –o rione- del Comune’- e si estendeva dalla via Comunale (via Daste) al mare, coltivato ad orti, vigneti e giardino.
Non concordo con Lamponi quando afferma che la strada è stata aperta nei giardini di villa Crosa: la strada risulta a spese dei giardini della proprietà a ponente dei Crosa, allora del mag.co Francesco Grimaldi di Geraci (attuale via Daste 24). Questi terreni, dal limite dei Crosa, arrivavano alla facciata occidentale della propria villa ed estesi verso il mare.
Dalla carta vinzoniana (1757) la villa della famiglia dei “mag.ci Crosa” è posta sulla strada Comunale (via Daste) ed il suo giardino era molto stretto -fiancheggiando a ponente vico sant’Antonio ed a levante il limite stesso della costruzione- ed era anche breve perché neanche sbucava ove è via San Pier d’Arena avendo specularmene lo altrettanto stretto giardino della villa Cambiaso (ex Pretura) affacciata sulla marina. Cento anni dopo, nel 1847 circa -dai rilievi degli ingegneri incaricati dell’esproprio per erigere la ferrovia, la villa Crosa appare di proprietà di Bartolomeo Parodi fu GB (che occupava in base ai loro rilievi anche la villa Cambiaso, ed il terreno era usato solo a giardino di confermate dimensioni limitate avendogli sottratto una superficie di m.19x19, quindi 20-30 m. di larghezza circa).
Lo spazio a ponente dei Crosa -in quella data 1847- apparteneva a Pasquale Dellepiane fu Antonio coltivato ad orto e decisamente più vasto vedendosi sottrarre dalle ferrovie ben 1008 mq.; la proprietà era ancora immodificata rispetto quello dei Geraci: era estesa a forma di L speculare (perché proseguendo la strada a ponente, la villa Centurione (aperta sull’attuale via Daste,28) aveva dei giardini assai limitati che non arrivavano al punto di passaggio della ferrovia).
Subito dopo eretto il viadotto -appare in uno spaccato di tracciato ad uso ferroviario- che il sottovia che schiude la nostra strada verso mare, veniva riconosciuto col nome di ‘sottopasso Dellepiane’ perché egli possedeva officine o depositi a levante del sottopasso stesso. Pertanto la strada è interamente a spese del Grimaldi poi Dellepiane (nella parte più vicina alla ferrovia la proprietà di questi due, si allargava verso ponente sino a confinare con quella di Aretina marchesa Pallavicini del fu Lamba Doria che abitava la Serra-Monticelli (via Daste, 34) che, a sua volta confinava a ponente con la crosa della Cella).
La strada nacque quindi dopo il 1930 quando proprietario dei terreni non sappiamo chi fosse, forse gli eredi Dellepiane ma presumibilmente era già in mano ai fratelli Galoppini. E seppur nata in territorio privato, fu conservata ad uso pubblico per la necessità da parte degli operai di raggiungere le fabbriche aperte su un lato (e svagarsi, sui prati di fronte alle officine ove ora i civv. 2 e 4).
Ancora nel 1933 era chiamata “via privata san Benigno”, collegante via Vittorio Emanuele (via G.Buranello) con via generale Cantore (via N. Daste); ed era di 4.a categoria, con i civv. 2 e 4.
Nel tratto a nord della strada, fino ancora a questa data salita Salvator Rosa terminava direttamente in via N.Daste; l’apertura di via A.Cantore, tranciò la parte distale della salita lasciandone solo un pezzetto, a mare della stessa grossa arteria; questo breve tratto fu poi allargato e perdendo il nome originale, venne inglobato in via A.Castelli (rimane compreso tra due palazzi eretti ai lati, il cui portone si apre in via Cantore. Di questi, l’ultimo fu terminato nel 1972; da allora -per due anni sino a fine 1974- questo pezzo di strada (ex-sal.Inf.SRosa, e non ancora via Castelli) rimase chiuso al traffico veicolare mediante una catena posta dalla soc. edile Sant’Antonio che l’aveva avuta in concesione per edificare, al fine di riconcordare il passaggio di proprietà, al Comune. Tutto fu ottenuto poi, con lo scambio di poter costruire in salita S.Rosa).
Divenne intestata come oggi nel 1940 (ma nel Pagano di quest’anno, non c’è ed è presente come via privata s.Benigno -vedi) e deliberata definitivamente dal commissario prefettizio il 24 mag.1944.
Da tanti, è conosciuta come piazza Galoppini, nome risalente agli anni 1930, non ufficiale nella toponomastica cittadina e quindi a solo uso popolare, legato alla presenza nella strada dell’omonima fabbrica di recipienti di latta per conserve alimentari, e che rilevava (non sappiamo se con altri intermediari) le proprietà Dellepiane. La fabbrica, il cui lungo edificio ancora delimita il lato ad est della strada, appare ancora funzionante negli anni 1960, i cui titolari erano appunto i fratelli Galoppini (fiancheggiava lo stabilimento Diana, posto sia a monte che parallelo ad est fino al vico Stretto sant’Antonio). Ed era ‘piazza’ perchè non esistendo i civv. 4 e 6, era tutto uno spiazzo, dalle ferrovie riconosciuto come ‘piazzale privato Galoppini’ lasciato libero al defluire dei tanti operai verso le vicine trattorie ed osterie o per giocarci; e per le ferrovie, il sottovia ferroviario divenne anch’esso ‘f.lli Galoppini’.
carta del 1887 – al posto del civ. 1 la fabbrica anni 80, con catena
di sapone di Oneto GB. Archivio di Stato
STRUTTURA: strada comunale carrabile. Collega via G.Buranello con via A.Cantore; con senso unico viario (già dal 1984 si chiedeva l’inserimento del senso unico) favorevole per chi viene dal mare, anche se deve voltare a sinistra in via N.Daste, perché il breve tratto tra via ACantore e via NDaste è senso unico in opposto.
Appare lunga 157,16 metri e larga 11,87; ha un solo marciapiede largo l,85, ma per un tratto di soli 65 metri.
Nella parte a levante, è utilizzata a libero posteggio auto.
È servita dall’acquedotto DeFerrari Galliera
anno 1979 anno 1975
anno 1976 circa, prima dei restauri e dopo; in estauro villa Crosa
CIVICI
2007: NERI = da 1 a 7 (mancano 3 e 5) e da 2 a 4 (compreso 2A)
ROSSI = da 1r a 23r (compreso 7a)
da 2r a 58r (mancano 14, 42, 44r; compresi 14ABCDE, 16AB, 22A, 26A)
===civ.1: vecchia costruzione, di tipo popolare-operaio, senza decorazioni né terrazzi, della fine dell’800. Nelle scale, tipiche ringhiere in ferro battuto. Al primo piano una palestra.
===civ. 6: costruito dopo il 1935, quindi con decorazioni tardo liberty detto ‘modernistico’; il sottotetto era decorato con affreschi che si stanno cancellando; nel piano terra (anche del civ.4), per anni vi furono ospitati uffici delle PPTT; ed ancora negli anni 1960 ospitava l’Istituto Palazzi tecnico-commerciale per geometri e scuola media (erroneamente nel Pagano/1950 si conferma l’istituto al civ. 6 ma scrive ‘palazzo Grimaldi’).
=== civ. 9-11*** ospitava lo stabilimento Galoppini e parte di quello Diana. Non esistendo i palazzi di fronte, nel largo prato-spiazzo andavano gli operai –nell’intervallo mensa- a giocare e prendere aria.
Ancora nel 1942 i fratelli Diana oltre a produrre lavorati del latte (con sede in via Buranello), qui in via Castelli lavoravano il tonno (cotto a vapore ed inscatolato sott’olio; nella villa di via Daste abitavano. A metà 1974 la ‘Diana spa’ chiuse la produzione perché impossibilitata a far fronte alla concorrenza più moderna). Negli anni 1979 fu progettato utilizzare il terreno per costruirvi un nuovo centro postale (che poi venne realizzato in via U.Rela).
===Dal lato a ponente offre il fianco la villa Grimaldi di Gerace che si apre in via Daste (nel dopoguerra, essa fu ristrutturata ad appartamenti conservando dell’antica villa solo l’aspetto esterno).
la villa Grimaldi di Gerace
===civ. lo studio del notaio Morello, uno dei più noti sulla pizza essendo di seconda generazione (lo era anche il padre, molto conosciuto).
=== civv.15r e 17r: ristrutturati nel 1998-2000 con rifacimento del tetto e pittura della facciata, con tendenza a conservare l’antico aspetto dell’immobile che possiede le caratteristiche del primo 1800 e forse anche antecedente. Da molto prima (tipo 1890) ed ancora ai tempi dell’opificio Diana e Galoppini, Stefano Ercole detto “Steva” gestiva una osteria-trattoria ove andavano a mangiare gli operai
DEDICATA Al repubblicano, nato a Sestri Ponente il 13 ott.1822 da Pietro e da Maria Gaggero, di umili origini e lavorante come cocchiere presso i conti Benedetti di Barcola a Lerici.
A 27 anni, a casa dei suoi di Lerici, partecipa ad una contestazione popolare contro la monarchia, dopo la sconfitta di Novara: viene segnalato come ‘uno dei più esagitati’, facendo aprire un dossier su se stesso..
Se da questo incontro non ebbe conseguenze, nel 1852 dovette trafserirsi a Genova per sottrarsi ad un mandato di cattura, che fu applicato nel 1855 quando fu arrestato per sedizione e per aver sobillato dei militari contro la politica del re, contro la spedizione in Crimea e facendo propaganda a Mazzini: trascorse quattordici mesi nella prigione di San Pier d’Arena.
Poi, al processo, fu assolto.
Divenuto rappresentante della Confederazione operaia genovese, aiutò (1857) ad organizzare sia la spedizione di Carlo Pisacane (alla quale non partecipò per un banale disguido non precisato); sia una insurrezione genovese: ambedue fallite per impreparazione del popolo a simili avvenimenti ed ideologie (1857). Fu condannato –per sedizione- nel febbraio 1858 - in contumacia - a 12 anni di lavori forzati: così fu costretto a fuggire a Lugano e poi a Londra essendo ricercato in patria.
Fuori Italia, ebbe diretti contatti con Mazzini, che lo aiutò a trovare un lavoro presso un cubano come domestico, e nel frattempo a volte lo incaricava come collaboratore politico per sue attività. Di probabile temperamento iperattivo, si allontanò dall’amicizia stretta con Mazzini non condividendone la prudenza e la tolleranza dei Savoia mostrandosi sempre intollerante ad appoggiare qualsiasi lotta di indipendenza promossa dai reali torinesi. Le sue idee repubblicane erano esasperatamente ritenute indispensabili per il popolo dal cui ceto sociale proveniva. Coerentemente, appena rientrato in Italia a seguito di una amnistia (1860), cercò di partire con Rosolino Pilo, ma ne fu impedito per malattia; Partì per la Sicilia inquadrato nella brigata Castel Pucci ma prima di combattere si dimise rifiutando contribuire o collaborare con la spedizione dei Mille ritenendola troppo favorevole ai monarchici. Mazzini si arrabbiò molto per questi suoi fatti, concentrando il proprio pensiero nella frase «pensano più a se stessi che alla cosa da compiersi»
Si fece inviare a Roma con il Giannelli, per informarsi su possibili prestiti e valutare la possibilità di creare un Comitato democratico e malgrado vari pericoli affrontati, riuscì a compiere la missione.
Comunque, stemperata l’intransigenza garibaldina, fu con lui a Sarnico ove fu arrestato; ma lo ritroviamo a fianco di Garibaldi in Aspromonte, senza rinunciare agli ideali repubblicani che continuò a propagandare sino alla sua morte, avvenuta precocemente in Genova all’ospedale di Pamattone il 31 dic.1864.
Qualche testo lo segnala come Castello: anche il Dizionario Biografico degli Italiani scrive Castello.
BIBLIOGRAFIA
-Archivio Storico Comunale Toponomastica - scheda 990
-AA.VV.annuario-guida archidiocesi- ed./1994-pag.392—ed./02-pag.430
-AA.VV.-Enciclopedia dei liguri illustri-Erga.1970-III-93
-AA.VV.-Dizionario biografico italiani-Istit.Encicloped.Italiano
-Gazzettino S. : 4/72.7 + 5/74.3 + 1/75.5 + 9/79.1 + 8/84.5
-Lamponi M.-Sampierdarena- LibroPiù.2002- pag.56
-Pagano/1933-pag.244--/40-pag.241--/50-pag. 215--/61-pag.443-579
-Pastorino.Vigliero-Dizionario delle strade di Ge.-Tolozzi.1985-II-pag.398
-Poleggi E. &C-Atlante di Genova-Marsilio 1995-tav.34
-Stradario del Comune di Genova, edito 1953-pag.45
non citato Enciclopedia Motta e Sonzogno né TuvoCampagnol