Via DASTE
1) CASEGGIATI POSTI A MONTE DELLA STRADA (civici dispari).
Inizia da via Palazzo della Fortezza
=== Nella carta Vinzoni del 1773, proprio di fronte ed a monte della via Larga, e quindi al confine levante della strada, si apriva la proprietà con villa, del principe di Francavici (se Francavici è una località, non è inclusa nell’Annuario Generale del TCI/1985. Più probabile però che si tratti di una errata copiatura o trascrizione di ‘principe di Francavilla’. Una ‘grida’ della ss.Repubblica datata 1641 vietava il commercio con gli abitanti di Francavilla e Tassarolo non sappiamo il perché (anche e ambedue in possesso agli Spinola).
Oggi, otto sono le città con questo nome, una posta in Piemonte, ma le più nel sud: Basilicata, Sicilia, Puglia, dove i ricchi genovesi andavano a comperare i titoli nobiliari specialmente col fine di possedere titoli nobiliari spagnoli.
Conosciamo che nel 1616 (150anni prima del Vinzoni) la giovane Veronica figlia di GB Spinola I duca di san Pietro, andò in sposa a Davide Imperiale marchese d’Oria e che a Francavilla di Puglia nel 1623 ebbe un figlio David il quale fu ascritto al patriziato genovese
Ma più importante è posteriore, la descrizione nel 1813: una ‘villa degli eredi Francavilla, posta in cima alla crosa Larga’, nella quale era una cappella privata. Per questo documento, signori di Francavilla, furono un ramo degli Spinola di Luccoli che – sul Battilana, vol.II pag. 122- inizia con Gherardo Spinola, vissuto nel 1385; passa in successione ai rispettivi figli: Lucchesio (1368); Benedetto (1385); Giacomo (1439-50); Martino (1474-1502); Leonardo (1502-36); Stefano (1572); Leonardo (1595-1616); GioBatta (1613); con Stefano, senza prole, finisce il ramo.
E degli Spinola era la villa che ancor oggi esiste come scuola, e che allora aveva ampissimi terreni confinanti.
Questa proprietà si sviluppava affiancando quella (a ponente) degli Imperiale-Scassi e sul fianco di ponente del ramo torrentizio. Questa parte di terreno, ora è incluso dentro i confini di levante dell’Ospedale) ed arrivava dove circa si incontrano via Fanti con via Carrea.
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La villa col giardino, ben visibili nella carta erano nel centro rispetto la lunga striscia di terreno, e sotto la torre (che si vede nella carta e che esiste ancora; e ci spiega la localizzazione della villa: dove ora è il grattacielo).
Di essa, del personaggio del principe e della sua famiglia, non rimane nessuna testimonianza più precisa. Sappiamo solo che la villa, o un’altra eretta dopo sul sedime di essa nel 1800, fu abitata dal Piccardo descritto in via GB Botteri.
Nel palazzo che segue, non ci sono portoni sulla via Daste perché essi sono stati aperti sulle due strade laterali (per ragioni di mercato, sulla strada principale è meglio lasciare gli spazi a negozi).
I civici rossi iniziano con 1r (che per tanti anni nel decennio 1990-2000 ha ospitato il bar Kriter) e finiscono con il 13r.
Da via Damiano Chiesa Qui scorre la separazione tra la UU26 a ponente, e la UU28 a levante.
===civv. 1, 3 e 5 attualmente non sono più di via N.Daste, ma di Largo P.Gozzano.
===civv. 7-9: Di fronte al Centro Civico, sul lato opposto si apre la villa Doria, oggi casa dell’ISTITUTO MADRI PIE FRANZONIANE .
Riconosciuto civilmente come Conservatorio Madri Pie Franzoniane, casa madre genovese; nel 2002 con scuola materna, elementare e media.
Dapprima si incontra il cancello che dà accesso alla chiesa intitolata a N.S. DELLA SAPIENZA (o “nostra Signora sedes sapientiae“ per l’annesso istituto scolastico, una volta definito anche “monastero per educandato”).
L’edificio, disegnato di forma rotonda (e così appunto chiamato anche “Rotonda” o per le smussature esterne “Ottagonale”), fu disegnato dall’architetto Angelo Scaniglia nel mag. 1821; e come appare su una scritta all’ingresso, fu consacrata il 29 set. 1822 dall’arcivescovo di Genova mons. Luigi Lambruschini. Il piccolo presbiterio fu aggiunto dopo vari anni, per volere e generosità di una suora.
Caratteristica esterna è la statua in marmo che la sovrasta: essa fu ricuperata dallo stesso Scaniglia, in una villa dei marchesi Franzone ordinatari della chiesa; la statua -che dapprima rappresentava Diana cacciatrice- fu arricchita di ali e di una croce, e trasformata in san Michele arcangelo, tutelare della chiesa.
Sul portale, una lapide ricorda: D.O.M. SEDI SAPIENTIAE VIRGINI DEIPARAE - CONGREGATIO MATRUM PIARUM A FUNDAMENTIS EXTRUCTUM - DICAVIT - ANNO DMDCCCXXII.
L’interno ha tre altari, con quadro di Antonio Storace (sampierdarenese, criticato esteticamente: “non molto felici” dall’Alizeri; “tele di poco valore” dal Masini), raffigura san Giuseppe con san Francesco di Sales; di Carlo Giuseppe Ratti (raffigurante sant’Antonio da Padova e santa Caterina da Siena); ed una statua marmorea della Madonna seduta e col Bambino, scolpita da Ignazio Peschiera.
Remondini nel 1897, scrive che a ricordo della consacrazione fu ordinato un marmo: “TERTIO.KAL.OCTOBRIS.MDCCCXXII – ALOISIUS.LAMBRUSCHINI.GENUENSIUM.
ANTISTES – SACELLUM.HOC.DICAVIT – DECESSORUM.PRIVILEGIA– MATRUM.PIARUM.INSTITUTO.COLLATA – CONFIRMAVIT.AUXIT”
grosso quadro collocato la Madonna del Peschiera
nel preambolo
Lamponi riferisce una voce non accertata per la quale nella cripta sotterranea, trovano riposo le spoglie della sorella di Giuseppe Mazzini, suor Rosa, morta a 24 anni facendo parte di questo ordine monastico.
Uno studio - ricerca del dr. Alfredo Remedi - risale a certi vecchi studi di Giovanni Battista Boero dai quali emerge che fra le varie sorelle del patriota, ve ne era una “Maria Rosa Caterina, nata il 19 agosto 1797 e battezzata il giorno seguente in S.Siro a Genova. Morì religiosa a Sampierdarena il 30 dicembre 1823”. Questa ragazza aveva per secondo nome, Rosa, quello d’una zia materna, Rosa Drago, sorella appunto della madre; essa aveva sposato un Bartolomeo Alberti, in epoca napoleonica dapprima commissario di guerra e poi governatore di Ancona; quindi uno zio acquisito di Giuseppe e di Rosa Mazzini.Dal loro matrimonio erano nati diversi figli, fra i quali , verso il 1796, una Teresa che, cugina, all’età di tredici anni, quindi verso il 1809 risulta “educanda in un Conservatorio di Sampierdarena”. A chi si domanda perché mai una fanciulla della benestante borghesia genovese sia stata mandata a San Pier d’Arena, la risposta potrebbe essere che al di là dell fatto che questo Istituto era all’epoca assai considerato per essere dedito all’educazione femminile, c’era anche la presenza di Rosa che rappresentava una elevata garanzia.
Maria Rosa Mazzini, sarebbe stata sepolta nella cripta della chiesetta delle Franzoniane, Nostra Signora Sede della Sapienza, appena costruita /1822 su progetto dell’architetto sampierdarenese Angelo Scaniglia.
Primo rettore fu don Luigi Ottaggio (uno dei primi Missionari Rurali) che morì nel 1785 (Remondini riferisce altra data, precisando che morì a 70 anni il 15 mar.1791). Sono ricordati rettori, don Giacomo Bovone (il quale il 25 ago.1822 precisò per scritto al sindaco che l’istituto non era un monastero religioso ma solo una casa scuola; le suore erano pie ma come madri o maestre; le regole sono quelle dettate dall’istituto della Visitazione fondato da san Francesco di Sales; a cui possono accedere nubili o zitelle di ogni condizione sociale e per quelle povere, l’ospitalità era gratuita. In quegli anni l’istituto aveva 16 madri, 8 aspiranti, 4 associate, 12 faccendieri, 6 aiutanti e 30 educande); don Traverso Emilio (1933); mons Aldo Livraghi (1978);
Dal 1934 la chiesa è tutelata e vincolata dalla Soprintendenza per i Beni architettonici della Liguria.
La VILLA DORIA nacque nel tardo 1500, non si sa ad opera di chi.
Nel 1582, ne era proprietario Giovan Battista (O Gio Batta) Doria (figlio di Domenico (che aveva restaurato la cappella di s. Agostino nella Cella, e di cui si parla in una epigrafe come se nella chiesuola avesse avuto la sua tomba: «Dominicus DeAuria q. domini Nicolai fecit hoc sepulcrum anno MDLXVIII»; sposò Maria Doria sorella di Giannettino; fu inviato come commissario nella guerra di rappresaglia contro i Fieschi arroccati a Montoggio; in quell’anno, oltre questa villa, possedeva un palazzo a Genova costituenti il 22,6% delle attività patrimoniali ed il 68,5% del suo patrimonio netto; ma nel 1591 avrà 2 palazzi a Genova – valutati 45mila scudi d’oro=cifra medioalta rispetto altre ville di altri nobili - e ‘ville’ a SPdA, valutati il 36,1% delle attività patrimoniali e 50,1% del patrimonio) e fratello di altri 10 figli di Domenico tra i quali Nicolò (1538-1594, carmelitano, fondatore e del convento di s.Anna a Genova) e di Camilla (sposa nel 1576 di Giulio Pallavicino di Agostino, autore di un manoscritto intitolato «inventione di scriver tutte le cose accadute alli tempi suoi». Aveva sposato Gironima Grillo qLuca con la quale ebbe tre figli Angela fattasi monaca, Domenico (sposato con Vittoria Doria qBattista) e Maria sotto descritta)
Fu lui probabilmente l’ordinatore della villa ed a finanziare le spese della grotta (descritto a pag 63 del Battilana).
Nel 1594, sua figlia Maria Doria, sposò Camillo Pavese (erede quale primogenito di anche del titolo di barone 2° di Gevisi e di Castelnuovo.
La famiglia Pavese, seppur ascritta alla nobiltà genovese ed imparentata con le più nobili famiglie aristocratiche locali, era di origine savonese.
Nicola, il padre di Camillo, fu nel 1576 uno dei primi a farsi ascrivere nel libro d’oro tra la nobiltà genovese. Era plurifeudatario nel napoletano.
Battista fu Luca fu Stefano, fu Luca, ecc.; sposo di Violante Salinieri, oltre al titolo baronale, aveva beni e ricchezze “più di ogni altri ai suoi tempi”-. Nel 1557 acquisì la carica di Consigliere di Stato sabaudo, imprestando al duca Emanuele Filiberto di Savoia una ingentissima somma in scudi d’oro necessaria per rinforzare la fortezza di Villafranca minacciata dai turchi e l’acquisto dai Fieschi del castello di Crevalcuore; dopo la sua morte nel 1566 la moglie fu gratificata con l’usufrutto del castello di Larenzo vicino a Torino. Tra i suoi figli vengono segnalati Stefano (gran tesoriere generale si sar il duca di Savoia); GioLuca (cappuccino); Geronimo (gran tesoriere a Torino) e Maria (sposa ad un conte).
Camillo, l’ordinatario e progettatore della grotta-ninfeo, costata molte migliaia di ducati. Egli, insediatosi a San Pier d’Arena, ebbe un ruolo economico-politico assai intenso specie nei rapporti Genova-Savona. Al padrone di casa, il compositore genovese Marcello Tosone, nel 1590 aveva dedicato un “Primo libro de madrigali à quattro voci”).
Le nozze furono celebrate in modo sontuoso ed assai festoso (Maria Doria fu condotta a Savona su una galera tutta imbandierata a festa; dalla nave andò al palazzo del suocero e poi in chiesa; in occasione dei festeggiamenti, nella sala inferiore del palazzo comunale ove venivano discusse le cause civili, degli attori recitarono una commedia, intitolata “i Lucidi”, opera di Agnolo Fiorenzuola (1493-1543), costata una fortuna (800 scudi) solo per poterla apprestare, e conosciuta e famosa perché già rappresentata a Parigi nel 1555 alla presenza di Caterina de’ Medici).
La nuova famiglia, ascritta tra i patrizi genovesi, si stabilì nella casa, che divenne momentaneamente “villa Pavese” (il nobile savonese, interessandosi dei rapporti tra le due città liguri, si adoperò perché fossero rimesse 70mila lire, prese in prestito da Savona per fabbricare una cittadella presso il molo, ottenendo grande ossequio dei serenissimi governatori).
L’unico figlio Scipione morì all’età di 9 anni, interrompendo la discendenza Pavese e facendo tornare i beni ai Doria.
Qui forse soggiornò dal 18 giugno 1599, per 10 giorni, l’infanta di Spagna Isabella Clara trentacinquenne figlia di FilippoII ed Isabella di Valois, decisa a sposarsi solo dopo la morte del padre, e così in viaggio da Madrid verso Bruxelles per andare a nozze col cugino l’arciduca Alberto d’Asburgo e con lui governare i Paesi Bassi. Pizzagalli scrive “installandosi a due leghe da Genova, nella principesca villa dei Doria a Perdese” (sic. Ma Perdese forse vuol significare Pavese). Leggere sotto, a villa Lercari del civ. 8, il viaggio di andata verso la Spagna dei reali, l’anno prima, a scopo nozze reciproche. Arrivò accompagnata da 40 galee, come all’andata, colme di cortigiani al seguito la cui presenza dovette costituire un grandioso avvenimento come anche i banchetti che ne seguirono. Fu riavvicinata durante il soggiorno da Sofonisba Anguissola che era stata sua tutrice alla corte di Madrid da appena nata, e con la quale quindi si era stabilito un rapporto affettivo assai stretto; la pittrice approfittò di quei giorni per comporre un ritratto della sposa, che poi fu inviato in omaggio al fratellastro di lei Filippo III e custodito a Valladolid ma condannato all’oblio perché – come usava allora per le opere delle donne - non firmato.
Nel 1606, con bolla datata 1 gennaio, papa Paolo V concesse che Camillo Pavese aprisse una cappella privata nella propria villa che abitava
Camillo morì a Genova il 28 aprile 1607; il corpo - portato a Savona - fu sepolto nella tomba di famiglia.col fratello Ottavio.
Nell’inverno (metà novembre) del 1707 il proprietario, mag.co Giuseppe Doria ospitò nella villa alcuni ufficiali di scorta del re Filippo V (a sua volta alloggiato in villa Spinola). Essi, avendo freddo, usarono delle porte di cantina per alzare il fuoco del caminetto, in modo così disordinato che oltre il danno intrinseco, incendiarono il caminetto stesso arrecando non indifferente pericolo all’ala del palazzo. Il re, addolorato del fatto, in atto di munifico risarcimento, graziò il proprietario di tutte le tasse, sequestri e taglie o comunque pendenti che avrebbe potuto avere in futuro nel reame: il commento finale fu ‘un incendio di lieta memoria!’. Alla fine del soggiorno, il Doria con la sua feluca accompagnò il re alla galea che lo riportò il Spagna.
Nel 1757 appartenne ancora alla famiglia, in particolare al marchese “magnifico Nicolò Doria “ (purtroppo tanti sono i Doria che vennero chiamati Nicolò, ed -a complicare - esistono omonimi, a loro volta figli di genitori omonimi. Precedente all’epoca di due secoli, il più illustre era nato nel 1525, divenuto doge. È del 1604 il monumento funebre nella chiesa della Cella, dedicato ad un Nicolò)
Nel 1751 le suore Maria Nicoletta Gatti (da oltre vent’anni dedita all’educazione –leggere e scrivere, ricamo, ecc- delle giovinette, prima a Novi L. poi a Sestri P.), Anna Colomba Merlani e Antonia Francesca Serra, tutte di Novi ma alloggiate a SestriP. cercavano di fondare un conservatorio avente lo scopo dell’educazione gratuita delle fanciulle. Furono chiamate a svolgere questa missione a San Pier d’Arena da Domenico Derchi (o D’Erchi) industre e benestante mugnaio, ricco di virtù e fortuna.
In concomitanza, anche l’abate Gerolamo Franzoni, assistito da Marcello Durazzo pensava far nascere un Collegio per raccogliere le numerose giovani bisognose di aiuto. Le due iniziative si fusero negli anni subito a seguire, creando il 3 dic.1754 la Congregazione o il Collegio delle Madri Pie.
Andarono alloggiate dapprima in una locale ‘villa Badaracco’ (ancora agli inizi del 1900, veniva chiamata ‘villa’ non una casa, ma tutto un terreno coltivo, compresa l’abitazione, curato da un contadino). Questa casa delle suore è localizzabile ove ora è il tabacchino nell’angolo tra la via loro omonima e la via A.Cantore (a mio avviso Badaracco fu il contadino vissuto parecchi anni dopo, a cavallo di quel secolo, che col suo nome diede agli storici una localizzazione quando ai tempi iniziali era pressoché tutto anonimo).
Tre anni dopo, nel 1754, con l’intervento attivo e non parsimonioso di Paolo Gerolamo Franzoni che nell’idea profuse tutti i beni necessari, si trasferirono nella vicina ed attuale sede, dopo aver disposto tutte le modifiche necessarie al loro scopo, senza per fortuna far perdere all’edificio i caratteri originari della villa signorile preesistente.
Il prete (perché il titolo di abate solitamente usato non fa riferimento ad un monastero, ma in quanto dato – a quei tempi - ai preti più distinti in cultura e pubblica importanza) in visita ogni settimana al collegio, dettò le regole base del comportamento e delle scelte; dettò come patrona la Madre Vergine SS., chiamandola ‘Sapienza’ e come modelli san Giuseppe e san Francesco di Sales; scelse come direttore spirituale un missionario, don Luigi E. Ottaggio; protettore il marchese Marcello Durazzo, cugino del Franzoni e poi doge.
Nel 1764 la villa ed il terreno, divennero proprietà dell’abate Paolo Gerolamo Franzoni
sac. PG.Frazoni stemma di famiglia stemma OperaiEvangelici
Della famiglia patrizia –con lontane ascendenze svizzere- vengono ricordati il doge Matteo (1682-1767); Maria Brigida, vissuta nella metà del 1600, molto donò all’oratorio di s.Filippo Neri perché conservasse musica religiosa; Agostino di Anfrano (1614-1705) il quale fece costruire una cappella gentilizia nella chiesa di s.Carlo; Gaspare che comprò dai Lomellini il bosco di Camaldoli e dell’eremo ivi costruito ne divenne il gius patrone; uno zio Giacomo divenuto vescovo; un altro zio paterno omonimo (1619-1704, pure lui abate, promotore della prima -e quindi più antica- biblioteca cittadina, senatore-governatore-procuratore, ascritto alla nobiltà nel 1622 con tutti i numerosi fratelli tra i quali altri 2 cardinali); uno zio Domenico militare contro i turchi. Altri avi, tutti ricordati perché generosissimi.
Dei genitori, il padre marchese Domenico abitava un severo palazzo in piazza Serriglio a Luccoli (valoroso combattente della Repubblica genovese- assai spesso inviato come ambasciatore: infatti morì a Vienna quando il Nostro aveva 20 anni). La madre fu la nd Maria Maddalena DiNegro (la quale generò sei figli: un fratello maggiore deceduto in tenera età; quattro sorelle delle quali tre divennero monache ed una andò sposa a GianFrancesco Spinola; ed infine il Nostro, ultimogenito).
PaoloGerolamo. Nato a Genova il 3 dic. 1708 – morto il 26 giugno 1778 (altri dicono erroneamente nato a settembre; o morto il 14 febbraio).
Dopo aver studiato con un istruttore privato, a 15 anni fu inviato nel ‘Collegio dei Nobili’ di Modena, che godeva fama di severità e celebrità: ci restò per 7 anni, tornando a genova 22enne nel 1730: unico successore dei non indifferenti beni familiari, iniziò a frequentare salotti e feste come conveniva ai nobili seppur studiando Legge, quanto bastava per gestire il patrimonio (lo zio abate, sognava donargli in eredità la sua abbazia se avesse accennato darsi al sacerdozio: ci rinunciò ed accettò che la carica andasse ad altro nipote prete). Invece la frequentazione con il march. Gerolamo Spinola (frequentatore della congregaz. dei missionari –chiamati anche Lazzaristi- di s.Vincenzo de’ Paoli che a Genova era già cento anni operavano in zona Fassolo-DiNegro) gli fece cambiare idea: dapprima accarezzando l’idea di farsi pure lui missionario (in Romagna non fu accettato dai ‘Signori della Missione di san Vincenzo de’Paoli” per interferenza della madre che non gradiva la scelta), poi decise studiare e prendere i voti sacerdotali, sempre contro il parere della madre che vedeva così estinguere il casato.
Fu ordinato sacerdote (secolare), a Roma, per mano del card. Guadagni. Per un pò rimase nella capitale, approfondendo temi di teologia scolastica, morale e catechesi. Infine nel 1736, rientrato a Genova andò prima ad abitare in via Fassolo presso la Casa della Missione e poi nel palazzo avito. In virtù delle sue doti umane, fu eletto rettore dell’‘Ospedaletto’ degli Incurabili, vicino a Pammatone e quindi, di conseguenza assistente sia dei giovani studenti di medicina, chirurgia (detti popolarmente ‘barberotti’), sia degli infermieri curando venisse praticata anche una più intensa assistenza religiosa (predicazione, confessione, s.Messa, ecc.). Di carattere energico, deciso ed inflessibile, affrontò serenamente tutte le difficoltà, finché lo zelo superò le forze fisiche, cosicché fu obbligato dai medici a lasciare l’incarico. Forse concomita una condanna all’ esilio per quattro anni, per aver agito contrario alle direttive del Governo in un caso politico.
Per poco, sufficiente a riprendersi e maturare nuove idee per giovani (un circolo filologico per insegnare le lingue estere; una scuola di matematica; un principio di ateneo) e -1740- per ecclesiastici ( chiamati dapprima evangelizzatori dei poveri. Assieme a sei giovani, iniziarono con i portuali, facchini, barcaioli, garzoni, postiglioni invitandoli ad esercizi di preghiere, partecipazione ed istruzione religiosa e... donazione economica). Vista l’ampia partecipazione di popolo, decise il 5.2.1751 la fondazione del “Collegio –o congregazione- degli operai evangelici” (persone dedite all’assistenza materiale ed istruzione religiosa dei lavoratori e dei poveri. Segiuendo le tracce di s.Francesco di Sales, per testamento divennero gli eredi della biblioteca purché la tenessero aperta con gli orari da lui fissati. Nel 1809 la Congregazione fu soppressa dal governo francese, reintegrandosi nel 1815 alla Restaurazione. Nel 2007 sono una quarantina di preti facenti parte della congragazione, presieduta da don Giuseepe Cavalli).
Divenne così poliedrico iniziatore di filantropiche attività sociali ed innumerevoli iniziative, tutte fonti di immensi travagli e di infinite spese, che il sacerdote onorò sempre attingendo alle sue proprietà. Per distribuire meglio gli impegni, istituì varie ‘Accademie’ sempre mirate ad incrementare la cultura non solo religiosa ma anche letteraria e culturale in genere. Così, come particolarmente interessanti e durature, vengono ricordate: fondatore ed assistente spirituale della congregazione di N.S.Addolorata per gli studenti di medicina; quella dei SS cuori di Gesà e Maria (fatta di artigiani con lo scopo di aiutarlo in particolare con i bambini); fondazione della “puer Jesus” (dedita alla raccolta, assistenza morale e materiale di bambini figli di carcerati e poveri in genere); apertura della “biblioteca” detta Franzoniana (nata nel 1757, seconda in città e poco prima di quella dell’abate Berio; dapprima come privata nel primo piano del palazzo Verde in Strada Nuova già dei Lomellini; poi aperta nella villa avita a beneficio di tutti gli studiosi, ancor oggi in servizio, bellissima, apprezzata dai concittadini e forestieri; per lui era vanto non possedere pochi ‘pezzi rari o sontuosi’ quanto libri che potessero essere utili e leggibili da molti in ogni campo della scienza ma in particolare quella medica. Dopo la morte del fondatore, fu trasferita in s.Ambrogio lasciata vuota dai Gesuiti i quali però nel 1816, ritornando, la fecero sgomberare dal loro palazzo. Andarono nel palazzo di via Giustiniani, quando già si contavano 22mila volumi. Allo scopo essa doveva essere aperta per molte ore al giorno, sempre a disposizione per studiare anche per chi lavorava, tipo dalle quattro del mattino a mezzanotte, di domenica e festivi compreso Natale. Fu lasciata in eredità -accompagnata da pingue lascito per rinnovamento e ristoro- alla Congregazione degli Operai la quale per una ventina d’anni riuscì a mantenerne gli impegni addobbandola anche di una statua del fondatore scolpita dal carrarese Carlo Cacciatori. Negli anni 1990 fu riattivata nelle sale del palazzo del Seminario in via Fieschi da don Claudio Paolocci, ove rimase per una decade d’anni fino ad un ultimo trasferimento in via Madre di Dio, nella sconsacrata chiesa seicentesca che aveva dato il nome alla strada, e dove risiede ora, dopo essere stata chiusa fino al completo riordino ed inaugurazione il 10 dicembre 2008).
Caratteristico il generoso aiuto finanziario silenzioso ed anonimo dato per la conversione degli infedeli; per i condannati a morte; per tante iniziative di cultura; ma soprattutto al sacerdote Paolo Garaventa, da Uscio per le scuole popolari (definito sacerdote di scienza ma povero, a cui diede i fondi per aprire la sua opera ‘Scuola di Carità’ ed a cui lasciò l’onore di tutti gli alti riconoscimenti sociali).
A metà febbraio 1778 una malattia debilitante lo costrinse a dolorosa ed irrecuperabile degenza; fu operato tre volte agli arti (probabile cangrena). L’abate Franzoni morì il 26 giugno 1778, nella sua casa avita, e la salma fu ospitata nella chiesa dei Rimedio in via Giulia e poi tumulata nella cappella familiare in Santa Maria di Castello; la tomba, spostata per ristrutturazioni, fu maldestramente perduta assieme ai sarcofagi dei familiari ed ai marmi: solo la lapide, ornata dello stemma e dallao scritta (“hic jacet – Paulus Hieronimus Franciscus Franzoni – natus 3 dicembris 1708 – obiit 26 junii 1778”), ritrovata accatastata assieme ad altre, fu posta nel pavimento della chiesa di santa Marta.
Alle tre suore promotrici, si erano poi aggiunte altre volenterose e cooperatrici, divenendo -appunto come nuove mamme- la “ Congregazione delle Madri Pie”; vestivano un abito religioso e seguivano le regole dettate da san Francesco di Sales, vescovo di Ginevra; e furono dette per il fondatore le “Franzoniane“.
Il loro operato e regolamento fu ufficialmente approvato dall’arcivescovo mons. Giuseppe Saporiti il 26 nov.1764; ed il 22 giu.1767 anche dal doge genovese Marcello Durazzo, appena eletto; fu infine confermato dall’arcivescovo mons. Lercari e dal papa Benedetto XIV il 5 apr.1768.
Nel 1771 morì suor Nicoletta Gatti, quando vi già erano 9 suore, sette converse e 24 fanciulle mentre le altre due suore mancarono rispettivamente nel 1812 e nel 1790, lasciando l’opera in condizioni assai fiorenti. Cosicché fu logico cercare di ampliarsi e migliorare.
Nel 1799, il 19 giugno, il ministro dell’Interno Baratta, scrisse al municipio di San Pier d’Arena, affinché provvedesse a rifornire di grano e cibarie le 60 religiose presenti, comprese le figlie del generale Rusca presenti in educandato. Dopo poco iniziò l’assedio a Massena, e le cose non andarono certo migliorando.
Nel 1822, consacrata dall’arciv. Luigi Lambruschini, venne completata la chiesa, disegnata da A.Scaniglia. Il 23 gennaio di quest’anno era stata ordinata suora franzoniana MariaRosa, sorella di Giuseppe Mazzini, dopo un periodo di prova di 3-4 mesi. Ma un male inesorabile, l’anno dopo le troncò la vita; nella cripta della chiesa è conservato il corpo; una piccola ed umile lapide ricorda «soror in via matris – Maria Rosa Mazzini – obiit Die 31 Decembris A.N.S. 1832 – Aetatis suae 26 – Vocationis 2». Nel 1829 entrò nel pio istituto anche AnnaMaria Mazzini, fu Francesco, cugina di Giuseppe, nata a Lavagna ma vissuta nel nostro borgo; vestito l’abito nel settembre, fu eletta superiora nel 1868.
Il Direttore, don Giacomo Bovone, con lettera del 25 agosto precisò al sindaco Canale Vincenzo che le suore non rappresentano un monastero religioso, ma una vera scuola (con allieve interne ed esterne, nobili e poverissime) e casa di educazione (come voluta dal fondatore); ove si seguono le regole di san Francesco di Sales; ed è rappresentata da 16 Madri, 8 aspiranti, 4 associate, per 30 educande; più 12 faccendieri e 6 aiutanti.
Dal 1826, l’Ordine delle Franzoniane si estese anche con istituti in Piemonte (ad Ovada andarono a dar vita ad una colonia, tre madri di SPd’Arena) ed a La Spezia.
Nel 1884, direttore don Domenico Olcese, scrittore di un opuscoletto narrante la storia della fondazione, vi erano 22 suore ed 8 converse.
Nel 1935 venne costruito il lungo corpo prospiciente via A.Cantore; questo essendo unito alla villa, forma in tutto un volume ad L racchiudente quello che rimane del giardino. Posta su un terreno inclinato, ha una struttura alla base tendenzialmente irregolare, tale da aver lasciato pensare alla costruzione su un edificio preesistente.
Nel bombardamento del 4 giu.1944, subì varie lesioni interne ed esterne, con parziale rovina del tetto.
Dal 1955 il complesso è vincolato e tutelato dalla Soprintendenza per i beni architettonici.
La facciata che dà su via Daste, ha al 17r una nicchia con Madonna votiva. Sembra la Madonna di Savona in quanto ai piedi ha, alla base una pecora ma manca il pastore; e sarebbe in sintonia con i Pavese.
Al piano nobile si vedono i segni della loggia, tamponate, che prendeva tutto il piano (probabilmente con vista a mare)
Le altre due facciate, vedi alle rispettive strade
L’interno ha alcune sale decorate (con episodi biblici, e paesaggi racchiusi nelle lunette e circondati da grottesche, affrescate nel 500 dalla bottega del Calvi (la famiglia ebbe inizio nel 1400, da Marciano, immigrato lombardo; pittori illustri furono i due suoi figli Lazzaro morto a 105 anni nel 1607, e Pantaleo morto 99enne, ambedue allievi di Perin del Vaga; il secondo oltre a produrre molto di suo, aveva preso a lavorare con i figli Marco Antonio, Aurelio, Benedetto, Felice, autori di affreschi giudicati mediocri, non certo della qualità del padre e dello zio; Aurelio o Felice decorarono nel 1584-5 ad affresco il palazzo Doria oggi sede della Prefettura); nel refettorio si può ammirare una tela del genovese Bernardo Castello (1557-1629), raffigurante la Madonna con il Bambino, san Giovanni e santa Caterina da Genova . Molto usata è l’ardesia, sia nei dettagli che nelle decorazioni più importanti.
dal giardino: ingresso affrescato e portale finemente intarsiato
sotto - affresci nei soffitti:
e quadri:
La torre è senz’altro la più bella e ben tenuta della città. Presumibilmente già preesistente alla villa; vi è unita alla base tramite un breve corpo fatto ad archivolto, con vicino sia una cisterna per l’acqua che un bagno a forma ottagonale, alle cui pareti si aprono pregevoli nicchie a conchiglia. Nell’interno una bella scala a due rampe e con le volte a crociera, porta alla parte alta terminale, caratterizzata da un massiccio sbalzo.
Una seconda piccola torre è posizionata sulla sommità del palazzo, a levante di un muretto con campane; sarà di poco più di un metroq. con merlature ghibelline a nido di rondine.
Il giardino è rimasto, ma gli orti sono stati “divorato” da via A.Cantore e dalla lottizzazione a monte di essa, così da prospettare l’insieme della villa direttamente sulla strada. Il giatrdino era costruito con aiole e siepi disposte con regolarità all’italiana, pavimentato a ciottoli e con uccelliera; gli orti, a verdure e frutteto con prevalenti aranci e limoni, si estendeva assai ampio verso monte, ove si concludeva con un boschetto selvatico al limite della abbazia di san Giovanni Borbonoso.
Il ninfeo, detto grotta Pavese, si apre nel giardino; anche se in parte ridimensionato e quasi nascosto: è uno dei più belli e pregevoli esempi di tale fattura, presumibilmente ispirati a quelli genovesi dell’Alessi; da Furttenbach (1627) fu definita “la grotta più nobile ed elegante che si possa vedere in tutta Italia”, completamente arredata con strutture ricche di messaggi simbolici, celebrativi ed augurali per le prossime nozze la grotta fu un elemento fondamentale e caratteristico dei principali giardini genovesi nel periodo tra il XV e XVI secolo; per gli aristocratici era rappresentativo di ambiente archeologico naturale, immerso nell’ambiente riposante del giardino; doveva esprimere in lettura simbolica la ricchezza, il potere economico, l’ esibizione di materiali preziosi e raffinati.
All’archivio di Stato, un manoscritto descrive il dialogo tra due aristocratici dell’epoca, che definiscono la grotta come l’apice e completamento di tutte le comodità e contentezze dell’individuo: per il bel mondo di allora, la grotta in giardino, con le fontane ed i giochi d’acqua rappresentavano il sommo piacere della vita (e Genova, come Roma ed in Francia Fontainebleau, erano i centri di diffusione della moda, sino alla fine del XVI secolo).
Concepito da Cesare Pavese in occasione delle sue nozze con Maria Doria fu costruito nel lato a monte del giardino prospicente alla casa, nel 1594 circa in struttura interamente fantasiosa (dietro al quale proseguiva la propietà coltivata a orto. Oggi rimane sotto la terrazza posta sul lato nord del giardino, sul cui retro scorre via A.Cantore) in maniera da far dimenticare che si tratti di ambiente artificiale, ed inserito in una struttura costituita da un loggiato ornato di statue, che sbarrava in modo magico l’accesso al vasto giardino orti e boschi soprastanti sulla collina e creava il contrasto tra la natura governata dall’uomo e quella spontanea selvatica. Si suddivide in: il prospetto esterno, appare con tre fornici attorniati da grappoli di stalattiti e di finta roccia, che contornano l’entrata, con cariatidi femminili in pietra, ornato di protomi leonine e femminili in marmo: vuol dare l’idea iniziale dell’entrata in un mondo ove la natura è fantasia, magicamente e sorprendentemente bella (è stata definita “una Disneyland del 1500”!).
fornice dell’ingresso principale, con due laterali a terrazzo
È seguito da un atrio tripartito, interamente rivestito di decorazioni a mosaico composto da più vario materiale: sulla volta delle due laterali, iscritte in cartigli si vedono le figure allegoriche dei quattro elementi fondamentali: aria e fuoco a sinistra, acqua e terra a destra (allegoricamente i materiali per generare naturalmente nuove vite, in previsione del matrimonio); e sulla volta a crociera della campata centrale si vedono quattro figure femminili abbigliate con vesti policrome ed in atteggiamento di suonare viole, chitarre e liuti (sono state riconosciute come simbolo del ruotare e
pianta – da Furttenbach, 1627
trascorrere delle stagioni, raffigurandole come le “Horai” cioè le 4 stagioni, volutamente poste all’ingresso quasi a saluto e custodia del visitatore, e nell’atto festante di invito -con il loro fare dolce e soave- ad accedere ai misteri della fonte interna circondata ed inclusa nel variopinto microcosmo della grotta; altra interpretazione le vede rappresentative delle Grazie, con chiaro riferimento alle prossime nozze della giovane Doria, in atto allora di buon augurio di amore perenne e di felice corredo della vita futura).
Otto pilastri - con erme d’ambo i sessi circondati da ninfe e satiri (interpretabili come elementi fantastici e vitali della natura)- sorreggono una cupola (raffigurante soggetti delle “metamorfosi di Ovidio”: sono facilmente riconoscibili Atteone (trasformato in cervo da Diana, perché osservata mentre si bagna), Salmacide ed Ermafrodito nella fonte miracolosa; a significato simbolico del rispetto della religiosità e della natura): nell’alto tamburo campeggiano riquadri e paesaggi che ripropongono il panorama di Genova e Savona, luoghi di origine delle due famiglie (in una veduta si può scorgere la fortezza Priamar, a ricordo di una operazione economica di Camillo, che doveva dare avvio alla erezione della cittadella sul molo), ed immettono oltre le loro arcate nella stanza ottagonale centrale, con sei nicchie attorno, ricche di concrezioni calcaree e stalattiti, tutte ornate da conchiglie e rifugio di fantastiche creature delle grotte; e -nella centrale più profonda, la statua di Nettuno; attorno alla parte centrale, sfavillante per le decorazioni policrome, corre un anello d’acqua come a specchio dell’immagine del soffitto; le pareti sono rivestite da mosaico composto da coloratissimi ciottoli, conchiglie, ceramiche, tali da formare delle grottesche molto decorative, tipiche dell’epoca manieristica (a simbolo della natura, che è selvaggia, non umanizzata,come un eden, animata fantasticamente, però bella, colorata, vivibile e ricca di virtù generative, seppur soggetti alle trasformazioni delle stagioni, del tempo in senso lato, ed in un clima di soggezione, di rispetto e di forti stimoli). Fajella scrive che “nel fondo, distrutte le prime statue rappresentanti divinità pagane, sorge ora, fra stalattiti e stalagmiti, la statua della Madonna di Lourdes con la Santa Bernadetta”.
L’intera struttura appare quindi come una grande meravigliosa rappresentazione simbolica, di natura selvaggia, magia, e stupore; ma anche una esibizione di oggetti rari e preziosi, una ostentazione di ricchezza e di potere in genere. La pianta ottagonale della grotta è giudicata quale messaggi: da un lato, l’architettonico, perché è il lavorato più vicino alla perfezione del cerchio, dall’altro al significato di un committente intellettuale, esteta, raffinato colto ed aggiornato.
Via delle Franzoniane – via Gioberti.
===civ 17r: una lapide ricorda che “É VIETATO IL TRANSITO /
DEI VEICOLI E QUADRUPEDI / IN DIREZIONE DI GENOVA”.
=== civ.11.13.15 la lunga fila di piccole case poste a monte (che iniziano con il 19r e finiscono con il 41r), di fronte a villa Crosa, sono state restaurate nel 1998-9 con la facciata amabilmente dipinta a balconcini, posti a decoro di ogni finestra.
Nelle vicinanze del civ. 19r, dove ora è un bar, viene ricordato che negli anni 1920 c’era l’osteria detta “del Meneghin”, con l’orto dietro, raggiungibile con leggera scalinata posta a fianco di salita san Barborino che appunto lì nasceva; vi era a lato un gioco bocce e giardino con bersò. Forse qui era un teatro estivo -perché in posizione non precisata ed inaugurato il 13 ago.1905- all’aperto, posto nel giardino della sede del Circolo Socialista, chiamato TEATRO ARTE MODERNA. A fine di quell’ anno, si provvide a chiudere il giardino con una vetrata –ciò però non combacerebbe col ricordo del bersò- creando un vasto salone con palcoscenico su cui compagnie filodrammatiche, gestite dai circoli socialisti potevano esprimere la loro arte, anche se pubblicizzate però quasi solamente dalla stampa di partito. Di esse, più assidua nelle presenze fu quella gestita da Emmanuel Gatti: il nome della cui compagnia ed il nome stesso del teatro, sono identici a quelli realizzati in Milano nel 1894 e anche là popolarmente chiamati “ del Meneghin”, come l’osteria. Nel 1913 subì un incendio; ma l’attività continuò sino alla soppressione delle organizzazione operaie e quindi anche delle loro sedi ad opera del P.N.Fascista,
===civ. 37r c’era negli anni ’80 la Tintoria Svizzera dei f.lli Garibaldi (uno, Giuseppe, abitava al 15/1; tintoria, lavanderia a secco e vapore, stiratura a vapore, impermeabilizzazione).
===civ. 41Ar Alla fine della strettoia, a monte della strada, subito dopo uno degli ultimi paracarri rimasti (di fronte ad ove ora è la lapide a Pieragostini, terreno corrispondente quindi o al Palazzo Centurione o a villa Ronco), è un cancello che dà adito ad un’aia recintata che ha molta storia: prima conosciuta, corrisponde alla zona ove nella carta vinzoniana del 1757 alla lettera D era la chiesa con oratorio di s.Antonio, degli Agostiniani (che dava nome a quel tratto stradale e che si descrive in via sant’Antonio. Non appare citato dal Remondini); per seconda, pare sia stata qui (o un po’ più a ponente, di fronte a villa Bagnara) la prima sede del Partito Fascista (dove erano delle ‘stalle’; vedi sotto, al civ. 87r; prima di trasferirsi in via Mameli all’Universale); terza permangono delle baracche in legno (potrebbero essere le stalle) le quali, a detta di un abitante, erano deposito e spogliatoio dei muratori che hanno eretto il palazzo che si apre in via Cantore il quale è rimasto incompiuto nel suo lato a sud, perché era previsto farlo arrivare a via Daste demolendo le casupole; esse non furono demolite ed il palazzo è rimasto come incompleto.
via Agostino Castelli
===civ. 19. il civico fu soppresso per demolizione, nel 1970.
Praticamente, dall’intersecazione di via A.Castelli, la parte a monte non ha più civici neri sino in fondo alla strada.
===civ.43r inizia in angolo il palazzo (che finisce col 51r), è dal 1970 circa è occupata da un negozio di giocattoli Gigagiò ‘inventato’ – e per lunghi anni gestito - dalla signora Vera Ballerino in Frugone (figlia del Ballerino Giuseppe autore di numerosi libri di briosi versi in genovese e moglie di Frugone, erede del proprietario del cinema Splendor).
Segue il retro del palazzotto ex Banca d’Italia, oggi Banca popolare di Novara che in via Daste non ha civici di nessun tipo. Questo palazzo, fu costruito nell’angolo a mare e di ponente del giardino della villa Serra-Doria-Masnata (vedi via A.Cantore) che arrivava sino alla nostra strada; quindi prima di esso (dove è lo stacco che lo separa dal palazzo precedente) corrisponde a dove erano i cancelli della villa su detta.
E probabilmente, alla fine ovest del palazzo, anche quelli della villa DeMari-Ronco descritta in via Nino Ronco.
Supportati dal fatto che, ancora oggi, lo spazio di questo stacco è diviso a
metà: a est un cancello, dietro il quale inizia una strada che porta a dei box posti sotto il palazzo; a ponente un altro cancello chiude uno spazio di competenza del palazzo ex Banca d’Italia.
===civ 23 fu abbattuto nel 1958. C’era infatti un altro palazzo di stile fine 800, primi 900(vedi ↓ foto) a quattro piani, rialzato a cinque, compreso tra via G.Masnata a levante e via Giovanetti a ponente.
Nelle due foto↓ superiori: La facciata principale era a sud, verso via Daste, dove esisteva il portone. Quella rivolta verso nord e quindi verso via A.Cantore – è chiaramente squallida e povera (finestra e relativa finestrina del cesso – il quale assai probabilmente aveva la porta in cucina) rispetto quella che ‘dava’ sulla strada principale; ha in basso vicino a via Giovanetti una latteria; e a sinistra le réclame dei film (‘Vestito strappato’ e ‘La civetta’) La proiezione di questi film e la targa dall’auto parcheggiata in – allora - via G.Masnata, orientano la foto degli anni 1960. A sinistra della foto, sullo sfondo, si vede il palazzo il cui portone è in via Giovanetti e, su via Daste ha i civici 70r.
Esso fu demolito e in poco tempo riedificato, con portone in via A.Cantore civ. 32A.
===civ. 55r Nelle due foto↓ inferiori: la réclame del vinaio e, dove ci sono delle persone, c’era la friggitoria, torte, farinata di Cascian; che poi alla demolizione del palazzo si spostò nell’angolo di ponente di via Giovanetti; che fu rilevato, e ancora c’è nel 2012, dal pastificio Bovio.
a levante del portone, d’angolo, c’era un bar
vinaio Carezzano o Cascian
Oggi, lo stacco di strada di levante al palazzo, che si apre in via Cantore e rimane interposto con l’edificio dopo la ex Banca d’Italia (ora Banco di Novara), appartiene a via Daste. In questo successivo palazzo ci sono sulla strada solo negozi; il primo di essi, posto in angolo con la grande via, porta questo numero 59r; ad esso seguono le sottocifre A, B, ecc. sino alla G di un negozio di scarpe, ultimo di via Daste ed in angolo con:
Via Giacomo Giovanetti
civ. 61r Nel palazzo successivo, d’angolo c’è Chiurchi, vecchio negozio di macchine fotografiche (un primo negozio ricordo fu in via S.Canzio, poi in via CRolando presso il tunnel, ed infine qui), cannocchiali ed articoli similari.
Al 67r c’era un armaiolo (nel 2007 è vuoto; 2010 profumi); finisce col 75r.
Segue uno stacco senza titolazione propria, con piccolissimo corridoio slivellato che porta in via A.Cantore; e due inizi di una strada, sfruttati dal fioraio di via Cantore.
Il palazzo successivo ha civici che vanno dal 79r all’85r.
===nel rientro corrispondente al civ. 87r, raccontano che anticamente c’era una stalla –probabilmente di una villa. Forse allora è in quei locali che nacque nel 1922 la prima sede del Partito Nazionale Fascista (vedi sopra, al civ. 41Ar), creata da soci dell’Universale che avevano abbracciato da subito la via politica dettata da Mussolini.
Segue un cancello per un rientro privato, che separa il palazzo (36 di via Cantore) successsivo, che ha civici dal 95r di un tabacchino, al 101r di TipToe scarpe.
Via della Cella
Segue, sino alla fine della strada, il retro dei civv. 42 e 44 di via A.Cantore, che ha solo quattro civici rossi, dal 103r al 109r. Via Daste finisce sbucando in
Via Antonio Cantore
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