SPINOLA via Spinola di san Pietro
TARGHE: via – Spinola di san Pietro.
da MVinzoni, 1757. La villa del Signor Duca Spinola –aperta sulla via Centrale (via LDottesio)- è al centro di un vasto appezzamento a monte, ed una più stretta striscia -a valle- sino al mare.
N° IMMATRICOLAZIONE: 2791 CATEGORIA: 2
da Pagano 1961
CODICE INFORMATICO DELLA STRADA - n°: 59605
UNITÀ URBANISTICA: 28 – s.BARTOLOMEO
da Google Earth, 2007
CAP: 16149
PARROCCHIA: s.Maria della Cella (sic)
STRUTTURA: da via L.Dottesio doppio senso viario ma senza sbocco perché chiusa a nord da una ampia scalinata che consente solo il passaggio pedonale in via A.Cantore.
Strada comunale carrabile; lunga 92,6 m.; larga 7,20, più due marciapiedi di 1,1 m. cadauno.
STORIA della strada: La antica proprietà Spinola è rilevabile dalla carta del Vinzoni: come una grossa striscia, verticale al mare, divisa in due porzioni perché tagliata a metà –trasversalmente- dalla strada principale (oggi via LDottesio).
Essa iniziava in alto presso le falde di Promontorio e scendeva fino al mare, con la villa in posizione centrale, su un rialzo poco sopra la strada. Si presume che i giardini si proiettavano verso l’alto, lasciando il terreno a mare coltivato a orto, frutteto, vigneto, ecc.
Sopra la strada, a ponente, la proprietà confinava con quella altrettanto vasta dello sconosciuto ‘Prencipe di Francavici’- imparentato con gli Spinola; mentre a levante c’è quella parimenti vasta del mag.co Nicolò Pallavicino (la cui villa è stata abbattuta lasciando solo il muro di facciata in via LDottesio-vedi).
Sotto la strada, la proprietà è più stretta. A ponente, una stradina - aperta dalla strada principale al mare e che il Vinzoni chiama “strasetta Stretta” - la divide dalla vasta proprietà della “mag.ca famiglia Grimaldi” (anch’essa estesa dalla strada al mare; con villa sulla strada a levante rispetto la Fortezza; e con tre case sulla palizzata a mare, di proprietà non facilmente leggibili per deterioramento della carta: quella a levante della famiglia Grimaldi, quella centrale del sig. Nicolò xxx, quella a ponente d’angolo con la crosa Larga del xxx del fu M.co xxx Imperiale). A levante confina con altro terreno appartenente a (illeggibili sulla carta vinzoniana) “Giacomo fam.? Sr Tenente Martelli”.
Strada attuale. Il primo nome datole ufficialmente nelle prime decadi del 1900 fu di “via R.E.S.” in riferimento all’impresa edile che - acquistati i terreni della villa e proprietà vicine - effettuò lo scempio paesaggistico locale (non c’è però la scheda alla Toponomastica).
Nel 1924, regnando Vittorio Emanuele III, gli fu dedicata la scuola; la via divenne così “via regio Istituto Tecnico”, a cui si accedeva solo dalla strada a mare che ancora si chiamava via DeMarini (oggi, via Dottesio); solo più tardi nacque - nel retro della villa - la grande strada (che dapprima ebbe il nome di via G.Carducci , poi ‘via A.Cantore’), collegata con una scalinata, stando un discreto dislivello che ovviamente quando c’era il giardino, non esisteva.
Presumo sia in questi anni che fu colta la necessità di usufruire del retro-villa come ingresso principale per la scuola, essendo già stato invaso il vero piazzale d’ingresso dalla bassa e gretta costruzione ora adibita ad asilo.
Nel 1945, tolto il ‘regio’, divenne “via Istituto Tecnico”, con un solo numero civico, quello della villa.
L’attuale titolazione della strada, fu deliberata dalla Giunta comunale nel 1997, ma fu posta in atto nel 1999 senza alcuna informazione alla cittadinanza, cambiando la precedente senza una significativa e conosciuta motivazione; anche se dal punto di vista nostro, è meglio così.
Scuola: Nel 1924 (16 ottobre) venne istituito con regio decreto l’apertura nella villa dell’insegnamento, effettuando lezioni alle 8 classi dei corsi inferiore e superiore, chiamandolo “regio Istituto Tecnico”, e dedicandolo a Vittorio Emanuele III; l’aver aperto un istituto superiore di cultura ed indirizzo professionale, fu considerato nell’ anno 1925 il massimo di una antica aspirazione culturale cittadina; nel 1927 aveva 14 insegnanti, 137 alunni maschi e 35 femmine.
Dopo l’ultima guerra, ed ancora nel 1961, con l’avvento della Repubblica, fu tolto il ‘regio’ e intestato semplicemente “Istituto Tecnico” per la permanenza dell’istutito scolastico commerciale, però dedicato a G.C.Abba.
Non so quando divenne “Istituto magistrale «P.Gobetti»”, unico nel ponente genovese, per la maturità magistrale ovvero formazione di insegnanti maestri, educatori dei giovani - dalla scuola materna alla superiore -. Dotato di diverse succursali (largo Gozzano, 5; e dopo restauro via Spataro, 34), raggiunse quasi i 2000 iscritti.
In esso, in parallelo, sorsero tre indirizzi diversi: nel 1980 circa la ‘scuola pubblica Magistrale’, gestita dalla Provincia e destinata alla formazione in tre anni degli insegnanti di scuola materna (questa raggiunse l‘iscrizione di oltre 800 allievi); e dopo anche i ‘Corsi sperimentali’ della durata di sei anni, ad indirizzo linguistico mirato ad iniziare il rinnovamento scolastico molto sentito in quegli anni.
CIVICI
2007= neri = solo 1
rossi = 3r (manca 1r) e da 2r→18r
Nel 1961, numero nero= 1 Istituto Tecnico «G.C.Abba». Numeri rossi= 2r-Termoindustria Ital. (termometri) e Lerma W (costr.edili); 3r-Cimadoro (autorimessa ); 6r-Mazzucco G.(gross.birra); 10r -Negro M. (sacchi usati); 16r-Benasso F&L (sacchi juta).
===civ. 1: La villa Spinola fu costruita a monte della strada centrale, sopra un rialzo del terreno (ancora nel 1922 DeLandolina scrive: «è sito sopra una dolce altura sulla via DeMarini»), nella seconda metà del cinquecento (XVI secolo). Riguardo al periodo di erezione non è valido, se è vero che ospitò CarloV (ma molto probabilmente è una notizia falsa). Riguardo la zona che aveva attorno valgono le parole dell’Alizeri “quanto importi il mostrarsi allo sguardo del passeggero, e il campeggiar tutto quanto sulla campagna che le verdeggia ai due fianchi e alle spalle”.
NOTA STORICA DEI TEMPI sono anni, quelli della seconda metà del 1500, della adesione politica di Genova alla Spagna, con diretta fornitura a prestito di soldi, navi e milizie, tali da consentire alla Spagna di divenire la prima potenza a dimensione mondiale; di conseguenza feconde possibilità di commerci, appalti, ricchezza e gloria (il famoso detto: l’oro nasce in America, vive a Siviglia, viene sepolto a Genova). Un terzo delle potenti famiglie genovesi vive lungo tempo a corte spagnola; dodici di esse, tra cui Spinola, Doria, Cattaneo, Gentile, Lercari, Centurione, Piccamiglio vi vivono perennemente; nell’arco di pochi anni diverranno centinaia, coinvolgendo i DeMarini, Imperiale, Doria, Pinelli, Squarciafico, Pallavicino, Sauli, e tanti altri). In un clima ambiguo, perché ufficialmente si doveva dare l’impressione di voler soprattutto mantenere la neutralità, soprattutto con la Francia diretta rivale.
LA FAMIGLIA: (vedi sotto, a ‘DEDICATA A’; erano comunque Spinola di s.Luca, il nostro ramo diventato dei duchi di s.Pietro in Galatina).
LA VILLA Non si conosce la data di costruzione, né il committente, né il nome dell’architetto (fu attribuita all’Alessi, ma la stima delle date lo esclude).
Fu una delle prime, più o meno contemporanea con villa Imperiale-Scassi: si risale quindi ad un periodo para-alessiano, riscontrandovi elementi architettonici tipici dello stile primitivo locale (le logge ad ambedue gli angoli del piano nobile, e la torre) mescolati ai nuovi indirizzi dettati dall’Alessi per le ville dell’aristocrazia genovese a cui si era dedicato.
Si giudica che l’influenza delle idee alessiane erano già presenti in area genovese (superficie quadrate, tetto spiovente a 4 lati a pagoda, la cura della facciata posteriore che si apriva sui giardini ma altrettanto importante; e lo svolgere dello scalone); ma le prime vennero erette ancora innestandosi e mescolandosi con la consuetudine dell’antica villa come concepita a Genova fin dall’epoca medievale (in particolare la posizione delle logge, messe agli angoli del piano nobile con tre arcate sulla facciata principale e meno su quelle laterali).
Tanti elementi convergono nella figura -molto presumibile quindi- dell’ architetto Bernardino Cantone, allievo e collaboratore dell’Alessi in Genova, lo stesso descritto presente nel palazzo degli Spinola di Genova in via Roma (Prefettura) e notato presente nel nostro borgo da documenti mai prima messi in relazione a questa villa: alcuni che vendono 200 moggi di calce di Sestri per un “Io Baptiste in rure Sancti Petri Arene”; ed altri firmati da un capofabbrica Cantone che ordinano al carrettiere Giacomo Porcile il trasporto di vario materiale necessario a costruire.
(BERNARDINO CANTONE = maestro antelami, nato a Cabio (oggi Canobbio) in val di Muggio in provincia di Como. Arrivato a Genova nel 1531, divenne – in virtù delle sue qualità delle sue conoscenze artistiche lombarde, allora all’avanguardia - ‘architetto di Camera’ della Repubblica e fu tra i più ricercati architetti del Cinquecento; ebbe incarichi nella basilica di Carignano e nell’apertura di Strada Nuova e di alcuni palazzi su quella strada)
Si interpreta che la villa nacque nel centro di vari edifici preesistenti, sparsi nella proprietà (che l’attuale ricercatore Lercari Andrea, stima sia stata allora di Lercari GB, ex doge genovese), dei quali edifici ne conosciamo due più importanti a monte (infatti nel 1757 – carta del Vinzoni – due sono le altre ville presenti nel territorio di proprietà, date in affitto (una era affittata ma con la clausola dell’immediato rilascio in caso di richiesta del proprietario, a un Bartolomeo Imperiale fu GB con contratto per tre anni a 300£ annue), e una terza, con torre (nel 1757 affidata al ’duca di Molfetta’ che poi sempre Spinola era)).
Il costruttore si era preoccupato di approvvigionarla di acquedotto (ricavato dal torrente di san Bartolomeo, che scorreva a levante della proprietà: dopo aver ottenuto il consenso dell’abate dell’abbazia e dei Padri del Comune); e circondandola di orti e giardino che arrivavano al mare tramite una crosa (‘crozium’ nel testo) centrale, privata, detta ‘della Catena’ (vedi sotto a ‘giardino’ ed a “crosa della Catena” nell’indice delle strade sampierdarenesi).
Una visita del nunzio apostolico mons. Bossio nel 1582 la fa capire completata, perché scarsi sono i suggerimenti che propone per la cappella interna.
Rubens la inserì nei tre palazzi sampierdarenesi, da lui descritti assieme a quelli genovesi. Risulta essere il palazzo “C”.
Rubens - PalazzoC prospetto (cornici finestre taglio da ponente
mezzanino appena schizzati) a levante
Londra Royal Inst. of British Arch.
Foto prima decade del 1900-al centro della metà destra della foto, con torretta, la villa Spinola
I PROPRIETARI DELLA VILLA
A) ===Si sa che nel 1569 Pietro Carlone, importatore e rivenditore di marmo, fornì ottanta colonne a un ‘Daniele Spinola, ‘per il suo palazzo in San Pier d’Arena da adibire a villeggiatura, e al godimento dei propri beni e della natura’ – definizione che iniziò ad entrare in uso in quei tempi.
Ma: N.Bene== gli Spinola avevano in SPdArena numerose ville: evidentemente quella di Daniele non è questa e la notizia l’ho scritta qui non sapendo a quale villa riferirla; sul Battilana (pag.132) esiste un Daniele (q.Giacomo e Battina Negroni q.Carozio), Spinola di Luccoli vissuto nel 1458; che in seconde nozze sposò Maddalena Imperiale q.Andrea e che in totale ebbe 11 figli tra cui Gironima (vissuta nel 1514 ed andata sposa ad Antonio Spinola q. Spinetta). Ma non combacia con la Gironima sotto scritta, per via del padre.
B) ===Boccardo scrive che una Geronima Spinola di Cristoforo vendette la villa e quindi ovviamente tutta la proprietà, a GioBatta. Il quale risulterebbe così il primo della famiglia che ufficialmente viene riconosciuto proprietario (forse solo perché meglio conosciuto ed accertato). (vedi a GB, l’acquisto di una casa nel 1615)
Nel Battilana, come scritto sopra, ci sono Spinola di s.Luca e di Luccoli (ovviamente non di s.Pietro che è un titolo non di casato ma acquisito): ci sono tante Geronime ma nessuna figlia di Cristoforo, e viceversa.
Lercari&Santamaria a pag. 163 – testamento di GB, confermano questa vendita: “una casa e villa in Sampierdarena nella quale sta inclusa la strada che va verso il mare, fatta con riserva di poterla chiudere a beneplacito dei suoi heredi, così havendo consentito li Signori Padri del Comune”. Ma non spiegano se essa è la nostra villa o un altro edificio. Anche se hanno scritto ciò dopo aver citato che GB ‘sottoponeva il valore degli ampliamenti e migliorie apportati agli immobili di Sampierdarena’ e dopo aver fatto cenno a: ”...alcune case acquistate...” (sottinteso,“in più”?), si interpreta che detta villa fu un acquisto diverso, posizionato su una strada che poteva divenire ‘privata’ ma ricadendo in una delle tante ville Spinola nel nostro borgo.
C)===D’Oria scrive che la villa ospitò CarloV (nato nel febb.1500 e morto nel sett.1558) quando venne a Genova diretto a Bologna nel 1530 per cingere la corona di re d’Italia dalle mani di Clemente VII, contemporaneamente ai titoli di imperatore di Alemagna e di Carlo I di Spagna. Quindi in quegli anni la villa avrebbe dovuto essere completata; ma poiché si scrive che fu accolto con magnificenza da Andrea Doria, in realtà è molto presumibile che fu ospitato per 17 giorni a palazzo Ducale. Sicuramente, quando dopo 4 anni fece ritorno a Genova via terra per tornare in Spagna, fu ospitato dallo stesso Doria a Fassolo nella villa del Principe, ove poi fu riaccolto in altri 4 successivi soggiorni.
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D)===Più attinente, la ricerca degli storici Andrea Lercari e Roberto Santamaria.
Essi giudicano che a commissionare la costruzione dell’edificio fu G.Battista Lercari, che la concepì come ‘domus magna’ nei confronti di numerosi altri più piccoli edifici che aveva in proprietà, sparsi nel borgo; casa che completò nel 1582; e che poi lasciò nel 1593 in eredità (secondo questa interpretazione, gli Spinola subentrarono dopo, per nozze e per eredità).
In quell’anno, alla sua morte (20sett.1593), la villa era arredata di mobili preziosi ma non ancora dipinta sui soffitti e pareti.
GB Lercari, era fin da giovane un intraprendente ed abile ambasciatore e uomo d’affari mercantili; diventato doge della Repubblica nel biennio 1563-65.- Oltre a diverse vicissitudini dovette affrontare la morte del figlio GiovanniStefano, condannato alla pena capitale per aver ucciso una persona sbagliata nell’idea di vendicare l’onore del padre offeso, essendo stato accusato di ‘abuso’ durante il dogato. Ricchissimo, rimase con un secondo figlio maschio che però gli premorì; aveva una figlia, sposata ma senza prole maschile; rimaneva un’altra figlia, Pellina, la quale era stata data in sposa a uno Spinola e che unica aveva generato dei maschi. Così, un anno prima della morte stese un testamento lasciandole tutti i suoi beni (finanziari ed immobiliari) sulla base di un ben preciso e dettagliato ‘fidecommesso’ (diritto successorio, nato nel diritto romano, conservato con commisione di diritti levantino e germanico restato, riebbe slancio e vigore dal ‘500 sino all’epoca illuministica del 1800, quando fu abrogato in quanto limitativo della libertà individuale; e quindi da allora vietato per legge. Con esso il testatore si assicurava varie garanzie imponendo una o più regole: la principale era trasmissione e tutela dei propri beni (specie i depositi finanziari e gli immobili) passati solo ed integralmente ai vari successori primogeniti (maggiorascato); favorire una linea familiare duratura nel tempo (il nome Lercari); comprendere il divieto di suddivisione e di vendita per assicurarne l’integrità; ecc.). Solo un ricorso alle più alte autorità (Senato) poteva concedere modifiche a tale forma di testamento, il quale però autorizzava variazioni se, per esempio, l’importo finale era maggiore dell’iniziale (per esempio GioMaria partendo da un valore dell’eredità Lercari di 270mila lire (via Orefici+SPdArena) spostò il fidecommesso nel palazzo dell’Acquasola perché con esso era divenuto di 375mila).
Questi vincoli, condizionarono e determinarono i successivi passaggi delle proprietà (solo quelle già appartenenti al Lercari GB), fino al 1784, quando alla morte senza eredi (8 gennaio) di Giuseppe Spinola (VI e definito ultimo duca maschio di San Pietro - in quanto il titolo passò a delle femmine, prima a Isabella Spinola poi da ella ai milanesi GallaratiScotti)- i beni vennero trasmessi ad Agostino Spinola di Tassarolo, malgrado il ricorso fatto al Senato ed alla Sacra Rota da altri pretendenti.
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Linea gialla=successione dei duchi di san Pietro:
Scritto rosso=successione dei proprietari della villa:
Linea grigia=altri beni degli Spinola a San Pier d’Arena:
LercariGB |(D) |Pellina→Aurelia+ErcoleGrimaldi→Onorato + M.CaterinaBrignole←←←┐
↓ |
Pellina+↓ . | ↑ GioMaria →|GBattista|→G.Maria (G)→→┐ |→→→ MTeresa+GallaratiS ↑
Spinola | (F) | ↓ | ↑ ↑
(E) | |→GFilippo→FrancescoMaria|→GFilippo|→Fr.Maria(M)→Isabella→→ ┘
| (H) (I ) (L) | ↓ ↓
| |→GGiuseppe (N) ↓
| ↓ ← ... ... ? ← ↓
|-Violante+Massimiliano Spinola di Tassarolo→...Agostino → !GBMontano
|Domenico Galleano
TRASMISSIONE DEL TITOLO DI DUCA, E DELL’EREDITA’ LERCARI (presupponendo una ‘maggiore età’ a 18 anni; ma non per tutti fu valido questo limite; quindi lo schema è solo indicativo):
I duca= GB nato 1575 – maggiorennne 1593 – erede a 18 anni nel 1593 → per 28 anni - +1625
II “ = GioMaria 1602 1620 18 1625 41 1666
III “ = Franc.Mar 1659 1677 29 1666 61 1727
IV “ = GioFilippo 1677 1695 33 1727 26 1753
V “ = Franc.Mar 1712 1730 41 1753 1 1754
VI “ = GioGiusep 1714 1732 40 1754 30 1784
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E)===GioMaria Spinola del ramo di san Luca (figlio di Luca, e di Violatina Spinola qGB). Contemporaneo di GB Lercari, non ebbe a utilizzare la casa, ma è importante perché ‘iniziatore’ della discendenza degli Spinola che diverranno proprietari della nostra villa e che la useranno alternandola con la casa madre genovese sita in contrada Lercari.
Come d’uso, coinvolto dal padre, ebbe ben presto pesanti responsabilità finanziarie relative ai molteplici interessi internazionali (specie in Spagna e Napoli; nonché 450 ‘luoghi’ nel cartulario del Banco di sGiorghio) e alle rendite terriere del ponente genovese (ne aveva a SdA, a Cornigliano (una villa, stimata del valore di 36mila scudi) e Rivarolo (12mila)); non trascurando la politica (internazionalmente era filoasburgico; localmente era tra i Procuratori della Repubblica). Familiarmente era soprannominato ‘il Bueno’ forse appunto per la villa di Rivarolo detta –non si sa perché- la Buena, che era stata donata alla madre Pellina.
Nel 1571 GioMaria sposò Pellina Lercari (+16.07.1623) figlia (ricchissima ed unica erede di un immenso patrimonio) del su detto GB Lercari (Amanti della poesia e della musica, sulla scia dei comportamenti spagnoli, organizzavano feste ed intrattenimenti per diletto e riposo.
Pellina alla morte del marito, pur avendo avuto restituita la dote con i palazzi in Genova (nonché botteghe, terreni) continuò a vivere in questa villa assieme al figlio; infatti sopravvisse di molti anni al marito e l’inventario dei beni di questa villa fu redatto il 6 sett.1623: in esso, una presenza di abiti estivi ed invernali dimostrano la sua consueta permanenza in tutte le stagioni in SPdArena.
Donò in eredità al figlio GioLuca (oltre ori, perle, argenti, arnesi e mobili) anche la ‘casetta con villa posta sopra la villa della casa grande’. Malgrado di origine e di abitazione a SPdArena, numerose sono le donazioni a chiese ed enti vicini (s.Giacomo di Cornigliano su tutti) ma nessuna conosciuta a quelle locali. Fu sepolta in s.Giacomo.
Ebbero 6 figli (Maddalena sposata a Giulio Spinola dei signori d’Arquata, scelto quale fidecommissario; GBattista primogenito maschio vedi sotto; GioDomenico (cardinale↓ vedi a ‘dedicata); GioLuca (vedi ↓a “Dedicata a”); GioAgostino (vedi↓ a ‘dedicata’); Violante sposata a Massimiliano Spinola conte di Tassarolo (vedi sotto)).
Con tale matrimonio, il suo primogenito entrò in possesso dei beni del suocero, quando nel 1593 il Lercari andò a morire; ciò in base al su detto fidecommesso allegato all’eredità della moglie Pellina, che vincolava i beni (quindi anche la villa).
Il Soprani, scrive che ‘la villa era dimora del signor Gio:Maria Spinola’; non precisando se questo o suo nipote omonimo; ma si presume che, come il figlio entrò in possesso dell’eredità e con essa anche la villa, di essa ne usufruì tutta la famiglia e quindi anche il nostro Gio Maria.
Il quale, prima della morte stese un testamento stilato ‘in una camera della sua villa di SPdArena’ (non specificata quale) ove aveva ‘solita habitatione’ e dove poi morì (non sappiamo se come campagna, prima ancora delle nozze con Pellina, possedesse un’altra villa abitata nel borgo, come si potrebbe supporre dalla descrizione d’infanzia del figlio GB (vedi sotto)): nel testamento, oltre raccomandarsi al figlio GBattista di onorare la madre, alla quale essere ‘ubidientissimo’, e i fratelli; oltre specificare il luogo di sepoltura e le vesti da usare allo scopo (abiti da frate domenicano ed a disporre di una villa a Rivarolo da lasciare alla moglie; e vari lasciti a chiese locali, lasciava i restanti beni a tutti gli altri figli che potevano entrarne in possesso al compimento dell’età di 25 anni –con qualche eccezione- (ma non a lui perché già ricchissimo di quanto ricevuto col testamento del nonno materno GB Lercari), alla servitù, ai parenti, ai collaboratori (amministratori, maestri dei figli) e non ultimi ai mendicanti.
Morì l’11 settembre 1601, sepolto per sua volontà a Cornigliano nella chiesa di s.Giacomo, nella cappella di s.Anna.
F)=== Giovanni Battista Spinola, – 1575-1625 – figlio di GioMaria e Pellina Lercari. Fu il loro primogenito maschio dei 6 figli, vissuto a cavallo del secolo. Nei vari testi, è chiamato Giambattista o Gio Battista o Gio.Batta o semplicemente G.B. e soprannominato Baccione (Bacchionus).
Divenne anche marchese di Torrione nel Monferrato e principe di Molfetta nel regno di Napoli.
Era quindi in origine uno Spinola di san Luca, ed ufficialmente risiedeva in via Orefici 7 nel palazzo dei nonni. E quando veniva a SPd’Arena abitava in altra casa sempre del borgo, a mare e che si comperò poi nel 1615 (di essa vengono forniti solo questi dati: edificio stimato di £.12mila; di m.15x21 con terreno di m. 162x45; ubicato con a sud la via pubblica ed il litorale, a oriente la villa del mag.co Leonardo Cattaneo, a occidente la via pubblica ossia una pubblica crozia (crosa) a nord la via pubblica). Potrebbe essere la casa della Geronima descritta ↑ a B)===.
possibile e ipotetica collocazione della su detta casa nella carta vinzoniana di 150 anni dopo: nell’area rossa, ancora in possesso ad uno Spinola (Giorgio).
Al di là di via Daste (a sinistra) c’è la villa Doria Pavese; in blu l’area Crosa con intermezzo vico Stretto s.Antonio; in verde a mare villa Cambiaso exPretura.
1601- Si sposò ventunenne, con Maria Spinola orfana del marchese Filippo fu Ambrogio del ramo san Luca); sorella di Ambrogio Spinola il conquistatore delle Fiandre; tutti ricchissimi; (di lei, ↓foto sotto) con la quale ebbe ben quindici figli (in successione, Pellina (vedi ↓ a ‘Dedicata’); Polissena; Veronica (↓vedi a Dedicata); GioMaria (primogenito maschio e II duca di sPietro ↓ descritto sotto); Angela; GioFederico (morto nel 1605, all’età di un anno); GioGironimo (morto nel 1606 all’età di 4 mesi); MariaCamilla; GioFilippo il quale non godrà dell’eredità del nonno Lercari né essendo cadetto usufruirà del titolo di duca di s.Pietro; molto apprezzato in città ma anche alle corti di Parigi, Vienna, Madrid e Londra. Dalla sua sposa Veronica Spinola ebbe il titolo di principe di Molfetta ed una discendenza maschile in Francesco Maria il quale –quando maggiorenne nel 1695- diverrà contemporaneamente III duca di san Pietro in Galatina ed erede Lercari; con la madre prese possesso del palazzo di via Roma e della quadreria; GioCarlo; GioStefano (morto all’età di 18 mesi); GioAmbrogio (morto a Napoli 41enne senza prole); GioPietro (nato a san Pietro in Galantina nel lug.1616 e morto 59enne senza prole); Violante; GioDomenico (morto 40enne senza prole).
–NB= quelli sottolineati furono avviati alla vita religiosa).
Fu Maria, dieci anni dopo la morte del marito che diede incarico nel 1635 a Bartolomeo Bianco di edificare la sala nella quale poi furono affrescate da Giovanni Carlone le imprese del fratello Ambrogio; e morì nella villa sampierdarenese il 16 agosto 1642 quattro giorni dopo aver stilato il testamento.
Essendo primo figlio maschio, in virtù delle disposizioni del nonno materno GB Lercari, ebbe adito alla immensa fortuna dei Lercari: la quale - se lo escluse dall’eredità paterna (volutamente lasciata ai fratelli e sorelle, perché immensa quella che GB aveva ottenuto dal nonno materno) e materna (a parte i 6000 scudi per affrescare le sale) - in cambio gli diede la possibilità di acquistare anche il sottodescritto feudo; restaurare i palazzi – sia quello avito in via Orefici e sia quello di SPdArena; comperare l’altra casa nel nostro borgo, alla marina.- e di essere ricchissimo lo stesso (nel frattempo riceveva anche lauti affitti dalle case del borgo)
1605 – secondo fidecommesso entrò in possesso dell’eredità del nonno materno GB Lercari solo al compimento dei trent’anni di età, ovvero ben tredici anni dopo la morte di questi (1592).
1614 – intensi e proficui sono in questi anni gli investimenti nei domini asburgici (Milano) e nel regno di Napoli (Puglia, per commercio di grano e olio): parte degli investimenti usati per acquistare feudi lasciati ad amministrare a parenti genovesi installati stabilmente in quelle terre) in Spagna e Roma.
Nel 1616 per primo diede origine al ‘ramo dei san Pietro’ (I duca di s. Pietro (titolo confermato dalla corte spagnola nel 1621)) appunto comperando – a 41 anni e per 92mila ducati - il feudo di san Pietro in Galatina, nel Salentino provincia di Otranto del vicereame di Napoli, compreso la terra di Soleto, (già signoria degli Orsini→Nicolò Sanseverino →1608 Federico III cede il feudo al marchese GioVincenzo Carafa→1613 vende a march. Ettore Braida (insolvente)→1615 comprato da GBSpinola) e i casali di Borgagne, Pasulo e san Salvatore. nella provincia di Lecce
Accompagnato dalla moglie, vi quale fece trionfale ingresso in quell’anno (lasciando a Genova il genero Luca a curare, per due anni, gli interessi locali). E qui, a luglio del 1616 stesso, nacque Gio.Pietro.
Lo scopo dell’acquisto non era tanto per la rendita o per l’amministrazione di quelle terre, ma per il valore onorifico di un titolo napoletano e quindi molto legato a quelli spagnoli.
Nel 1621 comperò dai Gonzaga per 10mila scudi, il marchesato di Torrione nel Monferrato (non utilizzato quale residenza e poco fruttuoso sul piano economico, per le continue diatribe con i Savoia confinanti).
---negli ultimi anni di vita, abitò la casa di Genova (vedi subito sotto) e come luogo di vacanza la nostra villa a SPdArena, che iniziò a decorare nel 1622.
Marito e moglie erano amanti della musica, della poesia e del teatro; delle arti in genere; seguendo la moda proveniente da Madrid, frequenti erano i balli ed inviti al fine di rendere meno uggiosa la vita di campagna.
---1623 - usufruendo anche di una ulteriore eredità materna di 6mila scudi d’oro, poté commissionare la decorazione ad Andrea Ansaldo (sia per compiacere la madre e sia a memoria del ramo importante di parte materna; rappresentando le varie vittorie, ma non ancora quella di Breda che avvenne in contemporanea nello stesso anno 1625 a soffitto finito), e ponendo a memoria del fatto una forma di firma (dove però è scritto solo ‘Battista’: esiste infatti una iscrizione attorno all’arco della porta, lato interno ovviamente, con: «Io. Baptista Spinola dux Sancti / Petri ornavit Anno Domini MDCXXV».
---1624 ---acquisterà dall’indebitato Andrea Doria jr (4 giu. 1624; tramite un procuratore: Giorgio Sanguineti; per l’esorbitante cifra di 65mila scudi d’argento; molto al di sopra del valore; ma forse anche con l’appoggio del cognato Ambrogio che aveva voluto in sua gioventù un altro palazzo di Strada Nuova (oggi Tursi) ma che non gli era stato concesso affidandolo ai Doria) il palazzo oggi posto in via Roma-piazza Corvetto, allora detto dell’Acquasola, oggi ‘della Prefettura’ che diverrà luogo di dimora o ‘casa’ ufficiale e principale della famiglia, laddove era conservata una discreta (oltre 50) quadreria (tra la quale, si presume solo, opere di Tiziano e fiamminghi)
---Nella nostra ‘villa di campagna’, finì la decorazione nel 1624 e concluse nel 1625 anche la ristrutturazione dell’edificio interno (come parzialmente accennato nel suo testamento: murate le logge a mare; a monte aggiunti due avancorpi laterali porticati; apertura di nuove finestre; pittura della facciata a mare decorata (a piano terra e piano nobile, tra le varie finestre, con quattro grandi figure in altrettante nicchie (visibili in una foto del 1910, sotto riprodotta). Tale opera è stata documentata dal Rubens (1607- Palazzo C) e poi anche dal Gauthier (XIX secolo).
Discorda il Ratti quando attribuisce ad un Gio:Paolo Spinola la proprietà del maestoso palazzo e la descrizione delle imprese di ‘Federico Spinola nelle Fiandre’ (in realtà, Federico era solo il fratello di Ambrogio).
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M.Meljin-.nozze di GBSpinola con Maria GB Spinola fa ingresso a San Pietro- Amsterdam Rijksmuseum
---1625 - morì appena cinquantenne, a Madrid il 13 dicembre, durante una missione in Spagna per conto della Repubblica (era in corso la guerra di Zuccarello combattuta contro il duca di Savoia; e lui era stato mandato a Madrid per rinsaldare l’appoggio in caso di bisogno: partito a metà ottobre, dopo un viaggio navale disastroso, arrivò nella capitale il 25 novembre già febbricitante e debilitato, e da allora sempre peggiorando giorno dopo giorno fino al 13 successivo).
---alla sua morte fu richiesto un inventario generale ed un primo controllo dell’uso del fidecommesso; fu fatto due anni dopo: abiti, tessuti preziosi, argenti e gioielli, dipinti
---in tale bellezza, si poté continuare ad ospitare in questa villa illustri personaggi di passaggio a Genova a dimostrazione della disponibilità della Repubblica nei loro confronti anche se la villa mancava di un titolare; tra essi: nel 1626 il cardinale Francesco Barberini (legato pontificio, accompagnato dal cardinale Sacchetti; diretto a Roma dalla Spagna); marzo 1630 il cardinale Dietristan con larghissimo seguito (oltre 70 cavalli).
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G)===Gio Maria 13.sett.1602 - 09.apr.1666. Primogenito figlio di GBattista, era stato battezzato nella villa sampierdarenese il 17 sett. successivo,
Ascritto al patriziato all’età di 22 anni, divenne quasi contemporaneamente maggiorenne, II duca di san Pietro, erede Lercari e marchese del Torrione nel 1625, alla morte del padre.
Nel 1616 aveva ricevuto anticipatamente in dono dal padre il feudo di Soleto (dopo che GB l’aveva fatto staccare da san Pietro) col fine di fargli avere un titolo onorifico napoletano-spagnolo.
Nel 1629 sposò Paola Maria Saluzzo (di GioFilippo proprietario di villa Paradiso in Albaro ed esponente della nobiltà nuova e di Emilia Chiavari; unicogenita, aveva portato in dote 80mila scudi d’argento) e con lei andò a vivere nella casa nel palazzo dell’Acquasola (oggi Prefettura). Ebbero però solo una figlia, Maria, di fragile costituzione e che morirà in Genova giovinetta.
Nel 1646 entrò a far parte dell’élite politica locale venendo eletto nei seggi del Senato (e di nuovo, altre due volte).
Nel 1647 vendette il marchesato di Torrione (le continue diatribe col Piemonte, rendevano nulle le entrate da questo possedimento).
Nel 1663 gli atti notarili lo rilevano affittare per quattro anni la ‘domus magnæ’ sampierdarenese con i suoi orti verso il mare. Ma scrivono Lercari&Santamaria che “liberò dal fedecommesso Lercari la domus magna da Sampierdarena sottoponendogli un altro palazzo acquistato in Genova”, incrementando i suoi valori da 270mila a 357mila. Ma subito dopo, usò la villa di Sampierdarena per togliere il fedecommesso di altri edifici, così aumentando i valori di essi da 195mila a 210mila lire.
Anche per lui, dopo 41 anni di titolo, alla sua morte a 62 anni nell’aprile 1666 (sepolto al Boschetto con la figlia), fu stilato un elenco dei beni dai quali si rileva che incrementò quelli avuti in eredità dal padre.
Però, avendo solo una figlia, interruppe il ramo e lasciò l’eredità del titolo al nipote Francesco Maria, figlio (minorenne ed orfano) del fratello minore GioFilippo) ____________________________________________________________
H)===Gio. Filippo, quartogenito figlio maschio di GB.
Nato il 7 sett. 1610, visse sino al 4 ott. 1660; abitò pure lui da giovane nella villa finché non raggiunse l’età di rendersi autonomo, ma non ne divenne proprietario, non essendo un primogenito (e quindi non potendo usufruire dei beni del Lercari; ma lo diverrà suo figlio, il duca Francesco Maria).
Descritto quale persona sensibile all’arte, si scrive che anche lui finché vi abitò provvide a far migliorare gli interni, lasciando che continuassero le loro opere sia Andrea Ansaldo (che affrescò le memorabili imprese del grande avo materno Ambrogio) che Giovanni Carlone (che affrescò le imprese di Megollo, avo materno di GB).
Descrivono Lercari&Santamaria che dal padre GB ereditò parte dei beni Spinola; sufficienti a metterlo in posizione sociale di alto lignaggio. Infatti
↑ GCarlone: Maria Spinola, affresco ↓ Rubens: Veronica Spinola
nel palazzo di SPdArena ritratto
sposò nel nov. 1650 la nipote Veronica Spinola di Luca del ramo di San Luca (+14.2.1688) e della sorella Pellina, che gli portò in dote il feudo di Molfetta (già appartenuto a Ferrante Gonzaga duca di Guastalla, pagato da Luca 170mila ducati) facendolo divenire principe, e padre (1659) di due Francesco Maria (il primo morto - all’età di due mesi nel 1655; il secondo: nato 1659).
Dapprima Gio.Filippo andò a vivere vicino a piazza Banchi, ma poi trasferì la famiglia in affitto in via Balbi (l’attuale Palazzo reale, già di Gio.Agostino Balbi, dopo dei Durazzo-Pallavicino e Cattaneo-Adorno).
Quale ‘campagna’ invece scelse restare nel borgo di San Pier d’Arena andando in una villa vicina al ponte di Cornigliano, la cui proprietà scendeva sino al mare – dove fece erigere un muro di contenimento del quale si conserva la nota della spesa ed il nome del capomastro; e confinava con quella dei Sauli.
Ebbe incarichi diplomatici a Milano (1643) e Napoli (1649) divenendo conosciuto dalle alte personalità straniere come da Salvatore Castiglione (questi quando comunicò a Carlo II Gonzaga della morte di GiovanniFilippo scrisse che ciò aveva ‘affatto privata questa città di chi si dilettava a poteva spendere in pitture di questa qualità’) ed il cardinale Mazarino (quest’ultimo che si rallegrò per scritto della nascita del figlio).
Importante mecenate (artisti, musici) e sensibile collezionista: di strumenti, di argenti, (in memoria del padre, ordinò i famosi argenti a Matthias Meljin – vedili sopra, conservati al Rijksmuseum di Amsterdam - nei quali alcune figure sono molto somiglianti a quelle dipinte dal Carlone nel fregio del salone), di sculture e paramenti, di ben 65 dipinti e miniature (tra essi il 1 settembre 1660 furono inventariati dal notaio Monleone 1 VanDick, 3 di Veronese, 1 Tiziano, 9 del Grechetto, 3 del Rubens, molti di altri maestri veneti.
Di una tela del Veronese, la ‘cena in casa di Simone’, allora conservata a Verona nel refettorio del convento benedettino dei santi Nazario e Celso si ha notizie scritte dell’interesse all’acquisto per una cifra enorme pari a 21 kg. di oro; l’impegno con i frati era di sostituirla con una copia fatta a Genova da David Corte causa la proibizione di far uscire opere d’arte dalla Repubblica di Venezia; ma quando tutto era pronto, non si fece il cambio forse perché scoperti, ma la tela originale venne lo stesso a Genova, andando in successione al figlio Francesco Maria, e nel 1735 al nipote nato nel 1686 e suo omonimo Gio.Filippo, che la cedette ai Durazzo che a loro volta la vendettero col palazzo a Carlo Felice, che la fece trasferire a Torino).
Come già scritto, morì il 4 ott. 1660.
I)===Francesco Maria.
Nacque il 25 febb.1659 battezzato secondo la moda spagnola con tanti nomi: Francesco Maria Xaverio Domenico Giovanni Battista.
Pochi mesi dopo la sua nascita il padre venne a morire così che il bambino andò a vivere – con la madre - in casa dello zio GioMaria. Comunque ebbe una educazione particolarmente attenta, seguito da persone qualificate e d’autorità; ricevette i beni del nonno materno secondo fidecommesso all’età di sette anni (l’8 ott. 1666) mentre divenne maggiorenne nel 1677 per poter ereditare il titolo di III duca di s.Pietro (quindi, presumo che dal 1666 al 1677 il titolo rimase in attesa della maggiore età di FrancescoMaria)
Sposò a Vienna in prime nozze, il 19 novembre 1675 Isabella Spinola Colonna (figlia di Paolo, marchese de Los Balbases, nipote di Ambrogio Spinola e di Anna Colonna, ambasciatore di Spagna a Vienna); la quale morirà il 4 ott. 1700 per complicazioni post partum alla nascita dell’ultimogenito Paolo. Dalle nozze erano nati ben 10 figli, dei quali tre morti in tenera età ed una 29enne; due indirizzati a vita religiosa; primogenito sarà don Gio. Filippo ↓– 1677-1753 – con la clausola che non abbandonasse l’Italia prima di aver compiuto 25 anni, salvo alienazione dell’eredità stessa.
Di carattere deciso ed un po’ dispotico, capace e intraprendente ma anche autoritario e arrogante al punto che non tutti lo amavano e non mancavano le invidie e le lettere anonime al Senato denuncianti sue iniziative e usi capricciosi della consorte (eccessive spese in abiti e, quando usciva in bussola, aveva degli staffieri che le aprivano strada con irruenza) ai limiti delle leggi della creanza o addirittura Repubblica (e quindi relativi indagini e inviti a ‘rientrare nei ranghi’).
Invece, molto stretti e intrecciati di reciproci interessi erano i rapporti con la nobiltà spagnola essendosi posto al servizio sia diplomatico che militare della corona spagnola (aveva anche un incarico militare di guidare di un esercito di 500 uomini nel ducato di Milano, alla cui paga si presume doveva provvedere personalmente) e la sua fama arrivava molto lontano (contatti con Roma, Parigi, Madrid (ove era nel 1682) e Vienna) al punto che quando il re spagnolo passò per Genova, scelse soggiornare qui e non in città:
L’11 novembre 1702 ospitò – con non poca rabbia dei Serenissimi, per invidia - a San Pier d’Arena - il ventenne re di Spagna Filippo V - proveniente da Milano; capo della dinastia dei Borboni (1683-1746).
Nel 1701 era scoppiata la guerra di successione per il trono di Spagna tra le case dei Borboni (Francia, Napoli) e degli Asburgo (Austria); Genova prudentemente si teneva equidistante, prediligendo i primi. Filippo, acclamato a Napoli, dovette combattere in Lombardia per far valere il privilegio di divenire ‘sua maestà cattolica’. Sopraggiunto l’inverno, si mosse da Milano (5 nov.1702), e -via Pavia- a Pieve del Cairo, Alessandria, Novi (9 nov.), Voltaggio, Bocchetta, Campomorone (palazzo del march. Balbi), San Pier d’Arena ove giunse alle 22,30 alloggiando nel palazzo Spinola. Preceduto di 2 giorni dal Duca di Mantova (con cavalieri e 30 ‘carabinieri’) ed accompagnato dal principe di Vaudemont (con le sue truppe), scesero (tutti spesati di tutto) -sotto il diluviare della pioggia e percorrendo una strada assai dissestata malgrado le riparazioni approntate dal Capitano della Polcevera - a San Pier d’Arena - per imbarcarsi verso la Spagna.
Così il territorio genovese fu attraversato dal corteo reale proveniente dal nord.
Il Magistrato di Guerra (allora l’ecc.mo Francesco M.Imperiale) ordinò al ‘sargente maggiore generale’ (ovvero il capo delle truppe della Repubblica) di non andare incontro a S.M. e rimanere in città. Si mossero invece sino al confine della Repubblica poco oltre Novi, i Commissari Forieri (Domenico Doria ed Agostino DeMari, con 8 soldati corsi, “per guardia degli argenti”) e sei Ambasciatori (GioAgostino Centurione, Clemente Doria, FrancescoMaria Balbi, FrancescoMaria Serra, Giacomo Viale, GioGiacomo Imperiale, scortati da un reggimento – comandato dal sergente maggiore di battaglia, Michelangelo Gentile - e 40 servi in livrea vergata d’argento, cavalli e carrozze). Furono poi seguiti dal doge Federico DeFranchi (doge nel periodo 1701-3) e tutti i Senatori, che ricevettero il re al confine del territorio genovese - in magnificenza, vestiti per l’occasione in abito con roboni di velluto anziché il solito di damasco - offrendo un ricco dono ed accompagnandolo fino a San Pier d’Arena.
Qui, probabilmente seguendo la strada della Marina. arrivarono all’altezza del palazzo che raggiunsero camminando dalla spiaggia ad esso su un largo tavolato coperto di un drappo rosso, con ringhiere e – su piedistalli – oltre 40 statue in legno da parere di marmo.
Nel palazzo l’aspettavano il doge Federico De Franchi ed il Collegio della Repubblica, arrivato chi in lettiga chi in carrozza chi via mare; entrarono tutti nell’ampio palazzo mentre dalle mura partivano salve di cannone; il re fu accompagnato alla sua stanza mentre il corteo si era fermato in quella precedente e - lentamente – se ne era tornato indietro sciogliendosi solo dopo aver reso onore alle guardie e soldati messi in fila con bandiere e picche d’onore.
Al seguito, numerose le personalità tutte ospitate nel borgo: tra essi l’ emin.mo cardinale D’Estré (futuro ambasciatore); i rappresentanti del Consiglio di Stato: il conte di Marsin (ambasciatore di Francia), il principe di Vademon (governatore di Milano), il duca di Medina Sidonia (maggiordomo maggiore), il conte di SantoStefano (cavallerizzo maggiore); non ultimi il duca di Osona (gentiluomo della Camera di esercizio), il duca di Candya, il marchese de los Balbases (comandante generale della guardia), il conte di Calmenaro, don Garzia de Gusman (governatore della ‘cavallerizza’), il conte d’Ora (capitano della compagnia de’ Carabinieri), marchese de Rivas (segretario del dispaccio universale), don GioAntonio Albizzo (ambasciatore di Torino).
A Genova, poi gli fecero visitare la città e sostarono in preghiera anche presso le sacre ceneri di san Giovanni Battista, dopo la messa celebrata dall’arciv. GB Spinola (il re camminando a destra del doge, rifiutò il baldacchino e più volte appellò il doge ‘altezza’ anziché ‘serenissimo’: significativo di maggiore valore rivolto al governatore della città). Durante il soggiorno, unico avvenimento fuori protocollo fu un incendio del caminetto in casa Doria provocato da ufficiali di scorta al re e descritto alla villa di via Daste.
Dopo breve soggiorno, rottosi un sontuoso pontile preparatogli per l’imbarco presumibilmente alla Coscia, fu accompagnato al Passo Nuovo dove si imbarcò nella feluca del magn.co Giuseppe Doria salutato da salve di artiglieria. Scortato sino a Vado da 5 galee della Repubblica, il sovrano ritornò in Spagna con la sua flotta di 12 galee (metà francesi, metà del duca di Tursi).
---Poco dopo il soggiorno del re spagnolo, e sicuramente dietro suo invito, FrancescoMaria si trasferì a Madrid, dove si risposò il 5 genn. 1704 con la nobile vedova Marguerite Thérese Colbert accettando divenire il precettore del giovane futuro re CarloIII.
Morì ad Aranjuez, nel palazzo reale, il 15 magg. 1727.
_ Nel suo testamento, redatto in latino, e scritto a vantaggio di GioFilippo descrive lasciare « palazzi, siti in San Pier d’Arena con piazzale davanti, una con cappella e luogo di riposo alla fine di detto cortile, nel luogo ove è detto ‘crosa delle catene’, alla quale corrisponde: a sud la via pubblica mediante detta piazzetta; a nord, prato e una casa di minore importanza; dal lato occidentale verso infrascriptum boschetto detto della Mortella, e lo stesso mediante la crosa, dall’altro lato ad occidente verso l’infrascribendus beudus giardino alberato detto del Busso e lo stesso mediante il podere dell’eccell.mo marchese Iacopo Imperiale abitante nella città di Napoli, con stalla e piccola abitazione per un colono sotto di lui, ma non altra dimora separata da suddetto boschetto detto del Busso.
Parimenti un prato con villa alle spalle di detto Palazzo con una peschiera posta all’inizio di ambedue le ville, con cisterna per ambedue posta sopra detta villa posti nel boschetto al presente in possesso del signor GiuseppeMaria Alberti ovvero console della nazione Gallia e diritto di trarre da fossato detto di San Bartolomeo mediante un proprio acquedotto ed utilizzo del possesso di detto palazzo, erroneamente detto podere, seminabile, con vigne ed alberi con - come di dice normalmente -spalliere murate di limoni, aranci i quali limitano il prato e la villa sul lato superiore detto boschetto in possesso al suddetto signor Alberti, inferiore detto Palazzo e due boschetti chiamai della Mortella e del Busso, rispettivamente uno dal lato della detta crosa e dall’altro lato in parte al possessore del detto palazzo, e in parte il detto marchese Imperiale.
Parimenti lo stesso boschetto detto del Busso a cui corrispondono dalla parte superiore detto prato e detta cascina, da quella inferiore la via pubblica, da un lato di detto Palazzo, mediante un vuoto con casetta e boschetto predetti, e dall’altro lato il sig. marchese Imperiale.
Parimenti un boschetto chiamato della Mortella, limitato al di sopra da detto prato e della casa colonica; inferiormente dalla via pubblica, da un lato il detto Palazzo e quella parte dove esiste l’abitazione del colono e, dall’altro lato la detta crosa.
Parimenti un boschetto posto vicino di detto prato e di detta villa chiamato il Besaguto, limitato da detto parto e della casa colonica del su detto marchese Imperiale.
Parimenti, una villa detta il Bosco seminabile, con vigne frutta e olive limitata superiormente dai beni del sig. mag.co Giovanni Antonio Assereto, inferiormente dall’ infrascriptus beudus e boschetto detto il Grande, da un lato il fossato detto di san Bartolomeo e dall’altro lato da detto prato e detta casa colonica.
Parimenti un pezzo di terra chiamato il Giardinetto Besaguto, seminabile, con vigne limitato superiormente da detta casa detta il Bosco, inferiormente da scc.mo sig. Ambrogio Di Negro da un alto il fossato di san Bartolomeo e dall’altro lato il casolare detto Giardino grande.
Parimenti un orto chiamato l’ Orto da basso, con due casette alla sua fine e due puzzolenti – uno naturalmente in principio ed uno nel mezzo di detto orto, al cui limite c’è superiormente la pubblica via, inferiormente il letto del mare, da un lato la crosa detta della Catena, e dall’altro lato una piccola crosa e la stessa che separa in parte la mag.ca famiglia Grimaldi ed in parte il sig. Tomaso Pittaluga.
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L)===Gio Filippo, primogenito di Francesco Maria, nacque a Ratisbona il 27 apr. 1677 (ove il padre era per andato per concludere un trattato di pace dopo una guerra locale durata sei anni e vinta dal re di Francia Luigi XIV).
Alla morte del padre FrancescoMaria nel 1727, per dieci anni circa il titolo di duca fu provvisoriamente affidato a Paolo, non sappiamo perché, nato ultimogenito. Così GioFilippo divenne il IV duca di s.Pietro solo nel 1738 all’età di sessantuno anni e per obbligo testamentario dovette trasferire il domicilio da Milano a Genova.
Sposò la contessina Maria Torquata Contreres Guzman y Toledo (figlia di don Giuseppe, conte d’Alcudia); con essa ebbe 7 figli (tutti nati ‘in pericolo di vita’ e quindi inizialmente battezzati in casa; dei quali solo cinque nati a Genova: 2 divennero religiosi, 1 morì in tenera età. Primogenito e quindi V duca fu Francesco Maria (secondogenito e, non avendo il fratello prole maschile, sarà VI duca, GioGiuseppe; la sorella MariaTeresa si sposerà con il milanese GB Gallarati Scotti il cui nipote Carlo riceverà i titoli di casa Spinola).
Divenne ‘Grande di Spagna’, titolo che nelle cerimonie a corte aveva molto peso; la famiglia era spesso sottoposta a lunghi viaggi (di affari e di interessi); a Milano (ove risedette molto a lungo, testimoniato dall’acquisto di un palco alla Scala), Voghera (dove lei anche partorì), Novi ma anche Madrid.
Alla morte del padre (1727) ereditò la villa, + quelle nei terreni soprastanti e date in affitto ed altri appezzamenti di terreno nei pressi della valletta di san Bartolomeo. Durante la sua vita, nel nostro borgo comperò - in più - altre terre con casa; due già appartenute al cardinale DeMarini, delle quali una con giardino, ma inabitabile perché ‘con palazzo imperfetto’); altra sulla spiaggia (con 14 appartamenti e 4 magazzini); altra vicino a quest’ultima ma più piccola (4 appartamenti con fondo);
Morì a Milano il 10 febb. 1753 a 76 anni.
.↓. Si ha la grossa impressione che i prossimi “duca di s.Pietro” non siano più abitanti a Genova e quindi non abbiano usufruito delle loro ville che rimasero chiuse e vuote. Infatti dopo la morte del titolare su descritto, nel fare l’inventario degli oggetti contenuti nella villa, tutto era ‘coperto di polvere perché disabitata’. Ciò comporterà la rottura della stabilità della famiglia a Genova e conseguente dispersione dei beni
Comunque la nostra villa sampierdarenese, dopo il 1727 rimarrà di proprietà Spinola ancora per una cinquantina d’anni; finché gli ultimi di essi, Spinola di Tassarolo, non venderanno tutto (il ramo risale dalla figlia di GioMaria: Violante (1586-1616) che aveva sposato nel 1603 Massimiliano Spinola della linea di Luccoli (come secondogenito non aveva diritto al patrimonio feudale e quindi solo di cavaliere; ma con la morte del fratello maggiore senza prole, divenne conte di Tassarolo). Essi ebbero una femmina Cornelia ed un maschio Pietro Marcantonio –nato 1’1 ago 1605 nella casa di SPd’Arena e Filippo nato 1607). Ai loro eredi infatti, pervenne l’eredità del fedecommesso di GB Lercari
Il motivo si potrebbe far risalire – come descritto nelle ricerche di Lercari&Santamaria - all’avvenuta ‘frantumazione’ dell’unità familiare, in questo mezzo secolo, in seguito a rivendicazioni e ‘dissanguanti’, a loro volta dovuti a cause legali fra i parenti.
il castello degli Spinola a Tassarolo, centro dell’oltregiogo-Monferrato ora nel comune di Alessandria
Riportiamo così i nomi degli ultimi due duchi di San Pietro, anche se con molta probabilità come abbiamo appena scritto, non abitarono la villa:
M) Francesco Maria, primogenito di Gio Filippo, nacque a Pamplona il 13 sett. 1712, divenendo per breve tempo (dal 1753, a 41 anni) V duca di s.Pietro ed erede del fidecommisso Lercari
Sposò nel 1735 la cugina AnnaMaria Francesca Spinola di Luca, contessa de Valverde e de Siruela che portò una ingente dote con la clausola di vivere la casa paterna a Madrid. Nacque da essi solo una femmina, Isabella.
Viveva nella capitale spagnola, si scrive ben al di sopra delle –sempre cospicue- possibilità, accumulando debiti e perdendo dei feudi.
Morì a Madrid il 27 mar. 1754
Il titolo nobiliare di VI duca di s.Pietro passò così al secondogenito di GioFilippo, allora 40enne:
N)===Gio Giuseppe Maria nato il 6 mar. 1714.
Il passaggio dei titoli a GioGiuseppe non fu gradito alla vedova del fratello FrancescoMaria, la quale impugnò il passaggio (favorita da differenti legislazioni in merito tra Spagna e Repubblica) aprendo così un clamoroso contenzioso che prevedeva cospicuo risarcimento (visto fallire anche un tentativo di far sposare la figlia Isabella a suo zio GioGiuseppe)
Il 4 sett.1758 sposò la napoletana Maria Francesca Sanseverino; si presume che da allora abbia vissuto nella capitale partenopea e che non abbiano avuto discendenti.
Le dimore genovesi, abbandonate dai titolari, vennero –in parte- date in affitto
Morì – dopo una residenza durata oltre trent’anni a Napoli - l’8 genn.1784
Con Giuseppe, il casato con il titolo di duca di San Pietro, si estinguerà.
Diretto discendente (del titolo di duca ed anche del fidecommesso Lercari), fu Agostino Spinola conte di Tassarolo ↓ vedi sotto; nato 1737), figlio di Violante e Massimiliano: quindi anche della casa sampierdarenese. Si opposero tutti i parenti, sia per il titolo ducale che per il fidecommesso (Isabella duchessa di Frias, la contessa Scotti e monsignor Nicolò) appellandosi alla Rota civile ed al Senato della Repubblica; ma perdettero la causa.
Il titolo di duca (e di principe di Molfetta), in mancanza di primogeniti maschi, verrà trasferito (?) a delle femmine; se così fu, andò a finire prima a Isabella e poi alla famiglia milanese Gallarati Scotti in virtù del matrimonio di MariaTeresa (sorella di GioGiuseppeMaria) con GioBattista di quella famiglia. Da essi nacque Tomaso Anselmo (che ereditò il titolo di (VIII?) duca di s.Pietro (e – alla morte della duchessa di Frias (9 genn. 1801) anche quello di principe di Molfetta).
Mentre la villa, che era ancora in splendore (tanto che Gauthier nel 1832 la incluse nelle 19 da lui scelte da riprodurre) ne tentò il possesso Isabella Spinola divenuta duchessa di Frias, figlia di Francesco Maria e di Marianna Spinola, la quale era andata in sposa al duca di Frias Martin Fernàndez de Velasco – ma il Tribunale le diede torto e decise perché fosse data a Maria Caterina Brignole principessa di Monaco.
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La proprietà andò gradatamente smembrandosi: i beni degli Spinola andarono acquisiti da quattro famiglie non genovesi le quali ebbero parte dell’eredità (titoli, immobili, ecc.) a loro arrivata col matrimonio di femmine degli Spinola:
i conti di Tassarolo degli Spinola di Luccoli; ebbero la villa posta in alto + edifici alla Marina.
i duchi di Frias, che vendettero delle case. Alla sua morte (1801) i titoli andarono ai Gallarati S.
i Grimaldi di Monaco con Maria Caterina Brignole, che ebbe la villa.
i Gallarati Scotti.
NB = nessuna ricerca è stata fatta sulla villa che nella carta sottostante è in giallo (villa DeAndreis?).
1) nella carta Vinzoni ↓del 1757, tutta la parte a levante della crosa della Catena che era a giardino ed orto, appare di proprietà di «Giacomo Reiner(?=non bene leggibile) ora Sr tenente Martelli»; e in quella del Brusco↓ del 1782, degli «eredi del tenente Martelli».
Questa proprietà, a mare e racchiusa tra le case, ha segnato una TORRE.
→
Vinzoni1757-tutto il possedimento 1782-progetto di Giacomo Brusco particolare con 2 torri
2) la villa che era nei terreni a monte della villa grande, detta ‘villetta’ fu venduta dai milanesi Gallarati Scotti.
(Lercari&Santamaria fanno confusione e sbagliano scrivendo che sia quella blu (della quale residua tutt’ora la torre in via GB Botteri e che nella carta del Vinzoni qui sopra, rimane a sinistra tra la parola ‘Signor’ e ‘Principe’ e che è nel terreno intestato al signor principe di Francavici; e che poi diverrà di Piccardo).
Invece, quella intestata ai principi di Molfetta è quella che nella carta del Vinzoni è verde, in alto, sopra la scritta ‘Signor Duca’. I principi erano stati prima Luca Spinola di Gaspare – il quale nel 1615 aveva sposato Pellina Spinola nata 1599 da G.Battista – e alla sua morte nel 1650 il titolo di principe passò al marito della figlia Veronica, lo zio materno GioFilippo (1609-1660).
Tutta questa successione era avvenuta tramite i passaggi: FrancescoMaria (morto 1655)→GioFilippo (1677-1753; IV duca di s.Pietro) →Francesco Maria (1712-1754; V duca di s.Pietro) → Isabella sposata con Martin Fernandez de Velasco duca di Frias.
Da Isabella, che morì nel 1801 senza prole, la proprietà pervenne a sua zia paterna Maria Teresa (nata circa nel 1720) che aveva sposato il milanese GioBattista Gallarati Scotti - i quali la vendettero.
2a) Lercari&Santamaria segnalano un’altra proprietà (villa+casa del manente) venduta dai Tassarolo il 3 nov. 1797, che avevano ricevuto in eredità con un altro fidecommesso quasi contemporaneamente: trattasi della ex proprietà Bartolomeo Spinola q.GioStefano. Aveva come confini la strada san Cristoforo da un lato, la strada pubblica da altro, due proprietà private dagli altri, ambedue di Spinola, una di Cristoforo fu Domenico ed una di Giuliano (nel 1712 la casa del manente era stata affittata ed il contadino prometteva a Bartolomeo o alla cognata Virginia tutti i fichi che sarebbero nati nel terreno e uva).
2b) vincolata da fidecommisso, dalla duchessa di Frias fu venduta il 21 apr.1802 una proprietà, posizionata alla Marina, a Giacomo Morando: per 10.300 lire, tre magazzini e due stanze “posti sotto la casa” della duchessa in fondo alla crosa delle Catene.
3) tra i beni che erano stati bloccati dal fidecommesso Lercari, un edificio (casa con 12 mezzani e 4 magazzini... in fondo alla crosa della Catena...), a fine 1700 era entrati in possesso degli Spinola – linea di Luccoli - conti di Tassarolo. Essi nel 1797 lo vendettero a GB Montano e Domenico Galleano.
Questo ramo era iniziato con le nozze di Violante avvenute il 31 marzo 1601 (poco prima della morte del padre GioMaria avvenuta a settembre dopo) con Massimiliano Spinola conte di Tassarolo. Dal 1600 in poi, questo ramo proseguì con rapporti molto stretti ed interdipendenti (battesimi fedecommissari del lascito Lercari, ecc.) con i nostri Spinola. Poi, negli anni, anche come contabili della distribuzione delle eredità (alla morte di Violante (1616); di GioMaria (1621)); fino a che toccarono a loro i beni dei Lercari (nel 1784 alla morte di Gio.GiuseppeMaria) e vari feudi degli Spinola stessi (Arquata).
4) la villa, definita “domus magna” o “un palazzo con campagna, con vicine adiacenti due case una per il padrone ed una per il colono necessitarono di sentenza della Rota Civile dell’aprile 1796 per essere aggiudicate. Perdette la causa la duchessa di Frias e vinse MARIA CATERINA BRIGNOLE (vedova di OnoratoIII Grimaldi principe di Monaco) la quale tramite un procuratore (Giacomo Antonio Lavezzari q.Giuseppe) fece una accurata stima dei beni ricevuti.
Ma nel 1797 la villa venne occupata dalle TRUPPE FRANCESI le quali la sequestrarono per 5 anni.
Nel 1802, a dicembre, appena sgomberata dalle truppe, MariaCaterina Brignole ricevette la stima del valore da tre pubblici estimatori (Giuseppe SCaniglia, Francesco Montarsolo, Andrea Facio) vendette per £. 22.091 la villa ad ANTONIO DERCHI (che prese anche le terre) ed a GIOVANNI MARIOTTI
(quest’ultimo pare abitasse a Parma ed era spostato con Antonia d’Albertis).
Nel 1840, proprio nel periodo in cui iniziarono le ‘misurazioni territoriali per il passaggio della ferrovia’ e quando da tempo ormai l’appezzamento non era più degli Spinola, appare avvenuta la vendita: la metà a levante della crosa della Catena (che separava in due la proprietà a mare della villa, quella degli orti e giardino) all’avv. Carlo Cambiaso (→poi divenne proprietà della sua vedova Gioannina Geronima Carlotta Pagano e del figlio Gerolamo); e la metà a ponente è stata ereditata dai fratelli Derchi (Giuseppe ed Emanuele, figli di Antonio i quali, nel 1803 comprarono una casetta per 800 lire (prezzo basso, ma era tutta da ristorare, specie il tetto) posta nella piazza davanti al palazzo) e nel 1847 vendettero la loro parte - ed il Mariotti la sua – al marchese NegrottoCambiaso GB, fu Lazzaro che faceva da intermediario per le suore).
Nel 1848 fu occupata dalle DAME DEL SACRO CUORE (controversa la data: così si scrive nelle ‘Ville del genovesato’; P.Novella dice genericamente che cessarono d’esserci; Lamponi a pag..29 sbaglia precisando ‘fino al 1848’; Alizeri a pag.642 conferma che nel 1875 c’erano ancora, ma sbaglia; Remondini a fine 1800 scrive (giustamente) ‘sino dal 1848 in possesso...’), che lo volevano utilizzarono quale convento di clausura con annesso collegio femminile per le figlie di ricchi possidenti. In altre righe la congregazione di suore viene chiamata “Veneranda società del Sacro Cuore di Gesù” e lascia pensare ad una attinenza con i Gesuiti. Nel 1848 in Genova avvennero gravissimi disordini a carico dei Gesuiti, con vandalismi e saccheggio della loro sede in sant’Ambrogio; a colpa di questa Congregazione si attribuirono sia la loro invadenza politica, sia la loro intransigenza; d’altra parte l’astio della compagnia era quasi generale nel popolo repubblicano ed in special modo nei seguaci di Mazzini e nel clero stesso. Temendo e ‘buccinando’ che i disordini coinvolgessero le Dame sampierdarenesi (anch’esse espressione di Congregazione potente sia perché Collegio per giovinette di ricca famiglia e sia perché già gestivano Montmartre a Parigi e Trinità dei Monti a Roma) fu spedito un reggimento a custodirle e proteggerle. Ma nulla successe di male, anche se esse furono invitate ad andarsene; cosa che non fecero. Durante il loro possesso, apportarono sostanziali modifiche necessarie per le loro esigenze ma che deturparono le caratteristiche seicentesche: riempimento dei porticati –degli avancorpi e dello spazio dell’avancorpo stesso a nord-; sopraelevazione di un piano; correzione della torretta.
Ad esse subentrarono le suore del Collegio della Immacolata Concezione, o FIGLIE DELLA CARITA’ di san Vincenzo de Paoli, quelle cappellone presenti anche nell’ospedale, qui come collegio per le giovani meno agiate.
Effettuarono due grandi modifiche, sulla scia di un utilizzo personalizzato alle esigenze momentanee e borghesi, completando la sopraelevazione di un piano ed un ingrandimento della cappella (essa già esisteva sul fianco sinistro del porticato d’ingresso creata dagli Spinola per loro uso privato, con altare marmoreo.
Da un inventario dei beni di Gio.Maria (1666) si presume vi fosse custodito il ritratto di Gio Geronimo Lercari, secondogenito del costruttore della villa ed alla memoria del quale era dedicato questo ‘oratorio’.
Da altro inventario del 1727 si legge vi fosse il quadro della sacra Famiglia con cornice dorata; un crocifisso di legno inargentato, il Vangelo, un campanello di bronzo, una scatola per ostie, tessuti per l’altare.
Dalle suore fu intitolata all’Immacolata Concezione con effigie uguale all’immagine impressa in una medaglia giudicata miracolosa e che le stesse fecero incidere anche sul centro dello stemma degli Spinola che incoronava il sommo della facciata, in memoria della grazia ottenuta da una loro consorella a Parigi il 27 set.1830).
Nel contempo del loro possesso, le Strade Ferrate tagliavano i giardini a mare e permettevano aprire una nuova strada (via Vittorio Emanuele).
L’erezione nei primi del 1900 del palazzotto prospiciente la strada principale via DeMarini (oggi Dottesio), ma anteposto così vicino alla facciata principale, da esserne separato solo dalla terrazza costruita al posto della scala, snaturò la facciata principale posta a sud ed obbligò a spostare l’ingresso principale sul retro, dando alla facciata a nord una priorità, a cui non era adibita.
Questo gruppo religioso, conservò l’uso della villa fino al 1920 ( quando si trasferirono a Coronata).
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Nell’anno 1919 la Soprintendenza alle Belle arti vincolò l’edificio a tutela. Questo atto forse favorì la concretizzazione del progetto reciproco in base al quale, in quell’anno, le suore cedettero la villa al COMUNE di San Pier d’Arena (acquisto per lire 600mila, firmato dal commissario prefettizio dr.cav.Ferdinando Ferretti) che iniziò ad adibirla a scuola adattandola per la sistemazione delle aule con lavori diretti personalmente da inviati del Ministero e diretti dal prof. Giacomazzi Lorenzo e mirati a non nuocere alla grandiosità ed al carattere dell’immobile (caloriferi; gabinetti; illuminazione; arredi e suppellettili: gli stessi mobili, essendo anacronistici quelli “moderni” per la loro fragilità, furono ordinati tavoli massicci, lampadari e torciere in ferro battuto, banchi solidi e comodi, cattedre ed armadi intonati alla severità dell’ambiente; biblioteca; nonché fu previsto il trasloco della scuola professionale femminile “Principessa Jolanda” alloggiata nel palazzo in via provvisoria, e l’eliminazione dopo espropriazione del palazzo antistante in modo da ridonare lo spiazzo d’onore e la doppia scalea di ascesa = ahinoi non eseguita dal comune di Genova che ereditò il progetto, coperto nelle spese dalla cifra necessaria dal Comune e tramite donazioni e partecipazione dei Comuni limitrofi interessati). Il Comune -encomiabile per la salvaguardia del bene immobile, fu drammaticamente scellerato per le decisioni successive ( forse per pagare la quota di acquisto o per “eccesso di fame di case”): lottizzò e cedette tutto il giardino, costruì sul davanti senza alcuna avvedutezza per il rispetto dell’estetica, permise il soffocamento edilizio e l’annullamento dell’ambiente.
Dapprima chiamato regio Istituto Tecnico, nel 1926 –quando era il maggiore istituto culturale ligure- passò nel patrimonio del COMUNE di Genova; divenne poi Istituto magistrale Piero Gobetti, frequentato da quasi 2mila persone tra studenti ed insegnanti in altre tre succursali. Ha ospitato anche la scuola per insegnanti della scuola materna, ed i corsi sperimentali ad indirizzo pedagogico e linguistico.
Nel 1930-5, l’apertura di via G.Carducci – poi via A.Cantore – completò lo scempio esterno.
Rispetto le originali strutture -intendendo per tali l’aspetto descritto dal Rubens nel suo libro, laddove la villa è identificabile con il “palazzo C” - lo stabile fu soggetto a periodiche ma sostanziali modifiche tali da rendere nel trascorrere dei secoli la villa quasi irriconoscibile: soprattutto quelle apportate nel 1625, poi dalle suore ed infine dal Comune (questi, negli anni vicino al 1900 eresse un nuovo edificio scolastico proprio sul terreno del piazzale d’onore, davanti all’ingresso principale, coprendo la facciata a mare con una insensibilità estetica assurda e stupefacente; e costringendo nel futuro -come per la villa Scassi- a considerare il retro come fosse la facciata principale ). Anche il giardino, dal 1850 in poi subì le terrificanti modifiche ambientali: il taglio a mare della ferrovia -con via Vittorio Emanuele affiancata-; ed ottant’anni dopo via G.Carducci (via A.Cantore) a nord.
Da casa ospitante re e importanti personaggi internazionali,
In conclusione, uno scempio immorale, da non meritare neppure una cartolina ricordo nel libro di Tuvo (in ‘SPdA come eravamo’), né la citazione su Pastorino-Vigliero (pag.1736): il che vada a gogna di chi ne ha avuto possesso e – in parallelo – di chi ha governato la città in quei tempi.
Geomar, sul Gazzettino, dice che è giusto l’«utilizzo del complesso da individualistico e privato a collettivo e pubblico». Non polemizzo: dico solo che c’è modo e modo di trasformare in socialmente utile quello che era privato; ed il modo attuato è il più stupido che l’uomo di cultura o politico amministrativo potesse adottare.
Il Pagano 1950 include l’edificio, unico di SPd’Arena, nel gruppo dei 30 ‘palazzi’ genovesi, aggiungendo breve accenno alle altre ‘ville’.
Nel 1996 ci si avvalse dell’assistenza culturale ed organizzativa del FAI (Fondo per l’ambiente italiano), aderendo all’iniziativa “la scuola adotta un monumento” (gli studenti fungevano da ciceroni, aiutati dagli allievi in costume della Compagnia teatrale LaNave; da quelli del conservatorio Paganini che suonavano in sottofondo; da quelli dell’istituto agrario Marsano che avevano curato la coreografia floreale; da quelli dell’artistico Klee che avevano confezionato uno stendardo; da quelli dell’alberghiero Bergese che cucinarono specialità liguri).
Nel 2010 risulta sia vuota e non utilizzata. Progetti vari la volevano data a varie destinazioni ma non concluse.
a sinistra la facciata della ‘villa C’, come descritta da Rubens- a destra foto della facciata riferibile al 1910 circa, con parete affrescata da grandi figure in finte nicchie.
come era negli anni del fascio – con un come è malamente visibile oggi, dalla strada terrazzo, eliminata la scala di accesso
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La facciata esterna principale, era a mare, conosciamo l’immagine originaria, dal disegno del Rubens del 1622: ad una triplice loggia centrale d’ingresso, corrispondevano due eguali laterali al piano nobile, separate da finto bugnato che dava l’aspetto tripartito; era completamente dipinta e fittamente decorata, con cornici alle finestre.
a sinistra manca la chiesa; in erezione il palazzo a destra
Nel 1625, l’organismo cubico cinquecentesco venne trasformato con l’aggiunta di avancorpi porticati ad ala, verso il giardino a monte, e di una corte d’onore a sud all’arrivo del viale, concluso da una doppia rampa molto larga per collegare il fronte dell’edificio col giardino; tutte e tre le logge furono tamponate, aprendo -al piano nobile- al loro posto due finestre. La facciata principale a sud, fu decorata con riquadri a chiaroscuro, e ponendo in quattro finte nicchie altrettante figure femminili: furono dipinte dall’Ansaldo (rappresentanti le 4 virtù; così belle che raggiunsero particolare meritata fama; ma ora scomparse per incuria e sovrapposta intonacazione)-
Il tutto fu documentato dal Gauthier nel 1818-32.
Ancora negli anni 90 attorno e sopra al portone principale residuava una illeggibile decorazione affrescata –come visibile da foto sopra e da altre.
Aveva sul portale, uno stemma gentilizio che nel giu.1798 dalla Municipalità francesizzante ed anti aristocratica fu ordinato fosse distrutto. Permane tutt’ora, vuoto di decorazione, uno spazio sopraelevato, con volute laterali, a livello del tetto.
Mentre nell’800 venne chiusa tutta la facciata a nord, tamponando i porticati delle due ali e lo spazio tra esse, nonché sopraelevando di un piano in modo di falsare sia il prospetto che i volumi; venne eliminata la corte d’onore antistante fornita di ampio scalone formato da due scalinate curve in crescendo ascensionale maestoso, e sostituita con una terrazza che oggi malamente separa la villa dall’edificio a lato mare, costruito davanti in maniera da togliere tutta la vista ed annullando tutta la scenografia originale altamente plateale.
Viene segnalata sulla facciata prospiciente via Dottesio la presenza di un presunto affresco di una Madonna, che già nel 1980 era fatiscente divenendo più evidente quando la pioggia bagnava i colori.
La facciata sul retro, che dava ai giardini, ed ora ingresso unico della scuola è assai semplice con finestre centralizzate escluso quelle del piano nobile.
Sia l’ingresso unico attuale, sia la presenza dei palazzi attorno, sia via A.Cantore: tutti e tre hanno criminalmente snaturalizzato l’edificio.
La torre quadrata, di vedetta e difesa nei tempi di ancora facili incursioni piratesche, forse si pensa preesistente alla villa e che fu inglobata nella fase di costruzione, ed aggiustata quale appare oggi con, a sbalzo, il percorso di ronda. La Soprintendenza per i beni architettonici dal 1935 la vincola a parte, con atto diverso dall’insieme della villa (per questa, come detto, risale al 1919)
scorcio dalla scalinata –ex giardini facciata di levante dalla strada nel retro
Gauthier
L’interno evidenzia architettonicamente le mescolanze dell’arte ligure preesistente, con le impostazioni suggerite dall’Alessi (tipo la tripartizione dei muri portanti, le logge contrapposte, la posizione dello scalone).
Quindi si può presumere l’esistenza di una decorazione ‘ante 1600’, considerato che allora la villa era abitata da GioMaria (morto nel 1601) e sua moglie Pellina (morta nel 1623), ambedue che trovavano “molto diletto e trattenimento” dalle arti, specie musica, lettura di poesie e pittura che esprimessero la vita naturale di campagna, ovvero dell’ambiente circostante, volutamente ricercato nelle ‘fughe dalla città’.
Dalla sezione illustrata dal Gauthier nel 1832, si nota che non solo i soffitti ma anche le pareti erano affrescate.
I primi dipinti furono eseguiti quando già la villa era abitata da GB Spinola e Pellina, quindi alla fine del 1500, e sono quelli del piano terra; i pittori furono Bernardo Castello (incaricato principale), affiancato dal genovese Giovanni Carlone. Al primo è riconosciuto il ratto di Elena perché firmato con la sigla “B.C.” e con la data 1611; al secondo è attribuita la Samaritana al pozzo affrescata in una saletta che era attigua alla camera da bagno; ad ambedue le storie di Paride.
Se i primi lavori erano stati iniziati prima dell’inizio del ‘600 su committenza di Pellina Lercari –morta nel 1623- e del marito GioMaria Spinola morto 1601 - iniziarono i lavori di affrescatura. quelli del piano nobile furono proseguiti poi - per interessamento del figlio primogenito di questi, GioBattista Spinola il quale aveva ricevuto in eredità dalla madre mille scudi d’oro proprio per “far dipingere la sala della casa di San Pier d’Arena con obligo che le facci mettere e dipingere un’arma Lercara” - dallo stesso Giovanni Carlone e dal coetaneo voltrese Andrea Ansaldo, dal 1621 completati nel 1625, come da iscrizione sopra il portale principale (vedi sotto)
(BERNARDO CASTELLO = 1557-1629, già presente nel 1602 nella villa Imperiale-Scassi; diventerà poi presidente della corporazione dei pittori di Genova; in questa villa probabilmente era l’incaricato ufficiale del settore dipinti.
(GIOVANNI CARLONE = 24 apr.1584-1630, fratello del più noto GB
(ANDREA ANSALDO = 24 ago.1584- 1638 – cresciuto alla scuola di Orazio Cambiaso figlio di Luca, possedeva innate qualità artistiche che ben presto gli fecero superare il maestro.
Per il pittore è uno dei cicli più importanti che compose negli anni venti: il pieno delle capacità artistiche, mano felice, tratti di prestigio atti ad essere allora classificato al massimo e quindi ricercatissimo dalle richieste dei committenti per i loro palazzi). Alcuni critici individuano: prima (1621-4) il salone di Ambrogio (basandosi sulle vittorie conosciute – e, contemporaneo, il loggiato con i musici nella volta dedicata a Megollo), e dopo (1624-25) quello di Perseo; ma non tutti sono d’accordo.
Già nel 1766 il Ratti riconosce che la rinomanza e l’ammirazione per questa villa non sono tanto “per la struttura, quanto per le sontuose pitture che al di dentro lo adornano”; tutta l’opera pittorica è mirata alla celebrazione dei fasti familiari (dei Lercari e degli Spinola) utilizzando situazioni mitologiche per indicare le qualità e virtù dei singoli, come era nel costume cinquecentesco; fu completata nel 1625, come testimonia la scritta sul portale d’ingresso “io Baptista Spinola dux santi Petri ornavit anno domini M.DC.XXV“.
In particolare:
all’ingresso -originario a sud- (attualmente si accede solo da quello posto a nord, più semplice, che dava adito ai giardini), segue un imponente atrio la cui volta decorata da grottesche assai fitte ma leggere da fornire senso di apertura e di alleggerimento degli spazi, ma sopratutto permettenti di focalizzare lo sguardo sia sul paesaggio centrale di aperta campagna e sia sui riquadri con paesaggi, anche loro mirati a fornire la sensazione di già essere immersi nel verde dei giardini e della natura. Sopra le porte, sono dei medaglioni con finti busti di personaggi ricordanti le glorie familiari, come era classicamente in uso a quei tempi.
atrio di ingresso – finestre a mare panoramica verso il retro
soffitto verso il retro
La cappella: il Remondini riferisce che il cardinale Sauli, con lettera del 2 ott.1606 al vicario arcivescovile, dava autorizzazione a farvi celebrare la Messa se la cappella era sufficientemente ornata. Questa era stata aperta ed apprestata per volere di Maria Spinola; nel 1609 papa Paolo V accordò a Filippo Spinola aprire al pubblico per il culto la cappella esistente nel suo palazzo.
Nella seconda sala, 5 affreschi firmati da Bernardo Castello (in basso a destra del riquadro centrale: “B.C.1611”) caratterizzati dalla disposizione sulla volta dentro dei riquadri, ed dalle “cartelle” angolari utili per riempire quegli spazi, altrimenti non facilmente utilizzabili; rappresentano con colori di grande morbidezza: nel mezzo il “rapimento di Elena , la bella laconese, da parte di Paride”, e d’intorno nelle lunette, “re Priamo che prega” , “Priamo che consegna Paride fanciullo ai pastori“, “Paride che decide tra le tre dee qual sia la più bella”, “il consulto dell’oracolo”, “gli dei dell’Olimpo che decidono”; negli angoli quattro figure di donna, simboliche. In questi dipinti, il fare pittorico appare più maturo e ‘morbido’ rispetto quelli della villa Imperiale eseguiti nove anni prima.
Alle pareti un colonnato che fornisce l’illusiva sensazione di dilatazione dello spazio; nelle nicchie angolari le figure di Nettuno, Saturno, Eros, Giove. Tutte queste immagini mitologiche, valgono a ricordare la parte avuta da Ambrogio Spinola nello sventare il rapimento di Margherita di Fiandra. Vicino, e sempre a piano terra, una terza sala posta a levante con affresco attribuito a D.Fiasella (qualcuno dice al Castello) descriventi “Gesù e la samaritana al pozzo” (originariamente rappresentava una storia mitologica o quantomeno profana, in cui la figura femminile era armata di lancia, e non c’era il pozzo; ed il dipinto era più largo e meno alto).
Sotto lo scalone nella parte più a monte -come nella Fortezza- è il bagno, comprendente un primo vano probabile spogliatoio, un altro ottagonale a nicchie semicircolari per l’uso delle acque calde, e vicino un vano più piccolo, stretto e lungo per quelle fredde.
Lo scalone (unico, assieme al bagno, rimasto intatto della primitiva pianta cinquecentesca) dopo la prima rampa presenta oggi affisse alle pareti due lapidi: una riporta «QUESTO ISTITUTO SI INTITOLA – AL NOME DI – GIULIO CESARE ABBA – 1838-1910 – “UNO DEI MILLE” – SEGUI’ GARIBALDI – DA QUARTO AL VOLTURNO – SOLDATO E STORICO DELL’EPICA GESTA -------LETTERATO DI CHIARA FAMA – DOCENTE EDUCATORE – CON GLI SCRITTI LA PAROLA L’ESEMPIO – FU AI GIOVANI MAESTRO – DI DEDIZIONE AL DOVERE – DI DEVOZIONE ALLA PATRIA. ------14.VI.1947»
E l’altra «1-2-64 ------ VINCENZO TOSI – 1877-1962 – FONDATORE DELL’ISTITUTO – CHE PER 24 ANNI RESSE – CON AMORE E SAGGEZZA – EDUCANDO I GIOVANI – ALL’ONESTA’ E AL DOVERE – CON L’ESEMPIO COSTANTE – E PAROLA SUADENTE E ARGUTA».
Porta, tutto decorato con grottesche al piano nobile, presso la loggia (anch’essa con grottesche e quattro paesaggi che contornano l’immagine centrale dipinta dal G.Carlone di “Vulcano nella fucina, assistito da Minerva mentre prepara le armi per Perseo” -allusivo: per Ambrogio Spinola-), e -centralmente- l’ampio salone recante le porte di accesso alle varie camere e sale laterali secondo l’antica concezione genovese.
Vi sono rappresentati il capolavoro dei due pittori Carlone ed Ansaldo, in collaborazione - sommando nel lavoro le loro diverse capacità espressive provenienti da distinte tradizioni pittoriche: di pittore-disegnatore l’uno, di pittore-colorista l’altro; e sempre tesi alla celebrazione della famiglia commissionaria
Attribuiti a G.Carlone la volta, con 5 grandi quadri rappresentanti la storia di Megollo Lercari; ed all’Ansaldo la base dei musici (nella quale, sono riportate 3 generazioni: GiovanniMaria Spinola + Pellina Lercari (per lei la storia di Megollo; ed a lutto, nel dipinto delle nozze di Luca)→il nostro GB (feudo di Galatina; alle nozze vestito alla spagnola) + Maria Spinola (alle nozze con diadema)→GioFilippo (principe) + Veronica Spinola→Francesco Maria).
MEGOLLO LERCARI La fantasiosa (o quantomeno ricordo amplificato; esasperato simbolo di crudeltà adottata col fine di salvaguardare l’onore e l’orgoglio familiare con esempi significativi ed esemplari) storia di Megollo (nome diminutivo o volgare di Domenico; qualche storico sospetta essere mai esistito perché è nome troppo frequente tra gli schiavi, per essere stato di un signore) fu narrata in una lunga lettera in latino dall’analista Bartolomeo Senarega, annalista dal 1492 al 1514, cancelliere della Repubblica, diplomatico e oratore anche all’estero: Francia, Napoli, Lombardia, spedita nel periodo 1475-1514 all’umanista napoletano Giovanni Pontano; ripresa da Agostino Giustiniani nei suoi Annali scritti in volgare del 1537 (col fine di ‘instruere’ il popolo nostro ad essere amatore della Repubblica) e da Oberto Foglietta nel 1570 circa.
Megollo abitò a lungo a Trebisonda (Trabzon, città già ben guarnita da mura costruite da Giustiniano; capitale sul mar Nero del regno autonomo degli imperatori Comneno al tempo di Alessio III -1349-90– terzo della dinastia) ove è accertata la presenza genovese dai primi anni del 1300. Nel 1310 circa, il Lercari probabile addetto commerciale della Repubblica, fu offeso da uno schiaffo da Andronìco – favorito dell’imperatore - durante una partita a scacchi; alle rimostranze, fu consolato dal regnante con buone parole ma non con giustizia. Perché non si indebolisse il prestigio dei genovesi in tutto l’Oriente, tornato a Genova armò due navi con Accellino Grillo; ritornato nel mar Nero ne vinse, separandole due a due, tutte e quattro quelle dell’imperatore, e per rabbia aggiunse pirateria e strage di nasi ed orecchie dei prigionieri. Pare impietosito da un genitore che offriva la sua vita alla mutilazione dei figli, lo usò come ambasciatore ed ottenne nel 1316 le scuse dell’imperatore e la consegna - perché fosse punito - dell’ingiuriatore, più un console genovese ad amministrare giustizia, la costruzione sia di un palazzo per il console, che di un fondaco, di un forno e di un bagno; e diverse altre franchigie, immunità e privilegi commerciali. Molto probabile il racconto è n buona parte leggendario: il rude marinaio, temerario commerciante, non immune dal titolo di pirata e sadico vendicatore della dignità genovese offesa alla corte di Trebisonda; una figura necessaria per impersonare l’orgoglio patrio misto ad ardita tenacia e magnanima clemenza) -celebrerebbe gli ascendenti materni dello Spinola, essendo figlio di Bettina Lercari-.
A obbiettiva difesa, non è che i costumi di allora nei confronti dell’onore fossero diversi da quelli descritti: il testo del Pallavicini su come venivano trattati allora i nemici sociali o malfattori, è un chiaro trattato di sadismo. E, malgrado fossero molto religiosi, la vita umana della plebe non aveva valore di eguaglianza, come oggi intesa. In più, il concetto del rispetto del prossimo e della vita, nello specifico in marina, è sempre stato assai aleatorio: corsari e pirati non mancheranno certo di ferocia gratuita. per ancora quattrocento anni dopo, e più.
Nel 1622-5 GB Spinola, figlio di Pellina fece affrescare da Giovanni Carlone figlio di Taddeo, il palazzo Spinola di SPdA con le imprese di Megollo, parente significativo della famiglia della madre ‘contrapposto’ ad Ambrogio eroe nei Paesi Bassi della famiglia degli Spinola e fratello di Maria, sua moglie. Le 4 ‘Virtù’ che ornano gli affreschi (mentre quelle degli argenti fanno riferimento alla religiosità del committente) fanno riferimento alle virtù della famiglia Lercari e nelle quali si riconosce il committente, che sono “rationabilis ira”, “spes certa victoria”, “fortitudo in adversis” “humiles beneficentia”.
Per riconoscerli, ponendosi in modo di vedere a dritto il quadro centrale, cronologicamente andrebbero letti 3), 4), 5), 1), 2):
1)- al centro “ Megollo che vendica l’oltraggio di Andronico, dinanzi all’imperatore di Trebisonda” (con la scritta: subiectum inimicum despicit et amicum recipit imperatorem); infatti la scena è, nella cronologia dell’evento, l’atto finale
2)- a destra “il perdono dei prigionieri” (con la scritta: iniuriam repellere nititur),
3)- in basso “Megollo che, spada in pugno, perora con gli amici la causa della dignità e fierezza genovese”(con la scritta: amicorum ope ad vindictam se accingit),
Megollo a rapporto con i familiari lo scontro navale
4)- a sinistra “la vittoria, con il possesso di due triremi sulle 4 dell’imperatore Alessio II“ (con la scritta: duabus triremibus quatuor inperatoria vincit),
i barilotti di nasi il calcio finale ad Andronico
5)- sopra (a rovescio per chi guarda) “Megollo che fa consegnare i barilotti di nasi ed orecchie messi in salamoia ”(con la scritta ingemiscentibus parcit),
- messe alternate a spaziare i riquadri, le nicchie con tra 2 e 5 l’Umiltà (in humiles beneficentia); tra 5 e 4 la Forza (fortitudo in adversis); tra 4 e 3 la Speranza (spes certa victoria) ; tra 3 e 2 la Ragione (ragionabilis ira);
ai quattro angoli gli stemmi alternati degli Spinola (campo giallo, banda centrale a scacchi bianchi e rossi, sormontata da una spina), e dei Lercari ( bande rosse e gialle );
la sposa con le sorelle e la vedova Pellina musici
--- più in basso un affresco continuo, aggirante tutto il salone e raffigurante (qualcuno dice per opera dell’Ansaldo, altri del Carlone, altri di entrambi) un loggiato parato di tappeti ed arazzi, da cui in uno sfolgorio di colori si affacciano come visti dal basso -in una veridicità di atteggiamenti e realismo esecutivo assai sorprendente, dame e cavalieri, cantori e musici di cornetto, trombone, viole e liuti.
Molto presumibile le nozze il 18 giugno 1615 tra Pellina -figlia primogenita di Maria Spinola e di Giovanni Battista Spinola-, e Luca Spinola di san Luca- figlio di Gaspare e Maria Doria - divenuto principe della Molfetta in Sicilia: il giovane elegante disegnato sul lato opposto con un servo. Nel 1625, alla conclusione degli affreschi, la coppia aveva già 5 figlie, di cui una, Aurelia, nata nel 1620, era naturalmente predisposta nell’apprendimento della musica, danza e canto, andò sposa al marchese Ercole Grimaldi –poi divenuto di Monaco - nel 1641 e divenendo duchessa di Valentinois). Ma Lercari&Santamaria propongono possibili anche le nozze -1619- di Veronica con Davide Imperiale q.Michele marchese d’Oria e signore di Francavilla, cerimonia più prossima ai dipinti e sposi molto vicini ai proprietari della villa (Veronica nata 1601, era la terzogenita dei 15 figli di GB; Davide era figlio di Michele e di Maddalena Spinola imparentati con la nonna di lei Pellina Lercari.
Tra le donne, col diadema, è raffigurata Maria, la padrona di casa sposa gi GB; ed in simbolici abiti da lutto Pellina Lercari madre di G.Battista e vedova –dal 1601- di GioMaria; a sinistra delle donne è un personaggio con abito spagnolesco, presumibilmente GB, il padrone di casa; mentre vicino a lui, col manto rosso, su cui è appoggiato il tocco rosso insegna del Toson d’oro: si pensa sia Ambrogio Spinola -l’eroe delle Fiandre- della cui onorificenza era appunto insignito dal 1605); a destra la sposa Pellina, tra le sorelle Geronima e Violante (secondo lo storico ALercari, dei 14 fratelli di Pellina nessuna si chiama Geronima mentre Violante è data nata nel 1619 ovvero dopo le nozze; quindi probabili fossero la quindicenne Polissena e la quattordicenne Veronica)).
Dai disegni del Gauthier, si vedono le pareti anch’esse affrescate, ma oggi scomparsi.
Delle sette stanze a fianco, spicca d’importanza un secondo salone - (controfittato per ricavarne due aule scolastiche, ma così impedendo di vedere il soffitto), con 5 grossi riquadri sul soffitto, affrescati magistralmente da Gio.Andrea Ansaldo, e da lui dedicati alle glorie della famiglia, in particolare di Ambrogio Spinola. In particolare, è opportuno sempre anticiparne la segnalazione, gli affreschi non mirano ad osannare la vittoria militare quanto piuttosto –da un lato, le virtù di uomo e di un cavaliere: la naturale capacità ed attitudine al comando la pazienza, la generosità verso i vinti (“il vinto non è più un nemico”) e verso le casse erariali di Spagna -aggiungiamo noi- in quanto moltissimo finanziato con i propri beni; dall’altro lato il messaggio di una politica filospagnola, con il sottilissimo messaggio di importanza dei personaggi della Repubblica, perché sempre se ne conservi il prestigio e l’autonomia.
AMBROGIO SPINOLA = 1569-1630 – figlio primogenito di Filippo della casata di san Luca che aveva sposato una Grimaldi non precisata. Fin da giovane fu maturo rappresentante delle diatribe cittadine durante le quali emerse con personaggio deciso e di carattere. Vinse quando riuscì appena ventunenne a far eleggere il doge Grimaldi; perdette quando cercò di avere il palazzo Grimaldi (in via Garibaldi) che fu giudicato ai Doria. Capì ben presto che la supremazia sarebbe avvenuta solo col sangue: preferì trasferirsi in Spagna, colà chiamato dal fratello Federico, da tempo là dimorante e comandante di una flotta spagnola, che lo invitava a raggiungere con truppe assoldate in Italia (a proprie spese) le Fiandre ribelli. Vi arrivò, portandosi dietro una ‘montagna d’oro’ con la quale fu preciso nel pagare le truppe e le spese, acquisendo fama e rispetto quando tutti gli altri generali erano in cronico ritardo (da tutta Europa arrivavano cavalieri e volontari; e pochi erano i disertori, dopo conosciuta questa sua ‘serietà’ nell’affrontare una responsabilità). Messo al comando di truppe entusiaste in pochi anni, una ad una come era d’uso allora, espugnò o costrinse alla resa le varie città –iniziando da Ostenda, per finire con Breda (non raffigurata quest’ultima perché avvenuta a soffitto completato; anche se avrebbe rappresentato l’apologia della gloria)- impedendo alle truppe di “fare sacco” e distruggere tutto, essendo già state pagate e permettendo ai vinti di conservare gli incarichi purché promettessero fedeltà al re di Spagna. Questa fama di ‘gran signore’ lo fece ricevere dal re di Francia e da quello spagnolo; anche se in buona parte gli fece esaurire i depositi genovesi.
Sua sorella Maria, era la sposa di GiovanBattista Spinola; ed in onore alla sua casata che il marito ordinò e furono eseguiti questi affreschi.
Tornato in patria, le sue capacità di guerriero lo fecero accorrere nelle guerre in terre Lombarde dove non riuscì a tenere in pugno le contorte problematiche, dove fu sconfitto e, in più, fu coinvolto nel periodo della peste milanese (il Manzoni non fu parco nel criticarlo come incapace di capire la situazione, non aver fermato l’epidemia avendo fatto scelte militari – a suo avviso – da colpevole). Stanco ed avvilito, si ritirò nei suoi possedimenti dell’oltregiogo, ove morì pochi anni dopo e dove fu sepolto.
Al centro “lo Spinola che (1604) a Ostenda passa in rassegna le truppe” (con sottoscritta “ Ostende - naturam et artem expugnat patientia”. T.Grosso vi legge ispirazione e fedeltà alla tradizione del Tavarone); dopo anni di vano assedio, quando lo Spinola prese in mano le redini, rapida fu la vittoria. Con essa, arrivarono - e se ne descrive la presenza tra la parata delle truppe - l’arciduca d’Austria Alberto, con la sua sposa l’infanta Isabella di Spagna, quale governatore delle Fiandre per conto dell’imperatore d’Asburgo.
Negli altri sono riferimenti ad altrettante imprese condotte dallo Spinola: in ordine di data e non di disposizione: ”quando presso Grol (Groenlo-1606) si appresta alla battaglia”; “quando riceve le chiavi della città di Rimberch” (Rheinberg, 1606 - sottoscritta “ Rimberch - hostis hostem angit constantia tranget); “quando entra in Vesel” (Wesel 1614); “quando di fronte alla sua armata, accetta gli omaggi dei vinti proceri di Giulich” (Julich, 1621).
Ostenda Grol
Giulich
Rimberch
Nelle lunette angolari, le allegorie della Fortezza-Valore-Fama-Prudenza, armature e -nel fregio- l’immagine degli “schiavi o prigionieri in catene, umiliati e nudi“ (nessuno nelle varie guerre subì questo degrado; pertanto è pura allusione alla fine che faranno i nemici della fede, ed indirettamente alla stretta fedeltà al cattolicesimo della Spagna e del suo re).
prigionieri
armature natura
la speranza di certa vittoria l’ira il toson d’oro
Manca, negli affreschi del salone, la vittoria di Breda del 1625, perché avvenuta dopo il completamento di essi, compiuti tra il 1622 ed il 1625.
Per alcuni studiosi, i dipinti dimostrano il sovrapporsi di una certa influenza subita dall’Ansaldo, dagli artisti contemporanei lombardi, mescolata ai dettami tradizionali dell’affresco. Che un artista – di qualsiasi arte- segua l’impronta di un maestro o si confronti nell’esecuzione e nell’ideazione a altri artisti, è abbastanza possibile, anzi ovvio (anche se a quei tempi non erano facili i rapporti e le visioni dirette dell’opera altrui); ma che la personalità di un artista dipenda totalmente da questo o da quell’altro mi sembrano esagerazioni un bel po’ tirate per i capelli. Insistenti e ripetuti sono, per quest’opera dell’Ansaldo, i richiami da parte dei critici (sempre disponibili con continui confronti e paragoni mirati a voler dimostrare la propria immensa cultura e capacità di saper cogliere ‘il tratto, la pennellata, la sfumatura del colore’) al Tavarone (come maestro e precursore), ed a rielaborazioni di altri dipinti di altre ville (come soggetto); riuscendo, quasi subdolamente, a far considerare secondarie copiature e quindi a svilire la priorità di bellezza e freschezza di questi affreschi e di questo pittore. A leggere i giudizi, quasi non si leggono ‘individualità’ o motivi ansaldiani specifici, ma pressoché tutti come copiati. Un assurdo voler essere critici ad ogni costo, cercando in pignoleschi confronti il pelo nell’uovo, ma espressi allo scopo di mettere se stesso -il critico - in condizioni di superiorità culturale.
Identiche scene verranno riprodotte in argenti.
In altra sala (4 e 5)
si scrive che il ciclo è sviluppato in ben sei sale e non solo nelle due che ho visto io. Come tale, sarebbe un gruppo decorativo tra i più vasti conosciuti e, per il pittore sicuramente il più completo (dall’Alizeri però attribuito a Giovanni Carlone).
Si scrive altresì che il mito di Perseo è allusivo, in particolare al tentativo di rapimento da parte del re Enrico IV, della concupita Margherita di Fiandra.
La storia di Perseo, descritta da Ovidio nelle Metamorfosi (libro IV), fu affrescata da Gio Andrea Ansaldo: sempre con evidente rapporto simbolico, in questo caso Ambrogio Spinola-Perseo. L’eroe si identifica nel mito con una sequenza narrativa che lo porta dall’iniziale sete di gloria (dalla casa – con calzari alati e lo scudo donato da Pallade - all’uccisione del nemico e del male, al matrimonio col bene ed al trionfo sul male. Ecco “Perseo e le Forcidi (o Graie: tre sorelle nate vecchie messe a guardia delle altre tre sorelle Gorgoni capaci di tramutare con lo sguardo gli uomini in pietre; possedevano in tre un solo dente e un solo occhio che usavano a turno e che Perseo strappò a loro per poter andare ad aggredire una della altre, la Medusa, unica mortale” e “Perseo in volo sull’oceano” in questi primi due riquadri, sotto riproposti, l’Ansaldo usò come sfondo e scenario delle sue invenzioni pittoriche, tratti del territorio e della villa stessa: si intravedono così il palazzo, i giardini, i viali, le fontane marmoree; nel terzo, la grande cupola che ricorda la cattedrale genovese di san Lorenzo; nell’ultimo la trasposizione allegorica del matrimonio di Ambrogio con Giovannetta Bocciadonne. Seguono “Perseo uccide Medusa“ sotto la supervisione di Minerva e Mercurio raffigurati in alto: lui in posizione che rappresenta la prontezza, vigilanza e prudenza, e col cavallo alato Pegaso uscito liberato dal collo della Medusa in salto di gioiosa approvazione e “Perseo con il trofeo della testa decapitata“. Concludono il ciclo “Perseo che libera Andromeda“ e “Perseo che sposa Andromeda”. Dagli Spinola di san Pietro Ansaldo fu richiamato -nei primi anni del XVII secolo- per ripetere negli affreschi i fasti di famiglia, avendo essi acquisita dai Doria una villa in Acquasola. Dei vari decoratori, praticamente era rimasto lui dei migliori a lavorare in Genova dopo il 1630, sia per la peste, sia perché Bernardo Castello era morto l’anno prima, Tavarone e Fiasella un po’ invecchiati e ripetitivi, Giovanni Carlone si era trasferito a Milano e lo Strozzi a Venezia.
Perseo in volo Perseo e le Forcidi (particol.)
Perseo decapita Medusa Perseo porta n trionfo la testa della Gorgone
Perseo libera Andromaca particolare delle nozze
Infatti, nella sala 5 viene citato un affresco raffigurante “Atena e Mercurio che consegnano le armi e Perseo che le prova”. Da alcuni viene attribuito a G.B.Carlone (16 feb.1603-1684; fratello -più giovane di 19 anni- di Giovanni); e più di recente a D.Fiasella.S
i scrive che in altre sale, sono presenti nel palazzo: un affresco dell’Ansaldo raffigurante il “matrimonio di Argentina Spinola con il figlio dell’imperatore Andronico”; e “moderni quadri” di N.Barabino, e Plinio Nomellini, senza precisare dove (nell’opuscolo “SPdArena nella sua amministrazione fascista” a pag.27 una foto dell’aula magna evidenzia due grosse tele).
GIARDINO
Le suore, mantennero sufficientemente intatti i due originari giardini (perché due erano: uno a sud ed uno a nord dell’edificio; aspetto che la differenziava dalle altre ville).
Da inventari fatti nel 1802, ultimi anni della permanenza degli Spinola, nei giardini ed orti ‘muragliati’ (tutti con vigne, orti, frutta –citati alberi di agrumi e di maroni (impossibile marroni=castagne, in riva al mare; forse ippocastani)- e semina). Si citano aree – impossibili da collocare nel vasto possedimento (escluso solo quello immediatamente dietro la villa, chiamato ‘Prato’) – e che avevano nomi caratteristici: così vengono citati, a monte della villa, un ‘giardino Grande’, un ‘giardino della Mortella’, un ‘giardino del Buscio (o Busso)’ (Usati come siepi a delimitare giardini o labirinti: la Mortella è il nome volgare di un cespuglio della macchia mediterranea della famiglia del mirto, del bosso e del pungitopo (in volgare) -mortin in genovese-; pianta sacra a Venere simbolo dell’amore e della poesia erotica: se ne cingevano il capo i poeti ed i cantori. Il Busso è sinonimo di bosso, è pianta dal legno durissimo e compatto che neanche galleggia, di odore sgradevole, usato per strumenti, manici o piccoli mobili artistici).
Quello a sud era davanti all’ingresso principale il quale però prospettava sulla via principale (poi via DeMarini – oggi Dottesio); quindi il giardino dall’altro lato della strada proseguiva sino al mare (era coltivato ad orto – nel 1847, dagli ingegneri delle ferrovie che fecero il sopralluogo per farvi passare la strada ferrata, giudicato ‘di prima qualità’- con spazi per frutteto e vigneto; essendo ampio, vi era stato creando un viale centrale, chiuso sulla via principale ed a mare da una catena (la sua presenza costituì i presupposti alla lottizzazione per una strada che fu appunto chiamata “ crosa della Catena”, e che diede nome negli anni attorno al 1850 alla zona “quartiere della Catena”)). Quello a nord invece, era esteso sino alle pendici della collina di Promontorio; all’inizio era un vero e proprio giardino privato, all’italiana, simmetrico, con lunghi viali diritti -e coperti da berceaux- per arrivare in alto alle peschiere, ninfei (di cui rimane un minuto residuo sulla scalinata di via Pittaluga) sino al bosco nella parte estrema.
Nella parte superiore della proprietà, dopo un intermezzo di terreno scosceso e quasi allo stesso livello, esistevano due altre ville autonome ma facenti parte della proprietà già del Lercari: una più a levante ed una più a ponente, ben visibili ancora nella carte del Vinzoni ed oggi ambedue demolite. Una delle due, non specificata quale, fu lasciata da Pellina in eredità al figlio terzogenito Gio. Luca («... che sii data a Gio. Luca suo figlio e che esso habbi la casetta con villa di San Pier d’arena posta sopra la villa della casa grande pur di san Pier d’Arena...») casa che in seguito verrà ceduta dagli eredi, a dei cugini dello stesso ramo (ai quali, all’atto, sarà abbonato un debito di affitto arretrato –segno che già la abitavano-).
DEDICATA A: Alla famiglia degli Spinola, del ramo di san Pietro.
La famiglia base è quella degli Spinola di san Luca (unica famiglia con comune origine, rappresentata poi in due alberghi distinti: di s.Luca, vicini all’omonima chiesa condivisa con i Grimaldi; e di Luccoli.
Tutti uomini di affari e di governo, principali attori dell’aristocrazia mondiale del XVI-XVIII secolo perché finanziatori del regno spagnolo, di quello napoletano e della casa d’Asburgo; nonché molto influenti in quello pontificio.
San Pietro in Galatina = – dal 1793 città – allora era un paese pugliese, nella zona detta ‘salentina’ vicino a Lecce; sede di dominio di varie famiglie (prima dei Fieschi: gli Orsini; i Castioti Scanderbeg primi ad essere nominati duchi per meriti di alleanze militari con il re di Napoli; Sanseverino; Carafa). Nel 1615 fu ceduta - causa i debiti dei Sanseverino - agli Spinola che allora erano banchieri del Regno. Il titolo di duca = risale a GiovanniBattista Spinola che, con i soldi lasciati dal suocero GB Lercari, comprò nel 1616 il ducato di San Pietro in Galatina, acquistando così il diritto di essere titolato. Dell'ingresso di Giovan Battista Spinola e della moglie Maria nella città di San Pietro in Galatina nel 1621 esiste una rappresentazione in argento sbalzato e cesellato facente parte della collezione della famiglia Spinola in Genova che assieme ad altre quattro costituiva uno degli elementi decorativi esterni di un cofanetto. Il figlio Giovan Filippo Spinola (1610-1660) commissionò all'olandese Mattheus Melijn l'esecuzione del manufatto in argento durante la sua permanenza a Genova dal 1630 al 1639. Risulta anche che il 13° (di 15) figlio: Gio.Pietro, nacque proprio nel paese il 5 luglio 1616.
E tale diritto permase per oltre sei generazioni. Infatti, a lui succedettero: prima – II duca - il figlio Gio.Maria Spinola (in internet, nella storia del paese, viene saltato), seguito da Francesco Maria che fu III duca, e che si scrive lasciò la residenza – nel palazzo ducale che era dei Castriota- al vescovo di Otranto mons. Adarzo de Santander (1657-1674) nel 1657; il quale a sua volta si scrive che non vide quasi mai presenti i suoi possessori. Dopo infatti, quasi mai i titolati abitarono in zona, lasciando ai locali la gestione amministrativa e legale (anche se non è escluso che figli o parenti cadetti – quali 'governatori' o 'agenti' - fossero inviati a svolgere controlli); questo non toglie che così lontana gestione non fosse prima di dissensi e malcelata sopportazione. GioGiuseppe Spinola, VI duca, quando morì nel 1784 senza prole, trasferì il titolo alla sorella Maria Teresa; ed essa sposando -1741- il nobile milanese GB Gallarati Scotti lo portò in dote, unendo in questa famiglia –già titolata di suo – anche i feudi di San Pietro e Molfetta; tutto sino a quando nel 1806 furono soppressi i titoli feudali (però poi confermati dal regno di Napoli nel 1828).
-lo STEMMA dei Fieschi rappresenta una scacchiera a dadi bianche e rossi che taglia in mezzo un campo d’oro; sormontata da una spina di botte.
In gergo specifico “d’oro alla fascia scaccata di tre file d’argento e di rosso, accompagnata in capo da una spina di botte in palo di rosso”. La fascia scaccata rappresenta il cingolo cavalleresco, e sarebbe quindi un vero simbolo militare: lo scacchiere era adottato in campo di battaglia, ed era al comando dei capi militari; ma lo scacchiere era anche il simbolo dell’esattore (lo scaccarium -o abacum-, necessario per i conteggi; in Inghilterra –ancor oggi- lo scacchiere è il ministro del tesoro). -- il motto era ‘nonc numquam’.
-la FAMIGLIA: Fu una delle prime (secolo X, in epoca feudale) famiglie di ricchi, con incarichi dirigenziali demandati dall’imperatore; proveniente dal ramo viscontile di Manesseno (in Val Polcevera, ove giunti nel 951 al seguito dell’imperatore OttoneI). In particolare, si descrive un Guido come visconte capostipite - e Visconte era il nome primitivo - era incaricato di riscuotere i diritti monetari feudali, legati al movimento delle merci in transito. Esattori, quindi, per incarico dell’Impero. Divennero una delle più vaste e potenti famiglie della Repubblica.
Per l’origine del nome, Canale racconta una forse leggenda riportata dal Giustiniani: un Guido Visconte (forse Guidobono o Ido, padre di Oberto e Guido (o Ido) sottoscritti), signore in Valpolcevera, era sempre così cortese che a chiunque passasse a trovarlo non poteva fare a meno di aprire le sue botti ed offrire del buon vino. Questa abitudine gli valse il soprannome –come pressoché sempre succedeva a quei tempi- di ‘spillatore’ e, ai suoi discendenti, di spinola. Ma le leggende si sovrappongono: fu proposta la ‘spina’ della corona di Cristo, portata dall’oriente a Genova, dai fratelli Guido e Oberto Spinola, agli inizi del XII secolo; alla simbolica spina di rosa che ‘punge’ chi la usa impropriamente; al feudo tortonese nel quale è compreso il monte Spinola, posseduto dal suddetto Ido –o Guido- Visconte; ai -di mestiere- fabbricanti di botti. Ma molto più probabile, perché come visconti erano addetti all’esattoria dei tributi, e quindi ‘spillavano’ diritti fiscali dal commercio del vino
In epoca consolare, la famiglia era già di spicco e di valore
Conosciuto capostipite è un Guido, da cui nacquero Ansaldo ed Oberto vissuti nella seconda metà del 1200, ghibellini (avversari dei guelfi Fieschi e Grimaldi), originari in “san Luca”. Un discendente scelse andare ad abitare poco lontano, vicino all’attuale salita s.Caterina: questo ramo divenne “di Luccoli”. Seppur imparentati, non infrequenti furono le divergenze tra le quali la più conosciuta è il malcontento che distinse i San Luca quali “nobili di vecchia data”, da quelli di san Pietro “nobili nuovi”; fino ad un primo tentativo di pace con la legge del Garibetto (=aggiustamento con garbo, del 1547, che però non frenò una guerra aperta tra i due rami) e la pace di Casale (1576, con nuove leggi costituzionali che determinarono la nascita di una nuova Repubblica di Genova, che tale rimase poi fino al 1797).
Le più ampie relazioni, incroci ed alleanze nonché matrimoni con potenti famiglie, fecero nascere numerosi ‘rami’ che per lo più trassero nome dai corrispondenti feudi (più vaste numericamente e conosciute, la stirpe degli Spinola di Luccoli, e quella degli Spinola di san Luca, con i rami ‘signori di Cassano’, signori di Masone’, ‘signori di Campofreddo’ ed i nostri ‘duchi di san Pietro’).
Nel 1528 formarono il 1° Albergo.
Dal 1531, la famiglia Spinola si distingue per aver dato 11 dogi (iniziando con Battista q.Tomaso dal 4.2.1531 secondo doge in ordine cronologico); 12 cardinali; innumerevoli senatori ed un beato martire; innumerevoli ammiragli (poco meno dei Doria, ma pur sempre ben inseriti nelle alte cariche cittadine e nel comando delle flotte genovesi) ed ambasciatori.
Erano una delle famiglie più potenti, schierate nel gruppo dei nobili (e solo nobili) ghibellini, come i Doria (mentre altre famiglie, comprendenti componenti popolari, erano Guelfi: come i Grimaldi e Fieschi).
Nel 1800, due divennero senatori del regno.
I PERSONAGGI in particolare:
divenendo numerosissimi, per distinguersi tra i tanti omonimi, iniziarono a contraddistinguersi con dei soprannomi legati ai rispettivi feudi o territori.
-GUIDOBONO Spinola, è considerato il capostipite, da alcuni specificatoi come ‘major’. Guidò una spedizione alla prima Crociata nel 1099, divenendo poi Console della città per oltre 20anni durante i quali Genova conquistò Beyrut, Mamistra e Lavagna) fondando il castello di Portovenere).
-OBERTO : figlio del precedente, è il più famoso della famiglia nel periodo del XII secolo perché fu console per sette volte. Quale capo dei ghibellini, con l’omonimo Doria formò una diarchia che governò a lungo la città; ebbe il merito di veder sconfiggere Pisa ed allargare i commerci; di aver difeso la città dal Barbarossa (1158-64); ambasciatore in Spagna; vittorioso sui saraceni patteggiò vantaggiosi contratti commerciali col re del Marocco (1161). Ma il demerito, assieme ai suoi successori, di aver insanguinato le due riviere con interminabili lotte sanguinose. Nel 1144 (Cappellini dice nel 1188).fu uno dei fondatori della chiesa di san Luca in Genova, divenuta gentilizia della famiglia
-OBERTO, altro, omonimo ma del secolo successivo XIII, fu anch’egli console nove volte, Capitano del Comune e del popolo; ambasciatore in Spagna; ammiraglio nel 1285.
-OPIZZINO di Luccoli, visse nella prima metà del 1300. Dall’imperatore di Germania EnricoVII di Lussemburgo, ottenne in feudo un ampio territorio nella zona di Serravalle-Arquata-Rocchetta, che poi si espanse comprendendo Tortona-Busalla-Mongiardino
-BRIGIDA: Nacque nel 1583, Brigida Spinola, immortalata dal Rubens, sposa di Massimiliano Doria. Quando rimase vedova con tre figlie, si risposò con GioVincenzo Imperiale (vedi), vivendo assai spesso nella villa della Bellezza.
-NICOLO’ Spinola, fratello di un Ambrogio (figlio di Franco Spinola), esperto e molto attivo mercante ed uomo d’affari internazionali, vissuto durante la peste del 1656 della quale fu preciso relatore. Agli inizi di quell’anno quando il contagio iniziava a Napoli, lui era in prigione per ‘contrasti’ col Magistrato del Nuovo Armamento (voleva acquistare per Genova quattro vascelli d’alto bordo, armati ed attrezzati ma costruiti altrove). Arrivato il morbo, a giugno scappò con la famiglia a Chiavari ma il bisogno impellente di liquidi, lo riportò a Genova quando era in corso il più alto tasso di mortalità giornaliera e 40mila erano già morti, facendoli trasportare via nave e depositare a Livorno (dove per legge, le monete venivano sorvegliate e conservate immerse in un barile d’aceto, lontano dalla costa). Ritornato a Chiavari visse nell’ansia del contagio ed incerto se rimanere là (pochi casi isolati, ma che avevano rapito il padre, un fratello, moglie ed un figlioletto) o scappare nella ritenuta più sicura casa di Sampierdarena (anche il cardinale Raggi in ottobre era fuggito nel nostro borgo da cui si allontanò dopo un mese cercando andare a Novi accortosi che si moriva anche qui: 3200 i morti in Sampierdarena, su 4mila abitanti). Stessa ansia estremamente dolorosa ebbe quando l’anno dopo fu nominato commissario di Sanità (se cercava di sottrarsi, sarebbe stato punito con multa di 500 scudi d’oro ed interdizione ai pubblici offici per 10 anni). Venne qui, con la madre, a fine settembre del 1657 e rimase fino agli inizi di ottobre . E –ad epidemia finita- dover decidere se sacrificare mobili ed indumenti dei parenti perduti o affidarsi alle costose ‘profumazioni’.
-DANIELE: nel vastissimo albero genealogico degli Spinola, unico omonimo corrispondente all’anno della villa sampierdarenese, fu il Daniele degli Spinola di Luccoli vissuto negli anni 1563-1587 (-q. Niccolò; e nipote di un altro Daniele che era morto nel 1504 ed a sua volta figlio di Giacomo q. Carozio (quest’ultimo morto nel 1405)). Se fosse lui, sappiamo che sposò Maria DiNegro con la quale ebbe 5 figli (essendo: 2 femmine, uno sacerdote, uno morto infante, l’unico di essi possibile ad aver ereditato fu Flaminio. A sua volta, questi ebbe tre figli, uno femmina, l’altro anche lui Daniele ma che ebbe una sola figlia e quindi di essi solo GioGirolamo può aver ereditato negli anni 1636 (ma che fu l’ultimo del ramo avendo generato 5 figli tutti divenuti sacerdoti o monache).
-AGOSTINO q. Nicolò e Marietta Piccamiglio, nel 1528 fu ascritto alla nobiltà. Dalla prima moglie – una Salvago – non ebbe figli. Dalla seconda Nicoletta Pinelli gli diede tre maschi Nicolò, Luca (↓ vedi) e Giovanni.
-AMBROGIO: 1569-1630, gran condottiero degli Spinola di san Luca. Figlio di Filippo (marchese del Sesto e di Venafro) e Polissena Grimaldi. La sorella Battina aveva sposato Francesco Pallavicino fratello di Nicolò, e suo figlio Filippo che nel 1625 era a Genova Magistrato della Guerra, seguì lo zio nelle Fiandre. Ambrogio fu coinvolto dal fratello Federico al servizio del re di Spagna Filippo III, aiutandolo con denari nel 1601 ad affrontare la guerra di Fiandra contro gli olandesi: poi attivamente nel 1603 sostituendo il fratello Federico, morto in battaglia mentre organizzava nel porto di Dunquerque una flottiglia di galere necessarie per combattere sul mare olandesi e Zelandesi. Forte da uno spirito ambizioso, di far grande il suo casato alla corte spagnola, espugnò Ostenda (che era sotto assedio da quasi 4 anni (a fine sett.1604 la città si arrese essendo completamente distrutta, e dopo aver perso 50mila soldati; altrettanti e forse anche di più ne perdettero gli assedianti spagnoli). Nel 1606 era a Genova a parlare al Senato come ministro-ambasciatore del re spagnolo.
Ai tempi di Keplero nel 1618 si allargò da Praga la ribellione protestante che covava nell’Europa; il Papa Paolo V e molti regnanti si gettarono nella battaglia armata, iniziando la cosiddetta Guerra dei Trent’anni. Nel primo periodo di essa (1618-1625), la Lega cattolica dapprima perse, ma poi affidata nel 1620 ad Ambrogio -per ordine di Filippo IV di Spagna- (partendo dalla Baviera con 25mila uomini, 12 cannoni (quanti gli Apostoli) e con gesuiti e truppe spagnole in prima fila) invase i Paesi Bassi ed il Palatinato cogliendo una successione di oltre 58 vittorie con altrettante espugnazioni di città (tra esse (non in ordine) Linghem (con 14mila famnti, 2000 cavalieri piccolo borgo della Frisia importante perché “nelle viscere de’ Nemici”); Grolio (importante fortezza militare); Riemberg (grosso ed importante paese delle Fiandre); Aquisgrana, Vezel, Oppenheim, Creutznach, Jülich (quest’ultima fu rappresentata nella nostra villa dagli affreschi di GioAndrea Ansaldo su commissione di GB Spinola), fino alla più importante, l’olandese Breda (1625: nel lungo conflitto che oppose la Spagna all’Olanda, allora Province Unite del Nord, del Brabante, spicca questo grande successo dello Spinola che facendo uso di inusitati mezzi militari -specie complesse opere di ingegneria che interessarono tutti gli esperti militari d’Europa-, in nove mesi espugnò la città comportandosi alla fine da vero grande gentiluomo verso gli sconfitti, il ché accrebbe a dismisura il valore morale della vittoria e divenne codice nuovo di comportamento militare: rispetto della parola data, generosità verso lo sconfitto, invulnerabilità dei negoziatori e degli ospedali; durante l’assedio ricevette in dono da G.Galilei un telescopio perché ‘sul sacro campo di battaglia meglio potesse vedere anche da lontano i ribelli eretici’). Durante tutta l’operazione, tenne costante rapporto con i genovesi (in particolare Nicolò Pallavicino) tramite corrispondenti d’affari. Nel 1627 Ambrogio era in Fiandra; scese in Spagna per relazionare Isabella sulle future imprese militari; era con lui la figlia Polissena e suo marito don Diego Messia Felipe de Guzman (m.1655), marchese di Leganès. Terminata felicemente questa guerra contro il conte Maurizio di Nassau, giudicato il più grande capitano del suo secolo (36 dice Filippo, Boccardo-DiFabio dicono che ‘governatore della città era Giustino’)
Era divenuto cognato del nostro Gio Battista.
Dopo venne anche in soccorso del duca di Savoia contro i francesi, nella successione al ducato di Mantova e Monferrato. Nel 1629 nei pressi di Casale fu sconfitto dai francesi e si ammalò; si spense lentamente (si dice ‘disgustato’ dal vedersi abbandonato da chi riteneva debitore dei suoi vittoriosi servigi (cioè la corte di Madrid) e dalle notizie catastrofiche in Fiandra da dopo la sua partenza) morendo l’anno dopo il 25 settembre nel suo feudo a Castelnuovo Scrivia ove fu sepolto nella parrocchiale, nella cappella di famiglia.
Fu ritratto da molti artisti, tra i quali Rubens ed il pittore fiammingo Van Dyck (merito suo se allora 22enne, fu ospitato a Genova; qui conseguì una ampia produzione di tele, che onora la nostra città). Contemporaneamente fu decantato da innumerevoli poeti e scrittori, tra cui Filippo Casoni .
-CARLO della Compagnia di Gesù, fu per venti anni missionario in Giappone ricoprendo incarichi di grande responsabilità compreso di vicario generale dell’episcopato nipponico. Arrestato durante una persecuzione, dopo quattro anni di carcere subì il martirio andando bruciato vivo sul rogo, a Nagasaki.
-ETTORE fu comandante di galea che combattè a Lepanto, e che morì in battaglia (7 ott.1571).
-GIO AGOSTINO, il minore dei fratelli ottennE la sua quota quando raggiunse i 25 anni. Partito militare per le Fiandre si distinse col suo esercito ricevendo sul campo il titolo di ‘cavallerizzo maggiore’ e cavaliere dell’Ordine di san Giacomo della Spada
-GIOVANNI BATTISTA, o GB: su descritto, tra i proprietari della nostra villa. Ricevette dalla madre Pellina 1000 scudi d’oro per decorare la casa grande di SPdArena. Di lui vedi anche all’inizio, dei proprietari a San Pier d’Arena.
-GIO CARLO – decimo dei figli di GB, nato nel 1611, scelse seguire la via religiosa, entrando nell’Ordine dei Carmelitani Scalzi, col nome di frà GB Maria di santa Teresa. Ricevette –per volere paterno, che nel testamento espresse chiaramente mirare più all’allargamento della discendenza maschile al fine di una conservazione delle fortune accumulate, che alle scelte dei singoli figli- una congrua partecipazione dell’eredità paterna, anche se inferiore a quella dgli altri.
-GIO DOMENICO, terzogenito figlio di GioMaria e zio di GioCarlo. Nel 1604 si avviò alla vita sacerdotale; al momento della scelta, allo scopo di migliorargli la qualità di vita futura, il padre gli fu comprò un chiericato a Roma (per 36mila scudi) con relativa residenza adeguatamente arredata dai genitori. Ciò lo iniziò ad una brillante carriera alla corte pontificia (Paolo V) divenendo nel 1626 cardinale (Urbano VIII) ed ambasciatore della repubblica in Vaticano nell’anno dopo. Dalla madre Pellina ricevette in eredità 10mil scudi. Morì l’11 ago 1646.
-GIOVANNI MARIA sposò Pellina Lercari (figlia del doge GiovanniBattista, erede di un vistoso patrimonio paterno tra cui forse anche la villa della Semplicità nell’attuale via N.Daste), dalla loro unione discese la casa dei Duchi di san Pietro.
-GioFILIPPO grande ed appassionato collezionista di quadri: arrivò a sfidare le severissime leggi della Repubblica di Venezia attuando una illecita esportazione della grande tela del Veronese ‘Cena in casa di Simone’, impegnandosi a pagarla settemila ducati d’oro (pari a venti chili del prezioso minerale).
-LUCA (di Agostino) nel 1575 ebbe valutato il suo patrimonio a 150mila scudi, uno dei più alti della famiglia. Viene soprannominato ‘boeno’ forse perché nato nella villa di Rivarolo detta ‘la buena’. Morì 86enne nel 1589. Si era unito a nozze con Violantina Spinola della linea di Luccoli dalla quale nacque GioMaria. Fu questi, che sposatosi con Pellina Lercari, ricevette in dono i cospicui beni dell’ex doge GB Lercari.
-LUCA (di Battista, 2° doge). Del ramo di s.Luca, marchese di Lerma, signore di Campoligure. Fu 12°doge dal 4 genn.1551 al 3 genn. 1553. ‘Vir strenuus’, uomo di ferro, scrupoloso della legge. Aprì la ‘strada Nuova’. Soggetto ad un attentato per commissione, ne sfuggì ma morì il suo amico Pinelli; scoperto il mandante, lo fece decapitare anche se era un giovanissimo che voleva salvare l’onore del padre caduto nei rigori delle leggi varate dal doge.
-GioLUCA (quartogenito di GioMaria; divenne importante personaggio genovese sia nell’amministrazione della Repubblica (per due volte -1626 e 1639- votato nel Senato) e sia nel mercanteggiare soprattutto in Spagna. Il 16 ottobre 1608 sposò Battina Lomellini di Giacomo (la quale morirà nel 1668) e con la quale ebbe quattro figli GB (arcivescovo di Genova); GiacomoMaria; GioDomenico e Maria. Diede inizio ad un proprio ramo Spinola, caratterizzato da forte personalità, altamente qualificato in città, filospagnolo e filo pontefice. Non possedendo casa propria, risulta abbia cambiato residenza più volte finché nel 1643 acquistò dai DeMari un palazzo a Genova, ma intestandolo al fratello GioDomenico, cardinale e forse ‘sponsor’ dell’acquisto. Dalla madre Pellina ricevette in eredità i 7/20 dei suoi beni (testamento del 1621) tra i quali “la casetta con villa in SPdA”, posizionata sopra la ‘domus magna’, abbonandogli tutti i debiti di affitto (significato che quindi già la abitava... gratis). Morì nel gennaio 1670 e sepolto a s.Nicolò del Boschetto.
-LUCA (di Gaspare) nato nel 1599 circa. Si sposò il 18 giugno 1615 con Pellina Spinola ↓ vedi sotto; nozze narrate nell’affresco del salone strisciato sotto le imprese di Megollo). A quella stessa età era impegnato in fruttuose operazioni finanziarie in Spagna e suoi domini, potendo così acquistare il feudo di Molfetta del quale divenne ‘principe’, marchese di Dego ed altre terre del Monferrato.
(ci sono i due sposi: lui – con un servo-; la sposa che, nel caso sarebbe Battina Lomellini - al centro tra due sorelle-; la madre, vedova di GiovanniMaria Pellina Lercari vestita a lutto; la cognata Maria, padrona di casa e moglie di GiovanniBattista, con diadema-; GB vestito spagnoleggiante; Ambrogio -col toson d’oro-).
-PELLINA – primogenita di GB e di Maria, nacque nel 1599 ca e si sposò sedicenne – con dote di 40mila scudi d’argento- al consanguineo (di terzo grado; occorse la dispensa) Luca Spinola di Gaspare del ramo di san Luca. Dalle nozze nacquero due femmine, Aurelia (nata in pericolo di vita il 31 genn.1620; sposata col marchese Ercole Grimaldi che diverrà principe di monaco) e Veronica (nata 1625; sposerà lo zio materno GioFilippo portando in dote il titolo di principe di Molfetta; e che morirà il 14 febb.1688)
-TOMMASINA fu moglie di Luca Spinola. Dotata di bellezza ed ingegno, divenne famosa per il suo platonico innamoramento di LuigiXII, quando lui ebbe a venire a Genova. Tenne col re una lunga ed appassionata corrispondenza cercando anche di appoggiare i suoi patrioti e la sua città. Morto il re, ella si ritirò in solitudine morendo anche lei, nell’anno 1505 lasciando fantasticare i cronisti su questo rapporto.
-VERONICA – terzogenita di GB, nata il 18 giu.1601 – Nel 1616 mentre il padre era in Puglia, fu promessa in sposa al cugino Davide Imperiale; nozze rimandate perché morì il suocero Michele marchese d’Oria. Le trattative ripresero a Genova e si conclusero con 40mila scudi d’argento per dote, investiti al 6% annuo in redditi del Regno di Napoli (3300 ducati all’anno). Partorì nel 1623 un figlio maschio nato a Francavilla e chiamato David Imperiale. Quando rimase vedova, andò suora nelle Turchine.
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