PERLASCA via Giorgio Perlasca
TARGHE:
via – Giorgio Perlasca – salvò ebrei deportati – 1910 – 15-8-1992
via – Giorgio Perlasca
angolo ovest con Ponte di Cornigliano angolo est con via R.Pieragostini
lato ovest con Ponte di Cornigliano
Da Google Earth 2007.
In giallo via R.Pieragostini
CODICE INFORMATICO DELLA STRADA – N°: 47030
UNITÁ URBANISTICA: 24 – CAMPASSO
il percorso, da antica cartolina
STRUTTURA: Inizia subito prima del Ponte di Cornigliano, ed è estesa lungo in fianco sinistro del Polcevera, fino a Rivarolo ed oltre.
È stata così titolata agli inizi del 2005, senza particolari cerimonie, al punto che praticamente nessuno sa - ancora dopo un anno - di tale denominazione, sulla scia di emozioni televisive, cinematografiche e di mai troppo tardivi riconoscimenti (nel suo piccolo, anche il nostro parroco del Fossato ha allora corso gli stessi rischi ed ha ottenuto medesimo risonoscimento, senza – ovviamente - rinomanza nazionale).
Per un tratto di circa 500 metri, si affianca, a ponente, a via Argine del Polcevera, dalla quale è separato dal guard rail e da una rete metallica che si interrompe in corrispondenza di via Campi.
È quindi strada solo di percorrimento veicolare, mirata a snellire il traffico verso l’entroterra (che, fino ad allora, passava solo per via W.Fillak, nell’interno tra le case).
L’imbocco iniziale dovrà essere allacciato a Lungomare Canepa in modo da sbloccare l’ingorgo asfittico di via Molteni e Pieragostini. L’operazione non era fattibile senza prima liberare l’area di Cornigliano (avvenuta a fine 2006).
Oltre il ‘confine’ di nostra pertinenza (in linea con il centro di via Campi), un tratto di strada è formato a conca, per un sottopassaggio: quando piove intensamente esso è soggetto ad allagarsi, necessitando di pompe idrovore per il prosciugamento che funzionano se c’è corrente.
CIVICI nel nostro territorio, non ha civici
DEDICATA a
Giorgio Perlasca, che nacque a Como il 31 gennaio 1910. Dopo qualche mese dalla sua nascita, per motivi di lavoro avendo funzione di segretario comunale, il padre Carlo trasferì la famiglia a Maserà (Padova).
Negli anni liceali, animato da spirito nazionalista ed idealizzando questa idea
nella versione dannunziana e nazionalista, arrivò a litigare con un suo
professore che aveva condannato l’impresa di Fiume, facendosi espellere per un
anno da tutte le scuole del Regno.
Nel 1935 aderì al fascismo. Coerente, partì volontario prima per l’Africa
Orientale (Abissinia. Guerra italo-etiopica del 35-36) e poi per la Spagna,
dove combattè come artigliere al fianco delle truppe del generale Françisco
Franco.
Tornato in Italia nel 1939, entrò in crisi con il fascismo per due motivi: l’alleanza con la Germania (asse Roma-Berlino del 36; patto d’acciaio del 39, e contro la quale l’Italia aveva combattuto solo vent’anni prima); e le leggi razziali (entrate in vigore nel 1938 che sancivano la discriminazione degli ebrei italiani).
Smise
così di essere praticante fascista, senza però mai diventare un antifascista.
Impiegato in una azienda triestina che trattava importazione di carne dai
Balcani, scoppiata la seconda guerra mondiale, dal governo italiano fu inviato
nei paesi dell’Est come incaricato d’affari con lo status di diplomatico per comprare bestiame
per l’Esercito italiano. A Belgrado nel 1941, vide le prime colonne di deportati
(ebrei e zingari), rimanendo fortemente scosso. L’armistizio (8 settembre
1943) lo colse a Budapest (Ungheria, allora alleata ai nazisti, ma
ancora comandata –dal 1920- dal dittatore Miklos Horthy von Nagybanya-1868-1957 già comandante della flotta austro ungarica nel 1918).
Provando maggiore responsabilità verso il giuramento di fedeltà al Re, rifiutò di aderire alla Repubblica Sociale Italiana: fu così internato per alcuni mesi in un castello riservato ai diplomatici. In contemporanea, a metà ottobre 1944, gli ungheresi – sino a quel momento ancora guidati dal su detto reggente, ammiraglio Horthy- firmarono un armistizio con l’Unione Sovietica, il governo venne rioccupato dai nazisti ed il dittatore arrestato e internato in Baviera; i tedeschi ripresero potere affidando il comando ad un loro collaborazionista fascista di nome F.Szalasi, capo dei nazisti ungheresi chiamati “Croci Frecciate”. Come da dettame centrale, egli iniziò le persecuzioni, violenze e deportazioni verso i cittadini di religione ebraica.
In corrispondenza, si prospettò per il Perlasca il trasferimento in Germania; così, approfittando di un permesso per visita medica, fuggì nascondendosi presso conoscenti e poi presso l’ambasciata spagnola, usando un documento che aveva ricevuto in Spagna al momento del congedo (questo, recitava: "Caro camerata, in qualunque parte del mondo ti troverai, potrai rivolgerti alle Ambasciate spagnole"). In quella sede, fu aiutato trasformandolo cittadino spagnolo, con un regolare passaporto intestato a Jorge Perlasca collaboratore dell’ambasciatore Sanz Briz, il quale – come già facevano altre potenze neutrali: Svezia, Portogallo, Svizzera, Città del Vaticano - rilasciava salvacondotti per proteggere i cittadini ungheresi di fede ebrea, ricoverandoli momentaneamente in ‘case protette diplomaticamente’ (si rileva che queste operazioni non sempre erano disinteressate: alcuni funzionari vendevano a caro prezzo questi salvacondotti e non sempre poi avevano la forza né la volontà di pretenderne il rispetto).
A fine novembre Sanz Briz dovette lasciare l’Ungheria, portandosi a Berna per comunicare più facilmente con Madrid (ma soprattutto per non riconoscere de jure il governo filo nazista di Szalasi, che chiedeva lo spostamento della sede diplomatica da Budapest a Sopron, vicino al confine con l’Austria).
Il giorno dopo, il Ministero degli Interni nazista - venuto a conoscenza della partenza di Sanz Briz - ordinò di sgomberare le case protette. Fu allora che Perlasca, ricoverato nella sede dell’ambasciata spagnola di Budapest rimasta momentaneamente senza il capo responsabile, si ribellò e prese la decisione. Trovandosi ‘alle corde’ dalla necessità e sfruttando il caos governativo del pre-disfatta, assunse ‘motu proprio’ la responsabilità di autonominarsi sostituto-capo della sede, presentando credenziali, carte intestate dell’Ambasciata e timbri autentici facendo esistere una precisa – ma falsa - nota di Sanz Briz che lo nominava suo sostituto per il periodo della sua assenza (favorito dal conoscere bene l’ambiente della diplomazia, frequantandola da anni); ed ingiungendo ai nazisti di chiarire tale situazione presso il loro Ministero degli Esteri, giocando sulle estreme difficoltà dei normali contatti internazionali.
Con tali credenziali, e con l’aiuto-consenso di altri ambasciatori, degli impiegati e del legale dell’ambasciata (l’avvocato Farkas, di origine ebrea. Questi riuscì a sfuggiire ai nazisti, ma non alle truppe sovietiche, che lo uccisero quando subentrarono in Budapest nel gennaio 1945) ordinò ai nazisti di sospendere ogni loro iniziativa; fu creduto e nel clima confuso legato alla ormai prossima disfatta, ed in assenza di comunicazioni precise, il bluff funzionò. Usò questo potere, per fornire agli ebrei un certificato personale attestante che la persona era “cercata ed attesa in Spagna da parenti diretti; che il trasferimento verso la penisola iberica era stato interrotto da impossibilità di viaggiare; e che nell’attesa era sotto protezione dello stato spagnolo”
Le operazioni di sabotaggio (incendio del ghetto e trasferimento verso i campi di sterminio) contro gli ebrei (rinchiusi in cinque casermoni posti sulle sponde del Danubio in località di fronte all’isola Margherita) furono fermate. Non solo li salvò burocraticamente, ma intervenne anche pagando i funzionari affinché fossero riforniti di cibo; organizzando fra loro un abbozzo di resistenza militare; girando la città su una Buik diplomatica in una città piena di macerie, cecchini e freddo invernale; andando alla stazione ferroviaria a ricuperare i ‘viaggiatori’ diretti ai campi; trattando col governo nazista e le autorità di occupazione per evitare incursioni da parte dei ‘nylas’.
Così, giocando con il tempo che i nazisti chiarissero l’inghippo; con il caos di quei giorni e con lunghi tempi burocratici, tra il dicembre 1944 e gennaio 1945 salvò dalla fame e dal trasferimento più di 5000 ebrei ungheresi mettendoli in attesa di emigrare in Spagna.
Fu fortunato, perché prima di essere scoperto avvenne l’entrata in Budapest
dell’Armata Rossa. Perlasca fu arrestato dai russi, ma chiarite le sue
generalità, fu fatto rientrare finalmente in patria –passando attraverso i
Balcani-, e tornando ad essere cittadino italiano qualunque, e soprattutto non
raccontando a nessuno la sua storia.
Solo alla fine degli anni ’80, furono alcune donne ebree ungheresi,
ragazzine all’epoca delle persecuzioni, che iniziarono chiedersi chi fu quel
diplomatico spagnolo che le aveva salvate. Le testimonianze si sovrapposero e
divennero così numerose che Giorgio Perlasca non potè nascondersi ulteriormente
nel suo silenzio.
Fu così
cercato e ‘scovato’: tra essi vengono citati i coniugi Eva e Pal Lang, ambedue
sopravvissuti a quei terribili giorni, che promossero in Italia un viaggio
collettivo, con meta Padova e la pubblicazione del rischio gratuito del bluff.
Israele lo proclamò Giusto tra le Nazioni e, invitandolo a Gerusalemme -ove piantò un albero sulla collina dei Giusti- gli riconobbe la cittadinanza onoraria.
A ruota seguirono gli altri Paesi: in Italia la vicenda venne fatta conoscere al grande pubblico da Enrico Deaglio con la trasmissione televisiva Mixer e pubblicando il libro "La banalità del bene". Dallo Stato gli fu concessa la Medaglia d’Oro al Valor Civile ed il titolo di Grande Ufficiale della Repubblica. In Ungheria, a Budapest una scuola alberghiera porta il suo nome ed il governo, dopo una apposita sessione del parlamento, gli concesse la Stella al Merito, massima onorificenza nazionale. La Spagna gli concesse l’onorificenza di Isabella la Cattolica. Gli Stati Uniti lo accolsero come un eroe. Alla domanda di un giornalistia sulle motivazioni e sul perché lo aveva fatto, rispondeva : "Lei cosa avrebbe fatto al mio posto, vedendo migliaia di persone sterminate senza un motivo, solo per odio razziale e religioso, ed avendo la possibilità di fare qualcosa per aiutarli?". E ad un altro che gli chiedeva "Lo ha fatto perché cattolico?", lui credente anche se non praticante, rispose: "No. Perché sono un uomo".
Morì il 15 agosto del 1992. È stato sepolto nella terra nel cimitero di Maserà a pochi chilometri da Padova; sulla lapide, a fianco delle date, un’unica frase in ebraico: “Giusto tra le Nazioni”.
Innumerevoli i riconoscimenti, di associazioni e di fondazioni private; in moltissime città europee vi sono vie e piazze che portano il suo nome. Dicembre 1944 – Gennaio 1945: i 45 giorni di Jorge Perlasca.
Da
Internet si riassume:«nelle vesti di diplomatico regge pressoché da solo
l’Ambasciata spagnola, organizzando l’incredibile “impostura” che lo porta a
proteggere, salvare e sfamare giorno dopo giorno migliaia di ungheresi di
religione ebraica ammassati in ‘case protette’ lungo il Danubio. Li tutela
dalle incursioni delle Croci Frecciate, si reca con Wallenberg, l’incaricato
personale del Re di Svezia, alla stazione per cercare di recuperare i protetti,
tratta ogni giorno con il Governo ungherese e le autorità tedesche di
occupazione, rilascia salvacondotti che recitano “parenti spagnoli hanno
richiesto la sua presenza in Spagna; sino a che le comunicazioni non verranno ristabilite
ed il viaggio possibile, Lei resterà qui sotto la protezione del governo
spagnolo. Li rilascia utilizzando una legge promossa nel 1924 da Miguel Primo
de Rivera che riconosceva la cittadinanza spagnola a tutti gli ebrei di
ascendenza sefardita (di antica origine spagnola, cacciati alcune centinaia di
anni addietro dalla Regina Isabella la Cattolica) sparsi nel mondo. La legge
Rivera fu dunque la base legale dell’intera operazione organizzata da Perlasca,
che gli permette di portare in salvo 5218 ebrei ungheresi”. Dopo l’entrata in
Budapest dell’Armata Rossa, Giorgio Perlasca viene fatto prigioniero, liberato
dopo qualche giorno, e dopo un lungo e avventuroso viaggio per i Balcani e la
Turchia rientra finalmente in Italia.
Da eroe solitario diventa un “uomo qualunque”: conduce una vita normalissima e
chiuso nella sua riservatezza non racconta a nessuno, nemmeno in famiglia, la
sua storia di coraggio, altruismo e solidarietà. Negli anni Ottanta: la
scoperta di un uomo Giusto. Grazie ad alcune donne ebree ungheresi, ragazzine
all’epoca delle persecuzioni, che attraverso il giornale della comunità ebraica
di Budapest ricercano notizie del diplomatico spagnolo che durante la seconda
guerra mondiale le aveva salvate, la vicenda di Giorgio Perlasca esce dal
silenzio.
Le testimonianze dei salvati sono numerose, arrivano i giornali, le
televisioni, i libri, e lo stesso Perlasca deve recarsi perfino nelle scuole
per raccontare quel che aveva compiuto. Non certo per protagonismo, ma proprio
perché ritiene necessario rivolgersi alle giovani generazioni affinché tali
follie non abbiano mai più a ripetersi».
BIBLIOGRAFIA
-Brizi.Cirnigliaro-Percorsi ‘resistenti’ in val Polcevera-Brigati.06-pag.89
-Il Secolo XIX di : 12.9.05
-Internet-Google