ROLANDO via Carlo Rolando
TARGHE:
S.Pier d’Arena–via Carlo Rolando-caduto per la Libertà-1879 – 9-7-1944
via - Carlo Rolando – caduto per la Libertà – 1879-8.7.1944
via – Carlo Rolando – caduto per la Libertà – 1879 – 8-7-1944
inizio strada, angolo con via G.B.Monti
angolo con via A.Scaniglia
di fronte a via D.G.Storace
angolo con via Currò, rimossa nov.2007
fine strada; in angolo con via A.Caveri
QUARTIERE MEDIEVALE: san Martino
da MVinzoni, 1757.
N° IMMATRICOLAZIONE: 2840 CATEGORIA: 2
CODICE INFORMATICO DELLA STRADA - n° 54180
da Pagano 1967-8
UNITÀ URBANISTICA: 24 – CAMPASSO
25 – SAN GAETANO
26 - SAMPIERDARENA
da Google Earth, 2007.
CAP: 16151
PARROCCHIA: san G. Bosco e san Gaetano
STRUTTURA: senso unico veicolare da mare a monte: da via A.Cantore-piazza Montano, a piazza R.Masnata-via W.Fillak.
È lunga 550m; larga da 6,5 a 8,95m: con pendenza del 2%.
È servita dall’acquedotto DeFerrari Galliera.
STORIA: Le strade romane, prima la Postumia e poi l’Aurelia, sovrapposte per arrivare a Genova chiusa nelle prime cerchie di mura, passarono alte sul colle di Promontorio (la attuale strada del Cimitero, in pratica).
Il borgo iniziò ad avere case isolate dopo Cristo; e, nel 1000, già aveva una forma, anche se limitata lungo la marina e frazionata; più o meno in quell’epoca quindi, che all’interno della marina, si aprì il primo tracciato corrispondente alla attuale via N.Daste.
Più ben definito e numericamente importante fu dopo il 1200, dimostrato dal primo documento scritto riguardante le guardie e l’erezione della prima chiesa parrocchiale. Importanti queste per dimostrare l’agglomerazione attorno ad esse, anche -se non soprattutto- per meccanismi di difesa dalle incursioni di pirati e saraceni. É di quest’epoca, anche se prevalentemente e praticamente solo per andare alla chiesa-abbazia di san Martino, l’apertura della ‘strada s.Martino’, attuale via C.Rolando. Scrivo ‘solo’, perché a quei tempi i traffici con l’interno (attraverso PonteX e la Bocchetta) avvenivano passando a mezza costa –specialemente di inverno per le ostili condizioni di percorrimento del Polcevera straripante o attraversamento del Campasso allagato nei periodi piovosi.
Nei secoli dopo, e fino ancora a metà del 1800, gli scambi commerciali della città con l’entroterra avvennero seguendo anche altri sentieri più diretti anche se fin da subito bisognosi di arrampicare le erte salite dei monti a ridosso della città.
Solo nel XVI secolo, gli Spinola ed i Lomellini comprarono vasti appezzamenti di terreni estesi da questo asse viario al torrente; vi costruirono alcune ville aumentando l’importanza di questa “deviazione verso l’interno”, fino ad allora trascurata.
Nel 1700: tre carte, una della prima metà del secolo; quella del Vinzoni del 1757 (ma presumibilmente stilata molti anni prima – anche una quindicina e più); terze quelle del Porro e del Brusco, ambedue circa del 1781, tutte evidenziano le proprietà che si susseguirono lungo l’asse stradale già descritte in ‘strada san Martino’.
Riporto -usando riferimenti alle strade di oggi- per comprendere le dimensioni delle proprietà composte come dei rettangoli sovrapposti, e sulla base della carta del Vinzoni, la più completa di dati, iniziando dal Mercato:
a ponente della strada. Primi, i terreni a rettangolo di Tomaso Spinola, con villa (attuale civ.4), estesi col lato più lungo da via Scaniglia sino a circa l’inizio di via Degola; affiancati in successione verso nord, dai secondi, quelli di Giovanetta Lomellini, con villa (oggi civ.8), estesi ad L fino a Largo Jursé, poi ereditati nel 1781 da Agostino Spinola; terzi di Domenico Spinola, con villa e torre (oggi la scuola, al civ.12) anch’essi estesi ad L sino a via Eridania circa; quarti del Magistrato degli Incurabili con villa, e terreno fino al limite dell’attuale via B.Agnese (nessun documento attesta che qui vi fu un ospedale, neanche come inteso con questo termine a quei tempi; quindi si presume che casa e terreno erano stati donati in eredità all’ente: l’istituzione ‘degli Incurabili’ fu istituita in città -dapprima da alcuni cittadini locali- per gli infermi di malattie incurabili ed i pazzi. Dal seme di questa loro opera spontanea, il Senato stabilì in seguito che si dovesse la nomina formale di un Magistrato al quale dare tutta la autorità di provvedere e determinare qualunque affare fosse spettato al servizio: tra i cittadini facoltosi e volenterosi furono nominati dodici ‘Protettori’ perpetui, , quattro dei quali erano da eleggersi tra loro per formare il Magistrato, con la facoltà di eleggere pure il successore qualora uno di essi volesse appartarsi); quindi per quinti le terre del sig. Ventura all’altezza dell’attuale civ. 22, con ampio giardino fatto a L fino a via Spataro; sesti fino a piazza Masnata la proprietà (prolungata lungo la parte sud di via G.Tavani e con la casa sulla strada) del mag.co Giacomo Dinegri divenuta poco dopo del m.co Stefano Lomellini (vedilo a Daste103) -.
A levante la strada inizia fiancheggiata da prati posseduti da Ferdinando Spinola, divenuti nel 1781 di proprietà di Tomaso Spinola; seguita da quelle seconde di GioGiacomo Grimaldi e subito dopo per terze di GioBatta Grimaldi, nel 1781 ambedue in mano agli eredi; quarta è quella dei Teatini della chiesa di san Giovanni Battista-san Gaetano; seguita come quinta, a livello di via Ulanowsky dai terreni di un sig. Ghezzi fino a via Armirotti; dove, sesta, iniziava la proprietà già del generale Luca Pallavicini (vedi villa Pallavicini-Currò, oggi aperta in di via dei Landi), divenuta in quel tempo dei sigg Rovereti comprendente al centro via Currò fino alla villa; ed infine, settima, -sino a via Caveri, allora vico Cicala- la abbazia ed Oratorio di san Martino, oltre il quale era –ottava- una vasta ’area Cicala’, definita -solo nella carta del 1781- zona ‘la Palmetta’.
dic. 1781-ASG Raccolta cartograf. Busta 18 n.900 - progetto Brusco G - allargamento strada di 30 palmi da Mercato a Palmetta. I proprietari sono, dal Mercato→nord: ---a ponente: Mercato+ (ove civ.4) Tomaso Spinola+ ove civ.8 Giovanetta Lomellini ora del mag.co Ago.ino Spinola ---a levante A=piccole case distruggibili+prati del fu Ferdinando Spinola ora di Tomaso Spinola + eredi del q. GioGiacomoGrimaldi+ eredi del GB Gimaldi+ RRPP Teatini con s.Gaetano+ sig. Ghezzi+ delli mag.ci Rovereti+s.Martino-la Palmetta+ (sulla strada) Principio della strada di Rivarolo.
Nel 1800 avvennero cambi e moltiplicazioni di proprietà. A seguito della rivoluzione e successiva dominazione francese-napoleonica, scomparvero molti nomi di aristocratici e comparirono quelli dei ricchi borghesi che comprarono parti di territori per lottizzarli ed edificarli.
Intanto nel 1857, con il regio decreto leggiamo il riconoscimento ufficiale delle strada: è descritta come “via san Martino”, quarto ed ultimo tratto della “strada Superiore” (quest’ultima tutta, era composta da via De Marini -via sant’Antonio-via del Mercato-via san Martino).
Quindi il tratto stradale con quel nome andava ‘dall’incrocio con via san Cristoforo (via A.Scaniglia), alla casa Morasso in san Martino’ (le case, a quei tempi erano usate come punto di riferimento; con l’indicazione di questa casa però la strada risulta rispetto ad oggi cento metri più lunga, essendo stata essa localizzata all’angolo con via san Fermo, vicino a via Bezzecca. Però si sottolinea che a quei tempi sempre le misure erano assai imprecise e non determinanti).
Nel 1875, una parte di terreno posta a mare dei Teatini, appare di un DeMarchi Gerolamo: in quegli anni la venderà ai Salesiani da poco subentrati nella proprietà. Nel 1876 i terreni appartenuti nel 1700 a GioGiacomo Grimaldi, sono divenuti di ‘Enrichetta Rebora in Cristofoli Conserve Alimentari’; e quelli di Gio Batta Grimaldi, già passati ai Grimaldi-Pallavicini, sono acquisiti da ’Ospizio don Bosco e san Gaetano’; mentre la proprietà dei Ghezzi appare divenuta del marchese Pareto.
Nel 1899 le venne imposto il nome di via Aurelio Saffi (vedi).
Nel 1903, favorito da agevolazioni creditizie relative alle cooperative (legge Luzzatti), il costruttore Pittaluga crea la soc.an.Cooperativa Domus e fa costruire nel terreno successivo a via Currò –speculandoci- un voluminoso stabile, contestato nel quartiere.
Nel 1905, ai lati già compare la strada comunale ‘Giovanni Bosco’ (senza il ‘san’, ovviamente); mentre i terreni del Pareto appaiono occupati dalla società Metallurgica, con accenno a quella che diverrà via Ulanowsky. La villa di Domenico Spinola è diventa appartenenza di un sig. Grasso, a cui subentrerà il Comune che la farà distruggere (rimane solo la torre, alla cui base ora esercita un tabacchino).
Nel 1910 è ancora via A.Saffi.
Nel 1935, il taglio di via A.Cantore, sopprimendo la parte terminale di via del Mercato, allungò la strada -nel tratto iniziale- di 50 metri, determinando una precisa distinzione tra via N.Daste e via C.Rolando, prima di allora conseguenziali.
Nel pieno del ventennio fascista (lug.1935), il nome venne cambiato in via Egidio Mazzucco, e tale rimase sino alla fine del conflitto quando ovviamente dopo il 1945 fu ricambiato:- all’inizio con la dedica a L.A.Martinetti (19 lug.1945), e poi (14 mar.1946) con l’attuale.
È una delle più importanti e vive strade della delegazione, qualificata dalla presenza di opere d’arte, e di vecchi importanti attività commerciali che ritroviamo costantemente come punti di riferimento: non in ordine storico, la Cooperativa di Produzione tra gli operai, Upim, Morassutti, l’osterie Casella e Pronzati; riferiti agli anni 1945-50 l’ottico Zino, la farmacia san Gaetano, l’erboristeria Mancini; la pasticceria Graglia (poi Arnoldi), il panificio dei Solia, la cartoleria Celoria, la torrefazione di Armanino***, il calzaturificio di Andrea Vernazza detto “Drïa o caigà (il negozio, aperto nel lontano 1870 era noto in tutta la città per la qualità –tutto cuoio ovviamente- quantità e varietà della fornitura, dalle robuste scarpe per ragazzi a quelle con i ‘lustrin o pomelletti’ per le signore. Vedi anche sotto, al civ.35); ultimi più recenti (anni 2000) tabaccaio Sciamà Fernando, il bar Franco, libreria Roncallo, rilegatoria e libreria salesiana, il bar Ciao Ciao, ecc.
Nel 1998 viene scritto che amici di un certo Andrea morto a Rivarolo in circostanze misteriose, lo vedono aggirarsi in questa zona di inizio strada e via Cantore; e - chi ha tentato di trattenerlo - si è trovato a stringere l’aria, quale spettro motorizzato.
Negli anni 1999 nacque (con presidente Angelo DellaRovere, a cui successe l’ing. Enzo Rubino) il consorzio CIV denominato ‘il Rolandone’, con sito internet www.rolandone.it. All’inizio raggruppante una cinquantina di esercenti, divenuto promotore di iniziative mirate a sfruttare la strada quale isola pedonale-commerciale non transitata da veicoli ed animata da bancarelle e iniziative varie; coinvolgente alcune strade collaterali come via Agnese dove è aperta la ludoteca e le altre ad uso parcheggi e vie di sfogo; la sua iniziativa, fece nascere altri due consorzi chiamati ‘CIV’ (centri integrati di via- gli altri in zona via Cantore e piazza Modena), con progetti per controbilanciare l’effetto attrazione della Fiumara.
ono state previste possibilità di allagare i marciapiedi, di sfruttare meglio le zone parcheggio (progettavano il sottosuolo dei giardini Pavanello, ormai compromesso dai lavori fatti in superficie; e l’utilizzo dell’area AMT se si spostasse altrove il deposito); addirittura pensato un tunnel collegante via Reti-via Cantore (per decongestionare il traffico nella piazza Montano).
Le numerose iniziative mirate a vivacizzare la strada, hanno portato al fortunato esito di farla divenire la strada principale della piccola città, il passeggio, al punto di mirare a divenire pedonalizzata. Nel giu/2000 l’iniziativa presentò musica jazz e rap; il presidente Dellarovere Angelo era in attesa –da parte del Comune- della perimetrazione della competenza del CIV
Nel 2002 la strada fu chiusa e sconvolta dal rifacimento delle fognature bianche e nere da parte dell’ASTER (agenzia che esegue i lavori per conto del Comune), dal deposito AMT alla piazza Masnata (la prosecuzione dei lavori sia in profondità che in superficie verso il mare è sulla carta, mancando i mezzi finanziari). Ciò non preservò l’anno dopo dal solito allagamento dopo acquazzone, risultando la via come collo di bottiglia tra l’ampia sponda del Belvedere ed il deflusso verso lung.Canepa ed il Polcevera, essendo il territorio collinare tutto caseggiati ed asfalto, con torrenti coperti e molti anche franati o comunque non defluenti (innumerevoli nella storia gli allagamenti di SPdArena: punto cruciale di non deflusso è il sottopasso ferroviario di via
P.Reti, con – in quel punto- un metro d’acqua che si allarga ad allagare via Stennio, via Rolando angolo Scaniglia, piazza Montano e fine di via Cantore (sino a via Alfieri ed anche corso Martinetti dal quale scende con impeto un nuovo torrente che si divide in parte con via Farini ma sufficiente a riempire tutte le cantine allo sbocco con via Cantore). Verso mare allaga piazza V.Veneto che, nel 1920 si descrive era mezzo metro più bassa dell’attuale (modifiche, avvenute nel 1935 col rifacimento di via Avio) e laddove andare in barca per attraversare la strada avveniva pagando una quota (dal caffè Elvetico alla rampa per la stazione, 5 cent.).
Non così lontano il drammatico allagamento del 1970 (da stravaso del Bisagno (che riempì le pagine dei giornali) e del Polcevera, con piena d’acqua da via Campasso a mare, con morti nel caveau di una banca e nel sottopasso Montano: numerose auto ‘annegarono’ sia per strada che nei box sotto le case: la Fiat concesse un forte sconto per il riacquisto di nuovi veicoli mentre quelli ‘defunti’ furono dapprima portati nel piazzale della Foce e noi definitivamente annegati in mare a fare da vivaio per i pesci). Di nuovo, in questa zona Montano, pesante, nel 1981; altre ne sono avvenute, meno importanti ma pur sempre deleterie per i commercianti.
Ma anche la zona del Campasso (vedi) fu soggetta ad allagamenti, prima della messa isotto controllo dei vari torrenti che scendono da Belvedere (e per nulla, prima di allora, la zona si chiamava appunto Campasso)
Presidente del CIV ing. Enzo Robino, gli interessi restano dei parcheggi e lancia il ‘CIV delle antiche botteghe’ sperando dare spazio a nuovi arrivi di vecchio artigianato (sarti, calzolai, falegnami, ecc...) Questo mentre i salesiani tentano –associandosi a Teleliguria e Sat2000- di dare spazio ad una TV cattolica (Tg, messa, conferenze).
Nel 2003 il Corriere Mercantile confermava la copertura economica (907mila e.) della Regione per realizzare un programma triennale fino alla ‘isola commerciale’ comprendente anche la valorizzazione delle vie attorno (fino via Degola), del patrimonio edilizio e storico, dello sgombero dell’AMT ed un ‘parking’ sotto i giardini Pavanello; pedonalizzazione a tratti (per consentire i collegamenti) con panchine; restauri esterni. Il CdC inserisce la strada nell’iniziativa “domenica ecologica” (bande musicali, animazioni teatrali, negozi aperti, ecc.)
Il 2004 la vede nominata “la Main street” locale, per le iniziative del CIV a cui collaborano l’Atletica Universale, il Genova basket, lo Judo marassi, il Paladonbosco, Progetto80, gli Squali Genova, il TennisTavolo Olmeda. In giugno, la Giunta ha approvato l’investimento complessivo di circa 1,4milioni di euro (Regione, con fondi europei; Comune; CIV; Amga (59mila e.); acquedotti DeFerrariGalliera (205mila e.) e Nicolay (113mila e.).
Nel 2005 inizia un nuovo restauro di riqualificazione: rifacimento delle reti di scarico –bianche e nere, non completate nel 2002-; pavimentazione in tasselli di porfido dopo allargamento dei marciapiedi e ridimensionamento della strada con a tratti zone pedonalizzate e comunque ad una sola corsia senza zone di sosta; nuova illuminazione; sistema di videosorveglianza; nuova segnaletica. Il tutto in attesa di reperire posteggi (nella autorimessa AMT o sotto i giardini Pavanello). Spesa programmata di 1milione e 400mila euro. Nel 2007 è ancora un cantiere, da via Storace (ad agosto da via Agnese) alla fine.
Nel 2008 è completata con tutti i marciapiedi allargati e pavimentati a masselli di porfido; alterna tratti di strada pedonali (pavimentati a porfido; tali da v.Dattilo a v.Stennio -escluse-; da via s.GBosco a v.Storace –escluse-; da v.Currò a via Bazzi –escluse-) da altri aperti al traffico veicolare per concedere sbocchi alla strade laterali (pavimentati in asfalto, tali dall’inizio a → via Dattilo; da v.C.Rota a ← via s.G.Bosco; da v Storace a← via Currò; da via C.Bazzi →alla fine).
Nell’anno il CIV ha promosso la ‘giornata del libro’ con banchetti sulle strade pedonali e coinvolgimento delle scuole; ben cinque negozi sono di cinesi (via Callo Lolando);
CIVICI 2007
UU26= NERI = (nessuno dispari) il 2
ROSSI= (“ “ ) il 2r e 2Ar
UU25=NERI = da 1 a 25 (manca 17) e da 2A a 20 (mancano 6, 14)
ROSSI= da 1r a 151r (manca 69r; compresi 7Ar, 13Ar, 15Ar, dal 19Ar al 29Ar, . . 61ACEHILMNORr). e da 2Dr a 120r (mancano 2ABCr, 38r, 46r, 86r; . . compresi 52Ar, 56ABCDEr).
UU24=NERI = da 27 a 35 e da 20ABC a 26
ROSSI= da 153r a 205r e da 122r a 178r (compresi 142Ar, 144EFr)
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(RIASSUMENDO (controllato):
NERI : il 2 =UU26 | ROSSI: da 2 → 2A =UU26
1→25 2A→20 =UU25 | da 1 a 151 e da 2D → 120 =UU25
27→35 20A→26 =UU24 | da 153 a 205 e da 122 → 178 =UU24
Il Pagano 1950 segnala tra gli esercenti, ben 13 bar: al 9r di DellaFiore C.; 10r di Torrielli Luciano; 13r di Serpero A.; 31-33r di Enrico Pierino; 36r di Bormida G. (forse corrisponde a quella più conosciuta col nome ‘dalla Elvira’, posta nell’angolo con via A.Stennio); 68r Carrara M.; 73r Graglia G. (oggi Arnoldi); 80r Mainero F.; al 97r di Besegno G.Maria; 99r di Alciati M.; 119-121r Rizzo G.; 132r Penna E.; 162r Pronzati G..
In questi anni vengono ricordate l’esistenza di alcune osterie, concentrate nel tratto iniziale: Torrielli, Lignana (posta nella antica villa ora distrutta, con ingresso in via Rolando e nel retro un micro-giardino esteso tra via Rota ed Anzani ); altri vinai erano: uno nel vico Scanzi ed altro in via Anzani (subito dopo il giardino su descritto).
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CIVICI PARI (a ponente)
===civ 2r è di Salvemini, che ha un’altra vetrina subito dopo, senza civico (forse il 2Ar che manca anche se, nell’angolo estremo di ponente c’è un 2A -retro del ristorante la Torre del Mangia, che –però- è dopo la targa di via A.Scaniglia e quindi dovrebbe essere di quest’ultima strada). L’oreficeria è descritta in piazza Montano.
Dopo l’edicola esiste un’altra porticina, anch’essa senza numero.
===civ.2 è un altro ingresso di Salvemini; costituito da una porticina che è anticipata da un cancello metallico.
via Rolando, dalla torre
via A.Scaniglia inizia a questo livello; il centro strada, separa UU25-san Gaetano dalla UU26-Sampierdarena
===civ. 2Br: questo isolato inizia con un negozio che era di Castello- mode (cappelli e oggetti femminili); nel 2007 è divenuto “La boutique del pane”.
===civ. 2A è il civico di un palazzo stile 1920, eretto a ridosso della villa;
===civ. 4: villa Tomaso Spinola, riferita genericamente al XVI secolo .
Nella cartina vinzoniana del 1757 è descritto appartenesse alla proprietà del magnifico Tomaso Spinola, dotata di un ampio terreno che si estendeva verso ponente sino a dove ora è via Spataro, fiancheggiando via san Cristoforo (via AScaniglia).
da acquerello databile anno 1800, di Salucci Foto anni 80 -le insegne: da sinistra ‘Franco’
(sconosciuto ufficiale toscano della bar conosciuto per gli aperitivi; macelleria
RepubblicaLigure), disegnato dal vero ma Salvi; pescheria Lelle; a sin. Castello
di difficile collocazione.
Si vede –a sinistra della grossa torre in primo piano (a quei tempi la villa di piazza Montano era l’ultima fino al torrente; il resto erano casupole) attribuibile ai Centurione- una piccola casa però anch’essa sormontata da torrione a punta che mai è stato descritto o non più esistente.
La casa è una tipica villa genovese di tradizione locale, eretta rettangolare. Non è facile capire perché, come la vicina villa Centurione, con tutto lo spazio che avevano a disposizione, fu eretta a stretto contatto del margine della via. Forse l’ingresso era (come la seguente al civ. 8) sul lato dell’edificio; e solo successivamente fu restaurata così. La facciata ha poche caratteristiche, e solo soffermandosi attentamente si scorgono dei tratti che la caratterizzano: il cornicione sottotetto (che ha richiesto restauro nel 1998), appare sostenuto da mensoloni che la fanno distinguere da quelle delle costruzioni vicine, molto più recenti; i finestroni del piano nobile sono evidenti di una antica costruzione. Non fanno testo invece i fornici esterni del piano terra, perché furono aperti e comunque dilatati per utilizzo a negozi. Il portale è molto semplice, ha un rialzo debolmente elaborato in cui al centro emerge la sigla B.M. non interpretabile anche se applicata da uno dei seguenti possessori.
foto 2009
Per anni è rimasta vuota e gradatamente dismessa, acquisendo l’aspetto pateticamente triste e neutro.
L’insieme, senza più giardino, inserito come è in un continuo di case affiancate ai lati e più alte avendo potuto sopraelevarsi, ha perduto ogni dignità e titolo di villa antica.
All’interno, a cui si accede da un ingresso asimmetrico rispetto la facciata principale, un piccolo atrio con la scala che non è più scalone perché, si dice, uno degli occupanti negli anni ’80, un macellaio di “GenovaCarni”, considerato che non sapeva dove collocare il frigo, lo fece dimezzare, o abusivamente o perché risultava non vincolato). Serve per salire al piano nobile ove si arriva trovandovi ancora l’unica decorazione degna di antica villa: un parapetto a balaustra con graziose colonnine di marmo (iniziano con un parallelepipedo di marmo molto semplice, non decorato). Al primo piano, i vani è descritto che sono leggermente disposti a pettine un po' inclinati (probabilmente per assecondare il terreno sconnesso); le sale sono con alto soffitto (oltre 4/6 m), volta a botte e totalmente prive di elementi decorativi. Al secondo piano c’è l’ampio salone, alto oltre 8m e di dimensioni di circa 12x8m).
Secondo il vivere di oggi: norme CEE, riscaldamento di enormi aree, mancanza di ascensore e di posto auto; molte cose rendono assai difficile l’utilizzo pratico di un edificio che ha solo il vantaggio dell’antico ma non dell’esteticamente bello. Nell’ago/07 iniziano lavori di grande restauro interno; vengono demoliti muri e pavimenti per un totale riutilizzo non ancora classificabile; sicuramente l’ampio salone, alto più di otto metri è stato diviso in due o tre vani sovrapposti. Dopo due anni, a lavori non ultimati, un’ingiunzione del tribunale ha bloccato tutto, cosicché nel 2011 restano fuori ancora i tubi innocenti delle impalcature e l’edificio è chiuso. Voci di corridoio esprimono dubbi sulla provenienza dei capitali investiti per il restauro.
Dal 1939 al ‘66 ha ospitato la Biblioteca civica Francesco Gallino (trasferita poi nei locali di via A.Cantore, e poi dopo in via N.Daste), una “scuola Carbone”, il circolo Risorgimento Musicale, le ACLI, ed un Circolo ricreativo Paolo Reti sempre delle ACLI (vedi via A.Saffi).
Notizie sulla famiglia Spinola leggi alla specifica: “via Spinola”. Di Tomaso Spinola ne esistono più d’uno; tra essi famoso fu il padre di Battista (quest’ultimo nato 1472, divenne doge il 4 gennaio 1531; quindi non può essere lui)
Nel retro erano descritti un giardino all’italiana, e poi orti e frutteti che oggi non ci sono più, occupati dalle case di via AScaniglia e tagliati da via PReti e ferrovia.
La villa Spinola è direttamente seguita da un’altra costruzione, più recente, che si apre col portone molto elementare in vico Scanzi; sulla strada essa offre una facciata, decorata -per ciascuna delle due finestre centrali del piano nobile- da una graziosa balaustra marmorea a colonnine.
===civ. 8r la pescheria, chiamata “Lelle”. É una delle due rivendite (l’altra, in via ACantore) dei due figli del conosciuto Lelle Senili, generazioni di pescatori corniglianesi. Questo negozio fu aperto negli anni 1978 circa e seguito ancora nel 2011 dal figlio maggiore e dalla figlia, mentre al figlio più piccolo aprì una identica pescheria in via A.Cantore angolo coso Martinetti aperta anch’essa ancora nel 2011.
===civ.10r negozio di libreria, da molti anni; dai precedenti proprietari ceduta al Voltapagina. Il fondo del negozio è sottolivellato di tre scalini: in caso di allagamento della zona, la parte di fondo fa da vasca.
Alluvione del 30 luglio 1987.
Foto del Gazzettino Sampierdarenese
===14r L’isolato finisce con un negozio di pelletterie sottolivellato rispetto la strada, che ha chiuso le attività nel 2010 e che faceva angolo con
vico Scanzi
===18r: è il civico che fa angolo, di Zino, l’ottico (cessata attività a fine 2007).
===civ. 6: fu demolito nel 1966
===civ. 20r e 30-34r Nel Pagano/1950 è ricordato il mobilificio Porcile Domenico, aperto anche in via A.Stennio al 15r.
calendario 1955
===civ. 36r è l’ultimo dell’isolato. Nel 2007 c’è il bar Willy.
Via A.Stennio
===civ.40r: è un grande ingresso nel retro del deposito dell’AMT (viene descritto in via P.Reti posizionato un poco trasversalmente. È il primo fornice di questo lungo isolato; la altrettanto lunga facciata ha un’altra grande porta centrale (civ. 42r), poco utilizzata, ed una piccola porticina in metallo senza numero che però dovrebbe essere il civico 44r ché altrimenti mancherebbe. Questa area appare appetitosa negli anni 2005 per le possibilità di trasferimento della funzione attuale e riuso dello spazio a parcheggi, verde pubblico ed alloggi.
Il muro che la delimita, porta dipinto un murales tipo futurista, il cui autore è Giorgio Sabretti, già dipendente dell’azienda che gli commissionò l’affresco, oggi abbondantemente deturpato dai soliti cretini con lo spray facile.
===civ 46r è il cancello che inizialmente fungeva da entrata principale della villa successiva, prima di nobili privati sotto descritti; poi della Cooperativa. Per tanti anni – credo già da prima della guerra - fu l’entrata di Valdevit, un marmista che adoperava l’aia antistante l’edificio per deposito delle lastre, ed il piano terra della villa per officina. L’attività artigianale è stata chiusa nel 2006. Nel 2010, dopo qualche anno di una fioraia, c’è un rivenditore di prodotti ortofrutticoli.
forse l’ingresso della villa antica e della Coop attuale entrata, ravvicinata; forse
o quantomeno: similare, essendo il portale più con le ristrutturazioni antiche
distanziato dalla facciata della villa dell’attuale
e l’edificio decisamente più lungo
===civ. 50r è, nell’angolo del palazzo, oggi destinato a negozio di abbigliamento chiamato ‘Bubble Gum’
===civ. 8: villa Lomellini - Spinola.
«Nel nome del Signore, l’anno 1636 giorno 25 marzo, nel palazzo di Strada Nuova, Gio. Giacomo Lomellini q. Tomaso incarica il “magister” Pietro Francesco Cantone a riedificare la casa che egli possiede a Sampierdarena vicino alla chiesa di San Giovanni Decollato. I lavori dovranno essere eseguiti in base al “modello” allegato all’atto notarile e secondo quanto specificato nel seguente capitolato. …
Notta delli lavori si doverano fare per riformare la cassa dello molto Ill.e sig. Giovanni Giacomo Lomelino posta in San Pietro di Arena in conformità dello modello segnato di litera A et capitoli si dirano in apresso.
1. Prima si doverà alsare tutto il recinto di detta frabicha per di fori palmi 12 di più di quelo è al presente, in detto alsamento se li doverano formare li vani de quadri al suo locho tanto veri quanto finti.
2. Si doverà parimente alsare tute le muraglie per di dentro tanto maestre quanto tramezzi parte di pietre et parte di un palmo di matoni et di mezzo palmo parimente di matoni et in esse ponerli le sue chiave di ferro da quattro a fassio dove bisognerano per cautella di detta frabicha.
3. Fare il cornicione per di fori qual risinge il capo di detta frabicha di sporto di palmi 2 et di sagoma proportionata al corpo di detta frabicha et detto doverà esser finito di perisia con suo architrave di basso rilevo.
4. Coprire di tetto tutta detta frabicha tanto di legnami quanto de abaini et detto tetto doverà eser funzionante et siguro e stagno da le aque con servirsi delli legnami vechi vi sono al presente cioè queli sarano boni et il restante de legnami mancherano per detto tetto doverano eser di ogni bontà.
5. Si doverà fare un ordine de solari ale mezzarie a tetto in essi ponerli le sue bechiarie et vele di ferro per cautella de detti solari insieme il suo astricho di chiapelle.
6. A dette mezzarie se li doverano fare quadri a numero 10 di palmi 6 e palmi 4 di legname di arse finiti con suoi feramenti delli doppi et a detti quadri ponerli li suoi batiporti per di fori refilati.
7. Segue in dette mezzarie porte a numero 6 di pietra di Lavagnia lavorate ala romana con sue arve di squere di Fiandra finite con suoi feramenti di palmi 3 ½ e palmi 8.
8. Si doverano finire tute le sopra dette mezzarie a tetto d’imbocatura finita con il fretone.
9. Si doverà fare in volta di chane tuto il piano di salla a padiglione o sia a lunete, come più agradirà al padrone e dette volte si doveranno finire d’imbocatura grezza finita con il fretone.
10. Alli piedi della volta di salla se li doverà fare la sua cornice di bella sagoma et di sagoma proportionata a detta salla o sia capitelli, finita con ogni diligentia.
11. Si doverà alli piedi delle volte al piano di salla fare le sue cornice finite come sopra o sia capitelli di sagoma proportionata a dette stantie.
12. Al piano di salla si doverano poner finestre a numero 17 di legname arse finite con suoi feramenti delli doppi di palmi 6 e palmi 13 di luce, rompire dove bissognerà per poner in opera dette finestre et nuovo pavimento dove bissognerà per formare dette finestre in conformità del modello con poner in esse li suoi batiporti sotto e sopra et sue chiappe per di dentro.
13. Sopra le finestre di salla se li doverano ponere i suoi quadri parimente di arse a numero 3 di palmi 6 e palmi 4 finiti con suoi feramenti doppi.
14. A detto piano di salla portali di pietra di Lavagnia di pilastrate lavorate in facia a numero 12 di palmi 4 ½ e palmi 10 con sue arve di squere di Fiandra finite con sue serature mappe et chanchani et altri ferri morti.
15. Si doverà finire tuto il piano di salla dinbocatura finita come sopra.
16. A detto piano si doverà dividere le due loggie da levante e ponente con formare in esse li vani delle finestre al suo solo in conformità dello modello.
17. Si doverà formare tute le finestre al piano di salla cioè rompire dove bissognerà et parimente acrescer di materia dove sarà di bissognio per formare la faciata in conformità dello modello.
18. Si doverà fare un ordine di volte di materia che ano da formare il piano di salla et in esse ponerli le sue chiave di ferro da quatro a fassio dove bissognerano per cautella di dette volte.
19. Astricare tuto il piano di salla di astrico di quadrete di Savona o sia astrico batuto come più agradirà il padrone.
20. A detto piano di salla formare la loggia verso tramontana con ponerli dua colone et balustrata e poggiolo a deta parte tale come mi sarano date dal padrone e deti lavori finirli come sopra.
21. Si doverano fare tute le scale false si partono dal piano di salla vano a le stantie a teto et da deto piano ale mezzarie sotto il piano di sala et cucina et da la cucina al piano del porticho, sopra tromba di legname con scalini di pietra di Lavagnia e dete finire sotto e sopra.
22. Formare il piano di cucina con servise di quela cucina vi è al pressente con fare a detto piano il suo tinello et dispense e dete mezzarie finite come sopra.
23. Si doverà distruere la muraglia al piano del portico che al presente forma il mezzano a detto piano et di novo fare deta muraglia che forma il mezzano verso mezzogiorno in conformità del modello.
24. Si doverà di novo distruere dete due volte del mezzano et farle ala altessa, cioè quela del mezzano ala altesa del piano falso et quela del remezzano ala altesa delle mezzarie con ponere in dete volte le sue chiave di ferro da quatro a fassio per cautela di dete volte.
25. Si doverano formare tute le mezzarie sotto il piano di salla cioè stantie de creadi et serventi come mezzarie per padrone tanto volte quanto pareti e dete mezzarie si doverano finire dinbocatura finita come sopra et ali piedi dele sopra dette volte farli il suo dado di basso rilevo per finimento di dette volte.
26. Si doverano fare a dete mezzarie cioè quele si fano di novo le volte et i suoi astrichi di chiappelle.
27. Fare in detti mezzari quadri a numero 13 di palmi 6 e palmi 4 di legname di arse finiti con suoi feramenti delli doppi et a deti quadri suoi batiporti sotto e sopra et chiappe per di dentro.
28. Segue a detto piano portali di pietra di Lavagnia lavorati ala romana a numero 12 palmi 3 e palmi 8 con sue arve di squere di Fiandra finite con suoi feramenti con servirse di quele porte vechie che sono al presente al piano di salla cioè quale sarano bone tanto al piano di dete mezzarie come le mezzarie a tetto.
29. Si doverà fare laputamento al piano del portico cioè mezzano grande e picolo in l’arve porticho tanto volte quanto parete di finimento dinbocatura finita come sopra.
30. Si doverà fare ali piedi di dette volte le sue cornice o sia capitelli di bella sagoma e di sagoma proportionata a dete stantie.
31. Al piano del portico si doverano cambiare tute le porte che sono a numero 9 compreso una finta a detto piano di pilastrata di pietra di Lavagnia lavorate in facia di palmi 4 ½ e palmi 10 con sue arve di squere di Fiandra finiti con suoi feramenti delli doppi rompire dove bisognerà per ingrandire dette porte e detti feramenti dentro e fuori insieme finite.
32. Astricare il portico di astrico di otangoli bianchi e negri loggia al piano di salla insieme balatori di scale.
33. Si dovrano fare le scale maestre si partino dal piano del portico di scalini di pietra di Lavagnia di palmi 8 ½ di grosesa di un quarto di palmo sopra tromba di materia sotto e sopra.
34. Si doverà fare tute dete trombe di scale tanto di soto quanto di sopra dinbocatura finita come sopra et ali piedi di dete volte farli i suoi capitelli ben fatti con sue lettere a detti di basso rilevo.
35. Nele mezzarie a teto se li doverano fare i suoi nesesari come anche si doverano fare ale mezzarie sotto il piano di salla per comodità di dette mezzarie.
36. Si doverà imbocare et indarbare tute le faciate per di fori apreso al pitore compreso il fare li ponti.
37. Si doverà ricevere le aque dello tetto per via de canali introdurla nel vasso della giusterna et insieme ricondure li conduti che servono per purgar le aque di detta casa.
38. Tutti li materiali usirano da deta frabicha vadino per la spesa che anderà per demolire detti lavori et poner da parte la robba insieme dispacchi zetti et farli portare ala marina.
Tuti li sopra detti lavori s’intende farli bene diligentemente forti e siguri in gusto e sodisfatione del padrone e di persone perite per quanto dice li sopra deti capitoli et in conformità delo modello segnato di litera A, per il pretio di lire vintiduamillia di moneta oggi corente in Genova, dicho lire 22.500 (?).
finestra finta
Gio.GiacomoLomellini q. Tomaso, = fece testamento il 3 luglio 1639 e
morì il 16 luglio 1639 alle ore 12 1/2. Lasciò
erede usufruttuaria la moglie.
Era sposato con Caterina figlia di
Pietro Lomellini (fra parenti).
Avevano avuto due figlie: Silvia e forse anche Maria Teresa suora carmelitana.
Caterina Lomellini, vedova di Gio. Giacomo il 13 ottobre 1640, fa testamento.
lasciando tutto alla figlia Silvia (di una generazione dopo; quindi attorno al 1675), la quale -avendo sposato Alessandro Grimaldi (q. Pierfrancesco; grande figura genovese dalle immense ricchezze; doge nel biennio 1671-3. Morì l’1 marzo 1683 e sepolto al Boschetto. Con Silvia avevano avuto sette figli maschi ed una femmina Camilla che andò sposa a Filippo Lomellini); farebbe dedurre che la villa di Sampierdarena sia passata ai Grimaldi. Invece dopo ancora due generazioni è ancora in possesso dei Lomellini con la Giovanetta del Vinzoni.
Da Giovanetta, poi passò di proprietà (non c’è una data precisa; unico
rilievo è una carta di poco anteriore al del 1781) all’ecc.mo Domenico
Spinola.
Altro ‘buco’ di cento anni; fino a che fu ceduta a privati, fu poi occupata nel 1875 dalla “Cooperativa di Produzione e Consumo” gestita da C.Rota (vedi lui, e foto sul GazzS 5/82.10—sulla cooperativa vedi a anche A-pag.113 ed a Saffi). Non un mezzo di lotta sociale né sindacale ma una attività commerciale mirata al guadagno anche se nella proporzione a vantaggio dei più deboli. La Coop, iniziò le attività nel ramo del Consumo, nel 1864 con 50 soci ed azioni da 20 lire proponendosi lo scopo di raccogliere un capitale iniziale con cui comprare derrate alimentari sia sopprimendo inutili intermediari, sia scegliendole e garantendole nella qualità; per rivenderle al miglior prezzo; per aiutare il lavoratore ad essere economo, morale, emancipato; con carattere politico di base repubblicano-anticlericale; Costa scrive che su idea e proposta dell’ansaldino Faelli Luigi, fondatori furono 114 soci dell’Associazione Operaia di San Pier d’Arena, tra cui Bagnasco Antonio, id. Gerolamo detto Giromin, id. GB, id. Nicolò; Balzarini Gerolamo; Bolla GB; Botto Pietro; Caminada Antonio; Firpo Giacomo; Grondona GB; Lucatelli Francesco; Medici Luigi; Patrone Antonio; Pecci Francesco; Pittaluga GB; Repetto Giacinto; Roncallo Giovanni; Rota Pietro; Toma GB; segretario Milla Francesco; presidente Faetti Luigi; cassiere Casanova Gaetano. Dopo varie riunioni di approfondimento, valutazioni e discussioni -ospiti del Municipio in via Mercato 11- furono fatte le nomine e si compilò uno Statuto usufruendo dei consigli dei fratelli prof. Viganò Francesco e JacopoVirgilio che si erano avvantaggiati di studi sull’armento; infine fu approvata l’apertura del primo negozio-spaccio in centro del borgo, in via A.Doria (via G.Giovanetti).
1865, malgrado i soci fossero 150, le cose non si avviarono subito in modo brillante;.gli esercenti erano ovviamente contrari, molti fornitori erano diffidenti, gli operai stessi scarsamente collaboranti perché non fiduciosi dell’esperimento. La dirigenza era formata da Bagnasco Nicolò, Bolla GB, Brancaleone Francesco, Casanova Gaetano, Cassanello Antonio, Firpo Giacomo, Gatti Lorenzo, Londer Beniamino, Molinari Giuseppe, Oselli Carlo, Pallarea GB, Patrone Antonio, Piaggio Antonio, Podestà Francesco, Siegrist Giovanni.
1866/Gennaio i membri del Consiglio furono quelli sottolineati sopra più Brancaleone Francesco, Casanova Gaetano, Cassanello Antonio, Gatti Lorenzo, Londer Beniamino, Oselli Carlo, Molinari Giuseppe, Pallarea GB, Piaggio Antonio, Podestà Francesco, Siegrist Giovanni.
1869 Rota Carlo diventa tuttofare: segretario, magazziniere, facchino.
1870 i soci sono 200; capitale di 5500 lire; si inaugura la parte Produttiva, con la fabbrica di pasta (che vincerà, medaglie d’oro d’argento e diplomi vari alle Esposizioni nazionali, e venderà i suoi prodotti ad altre città anche inglesi ed olandesi.
1871 i soci furono 300, capitale 20.000; gli uffici si spostano in locali di Carpaneto GB posti davanti alla stazione (piazza N.Montano).
1874 i soci furono mille; capitale 88.600. La Cooperativa sampierdarenese sta diventando la più intrapprendente di tutte le consorelle e indicata ad esempio di merito e virtù.
1875 i soci 1700; capitale 140mila lire e fondo di riserva 28.400. Nasce la coop. edilizia-costruzioni per MenoAgiati
1877 la Coop potendo immagazzinate oltre 3mila sacchi di grano, impiantò un mulino a cilindri per produrre farina, semola, cruschello e crusca.
1883 la Coop ha 1350 soci, capitale per 100mila; nasce l’idea di concentrare in unico fabbricato l’amministrazione ed i settori produttivi: si acquista per 92.500£., a rate per 15 anni, dal commerciante Sciutto una villa di mille mq con 3mila mq di terreno (già dalla marchesa Serra =palazzo Monticelli?) per inserirci un mulino a vapore da 15 cv con macchinario Ansaldo. oltre la fabbrica della pasta alimentare e del pane utilizzando un forno girante Roland (che nel tempo divennero tre) capaci di rispettivamente produrre 30p pane/die e 20q pasta/die.
1885 soci 1700, capitale 117mila; si aggiunge un macello e gli spacci diventano nove.
1886 la Coop è la quarta come importanza in Liguria; i soci furono 1659, capitale di 182.208. Ma, tra tutte, è quella che più si distingue per la pluralità delle idee e proposte a favore dei soci, con maggiore forza attrattiva di nuovi soci, utilizzando anche le nuove tecniche di comunicazione. Acquista infatti posizione di punta nel settore della distribuzione.
1888 si ordinò alla Coop di Produzione un macchinario a vapore da 50 cavalli con relativa caldaia.
In questo anno, al 3° congresso dei cooperatori, si organizzò la Federazione delle società cooperative nazionali; essa programmò per il 1893 SPdArena quale sede del 5° congresso (in virtù del primato acquisito col dinamismo produttivo prodotto dal socio VArmirotti, la città di SPdArena diventa ‘capitale delle cooperative’), e durante il quale la Federazione prenderà il nome di Lega nazionale delle società cooperative.
1891/2 Novembre fu installato un nuovo mulino prodotto dalla ditta ungherese Ganz, capace di macinare 100q di grano (di cui 10q italiano, e 90q dall’Ucraina attraverso Odessa) + 15q di mais: le farine saranno esportate per 3/5, il resto fa produrre 2q di pane; si cambiò titolazione sociale in “Soc.An.Cooperativa di Produzione e Consumo”, i cui guadagni dovranno essere reinvestiti tranne un 5% agli amministratori e sindaci, altro 5% quale fondo di riserva ed altro 5% quali interessi delle azioni, oltre alimentare una biblioteca e la beneficenza (all’ospedale, Croce d’Oro. L’anno dopo, 1892 in SPd’A con 33mila abitanti, salirono a 2500 soci e 350mila circa di capitale con 64mila di fondo di riserva; il giro d’affari seppur in anno di crisi, superò il 1.500.000£.. Per vendere occorreva comperare pagando la tassa doganale; esistono fatture per grano ma anche mais, zucchero, caffè, petrolio e vino. Ma il 16 agosto muore C.Rota. La Coop costruisce un ippodromo a Piazza d’Armi per celebrare i 400 anni della scoperta dell’America. Durante una visita, il re acquista delle azioni a beneficio della Cassa Pensioni.
1893 gli spacci sono 11 ed il giro economico supera il milione di lire. Costa scrive che in quest’anno furono cambiati i macchinari del mulino, costruiti dalla Coop.di Produzione e capace di 70cv
1895: assieme all’Universale ed alla Produzione, il 24 marzo si fonda la Camera del Lavoro (verrà chiusa 5 anni dopo, sia qui che a Genova).
Diventa direttore della cooperativa, il 28enne ing. Eugenio Broccardi (nato a Ge il 10 lug.1867. Nel 1905 sarà eletto consigliere provinciale del mandamento di SanPd’Arena –e, nel 1907, rieletto-; nel 1913 sostenne la candidatura politica per il collegio di SPdA in opposizione a Pietro Chiesa.
Nel 1914 fu eletto –alle elezioni amministrative- consigliere comunale di Genova assessore ai Lavori Pubblici (e per breve agli Approvigionamenti e Consumi), e tale rinase sino al 1920 quando tutta la amministrazione fu sciolta. Favorevole all’intervento bellico, divenne presidente del Comitato di organizzazione civile per fornire assistenza ai combattenti; e cointemporaneamente fu eletto Deputato (rieletto nel 1924) addetto alla presedenza dell’Ufficio Parlamentare, quale fiduciario della delegazione ligure di maggioranza; commissario dei servizi marittimi; ed altri incarichi importanti e delicati.
Nel giu.1925 divenne Commissario prefettizio per l’amministrazione del Comune di Genova; nel 1926 fu, prima, commissario straordinario per l’unificazione della Grande Genova; poi a dicembre, podestà. A seguito, ebbe ulteriori importanti dirigenze in attività cittadine, nel CAP, nello IACP, scuola superiore di commercio, delegazione delle Ferrovie del Sempione. Fu infine deputato al Parlamento Nazionale e Senatore del Regno. Morì a SPdA nella sua abitazione in via NBixio 4, il 14 mar.1959).
1897 a febbraio il Prefetto fa cancellare la Coop. di Produzione, radiandola per irregolarità nello statuto ritenute non compatibili con l’ordinamento imposto dal ministero. Se tale provvedimento fu di breve durata, non fu l’unico a testimoniare il clima persecutorio sulle attività operaie. Con popolazione operaia arrivata a 22000 lavoratori nell’industria, i soci furono 2800 e gli addetti ben 78; 15 le succursali vendita di cui 12 a San Pier d’Arena; la fabbrica di pasta, ne produce 150 q/die; la cantina del vino (importato dal Piemonte e dal sud) ha una capienza di 15-50mila litri ; si compie un giro d’affari di 1milione300mila lire/anno quarti in Italia e primi in Liguria. Sull’esempio nascono in città altre Coop.: dei Ferrovieri (che nel 1900 avrà 400 soci e 2 spacci; e poi diverrà autonomo), dei Muratori (vedi a Monastero).
1898 il pane viene venduto a 38cent. (contro i 44 degli altri fornai locali ed 48 a Genova: dovettero scendere a 40).
1899/6 settembre la cooperativa acquistò -dalla famiglia del marchese Pareto- la villa Spinola di via A.Saffi (via C.Rolando) con terreno. Presidente Mariotti Gustavo, consiglieri Basso Ezio, Bennati Antonio, Mussato Vittorio. A novembre nacque la “soc.an. Cooperativa di Consumo tra Lavoratori”. Nel 1901 nasce la prima “mutua” di assistenza sanitaria: la Universale con altre SMS (Vittoria e Generale) e con le varie Coop provvedono la cura medica per i soci purché acquistassero per 240mila lire/anno. Per due ambulatori, furono assunti sei medici dei quali uno a stipendio (lire 3000) e 5 a notula (lire 300 fisse più 050 a visita).
La popolazione aumentata ad oltre 30mila unità inizia a far sentire insufficiente la prestazione sanitaria dell’ospedale (che vive anche sulle cospicue somme raccolte dalle Cooperative), il numero e la qualità delle case disponibili. Ovviamente questi aspetti sociali avevano grossa ripercussione politica per le elezioni: infatti nel 1900 venne eletto PChiesa.
1900 sciolta la Camera del Lavoro viene costituito, a Genova, il ‘Consorzio Agrario Cooperativo’, mentre la Coop di Consumo sampierdarenese il 12 maggio inaugurò un nuovo magazzino succursale di vendita.
1902: la Cooperativa viene diretta dai Socialisti (presidente Murialdo Luigi) con apporto di un migliaio di nuovi iscritti: è una delle prime classiche “invasioni” della politica nella iniziative umane: il principio è giusto, legato al superamento delle individualità ed egoismi, a vantaggio della comunità e convivenza; la realizzazione poi sarà sempre più complessa nel senso che all’egoismo di uno si sostituisce l’egoismo del partito, retto da pochi che però poi equivalgono quell’uno. La Cooperativa inaugura in via G.Mameli la farmacia “alla Cooperazione”, che concorre alla fornitura dell’ospedale (ancora localizzato in villa Masnata).
1903: 2870 soci, 17 spacci (anche a Teglia, Rivarolo, 2 Cornigliano e SestriPon.), 290mila lire di capitale, 80mila di fondo di riserva, 2000 di fondo previdenza. Il mulino di via A.Saffi lavora 40mila q. di grano e mais per farine alimentari; la fabbrica di pasta produce 5400 q di pane/anno; le vendite (dirette o a terzi –in primis il Comune di SPd’Arena; a Genova le suore di Carità e la coop Ligure Lombarda; ed anche all’estero -Olanda ed Inghilterra-) superano 1.800mila lire/anno; gli utili sono reinvestiti per riparazioni e miglioramento dei macchinari e per l’acquisto di vino del Monferrato (sino a questo anno l’acquisto di 4-6mila hl veniva raccogliendoli da piccoli proprietari della zona di Mombaruzzo-AL, al prezzo medio di mercato su tre piazze (Acqui,NizzaM, Al.); da questo anno viene acquistato uno stabile a Gavi, con torchio, fabbricazione e deposito. Viene creata una “cassa per depositi e prestiti”. La Coop partecipa al Congresso Regionale delle Camere del Lavoro (a SPd’A=Massara Carlo), Leghe, Cooperative (a SPd’A=Murialdi Gino) e socMS (a SPd’A=Casirola...): saranno 184 società liguri, rappresentati 65mila soci. La Coop sampierdarenese diventa per un anno “Alleanza Cooperativa Ligure di produzione e consumo”, modificando anche lo Statuto. A metà ottobre viene aperto in via N.Barabino un Caffè-Birreria (con mobili disegnati da Plinio Nomellini e con cura dell’estetica, decoro e pulizia oltre al servizio, un primo riscatto contro l’osteria e l’alcoolismo).
1904 la Coop. si doppia –come detto sopra, per incompatibilità ideologiche, con ovvie ripercussioni di accuse (di calunnie e di causalità della sconfitta elettorale di PChiesa)-: un gruppo di 100 repubblicani (detti pure rivoluzionari o di resistenza), si dissociano dai socialisti e fondano la «Cooperativa di Consumo Carlo Rota», che negli a seguire (1922, ed anche durante il fascismo) avrà uffici e magazzino in via A.Doria, 10 spacci, un forno panificio. Politicamente i repubblicani, unendosi con i radicali, saranno chiamati partito democratico (Ronco Nino, Mongiardino Giovanni, Murialdi), e che l’anno dopo sarà sconfitto alle elezioni.
L’altro gruppo, di fede socialista (o riformista), fondendosi con l’ Emancipazione di Genova, la Coop. Rivarolese e la Coop Ambo i sessi (nel Pagano/1925 compare questa S.MS in via ASaffi, civ.4), diventa la «Alleanza Cooperativa Ligure di produzione e consumo “Avanti” in San Pier d’Arena», diretta dall’avv. Gino Murialdi, con 5000 soci e capitale di 500mila lire (a San Pier d’Arena possiede: 1 farmacia; 15 spacci (sul negozio, l’insegna li definisce “venditorio N.__” =in v.A.Doria, 3 in via CColombo, v.BMonti, 3 in v.UmbertoI, v.sanCristoforo, v.Demarini, v.Gioberti, v.A.Saffi; un deposito olio d’oliva in via CColombo; un caffè-birreria; una cantina a Gavi).
Si allarga l’attività con un settore di macellazione e lavorazione della carne; ed uno di distribuzione di vino. Di tutte le iniziative, la media degli incassi giornalieri è di 5200 lire (contro le 3385 del 1903).
Seppur in crisi politica, i socialisti-riformisti pubblicarono dal 3 novembre un settimanale titolato “l’Azione” (titolo mutato al quinto numero in “Azione socialista” diretto da Massara Carlo; vivrà per due anni cessando l’uscita nel 1907 dopo essere stato incluso come foglio di interesse locale nel giornale “Era nuova”).
Avanti - distribuzione del vino (osteria)
cantina e forno uffici
1905 malgrado la secca sconfitta elettorale ed il blocco –per motivi politici- del credito da parte delle banche (per carenza di moneta circolante, si ipotecano i locali di via A.Saffi con la banca s.Paolo di Torino), il circuito distributivo dell’Avanti, permette allargare la distribuzione anche del latte.
1906/dicembre: viene inaugurato dalla Coop Avanti, in san Martino, un nuovo ristorante-birreria. Inizia la distribuzione anche del latte (generalmente scremato; a 80 cent a privati ed enti; a 25 c. a soci,istituzioni,OperePie, collegi,istituti di mendicità e scuole).
1908 in 10mila partecipano alla festa campestre per raccogliere fondi pro scioperanti di Parma.
1909 l’Avanti realizza 1.369.347 £/anno con gli spacci, e 235.993 £ con i ristoranti.
Staccata dalla Cooperativa Avanti!, (più numerosa e florida, gestita dai socialisti) nasce la Cooperativa di Consumo Carlo Rota, dedicata appunto al monzese mazziniano puro (di minoranza, raccogliendo solo iscritti repubblicani; aprirà 5 spacci; con l’avvento del fascismo riuscirà a sopravvivere pochi anni di più della più potente ed appetibile Avanti!)
esterno ed interno del “5° venditorio” della Cooperativa C.Rota (non c’è grande ricchezza di merci)
posto nell’angolo tra via Demarini (oggi Dottesio) e via Malinverni
1911 quando SPd’A conta 42mila abitanti, la Coop Avanti nomina (24 apr) presidente Leoni Ricciotti.
1913 a Genova nasce (30 magg) come soc. an. il “Consorzio di consumo cooperativo” che eredita spacci e ristorante dell’Avanti, aperti nel capoluogo; in contemporanea in città si apre un altro spaccio.
1915 L’Alleanza Coop. Avanti, ha 4000 soci, 20 spacci, capitale di £.281.576,54, fpondo di riserva di £.47.165,35
1930 molte Coop vengono annullate dal fascismo, che organizza un servizio similare chiamandolo “Consorzio Annonario”.
1933 nel Pagano sopravvivono, a SPdA:-- la Coop.di Consumo C.Rota-alimentari (con spacci in via A.Doria, 37r e 79r + corso Dante Alighieri, 42 + via GB Monti, 14 + via A.Pellegrini, 7 + via De Marini, 1 + via Umberto I, 147). --a Coop Facchini merci vari Sampierdarena (presso i Doks Liguri).
Nel 1895 presumo che la villa fosse divenuta di proprietà “Roncallo- Storace & c.” delimitando il terreno acquistato dall’UITE, mentre parte del giardino dapprima era occupata dallo stabilimento Torriani, poi il rimanente fu acquistato -dall’UITE nel 1930- per ampliare il “deposito centrale” dei tram.
Durante e dopo la guerra del 1940-45 fu occupata alla base dal marmista Valdevit, che cessò l’attività dei primi anni 2000.
L’ingresso attuale è nella via e –sopra il portone c’è una nicchia con Madonnetta-; quello originario della villa era posto sulla facciata interna a mare, a cui si accedeva dalla strada, tramite un ampio portale che ancor ora esiste e da ingresso ad un marmista: attraverso esso, si entrava in un lungo parterre che dopo la casa si prolungava in un giardino all’italiana; il terreno arrivava fino al Polcevera, tutto coltivato fittamente. Con l’avvento della ferrovia, il terreno venne tagliato e poi lottizzato. L’interno conserva qualche raro ambiente con la volta a padiglione o a crociera: attualmente -seppur mantenendo il volume originario- è stata totalmente ristrutturata per trasformazione ad edificio di abitazioni: sicché l’ingresso è stato portato in via Rolando, per cui le scale ovviamente sono state rifatte e su questo lato le finestre uniformate. Durante l’ultimo restauro svolto nel 2007-8 circa, sotto l’ intonaco coprente, casualmente è stata rinvenuta una lapide di lavagna di fattura medievale. Divisa in tre spazi, i due laterali sono scudi scalpellati (stupido gesto di eliminazione dei simboli, in rapporto con 1799 e la Repubblica Democratrica) ed al centro l’agnello con stemma crociato evidente simbolo religioso che porterebbe a pensare alla – in quegli anni - demolenda chiesa di san Martino (vedi sotto).
Anche per questa villa, solo l’attenta osservazione della facciata principale a mare, dove occupa il piazzale il marmista, fa scorgere i tratti originali della villa antica cosicché solo questa facciata conserva integri alcuni aspetti originari (specie i grossi finestroni con inferiate). Dal confronto dell’attuale, con la pianta, sarebbero state aperte almeno due finestre sulla facciata. La casa è stata riverniciata all’esterno nel 1999; sulla facciata di via Rolando, al primo piano, la prima finestra verso il mare non esiste ed ha le persiane dipinte chiuse.
civ. 8- volta di un vano a piano terra tra i più a ponente. Lapide con agnello centrale e scudi scalpellati
Tracce di affrescatura
===civ. 8A - dal 1982- solo il piano terra- fu concesso in uso all’ associazione onlus (senza scopo di lucro) “Progetto 80” formata da volontari che si dedicano all’assistenza ed al trasporto delle persone handicappate che abbisognano di una carrozzella per gli spostamenti (nell’anno 1997, furono effettuati 474 trasporti di persone disabili, con tre automezzi). Tra i dirigenti vengono ricordati AnnaMaria Veronese ed Andrea Vegliò (il socondo, giovanissimo sui trent’anni, deceduto in un incidente in moto: malamente la strada gli fu tagliata da una avventata manovra di un extracomunitario che in via Cantore fece una svolta a U con una grossa jeep, comparendogli davanti improvvisamente e drammaticamente. ‘RicordandoAndrea’ e il terzo ‘trofeo sport per disabili AMVeronese’ (sono disabili in carrozzella, spinti da volontari sani, che giocano a pallamano) furono i titoli delle manifestazioni tenute nel 2002 in occasione dei vent’anni della nascita). Nel 2008 è presidente la sig.ra Vittoria Albertini ved. Bonzani.
===civ. 10: a fine secolo 1800, aumentando vertiginosamente la popolazione, con l’immigrazione soprattutto di forze di basso ceto sociale (inoccupati, analfabeti, alcoolisti, violenti), l’amministrazione comunale avvertì la necessità di costruire una propria casa di pena, nel proprio territorio.
Dapprima fu individuata all’uopo una zona che in via sant’Antonio (via Daste) era affiancata all’ospedale (allora ancora in villa Masnata); ma poi fu optato predisporre per alcuni anni -compresi il 1891 ed il 1896- dei locali carcere nel palazzo Boccardo in via Mercato 11 (Questo palazzo fu venduto a privati, e poi demolito; era nel luogo ove ora è il civ. 51 di via A.Cantore, poco a ponente dell’Oratorio della Morte&Orazione e della salitina che portava in piazza capitan G.Bove. Si scrive da Roncagliolo che erano due stanzette –lui scrive “non si trattava altro che di un negozio” mentre invece ritengo che fossero all’ultimo piano; una decina di mettri quadrati in tutto; con grate alle finestre, capaci di ospitare al massimo due persone).
anni 1980
Il Comune invece comprò un altro terreno, di antica proprietà dei marchesi Pallavicini, che nel 1865 avevano venduto al cav. Carlo Mario Copello, il quale a sua volta lo rivendette al Comune per 21mila lire. Solo nel 1905 fu bandita la gara d’appalto che all’inizio chiedeva esserci anche un dormitorio pubblico, bagni popolari, caserma della delegazione della polizia, cucine economiche popolari; probabilmente visto la spesa, il progetto fu ridimensionato (optando per sistemare la caserma di polizia nel vicino palazzo Grasso); e, governando Nino Ronco, nel 1906 iniziarono i lavori (eseguiti con la regola prefissata della disposizione interna che non rendesse visibili i detenuti: nacque così il carcere giudiziario mandamentale di San Pier d’Arena. Roncagliolo scrive che la targa diceva “Carcere Mandamentale di Sampierdarena”.
Nel 1957 rilevando la inadeguatezza funzionale, si auspicò o una totale ristrutturazione o la soppressione (anche in rapporto alla vicinanza della scuola media). Con varie fasi, ospitando detenuti con sempre minore peso giudiziario, avvenne la chiusura totale delle funzioni carcerarie nei primi giorni dell’anno 1972. Eliminate le scartoffie, Roncagliolo narra che le stanze a pianoterra vennero date a due anziani che vendevano frutta e verdura, quindi chiamati con semplicità “a Santinn-a” ed “o Pellegrin”; sul banchetto, per un centesimo, davano o un sigarino, o una pipetta, tiramolla, reganisso (forse anche pescetti, bottoncini di liquirizia) ed altre piccole cose per ragazzi.
Dopo allora l’edificio venne abbandonato, con grande dispetto del Consiglio di circoscrizione che si adoperava con riunioni per il riutilizzo (propaggine della scuola, una mensa, ambienti per handicappati -1981-) o l’abbattimento; Roncagliolo ricorda che appena sgombro dalle suppellettili giudiziarie, un vano di piano terra fu occupato da una coppia di vecchietti “a Santinn-a ed o Pellegrin” che vendevano frutta, verdura e, per ‘un citto’ ovvero un centesimo, deliziavano i bambini con un reganisso o tiramolla, pescetto, sigarino e pipette dolci.
Solo nel 1998 l’edificio, preso in carico dallo IACP (poi divenuto “Arte”) fu totalmente ristrutturato con la spesa di 1,5 miliardi di lire; con momentaneo allontanamento dell’associazione (che è già rientrata, occupando un appartamentino piano terra munito di microterrazzo sul retro e di spiazzo auto davanti, con cancello autonomo) e con finalità di sei appartamenti per abitazione muniti di cantine,box o posto per auto (che sono usufruibili dall’inizio dell’anno 2000 ma non ancora assegnati nel 2002. Tutto è stato eseguito in silenzio negli anni 2003-4) .
Non specificato da quando, l’edificio è sotto vincolo e tutela della Soprintendenza per i beni architettonici della Liguria.
===civ. 12: ex-villa Spinola; oggi scuola media statale San Pier d’Arena;
e 56Br torre Spinola:
la grande villa cinquecentesca con le caratterista genovese, descritta in via san Martino quando godette la migliore magnificenza e funzionalità. Nella carta vinzoniana appare appartenere al ‘magnifico Domenico Spinola’***
Nel periodo fine ottocento e metà 1900, ebbe un utilizzo solamente sociale, ospitando scuole, bagno pubblico, caserma.
Nel Pagano/1950, ma al civ. 14 (che ritengo errato), si segnala la presenza --di un istituto medio legalmente riconosciuto chiamato <Civica scuola professionale ‘A.Cairoli’>, e –di una scuola di avv.prof.femm. comunale Adelaide Cairoli. Nello stesso libro, si fa aprire nel retro, in via G.C.Abba, lo Stabilimento Comunale bagni d’acqua dolce calda
Si deduce che da quando la strada aveva assunto il nome del partigiano, il deterioramento aveva assunto gradi di tale irreparabilità, che il Comune con l’assenso delle Belle Arti e di tutti i servizi adibiti alla conservazione dei beni culturali, addivennero alla conclusione dell’impossibilità del restauro e dell’utilizzo funzionale.
Fu distrutta nel 1963.
Sul suo sedime, è stata costruita (dall’ott.1963) l’attuale edificio scolastico che ospita la media statale (succursale della “Sampierdarena” di piazza del Monastero) ed il liceo scientifico (una delle succursale del E.Fermi di via Ulanowski).
Rimane la torre, inglobata nelle costruzioni affiancate, specie il civ. 7 di via D.Storace: lo spazio ricuperate all’interno quale una stanza è collegato ai vari appartamenti del palazzo e fa così parte di abitazioni private.
Solo dal 1963 è giudicato immobile vincolato dalla Soprintendenza per i beni architettonici. E’ notabile solo per i robusti mensoloni che coronano l’apice e per la base che da robusta, si snellisce alzandosi. Esternamente è stata restaurata nel 2001-2 .
Il largo portone chiuso da saracinesca orizzontale della scuola, è seguito da un altro portoncino, senza civico.
===civv 14: demolito nel 1955 ; così anche il 14A nel 1963 ; il 14B nel 1964;
===civ.56Er: finisce l’isolato e fa angolo, una sede della banca Carige
Via D.Gaetano Storace
===civ. 58r inizia il nuovo isolato: Nel 2007 è gelateria.
===civ. 16: vecchissimo palazzo, già incluso nelle carte del 1757 e nel catasto napoleonico. Inizialmente era di due piani e portato a quattro nel 1929. Due negozi:
72r-74r sono sormontati da nicchia vuotata di una Madonna ella quale rimane la base.
===civ. 18A: assegnato a nuova costruzione nel 1957
===civ. 84r chiude la serie della casette, con la precedente attività commerciale negli anni 1950 della ditta A.Taboni di materiali edili (pietrini da marciapiede, cemento e fibrocemento); poi di ‘Argentoro’; poi nel 2007 rivendita di motocicli, la quale si prolungava verso ovest con una profonda rientranza chiusa da cancello e dove è il civ. 86r; poi dagli anni 2008 un rivenditore cinese.
In fondo alla rientranza c’è un muro trasversale che unisce via DGStorace con via Agnese e che faceva parte del muro di cinta di antica proprietà che – appare evidente - è stato sovrapposto per renderlo più alto - vedi Vinzoni -). Oggi separa tutto il complesso scolastico di via PReti, compresa la palestra, dal retro delle case affacciate su via CRolando
===civ. 88r: posto d’angolo, attualmente è un bar, ex latteria, possiede nel retro un giardinetto limitato dall’alto muro su descritto, con caratteristiche cinquecentesche. Nel muro spicca un ampio arco di mattoni messi in costa ‘sovraporta’ che corrisponderebbe ad una architettura protetta e vincolata –non se ne conosce il motivo- dalle Belle Arti dal 1934. In realtà, al di fuori di essa, non cè più nulla ed il negoziante sa nulla. Questo muro segna il limite di proprietà già nelle carte del Vinzoni.
muri vecchi e nuovi sovrapposti: dalle finestre del civ. 16 nero dietro al civ. 88r
===civ. 20: fu eretto nel 1936. Questo palazzo finisce col 100r per dare angolo ad una nuova rientranza di proprietà privata, divisa a metà e quindi accessibile con due affiancati cancelli (non cè la targhetta ma evidentemente sono il 102r e 104r). Il nuovo ed ultimo palazzo dell’isolato, non ha civici neri, inizia col 106r e finisce col 120r di un fioraio.
Via Battista Agnese – a metà strada passa la separazione tra la UU24-Campasso e quella UU-25 san Gaetano
===civ 122r inizia il nuovo isolato un grosso negozio di pelletterie, rimasto tristemente noto perché nel 2006 ci morì dentro -improvvisamente di infarto- il proprietario. L’anno dopo è stato rilevato da cinesi.
===civ.20A fu eretto nel 1918, sempre dalla famiglia DeAndreis, già imprenditrice in via Cassini, B.Agnese, Stennio ed altri numerosi edifici di SPdA Come già detto all’inizio, corrisponde -su una carta del 1750- alla casa del mag.co sig. Ventura, munita di ricco possedimento terriero prolungato ad ovest e sud, sino quasi al Polcevera . Nel 1900 tutta la zona, il cuneo di terreno compreso tra tutta la parte nord di via B.Agnese sino a piazza Masnata era di proprietà di Horemberg; poi degli eredi e dei DeAndreis, i quali in parte hanno ceduto a privati ed in parte rimangono proprietari di numerosi appartamenti .
Un vuoto che contiene alcuni civici rossi ed il 20B, e che sul lato a mare continua con una stradina privata di collegamento con via P.Reti, separa il civ. 132r di abbigliamento,
dal civ 150r primo del penultimo isolato.
===civ.22 è un palazzo rifatto, sfruttando un manufatto preesistente assai antico del quale rimane traccia per esempio nella presenza di finestre – ed anche quindi di soffittatura - più alte del piano nobile come era in uso nei palazzi sino all’ottocento; pare che più anticamente ancora (anni 1600-1700) vi fosse un deposito di riso.
Il palazzo, contenente il civ. 24, al civ 156r fa angolo con un vuoto intermedio civ. 158r occupato a giardino esterno del bar (un ‘pub’) che ha il civ. 160r; e finisce col 168r d’angolo con
Via S.Bertelli
L’ultimo isolato inizia con il civ. 170r, contiene l’ultimo civico nero, il 26; finisce con il 178r che fa angolo con
Piazza N.Masnata
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CIVICI DISPARI (a levante)
via GB.Monti a partire dall’angolo con
===civv. dall’1 al 7,
_
civ. 1 e civ. 3
Già nella carta vinzoniana del 1757 appaiono tante casupole unite affiancate una all’altra, di due, tre piani al massimo e quindi di differente altezza ed ampiezza, ed appartenere a tanti singoli cittadini privati (vedi via san Martino).
Nei primi anni del 1900 si descrive a pianoterra essere quasi tutte adibite a stalle divenute proprietà della famiglia Ceserani; essi poi le fecero trasformare in case abitative. Dal 1992, molte sono divenute ereditariamente proprietà del medico Patrone.
Il portone del civ.1 penso sia uno delle più stretti della città non superando il metro di larghezza. Sopra il portale del civ. 3, in una nicchia, c’era una statuetta della Madonna che appariva abbastanza antica, ma decapitata. Nel restauro della facciata nel 2006 è stata tolta e, ad agosto 2007 non è ancora stata riposta.
===civ.1r da molti anni, ancora nel 2007 è un negozio che vende surgelati
===civ 3r negli anni 50 c’era un bar gestito da U.Rigoletto; unico nella zona con qualla qualifica quando gli altri erano ancora prevalentemente osterie
===civ.5r è occupato da una tabaccheria dalla felice posizione essendo in zona molto trafficata. Sino al 2006 è stata gestita dalla famiglia Sciamà, divenendo un punto di riferimento per tutta la delegazione. Da quella data il testimone è stato passato alla sig.ra Fortunato che ha voluto chiamare il locale “Boteguita del Pilar”.
===Civ 7r: rosticceria, negli anni 50 gestita da Anna Veronese (ancor prima, dal padre), indimenticabile presidente anche di Progetto80.
civ. 7 nel 2010
===civ.9: fa parte dello stesso isolato dei precedenti, ma si differenzia perché il portone non è sulla strada ma all’interno di una aia, ove è ospitato a piano terra e da tantissimi anni, un fioraio.
Ante 2ªguerra, vi abitava ed esercitava un famoso medico_ ,il cui nipote (negli anni 1985-2006) esercita come valente veterinario in via GBMonti.
===civ.15-17r: la cartoleria Berardi. Il nonno Giovanni scese a Genova nel 1906 aprendo una cartolibreria per conto della soc. Lattes in piazza F.Marose. Nel 1915 si trasferì a SPd’A aprendo in proprio, al civ. 34r di via generale Cantore (via NDaste; vendeva timbri, stampati e cancelleria d’ufficio; nel 1933 è ancora reclamizzato in via N.Daste, civ. 41-43 quale cartoleria legatoria). Dal 1936 si trasferì in via CRolando (allora, da via Saffi diventava via Mazzucco): ove si continua da tra generazioni: il figlio Antonio (valente pittore e persona squisita, imparentato con Dante Conte); e, attualmente ed ancora nel 2011, il nipote GianLuigi.
===civ. 19r
Chiude il primo isolato, in angolo con un negozio che vende abiti, e che non ha numero: dovrebbe essere il 19A
via C.Dattilo
===civ 21r apre il secondo isolato un locale che nel 1971 era occupato da Borgese V; poi bar, reso famoso negli anni 1980-2000 ed oltre, da un barista Franco, famoso in zona per aperitivi e cocktail. L’esercizio, da ‘Franco’ è stato ceduto e possiede in via Dattilo una veranda per tavolini.
Questo isolato ha il civico 11nero e finisce con il 27r.
Essendo la strada zona di mercato rionale all’aperto, la parte finale di essa, confinante con via Rolando, è spesso ‘invasa’ da venditori ambulanti – presumo regolari - specialmente di ortofrutticoli ed alimentari
Via Anzani
Il terzo isolato inizia con il 27Ar e finisce con il 33r; d’angolo c’è un portone 13A, recentemente ristrutturato e che per tanti anni ha ospitato nell’angusto vano una fioraia. Al civ. 29Ar era un negozio di Palli che faceva punto di riferimento per la qualità della merce (tessuti); al civ.31r era –negli anni 50 -l’osteria Lignana il cui figlio Giulio fu poi valente medico ‘della mutua’ (con studio in via Rolando- negli anni 1950-80) ed il nipote medico pediatra.
Via C.Rota
===L’isolato, dal civ. 35r arriva al 61r, senza civici neri.
L’area di tutto questo quarto isolato (eretto –quello a mare in epoca anteguerra, quindi 1940 circa- quello a monte dve c’era la villa, nel 1960), era occupata da giardino a mare e villa Gio Giacomo Grimaldi, a monte, descritta in via san Martino; nata tra il XVI e XVII secolo si apriva sulla strada principale: nella planimetria del 1757 apparteneva al ser.mo Gio Giacomo Grimaldi. Come visibile dalle carte, la casa era posta nell’angolo fra la attuale via s.G.Bosco e via Rolando, con entrata sulla via principale (ed altra a sud per dare accesso ad un non esteso giardino -che era ad L: con la parte lunga estesa su via Rota, e la parte corta nel levante della villa-). L’intera area fu infine comperata dall’imprenditore costruttore Capello Filippo (che praticamente costruì tutta via s.G.Bosco; ebbe cinque figli Vittorio, Giacomo (detto Giaggi), Mario, Domingo ed Adriano dei quali solo due seguirono le orme professionali).
Nel 1939, anni prebellici, iniziò a costruire un palazzo, dove -a mare dell’appezzamento- erano i giardini della villa (nel cui piano terra, all’inizio, fu ospitata la ditta Paolo Morassutti (di origine padovana, vendeva ferramenta, metalli, utensileria, articoli casalinghi; negli anni 50-70qui era il ‘centro vendite di Genova (4 negozi+1magazzino); punto di riferimento cittadino).
Solo a fine guerra –facendo constatare il degrado, riuscì ad ottenere il permesso di demolizione dell’antica villa. Sul sedime seguì la costruzione dell’attuale caseggiato ad abitazioni che fu collegato –tramite terrazzo intermedio al primo piano- con quello eretto prima della guerra (quindi, a piano stradale, appare come un unico edificio. Gli eredi degli operai demolitori –che da piccoli giocavano nel piano terra della villa recintato da travi, e che nei bombardamenti si rifugiavano nei fondi nel primo palazzo vicino -d’angolo con via Rota, essendo di cemento armato- ricordano nella villa soffitti e pareti decorati (ben conservati ma spesso coperti di calce, nell’ingresso l’immagine di una tigre; nel grande salone soprastante, l’immagine di un terrazza dalla quale si affacciavano figure di giovani festanti); un caminetto in marmo lavorato, finito dal marmaio quasi dirimpettaio; alcuni fanciullescamente magici oggetti tra cui uno scudo con le insegne della famiglia; delle serrature tra cui una complicata da antico meccamismo antifurto; dei legni intarsiati a foglia.
Negli anni ‘50, per prima di tutti, l’area d’angolo a mare fu occupata da Morassuti uno dei primi supermercati, che vendeva ferramenta ed utensilerie da falegnami e meccanici. Fu seguito dal ‘fai da te’ Basko. L’area a lato monte invece, dall’inizio anni ‘50 per lunghi anni fu occupata dalla UPIM
Oggi (2007) c’è d’angolo, dal 35r al 47r, c’è il supermercato Eskom; seguito verso monte da altri due grandi centri commerciali che risiedono sotto il terrazzo di stacco tra i due palazzi; i civv. 51r e 53r, nel 2007 occupati da negozio di abbigliamento, di cinesi; Dal 55r al 61r una volta c’era la UPIM Anche su questo lato (come in via Rota), molte delle targhette con i civici sono state parzialmente divelte.
Via san G.Bosco
Tutti gli esercizi commerciali portano il civ. 61r, dalla A alla S (non tutti con la targhetta del numero: l’hanno solo l’A,C,E,H,I,L,M,N,O,R) .
Questi negozi nacquero nel 2001 a seguito della decisione dei salesiani di aprire sulla strada tutti quei locali ed affittarli a privati (allo scopo fu abbattuto un basso muretto eretto ai limiti del marciapiede e sormontato da una cancellata): vani che per tanto tempo si aprivano solo all’interno dell’istituto sotto il porticato interno e, fino ad allora, adibiti alle varie attività artigianali usate come metodo di avviamento al lavoro dei giovani.
Questo quinto isolato inizia con il civ. 61Ar di una banca posta d’angolo. Seguono:
===civv.61Cr; la rilegatoria di don Bosco. È un ‘residuato’ delle antiche attività dell’Istituto salesiano mirate all’insegnamento ed avviamento al lavoro dei giovani legati all’istituto stesso; oggi (2005) è rilevata da un suo allievo che ne trae attività tipo libero-commerciale.
Al civ 61Er ha sede la farmacia San Gaetano. Aperta nel 1901, ha cambiato sede tre volte : l’inizio avvenne dopo notifica del prefetto del 2 lug.1902, a seguito di “istanza per l’apertura …presentata dal sig. Alessandro Bottaro …voto favorevole della giunta municipale in seduta 22 ottobre 1901…riguardo alla grave distanza fra le farmacie esistenti ed al numero più che sufficiente degli abitanti…nella località indicata a sud della chiesa di S.Gaetano…in Sampierdarena via Generale Marabotto (via DG.Storace) civico n.5“. Il sig. Bottaro non era laureato ma solo diplomato in farmacia ed era iscritto al registro Esercenti Professioni Sanitarie (categ. Farmacisti). Non si hanno più notizie fino al 1933 quando l’esercizio era già stato trasferito in via A.Saffi, civ.54r (via C.Rolando), rilevato dal dott. Giovanni Martini (non esistendo ancora diffusa la rete telefonica, dava recapito ai medici dott. Vitaliano Colajacomo, Giuseppe DiFranco, Gari Alfredo; ancora nel 1965 la farmacia anche se non più di sua proprietà, in alcuni testi viene chiamata DeMartini). Da prima dell’ultimo conflitto, dal 1941 gestì la farmacia il dott. Lorenzo Basso ancora presente nell’albo dei farmacisti nel 1961; il cui nonno gestiva un laboratorio producente il famoso ‘Liquore Peristaltico’. A questi successe nella gestione la moglie dott.ssa Tirelli; dall’ottobre 2001 la figlia dei due, dr.ssa Basso Paola che fece trasloco all’attuale civico posto di fronte al vecchio, della stessa strada.
===civ.63Rr la sede della cartoleria-libreria salesiana-editrice Elledici, aperta nell’agosto ma ufficialmente inaugurata il 14 settembre 2001, anche se già aperta al pubblico da agosto, dal card. Dionigi Tettamanzi. I salesiani sono unici a genova (assieme alle Paoline) a pubblicare ed a consultare via pc il materiale religioso. E mail = genova@elledici.org.
L’isolato, anche se cambia edificio, continua con una porticina che conduce ai box sotto l’istituto, che non ha numero; col 67r che è un circolo-bar , e con il civ. 15n che è il portone dell’Istituto.
===civ. 67r il “Circolo s.Gaetano, PGS” (polisportiva giovanile salesiana= è una grossa organizzazione che ha sede a Roma e fa parte del Coni per molte attività applicate qui: nuoto, football, basket, ecc.. Gli uffici locali, sono dentro l’Istituto e controllano un alto numero di soci, i quali poi sono quelli che hanno diritto all’ingresso ed all’uso delle tre sale che costituiscono il Circolo: la prima –genericamente spoglia- con il bar e qualche gioco elettronico; la seconda con alcuni tavolini per il gioco a carte; la terza con ben quattro biliardi. Pur usufruendo dei locali dell’Istituto, il Circolo è abbastanza autonomo dall’attività dello stesso.
Importante la PGS basket donBosco, anche con settore per disabili in carrozzella. La sezione nacque a Genova nel 2005, passò l’anno dopo nella sezione cestistica del PGS, partecipando a campionati nazionali di serie A2 e B (attuale), giocando nella palestra Crocera. In seno alla polisportiva il gruppo handbike (bicicletta per handicappati) nella quale esercita l’iridato campione del mondo 2007 di specialità Vittorio Podestà, chiavarese.
Per ragioni a noi sconosciute – si dice per usufruire diversamente degli spazi – il circolo è stato chiuso nel 2010 dai salesiani.
===civ. 15:
ISTITUTO don Bosco
È l’ingresso principale dell’ Istituto don Bosco (Miscio vuol precisare che il vero nome è sempre stato ed è “Ospizio san Vincenzo de’ Paoli” la società di san Vincenzo de’ Paoli –assieme alle Dame di Carità, femminile e con l’appoggio dell’arciv. d.Minoretti- permise a Genova di divenire il centro italiano non solo più antico, ma anche più fecondo e vivace nel campo dell’assistenza domiciliare, non limitandosi ad amministrare aiuti tradizionali, ma prestandosi come opera di patronato per assistenza religiosa, educativa, ricreativa. Tra i suoi affiliati numerosi erano i benestanti che potevano porre attenzione anche a problemi di più vasta portata come gli sfratti con favorire le case popolari, le assicurazioni obbligatorie, gli ospizi, ecc. Vincenzo de’ Paoli conosciuto quale ‘santo della carità’, nacque a Pouy in Guascogna il 24 aprile 1581. Sino a 15 anni fece il pastore (pecore e maiali), finché un avvocato del paese di Dax, accortosi della sua intelligenza pagò le spese in seminario per addottorarlo. In quattro anni seppe essere ordinato sacerdote. Nel 1605, dovendosi recare da Marsiglia a Narbona, fu catturato da pirati turchi e venduto schiavo a Tunisi. Fuggito, riuscì a tornare. Nel 1612 fu nominato parroco in una località presso Parigi. L’attività caritativa promossa in modo efficace ed organizzato, circondato da valenti collaboratrici suore, della sua congregazione ‘le Figlie della Carità’ (tra le quali una poi santa, Luida de Marillac) gli fece manovrare ingenti capitali (si diceva che ‘monsier Vincent’ avesse un bilancio più grosso di quello del ministro delle finanze). Nel 1617 a Chatillon-les-Dombes fondò una altra congregazione de ‘Gruppi di volontariato vincenziano’, diviso in varie ‘opere’ rivolto a tutti i disperati, dalle prostitute ai galeotti, dai bimbi abbandonati alle vittime della violenza (c’era la guerra dei 30anni) e pertanto chiamati ‘opera dei pazzi’, ‘opera dei trovatelli’, ‘opera delle minestre’. Ufficialmente le suore diventano ‘Dame della carità o serve dei poveri’; i suoi seguaci chierici regolari ‘padri vincenziani o lazzaristi’. Furono i precursori della moderna ‘Caritas’. Morì il 27 settembre 1660. È patrono dei carcerati, orfani, schiavi, volontari e delle opere di carità. Nel 1883 Emanuele Bailly e Federico Ozanam raccolsero il suo invito alla carità, fondando le ‘Conferenze di san Vincenzo de’ Paoli’.
È quindi scorretto scrivere ‘il don Bosco’, ‘l’Istituto o Collegio salesiano di don Bosco’, ecc.). Infatti, per don Bosco, punto centrale e focale non era la creazione di una parrocchia, ma dell’ospizio per i giovani, ovvero l’attuale istituto; cioè la creazione di un centro raccolta, di addestramento professionale ed oratorio, capaci di sottrarre dalla strada e dall’abbandono i ragazzi, per formarli, fino a divenire o artigiani autonomi o operai specializzati (costituisce vanto per i salesiani non aver seguito la classica pista della solidarietà donando direttamente ai poveri ma sopratutto di aver voluto affrontare il problema alla radice forgiando in silenzio e senza menar meriti particolari innumerevoli operai capaci poi di inserirsi nel grande calderone del lavoro industriale, a livelli di maggiore capacità professionale e serietà morale; a fianco delle varie Associazioni che si adoperarono soprattutto per donare maggiore dignità ai più deboli. La successiva necessità di reggere anche la parrocchia, estese i limiti dello spirito salesiano iniziale, ma sempre privilegiando il lavoro come metodo di riscatto autonomo, come quando nel dopoguerra le grosse fonderie richiamarono dal sud una enorme massa di ‘foresti’). Questo richiedeva sia un efficiente apparato organizzativo, sia trovare lo spazio adatto allo scopo, cioè in primis poter avere una proprietà (e possibilmente ampliarla: questo spiega un po' il cosiddetto “male della pietra”, cioè il rapporto tra salesiani ed il mattone: una continua ricerca di trasformazione, attenti alle esigenze della gioventù dell’epoca in cui si vive, in modo da offrire costantemente un ambiente adatto ad essa).
Così quando il 10 nov.1872 - provenienti a piedi da Marassi con le poche masserizie accumulate dal nulla - presero possesso oltre che della chiesa, anche dell’ex-convento (abbastanza grande , ma praticamente devastato da tutte le vicissitudini precedenti. In tre piani con sei stanze allineate, unite da un corridoio le cui finestre squinternate davano sul vecchio cimitero, al freddo, senza infissi e purtroppo anche senza coperte e senza pane sufficiente a mantenere tutti) don Albera con due chierici e tre capi laboratorio più un cuoco, istituirono -con i 40 ragazzi già ospiti- l’Ospizio san Vincenzo de’ Paoli, quale inizio dell’ idea salesiana verso i giovani. L’anno dopo, don Bosco tornò a dicembre -per la terza volta a San Pier d’Arena (ospitato in una cameretta ove ancor ora una lapide ricorda “ in quest’umile stanza - il beato don Bosco - più volte soggiornò - alternando al breve riposo - l’assiduo lavoro - la fervida prece”)-, e poté comprare per 50mila lire l’antica villa già dei Teatini (proprietà che nel 1835 era stata tagliata per il cimitero) , ottenendo così un cortile interno più comodo ed adeguato, per i suoi già 70 ospiti.
Nel 1874, per volere di don Bosco, l’istituto divenne centro di raccolta dei volontari missionari in partenza per i diversi continenti , in particolare la Patagonia ; il primo drappello di dieci salesiani si imbarcò sul “Savoie” il 14 nov.1875 , dando così l’aspetto cosmopolita e centro di carità umanitaria e di giustizia sociale per tutte le categorie di uomini , che ancor oggi si vanta possedere .
classico disegno riproducente il complesso, come e come appare ai tempi odierni – foto 2004 lo trovò don Bosco nel 1872
planimetria del 1872
Confina in basso con via san Martino; a sin con il march. Pareto (oggi via Ulanowski), ed a mare con Demarchi Gerolamo. Al centro la chiesa col piazzale davanti; alla sua sin., il cimitero (funzionale sino al 1878). In alto a destra -con colonnato ed accesso da via s.Martino- proprietà dell’Ospizio ma il terreno rettangolare sopra l’abside (e forse anche sopra il cimitero) appare del Comune
Nel 1875 (pontefice e benefattore Pio IX, re Vittorio Emanuele II, sindaco Luigi Balleydier, vescovo e benefattore mons. Salvatore Magnasco , arciprete di san Pier d’Arena don Stefano Daneri e direttore dell’istituto sempre don Albera) fu posta la prima pietra (nel cui interno fu cementata una medaglia papale, alcune monete del re, e carte varie con i nomi dei benefattori) per ampliare l’istituto verso il mare rispetto la chiesa , secondo il progetto dell’ing. sig. Emanuele Campanella; il lungo edificio esteso lungo la strada principale è stato a lungo atto ad ospitare nel piano terra i vari laboratori di sartoria, calzoleria, legatoria aperti solo all’interno; ed ora (anno 2002) una fila di decorosi negozi aperti sulla strada; nonché nei piani superiori le camerette dei sacerdoti e degli alunni ospiti (in parte studenti, in parte artigiani) ed aule di scuola. L’edificio fu progettato in forma semplice, con due portoni bugnati (civ.15) aprentesi in via san Martino (via Carlo Rolando), a 4 piani e con tetto a cupola.
L’anno dopo, con 180 ospiti, fu eretto il porticato interno a terrazzo ed un nuovo edificio scolastico, ampliando i servizi con la scuola di fabbri, meccanici, falegnami, scultori, tipografi e stampatori.
La mente vulcanica di don Bosco fece nascere con gli adulti presenti varie associazioni con scopi diversi : “Opera dei figli di Maria”, anch’essa fucina di nuovi sacerdoti: così uniti, essi studiavano e nel tempo libero facevano i lavori domestici, catechismo ed assistenza nell’Oratorio; l’ “Opera di Maria Ausiliatrice”; l’ “Opera dei salesiani Missionari” inviati al seguito dei mille e mille emigranti che proprio da Genova salpano per l’America del sud; la “Conferenza di san Gaetano” per l’assistenza alle famiglie povere; nonché il Bollettino salesiano stampato nella tipografia sampierdarenese dal settembre 1877 (il primo edito –col titolo ‘Bibliofilo cattolico, Bollettino salesiano mensuale’ fu il n. 6 di quell’anno (anticipato da un numero di saggio), continuando la numerazione torinese; il direttore anche se non scritto era don Bosco, importante per poter esprimere le proprie idee -si scrive, fuori portata dai controlli dei superiori torinesi-; in realtà anche se edito a SPd’Arena la direzione restò sempre a Torino ove era stato fondato nel 1875).
Tesse la serie di sue amicizie, che sfruttò a beneficio della sua Opera (non solo donazioni immediate, ma anche trasporti ferroviari di materiale, calce dalle fornaci di Sestri, l’interesse professionale gratuito dell’architetto ing.Campanella). Un bonario rivoluzionario, un trapano rompiscatole inarrestabile ed altrettanto caparbio quanto però pieno di mistica fede e fiducia e serenità.
Nel 1878 alla visita a San Pier d’Arena del re UmbertoI succeduto a V.Emanuele II, è invitata a suonare la banda musicale dell’isituto, per molti anni a seguire vanto delle varie attività, istruita dal maestro Raffaele Noceti.
Nel 1879 ci sono nell’Ospizio ben 32 sacerdoti, si gestiscono i laboratori dei sarti, calzolai, falegnami, scultori, tipografi, stampatori, rilegatori, fabbri e meccanici, nonché le 4 classi della scuola superiore ginnasiale per studenti esterni, più tre per gli iscritti nei ‘Figli di Maria’ e le elementari.
+++ L’allargamento territoriale continuò progressivamente :
+il 3 feb.1887 (venti giorni dopo avvenne il terribile terremoto che sconvolse la Liguria di ponente) venne compresa un’area facente parte del cimitero affiancato ;
+ l’11 lug.1888 viene acquistato per 50mila lire il terreno adiacente a sud-est proprietà della marchesa Teresa Durazzo Pallavicini (presenti -davanti al notaio G.Antonio Bardazza- la marchesa, il marito (cieco) , don Rocca e due testimoni DeAmicis-Marenco ; questo terreno era separato dalla proprietà da un viottolo (vico dei Landi) che però non poté essere venduto perché di proprietà dei Montano che volevano il passaggio : si dovette quindi costruire un ponte, al fine di passare tra i due cortili; questa situazione durò fino al magg.1896 quando in accordo col Comune, in reciproci scambi, il vicolo poté essere inglobato nell’istituto. A levante della proprietà era la VILLA DURAZZO PALLAVICINI, detta anche Palazzo Bianco, (vedi in via s.Martino) con piazzale antistante curato a giardino, e con ampio terreno a orto tagliato centralmente da un viale che arrivava sino alla via san Martino con cancello attorniato da due casette (una delle quali diverrà l’asilo) .
Pare che all’atto dell’acquisto, la villa fosse occupata oltre che da don Figoli, anche da una delle numerose industrie tessili, abbastanza fiorente ancora nel 1860: molto probabilmente quella intestata a Luigi Testori. L’azienda sfrattata dai salesiani, si trasferì nel ponente genovese.
Tutta questa nuova area, permetterà la creazione degli Oratori (femminile e maschile; e quest’ultimo troverà ingresso in via san Giovanni Bosco).
+nel 1894 istituto e chiesa (e le case attorno) sono tra i primi in città ad essere illuminati con luce elettrica
+nel 1895 l’istituto, assai fiorente, ospita ben 43 religiosi (17 sacerdoti-16 laici- 9 chierici aspiranti al sacerdozio-1 diacono), 140 artigiani (ragazzi fino a 18 anni, orfani o da famiglie disagiate: erano paganti una retta mensile. Sono distribuiti nei vari laboratori : musici con la banda; tipografi, stampatori, legatori, sarti, falegnami, calzolai, fabbri ferrai. Non c’erano i sindacati allora, la vita lavorativa era dura, con pochi intervalli e senza distrazioni, dalla tenera età alla vecchiaia, per molte ore e sotto il continuo controllo di un dirigente –spesso un esterno- e –nell’istituto- dei chierici), e 160 studenti (le elementari, ed una quinta ginnasiale privata). Più un gruppo (20-30), i ”Figli di Maria”, ultraventenni (che aspirano alla vita sacerdotale e che fanno corsi accelerati separatamente).
incisione di fine 1800; chiesa del 1875, campanile la proprietà nel 1890 con a sin la proprietà
del 1885, palazzo completato 1897; all’estrema Pareto che ha acquistato un viale di accesso
destra la villa Bianca Pallavicini e sopra l’ombra In alto (est) proprietà DurazzoPallavicini; a
di s.Benigno. destra nuova strada per accedere in alto. Già
acquistata la villa Bianca (nera a dx) e orti
+il 19 ott.1903 l’Ospizio (allora gestito da don Bussi), dal notaio Perroni, cede al Comune -senza compenso- un tratto di territorio a sud, necessario sia per allargare a 10 m di larghezza la via don Bosco, confinante con la proprietà Cristofoli (poi Rebora-vedova Cristofoli, poi sig.ra Garibaldi), sia per aprire via P.Cristofoli a monte dell’istituto. Questa operazione permise al Comune anche lo spostamento di un ramo dell’acquedotto che passava proprio sotto il vico del Landi.
In questo periodo, ci sono 15 sacerdoti, 50 coadiutori(a significato di una buona richiesta di lavoro artigianale), 9 chierici, 150 studenti, 120 artigiani.
+il 22 sett. 1904, acquistano il terreno cimiteriale a fianco dell’istituto con clausole espresse in un atto lungo e dettagliato (vedi sotto, a Tempietto). In questo anno i salesiani sono 41 (11 sacerdoti, 19 coadiutori, 2 suddiaconi vicini al sacerdozio, 1 diacono, 8 chierici).
+nel 1906 nasce come supplemento al Bollettino salesiano, l’opuscolo parrocchiale chiamato “ l’eco di don Bosco”. In quest’anno avvenne l’unico episodio di violenza esterna contro l’opera di don Bosco: prendendo lo spunto da accuse di pedofilia da parte di un salesiano, scattò un vero e proprio assalto contro l’istituto, con sassaiole, insulti, minacce di incendio ed altre espressioni di odio e violenza. L’accusa era una vero e proprio scandalo, e solo dopo processo fu dimostrata calunniosa. Probabile l’invidia per una attività lavorativa in espansione e funzionale; oppure l’avversione contro istituzioni non gestite da forze anticlericali (estremisti massoni ed anarchici: erano anni in cui piazze e strade venivano titolate a personaggi di queste espressioni politiche); come altrettanto possibile che (Miscio non lo dice) nel paniere ci fosse qualche mortificante mela marcia (il mondo di oggi, anno 2002, vede il Papa nel lanciare anatemi contro sacerdoti affetti da questa deviazione sessuale aberrante; e malgrado siamo un bel po’ più aperti nella cultura ed educazione sessuale, sembra che questa malefica pianta non solo non sia stata ancora divelta ma anzi forse è in espansione con l’uso anonimo di internet).
+nel 1907 vengono espropriati (Miscio scrive: nel 1902, e ‘per cessione amichevole’ per 22 lire/mq in totale lire 32.000) -per causa di pubblica necessità- circa 10mila mq di terreno posto a nord est: perché sarà attraversato dalla ferrovia che dal porto condurrà al parco ferroviario del Campasso. La società Strade Ferrate del Mediterraneo (con sede a Milano) eseguì i lavori di taglio e trincea dei binari fuori della galleria. Di questo terreno, già usato ad orto seminato e frutteto e così rimasto tagliato in due, la parte più ad est (confinante con la proprietà eredi Moro GB e marchesa Teresa Durazzo Pallavicini) nel 1914 venne venduta (3500 mq) alla Società Cooperativa Costruzione per la costruzione delle case ad uso abitativo di via Cristofoli.
+ nel 1908 lente ma progressive sono anche le migliorie interne: si proietta il primo film in una sala adattata a cinematografo; meglio si strutturano i cortili protetti (miranti alla creazione di aree distinte di ricreazione: per gli interni, per le ragazze e per gli oratoriani; nonché aree specifiche per formazione professionale (aule, laboratori, tipografia) e per servizi (refettori, dormitori, lavanderia, biblioteca, palestra , magazzini, ecc.)).
*Nel 1909 l’Ospizio si aprì ai terremotati di Messina ed il 9 maggio nacque il Circolo giovanile maschile don Bosco, interno agli allievi dell’istituto e pilastro dell’Oratorio.
*Nel 1910 si impianta il telefono. Nel 1911 si inaugura l’impianto di illuminazione elettrica centralizzato.
+Nel 1925, presente il cardinale mons. Dalmazio Minoretti –da febbraio incaricato arcivescovo della città di Genova, proveniente da Crema- il 21 giugno fu posta la prima pietra del palazzo detto ‘degli studenti’, eretto lungo il fianco a mare della chiesa, febbrilmente voluto dal direttore don Tommaso Kopa, ed inaugurato due anni dopo dallo stesso cardinale ed il podestà di Genova Broccardi il 12 giugno (una pergamena scritta in gotico medievali miniato firmata dai dirigenti comunali, dal direttore e dai parroci, medaglie sacre e monete; il tutto sigillato in un astuccio e poi murato nell’incavo della pietra angolare chiusa dall’arcivescovo con una piastra e cemento; il testo della pergamena recita: “in nomine Domini. Amen. Anno iubilari MCMXXV ad Ioannis Bosco obitu, orphanorum Patris, XXXVII a.d. XI Kalendas Iulias, Pio XI Pontefice Maximo, Victorio Emanuele III regnante; Rinaldi Philippo Piam Salesianorum benedicente, Ludovico Costa inspectore, Rectore Thoma Kopa novi aedificii angularem lapidem superiores alunni cooperatores asceterii, Divo Vincentio Dicati exultantes Sancti Petri Aurenarii ad Sancti Caietani, posuerunt, ad maiorem Dei gloriam et Mariae”. L’Istituto era ormai arrivato alla saturazione occupazionale e necessitava non solo aumentare la capacità recettiva, ma adattare alle nuove esigenze le mura e gli ambienti esistenti divenuti obsoleti; già nel 1921 la ditta Giuseppe Stura e figli aveva posto un preventivo di poco meno di un milione di lire di allora per realizzare un progetto stilato dall’ing.Giulio Valotti, architetto della Pia Società comprendente per i salesiani, oltre lo scalone, di refettorio, cucine, lavanderia, infermeria, scuole e dormitori; per le suore cappella e saloni dell’oratorio: famosi nell’ambiente i salti mortali del successore di don Bosco per avere la cifra iniziale da incominciare). Sono anni in cui alle 22mila anime incluse nella parrocchia (don Virginio Raschio, con 3 proparroci); l’Ospizio conta 40 salesiani, 20 suore, 300 tra studenti ed artigiani; l’Oratorio ha 350 ragazzi iscritti ed è aperto a tutti.
Fu in quest’anno, per opera di don Raschio, aiutato da don Traverso delle Franzoniane, che si ottenne da parte dei sacerdoti di poter insegnare la religione nelle scuole di SanPierd’Arena.
Si nota che la preoccupazione prevalente fu sia quella di organizzare incontri degli ex allievi e sia tenere i dovuti rapporti con le autorità locali al fine di poter collocare al meglio i propri giovani.
+Nel 1929, il 2 giugno don Bosco venne beatificato dopo 46 anni dalla sua morte. Due anni (IX dell’EF) dopo le scuole tecnico-professionali dell’Istituto (falegnami, fabbri, tipografi compositori e macchinisti, litografi, legatori, sarti, calzolai), -prime in Italia- armonizzando i programmi di studio con quelli governativi, sono parificate con quelle statali e ne vengono riconosciuti i titoli scolastici. La figura di don Bosco divenne una delle più celebrate anche fuori dell’ambiente locale.
+Nell’ago.1935 iniziarono i lavori di erezione dell’edificio sede delle scuole professionali con porticato interno, ed angolo esterno -tra le due strade- smussato in previsione di una grande statua del Fondatore, che non fu però mai ordinata (l’edificio è alto 15m, ha un perimetro di 170m, copre 2300mq. Sarebbe servito, su via Mazzucco per i tipografi, e legatori al piano terra; sartoria, calzoleria più tre saloni per studiare al 1° piano, dormitori e salone al 2° piano. Su via don Bosco i fabbro-meccanici a piano terra, falegnami al 1° piano, 7 aule scolastiche ed altre per studio e disegni al 2° piano); eretto con un contributo di 150mila lire del Comune (podestà Carlo Bombrini, costruttori il solito ing. Stura Virgilio poi Stura & figli (Virgilio e Pietro) vincitori della gara d’appalto con una spesa preventivata di lire 1.214mila, su progetto dell’ing. Valotti Giulio) lungo via A.Saffi (l’anno dopo diverrà via E. Mazzucco, oggi via C.Rolando; da cui rimase a lungo separato da una cancellata; fu bocciato il progetto iniziale del direttore don Kopa di aprirvi dei negozi, per non dare adito a speculazioni contrarie allo spirito del Fondatore secondo il quale gestire immobili redditizi è offesa alla Divina Provvidenza; ma, cambiati i tempi il progetto fu ripreso nel 2001 da don Alberto Lorenzelli ed applicato), e proseguito in via don Bosco (abbattendo dapprima i precedenti fabbricati ove per oltre 50 anni erano ospitati i vecchi laboratori ed il vecchio teatro –localizzato dove ora è l’ingresso carrabile di via s.G.Bosco). Si voleva raddoppiare il numero dei ragazzi di allora: 50 falegnami, 50 fabbri, 25 scultori, 50 tipografi (impressori (sic) e compositori), 25 legatori, 25 calzolai, 25 sarti, 25 elettrotecnici; più 200 studenti. Mussolini stesso autorizzò a novembre il proseguo dei lavori dopo il divieto dato -in seguito alle Sanzioni- a qualsiasi erezione edilizia. Fu completata nel giugno 1937. In quest’ultimo anno, si ristruttura un antico spazio, già adibito a teatro e cine ed andato a fuoco nel 1927 (e dopo usato come deposito e laboratorio dei falegnami).
+Nel 1938, le scuole salesiane (ginnasio (inferiore oggi scuole medie- e superiore; non c’erano i licei), avviamento professionale, tecnica industriale) vengono tutte parificate con quelle regie governative
+Nel bombardamento navale di domenica 9 febb.1941 da parte dell’amm.inglese Sommerville, il primo su Genova che ebbe 144 morti, alle otto del mattino ben 5 bombe cadono sull’istituto (uno nel cortile delle suore) e distruggono murature e tetti vari: sul palazzo prospiciente via A.Saffi con l’ingresso principale, ove erano le cosiddette ‘camerata degli Angeli custodi’ e quella ‘san Luigi’ dell’ultimo piano; verrà definitivamente demolito il tetto a padiglione (nella ricostruzione del 1948 verrà sostituito dalla ditta Stura con un tetto a terrazza); altri 2 colpi cadono sulla cappella dove un quarto d’ora prima erano radunati a messa i ragazzi.
Miravano all’Ansaldo ovviamente, dove già per la guerra di invasione in Etiopia e per quella spagnola, venivano fabbricate le armi, compresi i gracili e perforabili carri armati.
+ In quello del 30 ottobre 1943, quando fu colpita la chiesa di san Gaetano, l’istituto era pieno di ragazzi e sacerdoti rimasti illesi perché fuggiti a ripararsi nella galleria dei Landi; mentre furono danneggiati degli uffici, le cappelle degli interni e quella della meditazione, il porticato.
+nel bombardamento di domenica 4 giugno 1944, il più tremendo nel tentativo di distruggere la zona ferroviaria e durato dalle 9,30 alle 13; ben sette bombe caddero nel recinto dell’istituto (2 in quello delle suore), senza apportare gravi ed irreparabili danni. Più vittime umane seminerà il tifo, che invase la città subito dopo.
+nel 1965 venne demolita la villa Bianca (Grimaldi Pallavicino), divenuta fatiscente e giudicata architettonicamente irrecuperabile; fu sostituita da un moderno e più funzionale palazzo (anche don Miscio, in genere enfatico nel descrivere le varie operazioni dei salesiani, conviene che la villa fu ”squallidamente distrutta negli anni sessanta del secolo passato senza che qualcuno intervenisse a frenare lo scempio” e poco dopo, scrivendo delle varie e numerose ville parimenti demolite in città, giudica “Parve necessità e fu solo sterminio insensato”).
+Nel 1952 erano in attività di apprendimento 150 meccanici, 50 tipografi, 30 sarti, 80 falegnami, 20 legatori, 18 calzolai con al termine licenza di avviamento o di scuola tecnica industriale legalmente riconosciuta.
+Nel 1955 cessa la sua attività la banda musicale, non si sa perché.
Viene benedetta la grossa statua di altezza d’uomo normale, della Madonna che regge in braccio Gesù, collocata su una mensola a metà di una torre, donata dalla si.ga Parodi Angela in memoria del marito e del figlio –ambedue farmacisti- morti l’anno precedente.
+Nel 1957 viene distrutto il vecchio teatro (Miscio-vol.I-foto)
+Nel 1960 il numero degli apprendisti era similare a quello del 1952 sommandosi a 313 ragazzi. 330 gli studenti (la cui maggioranza è esterna, gli interni stanno scomparendo). In quegli anni si da il via ad un laboratorio di Elettromeccanica, che da 50 unità ben presto salì a 80, suddivisi in tre corsi; in compenso a breve scomparvero i calzolai i sarti e le due classi di avviamento; era già scomparso il ginnasio; la riforma scolastica del 1962 introduce la scuola media unica e darà nome all’Istituto tecnico industriale per periti elettrotecnici, con circa 230 iscritti. Diventano bi e triennali i corsi di qualificazione per meccanici aggiustatori, tornitori, disegnatori meccanici, elettromeccanici, tipografi, compositori e linotipisti, impressori e rilegatori, falegnami.
+Nel 1971 - tra le migliaia di iniziative che sono state prese da questi preti solerti, c’è anche la COSPES fondata da don Cian Luciano, psicologo (nato a Trebaseleghe nel 1939 dopo i voti e la laurea in psicologia alla Univ.Pontificia Salesiana di Roma, venne trasferito nel 1971 a SPdA dove fondò questo ‘centro psicopedagogico’, unico in città e per vent’anni, per l’orientamento professionale dei giovani al lavoro nel quale si adottò un metodo da lui studiato e poi espresso in un volume dal titolo “Cammino verso la maturità e l’armonia”, affiancando intensa attività di counseling con i parrocchiani tutti. Un secondo libro, “La relazione di aiuto” uscirà postumo perché il sacerdote andò soggetto a trapianto di fegato a Parigi nel 1993, che però non diede alcuna speranza di sopravvivenza).
foto 1980
+Nel 1993 si diede il via alla grossa operazione che sconvolse i cortili interni: su progetto dell’arch. Giovanni Pellegrino, si produssero nell’area due piani interrati, adibiti a box per auto, sul cui tetto, a piano terra i cortili risultarono livellati (mentre prima quello degli studenti interni era su due piani). Fu eretta una palazzina nuova, d’angolo sud-est del cortile, finalizzata a competizioni sportive anche con carattere agonistico e di campionato , creando un grosso complesso sportivo che prende il nome di Palasport don Bosco; nel nov.1999 è stato inaugurato il Palagym, un miglioramento del centro sportivo con la finalità del benessere fisico, della socializzazione, dell’aggregazione specie dei giovani che possono usufruire anche del “centro ascolto - punto giovani” capace di rispondere attraverso esperti agli interrogativi dei giovani d’oggi.
Da don Albera Paolo, primo direttore nel 1871, si sono succeduti 31 direttori; di essi ricordiamo gli ultimi due : don Riccardo DeGrandis e don Alberto Lorenzelli (quest’ultimo, attivissimo sacerdote propugnatore di innumerevoli iniziative che vanno dalla distribuzione del bollettino ‘L’eco di don Bosco’ alla presenza in Internet (www.paladonbosco.it), alle scuole di formazione chiamate ‘porta aperta’, ai dibattiti pubblici su temi sociali (disarmo, religione, violenza sociale), al raduno mondiale degli istruttori di ‘fitness’ (attività fisica di palestra, abbinante musica e sport)). Sue grosse iniziative risultano il PaladB, il Liceo scientifico-sportivo, il Cnos (=centro naz. opere salesiane).
Nel gen.feb/2001 ricorre il 130° anno dall’arrivo di donBosco a SPdA (e 125 dalle prime missioni all’estero). Allo scopo, don Lorenzelli ed il parroco don José DeGrandis iniziano una serie di avvenimenti a festeggiamento
Nel maggio l’istituto fu dapprima promosso da una commissione comunale solo per il ‘centro estivo’ (più di 4mila persone coinvolte nel programma “estate del don Bosco”, tra i campi vacanza a Torriglia e LaVisaille, vacanze studio in Inghilterra ed Irlanda, ritiri sportivi, l’Oratorio (a sua volta con giochi, gite, escursioni,ricupero scolastico), ma giudicato ’privo di requisiti’ per poter essere incluso negli altri ‘progetti educativi di aggregazione’ tra i giovani (l’approvazione era basata su valutazione dei progetti per affrontare i bisogni dei quartieri; per Sampierdarena (ormai ‘centro ovest’) i bandi di concorso richiedevano per questi ‘laboratori educativi territoriali’ una ludoteca, un ludobus, dei centri estivi, e dei punti prescuola, aggregativi e polivalenti (=associazioni di volontariato per favorire l’integrazione culturale tra bambini di diversa nazionalità o disabili). Naturalmente fu polemica).
Nel 2003 propose un Convegno internazionale di tre giorni sul tema ‘disagio dei giovani in Europa’). E’ sede del “Centro di orientamento scolastico professionale e sociale” con consulenza psico-pedagocica- relazioni di aiuto- corsi di formazione- biblioteca psico pedagogica”.
Nello stesso anno fu inaugurata nel punto più a sud-ovest del secondo piano, la restaurazione della “Cappella del Giubileo” (realizzata per volere della famiglia del direttore Lorenzelli; progettata dall’arch. Vincenzo Passarello; arricchita con opere dello scultore Silvano Rustici, della pittrice Greta Cencetti e dell’ intarsiatore Modesto Pintarelli salesiano). Arriva ad ottobre (proveniente da altre case toscane di Li, Pi, Fi) il terzo successore, don Sergio Nuccitelli. (nato a Borgorese, Rieti, il 19 giu.1946) prorpio in tempo per inaugurare il CFP (=centro formaz. Profess.) per chi ha abbandonato gli studi.
Recentemente ha ospitato una scuola elementare e media (parificate) e di avviamento professionale addestramento e qualificazione arti e mestieri: 780 ragazzi circa. Ancora nell’anno scolastico 2002-3 ci sono: il liceo scientifico (legalmente riconosciuto, con indirizzo ordinario ed anche sperimentale sportivo) e l’istituto tecnico industriale con diploma finale di perito tecnico in elettronica e telecomunicazioni.
Nel 2005 (ed ancora nel 2007) si reclamizzano l’ ITI (ovvero Istituto tecnico Industriale. Darà diritto ad un diploma, o di perito t.i., oppure di perito nel settore per l’elettronica e telecomunicazioni. Da tempo realizzati, sono tenuti in grande considerazione per i risultati ottenuti nella preparazione nel campo, con la contesa finale dei migliori da parte delle aziende locali); il Liceo Scientifico (anch’esso orientato verso una più approfondita conoscenza delle lingue estere ed all’informatica) e -con indirizzo sperimentale- il Liceo Scientifico Sportivo (di cui si parla in via sGBosco).
Sulla strada, oltre il portone di ingresso principale, nel palazzotto è ospitato solo il bar. La lunga ala estesa a mare sulla via è stata nel 2001 ampiamente modificata: eliminata la cancellata di separazione, sono stati aperti all’esterno i vasti locali (essendo essi a piano rialzato rispetto il livello stradale, è stato necessario collegare il vecchio marciapiede col nuovo tramite alcuni scalini) ospitanti la libreria salesiana e vari negozi tra cui una farmacia la libreria e la legatoria. All’interno c’è l’oratorio ***
===civ 15a: la Chiesa
STORIA : La prima chiesa: a) san Giovanni Battista decollato fu eretta come privata nel 1597, per volontà del marchese GB. Di Negro, figlio di Vincenzo. Patrizio genovese, deceduto senza prole, aveva stilato un testamento il 15 mar.1572 dal notaio Stefano Carderina (lasciava alle due sorelle una cospicua somma in denaro ed oro, da 17mila, fino a 25mila scudi d’oro, affinché esse costruissero una chiesa in onore del santo suo omonimo, con annesso un convento per 12 religiosi di cui almeno 4 fossero sacerdoti, da mantenersi con i frutti di un capitale da 3 a 11mila scudi d’oro; e col diritto per gli eredi delle sorelle di essere Patroni dell’opera purché mantenessero i 4 preti in officio (jus patronato).
Il santo Giovanni Battista era particolarmente onorato a Genova con cerimonie religiose nel medioevo, una chiesa più valeva più custodiva reliquie di un santo importante (vedi s.Agostino a Pavia), così i genovesi erano andati nella Licia per impossessarsi dei resti di san Nicola ma erano stati preceduti dai baresi. Trovarono invece quelle di san GB e, rallegrati le ‘rubarono’ e le portarono a Genova. La leggenda narra che nel trasporto, divise le reliquie per le varie navi onde evitare che un naufragio disperdesse tutto, il mare fu tanto procelloso finché esse non furono riunite: da allora sono portate accompagnate dall’arcivescovo in processione per benedire il mare; così in san Lorenzo le sue reliquie giunsero a noi alla prima crociata e furono riconosciute autentiche da papa Gelasio II nel 1118) e pagane (le cataste da fuochi sono le più diffuse si collegano a tradizioni ancora pagane o simboliche -tra tutte le streghe-; seguono le varie credenze: i panni dei bimbi benedetti con la rugiada di quel giorno, le ciliegie che dal giorno dopo ospiteranno il giacomino o baciccin, l’aglio raccolto chè non si sarebbe conservato, il piatto di lumache da mangiare in quel giorno. Cento altre furono le superstizioni e credenze che attecchirono nel popolino e che non tutte meritano essere ricordate).
Il culto di san Giovanni decollato nacque quando si volle dare una particolare attenzione all’approccio religioso con il condannato alla pena capitale (dapprima appunto per decollazione, poi per impiccagione); pertanto non solo assistenza nel momento dell’esecuzione con relativa sepoltura, ma conforto psicologico e morale già da prima, da carcere e lungo il tragitto – mirato al fine di assicurare la salvezza dell’anima (concetto del peccatore pentito tratto da uno dei due ladroni crocifissi a fianco di Gesù). Nel 1448 a Roma da alcuni fiorentini, era stata fondata a Fratellanza di san Giovanni decollato chiamata Misericordia, che per il prestigio concessole dal papa, divenne modello per tutte le successive compagnie.
Questo indirizzo devozionale – a Genova – divenne fervente nel XVI secolo; appunto in combinazione col periodo in cui il marchese Di Negro visse e decise poi questa titolazione per la chiesa da costruire. Si presume soltanto, che è per questo motivo che il primo nome della chiesa fu dedicato a “san Giovanni Battista decollato”.
Famosi dipinti del tema, sono di Andrea Ansaldo (chiesa parrocchiale di Recco e galleria di Palazzo Bianco a Genova); di Domenico Fiasella (a Genova convento di NS del Rifugio); di Valerio Castello (nel castello Sforzesco di Milano); di Domenico Piola (nella sacrestia di s.Siro a Genova e nella casa dei Padri della Missione).
La erigenda chiesa aveva carattere privato, della famiglia DiNegro; essendo parrocchia unica nel borgo l’abbazia di san Martino posta trecento metri più a nord di essa.
La sorella Lucchinetta -sposata Cristoforo Centurione-, rimise alla sorella l’onere dell’incarico. Giulia -sposata al marchese Nicolò Pallavicino- provvide ad acquistare (da Francesco Conchiglia, per 4mila scudi d’oro) un terreno in località Palmetta, con villa annessa. A questo punto però, un rovescio economico costrinse Giulia a chiedere direttamente al Papa una deroga all’impegno, col fine di lasciare una dote di 8mila scudi alle tre figlie in atto di maritarsi: il papa Clemente VIII, il 26 apr.1594 accettò la supplica decidendo con una breve sia che la cifra fosse rimessa quanto prima in altre mani affinché si provvedesse con 10mila scudi alla costruzione della chiesa al più presto; sia che da 3 fino a 11mila scudi, fossero impiegati a Roma, con i frutti dei quali si mantenessero i religiosi e procurassero gli arredi; sia infine decideva fosse assegnata ai padri Teatini di san Siro in Genova, riducendo il numero di sacerdoti imposto dal testamento: la metà d’estate e due d’inverno.
Cofondatore e giureconsulto dei Teatini fu Gaetano Porto, da Thiene (vicino a Vicenza, 1480-1547). Ebbe questo nome in onore di uno zio insegnante all’università di Padova e nato a Gaeta. A 24 anni a Padova si laureò in diritto ecclesiastico e civile, ma scelse mantenere lo stato laico anche quando nel 1506 fu chiamato a Roma a fare da segretario a papa Giulio II. Solo dieci anni dopo fu ordinato sacerdote in SantaMariaMaggiore. Si descrive di carattere concreto e scrupoloso verso i poveri, schivo dalle polemiche di una simile missione, ed anche giornalmente dedito al servizio in ospedale verso gli infermi. A Venezia favorì l’erezione dell’ospedale degli Incurabili. Il 14 sett.1525 diede vita a Roma ad una congregazione di preti detti chierici regolari (che debbono vivere di elemosina e la cui regola prevede come scopo l’istruzione, l’assistenza ai malati, la difesa della fede); il popolo li chiamò Teatini (perché, collaboratore primo dell’idea, fu il principe GianPietro Carafa, poi divenuto papa Paolo IV allora arcivescovo di Teate, antico nome latino di Chieti). Trasferitosi a Napoli, nel 1539 diede vita ad un Monte di Pietà (dal quale nacque poi il Banco di Napoli); in conseguenza del quale e per la sua carità, ebbe anche appellativo di “Padre della Provvidenza”. Morì a Napoli il 7 ago 1547.
Quando papa Clemente X, nel 1675 canonizzò il loro fondatore, a san Pier d’Arena essi dedicarono la chiesa anche a san Gaetano. Il culto speciale che essi professarono al loro fondatore, fu motivo per cui popolarmente la chiesa venisse chiamata san Gaetano più che san Giovanni Battista, Il santo è venerato anche nella parrocchia rurale di Isoverde, ed invocato quando si confida nella Divina Provvidenza. È patrono della Baviera, ed è celebrato il 7 agosto
b) i Teatini, ovvero da san Giovanni a san Gaetano
L’anno dopo, il marchese Cristoforo Centurione -marito di Lucchinetta- che si era sobbarcato l’incarico testamentario, versò al Superiore dei Teatini la somma e gli atti del terreno acquistato cosicché dal marzo 1595 al ‘97 sorse la chiesa, dedicata come da testamento a san Giovanni Battista Decollato, sul modello della chiesa di san Siro a Genova, lunga m.40 (25,5 di navata e 14,5 di presbiterio) e larga 23 , a croce latina, con tre navate divise da due file di colonne, e nell’interno -sull’arco centrale, lo stemma del fondatore con la scritta “IOANNES BAPTISTA DE-NIGRO VINCENTII FIL. ANNO MDXCVII” ;
e sopra la porta al centro, fu apposto un grosso marmo con scritto :
“DIVO JOANNI BAPTISTAE CHRISTI PRAECVRSORI -
FVND. AN.DAM. ED DICANDAM SACRAM AEDEM .
JOANNES BAPTISTA DE NIGER VINCENTII FILIVS TESTAMENTO -CAVIT LUCHINETTA ET JVLIA FRATI BENEMERENTI OBTEMPERANTES - AGRO AEDIBUS QUE ADIVNCTIS EREXERE - AN CI_DXCVII IDQVE ETIAM JVRE ITA SANCITVM EST - CLERICI REGVLARES REBUS PRAESINT - SACRA QUOTIDIE CVRENT RITE PIEQ FACIANT - AVCTORI BENEFICENTISS ET PATRVM IPSIVS MANIBVS PERENNENT CVNCTA EX LEGATO PRAESCRIPTA ET IN CENSVM ROMAE AVCTA AD HOS VSVS PECVUNIA SANCTA TECTA CONSERVENT .
HAEC PVBLICIS TABVLIS A STEPHANO CARDARINA - XIII KAL. APR CONFECTIS TESTATA - CLEMENS VIII PON.MAX. ADPROBAVIT - XII KAL. OCTOB. CI_DXCV”
I sacerdoti, in contemporanea, presero possesso del convento, mentre nel 1615 GB Centurione eresse nelle Compere di san Giorgio un ricco fidecommesso, amministrabile dai Patroni della chiesa.
Nel 1640, per opera del nipote Filippo (in fondo alla crociera sul lato sinistro fu posto un cippo con busto in marmo del fondatore, con l’epigrafe:
«JOANNI BAPTISTÆ DE NIGRO / CVIVS AERE SOLVM EMPTVM / TEMPLVM ET COENOBIVM ÆDIFICATVM / JVS PATRONATVS AD HAEREDES TRANSMISSU / PHLIPPVS CENTVRIONVS / CHRISTOPHORI ET LICHINETÆ SORORIS / ET HAEREDIS EIVS FILIVS / MONTIVMQ ROMÆ AD OPERIS REPARATIONEM / ET SACRAE SVPELLECTILIS APARATVM / ADMINISTRATOR POSVIT A. MDCXXXX»
e vicino al busto del nonno fece incidere: PHILIPPUS CENTIRIONUS, CRISTOFORI ET LUCHINETAE FILIUS - A.D. MDCXXXX
Vi furono eretti 5 altari: uno centrale; ai lati uno per il titolare (con icona di Domenico Piola : la decollazione del santo); un altro per san Gaetano (con icona del D.Piola rappresentate i santi Gaetano,Andrea Avellino, san Martino); uno alla Madonna (con icona di Gregorio De Ferrari raffigurante con lo stile del Correggio la ss Madonna nella fuga verso l’Egitto); un altro dedicato a san Francesco d’Assisi (con il santo in estasi; pittura sempre del DeFerrari). Sopra la porta d’ingresso, tre bassorilievi con i santi (G.Battista, Francesco, Gaetano).
I teatini, fedeli a san Gaetano loro fondatore, poco alla volta fecero accettare anche questa dedica, che fu utilizzata anche per qualificare il quartiere.
Era usanza allora (storicamente Genova indipendente, in mezzo tra gli Asburgo di Spagna e re Sole Luigi XIV di Francia), seppellire i morti nelle cripte delle chiese; ma nel 1656-7 la più grave epidemia di peste nera o bubbonica (vedi a Sab.65 e 99) nella qualità setticemica ovvero che in 2-3 giorni conduceva a morte, vissuta anche dal sestrese e 36enne padre agostiniano riformato scalzo Antero Maria (al secolo Filippo Micone) da san Bonaventura, saturò le modeste disponibilità della chiesa divenuta per l’occasione anche lazzaretto: così scrisse il monaco “hor questo delizioso luogo, qual è anche popolatissimo di povertà, massime alla Riva del Mare, dove migliaia di persone non han altra padronanza, che sopra quelle vastissime campagne, quali solcando con reti, e rastelli ne cavano il loro miserabil vitto…è stato, sopra ogn’altro del Dominio Genovese flagellato dal Contagio, e basti dire, che la sola Parrocchia di S.Martino, che faceva circa sei milla anime, à pena ne conta hora mille. S’industriarono al possibile questi poveri pescatori, per sottrarsi da si gran incendio; onde fabbricarono gran numero di capanne in forma di padiglioni alla spiaggia del Mare…essendosene per tal causa liberati molti…Fu eletto in Lazzaretto il Convento di S.Gio.Battista de’ Padri Teatini…Hebbe principio nel mese di Giugno del 1657, tempo in cui la strage s’avicinava al maximum quod fie, che però non è meraviglia, se da Cornigliano, dall’Incoronata, da Rivarolo, e da molti altri luoghi vicini, vi concorressero ancora gli amalati in gran numero. Due Padri Zoccolanti, Sacerdoti della riforma di S.Francesco lo servirono, e governarono, cioè li RR. Padri Sebastiano da Recco, e Serafino da Rivarolo…Vero è, che il primo fu favorito..avendo..nella salute del prossimo perduta la vita temporale; …il secondo vive risanato dalla peste …Morì pure gloriosamente Frà Antonio Romano dell’Ordine di S.Domenico, dove andò a farvi la carità di speziale…per apportar a gl’infermi più abbondante il ristoro.
Parteciparono la sorte trè Reverendi pure occupati in procurare la salute eterna de loro prossimi (non però nel Lazzaretto) li nomi de’ quali sono li RR.Gio.Maria Salinero Arciprete della Parrocchia di S.Martino, Tomaso Bregante Curato, e Gio.Andrea Caimo…Trè altri Sacerdoti son morti esercitando in S.Pier d’Arena la carità con gl’impestati, e furon il R.P. Renato Chiavari Domenicani… E li RR.PP. Pietro Canale, e Gio.Agostino Mazzuola ambi Agostiniani del Convento di S.Maria della Cella; vi fu ancora dell’istesso Convento il reverendo. Antonio Maria Giudice. Cinque figlie del Rifugio vennero a partecipare la loro pietosa servitù alla amalate di detto Lazzaretto, e quattro ne godono in Cielo il premio…
Quattro son stati li Commissarij del luogo, e Lazzaretto di S.Pier d’Arena, cioè li SS.Illustriss.& Eccellentiss. Gio Raffaele Lomellino, Gio. Agostino Serra, Paolo Francesco Doria, e Vincenzo Pallavicino,,che cooperarono alla Divina providenza nel governo de’ poverelli, havedo fatto del proprio copiose limosine”.
Genova aveva già subìto la prima grave epidemia nel fatidico anno 1347. Fatidico perché pare che la colpa dell’espansione dell’epidemia in occidente fu inizialmente dovuto a dodici navi genovesi, fuggite da Caffa ed attraccate prima a Messina e poi a Genova e da qui in tutta Europa.
Più recente, Genova aveva schivato la peste detta manzoniana del 1630, ma non sfuggì a questa nuova pandemica, probabilmente originata a Costantinopoli e passata in Sardegna, Napoli, Roma e Genova, determinando una nuova ‘grande strage’: circa 500 tra schiavi e forzati furono a più riprese adibiti a beccamorti; la scienza medica brancolava nel buio: aveva intuito la corruzione delle ‘robbe infette’, ma nulla dei ratti e delle pulci; e la vittoria sul bacillo verrà solo trecento anni dopo, nel 1944 con la streptomicina. I Teatini erano stati affiancati da chierici di altre congregazioni (Domenicani, Francescani, Carmelitani, Canonici regolari Agostiniani) tutti volontari e tanti appartenenti alle più famose famiglie (dei Porro, Centurione, Grimaldi, Lomellini, Gandolfo, Fenoglio); molti di essi vennero falcidiati dal morbo: in Genova vi furono 60mila morti, e si rese necessario seppellirli fuori delle chiese, nelle vicinanze o -come appare da certi ritrovamenti- nei fossati delle mura dell’Acquasola. Altre epidemie sono state descritte nel 1369,1346,1383, 1438, 1499, 1528.
Tutto aveva funzionato bene, come voleva il beneficiario fondatore, sino alla peste; ma i padri teatini, nel 1678, rimasti in pochi, iniziarono a ridurre la loro presenza, lasciando un solo sacerdote (e non 4 come da obbligo testamentale) e solo nei periodi invernali; il nuovo Patrono, GiovanBattista Cristoforo Centurione, dovette ricomporre con i sacerdoti il problema del lascito (la cappellania perpetua per sé, il capitale per i Teatini, la possibilità di erigere una nuova facciata all’edificio (che non fu fatta), ed il numero ridotto dei preti presenti, in compromesso con quanto imposto dal Papa).
Nei tempi in cui la Repubblica genovese aveva appena ceduto la Corsica (il 16 mag.1768), nel 1771 si creò di nuovo il contenzioso tra il Patrone erede testamentario ed i Teatini, incapaci di mantenere le promesse (vi officiavano due soli sacerdoti e solo per sei mesi all’anno). In contemporanea, la Giunta Ecclesiastica proponeva - con l’approvazione del serenissimo Senato- spostare l’onere parrocchiale da san Martino - in posizione assai scomoda per la massa di fedeli che abitavano alla Coscia - a san Gaetano (mentre in Francia moriva Luigi xv e veniva incoronato Luigi xvi (con Maria Antonietta d’Austria), e pochi anni dopo iniziava il prologo della rivoluzione del 14 luglio con la presa della Pastiglia e la liberazione dei sette detenuti che vi erano rinchiusi.Nel 1792 l’armata francese invase la Riviera di ponente;nell’ott. 1793 avvenne l’incidente della nave francese ‘la Modeste’, nel nov.1794 ci fu la battaglia di Loano e la neutralità genovese non fu più sufficiente ad evitare l’invasione degli opposti eserciti nemici). L’abbazia di san Martino andava vistosamente decadendo, l’ordine arrivò e con esso la chiesa dal 1796 al 1799 ebbe il titolo di unica sede parrocchiale in San Pier d’Arena, che non poté esercitare perché le sue vicende furono tutt’altro che lineari per la funzione del culto. Infatti anche il municipio del borgo, mirava alla zona per interessi propri (aprirvi delle scuole) ed avrebbe gradito si interrompesse il culto. Sbrogliò la complicata situazione il Supremo Magistrato di Giustizia , il quale -forse anche distratto da false documentazioni e deposizioni- , in un clima già pervaso da grave malcontento per gli anni di crisi e da sentimenti anticlericali francesi- decise con decreto del 23 nov.1796 la sconsacrazione, il passaggio della proprietà al Demanio, e l’immediato allontanamento dei Teatini e di tutte le loro masserizie (comprese le icone del Piola e del Ferrari) imponendo il loro trasferimento in san Siro o nella chiesuola di san Pietro in Vincoli in salita Belvedere: loro optarono per la prima soluzione, mentre inutilmente il Patrono si appellava opponendosi. Dopo pochi mesi, il governo degli aristocratici decadde, facendo cambiare idee ed azioni. Così, nel 1797, ormai allontanati i sacerdoti e privata dei sacri uffici, il governo francese -detto “democratico” la confiscò al suo proprietario (allora sempre il marchese Martorelli d’Effivaller Centurione, erede del fondatore, e residente in Spagna); due anni dopo, il Consiglio dei 60 del Corpo Legislativo, decideva ufficialmente che fosse la chiesa della Cella a divenire la parrocchia di San Pier d’Arena, e che san Gaetano fosse affidata al Direttorio Esecutivo. Questo, presone possesso, la affittò al municipio per 80 lire annue : così divenne negli anni dell’assedio a Massena (1800) caserma per soldati e magazzino militare con ripostiglio polveri. Il 27 sett.1805 il Governo Democratico sentenziò al Patrono, che il convento e la chiesa erano di proprietà della Repubblica.
Nel 1815, morto Napoleone fu firmata la Restaurazione e Genova volente o nolente venne affidata ai Savoia; la chiesa rimase caserma, magazzino e stalla; di tutti gli arredi, c’era ancora solo il busto in marmo dell’istitutore.
Nel 1829, 29 marzo, governando il re Carlo Felice, trovandosi questi beni nel demanio, con decreto della Commissione Apostolica per i regni Sardi, si cedette tutta l’area alla Congregazione dei Canonici Regolari o Lateranensi con sede in Coronata (divenendone “dipendenza”) ed in san Teodoro, quale compenso dei danni da loro subiti; ma essi, non abbisognando di queste strutture, le affittarono a terzi (probabilmente una fabbrica di colla, di amido e candele. Tuvo riporta che a maggio 1831 nel convento di san Gaetano, venne ospitato un distaccamento di “cacciatori guardie”. Per un triennio, circa nel 1835 l’affitto fu offerto al Comune di San Pier d’Arena, con contratto scritto tra il sindaco e il canonico don Stefano Canepa. Intanto, una delle periodiche epidemie (di colera nel 1835 e 37), ne approfittò il Comune per usare lo spazio quale lazzaretto: di necessaria conseguenza anche il cimitero affiancato, rimasto di proprietà comunale, fu allargato e migliorato con l’erezione del piccolo tempio e “rubando” dello spazio all’antica villa dei Teatini.
In questi anni, la costruzione era ancora abbastanza isolata in zona di campagna, circondata da poche case di contadini e scarsissime ville più o meno abitate, ogni minimo bene, era ormai totalmente asportato ed alienato: il pavimento di marmo rossastro era stato spedito in America, le balaustre ed inferriate scomparse come tutti i marmi, statue ed infissi.
Nel genn.1838 fu periziata per un valore di lire 11mila, nel desiderio dei Lateranensi di venderne almeno una parte per ristorare il santuario di Coronata che minacciava rovina, e suggerendo rivenderla ai Centurione -eredi del DiNegro- aventi a disposizione una pingue cappellania in proposito percependo i proventi del fidecommesso stilato nel 1615. In parallelo il Patrone, sempre interessato a ricuperare i suoi beni, morì (1834) in Spagna dando incarico al suo successore, il marchese il march. don Ferdinando de Effivaller-Centurione, di proseguire nell’intento. Questi, attraverso l’interessamento della Santa Sede – incaricò come procuratore il sig. Bado Pietro, e riottenne così giuridicamente la proprietà, versando (29 lug.1843) la somma di lire 14mila (altrove si scrive 20mila, frutto della cappellanìa di GB Di Negro) ai Canonici a titolo di riacquisto (la sentenza definitiva del tribunale avvenne ben dopo), permettendo un inizio di ripristino in modo che il 29 ago.1843 (festa della madonna della Guardia) l’ulteriore successore (marchese Giuseppe Maria Battista dei Centurione, DeMartorelli e d’Effivaller, Gavino di Spagna) poté restituirla al culto, benedetta da don Giuseppe Ferrari (canonico di s.Lorenzo e provicario del card. arcivescovo Placido Tadini).
seconda chiesa: ridipinta la facciata con una decollazione del Battista, ripristinando l’antico nome di dedica, ristrutturandola in buona parte, facendola benedire dal canonico prof. Giuseppe Ferrari, la affidandò a due sacerdoti degli stessi Canonici che l’avevano ricevuta come pegno dai Savoia, i Regolari Lateranensi di Coronata-san Teodoro (tale affidamento non dispiaceva neppure al Patrone perché, a corto di sostanze, non riusciva a mantenere l’impegno ed era costretto o a vendere il complesso ad una congregazione religiosa o al Vescovo, purché mantenessero il pio legato e soprattutto perché non finisse ad uso profano. Nel frattempo, dopo la legge Rattazzi del 1855 di soppressione di alcune corporazioni e case religiose, una sentenza del tribunale provinciale di Genova del 1857, aveva stabilito che i locali tornassero alle dipendenze di Coronata Subito dopo, il 14 sett.1859, il tribunale sancì definitivamente l’effettiva e decisa proprietà privata dell’erede spagnolo Martorell (Giuseppe Effivaller Centurione Martorelli)). Così i due sacerdoti di quell’ordine, Giuseppe Figoli, spezzino di Valdepino e GB Pedemonte iniziarono il 29 ago.1843 i sacri uffici (ma ben presto il secondo si ritirò alla Cella lasciando solo il Figoli quale custode dell’intero complesso sino al 1872. Questi, seppur ricco di progetti di restauri, di iniziative religiose, di lavori da fare- non possedendo né mezzi né comprensione di chi avrebbe potuto dare, si ritrovò solo (escluso l’appoggio dell’amico don Daste, che però poteva offrire solo aiuto morale e sacerdotale), e non poté impedire di trascurare i problemi più grossi determinando una progressiva decadenza, con tendenza all’abbandono ed al ritorno allo stato deplorevole di prima; anzi, il Figoli, rimase ‘testardamente ospite’ dei salesiani nella villa Bianca fino al 1891 quando si trasferì altrove dopo infinite resistenze e ricorso alle vie legali).
Una legge del 29 maggio 1855, soppresse l’ordine dei Can.Lateranensi, i quali dovettero lasciare la chiesa. Di nuovo, la carenza di sacerdoti favorì una situazione sempre più disastrosa con progressivo abbandono, peggiorato poi dall’uso imposto per l’undicesima volta di alloggio per le truppe francesi di Napoleone III appena sbarcate (1859), e la riutilizzazione nel 1866-7come lazzaretto per i colerosi .
Il proprietario dei beni, aveva ricevuto allettanti proposte per vendere il convento, ma suo desiderio era vederlo in mano ad una comunità religiosa come originario mandato del fondatore. Propose la vendita all’arcivescovo e questi, conoscendo le trattative che don Bosco cercava aprire in zona, gliela offrì in queste condizioni, con don Figoli unico custode, tramite don Oggero.
Il rapporto di don Bosco con Genova non iniziava allora: già nel 1841, appena divenuto sacerdote, era stato ricercato da nobile famiglia genovese per fare l’istitutore; e dopo il 1856 –inizio della sua opera a Torino - ebbe modo di venire più volte a Genova, incontrarsi sia con nobili generosi e munifici (su tutti il senatore marchese Ignazio Pallavicini residente nella sua sontuosa villa a Pegli assieme alla figlia Teresina –suo marito il conte Marcello Durazzo ed il nipotino Giacomino; nonché Vittorio Centurione di San Pier d’Arena; ed il barone Giuseppe Cataldi che offrirà la villa di Marassi, con la nuora Luigia Parodi Castaldi detta la mamma dei Salesiani), sia con altri sacerdoti (tipo Giuseppe Frassinetti, eccezionale intellettuale e pastore d’anime) e altri dediti allo stesso tipo di missione (su tutti don Francesco Montebruno che in Canneto il Lungo gestiva gli ‘artigianelli’, impegnati a fare mansione di ‘sindacalista’ per evitare lo sfruttamento dei minori nel lavoro -cosa a quei tempi di normale uso-). I suoi sacerdoti (don Paolo Albera con il chierico Colli Giovanni), partiti da Torino il 26 ott.1871 si erano insediati nella villa nella zona di Marassi affittata dal Castaldi ad ottimo prezzo. Iniziarono con la scuola di calzolai, sarti e falegnami. Ma essendo eccessivamente lontana dall’abitato, cercavano nel frattempo un’altra sede sempre molto popolare ed altrettanto a poco prezzo dove esistessero giovani sbandati e disoccupati, per poter sviluppare quello che era il progetto salesiano.
San Pier d’Arena poteva essere l’ideale: in pieno sviluppo industriale (la famigerata Manchester italiana!; chissà perché non la Ruhr italiana quanto ad imbruttimento, ciminiere, inquinamento. Nel 1890 contava già 7mila abitanti, aumentati anche per “l’acquisto” territoriale di una frazione dalla Certosa di Rivarolo; era in atto in città il “boom” dell’immigrazione con aumento del 90% della popolazione in pochi anni (in pochi anni si era arrivati a 20mila persone; un vasto e legalizzato campo di concentramento ottenuto con l’ammassamento di migliaia di povera gente in cerca di un salario che dovrà essere quotidianamente conquistato lottando con i denti, gli scioperi, una fatica sconvolgente e sempre a vantaggio di altri posti … ‘lassù’, lo sfruttamento fino al ricatto nei periodi neri di produzione). Un gran fermento di costruzioni selvaggiamente ravvicinate a sfruttare ogni millimetro disponibile senza un piano regolatore che salvaguardasse la dignità di chi già c’era, senza una saggia preveggenza che desse ordine all’inurbamento forzato. Il bisogno di guadagno di alcuni -in primis lo stato sabaudo con il signor Cavour-, determinò menefreghisticamente un alzarsi di ciminiere, capannoni, depositi, case popolari da sfruttare al massimo: un umiliante sconvolgimento, ingiustificatamente irrispettoso dell’estetica e dell’ambiente, purché rendesse economicamente ed in base a progetti di vastissima portata che certamente non comprendevano come problema da porsi l’impatto ambientale di quanto stata nascendo in quel piccolo buco d’Italia. Anzi, vantandosi di aver prodotto lavoro ed occupazione, si otteneva il piccione e la fava, cioè si metteva a tacere chiunque avesse tentato di evidenziare l’orrore dell’anteporre i vantaggi sociali della ‘cosa pubblica’, sottacendo che essi avvennero troppo lentamente e solo a seguito di enormi sacrifici di massa degli operai, di morti bianche, di dignità da rosicchiare giornalmente. Per i sacerdoti era anche difficile da penetrare perché piena di miseria, di anime sperdute ed arrabbiate, assai poco inclini all’osservanza religiosa; tanti gli immigrati delle più varie religioni; roccaforte dei repubblicani mazziniani nonché anarchici e massoni, ma soprattutto con tanta gioventù abbandonata: una vera sfida, per don Albera e don Bosco, il cui scopo voleva essere l’applicazione di un’ opera di carità - spirituale e temporale - specialmente ed unicamente verso loro, i giovani poveri.
Negli anni attorno al 1872, l’edificio della chiesa era in uno stato miserando: senza pavimento, porte e finestre scardinate, senza più nessun arredo; uguale il convento, senza mobilia, senza suppellettili. Un rudere fatiscente.
Naturalmente don Bosco non possedeva la somma (dal 1871 era alloggiato a Marassi ove aveva iniziato la sua opera di ricupero dei giovani ma dove si sentiva ‘stretto sia per ragioni di spazio sia per l’eccessivo decentramento); ma la ricuperò con donazioni varie, sfruttando le amicizie tessute nei suoi soggiorni a Genova, per primo dall’Arcivescovo di Genova mons. Magnasco Salvatore, che imprestò -e poi regalò- le 4mila lire necessarie per stendere il compromesso col venditore il 16 lug. 1872, più altre mille avute in dono (poi, da ricordare in primis la baronessa Luigia Cataldi Parodi, residente a Sestri Ponente, che diede addirittura 30mila lire; la duchessa di Galliera Maria Brignole-Sale che offrì 5mila; papa Pio IX che inviò 2000 lire; il sindaco di San Pier d’Arena che era allora l’avv.cav. Nicolò Montano il quale volle poi essere padrino - e la moglie madrina - della prima cresima amministrata nella nuova chiesa; e da altri benefattori che gli permisero di arrivare alla cifra necessaria).
Terza chiesa: l’11 nov.1872 era avvenuto il trasferimento dalla palazzina Cataldi di Marassi di 40 ragazzi figli di don Bosco; ed il complesso, sempre chiamato “Ospizio di san Vincenzo de Paoli” rimase affidato a don Albera, il quale per primo propose di rendere tradizionale la festa del sacro Cuore..
L’ospizio poté trovare altri spazi, inglobando con l’acquisto, nel dic.1873, della villa dei Teatini (i suoi terreni erano stati parzialmente decurtati nel 1830 e 35 per ampliare il cimitero vicino; quello che rimaneva permetteva però aprire la zona ricreazione, anticipo dell’Oratorio per ora attuato davanti all’ingresso della chiesa) nella quale già si apre un ginnasio, quale bacino di aspiranti al sacerdozio; 82 diventano gli alunni nell’anno scolastico 1874-5; 165 l’anno dopo.
L’atto di vendita del convento e della chiesa annessa di san Giovanni Battista, ma detta volgarmente di san Gaetano, per la somma di 37mila lire, sarà poi definitivamente firmato presso il notaio G.Marchini il 12 dic.1874 da don Giovanni Torrent quale procuratore del marchese Giuseppe Maria Battista Centurione Martorelli di Effivaller, Gavino di Spagna, e da mons. Magnasco fu Benedetto per conto e nome di don Giovanni Bosco .
Nell’edificio della chiesa, nel 1875 erano già avviati i lavori più urgenti sotto la direzione del dr. arch. Maurizio Dufour (due impresari furono gratificati da don Bosco con l’onorificenza a cavaliere: Angelo Borgo che eseguì gratuitamente le opere murarie, ed il sestrese GB Conte che regalò calce e cemento dalle sue fornaci): oltre al corpo di fabbrica dell’istituto lungo l’attuale via C.Rolando, conservando il muro che la separava dal cimitero di fianco e la cancellata che la separava dalla strada, fu iniziato nel 1897 (25° della fondazione dell’opera salesiana) il restauro della chiesa con
rifacimento della FACCIATA, in stile neoclassico, su disegno dell’ing. Giuseppe Massardo (la gradinata con granito rosso di Bavena e pietra di Finale; la parte inferiore della facciata, con richiami allo stile composito romano, aveva tre porte decorate con marmo bianco di Carrara, sovrapposte da tre bassorilievi rappresentanti Gesù in mezzo ai fanciulli; la Vergine con i 12 Apostoli; decollazione di sGBattista, ed ai cui lati, in nicchia, le grandi statue di s.GiovanniBattista e di s.Francesco di Sales. La parte superiore in stile corinzio, una grande finestra rettangolare centale ed ai lati le statue di s.Vincenzo de’Paoli e di san Gaetano di Thiene, fondatore dei Teatini); creato una SACRESTIA di fianco al CORO, che fu arredato con seggi lignei comperati dalla chiesa di N.S. della Pace di Genova -e metà di essi poiché avanzavano, furono rivenduti a Camogli ed altrove-; fu inaugurato l’ORGANO opera di Lingiardi e figlio, di Pavia (dic.1877, acquistato con i proventi di una lotteria, fu collaudato da DePaoli); furono ricreati degli arredi anche se non si riebbero indietro le preziose icone custodite a san Siro. In tre navate erano nove altari: tra essi, a sinistra dell’altare maggiore, per il culto di Maria Ausiliatrice instaurato dai Salesiani, fu apposto un quadro dipinto da Rollini; i muri furono coperti con stucchi dorati di grande effetto; fu posta una lapide nella chiesa che diceva : “IOANNES BOSCO SACERDOS - SOCIETATIS SALESIANAE PATER LEGIFER - HOC TEMPLVM ET ADIACENS COENOBIVM - AERE COLLATITIO - EMIT AC INSTAURAVIT - AN MDCCCLXXII “ (Giovanni Bosco sacerdote – padre e legislatore della Società salesiana – questo tempio e il cenobio adiacente – con denaro raccolto – acquistò e restaurò – nell’anno 1872); si ottennero una statua lignea di san Luigi (1878) ed un quadro ad olio di san Gaetano opera del lucchese Pietro De Servi (quadro tuttora presente perché sopravvissuto al bombardamento); fu rifatto il pavimento in marmo e lavagna (1881); si arricchì di una statua lignea ed un quadro ad olio raffiguranti san Giuseppe (1889); altri altari furono poi dedicati nel 1891 al sacro Cuore, a sant’Antonio da Padova ed a Maria Ausiliatrice (sostituendo la tela del Rollini che fu trasferita nella cappella delle suore), l’altare fu posto in una nuova cappella altamente decorata dal genovese Mascetti con stucchi ed ori, sempre sotto la coordinazione del comm. Dufour che lo arricchiva con una statua in marmo della Madonna prodotta dallo scultore savonese Brilla Antonio (si considerò miracolo, il fatto che nella cappella ove era esposta la statua, cadde a terra una colonna di marmo lasciando illesi tutti gli operai che le erano attorno per il lavoro) circondata sulle pareti da affreschi di Gainotti Luigi -allievo di Barabino; vedi Daste pag.85- con la raffigurazione della battaglia di Lepanto (Marcantonio Colonna, che presenta al papa Pio V i vessilli tolti ai turchi), della battaglia di Vienna (Giovanni Sobiescki, re di Polonia, che riceve la benedizione prima di assalire e sgominare i turchi), e dell’ arcangelo Michele trionfante su Satana, di Giuditta col capo di Oloferne, di Ester di fronte al re Assuero). Altri dipinti di Agostino Benvenuti e sculture di Antonio Canepa.
Anche l’attività religiosa e sociale ebbe un avvio consistente: catechismo, cresime, due prime classi di scuola elementare
Contro il parere del sindaco Torre (20 lug.1885) e dell’amministrazione comunale (delibera del 26 feb.1886) che non credevano né utile né opportuno dividere il territorio in tre parrocchie (san Gaetano, Cella, Grazie) , la nomina a parrocchia (firmata il 15, giuridicamente in funzione dal 16 (il Cittadino scrive dal 27) lug.1884) era stato un atto voluto dal vescovo Magnasco; ma subìto anche dai salesiani perché rappresentava per loro un grave impegno in più, ed accettato per obbedienza; primo parroco scelto fu don Michelangelo Braga ma si preferì che la nomina fosse intestata -ad interim- al direttore Domenico Belmonte (dal 1881 direttore dell’Ospizio al posto di don Albera; il Novella lo chiama erroneamente Costantino) in attesa nella nomina ufficiale da Roma (dove vasi chiarire la posizione gerarchica del parroco nella scaletta di comando dell’istituto: don Bosco concluse che nella sua congregazione il capo era il Direttore dell’istituto ed il parroco era provvisorio (per la Curia) e vicario (per il Governo). Il primo parroco canonicamente nominato nel 1886 (Novella dice 1888) fu don Luigi Bussi, conquistando il primato di essere la prima parrocchia salesiana in assoluto nel mondo.
Dalle 3000 anime dell’inizio, si passò nel 1892 a 7mila; nel 1900 a 12mila; nel 1910 a 20 mila.
I confini furono ben stabiliti, ma ben presto (1 genn.1890) ampliati, soprattutto a nord con Certosa : “la via del Glucosio (all’altezza di via Campi), seguita da una strada senza nome (o via Campi o salita Bersezio)”.
Parrocchia ed istituto, seppur conviventi in unico complesso, furono subito separati sul piano organizzativo.
Da allora, per oltre 80 anni, le grandi feste solenni della parrocchia furono il giorno di san Gaetano (7 agosto, messe solenni, vespro, premiazione studenti, accademia musico letteraria) e la ricorrenza della Madonna della Guardia. Dopo il 1960 esse furono annullate e ridimensionate il 31 gennaio ricorrenza di don Bosco.
Il 4 lug.1897 si inaugurò in forma solenne (illuminazione, fuochi d’artificio, musica e solennità religiose) il completamento della chiesa. Dalla piazzetta, con inferriata che la separava dalla strada e con muretto dal Tempietto, si ammirava la nuova facciata, su disegno dell’ing.Giuseppe Massardo e con la direzione del dott. Maurizio Dufour (figura degna di ricordo : nato nel 1827 di nobile casata, laureatosi in legge, dedicò il suo capitale -con amore senza ostentazione e maestria unica- per valorizzare strutture cittadine genovesi, d’arte, di restauro ma anche di religione ed assistenza. Morì il 17 ago.1897), fu rifinita in stile seicentesco con ordine composito-romano nella parte inferiore e corinzio nella superiore, usando marmo di Carrara e granito rosso di Baveno per lo zoccolo e la scalinata; pietra rossa di Finale per la base e lesene.
Al centro - sopra il portale centrale - fu arricchita da un bassorilievo in marmo raffigurante la decollazione di san Giovanni scolpita dal sampierdarenese Pietro Roncallo; ai lati, in nicchie, le statue di san Giovanni Battista e di san Francesco di Sales sormontate da bassorilievi in stucco, assai pregevoli, raffiguranti Gesù tra i fanciulli (“sinite pargulos...”) e Maria con i 12 apostoli, riproduzioni di quadri del Lorenzone, prodotti da Angelo Marcenaro;
bassorilievo di Marcenaro con fanciulli,Maria e
alcuni apostoli; sulla facciata della chiesa
più in alto le statue di san Vincenzo de Paoli e di san Gaetano di Thiene; nel timpano, due putti ai lati della croce centrale; in evidenza sul cornicione la scritta “M.D.XC.VII EXCITATUM - DIVIS.IOANNI.BAPTISTAE.ET.CAIETANO - ORNATUM M.DCCC.XC.VII” (= 1597 dedicato – ai santi Giovanni Battista e Gaetano – restaurato nel 1897). Nel 1896, alla morte della più grande benefattrice dei salesiani, un marmo fu posto sulla facciata della chiesa con la scritta “alla anima benedetta della baronessa Luigia Parodi Castaldi, madre dei poveri, benefattrice insigne dell’ Ospizio di San Vincenzo de’ Paoli pregate l’eterna pace - manum suam aperuit inopi et palmas suas extendit ad pauperes”
1923 – iniziarono i lavori che furono completati l’8 dicembre 1929 (VIII) con solenne inaugurazione, con l’approvazione dell’arciv. Carlo Damazio Minoretti.
All’interno dove alte colonne di finto marmo (preparate con particolare lavoro che dona l’illusione del vero marmo, dalla ditta Amedeo Butti di Bergamo) dividevano la navata in tre assi -sul modello di san Siro-; con volte riccamente decorate da stucchi dorati ed affreschi eseguiti con altri ornamenti, dalla scuola -figli ed allievi- del pittore prof. Rodolfo Gambino (o Gambini. Solo per decorare il Sacta Santorum aveva preventivato la somma di 35-40mila lire e, genericamente 100mila per il rimanente; le soc. f.lli Feltrinelli e f.lli Gardino offrivano gratis il legname per le impalcature e l’impresa edile Giuseppe Stura offriva i lavori murari a prezzo di costo); furono istituiti due comitati –uno maschile ed uno femminile- per le ‘oblazioni pro restauro Chiesa di san Gaetano’. Procedette dapprima alla doratura –usando oro zecchino e colori d’alta qualità perché durassero nel tempo- dei riquadri destinati agli affreschi, disegnando anche capitelli, lesene e cornicioni, per dare risalto ed ombre. Sopra il presbiterio fu affrescato il tema del Trionfo Eucaristico, sacramento particolarmente curato dai salesiani: in alto rifulge l’Ostia santa dentro l’Ostensorio, contornata da angeli ; in basso don Bosco, le suore dette Figlie di Maia Ausiliatrice, il card. Cagliero –direttore dei missionari-, e – vicino ad essi - il fior fiore dell’oratorio: Domenico Savio, Mchele Magone, Luigi Comollo, alcni ragazzi ed operai. Sulle pareti del presbiterio, c’erano altri due grandi affreschi rappresentando Gesù pastore con le pecorelle e Gesù con il ‘sinite parvulos’. Sulla volta dei bracci laterali della croce latina, l’affresco di papa PioV che riceve la notizia dell’esito della battaglia di Lepanto ; e quello di Gesù nell’orto di Getsemani con l’angelo. In duplice fascia sul braccio destro della crociera, in chiaroscuro, i ritratti di alcuni papi: in particolare Pio IX che aveva approvato le regole salesiane e Pio XI che aveva proclamato beato don Bosco. Nel centro della crociera la Glria di san Gaetano: portato in cielo fra gloria di angeli con ai piedi la figura di san Giovanni Battista; ai suoi quattro lati, i ritratti degli Evangelisti. La volta della navata centrale, vedeva al cdentro lo stemma della famiglia Di Negro, con sopra Gesù che predica dalla barca nel mare di Galilea; e sotto G.Battista che battezza Gesù mentre dall’alto scende lo Spirito Santo. Ai lati, tre altari in altrettante cappelle (una a s.Francesco di Sales nella quale erano gl affreschi dedicati uno al dottore della Chiesa e l’altro a s.Vincenzo de’ Paoli) decorate con stucchi, fregi e con immagini di Santi e simboli sacri).
volta dell’abside-quadro centrale volta della navata centrale centro crociera-gloria di s.Gaetano
dedicata al “il trionfo eucaristico” -alto: battesimo di Gesù—
-centro: stemma Di Negro
-basso: predicaz. di Gesù
volta della crociera – san Pio V volta della crociera: agonia del Getsemani
*A- al centro l’altare maggiore in marmo di Carrara, scolpito in stile seicentesco da Angelo e Federico Ortelli e dedicato a san Giovanni Battista; ai lati varie cappelle con altrettanti altari in marmo, lavorati da Antonio Ricchini.
*B- a destra dell’altare centrale in capo alla navata dedicato al “Sacro Cuore di Gesù” (1891) racchiuso in una raggiera lignea scolpita ed indorata da Vittorio Ferraro; sul pallio dell’altare di marmo bianco è un bassorilievo della Natività del genovese Antonio Canepa; lungo le pareti laterali:-- 1- dedicato a sant’Antonio da Padova (1891); -- 2- dapprima fu posto un Crocifisso ligneo e la statua in legno dell’Addolorata e san Giovanni opera dello scultore genovese Olivari Agostino; poi fu arricchita con quadro raffigurante il “Crocifisso, Maria addolorata e le Anime sante del purgatorio” di Pietro de Servi; -- 3- uno per san Giuseppe, (1889), in marmo, con prezioso quadro di Agostino Benvenuti offerto da un fedele -nel fianco di questa cappella, c’era il battistero; --
*C- a sinistra, dell’altare in capo alla navata lo assai elegante e già descritto altare, con la statua di Maria Ausiliatrice (Auxilium Cristianorum); sulle pareti laterali -- 1- con grande quadro (inaugurato solennemente nel 1895 ponendolo dapprima nel terzo altare a destra, e che andrà distrutto nell’ott. 1943) di Luigi Gainotti, allievo di N.Barbino, raffigurante “san Francesco di Sales che offre l’Istituto a san Vincenzo de’ Paoli”, patroni principali dei Salesiani, e più piccolo un quadro di san Vincenzo de’ Paoli; -- 2- dapprima con statua del santo, poi con quadro -posto sull’altare nel 1896- dedicato a “san Luigi Gonzaga in gloria” contornato da altri due quadri laterali raffiguranti la “prima comunione di san Luigi” e “l’Immacolata con santa Agnese”, tutti e tre opera del Gainotti; -- 3- per san Gaetano Thiene, col quadro del De Servi.
Il complesso era senza un campanile: iniziato su progetto dell’ing. genovese Giuseppe Massardo nel 1885 (lo stesso della facciata), fu finito l’anno dopo; raggiunti i 51 m da terra fu a lungo la più alta costruzione muraria della città; fu arredato da un concerto di 5 campane (all’inaugurazione, suonate da un maestro campanaro venuto apposta da Torino, e presente don Bosco). Nel 1892 vi fu applicato l’orologio, con suono ad ore e quarti. Nel tempo, le campane divennero 8 nel 1897, poi 10 ( 5 fisse e 5 mobili, fuse dalla ditta GB. De Poli di Udine); sulla maggiore è stato scritto “NIMBUM FUGO-JUBILATE DEO OMNIS TERRA” (=disperdo le nubi-esultate a Dio da tutta la terra).
Fu restaurata nel 1962 l’incastellatura delle campane, ora mosse elettricamente a comando dalla sacrestia.
Ristrutturato nel 1977, vicino all’orologio nell’interno fu apposta una lapide che dice:
DON BOSCO LO VOLLE : 1886 - LO RISPARMIO’ LA GUERRA : 1943 - FU RESTAURATO : 1977.
Don Bosco soggiornò a San Pier d’Arena l’ultima volta il 22 apr.1887 , circondato da una battente ressa di malati, pentiti, e fedeli; morì il 31 genn.1888 a Torino.
Nel 1890 la popolazione aveva raggiunto le 40mila unità; tutta la città era alle dipendenze delle industrie, delle fabbriche intorno, avvolta nell’intreccio di binari con vagoni, dei carri con le più disparate derrate, favorita dal vento nel non vedersi sotto una cappa di fumi e vapori e che smorzava anche i rumori di tutto questo fervore massacrante.
Con parroco prima don Michelangelo Braga, poi don Bussi (1886-1928), a sua volta poi succeduto da don Virgilio Raschio (1928-1941) e da don Nervi (1941-1956), la chiesa ottenne progressivi miglioramenti, tali da renderla una delle più belle e ricche di Genova: oltre al campanile; all’organo (aggiustato dalla ditta Parodi & Manin di Bolzaneto); al pavimento; agli altari in marmo con quadri di valenti pittori, la nuova cappella a don Bosco, con statua in legno ed affreschi -uno di Gainotti ed uno del camoglino Antonio Schiaffino (quest’ultimo, ordinato nel genn.1934, fu inaugurato il 12 aprile 1934 dal card. Minoretti pagato 25mila lire –in 5 rate-i e riproduceva don Bosco benedicente i giovani: vari ragazzi dell’istituto furono usati dall’autore come modelli); ai lampadari in bronzo;
una Via Crucis in legno scolpito da Ferdinando Stuflesser, scultore della val Gardena (dopo la distruzione della chiesa, ne rimase una sola stazione, quella di Pilato che condanna Gesù, ora posta altrove);
alcune parti della facciata in pietra viva; stucchi e dorature varie, opere iniziate dal prof. Gambino -e poi terminate dal figlio Luigi-.
Nel 1906 prese avvio l’edizione del bollettino parrocchiale.
Nel 1922 ospitava ancora la tomba del fondatore DiNegro, sopra la quale era un cippo col busto in marmo.
incisione riproducente la lapide
marmorea esistente in s.Gaetano
Ioanni Babtistæ De Nigro /
cuius aere solum emptum /
templum et coenobium ædificatum /
ius patronatus ad haeredes transmissu / Philippus Centurionus /
Christophori et Lichinetæ sororis /
et haeredis eius filius /
montiumq Romæ ad operis reiarationem /
et sacrae supellectilis aparatum /
administrator posuit a MDCXXXX
Nel 1925 la fiorente sezione filodrammatica organizzò con successo un concorso nazionale di recitazione.
Nel 1930, il 24 dicembre una parte del territorio parrocchiale comprendente circa 25mila anime, venne sottratto con la costituzione della parrocchia di Belvedere su proposta dell’arciv. Dalmazio Minoretti.
Nel 1937 iniziò la pubblicazione del bollettino mensile parrocchiale chiamato “La buona Parola” stampato a Torino. E tale era ancora nel 1942
1939 cortile antistante la chiesa
altare maggiore
In un attimo, alle ore 13 del 30 ott. 1943, parroco don Giulio Nervi, durante una incursione aerea, una bomba distrusse tutto; solo il campanile rimase eretto, seppur traumatizzato dallo spostamento d’urto dell’aria e dalle schegge (tre sacerdoti, che dall’alto guardavano “in diretta” gli avvenimenti, rimasero shoccati ma miracolosamente illesi). La generosa e preziosa opera di intere generazioni, mirata ad abbellire millimetro per millimetro il tempio di fede, si ridusse in polvere e ruderi inutilizzabili, distrutti da tre bombe cadute ravvicinate. Tra i rottami si cercò di ricuperare il recuperabile: assai poco, purtroppo.
30 ottobre 1943
Le funzioni religiose dovettero essere trasferite nel teatrino dell’oratorio femminile e poi nel Tempietto.
Nel 1950, la parrocchia, in prevostura dei salesiani, aveva parroco don Giulio Nervi e si chiamava ancora “Decollazione di S.Giovanni Battista e san Gaetano”.
Le pratiche per ottenere i diritti ed i sussidi necessari alla ricostruzione della quarta chiesa (sgombero dei detriti, scavi assai profondi per porre solide basi, ed anche per le varianti progettuali: un’unica navata, maggiore ampiezza e lunghezza per riduzione del piazzale antistante ed eliminazione dell’antica cancellata), ebbero fine solo nel 1952 quando si diede il via ai lavori di ricostruzione ponendo il 10 novembre (don Miscio dice il 16) la prima pietra sotto il previsto altare maggiore (la pergamena scritta dal salesiano prof. don S.Bilik, fu firmata dalle maggiori autorità cittadine arcivescovo Siri, sindaco V.Pertusio, prefetto R.Saporiti, rettore Cereti, onorevoli, assessori); viene ufficialmente annunciato che la titolazione assieme a san Gaetano si chiamerà anche don Bosco. Venne costruita in un’area di 540 mq.con possibilità di 1500 posti a sedere: un edificio più largo e più lungo della precedente (a scapito dell’antistante cortile ove giocarono i primi 40 ragazzi) disegnato dall’ing. Pietro Stura, ed eretto dall’impresa Giuseppe Stura & figli.
Il nuovo tempio, gestito ormai sempre dai Salesiani; arricchito di una reliquia del santo don Bosco arrivata solennemente da Torino alcuni giorni prima e posta in una teca finemente decorata; e svincolato dal primitivo antico impegno testamentario, fu definitivamente inaugurato e consacrato dal cardinale di Genova mons. Giuseppe Siri il 2 apr.1955, presenti tutte le autorità civili e militari.
All’esterno, la pavimentazione a cubetti di porfido, davanti all’ingresso della chiesa ed all’interno nei cortili, fu eseguita nel 1957.
Nel 1958 risultano presenti nell’area parrocchiale una ventina di associazioni (tra giunta parrocchiale con l’azione cattolica e oratorio maschile e femminile); tra esse le ACLI svolgono un ruolo di altissimo impegno sociale.
la facciata è rivestita sin sopra le porte da bande di pietra bianco e serpentino, ricordanti lo stile genovese-pisano antico; una larga scalinata porta accesso a tre ampi portali ornati da colonnine rotonde ed istoriate, sovrapposti da lunette arricchite da marmi raffiguranti momenti della vita di don Bosco (il sogno; il Santo con san Domenico Savio benedetti da Pio IX; ***il terzo?); a metà altezza, la pietra chiara di Finale è interrotta da cinque monofore con vetrate effigianti Gesù ed i quattro Evangelisti e da un rosone che ha al centro dei petali marmorei l’immagine di don Bosco circondato da angeli; al limite superiore, altre tre monofore decorano l’estremo della facciata che finisce in un tetto merlato inclinato; le due torri laterali -anch’esse a bande colorate-, sono alleggerite da quattro piani di trifore e finiscono in alto a terrazza arricchita da una merlatura che riprende identica quella del tetto.
Internamente, è ad unica navata, con soffitto a cassettoni contenenti giganteschi floreazioni;
==in alto ai lati, le ampie scale coperte da marmo di Carrara, portano ad un lungo matroneo interrotto da colonnine corinzie e sottolineato come un allegro festone dalle stesse merlature dell’esterno da respiro e luce tramite ceramiche colorate (raffiguranti angeli musicanti e cantori);
==a 10 m di altezza, otto medaglioni quadrangolari, raffigurano le Beatitudini (beati i poveri, i sofferenti, i non violenti, gli assetati di giustizia, i misericordiosi, i puri di cuore, i costruttori di pace, i perseguitati per la fede). Sono stati dipinti dal sampierdarenese Angelo Baghino e misurano m. 3,5x1. Rappresentando il messaggio di Gesù, le immagini vogliono dare a tutta la chiesa la denominazione di “chiesa delle beatitudini”: nessuno rappresenta un personaggio dipinto per intero, ma solo oggetti e parti del corpo, validi richiami allusivi e psicologici alla sofferenza dell’Uomo (corde, chiodi, tazze con l’aceto, mani legate, chiodi e martello, sangue innocente) Gli otto dipinti a grossi pannelli furono inaugurati l’ 11 ottobre 1997 in occasione della festa degli alpini, alla presenza di tutte le autorità civili e religiose della città (A.Sansa e mons.D.Tettamanzi
==tutto porta lo sguardo in avanti, al grande crocifisso ligneo centrale scolpito dal fiorentino Geminiani sullo figura delle antiche maestà dipinte , inquadrato sotto un arco trionfale centrale sorretto da due colossali colonne marmoree adornate da foglie di acanto.
===L’altare maggiore, offerto alla chiesa dagli ex-allievi, ricco di marmi pregiati (onice del Brasile, Messico ed Algeria, diaspri e lapislazzuli), è arredato da sculture raffiguranti nel paliotto la Cena di Emmaus; nel tabernacolo il Sacro Pellicano; nel portale sinistro l’Angelo dell’Annunciazione e in quello destro Maria; ai lati sei angeli oranti; nell’ultimo dossale bassorilievi di angeli rappresentanti la giustizia, la fortezza, la prudenza e la temperanza, vicini a due lampade con i simboli della fede e della speranza *** . Nel 1972 fu installato davanti un nuovo altare marmoreo per la nuova liturgia.
===I pulpiti, sono sorretti da tronconi di marmo policromo (residuo delle antiche colonne che ritmavano le navate della precedente chiesa); il battistero, trasferito in avanti nel 1980 per la riforma liturgica, è poligonale e sull’apice ha la statua bronzea di san Giovanni Battista (dono delle scuole elementari locali ed unica effigie dell’antico e primitivo titolare della chiesa);
==la Via Crucis in bronzo, è opera pregiata del 1960 dello scultore Enrico Manfrini (famoso per aver vinto il concorso per le porte del duomo di Siena). Le varie stazioni furono offerte da privati e dalle associazioni.
==le vetrate del presbiterio, raffiguranti l’arrivo di don Bosco a Genova (accolto dal vescovo mons. Magnasco a Marassi –1871, e poi a San Pier d’Arena -1872), e la prima spedizione missionaria nel 1875, da Genova alla Patagonia.
Le artistiche vetrate poste nell’abside furono offerte alla chiesa dalla famiglia Costa (dal dr.Giacomino in particolare).
angelo con stemma dei Salesiani
==nell’antica sede del battistero, c’è la Cappella della Pace, consacrata in suggestiva cerimonia il 10 ott.1981 da don Riccardo alla presenza del Gruppo Alpini locale, e contenente la riproduzione dell’icona della Madonna del Don, venerata nella chiesa dei Cappuccini di Mestre (Venezia),
con –ai due lati del capo- la scritta “Mèter” e “Theoù” (in greco, Madre di Dio), incorniciata da marmo bianco di Siena, dedicata agli alpini ed ai caduti di tutte le guerre, ma soprattutto agli sfortunati partecipanti la campagna di Russia (l’icona originale fu raccolta dal cappellano degli alpini del battaglione Tirano p.Policarpo Narciso Crosara, in prima linea, tra le macerie di una chiesa in un villaggio (isba) -sul fronte del Don- abbandonato dagli abitanti e praticamente distrutto. Portata nel 1945 in Italia. Il cuore della Madonna, trafitto da molte spade simbolicamente si addice allo spirito di quei momenti tristemente violenti. Non solo in guerra, ma anche per chi riuscì a tornare, nel dopoguerra gli animi erano ricchi di odio ed egoismo: si decise così far pellegrinare l’icona per le vie italiane. Alla tappa genovese fu deciso dedicarle qui una cappella apposita nella chiesa) .
Le fanno cornice : la storia lignea degli alpini (una allegoria degli alpini disegnata e incisa su legno da Carla e Franco Gabbani: icona composta di 4 pannelli di legno scolpiti dal dr. Alfredo Giuliano e raccolti da Silvio Lituania: raffigurano 1) la presenza dell’alpino -e del suo mulo fedele compagno di immense fatiche- al freddo , di fianco ad una chiesetta sulle erte cime dei monti; 2) 3) i ponti fatidici simbolici di due generazioni, uno di Bassano della guerra del 15-18, e l’altro di Perati della guerra di Grecia-Albania; 4) la tradizione : rappresentata dal valore della famiglia –mentre scrive a casa; dallo spirito –mentre soccorre=presenza attiva in tutte le calamità-; dal dovere=la vedetta; la tenacia fino al sacrificio estremo simboleggiato dalla penna “mozza” poggiata sopra una croce tombale nella steppa russa =di fronte alla chiesa ortodossa di Nicolaievka città ucraina dove nel gennaio 1943 la divisione Tridentina al comando del gen. Reverberi seppur stremata, riuscì a sgominare una divisione russa armata di grossi calibri ed aprirsi un varco di ritirata). Sopra l’icona un grosso dipinto, opera di Aldo Orsi (simboleggiante l’estremo sacrificio del soldato, rimasto senza tomba, espresso da una figura prona, evanescente che viene coperta dal biancore della tempesta di neve nella steppa e, sovrapposta, l’immagine del soldato che sale verso la luce, nel paradiso delle “penne mozze”, con la mano protesa a protezione dei compagni). Sotto l’icona una scultura rappresentante la Natività (bassorilievo in marmo dello scultore sampierdarenese Antonio Canepa (1850-1931) del 1930, proveniente dal pallio dell’altare del Sacro Cuore, della chiesa distrutta di san Gaetano).
Di fronte, il Cristo in croce (di gesso armato -calco originale di una fusione in bronzo dello scultore spezzino Augusto Magli –1890-1962. In memoria dell’autore, fu donato alla chiesa dopo averlo restaurato, dal sig. Aldo Orsi affisso sopra una croce lignea opera e dono della famiglia Patrocinio). Dal 1982, un cippo (del peso di tre quintali, tratto dalle rocce del monte san Michele del Carso, simbolico ricordo di quelle insanguinate dai soldati); un’urna con la terra e sabbia del Don e gli stemmi delle tre ‘divisione alpina’, Tridentina, Julia e Cuneense’; un inginocchiatoio con una preghiera poesia di Zanotti. Uno speciale gemellaggio lega questa cappella all’omonima di Mestre dei padri Cappuccini, dove si trova la tela originale della Madonna,
==Al piano, le cappelle laterali sono dedicate ai vari santi. Nel 1955 don Baldan ancora vicario capitolare, alla mostra di Arte sacra di Milano, aveva preso contatto con i vari artisti; tra tutti scelse Consadori, Filocamo, Longaretti; l’iniziativa di ‘un mattone per mille lire’ mirata a finanziare gli affreschi ebbe sufficiente riscontro popolare.
1) Altare di don Bosco: offerto dalla fam. Giovanni Bruni, è una grande tela di P.G.Crida del 1918, usata nel 1934 per i festeggiamenti della canonizzazione a san Pietro ed a Valdocco (To , prima casa salesiana) , e donata nel 1960 dall’economo generale don Fedele Giraudi a Sampierdarena in segno di gemellaggio spirituale tra le due case, per sostituire la tela di Antonio Schiaffino distrutta nel bombardamento.
2) altare di santa Maria Domenica Mazzarello e sante: la suora (1844-1881) fondò l’istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice per l’educazione della gioventù femminile, sulla stessa traccia di don Bosco per i maschi ; poco prima della morte, fu ospite in questa casa . Si venerano anche santa Teresa del Bambino Gesù: la santa (1873-1897) è patrona delle Missioni; santa Rosa da Lima : la prima giovane vergine (1586-1617) canonizzata nel continente americano; santa Maria Goretti : la vergine e martire, considerata il simbolo della purezza vissuta dal 1890 al 1902; la venerabile Laura Vicuña allieva dodicenne (1890-1902) delle Figlie di Maria Ausiliatrice della casa cilena , denominata “il fiore della pampas”. (d.Miscio include santa Rita al posto di santa Rosa). L’affresco è del maestro G.M.Aicardi dell’Accademia Ligustica di Belle arti genovese.
3) l’altare di san Domenico Savio con dei giovani: offerto dalla famiglia Stura, fu affrescato da Luigi Filocamo nel 1958, il quindicenne allievo di don Bosco (1841-Murialdo 9.3.1857 è il più giovane degli oratoriani divenuto santo tra i non martiri; le figure che lo circondano sono ritratti di giovani confratelli. Fu canonizzato da papa Pio XII il 14 aprile 1954). L’urna fu portata in processione a san Pier d’Arena nel febbraio 2004 (del peso di 350 kg., è rappresentata da una statua in cera ed una teca portareliquie contenente alcune ossa. Nel 50enario della canonizzazione, proveniente dalla casa salesiana di Vallecrosia dopo passati per Alassio, Savona, Varazze e poi proseguente per Quarto e LaSpezia, eseguendo un pellegrinaggio per tutte le case dei confratelli d’Italia. Viene definito il santo dei giovani e della allegria)
4) l’altare di Maria Ausiliatrice: affrescata da Luigi Filocamo nel 1958, è la più cara ai salesiani, considerata la Madonna di don Bosco, a cui lui si rivolgeva nei momenti difficili.
5) l’altare del Sacro Cuore affrescato da Luigi Filocamo nel 1958, rappresentativo di una devozione particolare da parte dei Salesiani. L’affresco fu finanziato da un ex allievo, MantelliGiacomo. Il primo disegno lasciò perplessi sia gli esperti d’arte che l’autore stesso per l’espressione di estremo languore sul volto del Redentore; così Filocamo ne disegnò un secondo.
6) l’altare di san Gaetano, offerto da Costantino Dagnino, inaugurato il 4 gennaio 1962 ed affrescato l’anno prima da Trento Longaretti (direttore della Accademia delle Belle Arti di Bergamo). San Gaetano, assieme a don Bosco, è patrono della Parrocchia e ricordato come il “santo della Provvidenza”; al centro dell’immagine tiene per mano il bambinello Gesù; a sinistra ha san Francesco di Sales (1567-1622, vescovo, dottore della Chiesa, e titolare di tutta la Congregazione salesiana) che intrattiene alcuni bambini; a destra ha la paterna figura di san Vincenzo de’ Paoli (1581-1660, santo della carità ed antico titolare dell’Ospizio, prima che divenisse ‘Istituto don Bosco’) che –anche lui- intrattiene dei bambini poveri. Sullo sfondo la città, irta di ciminiere ed abitata da un popolo operaio in case con i panni stesi alle finestre ad asciugare.
7) altare di san Giuseppe e della sacra Famiglia, affrescato da Silvio Consadori nel 1957; è patrono dei lavoratori, della buona morte e di tutte le famiglie cristiane .
8) la Pietà (o della Deposizione, o delle Anime): affresco di Luigi Filocamo del 1957 . E’ anche riconosciuto come “altare delle anime” perché luogo di preghiera per i defunti . Vi è deposta anche un’urna, con le ceneri di don Giulio Nervi, parroco durante gli anni della ricostruzione.
==Dietro l’altare centrale, nell’abside che prende luce da altre 5 monofore, c’è l’ organo a canne costruito dalla ditta Parodi Marin di Bolzaneto, inaugurato la sera dell’insediamento a parroco di don Gastone Baldan l’1 novembre 1956. Fu tenuto un concerto suonato dai maestri Giacomo Pedemonte (professore d’organo al liceo musicale N.Paganini), e Luigi Loss (salesiano organista a LaSpezia).
==Nella pinacoteca parrocchiale, esistono due pale lignee rappresentanti una la crocifissione e l’altra la chiesa di san Gaetano, dipinte dal salesiano Bilick nel 1950; due statue lignee del XVIII secolo, rappresentati le virtù della Speranza e della Carità, già ospitate nella colonia Piaggio- albergo dei fanciulli- di Torriglia; la Madonna del Melograno o della Provvidenza del XVIII secolo, già pala dell’altare maggiore dell’Albergo dei fanciulli di salita Oregina 37, con cornice argentea firmata; una Comunione di San Luigi, tela di L.Gainotti del 1905; la Visione natalizia di san Gaetano in una tela di A.Bianchini; un Cristo Nordico, da Mannheim, del 1946; una Madonna della Misericordia del 1703 in marmo bianco, una Ausiliatrice di 150 cm, ambedue già presso l’albergo dei Fanciulli; una Ausiliatrice di 170 cm lignea, dello Stuflesser di val Gardena, ed un Sacro Cuore ligneo, provenienti dalla vecchia chiesa di san Gaetano; una Madonna, tela del 1700, dono di Maria Ferrando, conservata negli uffici parrocchiali.
Dopo la ricostruzione, a don Nervi seguirono l’incarico di parroco, i sac. don Baldan Gastone (11/11/1956-67), don Bassano Angelo (1967-75), don DeGrandis Riccardo (1975-87), don d’Alessandro Gianni (1987-99 prevosto, aveva come vice don Bettin Giuseppe, don Carattino Mario, don Galzignato Antonio) don Colaiacomo Giorgio (-1999), don DeGrandis José (fratello dell’indimenticabile predecessore don Riccardo, promosso nel 2004 a nuove cariche ispettoriali. Nel 2002 aveva come viceparroci don Galligani Guido, don Carattino Mario, don DeCrescenzo Roberto, don Lorenzelli Alberto e don Mazzolo Livio). Dal 2004, subentrò ad interim, don Stefano Pastorino, finché nell’ottobre 2006 prese la continuazione delle redini parrocchiali don Piero Borrelli (nato a Fossano nel 1942, sacerdote dal 1970, pastore a Vercelli, Asti).
Dal 1972, i parroci salesiani divennero autonomi, sia giuridicamente che economicamente e religiosamente, non più dipendenti dal direttore dell’istituto.
Nel 2002 la parrocchia gestisce un vasto territorio abitato da 15mila anime. In esso sono comprese le strutture religiose salesiane de l’Oratorio maschile con cinema; Oratorio femminile (suore Figlie di Maria Ausiliatrice); Ispettoria Ligure-Toscana; Istituto (scuola e centro linguistico); Centro di Orientamento scolastico professionale (consultorio psico-medico-pedagogico-sociale); le Figlie di Maria Ausiliatrice; Libreria Elledici.
L’ oratorio, che all’inizio dell’attività salesiana era limitato allo spazio antistante la chiesa, aperto solo nei giorni festivi per tutti i giovani della città, col nome di “san Gaetano”, venne poi trasferito nell’ex proprietà dei march. Durazzo Pallavicini (mentre le fanciulle avevano la casa chiamata “delle figlie di Maria Ausiliatrice”), viene descritto in via san Giovanni Bosco
===civ. 17 antico cimitero distrutto nel 1951 e l’attuale denominazione di Tempietto: In origine era un’area utilizzata a cimitero, chiamato “cimitero
anni 1980 e ... 1992
di san Gaetano”; non si sa quando fu aperto, ma si può presumere che avvenne in corrispondenza delle gravi epidemie, allora dette ‘contagio’, quando per il numero eccessivo non si poté ottemperare all’usanza della sepoltura in chiesa e si addivenne a compromessi pratici (come quell’ enorme ossario ritrovato nelle mura dell’Acquasola). Tra tante, più famose la peste di manzoniana memoria del 1630 che a Genova arrivò in coda, due anni dopo circa; ma altra peggiore del 1656 con –nel nostro borgo- oltre 5mila morti su 6mila abitanti. La zona, essendo a quei tempi in periferia rispetto al paese, si offriva a quell’uso; anche considerato che la chiesa a fianco essendo ad uso privato non era aperta a tutti (se non in certi orari). Comunque –non so quando- il terreno era divenuto di proprietà comunale, e conteneva un numero straordinario di salme, tumulate in campo aperto.
Negli anni attorno al 1800, le leggi napoleoniche imposero l’apertura di cimiteri lontano dall’abitato.
Il 15 maggio 1823 tal Giuseppe Parodi da SestriPon acquistò un “pezzo di terra aderente al cimitero presso la chiesa di san Gaetano, per la somma di £.200, per formarvi, in questo, la prospettiva esterna e l’ingresso a detto Camposanto”.
Dalla relazione del sindaco, fatta all’Intendente Generale nel nov.1831
–si legge che nel 1797 era stato aperto un cimitero (Questo, in prima relazione, viene chiamato essere “alla Cella”. Infatti Tuvo riporta la relazione del sindaco Gnecco, nella quale afferma che «I cimiteri esistenti sono quelli esistenti presso la parrocchia di NS della Cella e san Martino, distante dall’abitato 25m e lungo 28x16; e quello esistente presso la chiesa di s-Bartolomeo di Promontorio. Quest’ultimo camposanto appartiene alla città di Genova ove vi si portano a tumulare parte dei suoi defunti e del quale si serve pure la parrocchia di Promontorio. É sufficiente. Quello della Cella costrutto con bellissima architettura da circa 35 anni (quindi nel 1797 circa, nda), è più che sufficiente ai bisogni di questa popolazione e sebbene non presenti distanze regolamentari dall’abitato, è comodo e bella la disposizione delle sepolture ben mantenute. Eventualmente ha alle spalle del terreno per un suo ampliamento». Poiché la risposta dell’Intendente fu negativa, si ribadisce che detto cimitero ‘della Cella’ in realtà è in san Gaetano “il cimitero predetto non trovasi precisamente alla distanza dall’abitato, prescritta dal manifesto Senatorio, anche se appare come fosse in campagna, quasi all’estremità di questo sobborgo verso tramontana, luogo detto di San Gaetano , sempre ventilato, tenuto con la massima decenza e precisione per cui non s’ebbe mai a sentire in detto luogo la manoma putrida esalazione...il Consiglio comunale delibera all’unanimità che sia conservato il già esistente cimitero...”
Si evince da quanto sopra che dapprima il Comune cercò di non esporsi a nuove spese. Di fatto a dicembre 1832 ridelibera ed approva il progetto che vede ampliato il cimitero in atto (di san Gaetano) –nella relazione si legge “cimitero nella nota villa Parodi”, motivando la scelta –sia per affezione religiosa che la popolazione da gran tempo conserva; sia per il risparmio. E nel 1836, sotto la direzione dello Scaniglia, impresa Francesco Boccardo, viene eseguito collaudo dei lavori fatti di costruzione del nuovo cimitero. Per alcune tombe da rifare o disfare, la fabbriceria chiama in causa il Comune, essendo di sua competenza; questo forse anche in relazione che il Comune il 17 maggio 1837 compra la proprietà di Giuseppe Parodi fu Andrea, –per £.nuove del Piemonte 5490: un terreno, vicino al cimitero, per allargare il precedente: questa area è in san Gaetano, coltivata (vigneto e semina), e viene chiamata ‘villa di san Giovanni Battista’.
Appena insediato nel 1839 il nuovo sindaco Mongiardino Bartolomeo (già due mandati sindaco nel 1833 e 35- succeduto all’avv. Tubino non eleggibile avendo appena svolto doppio mandato) delibera la concessione di spazio per le tombe private dando regole precise al becchino (Dagnino Nicolò) su come fare le fosse, chi seppellire gratis (indigenti, ovvero chi neanche pagava il prete), suo stipendio (£.nuove 80/anno), taglio dell’erba, chiavi, ecc.
Ma alla fine il Municipio del borgo sampierdarenese dovette optare per la zona a monte, dagli Angeli, –vallata detta Castagna-, già utilizzata come posto di sepolture in tempi precedenti, sia di ‘contagi’ che di guerre (tipo quella del 1747) e la adibì allo scopo, cosicché da allora il cimitero di san Gaetano o di via san Martino andò via via dismesso salvo in occasione di ennesime epidemie infettive (come il colera nel 1835, anno in cui fu costruito il tempio in muratura. Remedi scrive che fu progettato nel 1828 dallo Scaniglia stesso), comunque definitivamente dopo il 1878. Però, morto 79enne, il 30 genn.1880, l’arch. Angelo Scaniglia -curatore di molte valenti opere in città e consigliere comunale – si tentò seppellirlo “nella chiesa di san Gaetano dove fu eretto un monumento in sua memoria“. Non potendo essere in chiesa vera e proprio, per le leggi di cui sopra si scrive che fu inumato nel Tempietto, tra i tumuli e le lapidi poste sulle pareti; non si conosce la fine fatta di questa sepoltura, a scapito di una parte di memoria di storia locale.
Negli anni 1891-9 , fu utilizzato come giardino, delimitandolo con una cancellata in ferro (con un costo di intervento pari a 27mila lire).
La giunta comunale, nel 1900 valutò l’idea di sfruttare questa area per costruzioni; ma i conteggi di bonifica del terreno dichiararono l’operazione in perdita. Così tale idea restò inattuata, finché il 22 sett.1904 in municipio davanti al notaio Luigi Perroni e due testimoni (geom Mario Gancia ed Antonio Mongiardino rispettivamente segretario ed impiegato comunale), il sindaco N.Ronco ed il tesoriere comunale sig. Eugenio Montano fu Nicolò, (abitanti in San Pier d’Arena , ed a nome della Giunta) vendette a don Bussi Luigi parroco di san Gaetano ed agente in nome dell’Ospizio di san Vincenzo, ed altri 5 sacerdoti tutti rappresentanti l’Opera torinese e di fatto i veri acquirenti che Miscio descrive essersi divisi la proprietà col metodo detto “tontina” basato sul passaggio diretto ai superstiti man mano che uno di essi morirà, fino all’ultimo che fu nel 1935 don Stefano Trione il terreno di 3026 mq. (+altri 42 mq già affittati all’istituto), la chiesa (o cimitero coperto, di 1059 mq) ed il piazzale antistante (195 mq). I sacerdoti si impegnarono a pagare 65mila lire + spese notarili , ed a conservare l’insieme -comprese alcune tombe di proprietà privata- , con buona manutenzione e solo poche modifiche codificate nel trattato di vendita (come il tetto da rifare; i muri invariabili, salvo aprire qualche finestra ed una comunicazione diretta con la chiesa; cambiare posizione dell’altare. La manutenzione delle tombe rimane ai parenti possessori). In contemporanea cedettero al Comune una fetta di terreno necessaria per allargare fino a m.10 la strada a mezzogiorno (via don G.Bosco) a confine con la proprietà Rebora-Cristofoli , ove il Comune si impegnò di alzare un muro di cinta che rimarrà proprietà dei salesiani; ed un’altra fetta di terreno a nord (via W.Ulanowsky) per aprirvi il vicolo che dovrà collegarsi alla strada comunale prevista ad est (via P.Cristofoli) ; venne eliminato il condotto d’acqua che scorreva sotto vico dei Landi, spostandolo nella nuova strada a sud (in via don G.Bosco) e permettendo la eliminazione del vico stesso che verrà inglobato dall’istituto .
Il marzo dell’anno dopo, i sacerdoti provvidero al solenne trasporto dei morti interrati, nell’ossario comune del cimitero della Castagna, liberando l’area utilizzabile ad altri scopi.
Nel 1932 il Tempietto fu ristrutturato (ditta Stura), con rifacimento del tetto in cemento armato e lievemente più rialzato, in modo da poter aprire delle finestre sui lati. Fu rifatta la scalinata d’accesso usando l’ardesia apuana; rifatta la facciata (espressa come i templi antichi a pronao neoclassico, con sei colonne doriche scanalate avanzate rispetto la facciata da formare un porticato; nel frontone la scritta “teatro il Tempietto” , e sotto -al centro- un festone con lo stemma cittadino -ed ai lati- fregi con maschere, fiaccole e fasti ; la porta rastremata è leggermente ristretta in alto (come si usava nella primitiva arte neoclassica)); fu aperto un accesso interno, e ristrutturato il tutto a vera e propria chiesa: conservate le colonne portanti, decorato il soffitto, creata una ampia cantoria raggiungibile con una scaletta a chiocciola e dalla quale si può accedere ai terrazzi laterali esterni.
Nel Pagano/33 è ancora presente, classificato di 3.a categoria, aperto al pubblico nei giorni festivi .
Nell’incursione aerea del 30 ott.1943,il tetto rimase danneggiato; alla distruzione della chiesa parrocchiale, appena fu rifatto il tetto il tempietto supplì le funzioni di sede parrocchiale.
Nel 1955, la Cappella detta dei morti o del suffragio, che per tanto tempo negli anni precedenti aveva funzionato come chiesa parrocchiale, subì una ‘messa a punto’ dalla ditta dell’ing. Pietro Stura. Alla fine fu dotata di un altare in marmo, e fu dedicata a san Domenico Savio. Don A.Miscio confessa, senza dire i nomi (“li abbiamo negli occhi questi salesiani e ci piacerebbe dirne il nome, se non fosse che ci vergogniamo un poco anche noi di dire cose che sarebbe bello tacere, e più bello sarebbe se non fossero capitate”), che negli anni subito posteriori al 1960 “la furia notturna e profanatrice di alcuni salesiani, che con azione vandalica…con ben organizzata premeditazione una certa notte si sono dedicati a spezzare steli, diroccare monumenti funebri, profanare tombe erette in onore anche di personalità defunte nel secolo precedente”. Il fatto, in spregio a quanto promesso; sempre a scritto del Miscio- il sindaco N.Ronco in seduta straordinaria aveva relazionato il Consiglio su perché l’area fosse stata ceduta ai salesiani, a quale prezzo ed a quali condizioni; e dopo un breve dibattito in aula comunale “dà (sic) conferma che tutte le garanzie per il rispetto delle tombe e dell’ufficiatura sono state prese e verranno rispettate…”. Personalmente ricordo vagamente le varie lapidi e statue più o meno in rilievo diffuse sulle pareti; lo scopo di questa devastazione fu -presumibile- per dare veloce agibilità al teatro come programmato, un rapido ‘fai da te’ alla Tex Willer senza così dover provvedere al lungo iter burocratico di salvaguardia che impone la segnalazione a chi è predisposto allo scopo (vedi Miscio,vol.I pg.257).
Presente già negli anni 1966 - il “Club don Bosco”
frontespizio tessera del Club
Nel 1982 vi nacque il ‘Centro Cultura don Bosco’. Iniziando con un pianoforte a coda e mostre d’arte sacra, essendo destinato a teatro scomparvero tutte le lapidi funerarie laterali, si costituì ufficialmente il Centro (1983) con atto notarile (n.Ansaldo); si costruì l’attuale palcoscenico (1984) utilizzando del zetto di scarto sotto la consulenxa del m° Augusto Colombara; si migliorò l’acustica per i suoni (di musica folkloristica e classica, collegandosi con il conservatorio Paganini); nello stesso anno si istituì con atto notarile il premio ‘Rosetta Mazzi’ dedicato a genovesi conosciuti nel mondo (il primo di essi, fu asegnato ad Elisabetta Pozzi); si utilizzarono dei colombai vuoti del vecchio cimitero per aprire dei camerini e servizi; si rifecero (1985) tendaggi, impianto elettrico, poltrone (ricuperate dal cinema Palazzo) e riscaldamento, il tutto a norma di legge; con l’aiuto di alcuni commercianti vicini, di volontari, del coro Amici della Montagna e della Squadra Sollevamento Pesi, sulla restaurata facciata si scrisse ‘teatro il Tempietto’ ristrutturando anche la scala d’accesso in ardesia.
Vennero presentati corsi di medicina preventiva per scuole medie e superiori; incontri di politica e di informazione religiosa (centinaia di docenti di licei nei vari anni si sono espressi in confronti con la popolazione ed in convegni ), concerti, prosa dialettale e filodrammatica.
Nei fondi, sotto il pavimento attuale, nato si dice con le lastre tombali rovesciate ed utilizzando il retro, ancora esistono loculi e tombe di privati (e quindi non alienabili), tra cui anche statue di pregio. Nel 1989 furono riconosciuti gli ammodernamenti come eseguiti nel 1987-88; aveva 280 posti in sola platea; con palcoscenico di 95 mq., alto 1,1m., senza buca del suggeritore; grosso sipario di m.9x4,5; tre camerini; consolle per cabina regia; attrezzato a portare scene; poltroncine in legno imbottite; pavbimentato in marmo; riscaldato da termosifoni; impianto acustico stereo da 50w con diffusori.
Nel 2001 sono state rappresentati ben 20 spettacoli di commedie in dialetto, una in lingua madre, una di musica dialettale ed una di musica operettistica-romanze. Alla presentazione della stagione teatrale, viene assegnato il premio Claudia Grassi, nato nel 1997 per la migliore attrice in dialetto. Nel 2004 il teatro –responsabile artistico Arnaldo Rossi- ha puntato sul ‘dialettale’ con 19 commedie di altrettante compagnie.
=== a fianco nord del Tempietto, si fa accesso al Cinema, ex teatrino dell’oratorio femminile (dove furono ufficiate le messe subito dopo la distruzione della chiesa e prima che fossero poi trasferite nel Tempietto). Restaurato a sala cinematografica e dedicata a don Bosco, fu sede del Cineforum (anni’60, con proiezione e dibattito) e che poi dal 1987 dopo ammodernamento di rivestimento con panno ignifugo e mattonelle di gomma, divenne gestita dal “club amici del cinema” con programmi ben precisi e di qualità, utili per la sopravvivenza (in un periodo in cui quasi tutti i locali simili, chiudono per carenza di spettatori). Nel 1989 fu classificato “parrocchiale” per la gestione esercente; con 267 posti a sedere –dei quali 219 in platea, il resto in galleria-; senza palcoscenico; poltroncine imbottite; impianto acustico Dolby-stereo; riscaldamento a radiatore; tre proiettori dei quali due a 35mm ed uno a 16mm.
===civ.19 nel 1963 divenne civ.54 di via Ulanowsky ed il numero appare trasferito all’ingresso delle suore, figlie di Maria Ausiliatrice
Il 25 ott.1881, a cinque suore residenti a Nizza Monferrato, fu ordinato di arrivare a San Pier d’Arena per iniziare una attività a servizio dell’Ospizio san Vincenzo de Paoli diretto dai PP. Salesiani (era papa Leone XIII, re Umberto I , ed arcivescovo mons. Salvatore Magnasco): così suor Mazzarello Petronilla (divenuta direttrice e poi proclamata beata nel dic.1938) assieme a Cossi Ambrosina, Masuero Carolina, Stardero Maria e Bologna Filomena (poi altre, fino a 12 suore e varie novizie), si stabilirono in un locale attiguo al convento (una topaia, scherzosamente chiamata “il Vaticano”) in cui rimasero sino alla demolizione nel 1925 quando fu eretta (12 giu.1927) una nuova residenza (dall’impresa Stura). Lo scopo era di curare la biancheria (dei sacerdoti e dei ragazzi), cucina per tutti , e punto di riferimento per le suore prossime ai viaggi missionari, nonché la gestione pratica della chiesa .
Nel 1884 si assunsero anche l’incarico dell’oratorio femminile, chiamato centro giovanile Maria Ausiliatrice, e del vicino teatrino: iniziando con poche bambine, nel 1904 contavano già 880 bambine .
Nel genn.1909 ospitarono per vari mesi, un centinaio di donne e bambini profughi dalle zone terremotate di Messina (28 dic.1908); nel 1919 furono riconosciute dalla Croce Rossa Italiana meritevoli di un premio di Medaglia d’argento di 1° grado al merito civile.
Dopo la guerra, aprirono sede ad un asilo e scuola materna.
Via W.Ulanowski
Questo isolato inizia con all’angolo il civ. 129r. I palazzi nacquero su edifici industriali portanti la stessa numerazione, demoliti e sul cui sedime furono pressoché subito riassegnati ad edifici eretti con indirizzo abitativo rispettivamente il 29 nov ed il 15 mar.1960. Essi aprono i loro due portoni ===civv. 21e 23, sono nella lunga galleria che inizia dopo il civ.79 e contiene numerose attività commerciali con altrettanti civici rossi; è sempre di competenza di via C.Rolando, ricca di ambiti commerciali, e che finisce -lato a mare- con l’ufficio delle poste italiane.
Nel civ.21 all’interno 14 ha sede la locale “UNITRE” ovvero l’Università delle tre età, facente parte della Associazione nazionale università della terza età con sede a Torino; la notra sezione nacque il 28 novembre 1987 seguendo lo statuto associativo per cui basata sul volontariato senza fini di lucro e la cui finalità è espressa art. 3 dello statuto, nel cui comma a) recita: educare, formare ed informare, fare prevenzione, promuovere la ricerca, aprirsi al sociale, operare un confronto e una sintesi tra le culture delle precedenti generazioni e quella attuale al fine di realizzare una ‘accademia di umanità’ che evidenzi l’essere oltre il sapere.
Quindi ‘organizzazione non lucrativa di utilità sociale (Onlus)’, che svolge i corsi in circa 15 sedi locali, utilizzando circa 115 insegnanti per oltre 100 corsi (alcuni a vari livelli) intellettuali e pratici.
===il civ. 119 è al lato monte della galleria, ed affianca, successivamente la sede della banca san Giorgio.
===125r l’erboristeria Mancini.
===civ. 25 è unico portone per due scale che, senza ascensore, portano ad appartamenti di uso popolare.
===civ. 137r finisce l’isolato, un negozio di pescivendolo
via V.Armirotti
Questo isolato comprende vari negozi che vanno dal civ. 139r al 151r
Via Currò. In prosecuzione di v. BAgnese; la metà strada separa la UU24 – Campasso, dalla UU25-san Gaetano.
foto 1919
processione foto 2008
===civ. 153-155r è d’angolo il bar-pasticceria Arnoldi. Negli anni subito dopo la 2ª guerra mondiale, la gestione era della famiglia Graglia che, a sua volta- l’aveva rilevata dal “Caffè e liquoreria Gina Rossi”. Ad essi succedettero negli anni ’70 i fratelli Arnoldi che, molto onorevolemente hanno portato avanti l’esercizio sino al 2006 quando da essi fu ceduto all’attuale___
===civv. 27-33: lungo caseggiato popolare, progettato dall’ing.Adriano Cuneo a scopo sociale, approvato nell’ott.1907, che dietro una sola facciata ha quattro distinti nuclei abitativi accomunati dalle decorazioni di gusto liberty (motivi floreali, i poggioli in ferro battuto, il grande motivo centrale a fiore). L’ultimo, civ.33, è del 1910 circa.
===civ. 183r finisce l’isolato
via C.Bazzi
L’ultimo isolato, inizia con il 185r
===civ. 35: attualmente è l’ultimo palazzo della strada.
Fu costruito negli ultimi anni del 1800, con i servizi igienici aperti in cucina, come era uso in quei tempi. Nel maggio 1908, ancora in via A.Saffi, era il civ. 85; in questi anni e fino ancora sino all’ultimo conflitto mondiale, era soprannominato ‘il palazzo dei poveri’ o la nomea di ‘casa di sgrûzzi’; perché in tutto il secondo piano i gestori (Calderara Roberto e la consorte Rosina, che occupavano per loro due stanze all’int. 6 -che ora è il 7-) affittavano stanze a pochissimo prezzo, e quindi a venditori ambulanti o mendicanti, e sul portone troneggiava un’insegna in latta segnalando “alloggio, piano 2°” ; quando i due cedettero l’attività, venne proseguita solo nell’appartamento 6; anche questa venne a cessare nel 1934 quando l’appartamento fu venduto ad Andrea Vernazza, proprietario del negozio di scarpe sottostante -e poi trasferito nei locali di fronte al portone- chiamato da tutti ‘Dria o caègâ’; in seguito, circa nel 1948, acquistando anche il sottostante appartamento –oggi interno 3-, si congiunse a questo tramite una botola e scala interna per far utilizzare l’appartamento del primo piano –ora uno studio medico- ad uso del figlio Alberto laureatosi in biologia per la gestione –anni 1970- del ‘Laboratorio di Analisi chimiche-cliniche Bios’ diretto dal prof. Arcuri).
Il 30 ott.1943 una bomba aveva distrutto - da tetto a strada - tutto l’angolo a mare; quando nel 1948 avvenne la ricostruzione, alla cessione dell’abitabilità (11 magg.1950) causa modifiche agli appartamenti, tutti i numeri interni furono sovvertiti e spostati di un numero in più.
===civ 37: prima della guerra, ultimo palazzo della via era questo civico: risulta parzialmente demolito nel 1951. Palazzo detto dei “tre santi”, per la presenza sulla facciata – presso l’architrave del portico - di tre medaglioni con effigie –ai lati- della Vergine orante e di sGiovanni; al centro, un mezzobusto di un santo sconosciuto sovrastato da una aquila ad ali spiegate; i tre medaglioni si suppongono di provenienza dall’antica chiesa retrostante. L’intero edificio venne distrutto da una bomba e ricostruito dall’ago. 1950 ma modificato per allargare vico Cicala (via A.Caveri): fu eretto più stretto - ma in compenso più profondo - con facciata e portone aperti nella nuova strada via A.Caveri (civ.1). Nel momento della ricostruzione, pare che nel porre le nuove fondamenta, furono trovate tracce di un cimitero (ossa umane) e un muro -non chiarito allora- se dell’oratorio di san Martino o della vecchia omonima abbazia (v.vico Cicala); il tutto rapidamente coperto per non rallentare i lavori iniziati.
La strada finisce con il 205r, macelleria, posta all’angolo con
via A.Caveri.
DEDICATA all’operaio dell’ UITE (Unione Italiana Tranway Elettrici, attuale AMT), nato a Strevi di Al. (vicino ad Acqui) il 19 genn.1879, battezzato col nome di Carlo Zaccaria. Fin da giovane, cresciuto a San Pier d’Arena in via delle Grazie dove la madre aveva un negozietto di stireria, era convinto socialista e si assunse l’onere di mantenere attiva la propaganda antifascista anche quando in età matura -1943- si era trasferito d’abitazione a Campomorone. Col settembre di quell’anno, divenne parte determinante nei movimenti partigiani, partecipando alla fondazione del CLN di Campomorone (a cui fu iscritto il 1 gennaio 1944, in rappresentanza del PSI).
La sera del 7 ago.1944, a seguito dell’uccisione di due militi delle brigate nere (detti republichini: erano Guido Rispoli ed Adalberto Bellotti, in giro d’ispezione nella Valle Verde) che a Campomorone avevano chiesto ad un passante i documenti di identità ricevendo in cambio alcune mortali pistolettate, il Rolando fu prelevato assieme ad altri cinque cittadini sospetti ma innocenti del fatto (Felicita Noli (staffetta partigiana-vedi); il farmacista del paese Antonio Gavino (filantropo fondatore della P.A. Croce Verde); Mario Manzoni (attivista del PCI, operaio nell’Ansaldo); Benedetto Cambiaso (falegname); Carlo Pestalozza (ex ufficiale di marina, impiegato presso la ditta Sanguineti, arrestato per caso ed unico a salvarsi in modo fortunoso)).
Dopo sommario interrogatorio tra insulti e minacce, nella mattina dell’8, furono fucilati (la data di morte sulla targa, è quindi errata) senza un regolare processo e quindi per pura rappresaglia.
Ad essi andrebbe aggiunto Aldo Gaggero, impiegato bancario e sfollato a Campomorone, che venne ucciso con un colpo alla nuca nella piazza del paese poche ore prima della fucilazione, avendo espresso un giudizio sprezzante (credo abbia detto “due di meno”) sui due militi fascisti uccisi la sera prima.
Sotto stretta sorveglianza della Guardia Repubblicana, il 10 agosto il parroco don Guido Corsi potè celebrare una messa di suffragio delle vittime, prima che fossero inumate nel cimitero locale.
Era un periodo di imboscate ed offensive (che la Suprema corte della Cassazione nel 8/2007 ha ribadito essere “legittimi atti di guerra”), con conseguenti rappresaglie a base di fucilazioni di innocenti e violenze; frequenti le parallele contro rappresaglie; il tutto in una spirale perversa di insanabile odio reciproco.
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