MONASTERO                                       via del Monastero

 

TARGA: via – del – Monastero – già via Arnaldo da Brescia

                S.Pier d’Arena – via – del – Monastero 

sulla facciata del Teatro

 

angolo con piazza Modena

  

angolo con la piazza omonima

 

QUARTIERE MEDIEVALE:  Mercato – Castello

 da MVinzoni 1757. al centro, la villa del Monastero

N° IMMATRICOLAZIONE:   2808      CATEGORIA:   2

 dal Pagano 1967-8

 

CODICE INFORMATICO DELLA STRADA – n °:   39600

UNITÀ URBANISTICA:  26 - SAMPIERDARENA

 da google Earth, 2007. In giallo il teatro Modena

CAP:   16149

PARROCCHIA:   s.Maria della Cella

STRUTTURA:   carrabile comunale, a senso unico viario dal cancello (che una volta apriva al mercato comunale) e da piazza del Monastero,   a piazza G.Modena, lunga m.82,65, e larga 4,7, con due marciapiedi larghi un metro e mezzo. I numeri civici, sino al 5,  sono distribuiti inversamente al senso di marcia dei veicoli.

CIVICI

2007= NERI: da 15 (compreso 1A)

           ROSSI: da 1r a 27r;                   da 2r a 12r

===civ.1 È posto nel cosiddetto ‘palazzo Balbi’ descritto in pza V.Veneto

Era nel 1933 quando compare già esistere la tipografia Gazzo Cristoforo al civ 1 (sul Pagano/33 viene erroneamente detta in ‘piazza A.da Brescia’; Lamponi scrive vi fosse un ‘Atelier musicale’ che sullo stesso annuario compare ma nella vicina via Vittorio Emanuele). In questi stessi anni, viene descritta essere stata esistente una piastra metallica posta a terra vicino al portone, attestante che quella zona era ancora proprietà Centurione.

Il Pagano/40 segnala la tipografia Gazzo al civ. 1/1; e di civv. rossi 1r cinghie; 4r tabaccheria; 9r bar

 

STORIA: dalle prime carte, appare che la villa era in comunicazione con la via centrale, tramite un viottolo a levante della villa stessa; l’identica posizione di transito verso l’interno, doveva averlo quindi anche quando nel posto c’era prima il monastero, intermedia tra il quartiere del Mercato e quello del  Canto, in una posizione per secoli considerata quella centrale del borgo: in pratica è antichissima. E’ quindi logico che sino alla fine del 1800 si chiamasse Via Centurione. Agli inizi dell’anno 1800 le fu dato il nome di via Arnaldo da Brescia: agli inizi dell’anno 1900 vi si apriva l’abitazione del custode del teatro; e con tale nome , di 3.a categoria.

   Nel 1940 circa, le fu definitivamente confermato il nome attuale .

 

DEDICATA  alla villa che la affianca ( vedi “piazza del Monastero”).

 

BIBLIOGRAFIA

-Archivio Storico Comunale

-AA.VV.-guida annuario archidiocesi- anno/94-pag.420  /02-pag.457     

-Guida Sagep 80.2      

-Lamponi M- Sampierdarena- LibroPiù.2002- pag. 70

-Novella P.-Guida di Genova-Manoscritto 1930- pag. 16

-Pagano/1940-pag.341

-Poleggi E. &C-Atlante di Genova-Marsilio.1995-tav. 34

-Ragazzi F.-Teatri storici in Liguria-Sagep.1991-pag. 82
MONTANO                                        piazza Nicolò Montano

 

TARGA:

piazza – Nicolò Montano – amministratore mecenate – 1825-1882

       

angolo con via P. Reti

                

muragline strada verso la stazione ferroviaria

                  

portici d’angolocon via A.Cantore

                                                         

portici terrazzo davanti a Salvemini

 

QUARTIERE MEDIEVALE: Mercato

 da MVinzoni, 1757. In rosso villa Centurione; celeste, crosa dei Buoi.

 

N° IMMATRICOLAZIONE:   2809      CATEGORIA: 1

 da Pagano 1961

CODICE INFORMATICO DELLA STRADA - n°:   39940

UNITÀ URBANISTICA:  26 - SAMPIERDARENA

 da Google Earth 2007. In celeste, via PReti; giallo, via ACantore; viola, via GBuranello; rosso, la stazione ferroviaria.

 

CAP:   16151

PARROCCHIA:  (2 e 4)= s.G.Bosco--- (rimanente)=s.Maria della Cella

STRUTTURA:   al centro di un trivio, come in una Y il traffico proviene da via A.Cantore, piazza Vittorio Veneto e via P.Reti.

La facciata a levante ha dapprima la piazza Settembrini, il palazzo detto delle poste ed un altro edificio porticato; il tutto ospita due banche,  un bar e da molti anni una lunga bancarella di libri (nuovi ed usati).

Il lato a ponente è interamente occupato dal muraglione della ferrovia e stazione. A nord, la villa è affiancata ad alcune costruzioni delle quali, quella a levante (a piano terra occupata da Salvemini) ed a ponente da due palazzi, uno porticato come la villa ed uno senza (quest’ultimo con la caratteristica palma davanti). Nel centro un residuato degli antichi giardini. Tutto descritto dopo.

   

anni 1910-20                             anni 1920-30                                  anni 60-70                                

        

anni apr./e1936 foto Pasteris           anni 50-60                                   anni 70-80

                                                            

anni 1910-20                           anni  20-30                                          anni 70-80

 

STORIA  della piazza:  

    Agli inizi dell’anno 1500, l’erezione della villa  comportò l’acquisto del terreno da parte di Cristoforo Centurione, costituito da una lunga striscia di terra che dalla casa arrivava sino al mare: dalla loggia, i signori allargavano la vista sino alla spiaggia, e dalla torretta potevano tenere in controllo sia il largo del mare che le uniche strade importanti: la via sant’Antonio proveniente dalla Lanterna (essa poi, scorrendo dietro la villa  si collegava e prolungava con via san Cristoforo (v.A.Scaniglia ma protratta fino al ponte) e via  san Martino (v.C.Rolando); il cancello della villa si apriva nella cosiddettacrosa dei Buoi’ che dal fianco a levante arrivava alla marina e che in quell’epoca era poco meno di una carrettabile usata dai contadini della Fiumara per portare le merci al mercato del borgo o a Genova).    

  Dal 1850, con la ferrovia dapprima che tranciò brutalmente a metà la proprietà ed avvolse la villa col manufatto a ponte, il muraglione della stazione e la via Vittorio Emanuele; con l’allargamento del tratto terminale della ‘crosa dei Buoi’ (neobattezzata via Nino Bixio (vedi ad essa), che dal Canto arrivava sino al lato a levante della villa), e con le costruzioni abitative erette intorno,  la proprietà  si ritrovò progressivamente  imprigionata, preannunciando i limiti della futura piazza. Essa acquisì le caratteristiche di una piazza negli anni a cavallo tra 1800 e 1900, via via tagliando ed assottigliando i giardini antistanti e proprietà della villa Centurione-Carpaneto. Si descrive che l’intero parco aveva oltre 500 piante d’alto fusto, in gran parte di origine esotica.

   Progressivamente così il giardino privato, distratto anche del prato a giardino con fontana acquisito dal Comune cittadino ed adibito ad uso pubblico (piazza Settembrini) è  divenuto sempre più stretto: a fine ottocento seppur ancora ricco di alberi, appare nelle fotografie delimitato da due  vie principali (la via Vittorio Emanuele (poi Milite Ignoto) proveniente dalla piazza Vittorio Veneto ed estesa lungo il muraglione della ferrovia con la linea del tram, e la via N.Bixio (ex crosa dei Buoi) a levante nel cui retro a levante era la zona detta ‘le stalle’ per l’ampio spazio dedicato a questa necessità di trasporto) e racchiuso a triangolo da un muretto con  cancellata , comprendente una  casupola ed un torrione.

   Del 1907 un primo progetto (numerose tavole e relazione esecutiva di metropolitana, allora chiamato “ ferrovia economica a trazione elettrica


Sotterranea di Genova” - progettata da C.Pfaltz, ingegniere svizzero direttore dell’AEG di Genova quando divenne proprietaria delle funicolari ed altre attività connesse all’uso della corrente elettrica. Mentre SPdA si propose favorevole alla realizzazione del progetto, non lo fu Genova, preoccupata per i venti di guerra (il percorso era previsto per 9.140m da percorrere a 30Km/h in galleria e 10 fuori esse; un treno ogni 5’, con vetture capaci di 40 persone cadauna; gazebi a padiglione alle fermate, in stile post liberty, facilmente riconoscibili per uniformità. Nel 1912 il progetto fu allungato sino a Nervi.

 


Nel 1911 un altro progetto non realizzato dell’ing Stefano Cattaneo Adorno, con Emilio Rava, vedeva l’origine della metropolitana (interamente ‘sotto il suolo stradale, a due binari, dalla nuova piazza cui doveva far capo la grande arteria prevista (via A.Cantore), per villa Scassi, sino a  san Benigno ove sovrapassando  il quadrivio delle ferrovie, attraversava anch’essa in galleria il diaframma roccioso del colle’). Forse ne fu fatto un secondo, nel 1924 (vedi via Milite Ignoto) nel quale –forse constatando la difficoltà di procedere sotto terra, era prevista la linea in superficie-.

 

 


 

   Nel gennaio 1924 sul settimanale  “L’illustrazione del Popolo” (anno IV, n.3, pag. 7 - supplemento al quotidiano torinese “La Gazzetta del Popolo”) comparve un servizio annunciante che entro sei anni sarebbe stata realizzata (in quanto approvata e finanziata) una metropolitana con spesa di 120milioni, su progetto degli stessi Stefano Cattaneo Adorno ed Emilio Rava. Sotterranea, sotto il livello del mare, lunga 16 km., con varie stazioni Il primo tronco: SPdArena-DeFerrari pronto entro il 1927, al’epoca della notizia era già stato iniziato.  A posteriori qualcuno ha sollevato il sospetto che non fu realizzata per i reperti sottostanti; e che comunque, vigendo il fascismo, le notizie negative venivano censurate.


   Nel 1933, ancora la piazza non esisteva come entità a sé, ma lo spazio era ormai ben delimitato. Negli anni immediatamente a seguire, abbattuti i muri dell’ala laterale e la torretta, aperta via A.Cantore davanti alla villa a cui fu aggiunto il porticato, il giardino  rimase sempre più avulso dalla villa stessa; e continuando a  rosicchiargli spazi ad uso stradale siamo arrivati a farlo diventare infine una banale aiola. Rimangono pochi ceppi di magnolie e la palma (che troneggia ancora sparuta davanti al civ. 2a,  e che dalle foto già appare inserita ai primi del 1900: ed è quindi pressoché centenaria).   

  Negli anni 1950, da una foto si legge che nella parte a levante della piazza, dopo il  palazzo semicircolare con i portici, esisteva una casetta con, nell’angolo, la targa (Canepa scrive che c’era scritto ‘piazza Stazione – poi piazza Montano’),  a tre piani che sarà demolita negli anni ’60; a piano terra c’era G.Piffaretti – corriere espresso; seguito dal ristorante Gentile poi Torre del Mangia. Nella stessa foto, dove ora è lo stesso ristorante, c’era la Provvida e la banca Credito Italiano. E nel centro della piazza ove ora è la pensilina coperta dei bus, c’era un distributore di benzina, condue colonnine, dei f.lli Caso.

   Nel 1969 si registrava nella piazza il passaggio giornaliero di alcune diecine di migliaia di veicoli (precisamente 44.600 transiti).


   Dalle foto, non antichissime, si vede un vigile urbano, alla fine di via A.Cantore e l’inizio della piazza, troneggiare sulla pedana a dirigere il traffico, e –a Natale - circondato da doni: era tradizione nel giorno della Befana, offrire ai vigili urbani un riconoscimento, a testimonianza di affetto e stima,  immutati nel tempo, ...malgrado –già allora - tutto!

 

anno 1950; centenario costruzione

 

Quasi annuale un allagamento della parte a ponente della piazza, fin tutto il sottopasso ferroviario stradale, evidentemente a conca,  arrivo e bacino di acqua piovana da via Stennio (e oltre) e da via GB Monti - corso Martinetti.

 


CIVICI

2007= NERI dal 2 al 4 (compreso 2A). Non esistono civici dispari

           ROSSI da 3r a 25r (mancano  da 9r→13r compresi)

                       dal 2r  al  36r

 

Fanno parte della piazza: 1) vari numeri civici + 2) salita alla stazione + 3) tunnel pedonale ferrovia  + 4) aiuola con alberi, due monumenti, capolinea e fermata AMT  + sottopasso Montano (vedi a sé stante).

Il Pagano/1940 descrive: essere delimitata da via Martiri Fascisti, via A.Cantore e piazza Sabaudia.  Che ha civv. neri 2,4 e 3,5; rossi = 1r bar; 3r la Rapidissima rip.calz; 5r commestib.; 6r parrucchiere; 8r trattoria bar Gaia;   26r Credito Ital. Ag, 1; 34r oreficeria R.Salvemini

Nel 2010:

1) CIVICI DISPARI = collocati sulla facciata a levante della piazza (una volta facciata laterale di via N.Bixio). Va, dai giardini a via A.Cantore

=== civ.dal 1r al 7r  (appartengono alla BNL, con ingresso al 7r. Nel 1950 ospitava nell’angolo con piazza L.Settembrini, il bar di Odino C.

Ha ospitato uno dei primi uffici pubblici delle poste, locali poi occupati dalla trattoria Bolognese, seguita da quella del Masini (che poi si trasferirà sotto i portici aprendo la ‘Torre del Mangia’), ed ora di una banca

Il palazzo ha ingresso in piazza Settembrini (vedi) e fu demolito nel 1957.

        

                                                                                   

===civ 3r nel 1950 viene segnalato il bar Squillari Albino

===civ. 5r nel 1950 il bar di Fogliati Camillo

-------CORRIDOIO ANONIMO tra due palazzi, con civ. di via URela (vedi)

 

===civ.15r sotto i portici, nel 2009 è un bar con veranda nel corridoio

===civ. 3  

===civv dal 17 al 25r  Banca Passadore (che ha ingresso al 25r + ulteriori due civici in via Cantore).

 

                                                   1950 circa

 

CIVICI PARI la numerazione non è centrifuga come dovrebbe essere, ma centripeta, iniziando da v.P.Reti.

===civ.2; il palazzo non è antico, ma ha pretese di estetica. Ritengo risalga ai primi anni del 1900: il portone ha 2 colonne esterne; la facciata è decorata: a) tra pianoterra e primo piano, cornice con grossi riquadri riportanti in altorilievo corpi maschili alati con riferimenti alle arti (musica, scrittura, ecc); a 2° e 3° piano con due lesene verticali e finestre incorniciate; tra 4° e 5° piano con altrettante due lesene culminanti con capitello floreato; sopra il 5° piano altra cornice floreale; le scale con scalini non molto alti, ringhiera di ferro battuto, e non c’è ascensore;

 

3 appartamenti/piano, con i vani di vaste dimensioni; soffitti alti oltre 3 metri e decorati con affreschi semplici; non c’è bagno (al civico 8, su oltre 10 vani c’è un solo gabinetto, piccolissima stanza con la sola tazza del WC e senza bidet).

   

Ai tempi dell’apertura del sottopasso ferroviario, si parlava demolire il palazzo per mettere in dirittura via Cantore con il sottopasso stesso e via EDegola.

Tra questo palazzo e la villa, esiste la facciata di un altro palazzo che non ha l’ingresso sulla piazza ma è il civ.4 della via retrostante A.Scaniglia

===civ. da 2r a 12r  dietro alla palma, poi negli anni 1950 ed oltre, è stata sede della ‘tipografia Cartotecnica’. Oggi, 2009, c’è la ‘Sicurmetal’ (porte, finestre,persiane in metallo).

===civ. 8-12r la trattoria che sino al 1950 era trattoria, di  Gaia  N. Nel 1950 la trattoria appare gestita da Gandio L.

 con ombrelloni gialli, la trattoria.

===civ. 22r sotto i portici (iniziano dal 14r) rivendita di macchine da cucire

===civ.24r il ristorante ‘Torre del Mangia’, gestito fino al 2003 dal sig. Masini, già titolare della trattoria posta nella stessa piazza ma nel cosiddetto palazzo delle poste, all’angolo con piazza Settembrini (forse al civ. 8-12r) . Quello che fa sorridere è che il ristorante, divenuto famoso per la cucina prevalentemente toscana, inganna gli sprovveduti i quali gli collegano la torre che sovrasta il palazzo e chiamano quest’ultima come la torre di Siena.

===civ. 4     villa Centurione (vedi sotto)

=== dal 26r al 36r  L’orefice Salvemini con ingresso al 34r che si apre non sotto i portici ma di fronte alle scale del sottopasso.

 

2) ===STAZIONE FERROVIARIA: A seguito del Congresso di Vienna del nov.1814, la Repubblica Ligure fu forzatamente ed unilateralmente unita al regno di Sardegna ; le due mentalità ed economie –monarchia assoluta e agricoltura a Torino, propensione repubblicana e commerciale a Genova, entrarono subito in contrasto con attriti violenti, repressione sanguinosa (1849) e di pesante retaggio. Cavour seppe cogliere il momento: lavorò con l’alta società ligure, al fine di allacciare migliori rapporti economici tra le due città; Genova era in piena ‘febbre industriale’ con grossi capitali a disposizione e quindi grandi opportunità di investimento;  ed i tempi erano maturi perché fosse la ferrovia a riequilibrare le due diverse nature e necessità.  

Costruita e completata alla fine del 1853 (vedi a via G.Buranello) la linea ferroviaria Torino-Genova (le prime linee inglesi sono degli anni 30; la prima italiana Napoli-Portici, del 1839; il primo tratto della Torino-Genova, fino a Moncalieri, del 1848 : con l’uso di una locomotiva belga battezzata ‘Carlo Alberto’), all’inaugurazione non fu prevista alcuna stazione intermedia; però per comodità ed uso, fu d’uopo spezzare il tragitto secondo le località di maggior traffico e, San Pier d’Arena fu senz’altro una delle prime, sicuramente quando  nel 1865 si provvide al tracciato verso il ponente (dei due progetti presentati, uno prevedeva addirittura by-passare la nostra stazione passando più a mare ed innestandosi nella linea statale con un cancello posto al limite -non si specifica dove- ed apribile solo al passaggio; per fortuna fu scelto l’altro progetto dell’ing.Parodi che, anche se più costoso fu più garante la sicurezza pubblica e non creò un altro mostro lungo il borgo).

   La locomotiva a vapore, nata in Inghilterra, fu soggetta ad importazione –sia per pregiudizi di produzione esterofili ed a scapito del prodotto italiano; sia per fattori doganali : costava meno introdurre una macchina già fatta che la materia prima grezza; sia per scarso appoggio e per alti interessi applicati dalle banche agli imprenditori - finché le officine Ansaldo (vedi a via Ansaldo) non furono in grado di produrne di proprie (classica nei testi, una delle prime vaporiere italiane, sperimentata nel tratto Genova-Pontedecimo nel dic.1854, capace di una velocità di 65 Km/h, battezzata nel 1855 ‘SAMPIERDARENA’; negli anni 1850-60 in Italia esistevano solo 404 locomotive di cui solo una ventina dell’Ansaldo.

    Sul Gazzettino è scritto che la stazione ‘poggia ancora su una fitta serie di cunicoli e celle di un convento del quale si può ancora vedere la parte esterna ossia l’ingresso alla Stazione’; l’idea di un convento sopra il viadotto al pari dell’attuale ingresso è illogico; che il convento fosse sotto e sulle cui fondamenta sarebbe poggiata l’attuale stazione, è ripetuta voce mai dimostrata  ed assai improbabile: che nessun testo e nessuna carta riportino l’esistenza di una chiesa o similare anche di minuscola comunità  a ponente della villa Centurione, mi appare impossibile; mentre è più facile pensare che -come sul viadotto che segna via Buranello hanno aperto numerose celle per negozi-, anche sotto il riempimento della stazione abbiano creato vuoti ai fini più disparati: da depositi di carbone a quant’altro, compreso i vani adibiti a stalle posti di fronte alla attuale via Stennio.  

  

Umberto I e Crispi ossequiano l’imperatore tedesco Federico III  

   L’ 11 mar.1888, (Pippione scrive il 10 marzo, ore 12,15) vi transitò -proveniente da Sanremo per cura climatica, il principe Fritz (nomignolo affettuoso per il cinquantenne Federico Guglielmo, che stava tornando in Germania per divenire l’imperatore FedericoIII, dopo la morte di Guglielmo I Hohenzollern a cui erano stati intitolati a Genova il pontile e la prima piccola Stazione marittima, ora “dei Mille”) con la  moglie e le tre figlie. In stazione si era portato all’incontro il nostro re Umberto I proveniente da Roma col suo seguito (tra cui Crispi, presidente del Consiglio e i consoli tedeschi): si creò per 15 minuti una scena di alta commozione, sapendo che il futuro imperatore, buono, valoroso, ed amico del re, era malato di tumore in gola e comunicava solo a gesti o con foglietti scritti in francese per essere compreso dai nostri: infatti non sopravvisse che tre soli mesi all’incoronazione avvenuita il 22 marzo successivo, morendo a pstdam il 15 giugno. Gli succederà Guglielmo II  di Prussia, primogenito di Federico, che aveva idee differenti dal padre, sia sulla Polonia che sull’Italia (diverrà nostro nemico nel conflitto del 1915), e  che già manovrava per la supplenza prima ancora della dipartita del padre

-Ricordi scritti fanno cenno ad un certo Puin, erculeo facchino della stazione, che si vantava essere capace di sollevare due quintali di merce, ma solo al mattino; dal pomeriggio forse, la massiccia muscolatura cedeva al potere del nettare.

-Per il Pagano 1902-12 Balbi Francesco gestiva la trattoria ‘alla Staz.Ferr.’ Forse è lo stesso che poi comperò l’omonimo palazzo di piazza Vittorio Veneto.   

 

cartolina 1905                               1915

 

-Nei locali adiacenti, fu operante una sede del Dazio, per il controllo delle merci in arrivo. Lamponi segnala che durante la guerra del 1915, vi erano locali adibiti a ambulatorio-assistenza dei militari feriti e transitanti verso luoghi di cura, curato dal dr. GB Botteri presidente del Comitato distrettuale della CRI locale.

 

 cartolina 1902                                                           transizione tra elettrificata e a vapore

   Nel Pagano/19-25 la trattoria appare gestita da Paleari Pietro (forse lo stesso del bar Roma di Pza V.Veneto).   Mentre il bar della stazione era gestito da Paleari Pietro: così nel Pagano/1919-20(tel.44-86)-1925(tel.41309)-1933.

     

 

 

  Una relazione del 1926, sottolinea in stazione un traffico di circa 300 treni al giorno (una delle principali d’Italia), purtroppo anche con molte disgrazie causate dalla mancanza di sottopassaggi e dalla  solita superficialità; divenne quindi necessario un nuovo progetto, che meglio utilizzasse la grande superficie occupata dal terrapieno: fu previsto così un nuovo fabbricato -nel progetto diverso da quello attuale, lungo 120m- , una rampa al piazzale antistante concepiti un modo “che apportino piccola modifica al giardino Carpaneto”, lasciando la via Milite Ignoto a distanza di 20m. Sotto i binari si previde uno svuotamento del terrapieno, inserendo pilastri e volte in modo di ricavare un vasto locale (80x40 m)   ed una galleria - che collegasse via Milite Ignoto (via P.Reti)  con via Cavour (via Dondero) con transito di pedoni e di veicoli, fiancheggiata di negozi, servizi (sala scrittura, telefoni, deposito bagagli, pulizia scarpe, albergo diurno, uscita viaggiatori, stazione taxi).  Questo progetto, abbastanza grandioso e pretenzioso nello stile delle decorazioni , prevedeva pure un allargamento del sottopasso da piazza Vittorio Veneto  ed altri rifacimenti il cui “problema economico era praticamente risolto” . Il passaggio nella grande Genova, probabilmente infranse la conclusione del progetto ;  alcune parti  furono eseguite, per essere abbandonate, e poi  riprese negli anni 80-90***, nel modo attuale; lo sbocco della galleria che doveva collegare le due strade, a lungo fu occupata da una scuola guida per auto.  In quegli anni, parte dei locali erano occupati dagli uffici del Dazio, per il controllo delle merci in arrivo con i viaggiatori .

-dalla loro costruzione, fu necessario punto di riferimento alle linee tranviarie, quale punto di capolinea o transito di passeggeri.

   Non è specificato da quando né dove è, ma il ‘Fabbricato Viaggiatori FF.SS.’ e posto sotto tutela e vincolo della Soprintendenza.

   Durante l’ultimo conflitto mondiale fu ovviamente più volte mirata dai bombardamenti, ma mai ‘centrata’; solo nel bombardamento navale inglese del 9 febbraio 1941, una bomba da 381 esplose su una vettura pronta a partire per Limone, uccidendo tre sciatori e ferendone molti altri mentre altre - di minore calibro - fecero solo danni materiali.

   9.2.1941

 

   28.4.44

  

   Nell’organo giornalistico del comune, nel 1952 si legge che l’opera è ormai antica, non più idonea alle esigenze moderne, indecorosa, ingombrante; che il nudo muraglione toglie ogni attrattiva alla zona e la rampa di accesso, piantata nel centro cittadino, è una bruttura; insomma che il tutto è ‘da distruggere senza una lacrima di rimpianto’ . Ma le ferrovie non credo abbiano nessun progetto di spostare le sue linee che tagliano la città; e ‘more solito’ le cose sono restate e resteranno tali quali.

   Nel 1961, il Pagano segnala esistere tre locali pubblici (tabaccheria ATraverso della stazione; la stazione ferroviaria; il ristorante della stazione gestito da GaudioL.); 5 civici neri (con citati solo cinque professionisti); 20 numeri rossi (stazione di rifonimento AGIP di ACasu; autoscuola LTrompetto;  chiosco latteria di SCortellesi; bar della stazione; al 2r tipografia cartotecnica Montaldo; 3r= trattoria Gentili; 5r= bar CFogliati; 6r parrucchiere GLavanna; 7r=calzolaio AAltobelli; 8r-12r trattoria bar NGaia; 9r-11r  commerciali Battilana; 13r due corrieri Leone&Piffaretti; 17r-19r banca naz. Del Lavoro; 18r lavanderia ‘Appennina’;20r banco lotto; 21r-23r tessuti PittalugaE; 22r GhigliaG giornali; 24r la Provvida; 26r-28r ag.1 Credito Italiano; 30-34r SalveminiR orefice.

 

 

1975

   Nel 1979 ci fu un nuovo restauro, con la chiusura del pronao a mezzo di grosse vetrate ed unificando la sala d’attesa.

Nel 1998 fu restaurato l’orologio, uno dei pochi in città; fu un elemento  indispensabile,  quando solo i ‘signuri’ avevano ‘la cipolla’ nel taschino.

   In stazione è installato un moderno impianto elettronico capace di controllare scambi e passaggi in modo preciso e in tempo reale. I lati negativi ed insufficienti sul piano funzionale, sono legati alla vetustà dell’edificio, non certo in linea con l’evoluzione dei tempi.

   Non specificato da che anno, il “Fabbricato Viaggiatori FF.SS.” è tutelato e vincolato dalla soprintendenza per i Beni architettonici della Liguria.

Nel gennaio 2004 si parla di spendere 2,5milioni di euro per ristrutturarla, essendo il terzo scalo in Liguria (dopo Principe e Brignole) con 7 milioni di viaggiatori/anno che potrebbero aumentare in allargamento della metropolitana. Una plurisocietà, fusa in unica società operativa chiamata “centostazioni”, in Liguria prevede il lavoro per altre sette stazioni (architetture storiche, barriere, illuminazioni, servizi,  ecc.).

 

3) SOTTOPASSO FERROVIARIO PEDONALE  Nel nov.1990 fu inaugurato il sottopasso ferroviario che collega via Dondero con piazza Montano, utilizzando dei vani ex-deposito di carbone sottostanti la stazione; l’opera, già prevista nel 1926, finalmente finanziata (con 700 milioni, dalla legge per i campionati mondiali di calcio), fu costruita dalla soc. Icogen.    

    Comprende nel lungo e angolato (a Z) corridoio lungo cento metri abbondanti, che da avvio alle rampe di accesso ai vari binari senza attraversarli; comprende alcuni esercizi commerciali (inizialmente furono bar, pizzeria, profumeria, cartoleria, articoli fotografici, abbigliamento), ed anche facilita -dalla piazza- l’accesso al mercato comunale. 

NOTA= il sottopasso Montano, di via Cantore, ha una targa a sé ed è quindi inserito subito dopo la descrizione della piazza.

 

4) AIUOLA con alberi di fiori  (magnolie)

===BUSTO: dedicato a Pietro Chiesa  (vedi). La scritta dice “alfiere di libertà – e – democrazia -***

 

Negli anni 1975 un grosso foglio di carta fu incollato al marmo: diceva «questo busto fu dedicato a l’onorevole Pietro Chiesa cittadino Sampierdarenese il cuale mori in miseria per lo sua grande onesta almene metiamolo in un punto dove tutti lo possono amirare perche sia di sprone alle nuove Generazioni da andare a governare senza che i ministri facciano soltanto i propri interessi allinfuori del popolo che ce li manda   un Proletario» (gli errori grammaticali sono riportati tutti conformi).

===LAPIDE:   dedicata agli operai deportati, durante l’ultima guerra mondiale, vittime di rastrellamenti improvvisi da parte dei tedeschi (presenti pochi elementi della polizia e brigate nere) effettuati venerdi 16 giugno 1944 presso gli stabilimenti SIAC (raggiungibile col tunnel di via Chiusone), San Giorgio, cantiere Ansaldo, Piaggio, OARN, Fonderie e Acciaierie Liguri, ed altri, devastati dai bombardamenti, e quindi momentanea inoperosità di molti di essi (il numero di duemila fu stabilito d’autorità tedesca, sommando gli operai che ricevevano un sussidio di disoccupazione: 1600 quello totale, più 400 quello parziale). Vedi a “via Giorgio Mignone” che fu uno dei non tornati.


Dall’autorità tedesca, in accordo con  il questore, già per il 10 maggio ’44 (poi saltato e rinviato al 16 giugno) era previsto una convocazione degli operai nel piazzale, per ‘un appello’: sommariamente sarebbero stati visitati da 12 medici (che ovviamente poi non furono utilizzati), e  2000 sarebbero stati fatti salire su una quindicina di vagoni già pronti e fatti partire ‘come si trovano sul posto di lavoro’; i familiari sarebbero stati avvertiti in seguito ed avrebbero potuto far pervenire entro due giorni abiti e suppellettili in appositi pacchi.          La  Germania  in  concomitanza  aveva


scarsità di mano d’opera: il vasto fronte belligerante aveva assorbito tutti gli uomini in età produttiva; quindi affidò a Sauckel lo studio di un piano di risaturazione della mano d’opera, nel quale fu prevista la deportazione:  si trovò nell’operaio italiano tendenzialmente ribelle e favorevole alla ‘resistenza passiva’ nonché reso inattivo, una soluzione del problema: prevedendo l’arrivo di oltre un milione e mezzo di persone (in realtà non superarono le centomila) dapprima propose una emigrazione volontaria con trattamento alla pari (andata praticamente deserta) e prelevando gli individui giudicati antisociali (politici) o pericolosi detenuti in questura.

    Dopo vari scioperi parziali iniziati a maggio (in genere per richieste di miglioramenti economici o creazione di spacci aziendali, rimaste tutte inattese) e proseguiti nei primi 15 giorni di giugno -interessanti l’Ansaldo elettrotecnico e meccanico e, nella provincia, l’Oarn, la San Giorgio, i Cantieri Navali, la Siac,  l’Ansaldo carpenteria e quello Fossati, così che quando un focolaio sembrava spengersi se ne riaccendeva un altro, creando gravi disagi ai fascisti a cui era affidato il servizio d’ordine; ed in un clima reso confuso dai bombardamenti sempre più disastrosi, dallo sbarco avvenuto in Normandia, le truppe alleate entrate a Roma, e le prime azioni terroristiche dei Gap - il giorno 16, iniziarono il rastrellamento improvviso e violento, concentrando gli operai (dalle prime valutazioni di 5000 in G.Gimelli;  il Gazzettino dice 1284; A.Gibelli – citando fonti dell’amministrazione tedesca - dice tra 1500 e 2000 anche se le testimonianze fanno pensare ad una cifra superiore; Fucile, uno dei pochi ritornati, scrive 1550 a pag 20 e 1500 a pag.70; il numero è impreciso sia perché alla notizia dei rastrellamenti molti fuggirono creando vuoti non valutabili, sia perché mai fu fornito un elenco – Calegari dice che solo alla fine della guerra fu possibile un bilancio più rigoroso, ma non indica il risultato, dicendo ‘circa 1500’);  su circa 40 carri   ferroviari per bestiame -tristemente noti anche per gli ebrei- e in due convogli li allontanarono verso Trento,  così come erano, alcuni in canottiera,  senza lasciare il tempo di avvertire le famiglie o  raccogliere vestiti ed altro, favoriti dalla ancora iniziale ed inefficiente preparazione delle forze partigiane. In troppi non tornarono più. Per evitare reazioni, in città fu imposto il coprifuoco ed un clima di terrore.

La lapide reca scritto : “percosse dal furore nazista - avido di schiavi - per l’orrenda sua guerra - nel giungo 1944 - le fabbriche di Genova - conobbero il calvario - dei mille e mille razziati - per i lager di Germania - Ma all’invocante grido - levatesi dai vagoni piombati - la volontà di resistere - s’irrigidì come l’impietrito volto - delle madri orbate dei figli - e delle fabbriche divenute trincee - difese per far salvo - il pane di domani - rispose anticipatore - il canto della liberazione -- Genova nel Ventennale della Resistenza “.

===PENSILINA sono due= una quella ferroviaria, modificata nel tempo (vedere fotografie); attualmente con parziale copertura.

Una nella piazza, ad uso salita-discesa AMT per le linee dirette verso Rivarolo.

A fianco di quest0’ultima,  è stata lasciato uno spiazzo, ad uso capolinea di alcune  linee locali.

 

===civ 4:  VILLA CENTURIONE-TUBINO-CARPANETO.  

1) storia della villa

Non si conoscono i dati precisi sull’epoca della costruzione e dell’architetto; probabilmente fu costruita su antico sedime e  dopo la metà del 1500 per Cristoforo di G.B., del casato di Spagna degli Centurione Oltremarini (deLandolina scrive “oriundo di Spagna” ma non è credibile). Era fratello del banchiere Adamo di GB (che aveva il titolo spagnolo di marchese)già fondatore e possessore del palazzo in piazza Fossatello: ma nessuno nominato da Battilana in Famiglie Nobili, poiché descrive solo gli Scotti.

  Roncagliolo –storico del Gazzettino- interpone un Luigi Centurione, che però era dei Centurione Scotto e fu l’ordinante allo Strozzi degli affreschi della sua villa, ma quella posta in Strada Nuova).

Cristoforo ebbe figli: primogenito Battista (col titolo –come lo zio Adamo -  marchionale in Spagna e quello del Monasterio); poi seguirono in sei: Filippo, GianGiacomo (deceduto 1644)Adamo (senatore 1629-31; deceduto 1635), Ottavio (fu gentiluomo rappresentante della Repubblica in Spagna; deceduto 1652) e l’ultimo - nato e cresciuto in Spagna. Tutti i primi, attivi sulla scena politica genovese, ed escluso il primo – morto precocemente il 7 dic.1615 - imbussolati nell’urna del Seminario (requisito primario per accedere ai Collegi direttivi del governo locale).

Famiglia Centurione, originati verso la metà del XIV secolo, erano composti da varie famiglie tutte ghibelline, tutte ricchissime e potenti non solo in Genova ma in tutto il Mediterraneo: i Cantelli, i Becchignone, i Bestagno, ai quali si aggiunsero i Traverso e gli Scotto (divenuti principi del Sacro Romano Impero nel 1654) e gli Oltramarini (originari da Paraggi di Rapallo proprietari di immense ricchezze acquisite col commercio). Nel 1528 formarono il 28° Albergo. Nel 1630, per l’erezione dell’ultima cerchia di mura attorno la città, i Centurione dovettero partecipare pagando cifre milionarie di allora, per la relativa tassa straordinaria. L’arma ha una banda d’oro scaccata di tre file d’argento e rosso; gli Oltremarino hanno in più una rosa in capo.

Un GB doge nel 1658-60 fu stimatissimo personaggio di mare e di politica, ambasciatore, inquisitore, commissario di sanità durante la peste del 1656, si costruì il palazzo -oggi al civ.5 di via san Lorenzo. Caratteristica la figura di un Adamo di Luciano già ricchissimo cavaliere arricchitosi con l’usura (prestiti al 60% di interesse) ed alcun bordelli; sposò nel 1541 la sua unica figlia a Giannettino Doria.

Erano invece dei Centurione Scotto, Barnaba  (nel 1599 marchese di Morsasco per investitura da parte del duca di Mantova e poi senatore; e suo figlio Luigi che comprerà in Strada Nuova, dai Lomellini, un palazzo che vorrà far decorare dallo Strozzi e contro il quale nel 1625 fece causa in tribunale per insolvenza (diverrà senatore pure lui).

Erano anni nei quali gli uomini d’affari genovesi – da mercanti e marnai si erano trasformati in banchieri-finanziatori - si erano enormemente arricchiti nei traffici con la Spagna, con conseguenti investimenti edilizi di notevole portata e prestigio, e con abbellimento delle dimore – con committenze artistiche - parallelo  al raffinato modo di vivere.

   Originariamente fu costruita nell’angolo nord-est del terreno; ad L per l’esistenza di un’ala a levante, orientata verso il mare, con volume e perimetri (specie quelli a nord) stranamente irregolari  e apparentemente senza una logica precisa se non dipendenti dall’utilizzo di  qualche costruzione preesistente (si conferma infatti che fu costruita “nell’area di più antiche architetture”.

La sua torre angolare ancora conservata era posta proprio al centro della piazza del mercato, disposta a formare una strettoia <strategica> con l’opposto palazzo appartenente già alla metà del XVII° secolo a Gio Luca de Franchi”; e lo spessore di certi muri e la struttura di alcune volte -poste a levante della loggia - evidenziano un’origine precedente.

 

da via C.Rolando              il portone, in piazza Montano

 

La constatazione che questa struttura nel suo retro sia irregolare solo per un adattamento all’asse viario  tangente (che, proveniente da levante, sul retro della villa si apre a Y, per proseguire verso il Campasso o verso il torrente),  non è giustificata – considerato: sia l’ampio spazio costruttivo a disposizione, che avrebbe consentito spostarsi a piacimento sino alla riva del mare; e sia che i nobili di quei tempi, non avevano controparte a cui rendere conto delle proprie scelte, e non avrebbero sacrificato la qualità di una villa,  per -per loro- inezie simili). Lo stesso Alizeri  a pag.362 conferma che l’edificio “fu ricostruito”.

   La proprietà era compresa tra le antiche via dei Buoi a levante prima che essa terminasse in piazza del Mercato, via  san Cristoforo a nord, il mare ed altri proprietari a sud, altre proprietà a ponente (nel 1757 erano del magn.co Geronimo e del r.do Giacomo de Negri).  Allora,  era praticamente l’ultima villa del borgo, prima di Cornigliano (non esistono documenti, per attestare l’età della villa che esisteva nell’attuale via Pieragostini, ma sicuramente posteriore poiché citata da nessuno).

 

   Morto Cristoforo, ereditò questa villa il primogenito Battista; ma egli morì il 7 dicembre 1615 senza eredi – si ipotizza che fu lui ad ordinare gli affresci allo Strozzi; per cui la successione toccò al secondogenito Filippo   (erano tra i più ricchi cittadini     della Repubblica, nipoti del banchiere   

Adamo, figura di massimo rilievo politico ed economico del 500 genovese e ‘spalla’ politica di Andrea Doria) e dell’arciv. Alessandro. Era influentissimo ambasciatore della Repubblica alla corte di Madrid durante i regni di FilippoIII e IV. Divenne senatore, ovvero  Supremo Sindacatore negli anni 1617-22 e di nuovo dopo il 1624, nonché procuratore 1630-1; due volte in corsa (su sei candidati, ebbe però il minor numero di voti) per divenire doge nel 1617 e 21) pare in comproprietà con altri fratelli.  Filippo,  desiderando fare della villa sua unica ed esclusiva abitazione (come descrive puntigliosamente nel suo testamento datato 24 aprile 1643), stipulò con gli altri un accordo di godimento –versando loro del denaro. Fu tra i testimoni a favore del pittore – durante le sue peripezie legali–:  compare infatti  Filippo Centurione q. Cristoforo, il 26 marzo 1626 quando dichiarò sotto giuramento essersi servito dello Strozzi “in far qualche pitture” avendolo conosciuto 3-4 anni addietro; la critica  non collega però queste date con gli affreschi sampierdarenesi potendosi riferire a quelli genovesi.

 Fu Filippo ad ordinare (l’artista aveva appena finito di affrescare nel coro della chiesa di san Domenico) gli affreschi al frate Bernardo Strozzi (che poi difese dalle accuse promosse dall’ ordine dei Cappuccini, giurando per lui, e garantendo col suo rango -ed un po' con la prepotenza tipica dei potenti- l’innocenza del pittore). Mario Marcenaro scrive che fu Luigi Centurione, proprietario della casa di via Nuova (palazzo ex Lomellini (? via Nuova a Genova? visto che qui il palazzo fu costruito per i Cent.) poi Centurione, poi Pallavicini, Raggi, Podestà, Bruzzo) che ebbe litigio e vertenza legale (1625) con lo Strozzi, e questo è vero ed accertato. Però anche lui scrive che Luigi era proprietario anche a SPd’A (“lavorò per Luigi Centurione nella villa di Sampierdarena”), il che confermerebbe vera la tesi di Roncagliolo.

   Filippo, nel suo testamento del 1643 (ove raccomanda la sua anima a s.Teresa ed al  

    beato Salvatore, suoi oprotettori, dopo aver ricordato i miglioramenti ed ampliamenti effettuati

    dal fratello  Battista), lascia il palazzo al primogenito Agapito.

 

Bernardo Strozzi, detto il Cappuccino: nato a Genova nel 1582  (1581?)

da Pietro e da Ventura (forse nel sestiere del Molo, ma il registro di quegli anni nella chiesa di s.Marco non c’è); aveva una sorella Ginetta  che, in seconde nozze sposò Onofrio Zino – pure lui vedovo- di Framura ed al quale il pittore pagò per quattro e più anni gli alimenti per la sorella e i figli –uno, GioAntonio, avuto col primo marito Pietro Fontana e GioBattista (altrove Giuseppe) col secondo; paese nel quale comprò una casa e lavorò anche il pittore, dimorandovi.

Definito ‘spirito bizzarro’, abitava con i genitori negli orti di s.Andrea.

Solo alla morte del padre –che lo voleva letterato- inizò la prima formazione pittorica, frequentando la bottega di Cesare Corte e quella del senese Pietro Sorri (presenza accertata per gli anni 1596-8); ma intorno ai 17 anni, nel 1599, preso da esaltazione religiosa, si fece frate nel convento dei cappuccini di s. Barnaba (ma qui, ricerche negli ambienti religiosi genovesi, non danno alcuna traccia di lui).

Ebbe poi il Soprani come primo biografo, che lo definì di ‘pellegrino ingegno’o anche “il Cappuccino” perché le sue opere erano firmate ‘prè Bernardo Strozzi’; inizialmente prodotte di piccole dimensioni ma con con fertilità, soprattutto a tema religioso, (tipo il lo sposalizio di santa Caterina ed un Cristo Portacroce, oggi al museo diocesano di Chiavari e l’Apparizione della Madonna Odigitria nella chiesa di san Maurizio di Monti a Rapallo; la Madonna del Rosario nella chiesa di s.Stefano a Borzoli; e due tele ora di privati con s.Francesco in preghiera) permisero di mettere in rilievo le sue doti innate di pittore, e divennero rapidamente così interessanti, da  essere richiesto a lavorare anche fuori del convento. Era nevessario la dispensa per uscire, firmata dal Priore generale dell’Ordine che risiedeva a Voltri.

Fuori del convento però, prevalse “l’uomo d’affari” = acquista, affitta e subaffitta (al pittore Goffredo Waals, una casa da lui avuta in affitto da Lodisio (=Luigi) Centurione) e vende case e terreni; presta e si fa prestare soldi; raccoglie commissioni che non sempre riesce ad onorare. Questo fervore artistico, caro gli costò. Perché fu accusato di non tornare in convento come e quando era stato pattuito (ad un primo rinvio –1601-  era arrivato avendo  dimostrato di star facendo un ritratto ad un suo vecchio confratello –forse il priore stesso- nel convento di Voltri).

Ottenuta di nuovo negli anni 1608-9 la dispensa ad uscire, inizialmente motivata ‘per sovvenire alle necessità della madre Ventura e della sorella’, il frate pittore poté culturalmente aprirsi a maggiori esperienze  (entrando in contatto con le varie correnti artistiche che in quei tempi influenzavano l’arte pittorica in maniera sempre più evoluta, specie di scuola toscana, lombarda e dal Caravaggio. Quando fuori convento, viveva e produceva ampiamente stando in zona Campi in una casetta di famiglia). Poté anche impegnarsi con diversi committenti (che però lui avrebbe dovuto abbandonare quando nel 1630 la madre morì e avrebbe dovuto rientare in convento. Allora, le regole di esclaustrazione erano governate da leggi papali severissime ed intransigenti per chi aveva preso i voti: si concedevano solo per motivi gravi e per pochi mesi). Così, ancora più rigide erano le regole della sua Comunità, nella quale alti erano i poteri  che aveva per farle rispettare, compreso la carcerazione).

Ne usufruì però anche per  investire le somme acquisite -contro le regole francescane- (che gli permisero impiegarle in una intensa attività di compra e vendita di immobili: comprando terreni a Framura, per darli in affitto ma con possibilità di riscatto alla stessa cifra dell’acquisto, oppure li dava in prestito a basso tasso di interesse (4%); oppure affittando case come al collega tedesco-fiammingo Waals; oppure poi –1632- donando una casa  “sita nella crosa del Colle” alla sorella, e da lei ceduta ad un rev. Cristoforo DellaNoce fu Pantaleone al quale ella doveva 450 lire per il fitto di una casa –dove forse lui aveva uno studio- posta in “via Nova, vulgo delle Fontane”).

 Fu produzione del 2° decennio del 600 un s.Cecilia ora a Kansas City; una s.Caterina d’Alessandria ora a Hartford; e del 1615 che ebbe la commissione dai Centurione per la villa sampierdarenese e per altra genovese dove gli impegni gli impedirono di rispettare i tempi cosicché compare una protesta di un Luigi Centurione comprendente anche la somma pattuita (lire mille) ormai superata di oltre 570 altre lire. Impegnato era anche con GioStefano Doria a cui affrescò la volta con il trionfo di David; e con il collezionista GioCarlo Doria al quale nel 1622 affrescò una cappella nella chiesa di s.Domenico.

Fu accusato di lavorare per lucro; di dipingere temi non consoni alla sua dignità sacerdotale. Inutilmente tentò varie strade, sia con domande di ritardare il rientro all’osservanza claustrale; sia  facendo domanda di cambiare ordine religioso cercando di ‘trasferirsi’ tra i  Canonici Regolari Lateranensi (ma la regola papale stigmatiuzzava che un passaggio era possiile solo scegliendo una congregazione con regole più severe della precedente); sia, 1632, prospettando l’ipotesi di dover assistere il nipote (Ginetta aveva avuto due figli: il primo, GioAntonio, dal primo marito Fontana,  un pò scavezzacollo perché fuggito di casa e scomparso senza più dare notizie di sé; un secondo, Giuseppe, nato da seconde nozze con Onofrio Zino, divenuto non vedente e –per tale handicap- affidato per via testamentaria dalla sorella al frate con l’obbligo dell’assistenza (e quindi con la necessità che fosse licenziato dalla obbedienza ai Cappuccini); questo tentativo fallì perché dal Consiglio  Provinciale dell’Ordine –composto da un padre provinciale e due definitori o consiglieri- non gli fu concesso spretarsi (ed il ragazo cieco passò all’assistenza del terzo marito della sorella -ambedue procuratori dei suoi affari-, il pittore Giuseppe Catto, allievo dello Strozzi assieme a GiovanniFrancesco Cassana che invece lo seguirà a Venezia). 

Morta la madre e sposata la sorella, con mille altri pretesti, cercò scusanti per non rientrare in convento (essere ammalato; domanda di dispensa papale; visite ad infermi). Le reiterate minacce di punizione, alimentate da invidiose insinuazioni dell’ambiente artistico,  si concretizzarono con la presa di posizione del Vicario Generale della Diocesi, Alessandro Sperelli  il quale il 25 agosto 1630 emise un mandato di cattura e di arresto, da scontarsi nel carcere del convento (gli atti del processo, all’archivio diocesano non ci sono più). Così, tra altre suppliche ed altre concessione di pochi mesi di proroga, visse libero ma quasi segregato per tre anni nel monastero di s.Barnaba, finché abilmente riuscì a fuggire all’estero, imbarcandosi per Venezia (non ci sono prove scritte; lo storico L.Alfonso presume che sia scappato prima di essere preso; comunque è chiaro che Bernardo subì salatissima multa perché si era cacciato in un gravissimo guaio di competenze  fra autorità civili ed ecclesiastiche quando ciascuna delle due aveva proprie prigioni, competenze ed armati; altri valuta più probabile un provvedimento ‘dall’alto’, addirittura del Nunzio Apostolico, visto l’arrivo in laguna munito di valide commendatizie ed il titolo di monsignore. La non conoscenza precisa dei fatti, ha dato modo di romanzare la fuga e le motivazioni che la determinarono).

In Venezia, per quindi ulteriori anni, conosciuto come ‘il prete genovese’ diede sfogo a nuova vena creativa, fondando anche una florida scuola nella quale lavorò proficuamente (opere quali Allegoria delle arti nella biblioteca Marciana da interpretare come inno alla libertà; nonché il capolavoro de la Parabola dell’invitato a nozze –nella chiesa dell’ospedale degli Incurabili; un s.Sebastiano curato dalle pie donne nella chiesa dei s.Benedetto e Scolastica ; una Vanitas (ora a Mosca) e numerosi ritratti.

Fino alla morte il 3 agosto 1644;  fu sepolto in santa Fosca: “pictorum splendor – Liguriae decus – hic iacet”,  lasciando eredi la sorella Ginetta (e dopo la di lei morte, al nipote Giuseppe, ai quali lascia “quella poca facoltà che Dio gli ha concessa”) ed il signor Pievano di S.Fosca (quale depositario delle sue “robbe”).

Sue opere sono conservate nei musei italiani e di Amsterdam, Belgrado, Berlino, Chicago, Londra, Mosca, New York, Parigi, SanPietroburgo, Vienna, Zurigo.

  

  Nel 1757 appare proprietà di un altro mag.co Filippo Centurione (vedi carta in Stringa-pag.97).  

   Nell’800, subì dei restauri sulla fronte a mare; fu rifatta l’ala ed il torrione, posti al lato est  a  delimitazione del parco antistante ridimensionato dalla strada a mare e poi dalla ferrovia.

   Negli anni 1820-50, il parroco della Cella in un suo ‘stato delle anime’ del borgo, chiama la villa ‘casa detta la Torre dal Mercato’.

   Nel 1859 era passata alla famiglia Tubino; di questa famiglia, GioBatta - avvocato e poeta- divenne anche sindaco della neonata città; probabile che fu lui l’occupante.

   Nel 1875 infine divenne proprietà di GB.Carpaneto (all’inizio del 1900, era ubicata in via Milite Ignoto).

La famiglia Carpaneto  probabilmente ha origine dall’oltregiogo (esiste un paese dal nome Carpaneto Piacentino  di circa 6mila abitanti, con nulla di storico-artistico).

Lo stemma nobiliare – riprodotto nell’affresco del salone (vedi sotto alla descrzione degli interni)– fa pensare ad una origine nobiliare, di rampollo venuto in città per utilizzare al meglio le proprie risorse. Vede un albero (probabilmente un carpino: pianta d’alto fusto, delle betullacee nei boschi cedui, che resiste bene al freddo ed alle potature ed il cui legno è ottimo combustibile) affiancato da un leone rampante (il leone è rappresentato anche sulla balaustra al caposcala del piano nobile).

Da allora la villa è stata occupata da questa famiglia.

Il personaggio GB lo troviamo anche come titolare di una strada sampierdarenese (ved. Le prime titolazioni comunali, risalgono all’anno di inizio secolo 1900; prima di allora le strade assumevano il nome di quello che c’era in essa di maggiore rappresentatività; e dopo tale data a molte furono confermate seguendo l’uso popolare (via s.Antonio, vico Raffetto, via R.Parodi, ecc)). 

Non si rammenta nè si hanno documentazioni che GB abbia acquisito particolari benemerenze a livello sociale o cittadino; quindi la titolazione stradale fu ovvia conseguenza della sua presenza e proprietà di vasti magazzini-doks, localizzati - sia alla Coscia che nella zona attualmente di via Avio-Molteni. Per iniziare tale impresa appare ovvio che fosse gà ricco di famiglia – ed lo stemma nobiliare lo giustificherebbe; ma fu anche un abile imprenditore, dimostrando essere capace di ampliare la fortuna iniziale con due fiorenti depositi merci. 

Ultima ad abitarci – con servitù – sino al decesso avvenuto nel 1972 fu la penultima erede della famiglia. Dopo essa la casa rimase vuota perché l’ultima erede, sposata con l’avvocato torinese Mazzuchetti è andata a vivere nel capoluogo piemontese (e là risiede ancora nel 2011).

Per il Pagano/1925, era civ.4 di via N.Bixio e si scrive fu abitazione in affitto dell’ing. comm. sen. Eugenio Broccardi (vedi a via CRolando).

   Dal 1934 il palazzo è vincolato e tutelato dalla Soprintendenza per i beni architettonici della Liguria

   Nel 1937, per completare via A.Cantore, avvenne una transazione amichevole tra Comune e proprietari privati - eredi Carpaneto -: il primo espropria il giardino e fa demolire la stretta ala a levante del palazzo, pagando la cifra dei danni; gli altri provvedono ad erigere il porticato  eretto con pietre di Finale, sarà addossato lungo la facciata sud della villa, per restare in coerenza con i portici di via A.Cantore; il terrazzo verrà annesso all’appartamento del piano nobile e sarà  piastrellato alla veneziana; restaurano la facciata con una veste neo classicheggiante, tipica del primo novecento, ed il  fastigio al sommo; avranno conservato il corpo di fabbrica ad est della villa, lungo il quale dovrà essere prolungato il porticato.

   Durante l’ultimo conflitto, la zona della stazione fu ripetutamente bombardata; ma per fortuna nessuna bomba andò a ledere gli edifici circostanti  Attualmente è in comproprietà dei sigg. Mazzuchetti e Bussolati di Torino.

Nel 1985 fu primo l’orefice Salvemini a comperare l’ala a piano terra di sua occupazione.

Nel 1992 il piano nobile fu dato in affitto alla scuola materna statale, fino al 1996 circa (dopo che i proprietari avevano ingiunto lo sfratto), la quale era stata  intitolata al poeta dialettale Nicolò Bacigalupo.      

Nel maggio 1998, un’ingiunzione municipale, obbligò i proprietari a restaurare il tetto e le strutture esterne che perdevano calcinacci. Questo fu l’imput in seguito al quale dopo qualche anno l’edificio fu sottoposto a completa ristrutturazione esterna, ma in particolare nei vani cosìdetti della servitù,m ovvero le parti alte, col fine di frazionarne la superficie per due appartamenti e poterli vendere separatamente, compresa la torre. E così avvenne.   

Nel 2002 si completò la vendita a privati della parte superiore del palazzo (la cosiddetta zona della servitù e la torre); mentre le sale del piano nobile, ancora nel 2006, nello stato di abbandono, con persiane più o meno pericolanti, invasione di piccioni dai vetri infranti, ecc. Questi vani rimasti invenduti – sono però vendibili, dopo che sono diventati proprietà di una società milanese: le difficoltà di sfruttamento sono enormi e pressoché irrisolvibili se non intervengono le autorità ad agevolare un utilizzo o una buona dose di fortuna: non solo per il prezzo base imposto, che non conosciamo, ma anche l’assenza di posteggio auto; l’obbligo di messa in regola CEE; vie di entrata e fuga limitate, strette e senza ascensore; riscaldamento di così ampi vani; assenza di servizi (le cucine erano al piano superiore e sono state vendute).

Si dice che il lampadario del salone principale sia stato imprestato al Teatro Modena e mai più restituito (molto probabilmente distrutto).

 

 

 

   

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2) Struttura della villa = 2a) esterno

Al piano terra ospita tre principali attività commerciali; di esse la piùà importante è:

===civ. 34r-36r l’entrata (le vetrine dal 26r al 32r sono sotto il porticato sino al portone della villa; altre sono in via C.Rolando) dell’oreficeria Salvemini  aperta con ampie vetrine sotto i portici e nell’angolo del sottopasso in piazza (le volta del negozio a vela e nicchie,  sono maestralmente affrescate con riquadri e decorazione a grottesche originali del periodo della ristrutturazione rinascimentale, ben conservate e protette dalla Soprintendenza; il pavimento è in legno d’ulivo; banconi, cassettiere, credenze e vetrine sono conservate d’epoca. Il negozio è catalogato bottega storica). Il capostipite venne a Genova nell’ anno 1885 da Molfetta (laddove i familiari  possedevano una flottiglia di pescherecci) quando il futuro orafo Raffaele Salvemini era ancora  neonato: questi a dieci anni andò a scuola da un orologiaio di piazza Ponticello, divenendo rapidamente un valido artigiano. Viene conservato il suo banco di lavoro con piano, vetrina e cassetti. Morì nel 1961 ed il negozio che aveva aperto, divenuto progressivamente gioielleria  specie di argenti -anche lavorati in proprio- e di  ceramica la più pregiata in campo internazionale fu rilevato da Vito, uno dei tre figli (con Giuseppe ed Angela). La terza generazione, composta dalle figlie Rossella, Marina e Simona, prosegue la tradizionale esposizione dell’oggetto basato soprattutto sul buon gusto –compresi i personali piatti di ceramica di Copenhagen con le immagini dei comuni liguri della quali la prima proprio la villa  Carpaneto del primo 1900-. Nel 2006 ha ricevuto l’alta onoreficenza avendo superato i cento anni di professione. Vengono conservati oggetti originari della propria epoca come un orologio in bronzo con ‘san Giorgio ed il drago’, un altro con mensola decorata con motivi floreali, due pendole a muro a mercurio, un’altra con mobile della Selvanera e due pendole in legno art decò.

 

   Sul retro (laddove il perimetro della villa volge un cambio direzionale, come in adeguamento all’asse viario -apparendo una prua sporgente avanzata-) si apre l’ingresso attuale della  torre cinquecentesca, che spicca maestosa sulla costruzione, aggiustata e ridipinta negli anni 2002-3 dopo essere stata venduta a privati (assieme al piano alto ex della servitù, ai Mantero pasticceri in via A.Cantore). Apparendo appunto cinquecentesca -e la villa invece del secolo dopo-, si avvalora l’ipotesi della sovrapposizione della struttura attuale ad una precedente più fortificata; dalla sommità della torre, appaiono le botole esterne per uso difesa in caso di assedio

 

                 

 

2b)  interno

il portale, a sud, circondato da  pietre bozzute e bugnate, appare ancora ben conservato; nulla di maestoso per una villa e –stranamente- piuttosto stretto.

Introduce in un ingresso anche lui piuttosto ed altrettanto stranamente angusto (a meno che non sia stato modificato da ristrutturazioni posteriori),

 

   soffitto scala

per raggiungere presto la scala altrettanto stretta ma così originale essendo decorata sul soffitto;  porta al piano nobile che raggiunge,  delimitata dalla balaustra marmorea


Al sommo della scala, un capitello in marmo completa la balaustra che delimita la sala dalla scala; ha le caratteristiche stilistiche antecedenti alla villa e quindi presumibilmente appartenente alla precedenti strutture (è stato oggetto di tentato furto, ma abbandonato distaccato, forse per l’eccessivo peso non previsto).

 

 

il leone qui riprodotto è parte

dello scudo dei Carpaneto


 

          


   Al piano nobile La stanza di arrivo salendo le scale, corrisponde probabilmente alla antica loggia, aperta a levante e mare; tamponata nei secoli successivi. Il vano ha volte a crociera e arcature su lesene doriche  ed il soffitto riccamente decorato con riquadri e tondi a colori vivaci presumibilmente relativi al riordino dell’800.

Ai fornici della loggia corrispondono oggi ampi finestroni (esternamente con balaustrini in marmo e decorazioni a stucco) o tamponature. Caratterizzano i saloni interni, le porte comunicanti, alcune decorate di marmo nero altre con stucchi.

    

 

                  

   A ponente della loggia, si apre il salone. Poiché nessuno spiega perché lo Strozzi non lo abbia decorato lui, ci lanciamo in una spiegazione analogica: lui iniziò da ponente con le tre stanze più piccole laterali, con l’intenzione di finire col salone: cosa che non avvenne per le difficoltà intercorse raccontate sopra nella vita dello Strozzi; cosicché il salone rimasto nudo, infine fu decorato dal De Lorenzi quando la proprietà non era più dei Centurione, dimostrato dallo stemma del leone rampante dei Carpaneto.  Quindi, più tardiva l’opera di De Lorenzi  (dai più, non si specifica il nome – forse proprio perché  non si sa - se Lorenzo o Achille – vedi sopra alla villa Centurione di piazza del Monastero)  che dipinse la volta del salone, disegnata a vasto sfondato architettonico, con le immagini di un altissimo porticato che offre l’impressione di alzare ulteriormente il soffitto.

   

 

 

 

Altri tre salotti furono invece antecemente decorati, rispettivamente con tre affreschi diversi nel soffitto, su ordinazione di Filippo Centurione, da Bernardo Strozzi

 Vedi sopra, la sua biografia.   Grande produttore di tele, i nostri tre soffitti rimangono - dopo la distruzione della chiesa di san Domenico ed il grave ed illeggibile deperimento -e sottrazione alla vista da una controsoffittatura- in palazzo Branca Doria, allora abitazione di Gio:Stefano Doria – in piazza s.Matteo, Genova- l’unica - quale completa - testimonianza attuale dell’attività affrescante dell’artista.

Recentemente Poleggi scrive per la villa Lomellino oggi in via Garibaldi, 7 (poi dei Centurione): «Infine recenti i brani di affreschi quasi certamente di Bernardo Strozzi, impegnato nel palazzo di villa a san Pier d’Arena, e affittuario di una casa del committente Centurione collocata in un isolato vicino».

Nel 2000 Marcenaro riferisce che due studiosi tedeschi, guidati da documenti del 1623 che certificano di tre stanze lavorate  “nell’appartamento da bassosopra al portico”,  hanno trovato tracce visibili agli infrarossi: in una stanza, di una ‘Giustizia’, ovvero di una donna seduta con spada; in altra stanza di un volto di donna-una mano con calice-un putto biondo; in una terza di  alcune figure nelle lunette. Dovettero  non piacere al proprietario che gliele fece rifare più volte ed infine non vennero completate dal frate, facendo nascere nel nov.1625 una vertenza legale che –per sua supplica- riconosceva «...non potendo stare in lite dove il m.co sig.r Luiggi pretende tirarlo, stante che non ha forze di poter resistere a un paro suo essendo esso povero....». Però scrive che il committente, sia per SPd’A che per Genova,  fu un Luigi Centurione (negli atti è chiamato Lodisio Cent.no), ed il frate lo chiama ‘capuccino’ in italiano –Zingarelli- non corretto).

Nel aprile 2004 Simonetta Ronco sul Secolo XIX attribuisce alla studiosa  statunitense Mary Newcombe Schleier l’intuizione degli affreschi dello Strozzi in palazzo Lomellino ma a quel tempo di prorpietà di Luigi Centurione; assieme all’arch. Merlano fu compiuto un ‘assaggio’ al primo piano.

‘Prevalgono le tinte chiare, come bagnate da luce cristallina’ e non con prevalenza del chiaroscuro  piuttosto accentuato, come dovevano essere gli affreschi di san Donato: l’amicizia e la frequentazione dell’Ansaldo, ambedue allievi dell’Accademia del disegno istituita nella propria dimora da GioCarlo Doria, sembrano poter essersi influenzati reciprocamente nello stile dell’organizzazione dello spazio e nella tipologia di alcune figure.

Come d’uso a quei tempi, si leggono interpretazioni simboliche, dettate dal committente, di esempi di abnegazione dove il “dovere” prevale sulle passioni emotive- sino anche al sacrificio dell’amore (Enea e Didone) e della vita (Orazio Coclite e Curzio Rufo)-. Non si è sicuri, e controversa, la datazione dei nostri dipinti: alcuni critici mirano agli anni  tra il 1624-5; altri anticipano al 1617 e, -Gavazza, Terminiello ed altri al periodo 1613-15, sulla base di svariate considerazioni stilistiche, basate  sugli accostamenti dei colori -giudicati assai vivaci, molto contrastanti, quasi asprigni-, e sui caratteristici chiaroscuri periferici che esaltano con una luminosità centrale intensa  e diffusa le immagini centrali degli eroi. Questi affreschi, sono contornati da grottesche cinquecentesche e da lunette, illustranti paesaggi di cittadine liguri vicine al borgo (altri scrive ‘di ispirazione nordica’, opere di Lorenzini (E.Sonzogno cita un Antonio bolognese, 1665-1740; ed un Lorenzo di Forlì del secolo XVIII); e da grottesche capaci con le loro leggiadre sfumature di evidenziare maggiormente il riquadro stesso.  La critica è concorde nel dare a questi affreschi una importanza considerevole nell’evoluzione stilistica sia dello Strozzi (trapasso dalla fase genovese al “settecento veneto”), sia di tutta la pittura ligure.

 

Rappresentano :

                                           

panoramica de “Enea e Didone nell’antro”,                  particolare al centro del soffitto

 


 

nella prima sala laterale, più a occidente,

 

Orazio Coclite che in lotta contro gli etruschi , difende il ponte Sublicio” (il bozzetto è conservato a Londra dalla collezione Denis Mahon);


   

 


 

 


 

nella sala più orientale,

Curzio Rufo, cavaliere romanoil quale vedendo le matrone romane gettare inutilmente i loro monili nella voragine, sperando di così chiuderla, vi si precipita col cavallo.

Da notare i costumi ed i monili sfarzosi delle dame


 

 

 

  

 

 

Un quarto salotto, quadrato, fu decorato da Domenico Fiasella  (detto “il Sarzana”) è l’ “allegoria della Fama”; che -volando oltre una balaustra- richiama agli antichi valori rappresentati da quattro nicchie con altrettanto ritratti di avi di famiglia, purtroppo anonimi e quindi di impossibile

attribuzione.  

 

  

 

Ultimo salotto comprende un affresco in buona parte rovinato dall’umidità con raffigurate figure mitologiche

 

 

 

 

Il giardino, nel seicento era molto vasto, esteso solo verso sud, ed arrivava direttamente sino al mare ricco di oltre 500 piante, molte di esse esotiche;  un lungo viale centrale portava dalla casa al  giardino e poi alle aree coltivate ad orto, vigneto,frutteto e boschetti.

   Nella metà del ‘700, si aprì una nuova strada (via San Pier d’Arena-Pacinotti) per iniziativa del nobile G.B.Cambiaso; nella metà del 1800 l’apertura della ferrovia determino gli espropri anche per l’affiancato asse di via Vittorio Emanuele (inizialmente detta “strada reale per Torino”: via Buranello-Reti-Fillak-oltre): tutto questo gradatamente stravolse l’idilliaco giardino, tagliato dapprima al mare, indi a metà e invaso da una edilizia ossessiva nel periodo a cavallo 1800-1900, per cui rimase conservato solo il triangolino antistante la villa. Come già detto, l’apertura di via A. Cantore determinò la separazione definitiva dalla villa, relegando l’ampio spazio a banali aiuole, con belle  magnolie, oggi un po' vecchie e sofferenti, intossicate dai gas di scarico dei veicoli e dallo sterco acido dei piccioni.

 

DEDICATA al ricco e munifico mecenate, amministratore comunale, figlio di G.B.,   nato a San Pier d’Arena nel 1825.

La sua famiglia nel 1908 gestiva un negozio o/e grossista di olio d’oliva (e forse saponificio; sono citati  in quell’anno un Montano Antonio e Figlio  ubicati in via C.Colombo al civ. 14; ed un Montano Nicolò fu GB nella stessa via al civ.19), e nella quale attività fu avviato, per continuarne la professione.

Non so se è di questa famiglia la proprietà che compare in alcune mappe (vedi ‘il don Bosco-pag.57) del 1890, intestata a Montano; con strada -corrispondente a via Ardoino- chiamata ‘passo Montano-Negrotto; posizionati all’apice est-nord-est rispetto la proprietà dei salesiani. Che nel 1905 diverrà proprietà Moro, e 1906 vedova Moro.  

Nel 1841 lo leggiamo studente presso gli Scolopi genovesi, compagno di scuola di Goffredo Mameli e Lazzaro Romairone e con loro vincitore: nei ‘saggi letterari di comporre’ di Rettorica (gli studenti scrivevano prosa o poesia, latina o italiana, di argomenti storici, sottoponendosi poi a domande ed obbiezioni); nello stesso anno compose e lesse un sonetto sul concetto ‘ultima e prima’ durante un trattenimento accademico; lesse pagine delle Sacre Storie in latino, traducendo e dandone spiegazione, in un saggio semipubblico; ottenendo ‘honesta mentione digni ‘ nella gara di grammatica).

Probabilmente fu lui che ampliò l’attività del padre, divenendo uno dei piccoli uomini d’affari-industriali del sapone, nella cui fabbrica lavorarono numerose persone.

Citato (come “Niccolò) nello statuto del 1857 del teatro Modena -stilato nel ridotto del teatro per la suddivisione dei palchi tra i “soci-palchettisti” - (nella sua qualità di sostituto causistico e proprietario, nonché come procuratore del negoziante Sebastiano Dallorso).

Nominato cavaliere, e nel 1865 –al conferimento del titolo di città- fu sindaco di San Pier d’Arena (sicuramente dal 1865 al 1872; fu poi sostituito da L.Balleydier); membro del consiglio provinciale nel 1869 eletto nel mandamento di Rivarolo; presidente e benefattore dell’ospedale civile (è del 12 gen.1875 un suo invito ai concittadini perché si facesse appello alla loro beneficenza pro ospedale; era ovvio che la sovvenzione annua destinata dal Municipio -seppur munifica e di alto valore morale- non era sufficiente, ed occorreva ricorrere a sottoscrizioni, doni o promozioni: venne organizzata una ricca fiera a Belvedere che porterà un utile di lire 12.760,81; ed è del mag.1881 la donazione personale di mille lire per onorare la memoria della moglie),  e dell’opera di don Bosco (fu padrino d’onore-e la moglie madrina- del primo battesimo amministrato nella rinata chiesa di san Gaetano).

    A sue private spese, aprì un asilo  e partecipò all’apertura dell’ospedale stesso nella villa Doria-Masnata, allora aperta in via NDaste, oggi in via Cantore

   Alla sua morte nel 1882, i familiari il 13 ott donarono. all’ospedale  mille lire.

   Il cognome e casata Montano ha origine storica legata alla provenienza nel 1400: dei montanari dell’entroterra cittadino. Appaiono già attivi in Genova, come firmatari di un documento datato 25 dicembre 1173, originari nella zona di Quarto.

Furono stabilmente presenti in Genova dal 1300 in poi (vengono ricordati tra i componenti un comandante di galera, ed un membro del Collegio degli Anziani).

Nel 1528, la famiglia viene ascritta all’Albergo dei DeMarini. Avevano un’arma d’argento, un leone rosso tenente una lancia nera bandierata d’argento con croce rossa.

 

BIBLIOGRAFIA

non citato da Encicl. Sonzogno + Encicl. Motta + Paolo Novella+

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-Archivio parrocchiale della Cella – anno 1820-50

-Archivio Storico Comunale - Toponomastica scheda 2870

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MONTANO                                 sottopassaggio  Montano

 

 

TARGA: c’è apposto lo spazio all’entrata a monte, ma non è ancora mai stata affissa.

 

 

 

CODICE INFORMATICO DELLA STRADA - n°:   39950

UNITÁ URBANISTICA : 26 - SAMPIERDARENA

STRUTTURA:   senza alcuna targa, rimane sottostante la piazza omonima,  e collega  i due estremi mare-monte di via A.Cantore al suo finire nella piazza.

   

STORIA: aperto nel dopoguerra, fu corredato di alcuni negozi. Venne definito ‘il cordone ombellicale’ della delegazione in quanto collega la parte a mare con quella a monte nel punto centrale e nevralgico cittadino; come tale è punto di riferimento per appuntamenti, studenti in attesa di amici, attivisti per propagandare le idee, ‘vu comprà’ privilegiati al riparo dalla pioggia.

    È del 20 apr.1962 la delibera dell’appalto conferito dal Comune alla ditta Mazzucchelli Natalio di via Luccoli 32, affinché con l’importo di 2 milioni costruisse il sottopassaggio pedonale.

   Il 3 settembre 1964 il Consiglio comunale deliberò chiamare il j col semplice cognome del sindaco sampierdarenese; e l’anno dopo nel maggio 1965 fu variata la numerazione rossa.

 

dopo allagamento 1970 

Non solo nel 1970, durante l’alluvione che colpì la città, rimase completamente sommerso. Ripristinato, ad ogni acquazzone un po’ più violento, è soggetto a mi naccia di riempirsi inesorabilmente.

   Gli orti, i prati, le brughiere dxelle colline erano capaci di assorbire molta dell’acqua piovana e ne rallentavano il defluire in basso incanalandola nei ruscelletti  naturali (nella zona, i più grossi furono lungo via GB Monti e corso Martinetti-via N.Ronco-via Farini). Gli allagamenti sono frutto della eccessiva copertura  con tetti di abitazione e dell’asfaltatura delle strade  (ancora nel 1920, il 60% delle strade era in terra battuta ed il restante era lastricato, ma sempre in modo che l’acqua piovana sempre potesse in buona parte essere assorbita tra le fessure); l’asfalto ha favorito il transito veicolare ed eliminato il fango, ma  il terreno non assorbe più, ed una goccia caduta a Belvedere arriva pari pari sino in basso accumulandosi fino all’alluvione.

  

Nel 1989 raggiunse in pochi anni un buon stato di degrado per abbandono di manutenzione, vandalismi con scritte murali, allagamenti ad ogni pioggia più abbondante, cancella e scale rovinate: il cantiere di ristrutturazione fu messo in atto nel  1989 (rifatte le scale, corrimano e cancelli; piastrellato il pavimento; ristrutturato l’impianto idrico di scarico ed elettrico); nel 1993 le pareti erano però ancora lordate da innumerevoli e pressoché nessuna piacevole scritte: fu completato nell’inverno  1995 con l’arredamento di “murales” , disegnati dagli allievi della scuola  liceo artistico ‘Barabino’ seguendo il progetto ‘ColoriAmo’ messo in atto anche da altri licei in altre sedi, e poeticamente intitolato ‘sogno ed identità’.

           

foto Gazzettino Sampierdarenese

             

Causa i soliti scemi che sovrappongono scritte e stupidità varie, nel 2005 è stato completamente riverniciato di bianco, cancellando tutti i precedenti disegni. Naturalmente le scritte sono ricomparse essendo la pianta maligna della insulsaggine resistente e duratura, anche se cambiano le generazioni.

 

CIVICI

2007= nessuno nero; i ROSSI, proseguendo la numerazione della piazza, vanno da 27r al 39r

Sul lato a levante esistono alcuni box per commercianti.

Molti “Vu comprà” si assidono invece per terra, sul lato ponente, senza creare problemi al via vai della gente, anchge se dopo una certa ora il passaggio non è più costantemente usato da ambulanti e diventa passibile di sfuggire al controllo del degrado progressivo e della sicurezza: cosicché infatti viene chiuso alla sera.

 

BIBLIOGRAFIA

-Archivio Storico Comunale - Toponomastica   scheda  2871

-Gazzettino Sampierdarenese    4/77.7  +  8/81.5  +  1/83.4  +  4/89.7  +  6/89.11+  7/89.4 + 5/93.5 + 1/94.7 + 1/96.15 + 4/96.8 + 01/03.3 + 02/03.3

-Genova- rivista del Comune- 7/62.39
MONTEBELLO                                via Montebello

 

   Corrisponde all’attuale via A.Stennio.

    Nella strada, non so se già titolata, si descrive esserci stato nell’ott.1895, uno “stabilimento centrale” di proprietà della Compagnia  Generale Francese, conduttrice delle linee tranviarie cittadine: consisteva in una proprietà di 8mila mq. (compresa tra un tracciato carrettabile senza nome che diverrà via Montebello, via Vittorio Emanuele-su cui si apriva-(via P.Reti), e un’altra proprietà a nord (di Roncallo, Storace & C.)),  cintata da muro, e contenente  cortili, tettoie, scuderie, magazzini e fabbricati ad uso uffici ed abitazione del direttore ed impiegati .

Tale proprietà fu poi acquisita dall’ UITE. 

In quegli anni la strada era abitata solo: dai fratelli Chiesa al civ. 1 e dai fratelli Avogadro al civ.2:

   Nel dic. 1900, decidendo dare un nome a tutte le strade, fu proposto dare ufficialmente questa denominazione a questo tratto già esistente sino a via A.Saffi ed anche  al tratto  neoformato in prolungazione a levante  (attuale via C.Rota).

   Nel 1901, un’impresa cittadina vi affisse la prima targa marmorea col nome, agli angoli  di incrocio.

   Nel Pagano 1902 troviamo: civ.1 f.lli. Avogadro *°¡ con la fabbr, di casse di legno e segheria a vapore (da distinguere da quelle idrauliche, ovviamente nessuna elettrica ancora);--- la soc. per le conserve alimentari f.lli Tardito e C.  tel 661 ( senza precisare il n°, ma nel ’33 sarà al civ.3, di v.A.Saffi, ed anche meccanici e litografici per illustrare le casse e latte delle conserve).

   Nel 1906 fu proposto cambiare il nome del tratto superiore , tra via A.Saffi e la proprietà Cristofoli ,  dedicandolo a Carlo Rota; così la via Montebello rimase da via Umberto I  a via A.Saffi, con i civv. Sino al 7.

   Nel Pagano/1908, 1912, 1919, 1920-1, 1925  sono descritti esserci stati: al civ. 1 la segheria e f.lli Tardito e C. (vedi sopra); e l’impresario edile Puppo GB (casa propria ancora nel 1925).

    Nel 1926, unendo SPd’Arena nella grande Genova, la titolazione dovette lasciare il posto al quella posta nel Centro.

   Ma ancora  nel 1933 era presente, ed andava da via Milite Ignoto a via A.Saffi (però con civici sino al 9,  e di 4.a categoria); al civ. 2 (vicino al deposito tramway) Gotti Lisandro aveva il negozio di macchine per cucire; al 5 c’era un garage chiamato ‘Autorimessa Moderna’ gestito da Salvoni e Fertonani; non specificato dove la ‘Soc. per le Conserve alimentari già Fratelli Tardito e C., con sede anche in via Saffi al civ.3.                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                        Divenne via A.Stennio per decisione del podestà, nella delibera del 19 ago. 1935.

 

DEDICATA  alla battaglia avvenuta nel territorio dell’oltrePo pavese, il 20 maggio 1859 durante la seconda guerra di Indipendenza, in cui restarono uccisi duemila soldati (di essi, ben 1300 austriaci, ovvero lombardi e veneti; tra le vittime piemontesi, il nipote del medico Onofrio Scassi, chiamato come il nonno, ufficiale di cavalleria;  morì da eroe e fu fregiato di medaglia d’argento al V.Militare).

  La cavalleria piemontese (reggimenti d’Aosta, Novara e Monferrato) guidata dal gen. Maurizio De Sonnaz, e la fanteria francese, comandata dal gen. Forey, si distinsero in particolare tra gli italo-francesi nel rimandare al di là del Po, le più numerose truppe austriache (due divisioni), guidate dal mar.llo Gyulai (ES dice gen. Stadion), inviate al di qua del Po per motivi tattici.

   La zona già era stata teatro di scontri: il 19 giu.1172 della Lega Lombarda, vincitrice contro il marchese del Monferrato seguace del Barbarossa; e il 9 giu.1800 quando i francesi, comandati da Massena e Suchet, inviarono il gen. Lennes (che così acquisì il titolo di “duca di Montebello”) a  vincere contro l’avanguardia austriaca comandata dal gen. Melas.

Attualmente il paese, nel pavese vicino a Voghera, si chiama “Montebello della Battaglia”; ospita un monumento ossario ai caduti del 1859.

 

BIBLIOGRAFIA

 -Archivio Storico Comunale Toponomastica - scheda 2879

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-DeLandolina GC.- Sampierdarena-Rinacenza .1922-pag. 49

-Enciclopedia Motta

-Enciclopedia Sonzogno

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-Pescio A.-I nomi delle strade di Genova-Forni.1986-pag.234
MONTE CORNO                              via Monte Corno

 

 

   Precedente nome dell’attuale via R.Pieragostini, corrispondente al tratto da via E.Jursé al Ponte di Cornigliano

      Vi si aprivano a monte lo zuccherificio Eridania (vedi a via -); ed a mare la soc. anonima Molini Alta Italia (o Esercizio Molini: era un grosso caseggiato eretto nel 1905 in cemento armato, composto da due fabbricati affiancati dei quali, uno, il molino vero e proprio; l’altro il silo dove depositare il grano e le farine. L’opificio era ancora presente alla fine della decade del 1960). I due grossi stabilimenti determinavano già da allora una larga partecipazione di treni, autotreni ed operai.

   La dedica venne decisa il 19 ago.1935, scalzando la precedente titolazione di ‘via Cesare Battisti’; quest’ultima essendo già a Genova, venne deliberato dal podestà di allora che a San Pier d’Arena fosse rimossa; la toponomastica decise a vantaggio della montagna storicamente  collegata al patriota, rimanendo così sempre nel clima di dediche a strade per celebrazioni di eventi bellici particolari relativi alla prima guerra mondiale.

   Nel Pagano/1940  è descritta limitare via A.Pacinotti e via Cornigliano. Nei civv. neri c’era al 5/7 la levatrice comun Daneri Alice; al 7 Eridania zuccherificio; senza civico lo Scalo Merci P.V. FFSS; e Lanati E&C trasp.merci. Nei civv. rossi: 1r polliv., 5r trattoria di Riccardi Edoardo; 9r bar Motta; 11r Agenzia Autonoma Annonaria; 13r tabacchi; 15r commest., 17r trattoria Ricci V., 19r fruttiv., 21 parrucch., 23 commestib..

   Divenne via R.Pieragostini per delibera della Giunta comunale n° 72 del 5 luglio 1945.

 

DEDICATA

   La strada divenne commemorativa  della più alta vetta del complesso del Pasubio, al confine con l’Austria - posta a quota 1765 m., chiamata pure “cima di Vallarsa”, in posizione dominante la strada nazionale  che unisce Vicenza al Trentino - che fu conquistata dopo violenti scontri nel maggio 1915 subito dopo la dichiarazione di guerra;  ma sulle cui balze le battaglie si susseguirono a lungo con alterne fasi, tanto che il 10 lug.1916, durante un attacco austriaco, vi furono fatti prigionieri Cesare Battisti (vedi strada) e Fabio Filzi. Oggi la cima si chiama appunto “Corno Battisti”;   e sul punto della resa dei due redenti, all’atto di uno degli audaci tentativi italiani di conquistare la vetta,  fu posto un piccolo  cippo a memoria, fin troppo modesto a fronte dell’enorme costo –morale e di sangue-  che il sacrificio dei tanti soldati – dei due in particolare - suscitò sia nei fanti - animati dal voler conquistare definitivamente la vetta - che nella popolazione, anche in quella contraria alla guerra.

   Qualcuno ha scritto che si può considere parte della via Aurelia di ponente, senza  proporsi i grossi problemi di una strada Aurelia in città.

 a sinistra via Degola; a destra via Monte Corno; in verticale via Pacinotti; nel rettangolo “proprietà S.A. Esercizio Molini”

   Esiste una cima, dal nome perfettamente eguale nell’Appennino Centrale, e ben più alta di quella alpina essendo a quota 2914 m.  É infatti il nome del  monte più alto del Gran Sasso, detto anche Corno Grande – per distinguerlo dal Piccolo alto 2637m. - anch’esso sede di un evento storico: la liberazione di Mussolini. Il Duce era stato arrestato per ordine del re Vittorio Emanuele III  il 25 lug.1943 a villa Savoia, e trasferito isolato in un albergo sul Gran Sasso; da là fu liberato da aviatori tedeschi il 12 settembre dopo. Andò, dapprima ospite di Hitler, poi in Italia settentrionale per costituire l’effimera Repubblica Sociale Italiana (detta pure “repubblichina” perché contemporaneamente dichiarava decaduta la monarchia; oppure “di Salò”, dalla località della sua istituzione).  

 

BIBLIOGRAFIA

-Archivio Storico Comunale -  Toponomastica, scheda 2880

-AA.VV.-Stradario del Comune di Genova, 1953-pag.117.139

-Enciclopedia Motta

-Enciclopedia Sonzogno 

-Genova (La Grande) - Rivista municipale : 5/24.299  +  6/37.46.52

-Pagano/1933-pag.445 ; /40-pag.343

-Pastorino&Vigliero-Dizion. strade di Genova-Tolozzi 1985-pag.124

MONTEGALLETTO                            via Montegalletto

 

 

 

Nell’archivio parrocchiale della Cella, nel libro stilato dal Parroco negli anni 1820-50 relativo ai ‘giri di benedizione pasquale’ durante i quali stilava lo ‘stato delle anime’ cioé un vero e proprio censimento delle famiglie sampierdarenesi, compare la località o via, citata come tale quando ancora non esistevano nomi ufficiali delle strade.

Nell’elenco delle proprietà esistenti nella città, stilato dal Comune all’inizio del 1900, compare al civ. 29 (di allora) di via De Marini, l’ingresso alla proprietà “cav. Piccardo Giovanni, abitante in Montegalletto”; e poiché la sua villa era dove ora sorge il grattacielo dell’ospedale, la zona col nome interessato è compresa tra via GB Botteri e via SbdFossato; e la strada più o meno a tornanti segnava il tracciato attuale di via Bottego-via B.Piovera.

A conferma e ritroso, leggiamo su don Brizzolara che “in cima a Monte Galletto abitava il cardinale Carlo DeMarini abbate commendatario di Promontorio, e dal suo palazzo prospettava l’abbazia di san Bartolomeo del Fossato e tutta la spiaggia di San Pier d’Arena (vedi a DeMarini). Il palazzo DeMarini fu poi abbattuto, secondo don Brizzolara, “dai ‘discoli’” nel 1916 (ce l’aveva con ‘i sovversivi’ che, a pochi metri di distanza dal palazzo-ospedale del DeMarini, vollero impiantare il vasto nuovo ospedale civile....).

Ed a riconferma, una planimetria dell’arcivescovado genovese datata 1926, con la  delimitazione dei confini parrocchiali della chiesa delle Grazie, si legge scritto a mano sopra una strada posta nella zona più a levante,‘via Montegalletto’, dipartente da via DeMarini (oggi  via Dottesio) sovrapposta (ma porse un poco più a ponente) ad un teorico tracciato -oggi inesistente-, corrispondente a via Bottego-scalinata di via Pittaluga-tratto dell’estremo ad est di via DeAmicis (via B.Piovera), fino all’innesto con via Roma (via O.Scassi) poco prima di via M.Vinzoni (che allora portava alla villa delle suore di s.Anna).

Forse la carta fu copiata da un’altra planimetria generale del piano regolatore della città di San Pier d’Arena, sulla quale appare inusitatamente lo stesso nome, mai reso ufficiale da delibere comunali.

Lo storico Persoglio spiega che il toponimo proviene dai ‘galletti’, cioè le piante di ginestra; ovviamente una dizione popolare, non ufficiale, determinata dalla presenza di questi fiori,  che in abbondanza crescevano anche sui nostri dirupi come nell’omonima zona genovese laddove però il nome è rimasto tutt’ora.

 

BIBLIOGRAFIA

-Archivio Parrocchia s.B:della Costa- reclami don Brizzolara- pag. 37

-Archivio  parrocchiale della Cella -anno 1820-50

-Archivio Storico Comunale

-Pastorino&Vigliero-Dizion strade di Genova-Tolozzi 1985-pag.1228
 

MONTI                                     via  G.B. Monti

 

TARGHE :

San Pier d’Arena – via – G.B.Monti                 

via - Giambattista Monti

via  - G.B. Monti

 

                                                              

 

inizio strada e ramo in salita, in angolo con via C.Rolando. Due targhe.

 

ramo in salita, angolo via Farini

ramo in salita, angolo con via dei Landi

 

fine del ramo in salita, retro del grattacielo

ramo a ponente, angolo con via Battaglini – confine con via dei landi

 

ramo a levante, a fine strada dopo il ponte, angolo via V. da Gama

 

QUARTIERE MEDIEVALE: Mercato

da MVinzoni,1757.        

Ipotetico tracciato di via GBMonti in verde; celeste,                           da Google Earth 2007.

salita Belvedere; fucsia ipotetica via dei Landi; gialla

 villa Pallavicini; rossa villa Currò.

 

N° IMMATRICOLAZIONE:   2811     CATEGORIA: 2

in celeste tratto in salita; verde tratto a ponente; giallo tratto verso levante

da Pagano 1967-8

CODICE INFORMATICO DELLA STRADA - n°:   41020

UNITÀ URBANISTICA: 25 - SAN GAETANO

                                           27 - BELVEDERE

CAP:   16151

PARROCCHIA:  NS del ss. Sacramento

STRUTTURA:   lunga strada comunale che da  piazza Montano sale fino a via Landi e corso Magellano.

   Doppio senso viario, escluso nei due tratti estremi; è senso unico in discesa dall’incrocio con via L.C.Farini allo sbocco in  fondo tra via A.Cantore e via C.Rolando (Nel 1973 vi si riversavano solo 7200 auto al dì; e  laddove al semaforo ci aspetta implacabile un giovane slavo immigrato); è invece senso unico in salita dall’incrocio di via dei Landi – dopo il quale esegue uno stretto tornante - sino al termine,  fatto a T: a sinistra sino all’incrocio con via Battaglini, ed a destra sino oltre il ponte sopra corso Martinetti all’incrocio con corso Magellano (lo stradario in dotazione ai VVUU dice erroneamente “fino a salita Belvedere”, valido prima dell’erezione del ponte). La ristrettezza della strada crea i soliti problemi di posteggi e traffico, aggravati dagli impazienti e dai menefreghisti.

il tornante

   All’inizio in basso, c’erano due targhe, vicine ma diverse indicanti la via.

   È servita dall’acquedotto DeFerrari Galliera

STORIA:  

     Nell’antica pianta del sobborgo di San Pier d’Arena disegnata dal colonnello M.Vinzoni e datata 1757,  tutta la zona in cui scorre la parte distale della strada - escluse le case già presenti lungo la via principale, e di diverse proprietà - appare appartenere al magnifico abate Spinola Nicolò; quella più alta interessa invece più proprietari tra i quali principalmente il magnifico Giuseppe Doria (con la sua villa, poi Serra ed attuale Ist.donDaste), ed i magnifici Lorenzo  Lomellini e fratelli Pinelli (patroni della abbazia di sd.Bartolomeo del Fossato).

   Nel dic.1900, il regio commissario straordinario, propone il nome di via Gianbattista Monti per la trasversale che sale distaccandosi da via Mercato, “via già detta del Collegio (vedi), verso notte (nord) nei terreni detti della Regata”, e messa a continuazione - dal mare verso il colle - della crosa dei Buoi (poi via Nino Bixio).  

   Ancora dal 1902-12 al civ.9-15 vi si apriva il collegio-convitto Dogliani, con direttore  Cesare Chiabra.


 

--foto a sinistra: il primo palazzo a destra, ora demolito, che ospitava le Scuole Tecniche; immagine anteriore al 1905  circa

--foto sotto, similare alla precedente, viaggiata nel 1905, ma errata perché indica “via S.Giovanni Battista a Monte” che non è mai esistita.


   Nel 1910, nei fogli comunali viene chiamata “via Gio Batta Monti, da via N.d’Aste (sic) verso la collina”, con numeri civici sino al 30 e 21 (ma diversi dagli odierni); e con questo nome le fu posta la targa all’inizio della salita.

 

--foto viaggiata nel 1912             --

Nelle prime decadi dello stesso secolo (ancora nel 1933 quando  non esisteva via A.Cantore), viene descritta aprirsi da via N.Daste, “verso i monti”; praticamente finiva poco dopo ove ora è la chiesa.

Nel Pagano/40, la strada è compresa tra via A.Cantore e sal. Belvedere ed ha, senza numero civico la chiesa Adoraz.Perpetua;  nei civv. neri privati e al 22/1 Ass.Prov.Cacciatori; 23 Tardito G. latta; 25 Stura V. ing.; 36A canc.: ‘casa Famiglia del sacro Cuore.Orfanatrofio femminile’ e ‘Lavori femminili’.  Nei nn. rossi:  senza civico, una latteria posta “nel casotto rimpetto al 24 nero, Barabino”. Rossi dispari= 1r mat.elettr.Arnaldi; 5r drogheria; 9r maceller.; 11r merceria Provinciali; 13r polliv.; 15r mode; 17r ottoniere;  19r commestib.; 21r latteria; 23r farmacia dott. Rolando; 25r drogheria; 31r bottiglieria; 33r commestib.; 41r drogher.; 43r offic.elettromecc.; 45r bazar; 49r fruttiv.; 55r parrucch.; 57r stirat.; 59r osteria; 63r giornalaio; 65r Tipo litograf.Don D’Aste (sic).   pari = 6r confez.; 10r bottigl.; 14r  soc.an.coop.Carlo Rota commestib.;  16r osteria;  20r legna e carbone; 34r commestib.; 38r stirator.; 42r bottigl.; 44n comm. (sic); 46r fruttiv.; 48r macell.;  52r parrucch.; 54r mercerie; 56r commestib.; 58r bicicl.; 70r commestib.; 74r commestib.; 78r maceller.; 82r fruttiv.; 84r tabaccheria; 88r parrucchiere; 90r calzol.; 94r latteria. 

 

 CIVICI     2007

UU25=NERI  =  da 1 a 27   (compresi 5A, 7AB, 23A; mancano 11, 13, 15, 29, 31)

                           da 2  a  48  (manca 22)

          ROSSI =da 1r a 181r (compresi 13A, 39CD, 63B, 177AB; mancano 67, 157)

                         da 2r a 108r (compresi 60rAB, 92rA, 94rABC, 100rAB;

                                                             mancano 80r, 82r, 102r) 

UU27 = NERI   = da 29 a 31             da 50 a 60  

              ROSSI = il 183r                   dal 110r al 146r

                                     

    Nel Pagano 1911-12-25 compaiono sul Pagano (tra parentesi, l’ultimo anno in cui compaiono) le levatrici  (ricordando che allora il parto avveniva in casa. Al civ. 2 Cambiaso Maria (1912), Zerbino Margherita (1925), Forno Angela (1925) - ed all’8A-10 la Galletto Giuseppina (1925); al 20r Dellepiane Agostino (1933) ha una fabbrica di acqua gassosa. civicoNonPrecisato una impresa trasporti di Grosso Luigi (1912) (che l’anno prima era presso il Ponte di Cornigliano; nel 1920 è descritto in ambedue le sedi con tel. 2306; nel 1921 non c’è più); il meccanico Pastorino Romolo (1912) (proveniente -1911- da p.za dei Mille);

   Si descrive esserci stato nella via in tempi successivi (dopo 1925: sul Pagano/25 non c’è), un’altra scuderia di cavalli, della ditta Lanati (ebbe in affitto i cavalli di Casirola Carlo impresario di trasporti mobili e merci con stalle in corso dei Colli 31, sampierdarenese del 1878, morto a Dachau, anche lui deportato il 16 genn.1944)

    Questa titolazione stradale esisteva anche a Rivarolo; nella unificazione della toponomastica del 1926 nell’ambito della Grande Genova, la nostra città fu favorita nel mantenimento del nome (nella nostra vicina, è divenuta via S.Botticelli).

   Il Costa del 1928 segnala questi esercizi commerciali. Al : 5r= drogheria di Serafino Andrea---9r= macelleria Roncallo Giuseppe---15r= merceria Collin&Pittaluga---10= vini di Facco Teresa---11r= merceria di Garrone Livia---13= pollivendolo Castaldi Benedetta---16= vini di Ivaldi Tomaso---17r= calzature di Gavelli Salvatore---18= lavorazione latta di Noce Gaetano---20r= acque gazzose dei f.lli Dellepiane---22= puleggie di Almonte Cesare---23r=farmacia Rolando Paolo---23= lavorazione latta di Tardito Giacomo e F.---33= commestibili di Giglio Amalia---34= commestibili di Ferraris Maria---42= vini di Sella Mora---44r= salumiere Costa Amilcare---46= fruttivendola Cipollina Giuseppina---52r= latteria di Masè Giovanna--- 54r= chincaglierie  di Merlo Emilia---56r=sartoria Rigamonti Amedeo---58r=commestibili di Quaglia Maddalena---70r= commestibili di Cavalli Francesco---84=commestibili di Rosellini Emma---86r= mobili di DiClemente Pietro---- non precisato= cordami di Lancerotto Ernesto (anche in 2r-scalinata Pisacane)-

   Nel 1933 appare di 4.a categoria, ancora indefinitamente indirizzata “ai monti”, con civici neri sino al 48 e 25. Al civ.2-9 Piccardo Francesco eserciva armi e munizioni; al civ.35r c’era la fabbrica di calze di Veruggio Antonio; al 53 il Consorzio Agrario aveva una latteria ed al 53r c’era l’azienda di Fava & Roccatagliata di rottami metallici.

   Nel Pagano 1950 viene segnalata una osteria al 16r di Minetto A. e tre bar:  al 10r di Bocca A.; 31r di Tacchino G. ed al 42r di Zaccone Angelo. Nessuna trattoria.

 inizio salita, anni 70

===civ.1 il palazzo fu eretto al posto della casa dell’Istituto Tecnico che reputo corrispondere alla (multifunzionale)  ‘villa Boccardo’ descritta a via Mercato e, come dimostrato dalle foto sopra, che c’era ancora nel 1905.

===civv dal 3 al 9:  Il cav. Narizzano Alberto nell’ago 1898 vende un terreno coltivo ad orto, con casupole coloniche, ad Emanuele Palau (già proprietario di altri vasti appezzamenti di terreno posti a ponente dei confini della villa Doria-donDaste (vedi civ. 74r; ed anche in via G.Mameli); da lui -ancora regnando UmbertoI - gli imprenditori sigg. Parodi Luigi e Gambaro Giuseppe (proprietari anche in via Mameli di immobili), acquistarono nel lug.1899  un’area di 500 mq posta a levante di un vialetto interno della proprietà,  per erigerci i palazzi attuali (arch.ing. Salvatore Bruno;  iniziò la costruzione dal 3, poi il 7(ex 3a - finito nel dic.1901)  ed il 5(ex 3b) ; completando il 9 (ex 5) nel 1903); firmarono accettazione di alcune clausole sindacali quali il riposo festivo per gli operai). La parte di terreno rimasta a levante rispetto le case, entrò a far parte della piazzetta nel retro delle scuole Tecniche; e quella confinante con la strada principale, tramite il vialetto su accennato di  accesso (già esistente ed iniziante dalla ‘via del Mercato’ via con il passaggio sotto un’arcata tesa tra il palazzo delle scuole a levante, nel sito dell’attuale civ.51***  di via A.Cantore, ed una casupola affacciata sulla via principale a ponente ). Questo vialetto fu donato al Comune gratuitamente in cambio delle fognature, illuminazione, orinatoi e lastricamento della via, con l’impegno di allargare l’ingresso a 7 metri di larghezza (abbattendo arcata e casupola) e di fornire marciapiedi con bordo in pietra della Spezia. Ovviamente i vari appartamenti furono venduti solo a privati agiati cittadini, (essendo proibito l’uso industriale dei fabbricati) alcuni dei quali firmarono con la croce essendo possidenti, ma analfabeti (“illetterati”, come nel 1907 una certa Gestri Rosa che poi venderà l’interno 11 del civ 3B, ora 5, a Desimone Margherita e Bianco Adele). (vedi cartina).

===civ. 9 Si descrivono essere esistite delle ampie cisterne, come d’altronde d’uso nei tempi dell’erezione, legate al fatto che non esisteva un acquedotto singolarmente diffuso. Nello stesso stabile (e forse anche al 5) le persiane chiuse sopra il portone, non corrispondono a finestre ma sono solo decorative.

Con queste costruzioni, ha praticamente delimitazione definita e quindi nascita,  la via G.B.Monti.

===civ.16r: una lapide e corona bronzea, poste tre anni dopo (21 nov.1982)  ricordano e ribadiscono il ‘no’ della cittadinanza al terrorismo,  l’assassinio a tradimento di due carabinieri: il maresciallo Vittorio Battaglini ed il carabiniere scelto Mario Tosa. Il mattino del 21 nov.1979, mentre nel bar -allora chiamato “Angelo”- prendevano un caffè, ignari di qualsiasi agguato, furono barbaramente trucidati, colpiti a bruciapelo alle spalle da due affiliati delle Brigate Rosse (vedi i singoli).

===20r nel 1931-4 c’era lo ‘Stabilimento Industriale Grafico / Tucci-Conticini-Repetto / tel. 41-854

===civ. 23r: la farmacia Rolando: (sul Pagano/20 non c’è) appartenuta inizialmente al dr. Paolo dagli anni 1921, con tel. 41342, pare fino al 1960 quando gli successe il figlio Emilio laureatosi nel 1928. A questi ancora il nipote Paolo deceduto prematuramente nel 1998  (fratello del professore Maurizio oculista, e di Massimo farmacista in via Cecchi).

===civ. 7Ar = per anni, sino al 2000 circa, sede di un mobilificio: primo (ed ancora nel 1967) usato come deposito da Gaetano Sabatino, vero ebanista, che fabbricava personalmente mobili in via Bombrini ove aveva la falegnameria e che  poi vendeva in questa sede. Dopo di lui, negli anni ’70, i locali furono occupati dal mobilificio Aloisio (un po’ scadendo in qualità).

===civ. 6:


il portone è sormontato da una nicchia con Madonna.  Malgrado domanda specifica di notizie, all’amministrazione, non abbiamo ricevuto risposta.


===civv. 8-10-12: costituiscono un unico edificio, graziosamente affrescato nel sottotetto ed attorno alle finestre, con festoni di fiori e frutta.

===civ. 11:  non esiste più. Era forse la casa dei Landi?

===civ.15:   chiesa di N.Signora del SS.Sacramento. Coronando un disegno di mons.Paolo Fossati, dopo averlo idealizzato per tanto tempo, l’ 11 mag.1930 l’arcivescovo di Genova, card. Boetto (il Cittadino scrive Minoretti anche per la prima pietra), pose la prima pietra -contenente una pergamena scritta dalle suore Pietrine- della nuova erigenda chiesa, che sarà gestita  dagli “Oblati” (sacerdoti istituiti dallo stesso mons.Fossati, che inizialmente erano soli presbiteri, nel 2007 sono 10 e si distinguono per due obblighi in più rispetto i sacerdoti ordinari: il voto dell’obbedienza totale al proprio vescovo, e la dedizione all’adorazione ed all’apostolato eucaristico; per questo, il tempio è anche chiamato “ della Adorazione Perpetua, il primo in Italia ad avere questo nome. In una apposita cappella, alla quale si accede dal cancello a monte ella chiesa, numerosi volontari si alternano giorno e notte –per ottemperare all’aggettivo ‘perpetuo’ -  per continua ed ininterrotta preghiera. Personalmente ho constatato su taluni devoti la presenza di grossolane callosità sulle ginocchia per permanenza in quella posizione).

                                           

 Fu innalzata nel terreno che faceva parte dei  giardini della villa Doria -ora don Daste (vedi salita Belvedere)-,  e la consacrazione avvenne il 16 giu.1936, alla presenza del card. Minoretti; nell’autunno dello stesso anno gli Oblati si trasferirono definitivamente nella casa, costruita a ridosso,  posteriormente alla chiesa.

Alla guida della chiesa, a mons. Fossati seguirono mons. Giovanni Pedemonte, poi mons. Giuseppe Mario Carpaneto, mons. Stefano Patrone, ed ora è in servizio don Nazario Caviglia.

 Dal 16 luglio 1961, a firma del card. G.Siri, si programmava una nuova zona parrocchiale; essa fu concretizzata il 15 ago quando  la chiesa  divenne parrocchia

Il 14 dic. 1986 il cardinale Siri celebrò il rito della dedicazione dell’altare.

 Ideata in stile misto (gotico-romanico-lombardo) dall’arch. milanese prof. Zacchi Adolfo,  addetto alla conservazione e restauri delle opere del duomo di Milano e sotto la direzione dell’ing. Musso, fu affidata al Vernazza la direzione della decorazione pittorica -aiutato dal prof. U.Signorini per la parte ornamentale-.  Fu usato per la facciata, del travertino di Rapolano (Siena). Nella lunetta sotto il portale centrale, un bel mosaico raffigurante la Madonna in adorazione, prodotto dal veneto Salviati; riproduce fedelmente un disegno su cartone di Angelo Vernazza;  sopra, gli altorilievi del Cristo tra due apostoli evangelisti affiancati dai loro simboli (i simboli sono ripetuti ai lati del grosso rosone); sopra sei monofore, in alto sotto il simbolo della Congregazione c’è la scritta CUM*** MAGNUM  DOMINUM VENITE ADOREMUS.

  A.Vernazza                 la scritta recita “ Dominæ nostræ / SS Sacramenti  dicatum”                 

  

      frontale - foto Pasteris 1937

 

All’interno,  stupiscono le tre navate, per la fuga di volte che si intersecano, per gli archi poggianti su superbe colonne (di granito di Baveno dai  capitelli che furono lavorati a fogliame comprendente la Croce ed altri simboli, con marmo bianco di Botticino (Brescia)); per le  vetrate (su disegno del prof. Zuccaro, alcune dipinte ed altre a piccoli tondi celestini furono eseguite dalla ditta milanese Corvara & Bazzi (subirono gravi danni durante i bombardamenti nell’ultimo conflitto causa spostamenti d’aria di bombe cadute vicino)).  Le  lesene, sono anch’esse di granito di Baveno. Sulla parete di fondo e nel lacunare sottostante, c’è un affresco di Angelo Vernazza: questo lavoro nella chiesa fu l’ultima sua opera dove, essendo il pittore sorretto dal una fede profonda, rivelò le migliori qualità del suo ingegno nelle interpretazioni di soggetti religiosi (sampierdarenese, nato il 28 aprile 1869 da modesto commerciante, ultimo di una nidiata avviata al commercio. Di tutti i figli, lui unico si mostrò insofferente a questa dottrina, prediligendo l’idealismo, la poesia, la spiritualità. Questi sentimenti crearono un pesante contrasto con i suoi, mantenuto solo dall’alto senso della famiglia e del vincolo di sangue, ma a prezzo di una perenne mestizia, di un fondo melanconico, di un rigido autocontrollo. Dopo l’accademia Ligustica, con la borsa di studio andò a Firenze alla scuola di N.Barabino, il quale intuì le sue capacità e lo apprezzò come il migliore dei suoi allievi. Fu ricambiato da una fedeltà a tutta prova, da un umile continuo osanna all’ombra del maestro. Poi, da Firenze andò a Parigi, Londra, Venezia, studiando ed imparando, al punto che, tornato a Genova, fondò una sua scuola d’arte in via XX Settembre nel palazzo delle Cupole dove – motivato da una passione interna molto forte - cercò di insegnare a dipingere usando - come Barabino - un metodo che richiedeva - nell’allievo - una eccessiva rigidità etica e morale, tale da tendere ad imprigionare anche la fantasia e la libertà espressiva (chiamava aberrante o traviante la recente tendenza a maggiore libertà; la quale invece - attraverso ai primi dipinti impressionisti -  cercava di  liberarsi da quelle stesse leggi che lui invece  giudicava superiori e dominanti).

Le sue opere venivano richieste da una committenza sempre più numerosa, specie dalla società ligure, fortemente ancorata alla tradizione: oltre ad affreschi (al Calasanzio, a villa Hambury di Ventimiglia, al santuario di Oregina, alla Cella (una “scena biblica” posta nella canonica ed un affresco nella arcata centrale)) frequente era la richiesta di ritratti (in epoca in cui non esisteva ancora la fotografia)  e di paesaggi, con Portofino meta preferita, culminati nella meraviglia del panorama di Belvedere (1916).

Quindi un grande maestro dell’emozione e del sentimento nell’arte pittorica, con tanta e profonda religiosità, ma altrettanto eccessiva rigidità che nel tempo è risultata perdente di fronte agli impressionisti, ai “grigi” ed all’evoluzione della libera espressione tipo Picasso. Il massimo del concesso fu qualche sconfinamento nel liberty.

Sappiamo che per la sua dirittura morale, era assai spesso usato dal Comune locale per consulenze, come per esempio sostenere la produzione artistica di Dante Conte con sovvenzioni. Fu forse questa –non appartenenza, ma- vicinanza con l’ambiente politico che fece peggiorare la sua figura d’artista: avvenne che quando il fascismo  gli presentò l’ideale simbolico della redenzione della Patria, lui abboccò creando un bellissimo san Giorgio che uccide il drago, con la pecca che il santo veste la divisa di soldato della nuova milizia. Come per Massiglio, aver vissuto in epoca fascista e forse aver forse prodotto disegni a loro uso, gli è valso sino ad oggi un significativo silenzio (per ambedue, non ci sono prove di stretta collaborazione col fascio, ma…).

Rimasto vedovo dopo 35 anni di vita coniugale, dopo un anno morì anche lui sfibrato dal dolore, a Genova il 3 maggio 1937).

    In contrasto con la semplicità e nudità delle navate laterali, l’abside centrale accentra il massimo fastigio: sull’ altare maggiore, il simbolo di un  trono dorato e ricco di pietre preziose, su sei colonnine di marmo, per l’esposizione solenne del Santissimo; sulle pareti altro affresco del Vernazza che divise la volta in due piani soprastanti: in alto nel timpano, coronati da cinque cherubini, sei angeli sorreggono dei serti floreali ed un cartiglio con scritto “GLORIFICAMUS TE”; e veleggiano -significando l’apoteosi del volere divino- in un cielo chiaro e tenue, interrotto da nubi leggere. Nel sottostante catino dell’abside, su uno sfondo scuro, al centro si espande l’albero della vita: sul tronco il cartiglio “ADORAMUS TE” e racchiuso tra i suoi rami al centro -un ovale irradiato d’oro- con il calice, l’ostia raggiante, la croce ed i simboli  dell’alfa ed omega, la vita e la morte; ai lati, sei angeli posati su nubi, in vario atteggiamento: adorazione, meditazione, estasi, preghiera; e che ricevono luce dall’ostia. In quest’opera, il pittore ha raggiunto il vero ideale della bellezza religiosa. Due pannelli laterali all’altare  rappresentano i simboli di Gesù: in uno al centro la corona di spine ed il cuore trafitto, circondati con volute armoniose da vitigni ricchi di grappoli a simboleggiare il sangue di Gesù; ai lati due pavoni a simboleggiare la Resurrezione, i quali quasi camminano in un campo di grano simboleggiante il pane e con esso il corpo di Cristo; al centro un cartiglio con la scritta “QUI MANDUCAT HUNC PANEM VIVET IN AETERNUM”.  Nell’altro dodici pecore, rappresentanti l’umanità e per lei gli apostoli, che si dissetano e purificano alla fonte della vita centralizzata dall’Ostia col simbolo IHS,  mentre due stormi di colombe volteggiano nell’aria.

Nei catini degli absidi delle due navate laterali, su fondo azzurro spiccano  quattro vasi stilizzati con gigli, e quattro cherubini in un alone di luce.

Nei vari interspazi, si ripetono i simboli sacri, alternati a fregi policromi che ricordano le pagine disegnate dei canti gregoriani.   Tutto, è arte del Vernazza.

Nell’altare di destra, si venera una statua in legno, di Maria, in grandezza naturale, scolpita da Vincenzo Mussner di Ortisei (Val Gardena); invece in quello di sinistra, c’è una statua di san Giuseppe.

 In una cripta posta lateralmente, si accede alla tomba del fondatore dell’Ordine (fu ottenuto il permesso di traslare la salma da Staglieno, nel 1950), sulla cui lapide si vele effigie, e si leggono la data di nascita (12.6.1873), quella di morte (12.6.1948), il nome ( mons. Paolo Fossati fondatore Oblati SS. Sacramento), e la frase  (“visu sim beatus tuae gloriae”).

Dopo alcuni anni, con la stessa procedura, si ottenne trasferire la salma del duca Angelo De Ferrari (27.9.1859- 19.12.1927) e, dopo la sua morte, anche della moglie duchessa Carola De Ferrari Parodi (21.9.1876- 3.7.1960): essi furono dal 1926, i sostenitori e finanziatori della nuova congregazione sacerdotale, desiderosi di operare in silenzio, lontano dai riconoscimenti pubblici.

Nel maggio 2004 una iniziativa del parroco, vuole coronare lo scopo fondamentale della Congregazione: la preghiera continuata, effettuata da un iniziale gruppo di 300 parrocchiani che giorno e notte si alterneranno in preghiera nella cappellina laterale che non verrà mai chiusa.

===civ. 10: ci abitava Giancarlo Bargoni, nato nel 1936, divenuto celebre pittore astrattista, le cui opere sono state oggetto di premi ed ospitate in musei d’arte nazionali; Parigi; Danimarca. Fondò nel 1963 il ‘Gruppo Tempo 3’. Ha lavorato il vetro e ceramica).

Dall’altezza di questo civico, tutta una ampia fascia di terreno estesa verso monte e nord, e sino alla fine di via Ardoino circa, era denominata ‘le montagnette’, causa la natura del terreno fatto in ripida discesa ma a mammelloni; e questo ancora negli anni postobellici quando poi la zona fu interamente edificata (specie via dei Landi)

===civ. 11.13.15: non esistono (forse uno è attribuito alla chiesa)

===civ. 14r : si apriva nel 1933 uno dei sei spacci sampierdarenesi della Cooperativa di Consumo Carlo Rota.

===civ 65r:  l’ingresso alla tipografia don Daste; già capace di rotocalcografie e fotolito. Faceva parte del complesso “Orfanatrofi femminili Divina provvidenza <Don Daste>, di salita Belvedere 2. Chiuse la sua attività per ‘sfratto’ al tipografo e dispersione dei macchinari, nel 2005 circa.

===civ. 17:  l’ingresso delle scuole materna ed  elementare Don Daste; prima del 1961 era una porta secondaria senza numero.

===civ. 16:  la casa, già della famiglia Mignone (vedi via omonima). Da qui per cento metri la strada è stata delimitata nel 2002 con paletti, per evitare ‘posteggi selvaggi’ sul marciapiede.

===civ. 19A:  assegnato a nuova costruzione  nel ’63 . 

===civ. 20:  approvato nel 1956 (appare che la commissione edilizia approvò nell’ottobre 1956 l’erezione di un palazzo nuovo ‘in scalinata dei Landi’). Fu costruito dagli imprenditori Mignone nel 1958, su sedime di una villa:

-villa Lomellini – Bocci .

Nella carta vinzoniana del 1757 circa, appartenne a Lorenzo Lomellini ed aveva una cappella gentilizia interna

   Si presume non sia stata questa la villa che venne ospitata la bellissima ventiduenne Elisabetta Farnese figlia del Duca, dopo che nel 1714 andò sposa per procura a Parma al re di Spagna Filippo V (per lui, seconde nozze). Si fa generica menzione di questa ‘ospitatiltà in una villa Lomellini a SPdA’ senza specificare, essendocene più d’una)

Da Parma, trasportata in bussola e con un imponente seguito, era entrata nel genovesato il 25 settembre:  dal passo di Cento Croci era scesa a Sestri Levante,  da dove il giorno 30- via nave ‘la Reale’, scortata da altre 5 galee della seren.ma Repubblica - era pervenuta a San Pier d’Arena. Dovette sbarcare presso la Lanterna causa il mare agitato, e fu trasportata con il tiro a sei dell’arcivescovo in villa Lomellini; stanca e col mal di mare neppure partecipò alle feste preparate in suo onore e per una settimana rifiutò dame di compagnia e di uscire. Anzi il 6 settembre volendo sentire l’opera il ‘Tamerlano’ (o ‘Li veri amici’) che si rappresentava al Falcone, tanto fece che gli artisti e musici dovettero organizzare una replica trasferendosi in S.P.d’Arena. Lunedì 8 finalmente uscì dalla volontaria clausura ed in carrozza si portò in cattedrale  per le funzioni e venerare le sacre Ceneri e Catino. Null’altro fece in città,  ove rimase fino al 9 ottobre  a spese della Repubblica: rimase  felice dell’accoglienza, anche se amareggiata dalle strade troppo strette e dagli annegati nei giorni di tempesta. Se ne andò via terra facendo tappa a Voltri, Savona, fino a Ventimiglia (vedi via Mercato, villa Lomellini-Boccardo)

Il Bocci invece fu un falegname-deposito legnami, forse discendente o uno dei due fratelli che avevano una segheria a Genova negli anni 1933. Negli anni 1960 compare un Bocci Ernesto  che gestisce una ‘fabbrica di cornici e legno compensato di Bocci Angelo & Mario’ ma in via Gioberti 51r; lo stesso che poi, nel 1970,  fu in via GBSasso 9r.

Ultimamente ospitava anche una società di cacciatori.

===civ.  21:  è il cosiddetto “grattacielo di via G.B.Monti” , di 22 piani,  iniziato nel mar.1961, e finito nel dic.1962; dato abitabile nel feb.’63.

   Fu costruito sul terreno a ripide fasce,  che da un pianoro soprastante (ove ora scorre la cosiddetta “Quota 40”, c’era una grossa vasca d’acqua, probabilmente alimentata da una sorgente) degradava alla stessa strada, in basso ed in salita; una ripida scalinata - intestata a G.Filangeri (vedi), prima di congiungere i due livelli - portava al  civ. 23 ove era una fabbrica di scatole di latta per conserve, con cromolitografie di esse,  denominata G.Tardito & F. dal nome del titolare;  palazzo ancora presente (ed operante?= si, nel 1950 solo come c.litografia) negli anni 1960, che aveva un grazioso giardino posto a ponente dell’edificio (Di una “grossa società anonima per le ‘conserve alimentari e lavorazione della latta’ già fratelli Tardito”, ne parlano Doria e 37.203 riferendo:--- che essa nacque nel 1899 (senza specificare se da G., dai figli, e se –come si presume- fossero loro i fratelli; se è la data di nascita della società che rilevò l’attività ‘gia’ f.lli Tardito);---che questa società aumentò il capitale nel 1905 da 760mila lire a 1,5milioni (questo valore restò eguale fino al 1908 quando improvvisamente si dimezzò a 630mila nel 1909 per finire nel 1911;--- con, tra altri,  finanziatori Ferruccio Prina, i Tassara, i Cortese, i Raggio (che, dice Doria, parteciparono alla fine, dal 1910 al 1914)  e la Società Bancaria Italiana-;  --- possedeva oltre allo stabilimento di SPd’Arena, un altro ad Alghero (di conserve) ed un  molino a Sassari ed a Cagliari  (una grossa somma, allora; che però a conteggi successivi furono ridimensionati negli anni intorno al 1910 quando andò all’asta per provvedimenti del tribunale avendo cessato la loro attività e perduto tutto il capitale )).

  

il grattacielo visto da sotto e dalla torre della villa Serra Monticelli                il piazzale antistante

Nel piazzale d’ingresso del grattacielo, sul muro di sostegno all’estremità di levante visibile al di là di un cancello, ci sono sia in alto  il segno inclinato di un tetto appoggiato (forse facente parte della fabbrica), sia un ampio foro nel muro stesso, con margini di mattoni, come se ci fosse stato un pozzo o un condotto o altro.

   Adibito ad abitazioni private, ospita l’istituto di analisi Emolab e, ancora fino al 1977 vi si aprivano il “cinema Arcobaleno” ( rimase funzionale dal 1963 all’80 circa) ed una maxi sala da ballo.

   

 

   Sul piazzale si alzano due palazzine: ===il civ.19B aperto sul piazzale, che fu eretto nel 1962 e dato abitabile nel mag.’63; e sulla via principale, nella curva, il  ===civ.23, casa per abitazioni con negozi; fu richiesta nel febb. 1962 dalla IES (Immobiliare Edilizia Sampierdarenese dei fratelli Vicari, progettata dall’ing. Smriglio (sic) Ciborio); con iniziali necessità di sbancamento e costruzione di muro di sostegno a monte; fu eretta dal dic 62; di soli 4 piani (perché assoggettata alla servitù ‘altius non tellendi’ ovvero che non deve salire oltre il livello della strada di Quota40) e resa abitabile dal nov.’63.

: ===civ. 22:    non esiste. Avrebbe dovuto essere costruito sempre dai Mignone; ma poi non fu eretto, per cause non conosciute. Ma il Pagano 1950 vi pone al p.t. la “società Tiro a volo – campo Enrico Canepa”.

===civ.23  Vedi anche sopra, al civ.21. Nel Pagano/50 vi ebbe sede la ‘Raffineria Ligure Olii Vegetali’ di C.Coletti, telef. 41-396

===23A (quale secondario al 21):  assegnato nel 1963 (probabile sia il portone superiore; controllare***)

===civ. 25. All’interno 4 la ‘Mondial Tools spa’ fondata nel 1993 (divenne srl nel 1995 ed spa nel 1998; con oltre 50 persone occupate, si classifica leader nel campo della ‘utensileria meccanica di precisione per asportazione di trucioli’); all’interno 10 l’associazione ecclesiale “Giovani Nuovi” con presidente la sig.ra Persico Currò Carla.

===civv. 30 dalla A alla L, eretti negli anni ‘68-70, nell’82 passarono alla nuova via Battaglini con nuova numerazione

===civ.34B assegnato nel ’99 ad una porta senza numero .

===civ.36A  fu demolito nel 1969

===civv. dal 42A al 42H passati a via M.Tosa con nuova numerazione nel 1982 .

===civv. 50,52,54 assegnati a nuove costruzioni nel 1962 ;

===civ.56 . Idem, nel ‘69

===civ.68r (villa Lomellini-Bocci) nel 1933 ospitava la S:E:A:M: (società escursionisti “Amici della Montagna”) affiliata all’ O.N.D. (opera nazionale dopolavoro); e probabilmente anche la Società cacciatori San Pier d’Arena il cui presidente era Dario Diana.

===civ.74r: la “società operaia cattolica Maria Santissima Immacolata, e san Maurizio”, normalmente abbreviata con “società  cattolica san Maurizio”, unica locale di Mutuo Soccorso a carattere religioso.

              

 

San Maurizio, come san Giorgio fu depennato dal calendario perché appartenente ai martiri di culto medio orientale e di incerta – non documentata - verità. Maurizio era a capo (‘primicerius’) della Legione Tebea e l’evento avvenne tra il 285 (anno in cui Massimiano Erculeo guidò una spedizione militare in Gallia contro i Bagaudi) ed il 310: tra le truppe c’era una legione di oltre 1000 uomini proveniente da Tebe d’Egitto, praticamente tutti cristiani. Quando Massimiano si trovò ad attaccare presso Agauno-Saint Maurice, essendo cristiani anche i nemici, pretese dai suoi un giuramento agli dei. Al rifiuto, dapprima fustigazione, poi decapitazione ); Massimiano fu poi sconfitto da Costantino Magno a Ponte Milvio il 28 ottobre 312. O forse nel 305 (quando venne avviata la grande persecuzione ordinata da Diocleziano). Di questa strage se ne seppe tardi, ben dopo cento anni; per questo le notizie sono aleatorie e miste a leggenda. Come Giorgio, è raffigurato in veste militare romana.

   Per volere di Maurizio Dufour, sampierdarenese molto vicino ai Salesiani, imprenditore cattolico molto sensibile ai bisogni dei suoi operai oltre il posto di lavoro, il 10 giu.1877 nacque una società - dapprima intestata ‘Società Operaia Cattolica san Giuseppe’, con sede presso i salesiani di don Bosco e subito trasferita  in via degli Operai, presso la villa Rolla (Morabito scrive l’8 giugno).

   

lapidi nell’interno del solidalizio

 

   Per interessamento del fondatore, assieme ad un pioniere dell’Azione Cattolica Camillo Galliano, fu tra le prime ad inserirsi nel giugno/1881 in una federazione di società operaie, tutte cattoliche FOCL = federazione operaia cattolica ligure (un primo ‘statuto delle società cattoliche operaie liguri’ nacque domenica 23 luglio 1854 nella canonica di s.Torpete alla presenza di 13 operai (chiattaiolo, calderaio), commercianti (orefice, merciaio, calzolaio) nonché un maestro, bibliotecario, scultore, ecc., e  4 sacerdoti (tra cui don Magnasco Salvatore). La sede sociale fu trovata nell’oratorio di NS del Rosario nella chiesa di s.Antonio Abate di via Pré e poi in via della Maddalena, 12. Lo statuto prevedeva aiuto ai lavoratori iscritti, alle vedove, orfani, infortunati; stendardo, corsi scolastici, circolo ricreativo, banda musicale. Questo solidalizio assunse il nome di  ‘Soc.Op.Catt. NS del Soccorso e s.GiovanniBattista’ ed assunse subito importanza per l’adesione di grosse personalità  e nobili. Nel suo seno nacque nel 1881 una ‘speciale commissione per l’unione delle varie società parallele’).

  I primi tempi furono assai floridi, e si arrivò a creare perfino una banda musicale.

   Ma ben tosto iniziarono numerose difficoltà di intemperanze e dissidi ideologici, cosicché nel 1882 il fondatore dovette procedere ad una prima scissione, trasferendo la sede in via sant’Antonio presso la proprietà Stagno; ma in contemporanea - ricuciti i dissidi dal Dufour - si riuscì ad allargare i principi pratici dell’operato, costituendo in seno alla società la prima Conferenza di san Vincenzo de Paoli  (il cui primo presidente fu Gaetano Lagorara, che nel 1888 battezzò la prima bandiera sociale).

  Ma pochi anni dopo, nel 1893 la Federazione dovette intervenire nella gestione della società, nominando un quadrunvirato che durò in carica un solo anno dopo il quale, nonostante tutto, si dovette sciogliere l’Associazione con nomina di un delegato che operò la dispersione dei beni (la cassa, gli arredi e la bandiera) e purtroppo anche la bruciatura dei documenti e dei libri contabili,  che avrebbero potuto arricchirci  di testimonianze su  queste vicende iniziali; infatti alcuni soci si adoperarono per iniziare un’altra società, chiamata “nostra Signora della Vittoria” -genericamente detta “della Vittoria”-;  ma anche questa dovette soccombere sul nascere, confluendo nella “società generale Universale”  in più floride condizioni, perdendo però così la definizione di cattolica (e costringendo don Daste al ricupero delle immagini ed arredi  sacri  acquistati); altri come il neo presidente Gaetano Lagorara,  tutti fedeli amici  di Maurizio Dufour (ad ogni rinnovamento, lui rimase  irriducibile promotore della sua idea originale) preferirono rifondare nello stesso 1894 un’altra società di mutuo soccorso, con statuto, intestata a “Maria SS.Immacolata e san Maurizio” - in omaggio al nome del Dufour stesso, e con matrice sempre prettamente cattolica, in contraltare delle numerose altre società di mutuo soccorso tra operai, spesso inserite in ambienti o politicizzati o fortemente anticlericali.    

   Ristabilita una certa solidità dirigenziale, quest’ultima società finalmente riuscì a decollare, aumentare il numero dei soci e maturare in quella che è attualmente: trovarono sede in via della Cella, presso casa Samengo (gestita da don Daste), ove si espressero sviluppando una intensa attività di mutuo soccorso: gratuitamente si prestavano anche il medico dott. Dodero ed un farmacista non conosciuto (considerato che allora ancora non esistevano le mutue assistenziali); venivano elargiti sussidi per malattia e si possedeva una cassa di soccorso -detta di quiescenza- per aiuti a chiunque abbisognasse.

   Nel 1907 fu riveduto lo statuto ufficiale.

   Quando nel 1911 una cooperativa costruì in via G.B.Monti il palazzo detto ‘Palau’ (dal nome del proprietario dei terreni), la società (guidata dal presidente Giacomo Pittaluga - capo officina dell’Ansaldo Meccanico, poi titolato cavaliere - affiancato da Ulisse Repetto e Pietro Boccardi) aderì ai lavori ed il 30 mar.1913 trovò definitiva ospitalità nel fondo di esso, inaugurando – con l’intervento del card. V. De Amicis - la nuova bandiera ed i locali con uso del giardino (nel quale è leggibile una lapide con i nomi degli iscritti alla società, caduti nella grande guerra: Alfredo Carpaneto, Domenico Cosmelli, Romildo Spotti, Ettore e Gualco Giacomo). Nell’occasione fu sorteggiato – e vinto da un operaio - un servizio d’argento di cucchiaini, dono del Papa.

   I verbali di assemblea denunciano una interruzione di attività tra il 1920 e 1927.

   Nel 1939 la cooperativa che conduceva l’edificio fu obbligata a  sciogliersi : per poter mantenere l’uso dei locali e la loro non occupazione da parte delle organizzazioni fasciste,  fu necessario stilare un lascito di tutti i beni intestandolo alla parrocchia della Cella (precisando che si riservava l’uso dei locali per continuare l’attività, anche se mutata in alcune caratteristiche sociali quali la mutualità e la cassa quiescenza non più in atto dal 1941 perché mutate le leggi in merito).  

   Durante il conflitto, la sede fu usata anche come rifugio antiaereo per chi non riusciva a raggiungere la sottostante galleria; una bomba d’aereo asportò un poggiolo del palazzo ma fortunosamente non creò danni ai ricoverati: questo fatto è ricordato da un marmo che ringrazia per lo scampato pericolo la protezione  di NS della Guardia; uno dei soci venne coinvolto nelle faide politiche del fine guerra senza apparente motivo ed ucciso a Campomorone;  dopo la resa, ospitò alcuni dei soldati e richiamati sbandati che poi andarono a formare i gruppi partigiani.  

   Nel salone principale un altro marmo ricorda le riunioni ivi effettuate dal Comitato Cospirativo per la  Liberazione, delle quali l’ultima fu il 25 apr.1945.

   Dopo il 1945, nell’ambito della san Maurizio tuttora operante, si ricostituì la  “conferenza di san Vincenzo de Paoli” ed il “Circolo ACLI” intitolato a Paolo Reti (la cui attività permise la formazione di una squadra di calcio e di bocce, ambedue vincitrici di ambiziosi tornei).

   Nel 1954 fu battezzata la nuova bandiera sociale

   Nel 1966 si aprì il tesseramento anche alle donne, che oggi rappresentano il 20% circa degli iscritti (poco meno di 400, di età media di 62 anni) continuando ad intervenire per aiutare gli emarginati, i soli ed i sofferenti  offrendo a prezzi stralciati una degnissima sede e tanto calore umano.

===civv 24-26:   un unico edificio, con caratteristiche decorazioni sulla facciata di stile liberty;  già di proprietà Mignone, fu progettato da A Petrozzani nel 1910  “nell’angolo prolungamento via GB. Monti”.

===civv 28-30: anch’esso in unico stabile, leggiadramente decorato, appare posteriore al precedente, risalendo al 1936 circa.

A livello del civ. 30:

a) la numerazione continua non seguendo la strada, evidentemente costruita dopo, ma salendo le scalette: infatti il 32-34 è sopra il muraglione, e da lì la numerazione prosegue verso levante.

b) inizia la scalinata Scalinata G.B.Monti” (vedi) che ha l’onore di una targa sua - ripristinata nel 2009 dopo anni di assenza della quale si intravedevano i supporti tra le pietre del muro.

c) sotto la scalinata l’ingresso di una galleria che in profondità si unisce a quella che inizia in via dei Landi, e finiscono cieche; fu usata come rifugio dai bombardamenti durante l’ultimo conflitto mondiale e poi chiusa, lasciando utilizzabile solo pochi metri per uso privato (in concessione?).

d) nello stesso punto, la strada compie una curva a tornante, affiancando opere di sostegno della muraglia soprastante, tra le cui arcate hanno fatto ripostigli e  magazzini, presumo privati.

e) a questo livello, il 24 apr.1979 fu “gambizzato” dalle Brigate Rosse il direttore dell’Ansaldo, ing. Giuseppe Bonzani (persona molto schiva e riservata, onesta e altruista, che abitava in via Marabotto ed usava il tragitto per andare e tornare al lavoro all’Ansaldo ove era dirigente; accettò questa ‘punizione operaia’ col sorriso sulle labbra neanche dovesse essere lusingato da tanto interesse per lui e sopportando tutto con rassegnata e religiosa determinazione tanto che agli atti dello Stato non appare nessuna denuncia e quindi neanche il suo nome tra le vittime degli ‘anni di piombo’). I colpi alle gambe, lo ridussero in fin di vita per emorragia, avendo leso l’arteria femorale e fu salvato miracolosamente al Pr.Soccorso).

 

VERSO LEVANTE===civ. 25:   è chiamato “palazzo degli Stura”, anche se di essi ormai più nessuno vi abita. Alla sua erezione, fu occupato interamente dalla famiglia  “Stura G. & figli” imprenditori e costruttori edili  - nel 1933, con questa titolazione e con indirizzo in corso D.Alighieri = corso Martinetti, 4/3 (i figli erano tre ingegneri - nessuno edile: Peppino, ing. civile Sandro ing.idraulico e Secondino ing.trasporti che poi nel 1961 abitarono questa casa rispettivamente agli interni 4,4,10; ed uno medico: Luigi.

Il Pagano/61 riporta due altri Stura, ing. pure loro: Virgilio – che nel 1933 abitava in corso D.Alighieri 4/6 e poi - come Pietro che compare nel 1967, a Genova). Questi costruttori (che nel 1967 avevano uffici in  via Cantore 8E.1 e deposito in via Carpaneto 15r), erano vicini alla Chiesa (e forse alla D.C. politica); molto operarono nella San Pier d’Arena da ricuperare dopo la guerra (la chiesa di don Bosco, che io sappia, e altri:vedi civ.27).

 Nella zona, c’era un edificio che ospitava una stamperia ed un oleificio (la “Sirov”: soc. ind.le raffineria olii vegetali, la cui sede rimase nell’edificio ancora negli anni ‘60 ).

===civ. 27:  è degli anni 1957-8, eretto dall’impresa Stura sugli orti delle suore soprastanti l’istituto di don Daste. Tra lo spiazzo sottostante per le auto (limitato da una ringhiera) e la proprietà delle suore, compare un corridoio sottolivellato (anch’esso limitato da una ringhiera, lungo come il posteggio e raggiungibile da scaletta, che era accessibile solo da una porta in salita Belvedere che però è stata murata; rimane il marmo di base del gradino di un cancello, che dava adito allo spazio; tutto questo spazio – sino oltre la soprastante via Tosa, inizialmente era della villa delle suore, poi degli Strura che l’adoperaroro come giardini propri e sui quali poi costruirono il civ. 27).

=== subito dopo il 27, proseguendo a levante, la strada taglia l’antica crosa di salita Belvedere; la continuazione a monte della salita - causa il taglio, e dovendo ricuperare la pendenza - fu sostituita da una scalinata di poche rampe.

Seguono, sul marciapiede a mare tre distinti cancelli  delle “suore Pietrine”: per l’istituto, per l’orto e giardini e per servizi. Bello è il gruppo di alberi di canfora (un altro è nel cortile della Croce d’Oro, unici in città), che mandano i loro rami sulla strada.

         

le Pietrine                                                                               angolo via Tosa

===civ. 48  dopo via Tosa, il lungo edificio chiamato “dei ferrovieri”, perché inizialmente costruito per questi lavoratori. Durante l’ultimo conflitto mondiale, fu raggiunto da due bombe che causarono tre morti.

Immediatamente dopo, è il ponte che - essendo anonimo, fa parte di questa strada - (è detto anche  “ponte di Quota 40” perché già inserito in diversi piani regolatori per far continuare questa circonvallazione sino al Campasso); solo nel marzo1976 si arrivò ad iniziare i lavori che furono conclusi nel maggio 1977: passando sopra corso L.Martinetti, fa concludere la strada -fino ad allora monca-, in corso Magellano. Lungo circa 64m, largo circa 15 con una carreggiata di 13m, fu costruito in cemento armato.

VERSO PONENTE

===civ. 40: non esiste, avendo progettato - ma mai eretto - un altro palazzo. Viene riferito che il 42, eretto dalla coop. La Vittoria, era stato progettato e quindi doveva nascere con due portoni distinti.  Ma circostanze non conosciute hanno fatto cambiare e saltare i programmi.

=== civ. 38:   detto “dei Mutilati e dei Combattenti”; alcuni stemmi e cartigli sulla facciata ne caratterizzano il nome e lo scopo per cui fu eretto dalla soc. coop. Generale Cantore (vedi foto sotto).

===civ. 36 e 36a: il primo fu costruito dall’impresa Bagnasco, Florio Pietro (proprietario del terreno) & Balestrero nel 1931.

  

la casa Bottero è visibile a sinistra,                      colorato rosso, il civ. 38

sopra l’edificio civ. 48 di via GB Monti.

 

Nel civ. 36  Negli anni 30 all’interno 19 abitava Bottaro Caterina, direttrice di una rivista “Lavori Femminili” editita dal 1914 al 1975; arricchita di ‘disegni  per tutti i lavori donneschi e letture amene’. Assieme all’Eco di donBosco erano gli unici periodici editi nella nostra città.

Del civ. 36a, due appartamenti sovrapposti (uniti da scala a chiocciola) furono comperati da Bottaro Caterina (o Bottero, nata a Carcare e deceduta dopo frattura del femore per scivolamento a terra) per iniziarvi aiutata da suore laiche un rifugio assistenza per orfanelle. 

         

Bottaro Caterina, fondatrice

della casa famiglia s.Cuore

Nel 1936 avendo acquistato il palazzotto retrostante la strada, allora numerato 36A-cancello (oggi localizzabile in  via Battaglini), dopo averlo munito di cappella privata, riscaldamento, dormitorio ed adeguati servizi vi si trasferì: nel 1950 risulta chiamarsi “casa famiglia del Sacro Cuore, per Orfane povere ed abbandonate”.

L’istituzione fu poi regalata alla Fondazione di religione ‘Cenacolo Domenicano’ (ente morale, con sede a SestriPonente in via Vado, del quale era stato direttore il sac. Viola Giuseppe milanese del 1807); questa congregazione a sua volta cedette l’immobile nel 1966-7 alla soc. san Tomaso d’Acquino di Sestri che rimase proprietaria per uno o due anni finché  lo rivendette  all’impresa  Salus, che costruì via Battaglini.

Sulla via GBMonti, tra il civ. 36 e 38  esiste ancora il cancello d’ingresso -seguito da una scalinata privata che portava alla “casa famiglia del Sacro Cuore”- orfanatrofio femminile ; ove si stampava pure un periodico intitolato “Lavori Femminili”(nel 1950 aveva direttrice Rina Bottaro; aveva pagine con dei ricalchi da –col ferro da stiro- riportare su tela e ricamarli).

   Questa proprietà confinava a nord con quella Boccalatte –  che arrivava sino alla salita Belvedere a fianco della palazzina omonima,  e ad est con quella di Antonio Bagnasco.

All’incrocio con via Battaglini, la strada trapassa in via dei Landi. La palazzina posta sopra il muraglione e di pertinenza di via Mignone, però in precedenza delle nuove strade, era il civico 30a di via GB Monti.

 

DEDICATA       

 


al pittore sampierdarenese, nato il 20 dic. 1797 (anno della proclamazione della Repubblica Ligure; Sborgi scrive nato 1794) nel ‘palazzo Queirolo’ (in via San Pier d’Arena, subito a ponente della casetta della Delegazione di Porto – in piazza della Sanità, di fronte alla crosa dei Buoi-. Queirolo, assieme a Calvi, lavoravano nell’industria dell’olio e furono tra i firmatari per l’erezione del Modena), da papà Angelo -sarto- e da AngelaMaria Tasso.

   


Ebbe numerosi fratelli, dei quali si sa solo di uno divenuto sarto; uno capitano marittimo,  e due ricamatrici.

  A 17 anni entrò all’Accademia Ligustica di Belle Arti di Genova, nella sezione disegno, e subito si distinse quale migliore allievo del corso; però essendo di spirito indomito e di carattere irrequieto ed eccitabile, forse sentendosi frenato dalla locale prevalente ed indiscussa cultura classica, o incompreso, preferì trasferirsi a Bologna (del cui soggiorno mancano totalmente tracce e documenti); da qui a Roma, attratto da un’idea di maggiore libertà espressiva e dal gusto preromantico di Camuccini, e dalla compagnia di amici (tra cui i pittori Francesco Baratta e Giovanni Fontana, l’architetto Nicolò Laverneda e lo scultore Giuseppe Gaggini, tutti inviati colà dall’Accademia genovese: alla caduta dell’impero francese , la Ligustica nel 1815 stanziò una somma -promossa dal nobile Marcello Luigi Durazzo- utile per inviare il migliore alunno per ogni specialità, a studiare e perfezionarsi a Firenze o  Roma); iniziò a produrre qualche opera, andata oggi dispersa (un “Sansone”); vinse il primo premio per l’anatomia nel 1818; finché nel 1820 in venti giorni eseguì un “san Gerolamo in atto di penitenza”, per partecipare ad un concorso di pittura -indetto dall’Accademia romana di san Luca-: la cronaca ricorda che il direttore, addirittura Antonio Canova, gli cinse solennemente il capo con una corona d’alloro (come era allora in uso per testimoniare il massimo dell’onore),  decretando così un trionfo per il giovane e per l’opera (posta nella chiesa di san Luca, viene considerata un capolavoro: rappresenta il santo, in grandezza naturale, in atto di umile penitenza; l’Alizeri ricorda che Vincenzo Camuccini -valente pittore che già faceva scuola ed da cui il Monti aveva iniziato a fare il discepolo - lo declamò affettuosamente ma sinceramente “mio maestro”. In effetti il tratto pittorico appare potente e sicuro, quale fosse stata opera di un esperto e già declamato pittore).

   Intensa divenne la richiesta della sua opera, specie come ritrattista, divenendo valentissimo, uno dei più significativi del suo tempo, sapendo cogliere i maggiori risultati di freschezza dell’immagine, rispetto i cosiddetti tradizionalisti (dipendenti da una cultura accademica più rigida e rallentata in un periodo in cui il linguaggio pittorico era evidente movimento innovativo). La sua opera si colloca in posizione di spicco del primo romanticismo genovese.

  Non specificatamente attivo nel ramo, però produsse anche affreschi, di cui è tipico un autoritratto conservato nel Museo dell’Accademia Ligustica e nel quale viene colto un “progressivo superamento della nettezza disegnativa accademica, in nome di un uso più nettamente costruttivo del colore”.  Sborgi precisa “personalità più significativa – e tenderemmo a dire unica – nell’ambito dell’adesione al romanticismo emozionale… formatosi all’Accademia e morto giovanissimo a Roma dove sembra che seguisse anch’egli gli insegnamenti del Camuccini”.

   Morì appena ventiseienne, il 12 dic.1823 a  Roma, dopo giorni di atroci spasmi e dolori cerebrali (la morte prematura, e la fama raggiunta rapida a livelli così eclatanti, indussero a pensare ad un avvelenamento -anche per gelosia professionale; ancora usava allora, con pochi scrupoli, anche se la diceria proseguiva dicendo che l’avvelenatore  sarebbe morto a sua volta il giorno dopo, precipitando in un burrone-; la maldicenza mai fu provata, e non appare probabile: rimane quindi la malattia infettiva -come una otite o meningite- il movente più logico a giustificare il luttuoso episodio).

   Lasciò non molte opere;  qualcuna anche negli USA; in Italia persistono solo alcune tele nelle case private e nelle chiese romane. Alla Ligustica abbiamo quattro dipinti: due di essi, un “ritratto della sorella Anna” (olio su tela di 46,5x56,2); ed un  “autoritratto con colletto bianco”( olio su tela di 47,5x31, ambedue donati dalla sorella Giulia il 4 lug.1877, anteriori alla sua partenza) “rappresentano una significativa, ma non particolarmente emergente, interpretazione in chiave latamente romantica della ritrattistica tardo-neoclassica”. Gli altri due,  la “testa di vecchio barbuto” (olio su tela, di cm 47x35), ed un “autoritratto(olio su parte tela e parte cartone, ambedue del periodo romano ed ambedue provenienti all’Accademia da un legato del 1857, del marchese mons. Stefano Rossi) “mostrano una modernità di concezione che è indubbiamente difficile a riscontrarsi in quegli anni non solo nella cultura romantica genovese,  ma anche in quella italiana, tanto da porre, paradossalmente, alcuni dubbi sulla paternità del dipinto”

   E’ opportuno distinguere il Nostro, spesso confuso con un omonimo pittore genovese nato nel 1610 e morto di peste nel 1657. Quest’ultimo, lodato da G.Reni; citato dall’Alizeri, in enciclopedie e nel “dizionario biografico dei genovesi”;  fu allievo di Luciano Borzone e condiscepolo del coetaneo Mainero;  incisore in rame sul libro (1644) ‘L’Ateone’ di GB DiNegro.

BIBLIOGRAFIA

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-Alizeri F.-Guida    artistica per la città di Genova.-Sembolino.1875- 

-Archivio Storico Comunale

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-FaldiEF.-Spirito eletto sotto ruvida corteccia-DonDaste.1975-

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-Genova -Rivista municipale :   1/39.28autoritratto e 2 quadri  +  4/39.1  +  5/67.48 

-Gente di Li.Almanacco.103 

-Il Cittadino, quotidiano. 07.10.1997-pag.9   

-Il Secolo XIX.   :  9 lug.1998   +   5.2.02  +   .4.04 +

-Lamponi M.- Sampierdarena – Libro Più.2002- pag.189

-Maira Niri M.-La tipografia a Genova...-Olschki.1998-pag.280.XXX.

-Medulla M.-Sampierdarena-DeFerrari 2007-pag. 22

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-Miscio A-La seconda Valdocco- Elledici.2002- pag. 378 vol.II

-Morabito L.-Il mutuo soccorso- ist.Mazziniano.1999- pag. 432

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-Poleggi E. &C-Atlante di Genova-Marsilio.1995.tav. 22.34

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-Sborgi F.-pittura e cultura artistica nell’Acc.Lig-Quaderni Ist.St.Arte-n°7

-Società S.Maurizio - relazione storica.1977-   

-Stradario del Comune di Genova- edizione 1953-pag. 119

-Tuvo T.-SPd’A come eravamo-Mondani.1983-pag.34

-Tuvo&Campagnoli-Storia di Sampierdarena-D’Amore.1975-pag.109fot.203  

-           

non citato su Enciclop. Motta  + Novella non lo include tra i “figli”  +

 

da cercare:

ed.1991-II-pag. 925=Beccaro R.-GBMonti- in La pittura in Italia, l’800- a cura di ECastelnuovo
MONTI                                            scalinata G.B.Monti

 

   Esiste tuttora la scaletta in cemento che  - attaccata al muraglione di contenimento a livello del primo tornante di strada - permette di accorciare per salire ai palazzi sovrastanti, con i quali si continua la numerazione civica dal 30 di sotto,  al 32 di sopra (anticamente era incluso anche il 30b, ora in via Mignone).

In origine esisteva una  evidente ripida fascia scoscesa, cosicché questo tratto di terreno verso ponente, è stato un po' l’ultimo ad essere edificato ed in alto aperto come prosecuzione della strada di quota 40.

Mentre ancora nel 1953, la scalinata aveva una classificazione autonoma,  con nome (scalinata G.B.Monti), targa (di cui residuano le zanche infisse tra le pietre), n° di immatricolazione:2810;  nel tempo successivo le fu tolto  d’ufficio questa dignità, declassandola a banale congiunzione tra due tratti di strada.

Nel 1992 un giovane, caduto e morto per precipitazione dall’origine della scalinata, mise in discussione struttura, manutenzione  e funzionalità del manufatto, che all’ispezione però apparve regolare.  

Singole iniziative mirate a ridare autonomia topografica, sono finite nel silenzio della non risposta da parte dell’incaricato del Comune.

Nel 2009, per interessamento diretto e insistente di un abitante della zona (sig. Bertaglia Giorgio), presentando documentazione e reclamo, la Municipalità ha riconosciuto il titolo autonomo ripristinando la targa.

 

BIBLIOGRAFIA

-Gazzettino Sampierdarenese:  1/93.13 in cui si fa confusione tra via GBMonti e via dei Landi

-Stradario del Comune di Genova- edito 1953-pag.119

non c’è  sul Pagano e nello stradario dei VVUU del 1968  +


MONTICELLI                                 vico Monticelli

 

 

Un vico così chiamato, era posto a levante di via della Cella superiore; oggi essa  è una rientranza, chiusa in fondo, facente parte della stessa via della Cella.

Era posta a mare della villa Serra-Monticelli e dagli ultimi proprietari di essa aveva preso il nome, dato senza ufficialità ma sempre -come in uso sino alla fine dell’800- in funzione di definire una zona in base all’elemento ivi esistente di maggiore conoscenza pubblica.

Nel dic.1900 fu ufficialmente proposto ed assegnato il nome di “vico Nicolò Bruno”; e così appare ancora nell’elenco stradale del 1910.

Nel Pagano/25 compare  ancora, come ‘via N.Bruno’, con presenza dei calderai in rame e costruzioni meccaniche, al civ. 5-7r, Palandri A. & C.

Negli anni prebellici la titolazione all’ingegnere fu trasferita altrove (vedi),  lasciando anonima questa piccola traversa.

 

Nel cartolario dell’abbazia di Promontorio, c’è un “censimento delle anime” scritto dal parroco don Brizzolara nel 1907. Vi compare - come se fosse una strada o una zona - il nome “Monticelli” e sono registrati in essa i  seguenti abitanti

1-Corti Giacone fu Costante, Nozzoleni Sofia fu Carlo-Figli: Ioanna 14-Ferruccio 8- Carlo 4- / (ogni / è una riga saltata)

2-Ponte Giuseppe fu Stefano – Traverso Assunta fu Giuseppe- Figli: Maria 18-Eugenio 15- Pasquale 12 ///    (Prosegue con:)

3-  Burattini, moglie, figli; ////4- Rebora, (con figlio, nuora e nipoti); / 5- casa Rebora-Cardinale Emmanuele ecc;/// 6-Conte ecc.; /// 7-casa colonica-Bruzzo ecc. più Ligalupi ecc.; / 8 Cappa  e Cardinale , ecc.; / 9- Monera ecc.; // 10 Facco //

11- casa canonica –d. Giovanni Novara rettore- Maria Traverso domestica-/ rev.cappellano- d.Righetti MarioLuigi più Cesarina Gotuzzo ved. Righetti avola;  //

12- Bruzzone ecc.; // 13 Spazzarini ecc.; // 14 casa Parodi ecc.; // 15 Musacchi ecc.; più Balducelli ecc.; // 16- Campanella ecc.; 17 Morando ecc.; // 18 Mander ecc.; // 19 Bruzzone ecc.; -Semino ecc.; Parodi ecc.; /// e prosegue fino a 39

Potremmo farla risalire  a salita Belvedere-corso dei Colli, unica spiegazione è che il pastificio fosse indicativo di tutto il percorso per arrivare a Belvedere; ma:

--la casa canonica con i due sacerdoti, la riporta più verso via Aporti

--non può riferirsi alla traversa di via della Cella;

--sono continuazione di essa, ma iniziavano da dopo l’attuale  via NDaste;

--la parte bassa della salita doveva necessariamente essere sotto la parrocchia della Cella, quindi evidentemente la territorialità parrocchiale di Promontorio scattava da più alto.

BIBLIOGRAFIA

-Archivio parrocchiale di san Bartolomeo della Costa di Promontorio

-Archivio Storico Comunale

-Pagano/1925   pag. 1822
MORO                                     strada Aldo Moro

 

TARGA :

San Pier d’Arena - strada – Aldo Moro – uomo politico – 1916-1978

                                                                      

 

QUARTIERE ANTICO: Coscia

N° INFORMATICO:   41390

 da Pagano 1967-8

 

UNITÀ URBANISTICA:  -28  -   il solo tratto iniziale

       

da Google Earth, 2007. Verso Genova            idem, da Genova

 

CAP: non esiste, non possedendo civici per assegnare oggetti postali

STRUTTURA:

È il nome dato alla “sopraelevata”, che -iniziando da ovest- da  via A.Cantore da dietro al civ. 8, e da via di Francia collegata all’elicoidale per l’autostrada   arriva alla Foce. Ufficialmente la strada appartiene alla Foce, percorrendo solo un breve tratto in territorio nostrano.

Iniziando invece da Genova, vicino alla fine del tragitto si biforca facendo scendere un ramo in via di Francia, ed uno che  mira all’autostrada; ma appena passato sopra via A.Cantore, a destra si biforca per inserirsi in via ACantore davanti al Novotel

E’ proibita al transito degli automezzi pesanti e dei ciclomotori di piccola cilindrata, ed ha un limite di velocità lievemente superiore a quello cittadino: l’uso di telecamere per multare gli indisciplinati, non ha funzionato nel tempo neanche come deterrente. L’autovelox è saltuariamente applicato dai VVUU nascosti, solo come acchiappasoldi e non preventivo.

Nel percorso, erano  previste stazioni di richiamo SOS, non esistendo piazzole di sosta. Ma già nel 2000 non funzionavano più.

STORIA

L’adozione delle “corsie riservate” negli anni 1963-4, risolse solo in parte i problemi dell’intasamento del traffico nel centro cittadino: si dovette studiare un nuovo sistema “decongestionante”, creando una nuova superficie stradale che assorbisse almeno quella parte di traffico diretta agli estremi cittadini.

La sopraelevata –già inserita nel PRG del 1959- fu costruita (quando in città erano immatricolate solo 120-130mila macchine), obbligando la demolizione di vecchi fabbricati per 300mila m³ (tra cui nel luglio 1964 del Ponte Reale, appendice al palazzo Balbi - poi Durazzo e poi reale, costruita agli inizi del XIX secolo dall’arch. Tagliafichi Domenico per collegare la casa reale con l’arsenale).

Progettata dall’ing. Luigi Miranda, fu eretta - rinunciando alla scelta di farla in cemento - con oltre 14 mila tonn. di acciaio della CMF (Costruzioni metalliche Finsider; ovvi dei supporti di calcestruzzo).

I lavori, iniziati il 12 feb.1964 furono portati avanti abbastanza rapidamente: lunga 4600 m (il Secolo scrive 4507m escludendo gli svincoli); larga 16,1 m per due corsie per direzione; con spartitraffico centrale e due marciapiedi di poco meno di un metro ciascuno; sorretta da 205 piloni (il Secolo dice 210); fu collaudata  da una colonna di autocarri a pieno carico del peso di 660t..

Fu inaugurata il 6 sett.1965 (Pastorino&VBigliero dicono il 5 sett.; il Secolo scrive il 25 agosto); capace di far scorrere 1800 mezzi all’ora  (oggi supera di molto i 2000).

Fu dedicata allo statista dal Consiglio comunale con delibera del 1 marzo 1979.

Il costo, sostenuto dal Comune, sommò a 1752 miliardi abbondanti.

Risulta essere strada a scorrimento veloce, senza corsia di sosta né emergenza, limitata al traffico leggero.

Soggetta a corrosione, un primo intervento consistente si ebbe nel 1985 e si concluse tre anni dopo con il cambio del colore dal grigio al bruno bronzeo. Per 700 milioni, nell’anno 2001 furono fatte riparazioni lavorando di notte: un intero ‘maquillage’ prevedrebbe rinnovi di parti divenute ‘non più a norma’, come i guard-rail e le colonnine SOS, rapidamente obsolete (che non funzionano più sostituite dai telefonini privati).

Grossi interventi sono stati fatti in zona piazza Cavour (eliminando una rampa di accesso) e nel 2006-8 alla Foce, nel rifacimento della copertura del Bisagno.

Di essa, solo il primo tratto, con tutti i tre accessi e due svincoli, è nella zona di nostra competenza. A lungo si auspicò la continuazione sino almeno a Sestri, opportuna sia per alleggerire il traffico sampierdarenese   che per il collegamento con l’aeroporto.  Nel 1998, ripetuto nel 2002, si lanciò anche un referendum se conservarla o aprirsi a nuove iniziative stradali (un ponte od un tunnel); ma la sopraelevata raccolse innumerevoli voti di benemerenza... almeno finché gli altri non saranno realizzati.

Purtroppo non mancano gli incidenti, anche mortali. In tale conseguenza, nel 2007 è stata preclusa alle moto nelle ore notturne.

Ancora nel mirino nel 2011: sia per la qualità del guard rail imputato di essere tagliente insicuro, ma la cui sostituzione risulterebbe troppo gravosa; e sia per l’installazione di un ‘Tutor’ (apparecchio elettronico che controllando il tempo di percorrenza - dall’entrata di un veicolo all’ uscita – valuta che la velocità, non superi i 60 km/ora)

 

                                                   foto anni 1980 – Gazzettino Sampierdarenese

Alcuni sommi architetti la vogliono demolita perché antiestetica rispetto il centro storico che attraversa ed a cui preclude la vista mare; altri la vogliono sia per la comodità e sia perché è anche una bella passerella per i turisti. Vincono i secondi perché non ci sono soldi per scelte alternative.

 

DEDICATA

allo statista politico leccese, nato a Maglie (LE) il 23 settembre 1916.

Cresciuto nelle fila dei giovani cattolici della FUCI, si laureò in legge (divenendo professore di diretto penale all’università di Bari) e si dedicò alla politica attiva reggendo vari dicasteri. Divenne poi segretario di partito (1959-65), poi deputato democristiano (la DC, popolarmente chiamata ‘scudo crociato’, allora -negli anni 1945-60, era il maggiore partito politico in Italia).

Abile oratore, iniziatore di quei bizantinismi nei discorsi capaci di essere letti in più modi affermando il tutto ed il contrario di tutto, propugnatore del ‘ni’ (che non era né no, né si) e delle ‘divergenze parallele’.

Nel 1963, dimostrandosi esperto nell’arte politica del tessere accordi utili, favorì la formazione del primo governo di centro-sinistra alleandosi con il PSI (il ‘centrosinistra’). Divenne presidente del consiglio (1963-68; 1974-76)

Dal 1969 al 1974, ministro degli affari esteri, risolse il problema della regione altoatesina e partecipò attivamente a tutte le iniziative miranti a  creare l’Europa.

Protagonista quindi, perché capo di un partito che da oltre un ventennio aveva dominato la vita pubblica fin dalle prime elezioni, quando i comunisti, protagonosti sull’altro fronte e sullo slancio dei partigiani, rimasero fortemente delusi in quanto si erano sentiti sicuri di vincere.

Nel PCI, a fianco della massa, inserita ed adattata nel sistema (anche se con successive riedizioni e sempre nuove generalità), della potente, efficente e zelante macchina da guerra dei suoi iscritti -vogliosi di rivoluzione e capovolgimento del potere- schizzarono fuori le schegge estremiste, la stella a cinque punte delle brigate rosse, le B.R.. Per loro la politica in atto era un allontanarsi dall’ideologia comunista, quindi un produrre criminoso che giustificava la criminalità poltica, attuata con soluzioni gordiane: per distruggere la DC occorreva prima intimorire ma poi soprattutto distruggere i notabili di quel partito. Per il Fronte popolare comunista, inneggiante a Lenin e successore, libertà e progresso era essere loro al potere, e non la DC che rappreentava la bieca reazione. 

Il 16 mar 1978, fu rapito a Roma in via Fani da un commando delle B.R.. Questi - uccisi nell’agguato i cinque uomini di scorta (due ancora seduti al loro posto sulla vettura del ministro – non blindata - e tre sulla alfetta al seguito) - trattennero per 56 giorni il deputato: lo “processarono” prima di farlo trovare cadavere, abbandonato nel bagagliaio di un’auto il 9 mag.1978.

Enorme lo sdegno internazionale; gravi e pesanti i giudizi e gli intrecci di quei terribili giorni con ovvie ripercussioni politiche; bisticci tra la linea dura e quella delle concessioni (la quale –secondo i primi- pur di salvare lo statista, dimenticò quei cinque servitori dello Stato che non avrebbero dovuto esserci come trucidati, per intavolare trattative).

Tutto, ancor oggi non completamente chiarito. Perché fu rapito nel momento in cui stava andando a Montecitorio per varare un nuovo governo Andreotti, il quarto, nel quale anche il PCI entrava nella maggioranza. Lo stesso Moro, alcuni giorni prima aveva dichiarato che la DC aveva bloccato il PCI, ma il PCI a sua volta bloccava la DC, e quindi occorreva una intesa mirata a sbloccare l’impasse per riuscire a governare il paese.

Ma forse la macchina organizzativa degli estremisti era già in moto da molto prima; o forse un potere parziale non soddisfaceva l’esigenza del totalitarismo.

Con la lentezza necessaria, la macchina della giustizia ha poi fatto luce sui colpevoli: confessioni e spiegazioni hanno chiarito la dinamica di tanta ferocia,  anche quella ideologica.

 

BIBLIOGRAFIA

-ArchivioSC Toponomastica, scheda 2975/a

-A.non conosciuto-Storia del trasporto pubblico a Ge.-Sagep.1980-p.285

-AA.VV.-Annuario-guida archidiocesi-ed.1994. (è citata, ma è di nessuno)

-CMF-Ge., viabilità e infrastrutture- WTC.1989-

-Enciclopedia Zanichelli

-Gazzettino Sampierdarenese  :  9/86.1  +  5/87.6

-Il Secolo XIX  :  2.10.98 + 28.12.00 +  18.01.04

-Pastorino.Vigliero-Dizionario delle strade di Genova-Tolozzi.’85-p.1258

-PetrucciVE articolo  

-Poleggi E. &C-Atlante di Genova-Marsilio.1995-tav.36


MORO                                          passo Moro

carta del Vinzoni 1757. In blu, le chiese

 

 

Vinzoni 1757

Fucsia=proprietà mag.co Giuseppe Lagomarzino

                Oggi corrisponderebbe a via Caveri 11= Moro?

Giallo= ecc.mo generale GioLuca Pallavicini→mag.ci Rovereti

           →DurazzoPallavicini→Currò→ScuolaCivica →SuoreFiglieSAnna

Verde= sig. Ghezzi

              →DeMarchi→march Pareto Domenico→SocMetall.Produzione

Rosso= ecc.mo GB Grimaldi

            →TeresaDurazzo Pallavicini→Salesiani

Celeste= sig. Carlo Peragallo

             →Montano Negrotto → Moro?→vedova Moro?

1906

in rosso, la proprietà salesiana con a destra la villa Durazzo Pallavicini

in celeste, la proprietà “vedova Moro” con la strada “a proprietà vedova Moro”. In verde la soc. metallurgica. A destra via Giovanni Bosco

 

Per il vico in oggetto, si offrono due possibilità, senza la capacità attuale di dare una risposta:

A)=Per la cartina del 1906, villa Moro con relativa strada (altrove descritto Fosso Moro, e nella carta del Vinzoni si vede che corrisponde ad un rivo torrenziale) è ben leggibile nell’appezzamento di terreno color celeste, già appartenente ai MontanoNegrotto.

B)=A voce, da anziani, la villa di via Caveri, in fucsia, era una villa Moro.

 

Se fosse vero A), dal Vinzoni si rileva che i terreni di Peragallo non possedevano alcuna villa ma solo una casa. Ma una villa potrebbe essere stata costruita dopo dai MontanoNegrotto (una carta del 1890, nello stesso angolo azzurro mette “proprietà Montano” e la strada è “passo MontanoNegrotto”). A questi sarebbero seguiti i Landi e -dopo loro- i Moro (già c’era nel 1904) e, nel 1906 dalla vedova Moro. E nella seconda immagine  sta proprio scritto la strada che dalla attuale via P.Cristofoli (a sua volta collegata da un lato con nuova strada comunale che verrà chiamata Giovanni Bosco) dall’altro lato (poco a nord della antica villa Bianca, poi dei Salesiani) deviava attraversando la ferrovia (per arrivare al Parco del Campasso) con un cavalcavia progettato in ferro e portandosi verso nord

Con l’erezione dei palazzi di via Cristofoli e via Ardoino, il sentiero fu cancellato: infatti in quest’ultima carta si legge nel tratto attuale via Cristofoli-via s.G.Bosco: ‘passaggio in sostituzione di quello a nord a sopprimersi a servizio dei proprietari a monte’.

 

Se fosse vero B), -vedi via A.Caveri civ.11 -  la villa era quella di Lagomarsino, e poi divenuta Moro; oggi distrutta e sostituita da un grosso caseggiato ad uso abitazioni. Il viale privato, che sbucava in  vico Cicala  fu affidato allo studio progettuale dell’ing. Bonistalli per realizzarvi delle case tramite la ‘soc. coop. edilizia La Moderna’ e  corrisponde all’attuale via A.Caveri  Pertanto non avrebbe nessuna attinenza con il vicolo vhe stiamo trattando.

 

DEDICATA - sappiamo che ad aprire l’oleificio (vedi in via Pittaluga), fu Tomaso Moro. Allo scopo acquistò – assistito dai figli - le due ville Negrotto e Pallavicino, con relativo terreno a monte delle ville stesse (vedi, nell’attuale via L.Dottesio) sul quale edificò lo stabilimento;  e che oggi è invece occupato dal grattaciuelo di via A.Cantore.

Alla morte di Tomaso (1904 circa), evidentemente la casa, divenne proprietà della moglie, vedova Moro (vedere le foto).

A fine secolo 1800, comprarono pure la “villa Boet”(non conosco dove fosse; ma Favretto che ne da notizia, la colloca in Corso dei Colli.  I Moro utilizzarono i terreni per dare il via ad una speculazione edilizia lottizzando l’intero parco).

 

BIBLIOGRAFIA

-AA.VV.-Il donBosco nella storia urbana-DonBosco.’97-pg31.39.52.57.61

-AA.VV.-Le ville del genovesato-Valenti.1984-pag.108

-Bosio&Pastor&Rinaldini-Il d.Bosco nella storia urbana-DonBosco1997

-Genova rivista municipale :  6/34.536  +  5/35.398

-Favretto G.-Sampierdarena 1864-1914 mutualismo e...-Ames.2005-p.175
MOSTO                                         piazza Antonio Mosto

 

   Attualmente la titolazione è in Albaro e non più a San Pier d’Arena .

   Agli inizi del secolo 1900, lo spiazzo appare esistere con il nome generico di “piazza Promontorio” (e con l’indicazione dell’esistenza di casa Frixione).   

Appare vincolato dalla Soprintendenza  un cancello e portale di una ex villa Doria poi Moro; forse di questa casa.

   Fu quindi dedicata al patriota: il suo nome appare citato a penna in una aggiunta posteriore alla stampa dell’elenco delle strade cittadine del 1910: “dal corso dei Colli” (poi corso Dante Alighieri, oggi corso L.Martinetti) ”alla via Porta Angeli, con civici sino al 6 e 7”.

  In quell’epoca vi erano delle trattorie, chiamate ‘Caegà’ e ‘Baggetto

  Nel 1926, riscontrando esistere una omonima via in Centro, dal Comune genovese fu deciso il cambio della titolazione che avvenne ufficialmente dal 19 agosto 1935 quando fu  dedicata a Francesco Gandolfi (il cui nome già è accennato dal Novella). Con questo nome ha  persistito sino alla completa personale cancellazione avvenuta nel 1998-9 anche come piazza a sé, per essere considerata ultimo tratto di corso L.Martinetti.

  Al civ. 1r –ancora segnata nella piazza A.Mosto- nel 1940 c’era l’ “Osteria - di - Barabino Attilio / cucina casalinga – vini fini del Piemonte (per vino £.1,6; pane e coperto £.2; pastasciutta £.5; carne alla milanese £.6; rosto con contorno £.5; frutta £.2; tot £. 21,80)

   Sulla facciata del civ. 5, furono apposte :

---una lapide-edicola con in un tondo l’effige della Madonna e sotto la scritta “tota pulcra est Maria”; un altro piccolo marmo sottostante ricorda la data “5 settembre MCMXX”

---una lapide ricordo “Promontorio e Belvedere – ai loro – gloriosi caduti”. Ricordo caduti in guerra   - (a destra)  cap. Molaschi Giuseppe – serg. Mora Fancesco – cap.m. Bevegni Andrea – Bruzzo Agostino – Campodonico R*** - serg. Carlo Scorta***   - (a sinistra) Bruzzo Enrico – Cappanera Antonio – Mascardi GB – Molinari Enrico – Podestà GB – Solenni Mario “ ( ***da ricontrollare i nomi)

 

   Una lapide, ricorda i caduti in guerra del quartiere Promontorio

   Dalla piazzetta, inizia la strada che porta  “alla vetusta chiesa di san Bartolomeo della Costa, che sorge a capo di un ridente poggio, che domina la sottoposta vallata”

 

DEDICATA al genovese, nato il 12 lug.1824, distintosi per le sue scelte fondamentali di vita, tutte  mirate all’unificazione d’Italia.

                          

lapide a Mosto in via Vallechiara a Genova            ritratto

Optò fin da giovanissimo schierandosi a fianco delle idee mazziniane e dell’azione garibaldina, sanando in quanto amico di entrambi, gli eventuali dissidi di “primattori”; Mazzini scherzando, di lui diceva “vi presento l’amico Mosto. Egli non gioca, non beve, non bestemmia, non fuma. Ha solo un vizio: quello... di non averne nessuno”.


Abitava una casa a Genova, in via Vallechiara, ove è posta una lapide con busto bronzeo: “abitò questa casa / Antoniuo Mosto / duce / dei carabinieri genovesi / da Palemo a Mentana”.


Nel 1854 è già presente nel sociale, quale socio della genovese “Società Filantropica Alimentaria”, mirata a combattere il carovita usando il sistema dell’acquisto di merci all’ingrosso e rivendita al minuto a prezzo praticamente di costo.La società visse per un anno e mezzo e costituisce l’abbozzo delle prossime a venire cooperative.

Il 29 giu.1857 partecipò ai moti genovesi con conseguente condanna a morte, che evitò fuggendo all’estero. Seguì amnistia.

Assieme a Bartolomeo Francesco Savi (che morì suicida nel 1865), fondò i Carabinieri Genovesi, specialisti nel tiro con l’arma che si rivelò assai spesso decisiva nel “colpire nel mucchio” falcidiando le truppe nemiche ancora ancorate alla formazione di compatto quadrato, che poi guidò nelle varie spedizioni garibaldine.

Furono volutamente dimenticati dalla storiografia ufficiale, perché partiti come mazziniani-repubblicani. Il reparto partecipò a tutte le operazioni dal 1850 al 1870; nacquero infatti agli inizi del 1851 quando fu ufficialmente fondata la “società di tiro a segno”, che promsse l’uso della carabina - con gare ed esercitazioni domencali, fatte a proprie spese compreso l’arma, tra le quali fu preferita –divenendo poi d’ordinanza - la carabina a canna rigata e di piccolo calibro fabbricate in Belgio ed allora in dotazione dei tiratori scelti svizzeri – i quali si chiamavano  scharfschützen o carabinieri). Considerate le spese personali da sostenere, i frequentatori erano piccoli borghesi commercianti o professionisti; pochi i popolani, rari i ricchi (come Mosto, appartenente a famiglia di negozianti). Aciuto è il loro ruolo nella rivolta genovese del 29 giugno 1857 che fallì dopo aver conquistato forte Diamante: il centinaio di arrestati (tra i quali A.Mosto –fuggito- e FB Savi) furono rinchiusi in sant’Andrea e condannati a pesanti pene detentive che scontarono in parte, fino al 28 aprile 1859 quando con la guerra all’Austria furono amnistiati per poter partecipare alla campagna militare dapprima distribuiti nelle varie compagnie di Cacciatori delle Alpi e solo dopo formando un corpo separato con divisa grigio-azzurra e che fu completato (causa morti e promossi)  da volontari lombardi. Combatterono a Malnate (26 maggio 1859) in 28 contro oltre 400 tedeschi. Nel 1860 erano una quarantina a partire il  maggio da Quarto, e divenne loro comandante  Antonio Mosto (ma non potè essere presente perché condannato a morte – in contumacia- per la parteciazione ai moti del 1857); combatterono a Marsala e Calatafimi, messi in prima fila subendo gravi perdite (15, tra morti e feriti) ma producendone di peggio; fino a Palermo venendo via via rinforzati con altri elementi provenienti da Genova con Pianciani: nel passaggio in Calabria erano un battaglione di 180 con 4 ufficiali. A settembre 1860, Mosto fu reintegrato al comando fino al Volturno ed a novembre quando il corpo fu sciolto perché diventavano leggendari ma sospetti di essere presenti non per obbedienza quanto per propagandare le idee repubblicane. Nel frattempo, le società di Tiro a segno si erano moltiplicate. Ripresa nel 1866 la guerra all’Austria: non furono molto graditi, e  quindi inseriti assieme ai bersaglieri volontari, denominati anonimamente ‘corpo di volontari’, insieme a ginnasti delle soc. Ginnastica genovese; il tutto durò un mesetto (dall’1 al 24 luglio)e si concluse con Custoza col rimpatrio e scioglòimento. Nel 1867 Garibaldi iniziò (con 100 carabinieri inseriti in un battaglione di bersaglieri ecomandati dal maggiore Mosto, raggiunti da altri 300 provenienti da genova) una campagna nel Lazio che durò soli pochi giorni e durante la quale Mosto fu gravemente ferito alla coscia dx. lascando il comando a Luigi Stallo. Il 3 novembre combatterono a Mentana ed  il 5 novembre 1867 Garibaldi li sciolse.

Nell’autunno 1870 i volontari con Garibaldi accorsero a Digione in Francia entrando nell’armata dei Vosgi: qui dovettero cambiare le vecchie carabine divenute obsolete e, quando a febbraio del 71 finirono le ostilità, furono sciolti con la consapevolezza che non sarebbero più stati richiamati essendo stato adottato il servizio militare obbligatorio nazionale. Solo a livello locale rimase in vita la società dei Carabinieri Genovesi, almeno sino alla fine del 1800.

           

                                                              lapide murata a Tursi del “Tiro al bersaglio”

Fece pressoché tutte le campagne militari garibaldine, dal 1849 al 1860 in Sicilia (ove a Milazzo fu decorato con medaglia d’oro al V.M. per il comportamento in battaglia quando pur perdendo metà dei suoi carabinieri genovesi, seppe dare l’esempio  reggendo valorosamente la sua posizione. Garibaldi donò a lui ed ai suoi soldati una bandiera italiana ricamata dalle donne napoletane; essa pervenne a Genova nel 1861 ed è gelosamemnte conservata al Museo del Risorgimento,  usata per particolari cerimonie –come il funerale a Mazzini- (dei “mille”, quarantatre (59 scrive Badinelli) soldati portavano quel nome ‘carabiniere’ derivato dall’arma in dotazione di produzione svizzera; dapprima invidiati per le belle carabine federali portate da casa (come pure la divisa) ed usate per le gare di tiro a segno, poi per il nome glorioso che si fecero combattendo: marciavano sempre in testa alla colonna formata dalle otto compagnie dei Cacciatori delle Alpi.

Già allora mostrava più anni di quelli che aveva, causa la barba piena e lunga, sguardo acuto gettato sempre in avanti attraverso gli occhiali con montatura dorata: sembrava “tra un asceta e un archeologo che da quelle parti andasse cercando ove fu Segesta. Quel che valesse per fegato e cuore, chi non lo sapeva, lo indovinava” o lo veniva a sapere dal racconto delle sue gesta: dal suo fare durante i moti, al 1866 quando fu nominato comandante di un battaglione di volontari genovesi (vedi ad Armirotti); al 1867 quando fu ferito a Monterotondo nell’ Agro Romano.

Divenuto uomo politico, partecipò in modo decisivo quale intermediario tra Mazzini e Vittorio Emanuele II (in vista di un accordo tra governo monarchico e partito d’azione repubblicano). Fu attivo nel 1863-4 per la liberazione del Veneto; fu incaricato di presiedere a numerosi comitati.

Nel 1851, a Genova aveva partecipato, divenendo consigliere a fianco di Stefano Canzio  ed altri, alla fondazione della “ società del tiro nazionale per la Provincia di Genova”, avente lo scopo di fornire i mezzi all’esercizio del tiro al bersaglio, preparando provetti tiratori; la società divenne fucina, dalla quale emersero tutti i giovani che formarono il corpo garibaldini dei Carabinieri, e seppero distinguersi nelle varie battaglie, guidati appunto dal Mosto col grado di colonnello, poi di generale.

Nel 1870 si ritirò dalla vita pubblica , dedicandosi al commercio, pur sempre partecipando attivamente -anche economicamente- alla causa dell’indipendenza, e impegnandosi nell’ambito del movimento democratico soprattutto contribuendo allo sviluppo dell’ associazionismo operaio. Il 23 marzo di quell’anno, risulta presente ad una riunione tra cospiratori  del Comitato rivoluzionario, assieme a S.Canzio, ad una riunione con Mazzini venuto a Genova da Lugano: lo scopo era fare il punto insurrezionale, con la agognata méta di una Italia anche repubblicana, ma -più impellente- di Roma capitale, anche se purtroppo monarchica.

A Marsala arrivò come capitano (avendo FB Savi come tenente, S.Canzio sergente, D.Uziel caporale)

Con questo spirito continuò la lotta politico-sociale, sino alla fine  avvenuta in Genova il 30 giu.1890.

   Una lapide con ritratto fu posta a memoria in largo della Zecca (via Vallechiara); ed il busto a villetta DiNegro.

   Esistono un Mosto Carlo, genovesefratello di Antonio che nella sèpedizione dei Mille morì a Palermo sulle alture del Parco: inseguito dai borbonici, stremato, attese il loro arrivo rassegnato e così fu finito a colpi di baionetta. Ricordato in una lapide nell’atrio di Tursi, che fu semplice  milite – incluso nei ‘Carabinieri genovesi’ – sbarcati a Marsala con Garibaldi; quando il nostro Antonio era di essi il capitano (e Stefano Canzio sergente, Uziel Davide caporale). E risulta che fu -sempre quale Carabiniere genovese -  poi  incorporati nei Cacciatori delle Alpi.

Ed un Giovanni Battista Mosto, popolano genovese non imparentato con i precedenti. Analfabeta, si imbarcò sul Lombardo e fece tutta la campana di Sicilia; l’8 novembre 1860 si arruolò nella Regia Marina da guerra e fu lontano dal teatro di guerra così non poté dimostrarne la presenza se non molto dopo, su testimonianza di A.Mosto e S.Canzio e non poté riceverne neanche la pensione.

 

BIBLIOGRAFIA

-Archivio Storico Comunale

-Archivio Storico Comunale Toponomastica - scheda 2981

-AAVV.Pozzi E.-A G.Mazzini, inaugurandosi…-Sordomuti.1882-pag.105

-Badinelli D.-Provincia “garibaldina”-DeFerrari 2007-pag.30

-Bettinotti M.-glorie gastronomiche della…-La casana.II.1965-pag.20

-Cappi G.-Genova e le due riviere-Rechiedei.1892-pag.363ritratto    +

-DeLandolina GC – Sampierdarena -Rinascenza.1922-pag. 49

-Enciclopedia Motta

-Enciclopedia Sonzogno

-Genova rivista municipale : 12/34.1024ritratto   

-GiacomonePiana P.-Viva la carabina! ...-Microstorie.2010. IV-pag.29.49

-Morabito.Costa-Universo della solidarietà-Priamar.’95-p.163-4ritratto.168  

-Museo s.Agostino- archivio toponomastica

-Novella P.-Strade di Genova-Manoscritto- bibl.Berio-1900-pag. 15-6.18  

-Pagano/1933-pag.70.247---/1950 pag. 35.38

-Pastorino.Vigliero-Dizionario delle strade di Ge-Tolozzi.1985-pag.1261

-Salucci A.-Amori mazziniani-Vallecchi.1928- pag. 14

-Tringali S.-Sampierdarena 1864-1914 mutualismo e...-Agis.2005-pag.26
MUSSOLINI                                   via Arnaldo Mussolini

 

    Nome che volevasi dare ad un tratto di via di Francia, durante il ventennio fascista, probabilmente dopo la sua morte.  Ma nel 1933 ancora  non appare  nell’elenco cittadino.

   Dopo l’8 sett.1943, alla strada fu imposto dai fascisti di Salò il nome “via Dieci Giugno” (vedi), data dell’entrata in guerra.

   Alla Toponomastica non esiste una scheda con la sua titolazione.

 

STORIA  San Pier d’Arena pensò negli anni del fascio (dal 1929 circa) dedicare a suo nome una società ciclistica, facente parte dei ‘Gruppi Rionali’(organizzazione capillare dello sport, con sede nella casa Littorio di via G.Mameli).

Nel Pagano 1940 non c’è alcuna dedica,  in nessuna parte della G.Genova; ed a nessuno con questo cognome.

 

DEDICATA al fratello del duce Benito; nato a Dovia di Predappio nel

   olio di Adelina Zandrino

1885; fu profugo dal Friuli ma partecipò lo stesso alla guerra del 1915-8 divenendo sottotenente; e poi insegnante di agraria in varie scuole. Oltre l’insegnamento,  si dedicò al giornalismo, divenendo il 1 nov.1922 condirettore, col fratello, del quotidiano “Il Popolo d’Italia”, giornale fascista fondato a Milano il 15 nov.1914; dimostrandosi negli scritti, fedele seguace nonché moderatamente obbediente al fratello.

  Genericamente di indole mite e riservata, lasciò molti saggi di agraria e di politica. I suoi camerati lo inneggiarono adducendogli provvidenze per le classi lavoratrici, leggi sindacali, carta del lavoro, ed opere assistenziali importanti come le colonie estive per bambini.

  Morì all’improvviso nel dicembre 1931 a 46 anni, mentre percorreva  una via di Milano. Il fascismo ne onorò la memoria in maniera osannante; Genova gli dedicò anche il parco che oggi si chiama Peralto.    

  San Pier d’Arena gli dedicò la casa del fascio di via Mameli (via Carzino).

  Viene ricordato l’umoristico episodio dell’antifascista, che molto rischiando, sulla targa sotto il titolo “via Arnaldo Mussolini” aveva scritto “via anche il fratello”.

BIBLIOGRAFIA

-Enciclopedia Motta

-Enciclopedia Sonzogno  

-‘Genova’ Rivista municipale:  1/32.49ritratto  +  2/32.136idem  +  11/33.941 

-Lamponi M.-Genova in bicicletta-Valenti.1977-pag.138

-Pastorino.Viglidero.Dizionario delle strade di Ge.-Tolozzi.1985-pag.736

-Stradario del Comune di Genova edito 1953-pag.121

non citato dal Secolo XIX