GOZZANO                                              largo Pietro Gozzano

 

 

TARGHE:

Largo - Pietro Gozzano – 6-9-1922 – 28-10-1990

 

centro dei giardini

 

ovest, sul muro della proprietà Franzoniane

 

QUARTIERE ANTICO: Limite tra Mercato e Coscia

 da MVinzoni, 1757. Il piazzale sottostante la villa.

 da Pagano/1961

CODICE INFORMATICO DELLA STRADA – n° 30775

UNITÀ URBANISTICA: 26 - SAMPIERDARENA

 da Google Earth, 2007

CAP: 16149

PARROCCHIA :  NS sM delle Grazie

   Una striscia di spiazzo, orizzontale al mare, sottostante l’antica villa, racchiusa tra la via N.Daste e l’entrata della villa stessa, a ponente della via D.Chiesa fino al confine con le suore Franzoniane, il giorno 23 marzo 2002 è stata ufficialmente dedicata al medico sampierdarenese.

Nel commento inaugurale, si è cercato un parallelismo di collegialità tra O.Scassi e P.Gozzano, ambedue medici.

il Largo

 

Ogni anno vi viene svolta la rassegna-mostra dei “cani fantasia”.

   2006 – i vincitori, con l’assessore Calvi

 

 

CIVICI

2007 – NERI   =  da 1 a 5

 

   Ai due estremi est-ovest del Largo, sono due corpi scolastici limitanti lo spiazzo con aiole, posti ai fianchi della villa Imperiale-Scassi. Furono eretti subito dopo l’acquisto della proprietà da parte del Comune di San Pier d’Arena. 

   Ambedue vincolati dalle Belle Arti

   Sulla facciata di entrambi, oltre alle titolazioni, spicca in alto un grosso stemma col  sole nascente,  simbolo della città.

 

civ.1= L’edificio più ad est è dedicato (anno 2000/1) scuola elementare  Giuseppe Mazzini” attualmente con indicazione di “direzione didattica Ge 34-Sampierdarena”; la scuola elementare ha diritto allo spazio a monte dell’edificio (campetto il via Cantore); 


civ. 3= è la villa. Viene descritta sotto↓, per ultima, essendo di più lunga descrizione.

Nel retro a monte, prospiciente via Cantore, un opuscolo della Circoscrizione vi segna la sede dell’associazione Ansaldo; ma detto solidalizio ha gestito solo il campetto da tennis sino agli anni 2008-9.

civ.5= quello ad ovest, dedicato alla madre Maria Drago Mazzini.  Come il civ.1, hanno ospitato vari istituti scolastici; attualmente la targa indica che al civ.5 c’è una succursale del liceo Linguistico.


 


Maria Drago Mazzini - Miniatura al Museo Risorgimentale



   Nel 1934, in piena era fascista, fu messa all’ordine del giorno una delibera comunale col fine di donare le due aree ‘a nord dei fabbricati scolastici e fronteggianti via Carducci, per la costruzione della casa del Balilla, a cui si concedeva anche -per 29 anni- l’area tra loro interposta’: evidentemente -e per fortuna- non se ne fece nulla.

 

===civ.13Ar: Posto sul fianco a ponente della villa Scassi, dagli anni 1960 (e forse anche prima) c’era la sede dell’Unione Sportiva Sampierdarenese “1946”: società sportiva non controllata dal Coni, che aveva anche funzione di bar e circolo. Una volta aperto lo stadio Morgavi la società Sportiva si trasferì), e della CFFS Landi Sampierdarena”.

 

 

anni 1960 - sede della US Sampierdarenese

Sostituita dall’attuale “Circolo ARCI  ‘La Bellezza’ la quale nel 2010 offre sede per segreterie e incontri sociali ed anche conviviali, a tre società sportive: “G.S.D. Culmvpolis Genova(con oltre 600 soci, molti della polizia e dell’assoc. contro il Neuroblastoma. Un pulmino proprio, porta i ragazzi ad allenarsi al campo sportivo DeMartini di Begato, collaborando con la USCalcio Cella)AACV (dal 2008, “Associazione Amatori Cella Volley”. Nata nel 1977 dal nulla è risalita fino alla serie B2 nazionale nella quale, con alterne vicende ha militato anche nel 2007 col nome “Ecologital Aacv-polis” ed  hanno il campo di gara al CentroCivico.È dal 1999 che fa parte della Polisportiva Polis, che riunisce altre società del ponente come il Palagym ed il donBosco, a sua volta iscritta nella FIP (Feder.Ital.Pallavolo). Presidente 2008 Ubaldo Fini;  ed il “CFFS Polis DLFerroviario (dal 1967 organizza attività sportive andando al di fuori dei risultati ma indirizzati all’insegnamento dei valori)”. 

Il Circolo propone manifestazioni canore, danzanti, nonché ospita l’”assoc. Donne insiemedove solo donne fanno attività motoria, socializzazione della terza età; il CIV (centro integrato di via; presieduto dall’orefice Mango); un laboratorio musicale (con corsi di ballo); e si spera gestirà i campetti a nord della villa.

===civ. 15r  a ponente del civ.5 un cancello dal marzo 2005 apre alla sede della Sarda Tellus (già in via s.Luca), associazione che dal 1956 aggrega i sardi di Liguria e che occupa il piano inferiore sotterraneo dell’edificio (il cui piano terra infatti è un po’ sopraelevato e raggiungibile con una breve scala davanti al portone).

La sede è stata restaurata a spese degli oltre 17mila trasferiti o comunque con radici sarde (si riferiscono contatti con altre 65 sedi corrispondenti a  350 mila nel ‘continente’ e con 160 sedi per gli 800mila all’estero). Stampano a Cagliari il mensile “il Messaggero sardo”; concedono sconti ai soci per viaggi nell’isola; organizzano aggregazione culturale e tradizionale.

Associazione che cerca di mantenere i contatti con le tradizioni, le cerimonie e pratiche burocratiche (biglietti dei traghetti, ecc.) di tutti gli isolani che abitano nella zona ligure.

 

Sarda tellus - entrata                                                                      foto 1906

 

=== civ. 3  è il grandioso edificio degli Imperiale ( poi del conte O.Scassi):  la più  imponente della città, definita artisticamente “ la Bellezza” o comunemente la villa IMPERIALE-SCASSI.

Per queste sontuose ville che le potenti famiglie genovesi vollero costruirsi nella riviera, occorre che il lettore riesca ad immedesimarsi nei tempi in cui vennero ordinate: i dettami della moda ( in cui si innesta la persona giusta nel momento giusto, l’Alessi : un illuminato architetto che seppe dare un volto nuovo, originale e raffinato all’estetica ed alla funzionalità delle costruzioni)  associati alle enormi disponibilità economiche di pochi che, in traffici -marittimi e non- con la Spagna, erano entrati nel giro dell’oro; il loro bisogno di evidenziarsi per aspirare a cariche pubbliche di potere;  la necessità di possedere un ‘luogo di fuga’ vacanziero, possibilmente vicino, visto che era da raggiungersi in carrozza o in barca, ma sufficientemente distaccato come era il borgo; non ultimo un posto dove poter dar libero sfogo alle fantasie di divertimento, quando il Senato in città aveva vietato gli sfarzi ed i grossi festeggiamenti; il basso costo della mano d’opera in genere, e di tutto ciò che è artistico in particolare appreso dai contatti che questi personaggi avevano cn tutte le corti europee ma anche in tutta l’Italia (Venezia, Firenze, Roma, Napoli, Palermo) 

  Fu eretta tra il 1560 e 1563, utilizzando pietre tratte dalle cave vicino alla Lanterna, per ordinazione della nobile famiglia Imperiale (vedi a vico Imperiale) ed a villa Serra di via Daste, governata allora dal principe Vincenzo, figlio di Michele e molto probabile committente (per notizie sulla famiglia, vedi a vico Imperiale. Vincenzo in particolare a Genova si era fatto erigere un’altra villa in Campetto ed un’altra a Lavagnola (SV). Alla sua morte -8 dic.1567- fu stilato un inventario delle suppellettili esistenti nella casa capaci di dare idea della sobrietà e ricchezza delle dimore: mobili liguri e di  Fiandra (come letti, tavoli, bancali, sedie: ‘carreghe’, distinte da uomo, da donna e miste); forzieri, gioielli, tessuti pregiati, ecc.); e poi dal figlio Gio Giacomo (Il 25 aprile 1617, questi venne eletto doge; nell’orazione encomiale fatta da Pasquale Sauli,  si fa cenno alla villa ed ai giardini, abbelliti ed ingranditi dallo stesso. Fu sepolto in san Siro. 

 

   La primitiva e tradizionale attribuzione all’architetto Galeazzo Alessi da Perugia (le cui capacità e realizzazioni si concretizzarono in Genova nell’erezione di ville maestose e concepite con stile innovativo, specie la Giustiniani-Cambiaso in Albaro), viene oggi ad essere esclusa perché accertato che in quegli anni il perugino era in Lombardia. Rimane quindi di lui la lezione tecnico-stilistica impartita agli allievi che riportarono la sua scuola in una realizzazione di alto contenuto artistico e, come dice il Ratti, “oltremodo deliziosa, e vasta, ornata anch’essa con gusto squisito di viali nobili, fontane bellissime e giardini molto vaghi, ed ameni”. Descritti dagli esperti, diventano evidenti, rispetto alle ville personalizzate dall’Alessi, una certa pesantezza e la eccessiva -ma meno fantasiosa- decorazione del fregio superiore tipica del gusto di tempi successivi.

 Ritrovati i contratti stilati per la costruzione - seppur ricalcando a pieno le forme dettate dall’ Alessi - si da con certezza il nome dei capi dei lavori,  quelli che in data 1560-3, ebbero scritto l’incarico di edificare: i fratelli Giovanni e Domenico Ponzello (quest’ultimo - Magnani dice che era il padre - in quegli anni appare essere frequentemente fuori Genova, anche se forse fu il maggiore progettista sicuramente ambedue costruttori anche del grandioso parco retrostante.

Alizeri li chiama Ponsello, pressoché tutti ‘capo d’opere’, qualcuno architetto; dice che Giovanni fu il capostipite proveniente da Caravonega della val d’Oneglia – oggi Caravònica, Imperia, a 360 slm, sul torrente Impero - con un figlio (di cui non conosce il nome). Da quest’ultimo nacquero Tomaso e Sebastiano e da loro una intera progenie di nomi uguali per cui lo stesso Alizeri rinuncia a capire; molti falcidiati dalla peste;  Domenico non lo cita = potrebbe essere il figlio di cui non conosceva il nome; e neppure li segnala a lavorare per la nostra villa).

   La manodopera impiegata nella costruzione di una villa, includeva diverse categorie di lavoratori, ciascuna già dai primi decenni del 1400 organizzata in corporazione con propri statuti mirati, con norme tecniche ed a volta anche religiose e sociali, a tutelare gli iscritti ed il loro lavoro: i muratori (o massacani o cassolari; dai carpentieri derivarono i primi costruttori che i più provenendo dalla lombarda valle d’Intelvi, furono chiamati ‘maestri Antelami’ che dovevano pagare tasse, giurare fedeltà alla Repubblica  ma risiedere per almeno 10 anni continui  per essere considerati cittadini genovesi), gli scalpellini (o piccapietra), ponteggiatori, scavatori (o rompitori), falegnami (o bancalari o carpentieri), marmai, vetrai, pittori, ferrai, calafatori e maestri d’ascia. Senza inquadramento le fasce più deboli, gli apprendisti ed i manovali occasionali. Esisteva l’obbligo di celebrare le feste, quasi tutte religiose e pari a tre mesi all’anno (275 giorni lavorativi)

 Gli architetti incaricati si trovarono liberi di scegliere ed agire su una vasta area  priva di condizionamenti spaziali; i primi loro disegni ponevano la casa spostata decisamente più in alto rispetto l’asse stradale, sulle prime alture;  poi, forse per miglior agio  e praticità, fu costruita nel  basso della proprietà: vollero quindi l’edificio prospettante direttamente sull’asse viario principale, in diretta vicinanza con le ville dirimpettaie, quasi a creare con loro un borgo nel borgo, lasciando una piazzetta antistante per rendere visibile la magnificenza, e porre la casa a barriera del privato giardino retrostante, visibile solo dall’abitazione  e sviluppato con struttura tipicamente  italiana;  vasto, sontuoso e maestoso, già allora il primo parco monumentale nel già fitto tessuto di ville, quel tanto da dover convincere i senatori che l’ Imperiale era il doge ideale per una grande Repubblica.

   Dal 1563 furono affiancati dal marmista Giacomo Guidetti per le balaustre ed i portali (in particolare la grande porta del salone, simile a quella già eseguita per i Pallavicino); e dal 1564 , per la facciata esterna, affrescata in “chiaro e scuro “, dai pittori Domenico da Passano e Tomaso Barlone.

 

  

GioBernardo Carbone – Vincenzo Imperiale e fam.

 

Nel 1602, quarant’anni dopo, il terzo erede, Gio Vincenzo (signore di ampia liberalità, di cultura aggiornata, membro di molte Accademie; scrittore egli stesso -compose  “lo Stato rustico” in versi sciolti,  edito nel 1607, e “il ritratto di

Casalino” nel 1637, ambedue con esaltazione della vita pastorale e di fiabeschi giardini, sublimando con estrema fantasia il suo stesso giardino con le  siepi, i viali, le acque, i laghi, i boschi-; nonché collezionista di rara capacità: una ricca biblioteca di oltre mille volumi - tra cui anche le opere di Giordano Bruno e di T.Tasso -; 

antiche fonti lo indicano come il primo committente genovese  del Rubens ed una vasta quadreria - vanamente ambita dal duca di Mantova Carlo II Gonzaga - alla sua morte sarà acquistata in blocco dalla regina Cristina di Svezia  (ella, nata a Stoccolma il 18 dicembre 1626, divenne regina di Svezia nel 1632 succedenda al padre quando aveva 6 annui; e tale rimase, sotto reggenza, per 18 anni. Artista, letterata e collezionista, chiamò a corte i più illustri e dotti personaggi §(Cartesio, Grozio); favorì i commerci concedendo ampie libertà ai traffici. Poco dopo i 34anni di età si convertì al cattolicesimo, abdicò a favore del cugino Carlo X Gustavo e da Innsbruck scese a fissare la sua definitiva dimora a Roma (1655); ove fondò l’Accademia reale – poi chiamata Clementina dalla quale poi sorse l’Arcadia; e forse fu là che si fece traslocare questi beni, che furono poi ereditati (1689) dal Vaticano).

Si sa che G.Vincenzo durante un soggiorno romano per udienza papale con Urbano VIII Barberini, acquistò sei statue in marmo restaurate, raffiguranti i vari pianeti; ed altre, ritrovate nell’inventario dei suoi beni steso nel 1648,  esistenti nella casa in  Campetto. Sposò Caterina Grimaldi di Nicolò (la “Dama col nano” del Rubens)

Un suo ritratto (vedi sopra), datato 1642, (firmato da G.Bernardo Carbone. Baldacci, scrive  che fu eseguito da Domenico Fiasella ed aiuti), lo mostra già settantenne, con la seconda moglie Brigida Spinola (anche lei vedova di Giacomo Doria), il figlio e la nuora, posti all’interno della loggia:  è ben visibile  sullo sfondo il giardino della villa, ripreso sino a Belvedere con i laghetti, statue, terrazze e viali. Tutti sono vestiti rigorosamente alla moda spagnola con per i maschi prevalenza del nero; le donne hanno il guardinfante (ovvero un bustino con piccolo scollo rotondo, tipico delle vesti spagnole; sarà abbandonato negli anni successivi alla grande peste del 1658, per inserire alla pari con la politica, la moda francese) ed i capelli che coprono le orecchie; Brigida, in età matura, ha un abito severo e nero;  Ginevra, moglie del primogenito Francesco Maria, veste di azzurro con ricami d’oro;  solo le bambine hanno abiti dai colori più sgargianti.

Acquistò pagandolo anche la signoria feudale di sant’Angelo dei Lombardi nel napoletano, e fu commissario durante la costruzione delle mura del 1626 . Si presume che nacque nella villa, curandola come residenza preferita) .

Si avvalse del pittore genovese Bernardo Castello (1557-1629 divenuto poi anche presidente  della corporazione dei pittori. Amico del Tasso e del Chiabrera, dipinse tematiche prevalentemente tratte dalla mitologia letteraria; frequentando ambienti intellettuali e raffinati ed aristocratici ebbe commissioni importanti anche oltre confine ligure: a Roma per esempio è presente nel palazzo del Quirinale; fu il primo in assoluto in Italia a rappresentare  negli affreschi l’opera del Tasso, dapprima nella villa genovese degli Imperiale in Campetto e subito dopo nel 1602 a San Pier d’Arena; per questo il palazzo viene definito ‘tassesco’; il pittore nell’edizione genovese del 1590 illustrò il poema con  meravigliosi disegni trasformati in  incisioni, e curò la riedizione del 1604 che comprendeva gli ‘Argomenti’, scritti dall’Imperiale) per la decorazione di una parte dell’interno (la loggia ed alcune sale del piano terra, in cui descrisse le “storie di David,  e il trionfo di Saul”: nelle prima sala a destra del piano terra, sul soffitto ci sono 5 medaglie, corredate di putti agli angoli, e con - al centro - David che precede il carro di Saul. In altra stanza la presentazione di David al re, l’ira di Saul, l’incontro nella caverna di Engaddi. A sinistra del portone - in un recesso di minor interesse-, una “Flora”  ed una “Fauna” soggetti che vogliono sottolineare il ruolo dell’edificio non solo adibito a spazio per l’esistenza quotidiana e decorata con consueti motivi biblico-moraleggianti, quanto anche premessa al giardino quale sede di esistenza  nei semplici piaceri della natura: un concetto ben chiaro nel committente, quale rifugio nella vita all’aperto, dall’affanno e dalle frustrazioni della frenetica vita degli affari; idea  espressa anche nelle varie sue opere scritte, assieme al suo motto “vivus qui liber”.

   Il rimanente - in un tempo successivo non precisato -, fu completato da Giovanni Carlone (Ge, 1584-Mi,1630, genero di Bernardo dal 1609);  suo è il “Sansone che strozza la fiera” dipinto sulla volta dell’atrio), e da Marcello Sparzo, da Urbino (attivo negli anni 1565-1606), (con documento  datato 30 lug.1602, dichiara ricevere cento lire genovesi, come pagamento per i lavori in stucco fatti e da farsi in stile rococò: così sue sono le quattro statue dell’atrio, lo scalone, le decorazioni della loggia (ove le figure giungono ad un alto livello artistico con una caratteristica del manierismo bilanciata tra il drammatico ed il grottesco).

   Tutta questa ricchezza, distribuita fittamente in tutte le stanze, conferisce all’insieme alta signorilità e ricchezza inusuali, e da questo la villa fu chiamata ‘la bellezza’. Ciò malgrado non è inserita nel volume del Rubens: si pensa – ma non si dice per certo – sia per questioni di rivalità tra proprietari (e lui dovette essere ligio al Gonzaga; o anche che, essendo stato il libro disegnato col fine di proporre delle abitazioni per i signori di Anversa, questa villa fu giudicata dal pittore eccessivamente monumentale e non adatta per la città olandese; invece fu citata e riprodotta da  Fürtenbach nel suo libro ‘Architectura civilis’ (Ulma, 1628).

    Nel 1576 il Senato diede vita al meccanismo dei ‘rolli’: l’arrivo sempre più frequente di sovrani e persone di alto lignaggio (da ammiragli ad ambasciatori, da letterati, pittori, a ospiti forestieri vari), impose un sorteggio tra i vari nobili proprietari di ville rappresentative affinché a turno non solo ospitassero ma si prendessero cura dell’ospite (festeggiamenti, salve di mortaretti, gite, cene, ecc) e non fossero a totale carico spese della Repubblica.

   Nel 1712 (Levati scrive il 3 marzo 1713; Traverso –documentato all’Archivio- scrive  aprile 1713)  ). l’erede Francesco Maria (doge nel 1711-3), vi ospitò  Elisabetta Cristina  di Brunswich (famiglia tedesca, con origini ducali feudali; ella, dopo aver abiurato il luteranesimo divenne dapprima arciduchessa, poi sua maestà regina apostolica di Spagna ed infine imperatrice di Germania.  Infatti il marito Carlo II arciduca d’Austria in lotta contro FilippoV  divenne re di Spagna col nome di Carlo III;  alla morte del fratello Giuseppe I venne eletto anche imperatore di Germania col nome di CarloVI.

Era già venuta a Genova nel 1708, quando la Repubblica parteggiava per FilippoV e pertanto ebbe fredda accoglienza.  Descriviamo questo evento a questa villa – ma non sappiamo con precisione se il fatto avvenne in questa casa; anche se è probabile, poiché soggiornò nel borgo- quanto era successo pochi anni prima: Traverso –tratto dall’Archivio di Stato- descrive avvenimenti dell’ 11 luglio 1708 quando la stessa Elisabetta, allora promessa sposa e futura regina, arrivò  -in carrozza  da Teglia- “a Sampierdarena a notte”, -ma non precisa dove dormì-. Proveniva da Certosa (pranzo), Novi (notte), Gavi (pranzo), Voltaggio (notte), Campomorone (pranzo,  col suo seguito tra cui le contesse di Oeting e di Cuefelt, il principe Carlo di Lorena ed il vescovo di Ornagrugg. La relazione, dettagliatamente descrive i programmi e movimenti, (previsti fin dal 17 febbraio) del lungo corteo: 300 persone tra cui 32 donne al servizio della regina compresa una ‘lavandiera dei pizzi’, nonché paggi, precettore, 3 medici, un chirurgo, uno speziale, 22 palafrenieri, 25 cocchieri, 3 sarte, un interprete, un musico, 9 fra cuochi e sottocuochi. Il Doge aveva predisposto l’accomodamento della strada, disastrata anche causa abbondanti piogge (i Capi d’opera maestri Domenico Orsolino e GioMaria Gallo) per la Bocchetta; ed il Capitano di Polcevera messer Filippo Pinelli assistito da GioGerolamo Massucone per strada e ponti della valle), la percorribilità in “sedia rolante” o in bussole ed in carrozze ricuperata dai singoli proprietari della zona.

   La seconda volta, dopo la pace di Utrecht, ebbe invece tutti gli onori dovuti: proveniente da Barcellona su nave inglese, diretta i Germania. I Serenissimi Collegi dovettero predisporre il  tragitto all’inverso, da san Pier d’Arena a Campomorone, Voltaggio, Novi. Fu scortata da sei galee della Repubblica comandate da altrettanti patrizi guidati da GioFrancesco Doria che le erano andati incontro a Vado; scesa dalla nave alla Lanterna entrò in una bussola privata ed appena sulla via montò in carrozza pure essa propria e si recò nella nostra villa scortata da proprie guardie, rifiutando quindi tutti i servizi locali. Vi arrivò alle 19 circa. Dopo cena e nei giorni dopo democraticamente non si negò alla folla di nobili e di popolo; e partecipò alla cerimonia dell’entrata in società di otto giovani (Marta –o Marzia- Imperiale, Giovannetta Viale, Anna Neuroni (Negrone), Teresa Raggi, MariaValeria Grimaldi, Barbaretta Durazzo, Settimia Pallavicini, Geronima Gavotti) che poi la servirono e l’accompagnarono fino a CampoMorone (ove erano presenti anche GioGiacomo Imperiale, marchese Costantino Balbi, Benedetto Viale, GiacomoFilippo Durazzo, Niccolò Cattaneo, Agostino Grimaldi), quando se ne partì verso Novi. Il Senato le offrì oltre con le salve dei cannoni, anche con in regalo 24 cassette contenenti dolci, profumi (‘acque d’odore’), velluti, broccati e trine.

Non sappiamo quanto si trattenne, ma Traverso segnala che alle ore 15 del 6 aprile 1713 era arrivata a Campomorone per il pranzo, sempre (come all’arrivo) in casa di Costantino Balbi.

   Vale come per il 1707 che non sapevamo dove fosse avvenuta la sosta nel borgo, che il re Carlo III di Spagna, marito di Elisabetta Cristina di Brunswich, (poi Imperatore di Germania) proveniente da San Pier d’Arena, via Rivarolo, Pontedecimo, Campomorone, andò nel nord. Lungo l’itinerario, fu accompagnato da ‘rollanti’ come calessi e mute di cavalli, lauti pasti, nonché da regali (tra cui 277 scarpe per uso dei soldati di scorta, 71 cappelli per soldati e vetturini, marsine per 11 vetturini).

  Elisabetta Cristina fu la nonna di Maria Antonietta, regina di Francia.

(Confermata la data del 1712 (Ciliento), non può trattarsi di Cristina di Svezia citata dal Lamponi, perché già defunta dal 1689 –di questa leggiamo sopra, nelle note di GioVincenzo).

Nel 1746 Lamponi erroneamente pone in questa villa la presenza del BottaAdorno; invece era in villa Serra-Doria-Masnata di via A.Cantore.

  Nel 1757, la mappa vinzoniana segna l’appartenenza a Gio Giacomo .

  Di quest’epoca, Alizeri attribuisce al Bernasconi da Bergamo, dei plastici stucchi, che coronano  ed illeggiadriscono varie stanze.

   Nel 1764 (dal 25 luglio) vi fu ospite il duca di Jork, fratello di re Giorgio III d’Inghilterra. Era già stato a Genova, ospite a Sestri; adesso veniva come  privato, senza deputazioni, cerimonie e regali ufficiali, rimanendovi assai a lungo e festosamente (più di ogni altro principe).  Ovvio alto interesse ci fu perché non gli mancassero i divertimenti: teatro, feste da ballo, accademie di musica, cene sia ospitato (uno in casa Grimaldi PFranco ed uno da Marcello Durazzo) sia ospite (il 13 agosto con 20 e più cavalieri e 4 dame). Se ne ripartì sempre privatamente verso Antibes a bordo del vascello Centurione, il 17 agosto.

  Nella guerra austro francese del 1799, con Genova e Massena assediati, il borgo fu usuale sede di passaggio e di scontri tra le due armate; la villa –sede appetita per le comodità che offriva - fu rovinata e disastrata perché utilizzata come caserma ed ospedale dalle truppe austriache.

      Nel 1801 divenne proprietà del conte dott. Onofrio Scassi (vedi) famoso e ricco studioso medico dell’ateneo genovese (anche: cavaliere, professore, senatore del regno, membro dell’Accademia imperiale, socio onorario della Colonia Ligure dell’Accademia Italiana;  è del 1802 l’atto di requisizione della villa inviato alla municipalità di San Pier d’Arena da parte delle autorità francesi, al fine di  adibire la villa ad alloggio per ufficiali dell’Armata ed usare i magazzini per depositare viveri e materiale militare).

Ma l’atto notarile tra O.Scassi (dimorante in strada Balbi) e Giulio Imperiale di S.Angelo (dimorante il piazza Campetto) fu stilato il 19 aprile 1816 dal notaio G.F.Sigimbosco: la proprietà costò 84.500 lire, moneta di Genova corrente fuori Banco: nell’atto è descritta essere racchiusa a sud dalla Strada Pubblica; a levante dalla crosa che divide dal sig. principe di Francavilla in basso ed i sigg. Giovo e Tribone in alto; a ponente dalla crosa che separa in basso dalle Madre Pie, poi dai beni dell’ill.mo sig. PaoloGerolamo Pallavicino ed in alto da Mongiardino; a tramontana dai beni di Campantico.

   Viene descritto che nel 1817 in conte ospitò nella villa (ancora da restaurare ovviamente,  anche se il relatore dice ‘restaurata’), il granduca Michele, fratello dello zar russo.

   Il restauro vero e proprio iniziò nel 1821, riportandola al fasto originario.      Incaricato ufficiale fu l’architetto Carlo Barabino (Genova, 1768-1835), che appose la scritta all’ingresso “ Dirutum Onophrius Scassi refecit”, ma soprattutto ridisegnò la sala principale che era nuda di arredi,  utilizzando per abbellirla famosi artisti, quali il pittore Francesco Baratta  (che dipinse la volta e pareti), e gli scultori   Michele Canzio e Gaetano Centanaro (compirono le decorazioni neoclassiche in stucco.

Il Canzio, nato a Genova nel 1784 divenne un geniale personaggio caratterizzato non solo dall’eclettismo artistico di alto livello (pittore, architetto (ornati in numerose, chiese, teatri, ville tra cui a Pegli la Durazzo Pallavicini con sfoggio di fantasia da capolavoro; il monumento a C.Colombo in piazza Acquaverde), scenografo, insegnante all’Accademia Ligustica, impresario del Carlo Felice) ma anche dallo spirito bizzarro e sempre pronto a comporre più o meno clamorosi scherzi (far finta di cercare una grossa moneta d’oro, coinvolgendo numerosi volenterosi fino poi a riconoscere che ‘sperava’ di trovarne una; in chiesa dipingere il volto del parroco tra i dannati all’inferno; con spago e metro prender misure del ponte di Carignano spiegando ai passanti doverlo abbattere e rifare: ad uno del grosso capannello di curiosi chiese di reggere un capo dello spago e con la scusa di prendere una misura si eclissò dietro l’angolo lasciandoli tutti ad attendere che tornasse. Raccontata da una nipote; una volta Michele Canzio si era recato a Chiavari, trovando sistemazione in una locanda. L'oste, nel vedere un tipo così strano e  vestito in modo bizzarro, si era raccomandato che lasciasse la camera pulita. Il giorno dopo, poco prima della sua partenza, inviò una cameriera nella sua camera per verificare che tutto fosse a posto; la donna ne uscì urlando che un grosso escremento fumante era sul pavimento; in realtà si trattava di un dipinto che Canzio aveva fatto lì per lì, per prendersi gioco dell'oste, ma reale al punto da "spaventare" la povera cameriera. Ebbe figlio Stefano, a cui  San Pier d’Arena ha dedicato una via. Morì nel sett.1868, facendo pensare ad un ennesimo scherzo) e Giovanni Barabino con un busto della figlia Francesca Agnese Scassi. Questi, con altri completamenti, terminarono il lavoro nel 1861.

Nel restauro successivo del 1937 fu criticata la scelta di aver allora rivestito la facciata nord con un intonaco spesso 2 cm (che aveva contribuito ad appesantire nonché rendere goffa e rigida la snellezza della struttura originale) e che poi  ‘marcì’ favorendo screpolature, muffe e deterioramento della decorazione a stucco dopo pochissimi mesi).

   Nel 1888, dopo pochi anni quindi, passò di proprietà alla famiglia Piaggio (in particolare al senatore del Regno, armatore, industriale, Erasmo Piaggio, nonché benefattore: di sua proprietà lo stabilimento saccarifero “Raffineria Genovese” che fece sorgere appunto nel 1888 e che funzionò fino al 1905), che la gestì per pochi mesi (o agì da intermediario) poiché già nello stesso anno 1888 appare rivenduta al Comune di San Pier d’Arena (forse aveva in mente un progetto di investimento immobiliare, ma cedette di fronte alla pressante richiesta del Comune)

   Quest’ultimo, lungimirante nello spendere il pubblico denaro per salvaguardare tale patrimonio, fu altrettanto cieco nel sacrificare gli spazi, edificando in quegli anni del 1910 i due grossi edifici laterali per dedicarli  a scuola (in stile rinascimentale come i quattrocenteschi palazzi fiorentini; essi alterano pesantemente lo snello equilibrio  precedente, che vedeva il piazzale d’ingresso racchiuso da due più basse costruzioni  che facevano da apertura alla grande costruzione della villa), ed ospitando in tutti le scuole elementari e quelle di avviamento professionale femminile A Cairoli.

   Nel 1921 vi aveva sede la “Società Esperantista Sampierdarenese di cultra e propaganda” con  proprio statuto e assemblee. Aveva simbolo in una stella a cinque punte, verde

   Nel 1922 DeLandolina scrive “Vi àn sede ora le regie Scuole tecniche e nel piazzale che si stende dietro il palazzo, per concessione del Municipio, vi alternano i loro ludi domenicali i ginnasti della <Sampierdarenese> in contendenza spesso con altre società sportive nazionali e straniere”.

    Ancora nel 1929, Masini scriveva : “Sampierdarena aveva altre aree ed altri terreni per costruire case, scuole e spedali e per organizzare campi di gare senza fare l’ultimo scempio di tanta magnificenza di giardini e di parco”.

   Inizialmente, vi fu posta anche la sede della scuola complementare Dante Alighieri.

   Nel 1937-8, come già scritto, avvenne un successivo restauro generale per opera del pittore prof. Urbano Signorini e del restauratore Angelo Porcile: essi trovarono le pareti esterne laterali in buone condizioni, giudicarono la facciata principale arbitrariamente dipinta (ma che fu solo ripulita); la nord in completa rovina perché nel restauro precedente l’avevano rivestita di un intonaco troppo spesso e che nel tempo si era screpolato ed ammuffito: fu tolto tutto e rifinito come primitivamente con polvere di  marmo: infine ridipinsero sia la facciata  nord (dando un rosso cupo alle pareti del piano terra, e rosato al primo piano con le metope rosse; il gioco di colori metteva in risalto le decorazione ed i triglifi) che le due meridiane esistenti.

Questo intervento fece tornare a vivere la bella villa, che fu adibita così all’ Istituto professionale commerciale ‘Principe di Napoli’ (ovvero  UmbertoII, figlio di Vitt.Eman.III); e –dopo la grande guerra- G.Casaregis (e ospitando anche le scuole professionali di avviamento al lavoro a tipo commerciale O.Scassi. Poi vi si insediò la scuola media, intestata a G.Mazzini, infine l’Istituto professionale di Stato per servizi commerciali e turistici G.Casaregis (il ‘500’, dice A. Casaregis; la targa esterna riporta: “ISTITUTO STATALE P. GOBETTI – sede LICEO DELLE SCIENZE SOCIALI – succursali LARGO GOZZANO 5, VIA SPATARO 34 – INDIRIZZO PSICOPEDAGOCICO”.

È formato da una sede centrale ospitata nella villa e da tre succursali, con più di 80 insegnanti per oltre 900 studenti , divisi in otto corsi di qualifica, tre di postqualifica e tre collaterali, tutti con accesso all’università; attrezzato anche per corsi di informatica.

   Il Pagano 1950 cita solo il nome ‘villa Scassi’ nel gruppo delle 10 ‘ville’ genovesi; mentre il parco non è incluso in quello dei ‘giardini’.

   Alla Soprintendenza risulta che solo nel 1955 l’immobile sia stato vincolato e tutelato dalle Belle Arti: molto probabilmente è un errore trascrittivo e penso che la villa sia stata giudicata tale nel 1934 come le altre più importanti vicine, ed il vincolo rinnovato nel 1955

   Un successivo restauro avvenne nel 1974. La parte che prospetta su via Cantore, per i frettolosi passanti, da facciata di retro è praticamente divenuta quella principale: su essa la pittura data allora con piacevole effetto, ebbe durata di pochi mesi iniziando irresistibilmente a scrostarsi ridonando dopo nemmeno un anno l’aspetto di triste abbandono che ormai la caratterizzava da anni.

Infatti, il valido ricupero che, con onerosa spesa, è avvenuto rifacendo il tetto e ridipingendo la facciata ha espresso come sarebbe effettivamente bella se restasse pulita; ma la pittura ha resistito pochissimi giorni prima di sfogliarsi miseramente e ridare alla casa un aspetto assai deprimente. Si dice sia colpa del salino, ma... in tempi di economia esasperata, il dubbio è più raso terra.

Mentre, per fortuna i giardini della villa,  con l’intento di migliore  conservazione di quello che a dispetto di tutti, si sono salvati.

   Il mago Alex scrive su un libro edito nel 1998 che nella villa sono state individuate delle creaturine tipo gnomi, alte 50 cm.; un vago Gino, ragazzo che percorreva il giardino col cane, trovò un cappellino rosso orlato di filamenti d’oro, leggero ma resistentissimo, calzabile da un bambolotto: se lo portò a casa, ma nella notte dormendo nella sua camera fu svegliato da un barbuto gnomo che era entrato per ricuperare il ‘suo’ berretto lasciando in cambio una preziosa moneta. Da quel giorno lascia delle caramelle dove trovò il berrettino, ed in contemporanea ha più volte vinto al gioco.

   Nel 2003 si parla sul Secolo XIX di rivalutazione e ridestinazione: da sede scolastica (non essendo in regola con le norme CEE sulla sicurezza,  impianti elettrici ecc.), previo trasferimento delle scuole in sedi idonee (i cui servizi non sono a norma di sicurezza come prevede una legge europea che scadrà nel 2004 ed i costi di adeguamento non sono di poco rilievo (assieme alle altre scuole, tutte locate in siti analoghi)) a sede museale (proposto il museo del fumetto o della passata storia locale industriale).  

Nel 2004 per la Bellezza e la Fortezza –ospitanti il Casaregis e sua succursale- si riprende a parlare di modifiche: seppur di proprietà comunale, sono divenute fuori norma e senza i requisiti di sicurezza, con obbligo di abbandono da parte dei VVFF (scale antincendio, caldaie, vie di fuga adiacenti, barriere architettoniche (disabili), ascensori. Non più uso scolastico quindi, essendo difficile rimanere nelle attrezzature a norma della CE, ma a riqualificanti sedi dirigenziali scolastiche (alla Fortezza, l’ex Provveditorato agli studi (oggi Direzione scolastica regionale)). Nell’aprile 2005, circa 200 studenti in piazza Sopranis

In aprile 2005 si riprospettò il trasferimento dei 260 studenti a sanTeodoro ed il riutilizzo della villa a Centro culturale. Ma la crescita del numero  degli studenti con ‘fame’ di aule; gli studenti stessi che hanno fatto corteo e sit-in  di ribellione all’idea manifestando contro il loro trasferimento; malgrado il problema economico della messa a punto della sicurezza secondo le Norme CEE e la riparazione dell’impianto di riscaldamento che ‘perde’ gasolio; hanno fatto fallire l’operazione.

 

===della PROPRIETA’, attualmente residuano: **davanti alla villa, delimitante la strada, un muretto con i segni di una cancellata, tolta per dare ferro alla Patria prima dell’ultimo conflitto mondiale; **parti di muro di cinta: *ai lati -di  originale della cinta degli anni iniziali della villa - dove è il gioco delle bocce: una nicchia, ora vuota, sul muro che separa a ponente il territorio della proprietà da quello delle suore Franzoniane. *Più netti i residui di muro ai fianchi del parco e giardini (descritti in via A.Cantore), sino all’apice di essi che si concludono col muro di sostegno del laghetto ed un fornice di porta che permetteva raggiungere la chiesa di san Giovanni. Ed ancora più intatti – anche se esternamente marchiati da condutture dell’Enel – *quelli di appartenenza dell’ospedale (descritto in via O.Scassi). che fiancheggiano a ponente la salita Superiore Salvator Rosa, ed a levante salita D.Conte, sino alla base di Promontorio.

  

foto biblioteca Gallinon – il muro di cinta a livello stradale

   idem                     

 

===STORIA  della porzione del parco rimasta collegata alla villa

 Infatti via A.Cantore ha irrimediabilmente ‘segato’ il parco dal palazzo, cosicché  nella realtà odierna la maggior parte di esso, comprendente i ‘Giardini della villa Scassi’, che si trova a monte di via Cantore,  è ormai definitivamente svincolato dalla villa (a meno che …un progetto non ancora progettato non fara scorrere via A.Cantore in tunnel sotterraneo….) e pertanto descritto in via A.Cantore.

                                  

facciata principale su  via Daste                            facciata di retro

 

   Il taglio previsto della strada (in quegli anni dedicata ancora via G.Carducci), fu anticipato negli anni 1920-30 dalla distruzione della parte di giardino appoggiato alla villa, che divenne sede provvisoria di un campo sportivo per il gioco del foot-ball, successivo a quello ‘delle monache’.

 

Il gioco del calcio a San Pier d’Arena, vede la luce nei primi mesi dell’anno 1897 ad opera di tecnici inglesi assunti nelle maggiori fabbriche cittadine (l’Ansaldo prima di tutte; essi avevano fondato nella sede consolare il 7 sett.1893 il famoso ‘Genoa Cricket and athletic club’,  frequentabile in esclusiva solo dai loro connazionali. Pare sia stato proprio Spensley ad allargare le possibilità di gioco anche ai non inglesi, accettando volontari nella massa degli operai. Si è così autorizzati quindi a confermare che i primi calci del gioco del pallone a livello popolare, furono dati a San Pier d’Arena). Nacque a metà 1897 la ‘soc. Foot Ball Liguria’ (o Pro Liguria, con casacca bianca e banda trfersale rossa; affrontò il Genoa nel primo derby cittadino in piazza d’Armi, nell’anno 1900, perdendo; e che trasferitasi poi nel prato della zona Fornace (via C.Rota) riuscì nel 1915 a giocare in prima categoria fino al 1919). Gradatamente questo sport acquistò una sempre più crescente fetta di interesse dei giovani rubandolo al locale gioco al tamburello con cui occupava la piazza d’Armi al confine nord della città (vedi).

         Nel frattempo, provenienti dalla soc.Operaia di MS Universale, il 6 giu.1891 un gruppo di atleti, aveva fondato la soc. Ginnastica Sampierdarenese, dai cui iscritti, nel 1911 si formò la sez. Calcio (Enrico DeAmicis e Luigi Cornetto; con calzoncini neri e casacca bianca traversata in diagonale da una fascia nera, come quella dei ginnasti).   

   In carenza di un campo locale, per anni e con mezzi fortunosi andarono a giocare sul campo di Rivarolo (che poi sarà chiamato ‘del Torbella’); di quest’epoca -1918-  vengono ricordati: presidente: E.DeAmicis; fondatori: L.Cornetto, Lenuzza, Riccardi, Scatti, Berlingeri, Pastorino, Calvi; giocatori: EnricoCanepa portiere; Delfo Bellini (poi anche azzurro) e Giuseppe Riparelli terzini; Renato Boldrini, Ermenegildo Melandri ed Ercole Carzino (poi anche azzurro) mediani; Carlo Migone, Mario Garrone, Gatti e Pietro Mazzella avanti) .   

Nel 1919 (Tuvo scrive 1920, sotto la presidenza del sig.Ravenna), proprio per approfittare di un salto di qualità, la Sampierdarenese Calcio assorbì la Foot Ball Liguria, o“Pro Liguria”, di cui sopra, acquisendo così di diritto al campionato di 1.a categoria. Questa fusione determinò un primo cambio della maglia: nel bianco, fu inserita una fascia rossa sopra quella nera originaria trasversale.

   Fu notizia pubblicata sul giornale locale del 24 nov.1919, che nella zona retrostante l’ex convento dell’Immacolata di via DeMarini, fosse avvenuta l’inaugurazione di un campo sportivo sampierdarenese, su terreno concesso dalla società edilizia RES.

   Ma solo nel 1920 (primo anno calcistico, di ripresa post bellica), inserendosi nell’insensibilità generale mirante a conservare quel poco di bello che c’è,  l’impresa Stura realizzò dietro la villa Scassi, tagliando il primo tratto degli splendidi giardini,  un campo al limite delle misure regolamentari, per più o meno 10mila spettatori, senza fondo erboso, senza panchine per allenatori (tra i quali viene ricordato Rumbold).  Fecero squadra Enrico Carzino (I°) portiere, ed i mitici Marchisotti (il papà del giovane che poi morì in un incidente stradale ed  a cui fu intitolato il torneo estivo del DonBosco), Storace, Ramasso, Ercole Carzino (II°), Dapelo, Masoni, Derchi

 Sarà teatro tra il 1920 ed il 1927 di tante battaglie, tra la Sampierdarenese nei derby contro le due genovesi Andrea Doria e Genoa, ma anche contro la ProVercelli, il Livorno, il Parma, la Juventus, il Milan, e le migliori d’Italia di allora.

Per l’inaugurazione (la squadra fu composta da: Grassi, Marchisotti, Storace, Ramasso, CarzinoI, Dapelo, BoldriniII, Aloise, Michelin, Frugone II, Carzino II, Masonevenne invitata la soc. genovese Andrea Doria, che vinse sui ‘lupi’  per 4-1. Per la pubblicità sul campo sportivo, fu concessionaria esclusiva la soc. “Cepis” che aveva sede al civico 20.

Nel 1921 divennero azzurri gli atleti Renato Boldrini (riserva), Sebastiano Ramasso, Ercole Carzino.

Possedendo una lunga tribuna coperta, tutto lungo il lato nord ed una transennatura a teloni per scoraggiare i “portoghesi” non paganti, dal giornalista Carlo Bergoglio fu chiamato affettuosamente “la scatola dei biscotti” (Roncagliolo scrive ‘delle pillole’). Con l’apertura della via, il campo fu trasferito a provvisoriamente alla marina ma subito dopo a Cornigliano, in un più moderno complesso: un trasloco obbligato (come per il torneo Marchisotti in tempi più recenti).

   Ma già dal 1926, in parallelo alla creazione della Grande Genova ed alle disposizioni dall’alto di natura politica autoritaristica, le due squadre:  Andrea Doria detta ‘i ricchi’ e la  Sampierdarenese ‘i poveri’ (malgrado la loro orgogliosa autonomia) furono coattamente riunite  nella ‘Dominante’, divenendo assieme al Genoa una delle maggiori società sportive genovesi. Le cose non andarono come preventivato per cui fu meno traumatico il passaggio nel campo di Cornigliano, ove potevano assistere 25mila paganti e da dove con pochi metri si arrivava a fare il bagno sulla spiaggia. La nuova squadra nel campionato 1928-29 retrocesse in B; e malgrado tentativi di fusione con la Sestrese e Rivarolese, l’anno dopo finì in C.

   Ancora negli anni 1930, il nome era ‘Associazione Calcio Sampierdarenese’ con sede presso il caffé Roma e come presidente l’on. Storace Cinzio, commissario straordinario. Nel 1930 fu richiamato alla dirigenza Luigi Cornetto, il quale impose ritornare alla separazione delle due squadre; col  nome e maglia della Sampierdarenese ripartirono da zero (giocatori: Gino Poggi, Vincenzo Ciancamerla, Nervi, Bodrato, Gallina, Fossati; e nel 1933 portiere Manlio Bacigalupo imprestato dal Genoa) gradatamente fino al campionato 1933-4, risalendo la china in serie A.

Gli Sponsor industriali imposero nel 1937 un nuovo cambio di nome: divenire “Liguria”. Dall’iniziale 11° posto, due anni dopo è nuovamente retrocessione ma solo nel 1941, in piena guerra, ci sarà il ritorno in A del Liguria, ma solo per un anno perché nel 1943 fu di nuovo B. Ma, per motivi bellici in quell’anno ci fu la sospensione del campionato.

Nell’anno della ripresa, 1945-46 valse la presenza in serie A (detto Campionato di transizione) delle squadre che tali erano nel girone del 1942-43: la Sampierdarenese c’era, e si ritrovò nel girone settentrionale  col Torino, Internazione, Juventus, Milano, Bologna. Ma l’anno si risolvette con una ultima posizione dei ‘poveri’; che però non significò sacrificio perché all’istituzione del ‘girone unico nazionale’ rimase mantenibile in serieA. Fu allora che il presidente Cornetto, privo di possibilità economiche,  si incontrò col collega Parodi dell’AndreaDoria (maglia azzurra con larga banda bianca orizzontale) per studiare la fondazione che venne firmata il 9 luglio 1946 nello studio del notaio Bruzzone, creando la Sampdoria ‘di Baldini e di Bassetto’.

 

   Nel giu.1946, sempre dalla palestra della soc.Ginnastica Comunale Sampierdarenese in via G. Marabotto (ora via D.Storace) un gruppo di appassionati non consenzienti alla nuova fusione (Tiraboschi G., Traverso A, Bargoni A., Buffagni C., Battistelli S., Pittaluga A., Pedemonte G., Roncallo G.), creò la U.S.Sampierdarenese 1946, società minore per calcio dilettantistico, per i cui colori fu recuperata la  vecchia banda rossonera in campo bianco, dei ‘Lupi’ locali, ed il cui primo campionato fu in 2.a categoria. Nel 1948, con sede nel bar Castello di via G. Giovanetti, vincendo il campionato, fece il primo scatto di categoria e riuscì ad avere dal CAP un campo dove ora è il Lungomare Canepa che fu intitolato a Luigi Bertorello (uno sportivo locale, caduto in Russia). L’anno dopo, 1949,  rivincendo il campionato, passarono in Promozione: in contemporanea spostarono la sede nei locali-giardino al piano terra-ponente della villa Scassi. Nel 1972 si diede avvio alla costruzione del campo sportivo di Belvedere su progetto dell’ing. Campodonico e con l’impresa Reglioni (vedi a Morgavi in salita Millelire).

In quegli stessi anni si ampliò di interessi, costituendo il settore pallavolo, sci-escursionismo (con la fusione del GEAM =Gruppo escursionistico amici della montagna, nato nel 1955 in via La Spezia ed affiliato al FIE= Federazione italiana escursionismo) e ciclistico (con la fusione col  ‘Pedale sampierdarenese’).

 

    Oggi, nel ‘retro villa’ e direttamente attaccata all’edificio, permane solo una striscia di terreno profonda una decina di metri: è l’unica parte che rimane dell’antico parco - prima che via A.Cantore la separasse da esso. Oggi essa è composto –a ponente- da un piazzale, dedicato al gioco delle bocce; -nel centro- al gioco del tennis; -a levante- da area ludica per gli scolari delle scuole.

Nel 1934 è descritto sulla rivista municipale Genova  un ordine del giorno mirante a donare queste aree per la costruzione della ‘casa del Balilla’.

Cosa che fortunatamente non avvenne perché avrebbe distrutto buona parte di giardino. Cosicché, attualmente, persistono alcuni campi sportivi comunali, che comprendono:

1°) uno centrale da tennis, lungo 36m, gestito dall’Ansaldo centro sociale interaziendale;

2°) uno a levante nato nel 1977 dal volontariato di un centinaio di genitori degli alunni  (finiti in dieci) che pure lo recintarono, è lungo 24m, con gradinate; funzionò per qualche anno finché aperto a tutti ed abbandonato a sbandati (1987) subì anni di incuria. Nel 1980 il Gazzettino scriveva “È rinato il «Campetto» di via Cantore; i lavori di ripristino sono stati ultimati: ...adesso il nero dell’asfalto brilla al sole”. attualmente è stato ricompletato dal Comune per pallacanestro- pallavolo dei bambini.

3°) un lungo campo da bocce a sei piste, posto più a ponente; è della SGC Sampierdarenese, sez. bocce. Questa struttura è al limite ovest dell’antica proprietà della villa: il confine infatti è il muro di cinta, eretto dagli Imperiale e vecchio oltre 500 anni: nel muro c’è una grossa nicchia ove probabilmente ai quei tempi stava una statua.

 

===La VILLA

La FACCIATA anteriore è decorata con fine gusto manieristico:  semicolonne di stile dorico  al piano terra,  e lesene corinzie scanalate, al piano nobile; esse sono alternate da monumentali finestre le cui tre centrali del piano nobile furono concepite come loggiato (novità rispetto all’usanza pre alessiana di porre il loggiato in zona latero-angolare, e così concepito volutamente per alleggerire il senso di blocco compatto che altrimenti avrebbe acquisito il palazzo) sia al piano terra che al piano nobile; e quelle centrali arricchite da un terrazzo; sormontate da timpani triangolari alternato con altri curvi; sul cornicione sono ricche decorazioni a stucco.

   

 

   Con l’apertura di via A.Cantore, la facciata posteriore, altrettanto imponente e bella, resa anche leggiadra dal portale centrale sormontato dal terrazzo alle tre finestre centrali, si è trovata a sostituire agli occhi dei passanti frettolosi e disattenti una ingannevole rappresentazione della facciata principale, riuscendoci con notevole dignità e prestigio.

I restauri del 1938, l’altro recente del 1974, e la ritintura esterna indirizzata alla ricerca degli antichi rapporti cromatici dell’intonaco (color albicocca nelle lesene, su fondo arancio-rosso), si sono troppo rapidamente deteriorati, lasciando la villa in un desolato ed immeritato aspetto esterno di degrado; si è dato colpa alla sabbia (di mare, non lavata) o a materiali scadenti. Nessuno, a nostro sapere, ha reso conto alla cittadinanza di questa malefatta.

Qualcosa è rimasto, di tanta magnificenza, seppur tragicamente alterato nei rapporti: dietro alla villa, dove si aprivano ampi giardini erbosi con palme, ora passa la grossa via A.Cantore che ha falsato ogni prospettiva di eleganza (i campi da basket, da tennis e di bocce , sono il classico esempio di come assurdamente si è dato la precedenza a determinati servizi definiti sociali, comodità, e forse economia, a scapito di qualsiasi razionalità estetica (e quindi anche turistica). La via Cantore stessa, aperta proprio a ridosso della facciata posteriore, sta valorizzando il retro della villa, spostando quindi l’attenzione a questa parte che non è la principale e diminuisce le più imponenti ed eleganti  reali espressioni dell ’ingresso principale ritrovatosi retrostante).

 

L’INTERNO

Piano terra. All’ingresso la prima stanza è l’atrio: la decorazione offre un impatto che si ripresenterà costante in quasi tutte le sale: la magnificenza, ricchezza e severità manieristica, alleggerita e sdrammatizzata dalle leggiadre e fantasiose grottesche. Sulla volta a padiglione, in un riquadro di 3mx1, Giovanni Carlone  dipinse ‘Sansone che strozza un leone’, forse allusiva alla felice conclusione di una vicenda giudiziaria in cui rimase coinvolto Gio Vincenzo Imperiale; all’intorno leggiadre grottesche ed alcuni paesaggi nelle lunette, alleggeriscono l’insieme. Sul fondo l’andito al giardino: attraverso un fornice tripartito, era un vestibolo con volte a crociera da cui erano originariamente visibili ed accessibili il parco retrostante e le scale per ascendere; oggi questa prospettiva è stata distrutta, perché divenuta superflua essendo sconvolta la superficie retrostante alla villa.

      

atrio                                                                                            pietra nera di Promontorio

                    

atrio - porte alle sale laterali

                                                                             sedili

Nelle tre sale poste a ponente, aiutanti di B.Castello dipinsero le volte ed i lati delle stanze, con grottesche e paesaggi nelle lunette; in particolare, nell’ovale centrale della prima stanza, appare una ‘Flora’ racchiusa in una cornice prospettica. Nella seconda stanza arredata ad alcova-camera da letto, in quattro ovali prospettici sono altrettante ‘figure allegoriche femminili’ (di una di esse è conservata solo la sinopia), circondate da raffinate grottesche più piccole. Nella terza, con volta a padiglione, compaiono sempre grottesche, e paesaggi nelle lunette.

Nelle sale poste ad oriente vediamo le “storie di Davide giovane” (I.Samuele, 16-17) di B.Castello  aiutato dai suoi allievi,  tutte  circondate da grottesche e paesaggi; si presume che questi affreschi abbiano subìto a restauro grossolane ridipinture nei tempi successivi:

--nella prima, centrale sulla volta  ‘David vincitore, reggendo la testa di Golia,  si avvia verso Gerusalemme’; a nord ‘Davide lascia il suo gregge e raggiunge gli accampamenti contrapposti degli ebrei e dei filistei’; ad est ‘l’incontro con Saul’; a sud lo ‘scontro vittorioso contro Golia’; ad ovest ‘Davide unto e consacrato da Samuele’ .

I vari riquadri, contornati da eleganti cornici modanate a stucco, sono contornati da ovali con delle erme; due statue color bronzeo dei re biblici Saul e Davide; due statue di guerrieri distinguibili dal bastone di comando; due statue raffiguranti ‘Fama’ e ‘Vittoria’ su fondo a mattonelle dorate; ovali agli angoli sostenuti da putti con le immagini a finto busto marmoreo di vecchi filosofi (quest’ultime immagini furono ritoccate da Picco).

--nel riquadro centrale di m.4x3 della volta della seconda stanza, composto come se fosse un arazzo steso ad una balaustrata prospettica in finto marmo, c’è l’immagine di ‘Davide davanti a Saul’ , in una lunetta un paesaggio assomiglierebbe al castello sul lago, nel feudo  degli Imperiale a Sutri .

--sulla volta della terza stanza, il riquadro centrale incorniciato di m.3x3 raffigura ‘Davide che suona l’arpa per Saul’; l’impressione di vedere il soffitto di un loggiato, sostenuto da erme di stucco appoggiate su mensole,

ed intorno grottesche, lumi e drappi, edicole in finte nicchie vuote e paesaggi nelle lunette.

-la quarta sala, dipinta dagli allievi di B.Castello, vede nel riquadro centrale simulante un loggiato con colonne binate, la ‘Fama seduta sul mondo, che suona la tromba e reggendone un’altra nell’altra mano’.

 

 

 

Attorno la decorazione simula un loggiato sorretto da colonnine binate, tre la quali appaiono grottesche e paesaggi.

-nella quinta sala è raffigurato ‘Davide che esce dalla grotta’, racchiuso in cornice prospettica, circondato da grottesche e due ovali con paesaggi; agli angoli delle nicchie mistilinee con paesaggi.

Dietro, nell’andito per il giardino allievi di B.Castello decorarono la volta con grottesche, paesaggi e due busti in nicchie sopra le porte .

 Lo scalone, composto di tre rampe, decorato con grottesche , ospita a metà due altre grandi statue su alto piedistallo, in stucco, opera di Marcello Sparzo da Urbino, raffiguranti il proprietario Gio Giacomo: una come guerriero ed una come doge.

    

           

 

Al piano nobile, la prima sala è la loggia che è posta a sud (anziché a nord, come era d’uso nell’Alessi: questo particolare rende tutta la villa un prototipo,  dalla caratteristica struttura definita ‘del triforio’ ossia della triplice loggia non esposta all’esterno del palazzo ma all’interno verso il giardino); sulla volta, di B.Castello in nove riquadri, sono raffigurate le ‘storie dalla Gerusalemme Liberata’ del Tasso, soggetto caro al proprietario ammiratore del poeta, ed al pittore fortemente ispirato dalla vicenda e dalle similitudini che si potevano trarre per descrivere in forma allusiva le desiderata dell’aristocrazia committente (nello specifico di questa stanza, a parte il quadro centrale, gli altri non vedono raffigurazione di precisi episodi descritti nel libro, a meno che non si tratti del libro ‘La Gerusalemme conquistata’, e non ‘liberata’):  al centro ‘il trionfo dopo la conquista della città santa’, circondata da ‘la flotta in mare’, ‘lo sbarco’,  due immagini de ‘l’assedio’, ‘una riunione di consiglio’ , due immagini de ‘la sottomissione’. 

 

Soffitto della loggia. Centro= la gloria //

                                  In basso: a sin, lo sbarco /centro, una sottomissione/ destra, la flotta in mare

 

     

loggia -                        riunione di consiglio                                        assedio       altra sottomissione         

a dx, ingresso salone                                                         

I riquadri sono frammisti da ovali, alcuni lobati,  in cui sono dipinti dei putti alati (tra essi, due sono con pacifici rami di palma) e da stucchi dello Sparzo raffiguranti altri  putti con ghirlande, e grandi ‘divinità mitologiche’ viste in prospettiva.

 

porta di ingresso a levante della loggia – nel tondo scena amorosa; ai lati Diana e venere con putto

 

Nelle lunette: a est un tondo con ‘scene amorose tra Marte con Venere’ e ai lati ‘Diana con Venere ed Amore‘; ad ovest con ritratti di guerrieri vincitori: ‘Eracle con la pelle del leone nemeo e ‘Perseo con la testa della Medusa’.

Ai due estremi lo stemma di possesso  del Comune a partire dall’anno 1865 di acquisizione, circondato da ‘Marte e Giovee, sotto essi una statua femminile

  

sul lato opposto ‘Vulcano e Nettuno’.

Alle pareti otto busti in marmo, anonimi, ed un altro sopra la porta d’ingresso.

                

 

             

 

   Nella loggia, a destra della montata delle scale, rettangolare (circa3x5), parallela alla facciata posteriore, si apre una Cappella privata; sia mons Bossio nella sua relazione sia l’arciprete Borelli ne citano l’esistenza, e sia che fu dedicata a san Giovanni Battista, sia che fu sconsacrata da mons. Saporiti.

  

la porticina della cappella, situata al piano nobile (a sinistra della scala); altare interno e soffitto

 

Nell’ampio salone del piano nobile, con finestre sukl retro della villa,né  le pareti né il soffitto non hanno decoro ad affresco ma solo, alla base della volta, una serie di stucchi a festone con sottostanti riquadri in altorilievo. Vi si doveva conservare un grande affresco staccato, con ‘il ratto di Elena’ (vedi storia, al civ. 39 di via A. Cantore**).

 

 

 

       

soffitto del salone   

 

Dal salone, si può passare a quattro vaste sale laterali, che hanno il soffitto decorato con semplici disegni senza affreschi

  

 

                                 

 

Cisterna - Dal piano terra, con una scala si scende in uno scantinato sottostante dal quale si passa nel profondo della villa che – guardandola all’ingresso è sotto terra a destra: è un grosso vano alto 4-5 metri, lungo una decina e largo sette-otto, che aveva funzione di cisterna. Con botola in alto per la raccolta dell’acqua; un marmo forato di immissione (proveniente dai laghi soprastanti) ed un altro di emissione (scendeva alle ville sottostanti, chissà se a pagamento).

    

cisterna, con foro di emissione     segni di livello dell’acqua   facciata con marmo immissione

   

marmo di immissione       botola per raccolta col secchio

 

 

DEDICATA: al medico Gozzano, nato a Scandeluzza d’Asti il 06.09.1922; laureatosi all’Università di Genova il 25 luglio 1946; e mancato il 28 ottobre 1990 (il Gazzettino scrive nato a Montiglio di Monferrato e morto 1980).

Questa memoria fu voluta da buona parte della cittadinanza,  suoi pazienti ed amici, propugnata dal Consiglio di Circoscrizione (in particolare dal vicepresidente Paolo Cadamuro), Croce d’Oro e Gazzettino, tutti desiderosi venisse ricordata la figura non comune di questo professionista.

   Divenuto “medico della mutua”, la dedizione alla sua professione fu totale,  disinteressata, e praticamente sino all’ultimo della sua vita; per i suoi clienti era “o scio mëgo”: si ammalò il giorno dopo essere andato in pensione e morì pochi giorni dopo aver rinunciato all’iscrizione all’Albo dei Medici; tardi dall’Ordine dei Medici gli giunse la nomina di iscrizione gratuita a vita, privilegio non concesso facilmente.

   Burbero e tendenzialmente schivo, era personaggio fuori del comune per la semplicità di smitizzare i problemi ed affrontarli con una capacità semeiotica superiore ai Colleghi; aveva parole buone per tutti; tutti potevano chiamarlo, interpellarlo e fermarlo in qualsiasi momento quando il servizio era 24 ore su 24: e lui di notte si racconta si appisolasse per qualche ora a fianco del febbricitante, o gradisse dividere la mensa con la famiglia dei pazienti se arrivava in casa dell’ammalato all’ora della cena; qualche parola in genovese per rendere semplice la comprensione di certi acciacchi banali; la partitina a bocce quando era stanco, staccando il lavoro mentre la gente attendeva pazientemente in sala d’attesa ignara della sua “fuga”; le sigarette; i saggi dei medicinali ammucchiati disordinatamente sulla scrivania. Tutto faceva di lui un personaggio strano, ma di rispetto.

   Già subito dopo il decesso, i suoi pazienti – in particolare i soci della Cd’Oro e, dietro il CdC. - erano riusciti a far apporre nel Cimitero della Castagna una lapide a ricordo. Dopo i dieci anni voluti dalla legge in proposito di riconoscimenti stradali (circa dodici per la precisione), gli è stato dedicato lo spiazzo: sulla targa non è scritto chi fu e, pur essendo assai popolare non tutti possono averlo conosciuto: se posso permettermi di interpretarlo, per il suo carattere, non avrebbe voluto quello che gli hanno dedicato; per i vituperati “medici della mutua” è sicuramente il più gratificante riconoscimento al proprio lavoro svolto in silenzio e dedizione.

   Ma la sanità sta cambiando mentalità ai giovani professionisti allontanandoli forzatamente da quel tipo di comportamento e con la volontà che simile figura scompaia perché costosa (a vantaggio del medico manager, computerizzato e parsimonioso amministratore di soldi della Regione;  oggi viene offerta la tecnologia, molto più precisa (e meno soggetta alle denunce della cittadinanza),  ma forzatamente fredda); però una parte della cittadinanza lo ha voluto premiare, inviando così alle autorità l’inascoltato messaggio che gradirebbe si conservassero anche l’umanità e comprensione nella sofferenza di cui lui è stato l’esempio più vivido.

 

BIBLIOGRAFIA

-da trasportare qui tutta la bibliografia riguardante la villa, selezionandola da tutta quella di via N.Daste. Già fatto per :

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-AA.VV.-La pittura a Ge. e in Liguria-Sagep.1987-vol.I-p.291-vol.II-p.154         

-AA.VV.-Le ville del genovesato-Valenti.1984-pag.43

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-Gazzettino Sampierdarenese 02.02.06 +

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-Il Secolo XIX del:    23.03.02 + 10/5/03  + 19.4.05

-Porro S.G.-costi di costruzione e salari...-SocLiStPatr.1989-pag.341

-Remondini  -Parrocchie dell’archidioc di Genova-     pag. 75

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-Vitale G.-O.Scassi pioniere vaccin.-Genova riv.municip.-ott/1940-pag..31