MODENA                                       piazza Gustavo Modena

 

 

 

TARGA:   S.Pier d’Arena – piazza – Gustavo Modena

 

 

QUARTIERE MEDIEVALE: Mercato - Comune

 da MVinzoni, 1757. In celeste la villa del Monastero con chiostro; giallo l’odierna via del Monastero-via Carzino; fucsia via BGhiglione antistante il terreno del teatro ed a mare della piazza nel terreno dei Centurione.

 

N° IMMATRICOLAZIONE:   2805

            

da Pagano 1961                                                       da Google Earth 2007. Colori come sopra.

 

CODICE INFORMATICO DELLA STRADA - n°:    38900

UNITÀ URBANISTICA:  26 - SAMPIERDARENA

 

 

CAP:   16149

PARROCCHIA: s.Maria della Cella

STRUTTURA:  

===piazza comunale carrabile, dapprima doppio senso veicolare e posteggio auto; poi senso unico, e solo pedonale; infine dal 2004 solo pedonale. Posta alla fine di via G.Buranello e l’inizio di piazza Vittorio Veneto. Copre una superficie di 684 mq., avendo marciapidi lunghi - in totale: 154m..

    Fa parte di una zona centrale, nei tempi antichi a sua volta facente parte del quartiere del Comune (comprendente lo spazio a monte delimitato da via G.Buranello fino a piazza del Monastero; a ponente da quest’ultima; a levante da via Giacomo Giovanetti, a su dal mare).

    I negozianti costituitosi in un gruppo consortile promotore cercano di ridare tono a quel quartiere che dalla chiusura del mercato ha perso vitalità, e transito, vedendo chiudere troppe saracinesche, malgrado la riapertura del teatro.

 

 

STORIA della piazza:        

Negli anni 1891 e 1896 compare già come “giardino pubblico presso il Teatro Modena”, di proprietà comunale. Dal Pagano si trae esistere nella piazza, nei primi del 1900, una  trattoria, detta  della ‘Giullina de Belvedere’, famosa per i piatti tipici locali e casalinghi.

     

piazza ancora senza il Brillé

 

                     

    Nel 1901, un’impresa genovese fu incaricata dal Municipio di apporre una targa in marmo per indicare “piazza Teatro Modena”, indicando quel tratto tra via Vittorio Emanuele (via GBuranello) e via G.Mazzini (via Ghiglione), o in altro documento del 1910 “da via Vittorio Emanuele a Sud” quando aveva i civv. 1 e 2 .

Una foto dell’epoca, mostra la facciata del teatro col semplice nome “Teatro Modena”; i manifestri reclamizzano “i manezzi pé majâ ‘na figgia”. Il commentatore scrive che il chiostro – diverso da quello degli anni successivi, e con orologio in basso - era tenuto dal giornalaio Tortarolo.

   Nel Pagano 1902 compaiono: (per errore presumo, in ‘via Teatro Modena’) il ‘lampista’ Gallo Domen., presente ancora nel 1912;---  la ‘trattoria del Teatro’ di Marchese Fortunata, anche nel Pagano/12 vedova Rossi ( nel 1925, è degli “eredi”). 

    Il Pagano/1908 segnala esserci il calzaturificio di Varese (ancora nel 1925);

    Nello stesso anno il terreno è arricchito da “fabbricato adibito ad uso mercato”. Il Comune già possedeva un palco nel teatro.

 

                                                                                      corteo Croce d’Oro – in sosta autobus per Coronata

   Il Pagano 1911-12  aggiunge oltre quelli del 1908  il commestibili di Corbani Teresa al civ. 1;  il negozio di frutta secca ed agrumi di Comotto Luigi; il merciaio Parodi GB.

   Solo il 10 lug.1917, l’Amministrazione comunale decise per chiamarla come oggi; e nel 1926 essendo l’unica nella Grande Genova, rimase immodificata di fronte ad una grande trasformazione della toponomastica mirata a non lasciare doppioni in città. Già allora era di 1° categoria.

   Nel 1920 servì come punto di partenza nel ponente, della prima società privata di trasporto pubblico con i primi autobus: fisso giornaliero, per 80 centesimi fino a Coronata (sulla rivista Genova, si fa cenno ad un sussidio comunale concesso poi, il 21 gennaio 1928 alla ditta Federico Pittaluga, esercente il servizio pubblico di autobus da Sampierdarena a Coronata), e per 60 cent. fino a Belvedere-Castagna; utilizzando un Fiat 15 Ter tipo Libia, uno dei primi con le gomme a camera d’aria; le strade erano ancora in terra battuta. Il servizio arrivò anche fino alla salita della Guardia.

   Nel 1921 sia al civ.1r:  Canepa e Rasore  (nel 1919 erano in pza Ferrer tel 57-55; nel 1920 si reclamizzano per “specialità tecniche per l’industria / Sampierdarena Piazza teatro Modena – telef. 57-55”; offrono «cinghie cuoio e tessute,lacciuoli,agraffes,cuscinetti ad anello ed a sfere--puleggie legno e metallo, seghe a nastro (Peugeot e Svedese),circolari--segoni a ventre, seghe alternative, coltelli per piastrellatrici a legno—lime americane, utensili, articoli di smeriglio, amiati, filettocotone—tubi canape e cotone, tubi ferro per alte e basse pressioni—tubi acciaio flessibili, valvole, olii e grassi, sete per molini—tazze e bolloncini per elevatori, catene ewart e galle»; nel retro si indirizzano alle ditte facendo sapere essere sempre forniti di «alberi di trasmissione – supporti autolubrificanti ad anello – manicotti – anelli di arresto – puleggie legno e metallo»; nel 1921 tel 41102 reclamizzano avere fabbrica e negozio di olii (sic) minerali e lubrificanti;

      e sia al civ.9r Costa A. & C., ambedue  si interessano di non precisati “articoli tecnici, e cinghie per trasmissione (fabbr. e negoz.)”; civv. non precisati il calzaturificio di VareseParodi GB ha una merceria. Tutti ancora presenti nel ’33

   Una cartolina spedita 1921, mostra, sopra il frontale del teatro la strana scritta: “ Kinoplastikon; e sotto esso, nella facciata centrale, “Teatro Gustavo Modena”; e su quelle laterali, a sinistra “Cine”, a destra “Varietà”; sulla piazza facevano anche réclame, sopra due vetrine nell’angolo a mare, lo  “Stab.to Tipografico Ligure”; e sopra questo cartello, un altro cartello  “Istituto? Medico” con due sottoscritte illeggibili.

    Il Pagano 1925 e 1933 segnalano al civ. 1-4, tel.30-17 presumo la direzione del ‘deposito di ferro denominato Ferriera del Riccò’; al civ.1-7 la levatrice Corbani Morando Teresa; civico non precisato la trattoria ‘del Teatro’ gestita dagli eredi di Marchese Fortunata vedova Rossi;

   Nel Pagano/40  la piazza è compresa tra le vie II Fascio d’Italia – Triari e Monastero.   Senza civici c’era il Teatro; al 2 la sartoria Rigoni; rossi 4 Burdese M. cordami; 5r calzaturif. Varese; 6r caffè di Campodonico Tito; e all’11 Costa A&C articoli tecn. 

   R.Fravega, sul Secolo XIX, ricorda la «...piazza antica, e i negozi che non ci sono più: l’oreficeria Pavese, il calzaturificio Varese, la ditta Costa, le vetrine del Ristorante Brill (sic) che aveva l’ingresso in via Vittorio Emanuele, il negozietto di articolo da pesca della sempre sorridente Elvezia, il Bar Lava, specialista in decotti e l’edicola della Bice con tutte le ultime novità. Piazza Modena aveva allora una doppia vita. In mattinata era centro di raccolta e di soste di tutti  i carri, carretti e tranvaietti giunti di notte... nel pomeriggio la piazza era libera e pulita. Molto spesso vi capitavano ambulanti venditori di strani oggetti e persino gente da circo che si esibiva... sovente arrivava anche ‘Murta’ con il pianoforte a manovella. Le serate migliori erano però quelle in cui la piazza si affollava di gente per ascoltare la banda del “Risorgimento” diretta dal maestro Plavoli che teneva concerto». Il chiostro di giornali proveniva dal largo marciapiede, posto di fronte al cinema Excelsior di piazza V.Veneto; venne ancora spostato per inviarlo sotto le arcate della ferrovia, sino al 2009 quando scomparve definitivamente. In piazza Modena è stato eretto un simbolo del chiosco

Negli anni 1950 era ancora sede capolinea degli autobus che portavano o a Coronata, o a Belvedere-Castagna.

    Nel 2000 iniziarono i lavori di ristrutturazione per una spesa di 400milioni, progettati dall’arch. E.Zanelli (altrove è chiamato Giulio Zanella, vincitore di un concorso nazionale bandito dal Comune); la mira fu far tornare la piazza a splendori antichi e prestigiosi; la cerimonia di inaugurazione avvenne sotto la pioggia il 23.4.0. La piazza è stata lastricata in arenaria e mattoni accoltellati; quasi completamente pedonalizzata ed arricchita da panchine circolari (simili a quelle ottocentesche dell’Acquasola); illuminazione a globi; giardinetti con piante sempreverdi di cuscus hypoglossum con  sei alte palme; è stato riproposto anche un  novecentesco chiosco miniatura di antica rivendita di giornali. Il traffico di autoveicoli, dapprima limitato al massimo, passando davanti all’ingresso del Teatro,  fattibile solo da via del Monastero direttamente a via Ghiglione, fu radicalmente eliminato nal 2004.

   Nel 2001 i commercianti della zona diedero vita ad un CIV (centro integrato di via) di circa 30 negozianti chiamato ‘Antiche Botteghe’ (comprendente via Giovanetti e piazza del Monastero ed affiancato all’omonimo di via GBuranello, di via ACantore, del Rolandone), mirato a riqualificare il quartiere; ma sia la spinta del polo commerciale della Fiumara sia il ritardo degli aiuti promessi dalle autorità, fecero disciogliere il gruppo agli inizi del 2004 (per eccesso di spese tra registrazione- contabilità ed iniziative, ma anche per inerzia e disinteresse degli stesso esercenti).

     

 

CIVICI

2007: NERI:  da 1 a 3 (nessuno pari)

          ROSSI: da 1r a 15r    e da 2r a 10r

===civ.  , è sormontato da una ringhiera a protezione del terrazzo soprastante, in ferro battuto, con chiaro stile liberty. Il sottostante ritrovo-bar, una volta ristorante Brillé (descritto in via Buranello), rimane centro di attrazione ma aperto in via G.Buranello.

===civ. 1 rosso: Il Pagano/33 vi segnala il negozio di articoli tecnici, cinghie per trasmissione ed olii (sic) minerali lubrificanti di Canepa & Rasore (vedi ¨), rappresentanti. Il Pagano/61 vi pone l’orefice Cazzulino A.

Sino al 2005 c’è stato il vecchio negozio di ferramenta ancor oggi conosciuto come ‘Parodi & Parodi’, qui aperto negli anni del 1950 da Maria Luisa Parodi, figlia di uno dei due soci fondatori della società (un negozio di casalinghi fu aperto dai ‘F.lli Chiesa fu Franco’ in via V.Emanuele (via Buranello) a fine 1800; nel 1904 l’attività commerciale fu rilevata dai due Parodi , omonimi non parenti tra loro (tra i primi a installare in negozio un telefono: avevano il numero 294…senza prefisso).  Uno di essi, Giovanni, divenuto proprietario unico, nel dopoguerra della prima mondiale passò le redini ai suoi tre figli (Mario, Giuseppe, MariaLuisa); di questi, la più giovane divenne imprenditrice del nuovo negozio di piazza Modena finché nel 1987 lo passò in eredità al figlio Gianni Vismara).

===civ. 1n: nel 1961 erano famosi il dentista Bersini P, ed il sarto F.Rigoni Roberto.

===civ 2r dove nel 1961 c’era  la merceria Vassallo A.,  nel 1994 vi fu aperto un centro commerciale chiamato ‘solo seta’.

===civ.2n se la antica numerazione non è cambiata (perché da il Teatro al civ.1) , alla fine del 1800 il civico apparteneva all’Ospedale di Pammatone (così come altre case vicino tutte proprietà assieme alla villa detta del Monastero di GB Centurione: in vico Mentana e via Arnaldo da Brescia). Nel 1961, al 2n c’era una sede dell’UDI (Unione Donne Italiane), associazione che aiuta le donne in ogni situazione di difficoltà, sociale  affettiva (mariti violenti), ecc.

===civ. 3,  il caratteristico    TEATRO  Gustavo Modena.

Storia del teatro =  La lenta trasformazione socio-politico-culturale internazionale nata con la rivoluzione francese, vide -alla fine dell’ottocento- aristocratici e borghesi agli antipodi come scala sociale (governando la casa reale a Torino, permaneva una divisione tra nobili, borghesi e popolo; alto lignaggio i primi; mentre i secondi potevano aspirare solo a titoli di riconoscimento come divenire cavaliere; gli ultimi potevano solo fregiarsi con qualche medaglia da appuntare sul petto). Per altri problemi (come il potere economico) addirittura li troviamo  completamente invertiti (squattrinati i nobili, molto ricchi i borghesi). Ma tutte e tre le classi sociali, le vediamo accomunate  nell’orgoglioso desiderio di realizzare nella neo-città un teatro proprio (Soddisfaceva gli uni ancora consci di una propria antica entità di prestigio, anche se non più di ricchi se non di titoli nobiliari legati alla corte torinese; ed anche gli altri, i nuovi arricchiti, desiderosi di farsi riconoscere,di esprimere il raggiungimento di benessere, di contrapporsi quasi per ripicca o emulazione alla Genova-matrigna, di farsi promotori verso la neonata città con opere di rispetto. La dice lunga anche il nome prescelto a titolarlo, che rappresentò un atto di sfida repubblicano contro lo stato monarchico, e di ripicca contro il nome regio del Carlo Felice genovese, contrapponendogli il nome e la baffuta immagine del tenore  dipinta in un tondo sul soffitto).

   Il 5 aprile 1856,  con atto redatto dal notaio Gian Severino Grasso, una società  per nome del commerciante Giovanni Bruno, inizia acquistando un terreno per 26mila lire -fino ad allora tenuto ad orto e con casa  e pozzo (corrispondente ad ove adesso è la barcaccia di dx) del manente, a fianco della villa Monastero, tutto di proprietà di s.e. il principe Giulio Centurione-. A fianco del Bruno erano altri benestanti cittadini (e non l’amministrazione comunale sampierdarenese come dice Lamponi), che con il loro finanziamento corrisposto ed equivalente all’ acquisto di un  palco, permisero la posa della prima pietra. Con grandi festeggiamenti, e alla presenza del “signor Bellotti” quale rappresentante di G. Modena impossibilitato ad intervenire, questa avvenne domenica 30 giugno 1856.  Si iniziò subito ad erigere i muri come da progetto dell’ing. arch. Nicolò Bruno (allora appena 23enne, nato a San Pier d’Arena e neolaureato,  ma dotato di una “precocità significante”, e figlio del Bruno firmatario l’acquisto del terreno. Vedi a strada intestata a suo nome).

    L’edificio fu costruito in un anno,  con –ovviamente- quasi tutte le strutture in legno (vi lavorò come falegname, anche il futuro sacerdote Nicolò Daste con i suoi familiari) cosicché il 5 lug.1857, nella sala del ridotto, alla presenza dello stesso notaio, fu redatto lo statuto indicando i nomi di coloro che furono i  finanziatori della costruzione (sono considerati “soci fondatori, che hanno costituito la società erettrice” il Giovanni Bruno (commerciante e padre dell’architetto progettista); f.lli Nicolò e Francesco Casanova (uno proprietario e commerciante, l’altro proprietario e negoziante (omonimo, o sempre lui, anche armatore e capitano di vascelli? Vedi C45); Giuseppe Daste (artigiano falegname ebanista, padre del famoso sacerdote Nicolò); e  “soci palchettistiO.Traverso, L.Galleano,  R.Lombardo, L. ed S.Casanova, G.Carpaneto, C.Copello (imprenditore edile e proprietario di doks), Luigi Balleydier (della fonderia in ghisa aperta nel 1832, che diverrà sindaco nel 1875),  Nicolò Garibaldi (proprietario di doks. Negli anni dell’ultimo dopoguerra, di fronte al Comune  proprietario di tutto l’edificio, esistevano la nipote Angela Garibaldi, nata nel 1909 e deceduta  nel maggio2000 che era rimasta proprietaria dei palchetti 23 e 24,  assieme alla USL3 proprietaria - ereditiera dell’ospedale - di 1/6 del palchetto n° 1. Per statuto, gli ultimi due malgrado la minoranza potevano porre veto a qualsiasi iniziativa. La ‘Lina’ aveva tenacemente lottato per ricuperare il teatro, rifiutando di vendere la sua parte finché non si fosse realizzato il restauro, accettando ovviamente di partecipare alle spese. Questa tenacia fu premiata il 31 ott.1997 alla conclusione del ripristino e dal riconoscimento di ‘sampierdarenese dell’anno’ da parte del Lions Club. Oggi, erede ultimo è un altro nipote dell’antico imprenditore), S.Queirolo e  G.Calvi (fabbrica di olii alimentari e saponi), G.Canale,  F.Buzzo, G.Regona, Rebora (produttore di pasta),  N.Montano (allora assessore comunale), G.Fava, N.Barabino (pittore), L.Salvarezza, P.Verdan, B.Porcile,  A.Capanna, M.Macciò, A.Pittaluga, T.Bixio, Gerolamo Bonanni (sindaco), GB.Tubino (assessore comunale), Bernardo Conte (assessore comunale), GB.Conte, B.Canale,  S.Queirolo,  P.Bafico,  e G.Delucchi (commercianti di ardesia), S.Dallorso (imprenditore costruttore, es.: una casa in via Buranello),  GB.Carpaneto (proprietario di grandi depositi e doks), D.Boccardo. Pressoché tutti rappresentanti della borghesia industriale e mercantile: spedizionieri, commercianti, proprietari, negozianti, industriali, artigiani; qualcuno sindaco, amministratore, impiegato, marittimo, pittore.  Per statuto, tutte le logge furono vendute assegnandole a sorte;  per i palchettisti proprietari si previde la parità decisionale e di veto, indipendentemente dai millesimi posseduti).

    Battezzato col nome dell’attore Gustavo Modena (una scelta coraggiosa, di apertura verso una persona riconosciuta altrettanto coraggiosa e politicamente non asservita), fu inaugurato il 19 sett.1857 con clamorosità di presenze e di sceneggiatura  ed alla presenza di tutta la città festante,  rappresentando l’opera semiseria “Tutti in maschera”,  di Carlo Pedrotti (la migliore certo della produzione del compositore veronese; fu soprano l’attrice Nina Barbieri Thiollier e direttore d’orchestra Angelo Mariani, maestro del Carlo Felice di Genova ).

 

  prima del Brillé

 

   Nel 1859 il teatro venne temporaneamente usato come caserma per le truppe francesi, alleate del regno sardo durante la seconda guerra di Indipendenza.

   Risultando dotato di ottima acustica (era piatto, sia il pavimento alla base dove ballavano anche, e sia il soffitto –con illusione della volta e cupola attraverso i chiaroscuri. sopra la volta, ampio spazio sino al tetto -coperto di ardesie- a V rovesciata), ottenne il giubilo di critici e pubblico, ospitando via via per molti decenni le migliori compagnie nazionali, e vantando grande affluenza e sempre maggiore interesse  (donando a Sampierdarena il nomignolo di “Broadway della Polcevera”).  Commedie, opere ed operette, prosa, balli (per le veglie danzanti tutte le poltrone venivano tolte  e posate ai bordi della sala; si abbassava il palco a livello della platea in modo da avere una unica grande piazza, con l’orchestra nell’angolo: caratteristici quelli di gennaio e chiamati “veglione delle lucciole” perché era concesso ballare fino alle ore 5 del mattino (fu programmato fino al 1939): era una festa a cui occorreva prenotarsi di anno in anno essendo frequentata da maschere anche ‘foreste’ venute a contrastare la più frequente vincitrice locale, la Giulina detta ‘la più bella fioraia di San Pier d’Arena’; la follia di una notte si accompagnava a battute, racconti, malignità e scandalo (questo era dovuto alla alta frequenza di omosessuali, che potevano travestirsi in pubblico senza incorrere nelle rigide leggi di allora: così mescolati tra tutti e nel ludibrio generale c’erano anche i ‘bulicci’ locali più famosi, come ‘u Main’ di Sestri e ‘Stanko’, il sarto delle case di tolleranza cittadine). Frequenti anche quelli organizzati ogni anno a metà Quaresima da un comitato cittadino, per beneficenza a favore dell’ospedale: con le 1360,65 lire ottenute nel 1906, fu comperato -tra l’altro- un apparecchio per massaggi di lire 695); sedute di scherma e ginnastica, pentolacce: tutto veniva programmato -in assenza di un impresario professionista (ancora non esisteva questa figura)-, secondo precise norme dettate in assemblea dai proprietari palchettisti (con il Comune che partecipava con una quota sussidiaria solo per le feste popolari).

   La serietà dell’operato,  garantiva per gli attori che recitare al Modena era di vantaggio, di prestigio e di fama: così possiamo sottolineare la presenza di tutti gli attori allora a livello nazionale come  Ermete Zacconi, Ruggero Ruggeri, Emma Grammatica, Gino Cervi, Vittorio DeSica, Salvo Randone, Gilberto Govi o altri di livello locale e  dialettali; o ginnasti nazionali come i sampierdarenesi Pavanello (vedi) o Dante G.Storace (vedi), o riviste con Josephine Backer.  Sappiamo che  il teatro fu in uso anche per riunioni e dibattiti politici specie gestiti dal movimento operaio. 

   Custodi del teatro, per tre generazioni dall’apertura alla chiusura del 1960, i componenti della famiglia D’Oria.

   

   Nel 1887, anche in conseguenza dell’apertura del nuovo teatro Politeama Sampierdarenese, ebbe un periodo di lento declino, mentre l’insulsa ed ossessiva concessione edilizia ne permetteva il soffocamento ambientale, conclusa nel 1905 quando fu aperto di fianco il mercato ortofrutticolo, chiuso poi nel 1998.

    Vissuto dalla popolazione, non solo per scopi musicali, ma anche per una  grande tombola, organizzata la sera del 9 ottobre 1892 dalla soc. Ginnastica C.Colombo in occasione del 4°centenario della scoperta dell’America (ed una tombola fu conclusa da un cameriere del vicino bar caffè Elvetico tale Hendrick Flechstein, 5 anni dopo anche l’Universale intrattenne con veglione di metà quaresima, col fine di aiutare l’Asilo, l’Ospedale (viene ricordata l’esibizione del soprano piacentino Bazzani Ortensia, gratuita ed eseguita solo perché a scopo di beneficenza) e le congregazioni di carità.

   Nel progressivo declino degli anni post bellici della prima guerra mondiale, coinvolto nei gravi motivi di crisi generale, nel cambiamento dei gusti e dei consumi culturali della gente (maggiore attenzione verso il cinematografo ed alle rappresentazioni leggere, di varietà), nelle sempre più rigide norme di sicurezza che iniziarono a regolare i locali pubblici, venne deciso una prima ristrutturazione che –progettato da Raffaele Bruno, figlio del primo architetto progettista, e rispettando l’antico aspetto estetico- andava a rafforzare col cemento armato alcune strutture portanti, ampliando la platea ed i posti a sedere (portati a 900): nel 1922 ebbe la seconda inaugurazione dopo 10 anni di chiusura,  con la Carmen di Bizet.

 

                                               

1921                                                                      1924                                               anni 1979  circa

  Nel 1926 l’assorbimento della città nella Grande Genova, smorzò di nuovo le velleità tradizionali locali, permettendo di mettere in programma varie opere ma in un procedere irregolare fino al periodo bellico e con l’attività teatrale a complemento di un film (durante la guerra viene ricordata la partecipazione della conturbante tedesca Trudi Bora, che portò sulla scena un primo scandaloso nudo, espresso ballando dietro ad un paravento trasparente, e lasciando così all’immaginazione dello spettatore la realtà della sua figura).

8 dic.1929 filodramm Tranvieri: “La Nemica”

   Nel 1934, l’edificio venne posto sotto tutela della Soprintendenza alle Belle Arti.

   Via via erano cambiati i vari palchettisti, lasciando subentrare nuove leve (come Frugone,  Gadolla,  Terrile, Perani) che però dovettero assecondarsi alla moda del cinematografo (di prima visione, ovviamente, e con iniziale grande successo) ma la guerra  creò un alt dando l’avvio ad un decadere progressivo.

Il miracoloso risparmio dai bombardamenti (unico tra i vecchi teatri a Genova) e dall’incuria dei comportamenti militari e politici del periodo bellico, non sollevarono le sorti né la dignità del teatro che  però iniziò il nuovo corso ospitando negli anni 1950 le grandi riviste di: Macario, Rascel con Tina DiMola, Dapporto,  Osiris,  e la sempre grande Baistrocchi (con Tortora, Villaggio, Borghi).

   Negli anni 1950-60 la TV fece il suo clamoroso ingresso, occupando con fare prorompente lo spazio serale del divertimento. Le varie sale dovettero accettare il binomio cinema e tv assieme (la trasmissione “lascia o raddoppia” faceva interrompere il film, che poi  veniva ripreso dopo lo spettacolo televisivo).

E malgrado la adozione delle tecniche nuove sopraggiunte (schermo panoramico, suono stereofonico, ecc.), iniziò il periodo delle fatidiche “luci rosse” (negli anni vicino al 1975 furono sperimentati e  proiettati in tutti i locali questi squallidi films per sopravvivere. Almeno per apparente salvataggio della dignità, il teatro fu in quei tempi  ribattezzato “Metropolitan”).

    Ma di fronte a questa incuria, esplose la rabbia di tutta la delegazione: consiglio di circoscrizione, parroci, cittadini, operatori economici finalmente ricongiunti fecero affiggere il 27 dic.1979 un manifesto dal titolo “giù le mani dal Teatro Gustavo Modena”).

 

   Al colpo di coda dell’orgoglio,  una seconda sommaria ristrutturazione che permise, tra alti e bassi …gli ultimi sussulti:  con la “Petite Messe Solemnelle” di Rossini nel 1979 presentata dall’orchestra e dal coro del Teatro Comunale dell’Opera di Genova , diretti dal maestro Tullio Boni … sparuti altri  guizzi (sempre affidati al gruppo che aveva rilevato Gadolla (si ricordano nel mag.1982 un pienone per il primo ed unico Concorso Naz. Cori di montagna; ed altrettanto nella serata di musica classica -diretta dal prof. Ragazzi- ed organizzata assieme al Teatro Comunale dell’ Opera di Genova),… sino al  12 nov.1983 quando fu data notizia della chiusura  per inagibilità, non essendo in regola con i requisiti di legge; a questa data seguì negli immediati anni a seguire l’incuria ed il totale abbandono al degrado naturale: un male deleterio, sotto alcuni aspetti peggiore delle bombe inglesi.

   Seppur impotenti, non tutti subivano in silenzio tanto sfacelo:   la Circoscrizione restava in lotta col ‘Palazzo’ che -a sua volta impotente sia per la questione proprietà, sia per carenze economiche, proponeva ‘tempi lunghi’ e sentiva come noiose le insistenze della delegazione-; nel mentre l’OUES faceva i suoi passi riuscendo a  sensibilizzare la cittadinanza e la parte pubblica locale (riuscì ad evitare che alcuni palchettisti cedessero la loro quota ad impresari milanesi indirizzati allo sfruttamento generale come le luci rosse fatidiche; di conseguenza il Comune iniziò ad acquisire le quote dei vari eredi (nel 1979 il Comune deliberò riscattare la ‘quota Gadolla’ : per 600milioni acquisì il pacchetto azionario della famiglia corrispondente al 68 % dell’intero valore; una seconda trance fu acquisita nel magg.1981, con una spesa di circa 700milioni e con atto del notaio Moro; quasi tutte le altre furono acquisite nel periodo 1984-6, come  quella che era stata venduta ad un Bagnara il 2 genn.1910 per 2600 lire. Rimasero infine quella della USL3 -intestataria di un sesto del palco n°1 di seconda fila, cedutole dall’A.Ospedale Villa Scassi che lo aveva a sua volta ricevuto per testamento dalla Scaniglia Tubino, e quella della signora Angela Garibaldi, pronipote di Nicolò,  uno dei fondatori.

 

        Finalmente completato l’ acquisto del teatro - dopo il lunghissimo iter burocratico causa la complessa frammentarietà dei successori dei proprietari  dal Comune di Genova fu  avviato un ambizioso progetto di terzo ripristino. Si scrive che approvato lo stanziamento di 188,8milioni dal piano finanziario comunale il 28 dicembre 1989 l’assessore al bilancio Denaro potè annunciare l’avvio dei lavori (che erano stati fermati perché seppur già approvati dalla giunta l’anno precedente, erano senza la necessaria copertura finanziaria). Essi però furono richiesti con tale ricchezza di particolari (non solo degli impianti di sicurezza secondo le norme entrate in vigore, ma anche di rinnovo delle strutture interne, servizi, rinforzi, utilizzazione delle strutture vicine) che non poterono poi essere realizzati per eccedenza di costo essendo stata prevista la spesa addirittura di 4 miliardi (gli arch. G.Giudice, V.Marconi e G.Pellegrino confortati dalla consulenza per le strutture dell’ing. Montaldo e per gli impianti della CSREngineering, avevano presentato completo il progetto, rispondendo a tutte le disiderata, il  19 marzo1988). La cosa si fermò di nuovo lì.

   Le iniziative collaterali furono innumerevoli; ricordiamo nel 1981 la conclusione festosissima del carrossezzo cittadino e l’organizzazione di assemblee pubbliche ed incontri, favoriti dal sindaco Cerofolini e dal Consiglio di Circoscrizione; nel 1987 quest’ultimo promosse una ‘serata in piazza’, presente lo stesso sindaco; nel 1988 la presentazione di un progetto ma col gelo dei ‘tempi di esecuzione pluriennali e del bilancio comunale che non prevedeva alcuna spesa in merito’. 

      Un altro controllo effettuato nel febbraio 1991 approdò a nulla di fatto constatando solo il buco sul soffitto da cui l’acqua piovana irrompeva a marcire il soffitto incannicciato; l’enorme lampadario ancora in buon stato pronto ad essere calato -tramite una botola ed un sistema di carrucole e binari, considerato che doveva funzionare a candele da accendersi una per una e da rinnovarsi (operazione eseguita, dapprima con bocce di vetro ma, cadutane una durante una prova, si provvise a sostituirle negli anni 1990 con altre di plastica leggera); la finale resa, di fronte al sipario irrecuperabile; l’orologio fermo alle 5,35 (tutt’ora fermo nel 2009 perché troppo ‘impetuoso’ il tic tac nelle rappresentazioni teatrali); i cancelli arrugginiti che chiudevano l’accesso ai palchi ma che ai ‘conosciuti’ permetteva raggiungere anche la bouvette e -da essa- la terrazza sopra l’ingresso principale; alcune carte che testimoniavano gli ultimi sporadici passaggi della ‘compagnia Guglielmino Inglese, Maria Carpaci e Romolo Schiavazzi’, nonché del quartetto di concertisti georgiani esibiti in musica russa.

   Per la nuova terza riapertura, fu prescelta una strada più economica, che pur non soddisfacendo tutto il desiderato, però prometteva di alzare il sipario: così nel corso del 1991, approfittando della grossa cifra approvata allo scopo nel  bilancio  Comunale (e del fattivo interessamento degli altri Enti locali compreso il CdiCircoscrizione;  dell’ UOES tramite la costituzione di un consorzio che però non avendo raggiunto la cifra opportuna si trasformò nel gruppo “Amici del Modena”  (tra cui l’arch. A.Montini, E.Olani di radio Lanterna city, U.Paita immobiliare, G.Vismara commerciante ferramenta, don B.Ferrari parroco, e molti altri, uniti in gruppo spontaneo e disinteressato che si costituì nel 1991 per sensibilizzare i cittadini e le istituzioni, e per invitare l’arch.Filippi ad un nuovo progetto più economico: ad essi ed alla loro pervicace tenacia, va riconosciuta la paternità della rinascita del teatro dopo un iter bellicoso, mortificante e pieno di trappole politico-burocratiche);


appoggiati da singoli cittadini con iniziative ovviamente inefficaci sul piano decisionale ma determinanti per la sensibilizzazione popolare (il campassino sig. Manghi Ettore, morto nel 2002, a sue spese fece stampare migliaia di manifestini che personalmente distribuiva per la città – purtroppo senza un minimo di riconoscimento né di gratitudine da parte dei ‘posteri’; e da parte dei “comitati di strada”; sino poi all’ultima, dal 1991, la  

  protesta Manghi              


 “Associazione Amici del Teatro Modena(nata con gli stessi soci degli Amici del Modena: mons.B.Ferrari,  G.Mango, A.Mazzocca, L.Mazzucchelli, A.Montini,  E.Olani, U.Paita, I.Parodi, G.Vismara; allargando però la partecipazione, ma sempre col fine di far funzionare ed incentivare il teatro quale strumento di comunicazione, aggregazione sociale, diffusione culturale ed occupazione del tempo libero); di aziende private ed artigiani), fu presentato un progetto più economico, creato dall’arch. Alberto Filippi, coadiuvato dal direttore ing. Giorgio Stella.

 

    Infinite alternanze per superare le mille procedure burocratiche: tutta una serie di speranze e delusioni, approvazioni e rinvii, docce scozzesi fredde e calde, preventivi saliti a 9 miliardi. Finché  non sopravvenne nell’estate 1994  una convenzione del Comune con l’iniziativa privata dei dirigenti del “Teatro dell’Archivolto”, la cui compagnia -con contratto novennale col Comune dal 1995- permise una profonda quarta ristrutturazione (dopo il 1857, 1922, 1979).

Il 13 gennaio 1996 avvenne un sopralluogo celebrativo l’inizio dei lavori. Presente la mitica signora Garibaldi Angela, pronipote del nonno Nicola palchettista (due addirittura, il 23 e 24), caratteristica perché non avendo mai voluto vendere la sua quota, ha impedito che il teatro entrasse nelle speculazioni edilizie di immobiliari che prevedevano la demolizione per farne palazzi.

Durata oltre un anno: il pavimento sopraelevato all’ingresso e reso -da piatto- a parquet inclinato; il soffitto, avendo i quattro riquadri -con l’effige delle muse- gravemente stinti ed impossibilitati ad essere ricuperati- sono stati coperti con teli (di resina fenolica che è leggera ma duroelastica; danno l’impressione di essere affrescati;  dipinti da tre pittori tra i quali Luca Taccia e le muse hanno il volto delle due pittrici collaboratrici); gli stucchi della facciata dei palchi, rifatti ed applicati; il palcoscenico sventrato e rifatto (anche nel soffitto con controsoffitto metallico e corde delle scene manovrate a macchina).

Il 30 sett.1997 (sul Secolo si scrive che l’inaugurazione avvenne il 31 ottobre) questo teatro (ultimo in stile dell’800 esistente in città)  ebbe la terza riapertura delle porte al pubblico, con uno spettacolo intitolato “Snaporaz Fellini”, testo e regia di Giorgio Gallione, meritevole da vedersi ma un po' complesso a capire per chi non conosce le opere di Fellini: per chi non è più abituato a frequentare un teatro ed invece è condizionato dal cinema e dalla TV, forse   preferiva qualcosa di più classico e più vicino alla cultura di base, anche se autorevoli fonti di critica si esprimono a favore di nuove frontiere e contro il ‘deja vu’ classico. 


La compagnia goliardica M.Baistrocchi, che ogni anno propone una allegra, satirica e disinvolta rappresentazione teatrale, ed i cui guadagni vanno sempre destinati ad opere di beneficenza, fu rifiutata dalla direzione perché mancante di ‘spessore culturale’.

Notare che la Bai è stata premiata dalla ACompagna con il premio G.Marzari, proprio per il motivo opposto.  Punti di vista. Ma probabilmente alla base o ci sono ripicche personali o evidenti scelte politiche, dove la cultura c’entra poco se non quella di parte.

 


 

    La Compagnia del Teatro dell’Archivolto, nata negli anni 80, è stata gestita da Pina Rando, Valter Adani, Giorgio Gallione, ed è stata una delle animatrici della rinascita del teatro;  dopo aver avuto chiusa la sede nel 1982 di salita Famagosta, la Compagnia si pone col Modena di divenire una compagnia stabile genovese promotrice di programmi artistici teatrali di  primaria importanza  culturale per la città.   

A mio modestissimo parere, come in tutte le cose, ci sono dei pro e dei contro.Tra i pro rilevo: --fare cultura in “periferia” e tentare di decentrarla, è opera altissimamente positiva; --questo tipo di cultura del teatro è aperta nel mondo, e quindi aiuta ad uscire dagli schemi piccolo borghesi della circoscrizione; --senza loro, forse il teatro sarebbe trasformato in silos per auto. Contro, c’è solo una troppo rada tenuta di contatto con la circoscrizione: troppo poche le iniziative che coinvolgono il popolo locale.

L’11 marzo  2002 han dato vita all’associazione “Fufa onlus” (dal nomignolo di Fulvia Bardelli, loro amica e figura poliedrica nel campo teatrale, scomparsa l’anno prima); assieme all’Università si propone  la assegnazione di più borse di studio a studenti nel campo teatrale.

 

    La ristrutturazione dell’ambiente dell’ex-mercato, concluso nell’ottobre 2001, ha offerto al teatro il supporto di sale idonee a seminari di danza o teatro, servizi quali un laboratorio sartoria-falegnameria, un deposito di scenografie e costumi, i camerini per gli attori,  una sala prove ed una per la stampa.

    Mi sembra, dai discorsi fatti a me sprovveduto, dal popolino che conosco in delegazione, che se ne sia impossessato più l’Archivolto per i suoi programmi , che la popolazione confermato da una intervista al Secolo XIX durante la quale la responsabile confessava che “anche se gli abitanti sono orgogliosi del ‘loro’ teatro non lo frequentano molto…d’altra parte la nostra non è una programmazione di quartiere…la scommessa era semmai portare qui il grande pubblico”; e prosegue l’articolista scrivendo “L’Archivolto ha programmato Pennac e Dario Fo dove un tempo c’era l’operetta. E forse per questo alcuni preferiscono il teatro in dialetto”.

 Il teatro è stato riaperto:  questo è l’essenziale. Che sopravviva, dipenderà  dal dialogo che il teatro saprà fare oltre che con gli esperti (e questo probabilmente lo stanno facendo già e bene, con rappresentazioni, incontri e concerti ), anche con la gente. Nel maggio 2001 un corso di sette incontri di aggiornamento per la conservazione del dialetto genovese: una commedia ‘a ciammavan Cenerentola’ messa in scena dalla compagnia ‘Caroggè’ sia per 2000 ragazzi delle scuole che per gli adulti. Il programma 2001 vide andare in scena opere di un certo spessore coinvolgenti compagnie teatrali prevalentemente nazionali, con teatro, danza, appuntamenti letterari e musicali, rappresentazioni per bambini: nell’ottobre 2001 ospitò il calciatore Seedorf Clarence per parlare ai ragazzi di razzismo;  e -gratuitamente per il pubblico- il vincitore del 48° premio Paganini, il ventitreenne polacco Marius Patyra che con il celebre ‘Guarneri del  Gesù, soprannominato il Cannone’ eseguì sinfonie di Haydin, Mozart ed i Capricci 7 e 24 di Paganini.

   Un programma, titolato ‘festival lungo un anno’, ha visto dedicare la prima stagione a Daniel Pennac, e l’anno dopo a Stefano Benni con in scena i vari attori che in qualche modo nel corso della propria carriera hanno interpretato i testi scritti dai due autori e che per gli appassionati sono veri e propri ‘best sellers’.

   Nel 2007 l’Archivolto inizia a mandare SOS: mancano 2 milioni di euro; perché gravato da un debito ancora legato agli investimenti iniziali, e poi non saturati cosicché sui quali gravano gli interessi passivi; e perché lo Stato  ha tagliato i contributi. Nel 2009, tra tanti silenzi, pare si muova un certo interesse dei media e  tra i terminalisti dello scalo portuale.

 

   La facciata  appare neoclassica, con in basso cinque porte (tre centrali e due lateralizzate unite come da un finto porticato).


Sotto il timpano d’apice, portava una scritta iniziale, presumo greca “kinoplastikom” andata ben presto perduta e, da chiarire come significato.

 


   Nel 1920 fu ristrutturato abbassando il pavimento ed eliminando i tre scalini originari, nonché costruendo un avancorpo alle tre porte centrali  tale da formare un terrazzo per il piano superiore: questi fu  arricchito da un colonnato ionico e da un timpano.

   Nel 1998 le fu assegnato il civico 3 nero.

   L’interno   ha un grosso atrio, ed un ridotto (che rimane sotto il palco reale, oggi del sindaco); essi si aprono verso la grande sala, fatta a ferro di cavallo per un loggione ed una vasta platea,  circondate da 4 ordini di palchi (10 al 1° livello e 25 al 2°, 3° e 4°) , il tutto per circa 800 posti (nella ultima ristrutturazione, il dover porre attenzione a tutte le normative di sicurezza, ha costretto gli architetti a ridurre i posti ).

   Alle pareti, stucchi e dorature realizzate da DeLucchi e dallo stesso Bruno;  il soffitto  ha una botola centrale per far scendere il grande lampadario in bronzo (a quei tempi munito solo di candele di cera); nonché pitture a fresco del Barabino raffiguranti le figure de “le 4 stagioni” racchiuse dentro grosse losanghe convergenti verso il centro, e in un rosone, il ritratto di Gustavo Modena. In un restauro del primo 1900, Carlo Orgiero e Salvatore Zunino ridipinsero alcuni affreschi precedenti andati perduti: ora anch’essi si sono deteriorati per cui attualmente appaiono riprodotti su tela che è stata sovrapposta all’intonaco del soffitto in modo tale che questa copertura non resta evidente e quindi rimane il disegno con gioioso appagamento della vista.

 

 

atrio

    

   Aveva due sipari: uno dipinto da Nicolò Barabino (richiestogli per l’inaugurazione, egli aveva dipinto -per questo suo primo esperimento scenografico- una “apoteosi e incoronazione di Ludovico Ariosto, nel tempio della gloria” (coordinando sulla grossa tela di circa 120 mq  molte decine di figure (41.160 dice 100; sul Secolo sono 140 mq e 50 figure) in formato un poco più grande del naturale, riprodusse -come se fossero all’interno di un tempio e circondati da dovizia di elementi architettonici (colonne, capitelli e statua della Poesia)- in prima evidenza il dio Apollo che porge l’alloro all’Ariosto chinato ai suoi piedi, con vicino l’Italia che l’addita ai poeti greci e latini (in primissimo piano a destra  Petrarca e Dante) tutti distribuiti intorno, assieme a muse ed allegorie, e tutti inneggianti alla gloria del poeta).  L’armonia era tale che destò l’ammirazione di tutti i critici. Sappiamo che dal tempo della inattività, giaceva nel teatro abbandonato incautamente non custodito ed arrotolato sullo sfondo del palcoscenico alla mercé di polvere, umido, topi e piccioni;  fu deciso nel 1987 una ispezione e, da essa un preventivo di restauro; l’anno dopo il Comune stanziò la cifra necessaria, prevista di 166milioni ed affidò la tela al laboratorio di san Donato, diretto dall’arch. G.Franco Carboni. Ma nella lunga attesa burocratica, qualcuno si era accorto del valore e della facile vulnerabilità dell’oggetto. Solo nel maggio 1989 (in seguito ad un furto nella tabaccheria d’angolo nella quale erano penetrati accedendo agevolmente attraverso il teatro) ci si accorse che chissà quando dei ladri, ovviamente rimasti ignoti, avevano deturpato la tela. Le indagini riscontrarono che il furto consisteva nell’asportazione di una porzione di tela di m.18x2 (altrove è scritto 3x5, sulla parte destra riproducente le immagini di Dante e Virgilio): proprio la parte centrale  di quello che si era meglio conservata, e in modo tale da rendere il tutto praticamente inutilizzabile (almeno così si legge; e il rimanente non si sa dove sia; si presume  alle Belle Arti per eventuale ipotetico restauro).

   L’altro sipario era di Carlo Orgero, e rappresentava il “Falconiere” : era usato per spettacoli secondari o per i cambi di scena, e usualmente detto ‘il comodino’ . Attualmente  non si conosce dove sia .

   All’atto del restauro furono trovati anche alcuni macchinari, i più in legno, che furono prelevati per eventuale restauro  (vedi foto in 65.91).

   L’edificio, dal 1934 è vincolato e tutelato dalla Soprintendenza per i beni architettonici della Liguria.

===civ. 4-8 rosso; ancora nel 1960 al 4 vi aveva negozio di cordami Burdese Maurizio; ed all’8, c’era stato il vecchio ‘bar Lava’ e, dal 1950 il bar di Riva Pierina. Dal 1974 è aperto il ristorante ‘la Botte’, arredato con  personale stile rustico da allora (inizialmente erano tre soci) è  gestito dal baffuto chef Roberto Benzi -detto ‘baffo a manubrio’-, dove giocando sulla qualità, vengono proposti manicaretti appetitosi, al chiaro di candela  (nel 1983 ricevette la ‘coppa d’oro’ qualificandosi primo ad un concorso su ‘Sampierdarena a tavola’. Alle pareti, vi sono quadri  di Luciano Fumagalli, che fu vigile del mercato. Unico – forse in tutta Genova – ad avere all’ingresso un decorato abbeveratoio per i cani chiamato ‘Doggy bar’-sottratto o rubato nel 2012). Dalla morte del titolare, il locale è rimasto chiuso per anni, e tale è ancora nel 2012.

===civ. 5r-9r nel 1961 c’era il calzaturificio Varese

===civ. 10r: nel 1961 c’era la trattoria ‘eredi Narizzano E.’

===civ. 11r-13r nel 1936 ai civv. 9-11r – e sempre nel 61 -  c’era la ditta  A. Costa & C.  di forniture industriali - articoli tecnici, tel.41.954 (negli anni ’30 si faceva réclame di mezza pagina evidenziando il prodotto «VIGOR – preparato speciale genuino brevettato per la saturazione e conservazione delle cinghie» – e riferendo possedere «Specialità cinghie per trasmissioni / TESSUTE (sic): marche depositate per grandi forze: Tripoli – Gloria – Vittoria / cuio (sic)extraforti – inestensibili / lubrificanti – specialità per moto e aviazione / importazione diretta»)

 

DEDICATA  all’attore, nato a Venezia nel 1803 da Giacomo (probabilmente sarto teatrale originario del paese trentino Mori-Riva del Garda) e da Maria Luisa Lancetti attrice.

La madre ovviamente lo sensibilizzò fin da piccolo all’arte teatrale


Diciottenne, si iscrisse a Bologna alla facoltà di legge nella Università Pontificia. I tumulti patriottici del 1821  lasciarono il segno nell’animo e nel corpo di Gustavo che vi  partecipò a Bologna e  rimase ferito in uno scontro con i gendarmi pontifici; ma l’ardore di pochi on bastò e l’impreparazione determinò facile stroncatura da parte dei governi assolutisti.

Comunque, si laureò il  6 febbr. 1824.

 

 


Dopo la laurea esercitò la libera professione, prima a Roma poi a Bologna dove fu avvocato alla corte d’appello. Ma l’arte teatrale e una ben accertata capacità di recitazionde lo attrassero più forte di quella forense; così decise debuttare quello stesso anno 1824,  nel ruolo di David nella tragedia “Saul” di Vittorio Alfieri con la  compagnia filodrammatica di Luigi Fabbrichesi. Dopo sei mesi entrò in quella del padre Giacomo che proponeva  repertorio classico col quale il giovane iniziò a lanciare messaggi politici indiretti contro le dominazioni straniere, in particolare quella austriaca. Così che la sua fama di attore crebbe e la libera stampa lo citava come di un “un mago del teatro”. Le opere teatrali interpretate furono: dal classico Euripide, ai moderni Sciller, Botti, Dall'Ongaro, Pellico, Alfieri e Manzoni.

La sua fede patriottica si rafforzò nel marzo 1831 quando partecipò ai moti risorgimentali di Bologna promossi dai mazziniani nella vicina Modena (dove il duca Francesco IV, che già aveva condannato alla  pena capitale  Don Andreoli,  reo solo di essere carbonaro, aveva fatto  arrestare e condannare a morte Ciro Menotti) - tenendo un discorso che infiammò gli animi, commosse gli ascoltatori ma lo costrinse a  fuggire dalla città dove fu condannato in contumacia.

In esilio fu dapprima in Francia, poi in Svizzera dove sposò la ginevrina Giulia Calame, la quale abbandonò gli agi familiari per seguirlo a Bruges ed a Bruxelles, (dove per sbarcare il lunario  fece il venditore ambulante di maccheroni e vino marsala) ed infine a Londra (dove conobbe Mazzini; aderì alla Giovine Italia della quale rappresentò poi l’ala più democratica; e dove esercitò diversi mestieri ma riuscì  grazie all’aiuto di Mazzini,  a tenere uno spettacolo “Lectura Dantis”  che suscitò interesse ed ammirazione nel pubblico per la sua abilità nel declamare i versi della Divina Commedia, poeta anche a Londra conosciuto quale simbolo dell’identità culturale e linguistica italiana.  

Nel 1839 dopo otto anni di esilio poté lasciare l’Inghilterra e tornare in Italia.

Quattro anni dopo a Milano riscosse grande successo al teatro Reale e costituì una propria compagnia con cui iniziò una tournée di sette anni in quegli stati italiani preunitari che gli concedevano il visto d’ingresso.

    TEATRO = Viene riconosciuto il più grande attore dell’ottocento, considerato insuperabile per calore e profondità della voce; ma soprattutto perché  riformatore e innovatore dello stile di recitazione  in quanto a) liberò la sua interpretazione dai vecchi schemi stereotipati caratterizzati da esasperata declamazione e da atteggiamenti “plateali” od eccessivamente mimici ed enfatici con i quali gli attori precedenti cercavano di rafforzare l’espressione delle passioni e dei sentimenti; b) comprese che l’attore poteva costituire un forte mezzo di elevazione culturale e morale del popolo (a quei tempi erano d’uso rappresentazioni dell’Alfieri, di Dumas padre, di Delavigne, e degli altri autori che oltre al dramma esprimessero l’irredentismo, la propaganda insurrezionale, l’incitamento alla lotta); c) le sue scelte sono alla base del moderno metodo di recitazione,  basato sull’approfondimento psicologico del personaggio da interpretare e sul concetto di immedesimazione da parte dell’attore.

Divenenne così indiscusso protagonista dell’arte del teatro, apprezzato come rigido e coerente personaggio, divenuto pubblico per l’arte; e non solo: attore, scrittore, giornalista ed oratore (eccezionale dicitore dei canti della Divina Commedia);  come uomo di spettacolo, si ricorda quando – come maestro - diresse lui la compagnia comprendente nomi che diverranno famosi nell’ambiente, come Tommaso Salvini (che si distinse come patriota e fu suo compagno d’armi nella difesa della Repubblica Romana), Luigi Bellotti-Bon ed Ernesto Rossi (anch’egli patriota delle Cinque giornate di Milano).

   PATRIOTA= Non fu da meno per i suoi precedenti di fervente patriota: fu puro e fervente repubblicano (fedele mazziniano, iscritto alla Giovine Italia ed alla carboneria,  fu esiliato dai Savoia ai quali rimase dignitosamente avverso: tutto questo piaceva molto ai sampierdarenesi);  nel 1831, abbandonò il teatro per accorrere a Bologna in rivolta contro l’Austria; le feroci repressioni lo costrinsero di nuovo all’esilio (Francia, Svizzera, Inghilterra), da cui tornò solo dopo l’amnistia concessa da Ferdinando I);  nell’insurrezione del 1848 a Milano fu tra i primi a partecipare; e poi nel Veneto con Manin  si fece portavoce dell’idea di armare la popolazione  per combattere;  dopo, alla difesa della Repubblica Romana del 1849 allora 46enne- alla quale  partecipò come caporale dei volontari con la moglie Giulia Calame infermiera (insieme a Enrichetta De Lorenzo, compagna di Carlo Pisacane, e Cristina Trivulzio); durante l’assedio scendeva dalle barricate per salire ben due volte sul palcoscenico e darvi ben due recite a raccogliere somme, al fine di recare ai feriti il necessario sollievo. I due coniugi furono descritti da Giulio Piccini biografo di Tommaso Salvini: ”Erano giunti il 31 aprile: questi due indomiti non posavano mai. Giungevano da Firenze dove lui aveva corso pericolo di morte, mentre era chiuso nella sala dell’assemblea costituente, dinnanzi alla quale aveva pronunziato il suo focoso discorso per l’unione della Toscana a Roma”  dovette trovare suo malgrado  rifugio negli stati sardi.

Nel 1859 uno scrittore Giuseppe Prati (definito “poeta di Corte”), sui vari giornali nazionali si mise a denigrare in versi, vari personaggi del Risorgimento; tra essi anche il Modena con un epigramma : «Repubblica tu sudi – dal capo fino ai pie’, - ma in grazia degli scudi (soldi) – ti adatti a far da re». La risposta non tardò a venire (essendo stata recitata non è il vero testo: «come attore io sono solito riprodurre sulla scena eroi e popolani, ingenui e malfattori, e tutte le volte che io devo incarnare un tipo, rappresentare un personaggio, studio e prendo a modello un tipo e un personaggio vivente. Così fece pure il divino Michelangelo. Il giorno che dovrò rappresentare sulla scena Giuda, prenderò a modello il cav. Giovanni Prati»).

   POLITICO= Fu eletto deputato all’Assemblea Costituente a Firenze; repubblicano mazziniano anticlericale ed avverso a qualsiasi conciliazione con la monarchia sabauda, dovette suo malgrado trovare rifugio negli stati sardi

   Più volte, sia per ragioni professionali che politiche, aveva soggiornato  a GENOVA: nel 1856  a genn. e febb., nonché il 26 maggio quando aveva rappresentato il Polinice, di Vittorio Alfieri, nel teatro Apollo (era di fianco alla chiesa di s.Maria della Pietà, vicino alla casa di Colombo), a beneficio delle scuole serali ricevendo la sua paga e in più in regalo un canto in terzine di  Luigi Mercantini -anche lui esule a Genova ed insegnante al Monastero, istituto tecnico di SPdA-, ed una bandiera. Qui abitava in una casa in via dei Servi al 67 nella zona dell’ex Via Madre di Dio (Giardini Baltimora), poi demolita; nel 1889 vi posero una lapide  affermante  “abitò questa casa - nel MDCCCLVI - Gustavo Modena - qui il popolo acclamò fremente - il maestro sommo dell’arte drammatica - il cospiratore della Giovane Italia - il difensore di Roma - Il Circolo Libero Pensiero, questo ricordo pose il 20 settembre 1889”.  Nel 1857 fermandosi dal novembre sino al febbraio dopo, recitò al teatro Doria (poi Margherita, ove anche qui fu posta una lapide a ricordo “ a Gustavo Modena - nella sera della sua beneficiata -nel teatro Doria- la Consociazione degli Operai in Genova”) il 18 dicembre; nel 1958, la stessa  Consociazione, gli donò una medaglia commemorativa ed un’ode, opera di Emanuele Rossi,  per aver recitato sempre a beneficio delle scuole, nel teatro Apollo il 17 dicembre; in occasione scrisse  essere “afflitto da malanni fisici, da impresari che pur non pagandolo volevano imporgli parti da sbadiglio, da autori maschi e femmina con drammi da leggere, e rompicugie di visitatori, e lettere da rispondere...”). Nel nov.1859 scrive essere alloggiato “in piazza san Stefano alla Porta d’Arco n°2 vicino al barbiere, 4° piano” ...

Quando i sampierdarenesi decisero di dedicargli il teatro, raro caso di dedica ad un personaggio vivente, per l’inaugurazione il 18 settembre 1857, delegò a rappresentarlo l’attore Amilcare Bellotti Bon. Tuttavia forse, durante i soggiorni genovesi, non mancò di far visita a San Pier d’Arena  e farsi ritrarre davanti al teatro a lui intitolato come testimoniato da una cartolina  in cui sembra lo si possa ravvisare nell’elegante cinquantenne signore con il sigaro che sta appoggiato all’edicola della piazza e dal quale i presenti si tengono a rispettosa distanza. 

 

   Probabilmente afflitto da qualche malattia non conosciuta, si ritirò a Torre Pellice,  dopo aver rifiutato la direzione di un teatro, amareggiato dall’assetto monarchico che  l’Italia unita  aveva assunto, antitesi della sua visione repubblicana e mazziniana. Dopo vita intensa e produttiva, morì precocemente, trentottenne, a Torino il 20 gennaio 1861 tra le braccia della moglie Giulia Calame, la coraggiosa ginevrina che aveva condiviso con lui le gioie, le speranze ed i dolori della sua vita di artista e di patriota, alla quale lasciò articoli ed un epistolario.

 

   Molte città hanno titolato una strada a suo nome, tra le quali Milano e  Roma (in quest’ultima sul Gianicolo c’è anche un busto, opera di Carlo Lorenzetti) mentre   una statua, sempre di Lorenzetti, si trova a Venezia, sua città natale. Genova lo ricorda, attore drammatico e patriota, amico di Mazzini, con una lapide posta in via dei Servi. Nel Politeama Genovase c’era ancora nel 1895 un medaglione di marmo con il suo ritratto eseguito dal comm. Santo Saccomanno (altri erano di Adelaide Ristori, Tomaso Salvini ed Ernesto Rossi).

Palmanova, Vaiano (Prato) e  San Pier d’Arena gli hanno intitolato un teatro (in quest’ultimo, un medaglione col suo ritratto è visibile sulla volta sopra il sipario).

 

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-Millefiore.Sborgi-Un’idea di città-CentroCivico SPdA.1986-pag.102

-Miscosi Giulio-Osservazioni e ricordi della vecchia Ge...-Tolozzi 1969-pag.6

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-Pastorino P.-viaggio sentimentale nella GGenova-DeFerrari2007-pag.82

-Pastorino.Vigliero-Dizionario delle strade di Ge.-Tolozzi.1985-pag.1187

-Poleggi E. &C.Atlante di Genova-Marsiòlio.1995-tav.34

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-Schmuckher A.-Teatro e spettacolo a Genova e…-Mondani 1976-pag.63

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-?                    -G.Modena-SocLiStPatr..vol.XIX ns.I.pag.404***da vedere