MONTI                                     via  G.B. Monti

 

TARGHE :

San Pier d’Arena – via – G.B.Monti                 

via - Giambattista Monti

via  - G.B. Monti

 

                                                             

 

inizio strada e ramo in salita, in angolo con via C.Rolando. Due targhe.

 

ramo in salita, angolo via Farini

ramo in salita, angolo con via dei Landi

 

fine del ramo in salita, retro del grattacielo

ramo a ponente, angolo con via Battaglini – confine con via dei landi

 

ramo a levante, a fine strada dopo il ponte, angolo via V. da Gama

 

QUARTIERE MEDIEVALE: Mercato

da MVinzoni,1757.        

Ipotetico tracciato di via GBMonti in verde; celeste,                           da Google Earth 2007.

salita Belvedere; fucsia ipotetica via dei Landi; gialla

 villa Pallavicini; rossa villa Currò.

 

N° IMMATRICOLAZIONE:   2811     CATEGORIA: 2

in celeste tratto in salita; verde tratto a ponente; giallo tratto verso levante

da Pagano 1967-8

CODICE INFORMATICO DELLA STRADA - n°:   41020

UNITÀ URBANISTICA: 25 - SAN GAETANO

                                           27 - BELVEDERE

CAP:   16151

PARROCCHIA:  NS del ss. Sacramento

STRUTTURA:   lunga strada comunale che da  piazza Montano sale fino a via Landi e corso Magellano.

   Doppio senso viario, escluso nei due tratti estremi; è senso unico in discesa dall’incrocio con via L.C.Farini allo sbocco in  fondo tra via A.Cantore e via C.Rolando (Nel 1973 vi si riversavano solo 7200 auto al dì; e  laddove al semaforo ci aspetta implacabile un giovane slavo immigrato); è invece senso unico in salita dall’incrocio di via dei Landi – dopo il quale esegue uno stretto tornante - sino al termine,  fatto a T: a sinistra sino all’incrocio con via Battaglini, ed a destra sino oltre il ponte sopra corso Martinetti all’incrocio con corso Magellano (lo stradario in dotazione ai VVUU dice erroneamente “fino a salita Belvedere”, valido prima dell’erezione del ponte). La ristrettezza della strada crea i soliti problemi di posteggi e traffico, aggravati dagli impazienti e dai menefreghisti.

il tornante

   All’inizio in basso, c’erano due targhe, vicine ma diverse indicanti la via.

   È servita dall’acquedotto DeFerrari Galliera.

 

STORIA:  

     Nell’antica pianta del sobborgo di San Pier d’Arena disegnata dal colonnello M.Vinzoni e datata 1757 (vedila sopra),  tutta la zona in cui scorre la parte distale della strada - escluse le case già presenti lungo la via principale, e di diverse proprietà - appare appartenere al magnifico abate Spinola Nicolò; quella più alta interessa invece più proprietari tra i quali principalmente il magnifico Giuseppe Doria (con la sua villa, poi Serra ed attuale Ist.donDaste), ed i magnifici Lorenzo  Lomellini e fratelli Pinelli (patroni della abbazia di sd.Bartolomeo del Fossato).

A fine secolo 1800 quello che poteva essere un viottolo che si staccava dalla via del Mercato verso il monte (tra due case o forse addirittura sotto un voltino, visto che nella carta su citata le case apparirebbero una affiancata all’altra senza spazi) e divenendo di maggiore frequentazione pubblica, acquisì dignità propria, tanto che nel dic.1900, il regio commissario straordinario, propone il nome di via Gianbattista Monti per questa trasversale che sale distaccandosi da via Mercato, “via già detta del Collegio (vedi), verso notte (nord) nei terreni detti della Regata”, e messa a continuazione - dal mare verso il colle - della crosa dei Buoi (poi via Nino Bixio)

   Ancora dal 1902-12, in angolo, al civ.9-15 vi si apriva il collegio-convitto Dogliani, con direttore  Cesare Chiabra. L’ingresso principale doveva essere a ponente, al fine di un viale che portava allo spiazzo davanti al portone che venne chiamato ‘ciassa de-e bandëte’ (vedi).

 


--il primo palazzo a destra, ora                       demolito, ospitava le Scuole Tecniche; immagine anteriore al 1905  circa

--foto similare alla precedente, viaggiata nel 1905, ma errata perché indica“via S.Giovanni Battista a Monte” che non è mai esistita.


 

 Nel 1910, nei fogli comunali viene chiamata “via Gio Batta Monti, da via N.d’Aste (sic) verso la collina”, con numeri civici sino al 30 e 21 (ma diversi dagli odierni); e con questo nome le fu posta la targa all’inizio della salita.

 

--foto viaggiata nel 1912             --

Nelle prime decadi dello stesso secolo (ancora nel 1933 quando  non esisteva via A.Cantore), viene descritta aprirsi da via N.Daste, “verso i monti”; praticamente finiva poco dopo ove ora è la chiesa.

=foto (a sinistra) di via GB Monti (a destra in violetto) quando – nelle prime decadi del 1900 - ancora si ‘perdeva’ in alto sulle falde della collina. Tutti edifici poi abbattuti: in alto ed al centro in primo piano, il collegio Dogliani (nella foto a destra, in giallo). All’estrema sinistra una villa seicentesca che – in base alla posizione – potrebbe essere (nella carta a destra) la villa verde dei Moro.

 1923

 

 

Nel Pagano/40, la strada è compresa tra via A.Cantore e sal. Belvedere ed ha, senza numero civico la chiesa Adoraz.Perpetua;  nei civv. neri privati e al 22/1 Ass.Prov.Cacciatori; 23 Tardito G. latta; 25 Stura V. ing.; 36A canc.: ‘casa Famiglia del sacro Cuore.Orfanatrofio femminile’ e ‘Lavori femminili’.  Nei nn. rossi:  senza civico, una latteria posta “nel casotto rimpetto al 24 nero, Barabino”. Rossi dispari= 1r mat.elettr.Arnaldi; 5r drogheria; 9r maceller.; 11r merceria Provinciali; 13r polliv.; 15r mode; 17r ottoniere;  19r commestib.; 21r latteria; 23r farmacia dott. Rolando; 25r drogheria; 31r bottiglieria; 33r commestib.; 41r drogher.; 43r offic.elettromecc.; 45r bazar; 49r fruttiv.; 55r parrucch.; 57r stirat.; 59r osteria; 63r giornalaio; 65r Tipo litograf.Don D’Aste (sic).   pari = 6r confez.; 10r bottigl.; 14r  soc.an.coop.Carlo Rota commestib.;  16r osteria;  20r legna e carbone; 34r commestib.; 38r stirator.; 42r bottigl.; 44n comm. (sic); 46r fruttiv.; 48r macell.;  52r parrucch.; 54r mercerie; 56r commestib.; 58r bicicl.; 70r commestib.; 74r commestib.; 78r maceller.; 82r fruttiv.; 84r tabaccheria; 88r parrucchiere; 90r calzol.; 94r latteria. 

 

 CIVICI     2007

UU25=NERI  =  da 1 a 27   (compresi 5A, 7AB, 23A; mancano 11, 13, 15, 29, 31)

                           da 2  a  48  (manca 22)

          ROSSI =da 1r a 181r (compresi 13A, 39CD, 63B, 177AB; mancano 67, 157)

                         da 2r a 108r (compresi 60rAB, 92rA, 94rABC, 100rAB;

                                                             mancano 80r, 82r, 102r) 

UU27 = NERI   = da 29 a 31             da 50 a 60  

              ROSSI = il 183r                   dal 110r al 146r

                                     

    Nel Pagano 1911-12-25 compaiono sul Pagano (tra parentesi, l’ultimo anno in cui compaiono) le levatrici  (ricordando che allora il parto avveniva in casa. Al civ. 2 Cambiaso Maria (1912), Zerbino Margherita (1925), Forno Angela (1925) - ed all’8A-10 la Galletto Giuseppina (1925); al 20r Dellepiane Agostino (1933) ha una fabbrica di acqua gassosa. civicoNonPrecisato una impresa trasporti di Grosso Luigi (1912) (che l’anno prima era presso il Ponte di Cornigliano; nel 1920 è descritto in ambedue le sedi con tel. 2306; nel 1921 non c’è più); il meccanico Pastorino Romolo (1912) (proveniente -1911- da p.za dei Mille);

   Si descrive esserci stato nella via in tempi successivi (dopo 1925: sul Pagano/25 non c’è), un’altra scuderia di cavalli, della ditta Lanati (ebbe in affitto i cavalli di Casirola Carlo impresario di trasporti mobili e merci con stalle in corso dei Colli 31, sampierdarenese del 1878, morto a Dachau, anche lui deportato il 16 genn.1944)

    Questa titolazione stradale esisteva anche a Rivarolo; nella unificazione della toponomastica del 1926 nell’ambito della Grande Genova, la nostra città fu favorita nel mantenimento del nome (nella nostra vicina, è divenuta via S.Botticelli).

   Il Costa del 1928 segnala questi esercizi commerciali. Al : 5r= drogheria di Serafino Andrea---9r= macelleria Roncallo Giuseppe---15r= merceria Collin&Pittaluga---10= vini di Facco Teresa---11r= merceria di Garrone Livia---13= pollivendolo Castaldi Benedetta---16= vini di Ivaldi Tomaso---17r= calzature di Gavelli Salvatore---18= lavorazione latta di Noce Gaetano---20r= acque gazzose dei f.lli Dellepiane---22= puleggie di Almonte Cesare---23r=farmacia Rolando Paolo---23= lavorazione latta di Tardito Giacomo e F.---33= commestibili di Giglio Amalia---34= commestibili di Ferraris Maria---42= vini di Sella Mora---44r= salumiere Costa Amilcare---46= fruttivendola Cipollina Giuseppina---52r= latteria di Masè Giovanna--- 54r= chincaglierie  di Merlo Emilia---56r=sartoria Rigamonti Amedeo---58r=commestibili di Quaglia Maddalena---70r= commestibili di Cavalli Francesco---84=commestibili di Rosellini Emma---86r= mobili di DiClemente Pietro---- non precisato= cordami di Lancerotto Ernesto (anche in 2r-scalinata Pisacane)-

   Nel 1933 appare di 4.a categoria, ancora indefinitamente indirizzata “ai monti”, con civici neri sino al 48 e 25. Al civ.2-9 Piccardo Francesco eserciva armi e munizioni; al civ.35r c’era la fabbrica di calze di Veruggio Antonio; al 53 il Consorzio Agrario aveva una latteria ed al 53r c’era l’azienda di Fava & Roccatagliata di rottami metallici.

   Nel Pagano 1950 viene segnalata una osteria al 16r di Minetto A. e tre bar:  al 10r di Bocca A.; 31r di Tacchino G. ed al 42r di Zaccone Angelo. Nessuna trattoria.

 inizio salita, anni 70

===civ.1 il palazzo fu eretto al posto della casa dell’Istituto Tecnico che reputo corrispondere alla (multifunzionale)  ‘villa Boccardo’ descritta a via Mercato e, come dimostrato dalle foto sopra, che c’era ancora nel 1905.

===civv dal 3 al 9:  Il cav. Narizzano Alberto nell’ago 1898 vende un terreno coltivo ad orto, con casupole coloniche, ad Emanuele Palau (già proprietario di altri vasti appezzamenti di terreno posti a ponente dei confini della villa Doria-donDaste (vedi civ. 74r; ed anche in via G.Mameli); da lui -ancora regnando UmbertoI - gli imprenditori sigg. Parodi Luigi e Gambaro Giuseppe (proprietari anche in via Mameli di immobili), acquistarono nel lug.1899  un’area di 500 mq posta a levante di un vialetto interno della proprietà,  per erigerci i palazzi attuali (arch.ing. Salvatore Bruno;  iniziò la costruzione dal 3, poi il 7(ex 3a - finito nel dic.1901)  ed il 5(ex 3b) ; completando il 9 (ex 5) nel 1903); firmarono accettazione di alcune clausole sindacali quali il riposo festivo per gli operai). La parte di terreno rimasta a levante rispetto le case, entrò a far parte della piazzetta nel retro delle scuole Tecniche; e quella confinante con la strada principale, tramite il vialetto su accennato di  accesso (già esistente ed iniziante dalla ‘via del Mercato’ via con il passaggio sotto un’arcata tesa tra il palazzo delle scuole a levante, nel sito dell’attuale civ.51***  di via A.Cantore, ed una casupola affacciata sulla via principale a ponente ). Questo vialetto fu donato al Comune gratuitamente in cambio delle fognature, illuminazione, orinatoi e lastricamento della via, con l’impegno di allargare l’ingresso a 7 metri di larghezza (abbattendo arcata e casupola) e di fornire marciapiedi con bordo in pietra della Spezia. Ovviamente i vari appartamenti furono venduti solo a privati agiati cittadini, (essendo proibito l’uso industriale dei fabbricati) alcuni dei quali firmarono con la croce essendo possidenti, ma analfabeti (“illetterati”, come nel 1907 una certa Gestri Rosa che poi venderà l’interno 11 del civ 3B, ora 5, a Desimone Margherita e Bianco Adele). (vedi cartina).

===civ. 9 Si descrivono essere esistite delle ampie cisterne, come d’altronde d’uso nei tempi dell’erezione, legate al fatto che non esisteva un acquedotto singolarmente diffuso. Nello stesso stabile (e forse anche al 5) le persiane chiuse sopra il portone, non corrispondono a finestre ma sono solo decorative.

Con queste costruzioni, ha praticamente delimitazione definita e quindi nascita,  la via G.B.Monti.

===civ.16r: una lapide e corona bronzea, poste tre anni dopo (21 nov.1982)  ricordano e ribadiscono il ‘no’ della cittadinanza al terrorismo,  l’assassinio a tradimento di due carabinieri: il maresciallo Vittorio Battaglini ed il carabiniere scelto Mario Tosa. Il mattino del 21 nov.1979, mentre nel bar -allora chiamato “Angelo”- prendevano un caffè, ignari di qualsiasi agguato, furono barbaramente trucidati, colpiti a bruciapelo alle spalle da due affiliati delle Brigate Rosse (vedi i singoli).

===20r nel 1931-4 c’era lo ‘Stabilimento Industriale Grafico / Tucci-Conticini-Repetto / tel. 41-854

===civ. 23r: la farmacia Rolando: (sul Pagano/20 non c’è) appartenuta inizialmente al dr. Paolo dagli anni 1921, con tel. 41342, pare fino al 1960 quando gli successe il figlio Emilio laureatosi nel 1928. A questi ancora il nipote Paolo deceduto prematuramente nel 1998  (fratello del professore Maurizio oculista, e di Massimo farmacista in via Cecchi).

===civ. 7Ar = per anni, sino al 2000 circa, sede di un mobilificio: primo (ed ancora nel 1967) usato come deposito da Gaetano Sabatino, vero ebanista, che fabbricava personalmente mobili in via Bombrini ove aveva la falegnameria e che  poi vendeva in questa sede. Dopo di lui, negli anni ’70, i locali furono occupati dal mobilificio Aloisio (un po’ scadendo in qualità).

===civ. 6:


il portone è sormontato da una nicchia con Madonna.  Malgrado domanda specifica di notizie, all’amministrazione, non abbiamo ricevuto risposta.


===civv. 8-10-12: costituiscono un unico edificio, graziosamente affrescato nel sottotetto ed attorno alle finestre, con festoni di fiori e frutta.

===civ. 11:  non esiste più. Era forse la casa dei Landi?

===civ.15:   chiesa di N.Signora del SS.Sacramento. Coronando un disegno di mons.Paolo Fossati, dopo averlo idealizzato per tanto tempo, l’ 11 mag.1930 l’arcivescovo di Genova, card. Boetto (il Cittadino scrive Minoretti anche per la prima pietra), pose la prima pietra -contenente una pergamena scritta dalle suore Pietrine- della nuova erigenda chiesa, che sarà gestita  dagli “Oblati” (sacerdoti istituiti dallo stesso mons.Fossati, che inizialmente erano soli presbiteri, nel 2007 sono 10 e si distinguono per due obblighi in più rispetto i sacerdoti ordinari: il voto dell’obbedienza totale al proprio vescovo, e la dedizione all’adorazione ed all’apostolato eucaristico; per questo, il tempio è anche chiamato “ della Adorazione Perpetua, il primo in Italia ad avere questo nome. In una apposita cappella, alla quale si accede dal cancello a monte ella chiesa, numerosi volontari si alternano giorno e notte –per ottemperare all’aggettivo ‘perpetuo’ -  per continua ed ininterrotta preghiera. Personalmente ho constatato su taluni devoti la presenza di grossolane callosità sulle ginocchia per permanenza in quella posizione).

                                           

 Fu innalzata nel terreno che faceva parte dei  giardini della villa Doria -ora don Daste (vedi salita Belvedere)-,  e la consacrazione avvenne il 16 giu.1936, alla presenza del card. Minoretti; nell’autunno dello stesso anno gli Oblati si trasferirono definitivamente nella casa, costruita a ridosso,  posteriormente alla chiesa.

Alla guida della chiesa, a mons. Fossati seguirono mons. Giovanni Pedemonte, poi mons. Giuseppe Mario Carpaneto, mons. Stefano Patrone, ed ora è in servizio don Nazario Caviglia.

 Dal 16 luglio 1961, a firma del card. G.Siri, si programmava una nuova zona parrocchiale; essa fu concretizzata il 15 ago quando  la chiesa  divenne parrocchia

Il 14 dic. 1986 il cardinale Siri celebrò il rito della dedicazione dell’altare.

 Ideata in stile misto (gotico-romanico-lombardo) dall’arch. milanese prof. Zacchi Adolfo,  addetto alla conservazione e restauri delle opere del duomo di Milano e sotto la direzione dell’ing. Musso, fu affidata al Vernazza la direzione della decorazione pittorica -aiutato dal prof. U.Signorini per la parte ornamentale-.  Fu usato per la facciata, del travertino di Rapolano (Siena). Nella lunetta sotto il portale centrale, un bel mosaico raffigurante la Madonna in adorazione, prodotto dal veneto Salviati; riproduce fedelmente un disegno su cartone di Angelo Vernazza;  sopra, gli altorilievi del Cristo tra due apostoli evangelisti affiancati dai loro simboli (i simboli sono ripetuti ai lati del grosso rosone); sopra sei monofore, in alto sotto il simbolo della Congregazione c’è la scritta CUM*** MAGNUM  DOMINUM VENITE ADOREMUS.

  A.Vernazza                 la scritta recita “ Dominæ nostræ / SS Sacramenti  dicatum”                 

  

      frontale - foto Pasteris 1937

 

All’interno,  stupiscono le tre navate, per la fuga di volte che si intersecano, per gli archi poggianti su superbe colonne (di granito di Baveno dai  capitelli che furono lavorati a fogliame comprendente la Croce ed altri simboli, con marmo bianco di Botticino (Brescia)); per le  vetrate (su disegno del prof. Zuccaro, alcune dipinte ed altre a piccoli tondi celestini furono eseguite dalla ditta milanese Corvara & Bazzi (subirono gravi danni durante i bombardamenti nell’ultimo conflitto causa spostamenti d’aria di bombe cadute vicino)).  Le  lesene, sono anch’esse di granito di Baveno. Sulla parete di fondo e nel lacunare sottostante, c’è un affresco di Angelo Vernazza: questo lavoro nella chiesa fu l’ultima sua opera dove, essendo il pittore sorretto dal una fede profonda, rivelò le migliori qualità del suo ingegno nelle interpretazioni di soggetti religiosi (sampierdarenese, nato il 28 aprile 1869 da modesto commerciante, ultimo di una nidiata avviata al commercio. Di tutti i figli, lui unico si mostrò insofferente a questa dottrina, prediligendo l’idealismo, la poesia, la spiritualità. Questi sentimenti crearono un pesante contrasto con i suoi, mantenuto solo dall’alto senso della famiglia e del vincolo di sangue, ma a prezzo di una perenne mestizia, di un fondo melanconico, di un rigido autocontrollo. Dopo l’accademia Ligustica, con la borsa di studio andò a Firenze alla scuola di N.Barabino, il quale intuì le sue capacità e lo apprezzò come il migliore dei suoi allievi. Fu ricambiato da una fedeltà a tutta prova, da un umile continuo osanna all’ombra del maestro. Poi, da Firenze andò a Parigi, Londra, Venezia, studiando ed imparando, al punto che, tornato a Genova, fondò una sua scuola d’arte in via XX Settembre nel palazzo delle Cupole dove – motivato da una passione interna molto forte - cercò di insegnare a dipingere usando - come Barabino - un metodo che richiedeva - nell’allievo - una eccessiva rigidità etica e morale, tale da tendere ad imprigionare anche la fantasia e la libertà espressiva (chiamava aberrante o traviante la recente tendenza a maggiore libertà; la quale invece - attraverso ai primi dipinti impressionisti -  cercava di  liberarsi da quelle stesse leggi che lui invece  giudicava superiori e dominanti).

Le sue opere venivano richieste da una committenza sempre più numerosa, specie dalla società ligure, fortemente ancorata alla tradizione: oltre ad affreschi (al Calasanzio, a villa Hambury di Ventimiglia, al santuario di Oregina, alla Cella (una “scena biblica” posta nella canonica ed un affresco nella arcata centrale)) frequente era la richiesta di ritratti (in epoca in cui non esisteva ancora la fotografia)  e di paesaggi, con Portofino meta preferita, culminati nella meraviglia del panorama di Belvedere (1916).

Quindi un grande maestro dell’emozione e del sentimento nell’arte pittorica, con tanta e profonda religiosità, ma altrettanto eccessiva rigidità che nel tempo è risultata perdente di fronte agli impressionisti, ai “grigi” ed all’evoluzione della libera espressione tipo Picasso. Il massimo del concesso fu qualche sconfinamento nel liberty.

Sappiamo che per la sua dirittura morale, era assai spesso usato dal Comune locale per consulenze, come per esempio sostenere la produzione artistica di Dante Conte con sovvenzioni. Fu forse questa –non appartenenza, ma- vicinanza con l’ambiente politico che fece peggiorare la sua figura d’artista: avvenne che quando il fascismo  gli presentò l’ideale simbolico della redenzione della Patria, lui abboccò creando un bellissimo san Giorgio che uccide il drago, con la pecca che il santo veste la divisa di soldato della nuova milizia. Come per Massiglio, aver vissuto in epoca fascista e forse aver forse prodotto disegni a loro uso, gli è valso sino ad oggi un significativo silenzio (per ambedue, non ci sono prove di stretta collaborazione col fascio, ma…).

Rimasto vedovo dopo 35 anni di vita coniugale, dopo un anno morì anche lui sfibrato dal dolore, a Genova il 3 maggio 1937).

    In contrasto con la semplicità e nudità delle navate laterali, l’abside centrale accentra il massimo fastigio: sull’ altare maggiore, il simbolo di un  trono dorato e ricco di pietre preziose, su sei colonnine di marmo, per l’esposizione solenne del Santissimo; sulle pareti altro affresco del Vernazza che divise la volta in due piani soprastanti: in alto nel timpano, coronati da cinque cherubini, sei angeli sorreggono dei serti floreali ed un cartiglio con scritto “GLORIFICAMUS TE”; e veleggiano -significando l’apoteosi del volere divino- in un cielo chiaro e tenue, interrotto da nubi leggere. Nel sottostante catino dell’abside, su uno sfondo scuro, al centro si espande l’albero della vita: sul tronco il cartiglio “ADORAMUS TE” e racchiuso tra i suoi rami al centro -un ovale irradiato d’oro- con il calice, l’ostia raggiante, la croce ed i simboli  dell’alfa ed omega, la vita e la morte; ai lati, sei angeli posati su nubi, in vario atteggiamento: adorazione, meditazione, estasi, preghiera; e che ricevono luce dall’ostia. In quest’opera, il pittore ha raggiunto il vero ideale della bellezza religiosa. Due pannelli laterali all’altare  rappresentano i simboli di Gesù: in uno al centro la corona di spine ed il cuore trafitto, circondati con volute armoniose da vitigni ricchi di grappoli a simboleggiare il sangue di Gesù; ai lati due pavoni a simboleggiare la Resurrezione, i quali quasi camminano in un campo di grano simboleggiante il pane e con esso il corpo di Cristo; al centro un cartiglio con la scritta “QUI MANDUCAT HUNC PANEM VIVET IN AETERNUM”.  Nell’altro dodici pecore, rappresentanti l’umanità e per lei gli apostoli, che si dissetano e purificano alla fonte della vita centralizzata dall’Ostia col simbolo IHS,  mentre due stormi di colombe volteggiano nell’aria.

Nei catini degli absidi delle due navate laterali, su fondo azzurro spiccano  quattro vasi stilizzati con gigli, e quattro cherubini in un alone di luce.

Nei vari interspazi, si ripetono i simboli sacri, alternati a fregi policromi che ricordano le pagine disegnate dei canti gregoriani.   Tutto, è arte del Vernazza.

Nell’altare di destra, si venera una statua in legno, di Maria, in grandezza naturale, scolpita da Vincenzo Mussner di Ortisei (Val Gardena); invece in quello di sinistra, c’è una statua di san Giuseppe.

 In una cripta posta lateralmente, si accede alla tomba del fondatore dell’Ordine (fu ottenuto il permesso di traslare la salma da Staglieno, nel 1950), sulla cui lapide si vele effigie, e si leggono la data di nascita (12.6.1873), quella di morte (12.6.1948), il nome ( mons. Paolo Fossati fondatore Oblati SS. Sacramento), e la frase  (“visu sim beatus tuae gloriae”).

Dopo alcuni anni, con la stessa procedura, si ottenne trasferire la salma del duca Angelo De Ferrari (27.9.1859- 19.12.1927) e, dopo la sua morte, anche della moglie duchessa Carola De Ferrari Parodi (21.9.1876- 3.7.1960): essi furono dal 1926, i sostenitori e finanziatori della nuova congregazione sacerdotale, desiderosi di operare in silenzio, lontano dai riconoscimenti pubblici.

Nel maggio 2004 una iniziativa del parroco, vuole coronare lo scopo fondamentale della Congregazione: la preghiera continuata, effettuata da un iniziale gruppo di 300 parrocchiani che giorno e notte si alterneranno in preghiera nella cappellina laterale che non verrà mai chiusa.

===civ. 10: ci abitava Giancarlo Bargoni, nato nel 1936, divenuto celebre pittore astrattista, le cui opere sono state oggetto di premi ed ospitate in musei d’arte nazionali; Parigi; Danimarca. Fondò nel 1963 il ‘Gruppo Tempo 3’. Ha lavorato il vetro e ceramica).

Dall’altezza di questo civico, tutta una ampia fascia di terreno estesa verso monte e nord, e sino alla fine di via Ardoino circa, era denominata ‘le montagnette’, causa la natura del terreno fatto in ripida discesa ma a mammelloni; e questo ancora negli anni postobellici quando poi la zona fu interamente edificata (specie via dei Landi)

===civ. 11.13.15: non esistono (forse uno è attribuito alla chiesa)

===civ. 14r : si apriva nel 1933 uno dei sei spacci sampierdarenesi della Cooperativa di Consumo Carlo Rota.

===civ 65r:  l’ingresso alla tipografia don Daste; già capace di rotocalcografie e fotolito. Faceva parte del complesso “Orfanatrofi femminili Divina provvidenza <Don Daste>, di salita Belvedere 2.

Nelle prime decadi del 1900 reclamizzava con cartolina postale la fornitura di «stampati commerciali comuni, di lusso, per amministrazioni / cataloghi-opuscoli-relazioni sociali-bancarie-registri d’ogni genere-blocchi per trattori-biglietti visita-avvisi murali, ecc. ecc.»; telef. 41-144.

Chiuse la sua attività per ‘sfratto’ al tipografo e dispersione dei macchinari, nel 2005 circa.

===civ. 17:  l’ingresso delle scuole materna ed  elementare Don Daste; prima del 1961 era una porta secondaria senza numero.

===civ. 16:  la casa, già della famiglia Mignone (vedi via omonima). Da qui per cento metri la strada è stata delimitata nel 2002 con paletti, per evitare ‘posteggi selvaggi’ sul marciapiede.

===civ. 19A:  assegnato a nuova costruzione  nel ’63 . 

===civ. 20:  approvato nel 1956 (appare che la commissione edilizia approvò nell’ottobre 1956 l’erezione di un palazzo nuovo ‘in scalinata dei Landi’). Fu costruito dagli imprenditori Mignone nel 1958, su sedime di una villa:

-villa Lomellini – Bocci .

 

  

In giallo, la villa (spiegazioni sotto).    Foto della villa, del 1956. Nello sfondo la chiesa.  Segnalata.

                                                              dal prof. Mancuso Alessandro, e di proprietà fam. Mignone.

                                                              A sin. l’inizio della scalinata Filangeri

 

Nella carta vinzoniana del 1757 circa, la villa e proprietà appartennero a Lorenzo Lomellini; e sappiamo che la casa aveva una cappella gentilizia interna, di proprietà loro.

Secondo la carta↑, seguiamo l’ubicazione orientandosi sulla base del tracciato celeste che oggi è l’inizio di caso Martinetti-salita Belvedere; su esso c’è, in fucsia la casa delle suore della Divina provvidenza di salita Belvedere 2 ed a ponente di essa la chiesuola dei Gesuiti (arancione) - oggi delle Pietrine - detta S.Pietro in Vincoli.

L’accesso alla villa (giallo) avveniva dalla zona Mercato (strada san Martino) seguendo un tracciato (verde) presumibilmente carrozzabile visto i tornanti, che poi venne chiamato “dei Disperati” (vedi). Ma  anche da altro più a levante, oggi corrispondente a via C.Dattilo, presumibilmente sola mulattiera o pedonale perché più diretto, segnato in giallo. A monte della villa questa mulattiera proseguiva –oggi è scomparso, ma corrisponde alla parte alta del tracciato della scalinata Gaetano Filangeri (vedi) quando esisteva. A ponente della proprietà era la villa di proprietà dei f.lli Pinelli: essa, considerato il terreno considerevolmente scosceso, si presume che fosse dove ora è via GB Sasso; ma non è facile ubicarla bene.

Ultimamente ospitava anche una società di cacciatori.

   Si fa generica menzione di una ‘ospitatiltà Lomellini, in una villa a SPdA’, senza specificare quale delle tante, essendocene più d’una. 

Si presume non sia stata questa, la villa nella quale venne ospitata la bellissima ventiduenne Elisabetta Farnese figlia del Duca, dopo che nel 1714 andò sposa per procura a Parma al re di Spagna Filippo V (per lui, seconde nozze). Potrebbe essere piuttosto quella di via SPdArena. (vedi anche in via Mercato, la villa Lomellini-Boccardo)

Descriviamo qui il fatto:

Dalla città di Parma, trasportata in bussola e con un imponente seguito, era entrata nel genovesato il 25 settembre:  dal passo di Cento Croci era scesa a Sestri Levante,  da dove il giorno 30- via nave ‘la Reale’, scortata da altre 5 galee della seren.ma Repubblica - era pervenuta a San Pier d’Arena. Dovette sbarcare presso la Lanterna causa il mare agitato, e fu trasportata con il tiro a sei dell’arcivescovo in villa Lomellini; stanca e col mal di mare neppure partecipò alle feste preparate in suo onore e per una settimana rifiutò dame di compagnia e di uscire. Anzi il 6 settembre volendo sentire l’opera il ‘Tamerlano’ (o ‘Li veri amici’) che si rappresentava al Falcone, tanto fece che gli artisti e musici dovettero organizzare una replica trasferendosi in S.P.d’Arena. Lunedì 8 finalmente uscì dalla volontaria clausura ed in carrozza si portò in cattedrale  per le funzioni e venerare le sacre Ceneri e Catino. Null’altro fece in città,  ove rimase fino al 9 ottobre  a spese della Repubblica: rimase  felice dell’accoglienza, anche se amareggiata dalle strade troppo strette e dagli annegati nei giorni di tempesta. Se ne andò via terra facendo tappa a Voltri, Savona, fino a Ventimiglia.

 

   Il Bocci invece fu un falegname-deposito legnami, forse discendente o uno dei due fratelli che avevano una segheria a Genova negli anni 1933.

Negli anni 1911-25 la “rinomata fabbrica di cornici / specialità in cornici curve / torneria-colle-placaggi di Ernesto Bocci ha sede in via Jacopo Ruffini n. 16 (vedi-via Palazzo della Fortezza). 

Nel 1924 all’archivio storico di Palazzo Ducale è conservata la domanda fatta dallo stesso, di poter costruire un ‘baraccone in cemento armato ad uso segheria’ nel terreno compreso tra via A.Manzoni (via GB Sasso) e via G.B.Monti. Il disegno allegato fa corrispondere il progetto nell’imminenza della curva laddove era il civ.20.

Nel 1960 gestiscono una ‘fabbrica di cornici e legno compensato Bocci Angelo & Mario’ in via Gioberti 51r; lo stesso Angelo che poi, nel 1970, compare in via GBSasso, ma al 9r (proprio di fronte allo sbocco di via Farini =non sono in grado di dire se occupavano anche la villa di via GB Monti, anche se penso siano gli stessi).

carta intestata della falegnameria                                               riproduzione del disegno allegato a

                                                                            domanda-a mare rispetto la scalinata

 

===civ.  21:  è il cosiddetto “grattacielo di via G.B.Monti” , di 22 piani,  iniziato nel mar.1961, e finito nel dic.1962; dato abitabile nel feb.’63.

   Fu costruito sul terreno a ripide fasce,  che da un pianoro soprastante (ove ora scorre la cosiddetta “Quota 40”, c’era una grossa vasca d’acqua, probabilmente alimentata da una sorgente) degradava alla stessa strada, in basso ed in salita; una ripida scalinata - intestata a G.Filangeri (vedi), prima di congiungere i due livelli - portava al  civ. 23 ove era una fabbrica di scatole di latta per conserve, con cromolitografie di esse,  denominata G.Tardito & F. dal nome del titolare;  palazzo ancora presente (ed operante?= si, nel 1950 solo come c.litografia) negli anni 1960, che aveva un grazioso giardino posto a ponente dell’edificio (Di una “grossa società anonima per le ‘conserve alimentari e lavorazione della latta’ già fratelli Tardito”, ne parlano Doria e 37.203 riferendo:--- che essa nacque nel 1899 (senza specificare se da G., dai figli, e se –come si presume- fossero loro i fratelli; se è la data di nascita della società che rilevò l’attività ‘gia’ f.lli Tardito);---che questa società aumentò il capitale nel 1905 da 760mila lire a 1,5milioni (questo valore restò eguale fino al 1908 quando improvvisamente si dimezzò a 630mila nel 1909 per finire nel 1911;--- con, tra altri,  finanziatori Ferruccio Prina, i Tassara, i Cortese, i Raggio (che, dice Doria, parteciparono alla fine, dal 1910 al 1914)  e la Società Bancaria Italiana-;  --- possedeva oltre allo stabilimento di SPd’Arena, un altro ad Alghero (di conserve) ed un  molino a Sassari ed a Cagliari  (una grossa somma, allora; che però a conteggi successivi furono ridimensionati negli anni intorno al 1910 quando andò all’asta per provvedimenti del tribunale avendo cessato la loro attività e perduto tutto il capitale )).

  

il grattacielo visto da sotto e dalla torre della villa Serra Monticelli                il piazzale antistante

Nel piazzale d’ingresso del grattacielo, sul muro di sostegno all’estremità di levante visibile al di là di un cancello, ci sono sia in alto  il segno inclinato di un tetto appoggiato (forse facente parte della fabbrica), sia un ampio foro nel muro stesso, con margini di mattoni, come se ci fosse stato un pozzo o un condotto o altro.

   Adibito ad abitazioni private, ospita l’istituto di analisi Emolab e, ancora fino al 1977 vi si aprivano il “cinema Arcobaleno” ( rimase funzionale dal 1963 all’80 circa) ed una maxi sala da ballo.

   

 

   Sul piazzale si alzano due palazzine: ===il civ.19B aperto sul piazzale, che fu eretto nel 1962 e dato abitabile nel mag.’63; e sulla via principale, nella curva, il  ===civ.23, casa per abitazioni con negozi; fu richiesta nel febb. 1962 dalla IES (Immobiliare Edilizia Sampierdarenese dei fratelli Vicari, progettata dall’ing. Smriglio (sic) Ciborio); con iniziali necessità di sbancamento e costruzione di muro di sostegno a monte; fu eretta dal dic 62; di soli 4 piani (perché assoggettata alla servitù ‘altius non tellendi’ ovvero che non deve salire oltre il livello della strada di Quota40) e resa abitabile dal nov.’63.

: ===civ. 22:    non esiste. Avrebbe dovuto essere costruito sempre dai Mignone; ma poi non fu eretto, per cause non conosciute. Ma il Pagano 1950 vi pone al p.t. la “società Tiro a volo – campo Enrico Canepa”.

===civ.23  Vedi anche sopra, al civ.21. Nel Pagano/50 vi ebbe sede la ‘Raffineria Ligure Olii Vegetali’ di C.Coletti, telef. 41-396

===23A (quale secondario al 21):  assegnato nel 1963 (probabile sia il portone superiore; controllare***).

===civ. 24 Un volantino,  datato 1949, segnala (per un convegno, seguito da una festa campestre in località Belvedere per tutti i lavoratori, con presenza dell’on. Rumor – presidente delle ACLI venete; s.e. mons. Siri arcivescovo; circolo mandolinisico Risveglio- con colazione al sacco o in trattoria) che a questo civico esisteva un “Circolo ACLI ‘Paolo Reti’” la cui sede centrale era a Genova in via Falamonica

===civ. 25. All’interno 4 la ‘Mondial Tools spa’ fondata nel 1993 (divenne srl nel 1995 ed spa nel 1998; con oltre 50 persone occupate, si classifica leader nel campo della ‘utensileria meccanica di precisione per asportazione di trucioli’); all’interno 10 l’associazione ecclesiale “Giovani Nuovi” con presidente la sig.ra Persico Currò Carla.

===civv. 30 dalla A alla L, eretti negli anni ‘68-70, nell’82 passarono alla nuova via Battaglini con nuova numerazione

===civ.34B assegnato nel ’99 ad una porta senza numero .

===civ.36A  fu demolito nel 1969

===civv. dal 42A al 42H passati a via M.Tosa con nuova numerazione nel 1982 .

===civv. 50,52,54 assegnati a nuove costruzioni nel 1962 ;

===civ.56 . Idem, nel ‘69

===civ.68r (villa Lomellini-Bocci) nel 1933 ospitava la S:E:A:M: (società escursionisti “Amici della Montagna”) affiliata all’ O.N.D. (opera nazionale dopolavoro); e probabilmente anche la Società cacciatori San Pier d’Arena il cui presidente era Dario Diana.

===civ.74r: la “società operaia cattolica Maria Santissima Immacolata, e san Maurizio”, normalmente abbreviata con “società  cattolica san Maurizio”, unica locale di Mutuo Soccorso a carattere religioso.

             

 

San Maurizio, come san Giorgio fu depennato dal calendario perché appartenente ai martiri di culto medio orientale e di incerta – non documentata - verità. Maurizio era a capo (‘primicerius’) della Legione Tebea e l’evento avvenne tra il 285 (anno in cui Massimiano Erculeo guidò una spedizione militare in Gallia contro i Bagaudi) ed il 310: tra le truppe c’era una legione di oltre 1000 uomini proveniente da Tebe d’Egitto, praticamente tutti cristiani. Quando Massimiano si trovò ad attaccare presso Agauno-Saint Maurice, essendo cristiani anche i nemici, pretese dai suoi un giuramento agli dei. Al rifiuto, dapprima fustigazione, poi decapitazione ); Massimiano fu poi sconfitto da Costantino Magno a Ponte Milvio il 28 ottobre 312. O forse nel 305 (quando venne avviata la grande persecuzione ordinata da Diocleziano). Di questa strage se ne seppe tardi, ben dopo cento anni; per questo le notizie sono aleatorie e miste a leggenda. Come Giorgio, è raffigurato in veste militare romana.

   Per volere di Maurizio Dufour, sampierdarenese molto vicino ai Salesiani, imprenditore cattolico molto sensibile ai bisogni dei suoi operai oltre il posto di lavoro, il 10 giu. 1877 nacque una società - dapprima intestata ‘Società Operaia Cattolica san Giuseppe’, con sede in via Saffi, presso i salesiani di don Bosco e subito trasferita  in via Operai, presso la villa Rolla (Morabito scrive l’8 giugno).

   

lapidi nell’interno del solidalizio

 

   Per interessamento del fondatore, assieme ad un pioniere dell’Azione Cattolica Camillo Galliano, fu tra le prime ad inserirsi nel giugno/1881 in una federazione di società operaie, tutte cattoliche FOCL = federazione operaia cattolica ligure (un primo ‘statuto delle società cattoliche operaie liguri’ nacque domenica 23 luglio 1854 nella canonica di s.Torpete alla presenza di 13 operai (chiattaiolo, calderaio), commercianti (orefice, merciaio, calzolaio) nonché un maestro, bibliotecario, scultore, ecc., e  4 sacerdoti (tra cui don Magnasco Salvatore). La sede sociale fu trovata nell’oratorio di NS del Rosario nella chiesa di s.Antonio Abate di via Pré e poi in via della Maddalena, 12. Lo statuto prevedeva aiuto ai lavoratori iscritti, alle vedove, orfani, infortunati; stendardo, corsi scolastici, circolo ricreativo, banda musicale. Questo solidalizio assunse il nome di  ‘Soc.Op.Catt. NS del Soccorso e s.GiovanniBattista’ ed assunse subito importanza per l’adesione di grosse personalità  e nobili. Nel suo seno nacque nel 1881 una ‘speciale commissione per l’unione delle varie società parallele’).

   I primi tempi furono assai floridi, e si arrivò a creare perfino una banda musicale.

nella banda verticale appesa alla bandiera sta scritto «Società Operaia san Giuseppe Sampierdarena»

 

   Ma ben tosto iniziarono numerose difficoltà di intemperanze e dissidi ideologici, cosicché nel 1882 il fondatore dovette procedere ad una prima scissione, trasferendo la sede in via sant’Antonio presso la proprietà Stagno; ma in contemporanea - ricuciti i dissidi dal Dufour - si riuscì ad allargare i principi pratici dell’operato, costituendo in seno alla società la prima Conferenza di san Vincenzo de Paoli  (il cui primo presidente fu Gaetano Lagorara, che nel 1888 battezzò la prima bandiera sociale).

  Ma pochi anni dopo, nel 1893 la Federazione dovette intervenire nella gestione della società, nominando un quadrunvirato che durò in carica un solo anno dopo il quale, nonostante tutto, si dovette sciogliere l’Associazione con nomina di un delegato che operò la dispersione dei beni (la cassa, gli arredi e la bandiera) e purtroppo anche la bruciatura dei documenti e dei libri contabili,  che avrebbero potuto arricchirci  di testimonianze su  queste vicende iniziali; infatti alcuni soci si adoperarono per iniziare un’altra società, chiamata “nostra Signora della Vittoria” -genericamente detta “della Vittoria”-;  ma anche questa dovette soccombere sul nascere, confluendo nella “società generale Universale”  in più floride condizioni, perdendo però così la definizione di cattolica (e costringendo don Daste al ricupero delle immagini ed arredi  sacri  acquistati); altri come il neo presidente Gaetano Lagorara,  tutti fedeli amici  di Maurizio Dufour (ad ogni rinnovamento, lui rimase  irriducibile promotore della sua idea originale) preferirono prima -1892 - aprire una ‘Conferenza san vincenzo de’ Paoli’ e due anni dopo rifondare - nel 1894 e nel giorno dell’Immacolata - un’altra società di mutuo soccorso, con statuto, intestata a “Maria SS.Immacolata e san Maurizio” - in omaggio al nome del Dufour stesso, e con matrice sempre prettamente cattolica, in contraltare delle numerose altre società di mutuo soccorso tra operai, spesso inserite in ambienti o politicizzati o fortemente anticlericali (massoneria, anarchici e socialisti costituivano la maggioranza in Comune  e seppure retti da generici principi morali di onestà, avevano in seno estremisti ‘mangiapreti’ e rigidi anticlericali. I cattolici – sia sacerdoti che fedeli laici ebbero vita dura da dover portare avanti la missione  del mutuo soccorso  se pur venivano ammutoliti e messi nell’angolo (si salvava solo don Daste). Ristabilito un certo equilibrio politico con il Partito Popolare, anche la società raggiunse una solidità dirigenziale tale da riuscire a decollare: ad aumentare il numero dei soci; a trovare nuova sede in via della Cella, presso casa Samengo (gestita da don Daste); ad esprimere e sviluppare una intensa attività di mutuo soccorso: gratuitamente si prestavano anche il medico dott. Dodero ed un farmacista non conosciuto (considerato che allora ancora non esistevano le mutue assistenziali); venivano elargiti sussidi per malattia e si possedeva una cassa di soccorso -detta di quiescenza- per aiuti a chiunque abbisognasse.

   Nel 1907 fu riveduto lo statuto ufficiale.

   Quando nel 1911 una cooperativa costruì in via G.B.Monti il palazzo detto ‘Palau’ (dal nome del proprietario dei terreni), la società (guidata dal presidente Giacomo Pittaluga - capo officina dell’Ansaldo Meccanico, poi titolato -1959- cavaliere dell’ordine “Al Merito della Repubblica” dal Presidente della Repubblica- affiancato da Ulisse Repetto e Pietro Boccardi) aderì ai lavori ed il 30 mar.1913 trovò definitiva ospitalità nel fondo di esso, inaugurando – con l’intervento del card. V. De Amicis - la nuova bandiera ed i locali con uso del giardino (nel quale è leggibile una lapide con i nomi degli iscritti alla società, caduti nella grande guerra del 1915-18: Alfredo Carpaneto, Domenico Cosmelli, Romildo Spotti, Ettore e Gualco Giacomo). Nell’occasione fu sorteggiato – e vinto da un operaio - un servizio d’argento di cucchiaini, dono del Papa.

      I verbali di assemblea denunciano una interruzione di attività tra il 1920 e 1927.

Gli anni del fascio, 1928-40 e oltre, in una relazione vengono non meglio definiti ‘tempi oscuri’

   Nel 1939 la cooperativa che conduceva l’edificio fu obbligata a  sciogliersi : per poter mantenere l’uso dei locali e la loro non occupazione da parte delle organizzazioni fasciste,  fu necessario stilare un lascito di tutti i beni intestandolo alla parrocchia della Cella (precisando che si riservava l’uso dei locali per continuare l’attività, anche se mutata in alcune caratteristiche sociali quali la mutualità e la cassa quiescenza non più in atto dal 1941 perché mutate le leggi in merito).  

   Durante il conflitto 1941-45, la sede fu usata anche come rifugio antiaereo per chi non riusciva a raggiungere la sottostante galleria; una bomba d’aereo asportò un poggiolo del palazzo ma fortunosamente non creò danni ai ricoverati: questo fatto è ricordato da un marmo che ringrazia per lo scampato pericolo la protezione  di NS della Guardia; il presidente Pittaluga perdette un figlio disperso in Russia; dopo la resa del 1943, ospitò alcuni dei soldati e richiamati sbandati che poi andarono a formare i gruppi partigiani; uno dei soci –Aldo Gaggero- venne coinvolto nelle faide politiche del fine guerra ed ucciso senza apparente motivo a Campomorone.

   Nel salone principale un altro marmo ricorda le riunioni ivi effettuate dal Comitato Cospirativo per la  Liberazione, delle quali l’ultima fu il 25 apr.1945.

   Dopo il 1945, nell’ambito della san Maurizio tuttora operante, si ricostituì la  “conferenza di san Vincenzo de Paoli” ed il “Circolo ACLI” intitolato a Paolo Reti (la cui attività permise la formazione di una squadra di calcio e di bocce, ambedue vincitrici di ambiziosi tornei denominati rispettivamente coppa Gaggero e DelleZotti – e 1° Torneo della Liberazione).

   Nel 1954 fu battezzata la nuova bandiera sociale.

   Negli anni 1960 fungeva da assistente ecclesiastico don Masieri; presidente era Enrico Delmonte; nol 1962 si celebrarono gli 85 di fondazione.

   Nel 1966 si aprì il tesseramento anche alle donne, che oggi rappresentano il 20% circa degli iscritti (poco meno di 400, di età media di 62 anni) continuando ad intervenire per aiutare gli emarginati, i soli ed i sofferenti  offrendo a prezzi stralciati una degnissima sede e tanto calore umano.

 

===civv 24-26:   un unico edificio, con caratteristiche decorazioni sulla facciata di stile liberty;  già di proprietà Mignone, fu progettato da A Petrozzani nel 1910  “nell’angolo prolungamento via GB. Monti”.

===civv 28-30: anch’esso in unico stabile, leggiadramente decorato, appare posteriore al precedente, risalendo al 1936 circa.

 

sopraportone del civ. 24                                                 la fila di palazzi dal 24 al 30

 

A livello del civ. 30:

a) la numerazione continua non seguendo la strada, evidentemente costruita dopo, ma salendo le scalette: infatti il 32-34 è sopra il muraglione, e da lì la numerazione prosegue verso levante.

b) inizia la scalinata Scalinata G.B.Monti” (vedi) che ha l’onore di una targa sua - ripristinata nel 2009 dopo anni di assenza della quale si intravedevano i supporti tra le pietre del muro.

c) sotto la scalinata l’ingresso di una galleria che in profondità si unisce a quella che inizia in via dei Landi, e finiscono cieche; fu usata come rifugio dai bombardamenti durante l’ultimo conflitto mondiale e poi chiusa, lasciando utilizzabile solo pochi metri per uso privato (in concessione?).

d) nello stesso punto, la strada compie una curva a tornante, affiancando opere di sostegno della muraglia soprastante, tra le cui arcate hanno fatto ripostigli e  magazzini, presumo privati.

e) a questo livello, il 24 apr.1979 fu “gambizzato” dalle Brigate Rosse il direttore dell’Ansaldo, ing. Giuseppe Bonzani (persona molto schiva e riservata, onesta e altruista, che abitava in via Marabotto ed usava il tragitto per andare e tornare al lavoro all’Ansaldo ove era dirigente; accettò questa ‘punizione operaia’ col sorriso sulle labbra neanche dovesse essere lusingato da tanto interesse per lui e sopportando tutto con rassegnata e religiosa determinazione tanto che agli atti dello Stato non appare nessuna denuncia e quindi neanche il suo nome tra le vittime degli ‘anni di piombo’). I colpi alle gambe, lo ridussero in fin di vita per emorragia, avendo leso l’arteria femorale e fu salvato miracolosamente al Pr.Soccorso).

 

VERSO LEVANTE===civ. 25:   è chiamato “palazzo degli Stura”, anche se di essi ormai più nessuno vi abita. Alla sua erezione, fu occupato interamente dalla famiglia  “Stura G. & figli” imprenditori e costruttori edili  - nel 1933, con questa titolazione e con indirizzo in corso D.Alighieri = corso Martinetti, 4/3 (i figli erano tre ingegneri - nessuno edile: Peppino, ing. civile Sandro ing.idraulico e Secondino ing.trasporti che poi nel 1961 abitarono questa casa rispettivamente agli interni 4,4,10; ed uno medico: Luigi.

Il Pagano/61 riporta due altri Stura, ing. pure loro: Virgilio – che nel 1933 abitava in corso D.Alighieri 4/6 e poi - come Pietro che compare nel 1967, a Genova). Questi costruttori (che nel 1967 avevano uffici in  via Cantore 8E.1 e deposito in via Carpaneto 15r), erano vicini alla Chiesa (e forse alla D.C. politica); molto operarono nella San Pier d’Arena da ricuperare dopo la guerra (la chiesa di don Bosco, che io sappia, e altri:vedi civ.27).

 Nella zona, c’era un edificio che ospitava una stamperia ed un oleificio (la “Sirov”: soc. ind.le raffineria olii vegetali, la cui sede rimase nell’edificio ancora negli anni ‘60 ).

===civ. 27:  è degli anni 1957-8, eretto dall’impresa Stura sugli orti delle suore soprastanti l’istituto di don Daste. Tra lo spiazzo sottostante per le auto (limitato da una ringhiera) e la proprietà delle suore, compare un corridoio sottolivellato (anch’esso limitato da una ringhiera, lungo come il posteggio e raggiungibile da scaletta, che era accessibile solo da una porta in salita Belvedere che però è stata murata; rimane il marmo di base del gradino di un cancello, che dava adito allo spazio; tutto questo spazio – sino oltre la soprastante via Tosa, inizialmente era della villa delle suore, poi degli Strura che l’adoperaroro come giardini propri e sui quali poi costruirono il civ. 27).

=== subito dopo il 27, proseguendo a levante, la strada taglia l’antica crosa di salita Belvedere; la continuazione a monte della salita - causa il taglio, e dovendo ricuperare la pendenza - fu sostituita da una scalinata di poche rampe.

Seguono, sul marciapiede a mare tre distinti cancelli  delle “suore Pietrine”: per l’istituto, per l’orto e giardini e per servizi. Bello è il gruppo di alberi di canfora (un altro è nel cortile della Croce d’Oro, unici in città), che mandano i loro rami sulla strada.

         

le Pietrine                                                                               angolo via Tosa

===civ. 48  dopo via Tosa, il lungo edificio chiamato “dei ferrovieri”, perché inizialmente costruito per questi lavoratori. Durante l’ultimo conflitto mondiale, fu raggiunto da due bombe che causarono tre morti.

Immediatamente dopo, è il ponte che - essendo anonimo, fa parte di questa strada - (è detto anche  “ponte di Quota 40” perché già inserito in diversi piani regolatori per far continuare questa circonvallazione sino al Campasso); solo nel marzo1976 si arrivò ad iniziare i lavori che furono conclusi nel maggio 1977: passando sopra corso L.Martinetti, fa concludere la strada -fino ad allora monca-, in corso Magellano. Lungo circa 64m, largo circa 15 con una carreggiata di 13m, fu costruito in cemento armato.

VERSO PONENTE

===civ. 40: non esiste, avendo progettato - ma mai eretto - un altro palazzo. Viene riferito che il 42, eretto dalla coop. La Vittoria, era stato progettato e quindi doveva nascere con due portoni distinti.  Ma circostanze non conosciute hanno fatto cambiare e saltare i programmi.

=== civ. 38:   detto “dei Mutilati e dei Combattenti”; alcuni stemmi e cartigli sulla facciata ne caratterizzano il nome e lo scopo per cui fu eretto dalla soc. coop. Generale Cantore (vedi foto sotto).

===civ. 36 e 36a: il primo fu costruito dall’impresa Bagnasco, Florio Pietro (proprietario del terreno) & Balestrero nel 1931.

 

la casa Bottaro è visibile (a sinistra,                      colorato rosso, il civ. 38

sopra l’edificio civ. 48) di via GB Monti.

 

Nel civ. 36  Negli anni 30 all’interno 19 abitava Bottaro Caterina, direttrice di una rivista “Lavori Femminili” editita dal 1914 al 1975; arricchita di ‘disegni  per tutti i lavori donneschi e letture amene’. Assieme all’Eco di donBosco erano gli unici periodici editi nella nostra città.

Del civ. 36a, due appartamenti sovrapposti (uniti da scala a chiocciola) furono comperati da Bottaro Caterina (o Bottero, nata a Carcare e deceduta dopo frattura del femore per scivolamento a terra) per iniziarvi aiutata da suore laiche un rifugio assistenza per orfanelle. 

        

Bottaro Caterina, fondatrice

della casa famiglia s.Cuore

Nel 1936 avendo acquistato il palazzotto retrostante la strada, allora numerato 36A-cancello (oggi localizzabile in  via Battaglini), dopo averlo munito di cappella privata, riscaldamento, dormitorio ed adeguati servizi vi si trasferì: nel 1950 risulta chiamarsi “casa famiglia del Sacro Cuore, per Orfane povere ed abbandonate”.

L’istituzione fu poi regalata alla Fondazione di religione ‘Cenacolo Domenicano’ (ente morale, con sede a SestriPonente in via Vado, del quale era stato direttore il sac. Viola Giuseppe milanese del 1807); questa congregazione a sua volta cedette l’immobile nel 1966-7 alla soc. san Tomaso d’Acquino di Sestri che rimase proprietaria per uno o due anni finché  lo rivendette  all’impresa  Salus, che costruì via Battaglini.

Sulla via GBMonti, tra il civ. 36 e 38  esiste ancora il cancello d’ingresso -seguito da una scalinata privata che portava alla “casa famiglia del Sacro Cuore”- orfanatrofio femminile ; ove si stampava pure un periodico intitolato “Lavori Femminili”(nel 1950 aveva direttrice Rina Bottaro; aveva pagine con dei ricalchi da –col ferro da stiro- riportare su tela e ricamarli).

   Questa proprietà confinava a nord con quella Boccalatte –  che arrivava sino alla salita Belvedere a fianco della palazzina omonima,  e ad est con quella di Antonio Bagnasco.

All’incrocio con via Battaglini, la strada trapassa in via dei Landi. La palazzina posta sopra il muraglione e di pertinenza di via Mignone, però in precedenza delle nuove strade, era il civico 30a di via GB Monti.

 

DEDICATA       

 


al pittore sampierdarenese, nato il 20 dic. 1797 (anno della proclamazione della Repubblica Ligure; Sborgi scrive nato 1794) nel ‘palazzo Queirolo’ (in via San Pier d’Arena, subito a ponente della casetta della Delegazione di Porto – in piazza della Sanità, di fronte alla crosa dei Buoi-. Queirolo, assieme a Calvi, lavoravano nell’industria dell’olio e furono tra i firmatari per l’erezione del Modena), da papà Angelo -sarto- e da AngelaMaria Tasso.

   


Ebbe numerosi fratelli, dei quali si sa solo di uno divenuto sarto; uno capitano marittimo,  e due ricamatrici.

  A 17 anni entrò all’Accademia Ligustica di Belle Arti di Genova, nella sezione disegno, e subito si distinse quale migliore allievo del corso; però essendo di spirito indomito e di carattere irrequieto ed eccitabile, forse sentendosi frenato dalla locale prevalente ed indiscussa cultura classica, o incompreso, preferì trasferirsi a Bologna (del cui soggiorno mancano totalmente tracce e documenti); da qui a Roma, attratto da un’idea di maggiore libertà espressiva e dal gusto preromantico di Camuccini, e dalla compagnia di amici (tra cui i pittori Francesco Baratta e Giovanni Fontana, l’architetto Nicolò Laverneda e lo scultore Giuseppe Gaggini, tutti inviati colà dall’Accademia genovese: alla caduta dell’impero francese , la Ligustica nel 1815 stanziò una somma -promossa dal nobile Marcello Luigi Durazzo- utile per inviare il migliore alunno per ogni specialità, a studiare e perfezionarsi a Firenze o  Roma); iniziò a produrre qualche opera, andata oggi dispersa (un “Sansone”); vinse il primo premio per l’anatomia nel 1818; finché nel 1820 in venti giorni eseguì un “san Gerolamo in atto di penitenza”, per partecipare ad un concorso di pittura -indetto dall’Accademia romana di san Luca-: la cronaca ricorda che il direttore, addirittura Antonio Canova, gli cinse solennemente il capo con una corona d’alloro (come era allora in uso per testimoniare il massimo dell’onore),  decretando così un trionfo per il giovane e per l’opera (posta nella chiesa di san Luca, viene considerata un capolavoro: rappresenta il santo, in grandezza naturale, in atto di umile penitenza; l’Alizeri ricorda che Vincenzo Camuccini -valente pittore che già faceva scuola ed da cui il Monti aveva iniziato a fare il discepolo - lo declamò affettuosamente ma sinceramente “mio maestro”. In effetti il tratto pittorico appare potente e sicuro, quale fosse stata opera di un esperto e già declamato pittore).

   Intensa divenne la richiesta della sua opera, specie come ritrattista, divenendo valentissimo, uno dei più significativi del suo tempo, sapendo cogliere i maggiori risultati di freschezza dell’immagine, rispetto i cosiddetti tradizionalisti (dipendenti da una cultura accademica più rigida e rallentata in un periodo in cui il linguaggio pittorico era evidente movimento innovativo). La sua opera si colloca in posizione di spicco del primo romanticismo genovese.

  Non specificatamente attivo nel ramo, però produsse anche affreschi, di cui è tipico un autoritratto conservato nel Museo dell’Accademia Ligustica e nel quale viene colto un “progressivo superamento della nettezza disegnativa accademica, in nome di un uso più nettamente costruttivo del colore”.  Sborgi precisa “personalità più significativa – e tenderemmo a dire unica – nell’ambito dell’adesione al romanticismo emozionale… formatosi all’Accademia e morto giovanissimo a Roma dove sembra che seguisse anch’egli gli insegnamenti del Camuccini”.

   Morì appena ventiseienne, il 12 dic.1823 a  Roma, dopo giorni di atroci spasmi e dolori cerebrali (la morte prematura, e la fama raggiunta rapida a livelli così eclatanti, indussero a pensare ad un avvelenamento -anche per gelosia professionale; ancora usava allora, con pochi scrupoli, anche se la diceria proseguiva dicendo che l’avvelenatore  sarebbe morto a sua volta il giorno dopo, precipitando in un burrone-; la maldicenza mai fu provata, e non appare probabile: rimane quindi la malattia infettiva -come una otite o meningite- il movente più logico a giustificare il luttuoso episodio).

   Lasciò non molte opere;  qualcuna anche negli USA; in Italia persistono solo alcune tele nelle case private e nelle chiese romane. Alla Ligustica abbiamo quattro dipinti: due di essi, un “ritratto della sorella Anna” (olio su tela di 46,5x56,2); ed un  “autoritratto con colletto bianco”( olio su tela di 47,5x31, ambedue donati dalla sorella Giulia il 4 lug.1877, anteriori alla sua partenza) “rappresentano una significativa, ma non particolarmente emergente, interpretazione in chiave latamente romantica della ritrattistica tardo-neoclassica”. Gli altri due,  la “testa di vecchio barbuto” (olio su tela, di cm 47x35), ed un “autoritratto(olio su parte tela e parte cartone, ambedue del periodo romano ed ambedue provenienti all’Accademia da un legato del 1857, del marchese mons. Stefano Rossi) “mostrano una modernità di concezione che è indubbiamente difficile a riscontrarsi in quegli anni non solo nella cultura romantica genovese,  ma anche in quella italiana, tanto da porre, paradossalmente, alcuni dubbi sulla paternità del dipinto”

   E’ opportuno distinguere il Nostro, spesso confuso con un omonimo pittore genovese nato nel 1610 e morto di peste nel 1657. Quest’ultimo, lodato da G.Reni; citato dall’Alizeri, in enciclopedie e nel “dizionario biografico dei genovesi”;  fu allievo di Luciano Borzone e condiscepolo del coetaneo Mainero;  incisore in rame sul libro (1644) ‘L’Ateone’ di GB DiNegro.

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non citato su Enciclop. Motta  + Novella non lo include tra i “figli”  +

 

da cercare:

ed.1991-II-pag. 925=Beccaro R.-GBMonti- in La pittura in Italia, l’800- a cura di ECastelnuovo