Dal Pagano 1961
Procedendo verso Rivarolo, era la traversa verso ponente, subito dopo via Bezzecca, dall’attuale via W.Fillak; chiusa. Adesso è un breve tratto stradale di una decina di metri, che incrocia la laterale di via Bezzecca.
Prima però, ed ancora nel 1933 era ancora “via san Fermo” ed aveva alle spalle la fonderia.
Fu denominata ‘via Filippo Santacroce’ con delibera del podestà del 19 agosto 1935.
Rimane inclusa nel Pagano/40 “da via delle Corporazioni”; con un civ. nero 1, e uno rosso al 2r s.a.eserc.fond.liguri Costruz.
Ancora nello stradario del Comune dell’anno 1953 è riportata via Santacroce, col n° di immatricolazione 2845 ; di 3.a categoria; “da via W.Fillak (chiusa)”.
La titolazione è stata soppressa dal Consiglio comunale nell’aprile del 1960, in concomitanza dell’erezione dei palazzi che ora in gran parte appartengono a via Bezzecca; ed incorporata nel nome unico del partigiano Fillak; infatti l’unico portone esistente, nel passaggio è divenuto civ.16A di tale via.
DEDICATA allo scultore in legno, nato ad Urbino nel XVI secolo e di cui abbiamo notizie solo da dopo il 1569 quando per interessamento del conte genovese Filippo Doria, ancor giovane, fu inviato a Roma a scuola di cesello.
Divenuto abilissimo, lo steso nobile lo accolse poi a Genova e lo occupò ad intagliare in minuto coralli, gioie, avorio, diaspri, cornioli e legni duri; e per creare piccolissime figure (famosi sono i volti dei dodici Cesari ed una passione di Cristo, incisi su noccioli di susina).
È ricordato pure per intagli di grande formato - detti “di giusta grandezza”, come statue e statuine da presepio (rivestite poi con abiti cuciti dalle figlie dei signori con i ritagli dei loro preziosi abiti); parti di navi (fanali, scritte, polene; in particolare sulla ”Capitana” di Giovanni Andrea Doria che partecipò alla battaglia di Lepanto nel 1571); e casse processionarie delle quali è ricordata quella dell’oratorio di sant’Ambrogio di Voltri Un atto (notaio Pellegro Pogliasca) del 1594 per l’oratorio di Voltri, ritrovato dall’Alizeri, sottoscrive il patto da parte dell’artista di “fabricare una cassa con santo Ambrosio a cavallo, di allessa di parmi cinque e mezo, con il chierico di altessa di parmi tre e mezo e angeli quattro (scomparsi)…”. In effetti – in una scelta ricca di personaggi in atteggiamento di battaglia, rappresenta s.Ambrogio a cavallo che sconfigge con una frusta gli eretic; anche il cavallo partecipa schiacciandone uno e mordendone un altro che urla dal dolore. Dietro, due chierici apparentemente estranei, aspettano invece l’esito sicuro dello scontro). Non si conosce il coloritore. Ma si sa che nello stesso anno il pittore Agostino Piaggio colorì un’altra cassa del Santacroce, scolpita per la stessa casaccia, rappresentante il martirio di s.Bartolomeo, ma andata distrutta
Chiamato familiarmente ‘Maestro Pippo’, i suoi cinque figli - chiamati Pippi, si dedicarono anch’essi con discreto successo alla stessa arte: forse è loro il soffitto della sala del Maggiore Consiglio in palazzo Ducale.
Di tutti più famoso fu G.B., nipote in quanto figlio di Matteo.
Morì a Genova nel 1607.
Artisticamente rientra nel complesso panorama della scultura lignea cinque-secentesca, caratterizzato da un elevato numero di artigiani-artisti, noti più attraverso le carte, documenti, contratti, che per le poche opere superstiti.
BIBLIOGRAFIA
-Archivio Storico Comunale -.Toponomastica, scheda 4035
-AA.VV.-Scultura a Genova e in Liguria-Carige-vol.I-pag.389.391-3
-Enciclopedia Motta (dice morto nel 1609)
-Genova rivista municipale : 8/37.34
-GrossoO-Le Casacce e la scultura lignea..,-Goffi.1939-pag.31
-Montaresi M.-Genova, dal borgo alla città-Erga.1990-pag.159
-Pagano ediz./1933-pag.230--/40-pag.401; 1961-pag. 379.446.quadro 72
-Stradario del Comune di Genova-ediz.1953-pag.159
non citato da Novella+Vigliero+ ESonzogno
SANTO CRISTO crosa Santo Cristo
Una crosa con questo nome viene citata nel regio Decreto del 1857, quando si volle definire quella parte della “strada superiore” o interna (il lungo serpentone costituito da via De Marini (oggi, compreso via L.Dottesio), via sant’Antonio e via Mercato (oggi via NDaste)) nel momento in cui essa andava a proseguire verso il ponte sul torrente Polcevera.
Il decreto, come limite alle singole parti della strada, pone dei nomi di proprietari delle case che – a quei tempi - dovevano essere conosciuti dai più: così ‘via Mercato’ andava da casa Monticelli, angolo con via della Cella fino alla casa Ferrando e fratelli Morasso, poste alla biforcazione con l’inizio sia della ‘crosa santo Cristo’ che quella di ‘san Martino’.
Infatti, di queste, la prima casa (Serra-Monticelli-Baselica) è la villa posta nell’angolo tra via N.Daste e via della Cella; la seconda (Ferrando) era all’altezza di via A.Scaniglia, quindi l’ultima di via Mercato; i terzi (fratelli Morasso) avevano casa vicino all’Oratorio dei Morti quindi nei pressi di via Alfieri.
Ma secondo la mia interpretazione non è mai esistita una simile crosa; e corrisponde alla cattiva lettura della “crosa san Cristoforo” (attuale via A.Scaniglia), per la quale l’estensore della legge erroneamente abbreviò il nome (un lapsus di scrittura) che favorì l’errore di interpretazione.
BIBLIOGRAFIA
Archivio Storico
(NB. il decreto, riportato sul Secolo XIX senza nessuna
ulteriore spiegazione né firma del ricercatore, è irreperibile come originale
sia all’Archivio di Genova che a quello di Torino; ed a me pervenuto come ritaglio
denza data di uscita del giornale)
SAPONIERA piazza della Saponiera
LA STRADA. Citata solo dal Gazzettino S., riferita ad un avvenimento occorso l’11.03.1817. Il giornale racconta infatti che gli abitanti del borgo vennero avvertiti dalla municipalità francesizzante di una distribuzione di pane alle ore tre dopo il mezzogiorno nella piazza su citata, e con la raccomandazione di presentarsi in tempo poiché dopo quell’ora le porte della piazza sarebbero state chiuse e non ci sarebbe stato più ingresso.
Nessun altro libro cita questo nome e nessun altro l’avvenimento. Per una localizzazione, si potrebbe allacciare alla crosa dei Buoi: per fare il sapone occorre il grasso o l’olio: essi potevano arrivare via nave, ma potevano anche essere raccolti in una zona locale di macellazione che però nessun testo riporta.
Concesso che quest’ultimo sia vero, è accettabile che il nome della
piazza fosse popolare e tale da essere conosciuto dai più; di conseguenza -molto presumibilmente- lo doveva in merito ad una delle numerose fabbriche di sapone, forse più grossa e rappresentativa delle altre.
All’erezione della ferrovia, e con l’espansione dell’Ansaldo, una conosciuta fabbrica di sapone era in attività alla Fiumara; ma non sarebbe stato logico riferirsi ad essa per il nome del titolo in trattazione, perché in zona decentrata per una distribuzione di pane alla popolazione.
Evidentemente fa parte dei nominativi non ufficiali (ché - a quei tempi - non esistevano ancora targhe comunali, e solo le strade più importanti avevano un nome - decretato dall’uso - e non dalla ufficialità), e legato ad una denominazione di comune conoscenza, di qualcosa (nel nostro caso uno stabilimento fabbrica di sapone) ritenuto punto di riferimento generale.
DEDICATA Saponifici sono citati dal 1700 in quantità fino a 25-30 per tutto il borgo, con un totale di 50-60 operai. In quel secolo, l’industria del sapone era monopolio dei liguri.
Si descrive che il nome sapone derivi dal dialettale toponimo Savona.
Ma, come spesso accade, l’avidità del guadagno e la non capacità imprenditoriale genovese fecero precipitare questa tradizionale produzione: sopratutto, inventare variazioni lì per lì economicamente vantaggiose, quali l’aggiunta di talco, steatite, barite, ecc.
Della fine del 1500 sono editti mirati - con pene pecuniarie pesanti - a frenare le frodi, che coinvolgevano anche le altre produzioni – in primis la seta che per legge non doveva essere “insaponata con la feggia” altrimenti “si dava cattivo odore al panno e non poco pregiudizio alla tinta“; la punizione era pecuniaria (£.200, restituzione della somma percepita ed una inabilitazione all’esercizio per un periodo di tempo stabilito dai prestantissimi Magistrati”); ed il tintore che avesse egualmente usato tale sapone adulterato, sarebe incorso nelle stesse pene.
Il sapone doveva essere “della bontà dovuta” e non con le seguenti misture “olio, bratta, soda mischia con calcina” (la soda e la calce costituivano lisciva la quale veniva mescolata con la bratta a formare il sapone adulterato).
I francesi di Marsiglia e gli inglesi, ebbero alcune sagaci e vincenti capacità: modernizzare gli impianti (con ovvio minor costo alla base); inizialmente non modificare la purezza del prodotto; imporre dazi alti all’importazione – escluso il mercato dell’olio a dazio zero di importazione - e trovarne - bassi per i saponi e alti per l’olio - alla nostra frontiera. Con queste caratteristiche, soppiantarono il mercato ed il nome internazionale. Una volta acquisito il ‘business’, anche loro adottarono le alterazioni qualitative (soprattutto il talco) spaccialdole per miglioramento commerciale salvaguardando il nome ‘di Marsiglia’.
Inizialmente i nostri produttori trovarono sfogo esportando nell’America (USA e Perù, sopratutti); e tutto funzionò con guadagno, finché anche loro non sbarrarono l’importanzione alzando i dazi.
La lavorazione del sapone si allaccia all’importazione ed alla lavorazione di olio d’oliva (e tutti i derivati estratti dalle grane oleose), soda (quella caustica, necessaria per la produzionbe di certi saponi, era più conveniente importarla dall’Inghilterra che produrla a casa nostra) e legname necessario per i fuochi; ed alla produzione delle candele steariche (anche di queste la nostra città era fiorente, ma vessate da leggi che ne impedirono la prosperità).
Continue dovevano essere le difficoltà operative perché -in genere- piccole industrie, monofamiliari, carenti di operai e quindi di mercato, essendo il nostro interno invaso dai prodotti inglesi malgrado fossero meno puri (usavano olio di palma e di cocco, resine grasse).
Eppure, dalla relazione dell’ing. Oneto del 1876, l’industria locale del sapone è citata al terzo posto (dopo la meccanica e gli zuccheri); e la città quantificata ‘il punto più importante d’Italia’.
Cronologicamente, nella storia industriale-artigianale locale, si inizia a parlare di saponifici nei primi anni del 1800; in particolare, il 1838 segna inizio di significativa ascesa produttiva generale:
1830 (vedi in San Pier d’Arena)
1840-70 (idem);
1841 esistono sul territorio ben 30 fabbriche e 50 addetti;
1847 esistevano nel borgo ben 25 fabbriche di sapone, che davano lavoro a 57 operai; erano numericamente oltre la metà dei saponifici liguri;
1850 (vedi in via Daste e San Pier d’Arena); 1869 (idem);
1863 sempre 30 fabbriche ma 100 operai;
1868 24 fabbriche con 65 operai;
1876 dalla relazione dell’ing. Oneto, l’industria locale del sapone è citata al terzo posto (dopo la meccanica e gli zuccheri); e la città quantificata ‘il punto più importante d’Italia’. Vengono citate come ‘primeggianti’ fra tutte (perché capaci di produrre tutte le qualità e tutte le quantità) la ditta Oneto Agostino & C.; ditta Giacomo Canale; ditta Smith; ditta J.Meyer (posta –nel 1890- in via Garibaldi, 14° - di fianco alla Oneto, dove oggi è ENEL); ditta L.Traverso
1880 inizio di ripresa
Dei produttori, vengono citati in particolare:
=Oneto Agostino 1889-1902 (una delle due è scorretta=sarebbe vissuto13 anni; G23 25) Titolare –se non esistono omonimi-. Forse preceduto da -Francesco 1868 e seguito da -Luigi 1901 (SA30).
L’azienda, ‘ditta Agostino Oneto &C’ posta in via Garibaldi 14 (via A.Pacinotti; dove è l’Enel) smerciava sapone comune (uso industriale e domestico per toeletta) in America ed in Europa conquistando mercato (per il sapone palmitico-resinoso) una volta esclusivo dell’Inghilterra.
Nel 1875 prevedendo ultimare un locale a tramontana del fabbricato principale prospiciente via Garibaldi presentò in quest’anno al sindaco il progetto (ripresentato nel 1890) degli ing. Salvatore Bruno e Luigi Macciò prevedendo un nuovo impianto ferroviario con scalo merci, allacciamento al porto e raccordo con la linea di Torino al fine di decongestionare il traffico su rotaie divenuto caotico e convulso a livello di s.Benigno. Nel 1876 occupava 60-70 operai, produceva mille q./mese, viene citata come ‘primeggiante’ fra tutte le industrie locali perché capace di produrre tulle le qualità di merce, ed in tutte le quantità. Lo stesso Agostino, ingegnere, diverrà consigliere comunale nel 1882; e la sua carta da lettere –ai due lati del nome- riportava un disegno di un veliero da una parte e di un pezzo di sapone dall’altro.
In quegli anni in via Gioberti al civ. 13 compare una non meglio specificata ‘opera Pia Oneto’ che nel 1902 ritroviamo proprietaria del civ.13 di via Gioberti.
Nel 1902 l’azienda compare aver uno dei primi telefoni, col n. 815.
Nel 1925 l’opificio venne scalzato dall’OEG che progressivamente allargò gli spazi, sacrificando il saponificio Oneto e buona parte delle scuderie di Carpaneto.
Oneto Luigi ( -1923) Molto probabilmente è lui che, impegnato nel sapone ed amante della vela, aprì sulla spiaggia un piccolo cantiere per barche a vela destinate soprattutto all’hobby delle regate (che allora stava nascendo anche in Italia: in Inghilterra ed USA era da 50 anni che esistevano le regate, quasi tutte per scommesse); ed è a lui che il com. DeAlbertis si rivolse nel 1876 circa per costruire una prima goletta,’ Violante’, 12 metri circa, varata non ad uso mercantile come erano tutte sino ad allora, ma per crociera o diletto (stiva adeguata allo scopo, con maggiori comodità e raccolta di frutti di raccolta di ricerca scientifica: minerali, fotografie, scoperte, costumi, maschere, vasi, ecc.).
E sempre a lui, per progettare nel 1893 uno yawl di 25,5 m, costriuito poi a SestriP, chiamato Corsaro, partito da Genova il 3 giugno 1893- dopo sosta a Cadice- il 22 iniziò la traversata dell’Atlantico impiegando, 27gg e 22h x 3850miglia, per arrivare a san Salvador e poi trasferirsi a NYork
Alla fine del 1800, con l’introduzione dei motori, poco a poco furono smantellate tutte le barche a vela (dei Leverato, Fossati, Bertorello); fu allora che Luigi ebbe l’intuito di ricuperare le imbarcazioni a vela per farne regate. Pioniere, fece di SPdA il fulcro iniziale di tanti appassionati (e poi valenti campioni in maestose regate al largo della nostra città), dello Yachting Club nazionale e del Club Nautico Sampierdarenese (nato nel 1901) dei quali l’Oneto fu il fondatore. Così unì al mestiere di industriale la passione nautica che lo portò ad essere il disegnatore e forse anche armatore di yacht da gara, più noto e famoso anche all’estero. I velisti sampierdarenesi, sia come conduttori che costruttori (assieme a Luigi Oneto, si ricordano Gilberto Pestalozza e Nicolò Russo) oggi sono sfumati nel nulla, ma in quegli anni di primo secolo, erano fonte di gloria e di orgoglio cittadino, vissuto con la stessa intensità di una vittoria oggi della squadra di calcio del cuore, specie nell’edizione annuale della “coppa Città di Sampierdarena”. Tra le 19 imbarcazioni più famose da lui ideate troviamo il ‘Violante’ ed il ‘Corsaro’ che portarono in tutti i mari del mondo il cap. Enrico D’Albertis. Morì ottantenne il 13 agosto 1923 nella sua ‘villa Remondina’ a Serravalle ---
Il “Giornale di Genova” del 29 ago 1935 conferma che Oneto Luigi era proprietario di un grande e floridissimo saponificio (non sappiamo se parente –fratello- di Agostino) e che per riposare veleggiava davanti alla spiaggia.
=Oneto Francesco nel 1868 al civico 3 di via CColombo, che aveva inventato e fabbricava “un nuovo sapone giallo ad uso inglese”; nella strada aprì una rivendita.
=Canale Giacomo citato 1876- grosso esportatore in Sardegna malgrado la concorrenza di Marsiglia. Nel 1889 risultano ‘fratelli Canale’.
Ed altri, in ordine alfabetico:
Barabino Gerolamo (via Colombo); Beerle A&C nel 1900 (via Colombo); Casanova Salvatore (via Colombo); Castello Vitt. 1889; Castello Matteo fu GB; Casanova Salvatore; DeMarchi Gerolamo (A74); Galleano Tomaso; Galliano Pietro; Leverato Stefano (via Gioberti); Lombardo Giov.1889 poi Lombardo f.lli 1900 (via Daste); Meyer Isidoro 1889; Morgavi AE 1925 (via T.Grossi); Montano Nicolò 1908 (via Colombo- p.zza Montano); Morasso Luigi (via Bombrini - PA5); Moro flli (via Colombo); Paita 1889; Pavese (via Garibaldi); Premuselli frat. 1889; Queiroli-Calvi; Romairone Giuseppe (via SPdA) ed un Romairone frat.di Agostino; Sasso (vedi sotto); Smith; Traverso Luigi; Tubino Salvatore (via Bombrini PA154)
BIBLIOGRAFIA
-Gazzettino Sampierdarenese: 2/94.7
-Lunario del signor Regina-Pagano.1899-pag.541
-Oneto A.–industrie in Sampierdarena-Rivista Marittima-febbr.1876-p.334
-Pagano (da ricercare nelle varie annate)
-TuvoCampagnol-Storia di
Sampierdarena-D’Amore1975-pag.190
SASSO via privata Sasso
Corrisponde all’attuale via Gioberti, prima che le dessero ufficialmente questo titolo, e quando invece popolarmente veniva indicata per lo stabilimento (oleificio?) omonimo che si apriva nella strada.
Rientra, e quindi già presente ed indicativa, nelle strade riconosciute dal regio decreto del 1857, che per la prima volta nella storia cittadine fornisce una prevista nomenclatura delle strade principali.
Il fatto che fosse “privata”, sottolinea l’uso limitato allo stabilimento; seguendo l’usanza di allora di indicare le strade neoformantesi in rapporto all’oggetto popolarmente più facile a conoscersi, e significativo per indicare la zona.
È probabile quindi che la titolazione, rimossa da questa strada centrale, l’abbiano solo spostata in zona Fornace.
DEDICATA , presumo, al titolare dell’oleificio (o saponificio) Sasso (vedi via GB Sasso).
Omonimi, ma l’azienda si chiamava”fratelli Sasso’, gli imprenditori che avevano aperto nel 1889 nel quartiere san Martino una fabbrica di pallini e di tubi di piombo, ed ancora erano attivi nel 1930. Considerato il numero della manodopera occupata nell’oleificio, e la concomitante presenza nella strada dello stabilimento oliario, è più probabile sia per quello descritto in testata.
SASSO via G.B.Sasso
TARGA:
S. Pier d’Arena – 2846 – via - G.B. Sasso – industriale sampierdarenese – 1840-1914
Via – G.B. Sasso – industriale sampierdarenese – 1840-1914
angolo con via P. Cristofoli
angolo con via N.Ardoino
QUARTIERE MEDIEVALE: san Martino
da MVinzoni, 1757. In fucsia la chiesa di s.Giovanni Decollato (don Bosco); celeste, via s.Giovanni Bosco; giallo, via CRota.
N° IMMATRICOLAZIONE: 2846 CATEGORIA: 3
da Pagano/1961 da Google Earth 2007. In giallo, via Arduino.
CODICE DELLA STRADA - N° INFORMATICO 56500
UNITÀ URBANISTICA: 25 - SAN GAETANO
CAP: 16151
PARROCCHIA: s.Giovanni Bosco
STRUTTURA: senso unico viario da via P.Cristofoli (Google=fucsia) a monte dell’incrocio via C.Rota (Google=celeste), a via N.Ardoino (Google=giallo).
Da accesso alla salita di “scalinata dei Landi” (Google=rosso).
E’ servita dall’acquedotto DeFerrari Galliera
Ne Il Secolo XIX/ 03 e 04 si legge che è stata inclusa nell’elenco delle ‘vie private di interesse pubblico’ e quindi programmata a divenire municipale con passaggio gratuito, per usufruire di manutenzione e dei servizi generici quali fognature, spazzatura, illuminazione, asfaltatura ecc.
STORIA: sino al 1900, il terreno era proprietà Durazzo Pallavicini, curato a prato e orti.
In una carta del 1890 si dimostra che -stante una ‘fame’ di alloggi popolari assai pressante- .tutta la zona fu lottizzata ed ogni imprenditore, nel suo terreno, poteva costruire con ottimi profitti.
Nel 1905 via Cristofoli era appena tracciata; e anche la nostra strada, allora aveva in erezione i palazzi che poi la hanno delimitata: durante la loro erezione era quindi ancora solo un anonimo camminamento privato, usato dai muratori.
Al suo compimento fu intitolata via Alessandro Manzoni (e tale era ancora nel 1933, di 5.a categoria, con civici sino all’ 1 e 10, e che collegava via P.Cristofoli con via C.Cattaneo =N.Ardoino).
Con delibera del podestà, il 19 agosto 1935 fu denominata ‘via G.B.Sasso’.
CIVICI
2007-NERI = 1 e da 2 a 10
ROSSI= da 1r a 13r (compresi 7F e 9AB) e da 2r a 20r.
===Nel Pagano/40 esiste “da via P.Critofoli a via C.Cattaneo” ed ha solo civv. rossi 1 fruttiv.; 3 latteria; 5 vini; 8 ottoniere; 11 lavor. latta Fossati Giaconmo; 11 fabbr.cornici Bocci Ernesto
===Nel Pagano/1950 è citata solo al 5r=una osteria, di Ivaldi Maria; non bar né trattorie. Il quello /1961 i numeri rossi vedono: 1r=fruttivendolo; 3r=latteria; 4r=calzolaio; 5r=osteria; 8r=ottoniere; 11r =lattografia Fossati&C; 12r=carrozziere; 14r=ORLEM officine elettromagnetiche; 16=panificio
===civ.10 (Nella curva) abitava la famiglia in cui è cresciuto Natalino Codognotto, più noto come Natalino Otto, cantante sposatosi 1955 con Flo’s Sandos (Mammola Sandon); e con lei ebbe una figlia, Silvia. Era nato a Cogoleto nel 1912 penultimo di cinque; e trasferito qui all’età di tre anni col padre ansaldino. Da bimbo fu affetto da polio, che guarì lasciandogli un lieve handicap nel camminare. Andato tredicenne a lavorare in una officina, già era bravo a percuotere una batteria e ritmare i tempi delle canzoni in voga. Meno pesante fu il secondo lavoro di sarto; ma il balzo fu l’offerta -1935- di suonare –e poi anche cantare- sul Conte Biancamano, durata due anni. Durante il conflitto continuò a cantare in compagnie di varietà e con Gorni Kramer che lo lanciò in alcune incisioni che permisero di farlo conoscere in campo nazionale e cantare nelle migliori orchestre (Semprini, Mojoli, Kramer ecc.). Il suo stile era lo slow, il ritmo lento, al limite quello moderato. Morì precocemente per cardiopatia nel 1969
===civ.11r c’era negli anni 1950-60 lo stabilimento di lavorazione della latta (recipienti, scatole, ecc) e della relativa litografia di Fossati Giacomo e f.lli, con sede anche in via U.Rela. Nel 2008 c’è un gommista.
Il piccolo edificio è – nel retro – strettamente collegato alla linea ferroviaria che dal porto va al Campasso. Negli anni dell’ultima guerra, era di transito durante gli allarmi per scappare in galleria.
È punto di interesse qualora la linea potesse diventare metropolitana di ponente, quale punto di fermata intermedia.
===civ.13r dagli anni 2000 esiste una moschea, luogo di culto musulmano.
DEDICATA ad un industriale, presumibilmente concittadino, ma di incerta definizione sociale.
Nel 1889 compare Consigliere nella giunta comunale locale guidata dal sindaco Dall’Orso Pietro
Il giornale politico-amministrativo ‘La Ragione’ pubblicato a San Pier d’Arena nell’ anno 1890 nel numero di luglio sostiene la candidatura di un Sasso GB industriale per le elezioni amministrative del giorno 20 (assieme a Giovanni Bombrini, Carlo Orgero pittore, Natale cav Romairone (direttore della Cassa generale) e Lazzaro dr Canessa).
A) forse è lo stesso che impiantò in via Gioberti, a ponente dalla neonata strada, uno stabilimento per la lavorazione dell’olio di oliva e/o saponificio.
Appare il più probabile perché combacerebbe tutto, escluso -ma fondamentale- il periodo di vita delimitato dalle due date sulla targa. Alcune carte della ferrovia del 1847-50 (quando il titolare avrebbe avuto 7-10 anni) citano un Sasso Emanuele fu GB quale proprietario del terreno a levante della crosa sant’Antonio (poi divenuto vico stretto sant’Antonio), esteso dalla “strada comunale interna” (via N.Daste) alla “strada Reale” (via Sampierdarena - sulla quale si apriva la casa di proprietà) e coltivato ad orto. Quindi è probabile che il Nostro sia un omonimo, ma nipote del vecchio GB, e figlio di Emanuele: allora usava dare ai nipoti il nome di un nonno, specie il paterno. Non si sa chi dei tre aprì lo stabilimento, ma probabilmente il Nostro fu quello più famoso e che allargò con fortuna le sorti dell’opificio.
Il primo GB, doveva già essere un possidente, essendo subentrato proprietario del vasto appezzamento di terreno -nel quartiere sampierdarenese detto Boraghero, subito a levante della Cella-, quando la strada neanche esisteva; e prima che il tutto fosse interessato al taglio -a metà- operato dalle ferrovie e dalla neonata strada Reale -attuale via G.Buranello- nel 1847; in quella data , come già detto, la proprietà era di Sasso Emanuele fu GB .
Cronologicamente quindi: 1°GBàEmanueleà2°GB).
B) molto meno probabile, uno dei fratelli (non se ne conosce il nome) che lavoravano il piombo. Essi risultano presenti in città (allora facente parte del 1° circondario di Genova) nel 1889, tra i “fabbricanti di pallini e tubi di piombo” (vedi in via P.Reti).
Alla data 1889 – a mie mani- nessun altro Sasso svolgeva attività industriale neanche collegata al commercio. Negli ultimi anni del 1800 nessun Sasso abitava in via Gioberti né in via C.Colombo allo sbocco con questa strada, ove doveva esserci la villa del 1° Sasso GB.
Nel 1933 nel Pagano, unici Sasso in attività a Genova sono solo sempre quelli dei pallini .
BIBLIOGRAFIA
-Archivio Storico Comunale
-Archivio Storico Comunale - Toponomastica , scheda 4064
-AA-.VV.-Annuario guida archidiocesi-ed.1994-pag.444; ed.2002-pag.480
-AA.VV.-Il don Bosco nella storia urbana-DonBosco.1997-pag.61cartine
-Beccaria R.-I periodici genovesi dal 1473 al 1899-Ge.1994-pag.490
-Bosio&Pastor&Rinaldini-il Don Bosco-Algraphy1997-pag57
-Il Secolo XIX del 23.08.04
-Lamponi M:- Sampierdarena- Libro Più.2002- pag. 160
-Lunario genovese del signor Regina-anno 1889-pag.541
-Pagano –ed.1933-pag.247; /40-pag.404; ed.1961-pag.383
-Poleggi E. &C-Atlante di Genova-Marsilio 1995- tav.22
Non è citato in DoriaG.-investimenti e sviluppo…Giuffrè 1973
“ “ “ “ Oneto A.-industrie in Sampierdarena-1876-.
SAVOIA piazza Savoia
Nell’anno 1900 - regnante da questo stesso anno Vittorio Emanuele III dopo l’uccisione di re Umberto I - venne proposta alla Giunta comunale di ufficializzare la titolazione alla piazzetta facente parte a mare della via Cristoforo Colombo, e che popolarmente veniva chiamata “piazzetta d’ingresso ai bagni Savoia”; dedicandola in omaggio al nuovo reggente la casa regnante.
I bagni Savoia erano, di tutta la spiaggia, decisamente tra i migliori e più curati, frequentati solo dall’élite dei benestanti che potevano godere di un alto reddito e quindi di una migliore gestione.
Nel 1910 piazza Savoia è inclusa nell’elenco stampato dal Comune delle sue strade e piazze, localizzata ‘da via C.Colombo al mare’, con solo il civ.1.
Nel 1927 la piazza è presente nell’elenco delle strade presenti nella neonata Grande Genova, ed è classificata di 5.a categoria.
Nel 1933 la piazza era ancora tale, e con un civico, il n.1.
Con delibera del Podestà, il 19 agosto 1935, venne cambiata la titolazione in “piazzetta dei Minolli “ (vedi).
DEDICATA
L’origine della casa Savoia si perde nell’oscurità del X secolo; ma già dall’XI secolo era tra i potenti del mondo di allora con il conte Umberto I Biancamano (970-1048 circa), considerato il capostipite, e seguito -per 43 generazioni- da principi, sempre regnanti o comunque dominanti, anche con diverse denominazioni: conti di Moriana, di Savoia e di Aosta, duchi d’Italia, principi di Piemonte, re di Sardegna, re d’ Italia.
La casa regnante in Italia discende dai Savoia principi di Carignano. A Vittorio Emanuele I (1802), successero Carlo Felice (1821), Carlo Alberto (1831), Vittorio Emanuele II (primo re d’Italia dal 1849), Umberto I (dal 1878), Vittorio Emanuele III (dal 1900), Umberto II (nel 1946). Preferiamo tacere sulle due generazioni successive, ancora viventi nel 2008, soggette a molto discutibili e tendenzialmente squallide notizie di cronaca moralmente vicina al nero.
La Savoia come regione, insieme a Nizza, fu ceduta nel 1860 alla Francia in seguito agli aiuti forniti dai trasalpini nella lotta antiaustriaca.
L’atavica bramosia di espandersi e dominare i vicini, la Liguria in particolare con il conseguente ‘sbocco al mare’, inficia gli ampi meriti acquisiti dai Savoia lottando sempre per l’ unificazione d’Italia, da Carlo Alberto a Vittorio Emanuele III (Trento e Trieste tornarono alla madre patria sotto il suo regno). Ma opportunamente alla storia fu bendato gli occhi stendendo per anni una opportuna cortina di silenzio mirata a mascherare il metodo tirannico usato per tenere unita la penisola e poi le colonie: la mano pesante verso Genova si somma con quella sicula (il brigantaggio) e si sposa felicemente con la violenza fascista.
La figlia di VE III (Mafalda 1902-1944) morta in un campo di concentramento a Buchenwald, non controbilancia l’accumulo fatto dal re di tutta una serie di tragiche scelte (accettazione del fascismo e del colonialismo, della guerra, delle leggi razziali, della fuga all’estero) che offuscarono pesantemente la sua immagine governativa.
La Repubblica - nata dopo il referendum istituzionale del 2 giugno 1946 - nella sua Costituzione ha sempre negato ai componenti maschi della famiglia la possibilità di rientrare in Italia dall’esilio. Per anni si parlò di concedere agli eredi maschi della famiglia reale la libertà di movimento (e con esso, anche del rientro in possesso dei beni terrieri, e di quant’ altro, che era di famiglia nel territorio e nelle banche). La legislazione in merito iniziò nell’anno 2002 ad essere votata; e divenne effettiva alla fine dell’anno 2003- metà 2004.
Ma nei pochi anni a seguire, sopratutti Umberto III si è macchiato di tali imbecillità delinquenziali, da sclassificare completamente il suo titolo ed il suo casato.
Per una valutazione dei rapporti di Genova con i re del Piemonte e della Sardegna, vanno distinti i periodi separati:
---Prima del 1815 La storia risale al 1390, quando il Conte Rosso faceva palesi pressioni verso il litorale ligure.
Ricapitò nel marzo 1625 quando il duca Carlo Emanuele I°, altrettanto ambizioso ed audace, alleatosi con i francesi (seppur classificati ugonotti e propagatori di eresie) si mise in marcia da Asti per arrivare a Genova (28mila uomini di cui 650 a cavallo, con 24 cannoni,15 colubrine e pezzi da campagna trainati da 600 buoi) passando per Savignone: le sue forze si scontrarono con i genovesi comandati da Battino Maragliano il 10 maggio sul monte Pertuso (ove poi fu costruito il santuario di N.Signora della Vittoria), e furono sconfitte.
Ma i pruriti non furono sedati: il Senato dovette ricorrere alla costruzione delle mura (1632) le cui imponenti difese furono erette proprio contro le velleità di conquista dei Savoia (è di quei tempi una poesia satirica intitolata “gabbada che fa il gobbo di Rialto al gobbo di Savoia” in cui si pone in ridicolo il desiderio di conquistare Genova).
=Vacchero Giulio Cesare, ricco mercante fu allettato da promesse della corte dei Savoia e programmò una rivoluzione contro la Repubblica; scoperto, fu giustiziato nel 1628 , ed i suoi beni immobiliari in via del Campo a Genova, rasi al suolo.
=facciata ovest palazzo ducale ***
===alleanza con austroungarici nel Balilla***
Non si descrivono i mille e mille microepisodi in riviera e lungo i confini, a testimonianza di un non minuto malanimo ed acrimonia.
Peggio fu quando (1814) con la Restaurazione la città perdette la sua libertà repubblicana: scomparsi i francesi ed instaurato un Governo provvisorio, si esultò all’idea di un ritorno all’indipendenza. Ma la realtà si presentò frustrante: il Piemonte lavorando sotto sotto diplomaticamente aveva ottenuto che l’Europa gli concedesse la Liguria (l’Inghilterra... tanto amica, l’aveva già promessa dal 1805); il 12 novembre 1814 a Vienna le otto potenze che ridisegnarono l’Europa aggiudicarono Genova al Piemonte malgrado la chiara volontà di non accettare l’annessione.
---Dopo il 1815
È Legge internazionale che uno Stato per annettersi un territorio, è indispensabile proponga un plebiscito; e così fu per i vari ducati (Modena, Parma, Toscana) e regni (Borboni e Papato); escluso per la Liguria, perché mai nessuno firmò né votò la accettazione di quanto stabilito dal Trattato di Vienna.
Il 7 gennaio 1815, regnando Vittorio Emanuele I (Torino, 24.7.1759-Moncalieri 10.1.1824 secondogenito di VittorioAmedeoIII. Personaggio tendenzialmente pavido e contrario ai principi della Rivoluzione francese, apparve senza aspirazione a governare, titubante nell’affrontare la patata bollente delle popolazioni in sommossa (a partire con i moti del 1821)). Al congresso di Vienna, ebbe con Thaon DeRavel la presa di possesso del territorio ligure, instaurando un soffocante regime assolutistico (abrogò i codici napoleonici, ripristinò la legislatura prerivoluzionaria, riaffdò l’istruzione ai sacerdoti, discriminò ebrei e valdesi).
Genova, allora abitata da 80mila persone, fu per il re proveniente dalla Sardegna, una debacle di prestigio e cocente umiliazione con una fredda accoglienza, ‘senza entusiasmo e con non poco broncio’ da parte delle autorità e della popolazione. Un famoso quadro di Felice Guascone ne fissa l’immagine dolente ed indifferente, quando venne a Genova insediando una guarnigione di settemila soldati (un decimo della popolazione) chiaramente finalizzata alla repressione.
Il 12 marzo 1821 il re di Sardegna abdicò in favore del fratello Carlo Felice ultimogenito (di quattro figli di Vittorio Amedeo III. In un periodo (1815-1845) in cui tutti i servizi si erano azzerati, la situazione economica era divenuta drammatica, il porto praticamente inattivo, l’analfabetismo al di sopra del 50%, all’improvviso, si aggiunsero iniziative e traffici bloccati da una politica piemontese protezionista delle proprie finanze ed una pressione fiscale nuova ed esasperata; nonché l’asservimento ad un Palazzo lontano, diffidente, inizialmente disinteressato ed altezzoso.
Sposo di MariaCristina Borbone. Fu definito “re triste”, snobbato dai sudditi diretti perché taciturno e con forti aspirazioni religiose; ma caparbio lo fu da subito quando rientrato a Torino da Modena ove era al momento della nomina, in pochi giorni disfece la “fuga in avanti” portata dal reggente CarloAlberto che aveva concesso la costituzione ed una giunta di governo. Affrontò con fermezza la ribellione di Santorre di Santarosa, si oppose ad ogni apertura, favorì solo l’aspetto finanziario, la lotta ai pirati e la giustizia. Così mal sopportato ed impopolare anche a Torino, divenne forse un po’ coccolato dai genovesi per i quali nutrì una particolare sensibilità (patrocinò il teatro, inaugurato il 7.4.1828 con un’opera di Bellini) non ricambiata perché alla cerimonia, la nobiltà preferì eclissarsi anticipando la villeggiatura.
Un decimo della popolazione era divenuta e classificabile ‘povera o addirittura mendicante’; la mortalità infantile arrivò al 40% e quella generale ai vertici del sopportabile (nelle epidemie del 1854-5 morì il 70% dei ricoverati: 3504 su 5032).
A peggiorare i rapporti col Piemonte, ci fu Lamarmora (1849) quando soffocò, per ordine del neonominato re di Sardegna Vittorio Emanuele II (Torino 14.3 1820-Roma 9.1.1879), i moti popolari genovesi, nel modo più crudele, suffragato dallo spregio dello stesso re che chiamò i genovesi ‘vil razza dannata’; e quando per sua rabbia si dovette subire l’onta dell’abbassamento della coda dei grifoni a mortificazione del titolo di Superba.
Antisavoia irriducibili quindi, avversione radicata, aperta e palpabilmente sentita a Torino dove l’espressione di cui sopra significava che eravamo considerati contrari al governo, di infimo livello e quindi da reprimere con direttive severe e punitive. Anche per Cavour, che normalmente parlando e scrivendo in francese curava le finanze, eravamo tali da non doversi fidare. Finché poi, costretto ad accreditare Ansaldo, Bombrini, Rubattino e Penco, di conseguenza dovette -non solo ricredersi- ma addirittura ribaltare le aspettative economiche basandole su essi quali migliori imprenditori del regno.
Intercorse quindi un periodo di appiccicosa sudditanza di una parte della cittadinanza (specie quella dei pubblici uffici o che riceveva benefici, medaglie e titoli dal governo) e di astiosa sopportazione da parte del popolo minuto. Ne sono esempio alcuni eventi: per i primi, nel 1823 il tappezziere Cambiaso si lagna perché non è stato ancora soddisfatto dal Comune delle “spese sostenute per l’ammobigliamento di un Palazzo per ricevere Sua Maestà il Re, in San Pier d’Arena” (poveretto quel Cambiaso, vittima della piaggeria dei primi su citati, per un re che non ha mai soggiornato nel borgo, quando poco distante –in via Balbi- aveva un ‘palazzo reale’); e gli scritti di delibere comunali tipo “Sua Maesta Reale, il Sindaco e i Consiglieri del Comune di San Pier d’Arena, umilmente penetrati nanti del vostro Regio Trono, espongono...”; e stante la minaccia che -1832- Lorenzo Dufour chiuda lo zuccherificio –osteggiato dalle regole daziali a vantaggio degli stranieri-, il Comune intercede presso il re che riveda tali ostacoli, finendo la lettera con un “salvo sempre che non osti positiva ed inderogabile legge Sovrana”; oppure una circolare ai Sindaci del 1838: “ venne in pensiero al Re Nostro Signore, cui nulla sfugge di quanto può tornare a vantaggio degli amati suoi sudditi, d’istituire in ogni Capoluogo...una Giunta speciale per un lavoro generale di statistica...” roba che in democrazia è ovvia, ma a quei tempi era autorizzazione di schedature da parte della polizia.
Per i secondi, su tutti quello dell’ago 1840 quando fu tirato un sasso alla carrozza dell’Arciduca d’Austria, e –con la più feroce ed inusuale omertà- all’indagine seguente, non fu trovato il colpevole.
L’Amministrazione sampierdarenese, finché restò autonoma –sino al 1926 quindi- fu genericamente laica repubblicana e di sinistra, con momenti di prevalenze anarchiche e massoni (vedi le titolazioni stradali di allora, da Ferrer al Degola): comunque in genere assai poco incline ad osannare i Savoia.
Si può quindi presumere che –come si rileva dagli scritti comunali- inizialmente il nome alla piazza -più che una glorificazione della famiglia regnante- fosse legato alla struttura lignea delle cabine dello stabilimento balneare che si apriva con quel nome nella piazzetta; e la scelta rimase come era uso per indicare alcune località col nome di quello che di maggior conoscenza vi fosse collocato (alla fine del secolo 1800 -essendo poche le strade nominate con nome proprio- e la città in evoluzione ultrarapida). Non credo però ci fosse ambigua malignità negli amministratori di San Pier d’Arena. E questo indipendentemente dalla scia di Genova perché anch’essa mai stata sposa felice nelle braccia dei Savoia (anche se qualche concessione fu da loro donata, come il teatro dedicato al re e la statua equestre di piazza Corvetto).
Per soprusi, da secoli sempre da noi subiti e mai generati, per Genova i Savoia+bersaglieri, è divenuto nel tempo un binomio di insofferente rancore, che solo il tempo ha trasformato in freddo disinteresse fino a far prevalere la ragione con la quale si è voluto ‘perdonare’ e dedicare all’arma, una strada.
Cova come la brace quindi quel sentimento che si tramanda tacitamente in chi ha un poco di cultura storica e di amor proprio, fino ai giorni d’oggi.
BIBLIOGRAFIA.
-Archivio Storico Comunale
-Archivio Storico Comunale - Toponomastica scheda 4078
-DeLandolina GC.-Sampierdarena-Rinascenza.1922-pag.54
-Dellepiane R.-mura e fortificazioni di Ge.-NEG.1984-pag. 113.164
-Enciclopedia Sonzogno
-Il Secolo XIX: (recensione di Montale B.-Mito e realtà di Ge.nel Risorgim) del 13.90 3
-Internet: www.bampifranco@.it
-Novella P.-Guida di Genova-manoscritto 1930 circa-pag. 19
-Pagano /33-pag. 248
-Pastorino&Vigliero-Dizionario delle strade di Ge.-Tolozzi.1985-pag.1668
SAVONAROLA via Girolamo Savonarola
STORIA: Agli inizi dell’anno 1900 fu proposto alla Giunta comunale cambiare nome alla antica via san Cristoforo (che corrispondeva alle attuali via A.Scaniglia, via E.Degola, via R.Pieragostini ) dandole il nome del frate “Girolamo Savonarola”. La proposta non fu accettata, e per questa strada le modifiche furono diverse.
Ancora nell’elenco stampato dal consiglio comunale il 1910, questa titolazione non appare ufficialmente riconosciuta; ma vi compare inserita a posteriori, a penna, con la titolazione: “via fra Gerolamo Savonarola; 1ª traversa a sinistra di via G.Bruno’; senza civici”).
Nel 1914 non era stato ancora deciso nulla, finché nel settembre di quello stesso anno venne definitivamente accettato di donare il nome di “via Gerolamo Savonarola” a quella che attualmente, per delibera del Podestà genovese in data 19 agosto 1935, è via Sofonisba Anguissola, anche allora traversa chiusa di via G.Bruno (via del Campasso).
In Comune è catalogata alla G di Gerolamo: così è scritta nel 1927 - di 5ª categoria - nell’elenco delle vie comunali all’atto della unificazione delle delegazioni nella Grande Genova, assieme all’omonima del Centro che nella scelta definitiva, ovviamente, conservò la titolazione.
Negli anni 1925-30 al civ. 5 c’era la conceria pelli, fabbrica cinture-cinghie e lacciuoli in cuoio-estratti tannici, di Pinato Giulio; 10-4 lavorava il formaggiaio Rastelli Giovanni; Barbieri Nicola frutta secca ed agrumi.
Il Pagano del 1933 include un negozio di formaggi al civ. 10-4 di Rastelli Giovanni; e di frutta e verdura di Barbieri Nicola
Nel 1935 la delibera di cambio della titolazione, come descritto sopra.
DEDICATA al famoso frate domenicano, nato a Ferrara il 21 sett.1452, e morto a Firenze il 23.5.1498. Entrato in convento a 22 anni a Bologna, otto anni dopo divenne Priore al convento di san Marco di Firenze. Eccelso di mente, spaziò in cultura come allora si educava, a tutto campo dall’astronomia alla legislazione, dalla letteratura soprattutto alla filosofia. Studioso, insegnante, abile oratore e predicatore, iniziò a sostenere la tesi che la Chiesa doveva rinnovarsi e riformarsi, ma prima moralizzarsi e castigarsi.
Nel 1490 venne a Genova in san Lorenzo, per predicare la quaresima; tale fu la delusione della situazione spirituale della nostra città divisa in fazioni e lontana dallo spirito ecclesiale che lui auspicava, che –si racconta- andandosene via attraverso la porta di san Tomaso (a Principe), scosse rudemente i propri calzari esclamando “neanche la polvere, dei genovesi!”.
In contemporanea, il contesto politico era – come sempre - ingarbugliato. Nell’anno 1492 (scoperta dell’America), l’epoca dei Medici iniziava il declino; a determinarlo furono sia la morte di Lorenzo nei primi mesi dell’anno (e cadrà definitivamente nel 1494 con l’invasione –auspicata dal frate- del re di Francia Carlo VIII); e sia, a Roma, la nomina a papa – in agosto - di Alessandro VI nemico
dei Medici (Rodrigo Borgia: per tre anni successivi fu favorevole al frate, limitandosi a richiamarlo; finché le sue denunce non sconfinarono da Firenze per coinvolgere la corruzione romana dei Borgia: ne conseguì scomunica due anni dopo, e l’impiccagione l’anno dopo ancora). Con i Medici, tramontava assieme l’istituzione repubblicana e l’epoca del Rinascimento rappresentato da una società amante dell’arte e del bello, sconfinante nel lusso, scivolante nella simonia e libertinismo (e perfino della sodomia: si scrive fosse molto diffusa, allora nella Firenze ‘bene’ e religiosa)). Ne conseguì una riduzione commeciale che mise in ginocchio la città.
In questa fase di impantanamento politico, a Firenze, il frate si fece coinvolgere iniziando a prendere parte alla politica attiva -schierandosi con Carlo VIII che però poi non lo protesse-. Stese un programma ricco di ideali ugualitari ispirati dalla carità cristiana e zelantemente a favore di una riforma contro la corruzione e la vanità (allora tipico comportamento dei nobili e del clero). Secondo lui, tutti troppo allontanati dai principi cristiani, ed espressione di una moda di rinascimento paganeggiante.
Inizialmente ottenne un certo potere cittadino, durante il quale promosse sagge riforme, riportò la pace tra le fazioni locali e proseguì nella missione di ricondurre la società ad una più austera e rigida morale. Eccedette quando i suoi seguaci da lui ispirati, conosciuti col nome di “piagnoni”, irrigidirono le pretese ed arrivarono a bruciare (i “roghi della vanità”) libri, quadri, oggetti, tutto ciò che poteva essere catalogato frivolo e moralmente non ascetico, generando perplessità e ribellione tra i nobili, i quali -ripristinata la signoria e conosciuti col nome di “arrabbiati”-, si sentirono disturbati da regole sì schiette ma troppo severe: si adoperarono per allontanarlo o denunciarlo di sospetta eresia per farlo mandar via. Papa Alessandro VI dopo averlo benevolmente richiamato lo invitò a Roma, lo propose cardinale, infine però non ottenendo risposta gli proibì la predica con una bolla, essendo stato anche lui accusato dal frate di essere indegno della sua carica.
I ripetuti attacchi contro l’operato del papa, lo portarono successivamente alla scomunica (12 mag.1497) ed all’accusa di eresia; cosicché nel 1498 fu arrestato, processato, e seppur animato da nobili e democratici principi, la disobbedienza gli costò la condanna (22 maggio, assieme ad altri due frati, Silvestro Manuffi da Firenze e Domenico da Pescia) ‘ad essere impiccati, il corpo arso sulla piazza della Signoria (un tondo in bronzo incastrato nel pavimento, ricorda il punto del rogo), e le ceneri disperse in Arno’.
Il convento fiorentino rimase chiuso per alcuni mesi, spopolato dei frati, dispersi in tante sedi; anche la campana maggiore fu rimossa ed allontanata dalla città sopra un carro, mentre un boia la frustava.
Scrisse numerose opere, tra cui :“Trattato circa il reggimento e il governo di Firenze”;“Prediche”; “Poesie”.
Contrastante, singolare e di non facile comprensione quindi la sua posizione nella storia di allora (anche essa, di per sé e come già detto, assai confusa e compromessa tra interessi e potere –a sua volta religioso, temporale, laico, agnostico): in parte moralista (e quindi martire e quasi santo: così lo vedono i protestanti, i repubblicani, i filosofi ed alcuni ecclesiastici famosi come san Filippo Neri, san Francesco da Paola, papa Benedetto XIV); in parte ribelle (offensivo e soprattutto recidivantemente non obbediente ai superiori -come dovuto essendo frate- e quindi scomunicabile ed esecrabile; e, nell’ottica di allora, da pagare con la vita)
Papa Voitila ha poi chiesto perdono, per questo tipo di violenza della Chiesa.
Quindi una figura -oggi classificabile moralmente nobile e normale, ma- inserita in un mondo impreparato ad ospitarlo.
BIBLIOGRAFIA
-Archivio Storico Comunale.
-Archivio Storico Comunale - Toponomastica, scheda 4083
-BrunoGuerri G.-Questo Savonarola-Il Giornale quotidiano del 2.3.08
-DeLandolina GC-Sampierdarena -Rinascenza .1922 – pag. 54
-Enciclopedia Motta
-Enciclopedia Sonzogno
-Il Giornale, quotidiano-02.03.2008-p.11
-Novella P.-manoscritto guida di Genova. 1930 – pag. 17
-Pagano / 1933 -pag.248
-Pastorino.Vigliero-Dizionario delle strade di Ge.-Tolozzi.1985-pag.1670
-Terrile F-Le vie e piazze del borgo Pila-Mascarello 1936-pag.52
-non citato da Pescio-I nomi delle strade di Genova
SCALO vico dello Scalo
fu proposto questo nome nell’anno 1900, per una strada in zona Crociera, trasversale di via san Cristoforo (tratto via Pieragostini), che vicino alla raffineria zuccheri portava allo Scalo ferroviario P.V. (piccola velocità) il il quale costeggia il torrente e – ancor oggi - si immette nel parco del Campasso. Non aveva numeri civici.
Venne annullata negli anni subito dopo il 1910 quando, compare nell’elenco ufficiale, che avesse il civ.1.
Non corrisponderebbe a via Spataro perché allora già candidata ad altro nome; e neanche all’attuale via T.Grossi, lontana dallo scalo. Quindi ad altra strada più vicina al ponte, scomparsa con la demolizione dello stabilimento dell’Eridania.
Come detto, il vicolo portava allo “scalo ferroviario P.V.” (piccola velocità), il quale era parallelo e vicino al torrente, quasi all’inizio del ponte sul lato a monte di esso, ovviamente nei pressi del gabbiotto della dogana.
BIBLIOGRAFIA
-Archivio Storico Comunale.
SCANIGLIA via Angelo Scaniglia
TARGHE:
via - Angelo Scaniglia – architetto sampierdarenese – sec.XVIII-XIX
San Pier d’Arena – via – Angelo Scaniglia – architetto sampierdarenese – sec. XVIII
QUARTIERE MEDIEVALE: Mercato
da MVinzoni, 1757. In rosso la zona Mercato con via NDaste; giallo via CRolando.
N° IMMATRICOLAZIONE: 2847 CATEGORIA: 2
da Pagano/1961
CODICE INFORMATICO DELLA STRADA - n°: 56940
UNITÀ URBANISTICA: 25 – SAN GAETANO
26 - SAMPIERDARENA
da Google Earth, 2007
CAP: 16151
PARROCCHIA: s.Giovanni Bosco
STRUTTURA: la numerazione aumenta da via C.Rolando a via P.Reti.
La targa presso via P.Reti, che nel 2007 è in plastica, prima era di marmo e portava in basso-sinistra la scritta “già via C.Battisti”.
La strada è l’esempio pratico – come alcuni tratti di via N.Daste - di come era la strada, in epoca antecedente all’allargamento delle altre vie sulla direttiva verso il ponte: è stretta quanto una carrettabile; oggi consente una fila di auto in sosta ed una contenuta carreggiata, quaasi senza marciapiedi.
Senso unico viario, con due marciapiedi dei quali, quello a mare, assai stretto ed incompleto.
È servita dall’acquedotto DeFerrari Galliera.
CIVICI
2007=UU25- NERI = da 1 a 11
ROSSI= da 1r a 45r (compreso 21ABCr)
UU26=NERI = da 2 a 4
ROSSI= da 2r a 12r (compresi 2Ar, 4Ar, 10ABCDEr)
===Nel Pagano/40 “da via Martiri Fasc. a v. E.Mazzucco”.
Civv. neri= 2 abit avv. carpaneto M.; 9 levatrice. Rossi= 3 parrucch.; 4 carbone; 5 tintoria- lavanderia genovese; 8 ripar. calzat.; 10 tipografia Montaldo; 13 Dispensario neuropsichiatrico; 17 salum.; 27 panif.; 33b osteria; 37 fruttiv; 45 parrucch.
===Nel tratto iniziale, subito dopo la guerra del 1945, vengono ricordati quasi di fronte uno all’altro, a lato mare un carbonaio (vendita anche di ghiaccio e selz); lato mont
===Nel Pagano/1950 sono citati: 31-33r=l’osteria di Ivaldi Iolanda; nessun bar né trattoria.
===Nel Pagano/61: 11nero/interno1=albergo Stazione; 4r=carbonaio; 5r=fruttivendolo; 8-10r=tipografia; 11r=«Bruna» olio; 17r=residuati minerari; 21r=merceria; 22-27r=panificio; 31-33r=osteria;37r=fruttivendolo; 43r=calzolaio; 45r=parrucchiere.
===civ.1 portone stretto, che dà immediatamente adito ad una ripida e stretta scala; solo in cima ad essa si entra nell’androne, con vuoto interno, scale e pianerottoli con ringhiera.
===civ. 2r il retro detta trattoria Torre del Mangia di piazza Montano.
===civ. 4 Il palazzo ha il portone su questa via, ma è più ‘noto’ per la facciata di retro che fa palizzata su piazza N.Montano (sulla quale non ha entrata), interposta tra il civico 2 di quella piazza (in angolo a ponente) e 4 (la villa Carpaneto).
Vincenzo Crovo racconta Durante l’ultimo conflitto mondiale, con l’incoscienza e con quel po di perversione tipica dell’eta’, dopo ogni incursione nemica noi ragazzini, raggruppati a frotte (o a bande), accorrevamo a vedere i disastri (o le macerie come taluni le definivano).
Se poi si aveva notizia che fra le macerie c’era addirittura un ordigno inesploso, il nostro senso di avventura e di coraggio (da raccontare ai coetanei) valeva almeno il doppio. Peraltro c’e’ anche da rimarcare che, ogni ordigno inesploso disinnescato (ma senza eccessiva premura), talvolta rimaneva in sito anche per parecchio tempo perche, nel clima di propaganda dell’epoca, doveva essere la dimostrazione pratica delle lacunose tecnologie nemiche. In tale contesto, quando a scuola lunedi’ 10 febbraio 1941, ossia il giorno dopo del tragico bombardamento navale di Genova, si sparse la notizia che un proiettile di grosso calibro inesploso era visibile proprio a Sanpierdarena, ci organizzammo ed al termine delle lezioni andammo di corsa ed eccitati a vedere quell’ordigno calibro 381 che aveva forato da parte a parte il “caseggiato di fronte alla Stazione Ferroviaria” e, fuoriuscito sulla via retrostante, era poi rotolato sulla strada fino quasi all’angolo dell’attuale via Rolando. Il caseggiato fu ovviamente ripristinato, tuttavia ancora oggi a distanza di tanti anni, chi osserva con attenzione il prospetto, lato Stazione Ferroviaria, puo’ distinguere con chiarezza una differenza di “bugnatura” nell’intonaco, in una porzione quasi circolare (come peraltro era il foro) fra la seconda e la terza finestra all’altezza del penultimo piano.
.Successivamente, ormai adulto, seppi anche che (forse) quell'ordigno per artiglerie navali era stato costruito dalle Officine Ansaldo di Sestri Ponente e venduto dal Governo Italiano, nel 1.939, nel contesto di una importante partita di materiale bellico del valore complessivo di cinque miliardi di lire (sic !!!) Vincenzo Crovo
===civ. 5 ha, sotto il cornicione, vaghi segni di colore che fanno presumere una antica decorazione ormai svanita.
===civ. 7 è più basso degli altri (tre piani) ed ha una fila verticale di finte finestre-persiane
civ.5 civ.7
===civ. 9 di sei piani (ultimo sopraelevato)
===civ. 21r = nel 2009 sede della libreria “il Libraccio” già presente anche in via CRota
===civ. 11 conserva sulla facciata, sottostante il cornicione e lungo la facciata, dei vaghi segni policromi, intervallati da rettangoli rossastri.
foto da collezione di Gaggino Edilio __________________________________________________________
Commercialmente, nel 2003 vi si aprono a mare una pizzeria; box privati con saracinesche chiuse e maltenute, come inutilizzate; alcuni vani del negozio ex-tessuti plastici aperto in via P.Reti fino al 2010 (dal 2008 una parte del negozio che fa angolo con via P.Reti, vende motocicli). A monte un frutta e verdura; numerosi box privati esteriormente mal tenuti.
===civ. 11 nel 1950 si apriva l’Albergo Stazione, in realtà locanda con alloggio, allora di Traverso Maria ved. Parodi
===6r nel 1950 c’era una distilleria di Campodonico & Ceccarini F.R.A.S.
STORIA: A giudicare dalla irregolarità della facciata posteriore della villa Centurione-Carpaneto, che segna l’inizio della strada, non potendo essere stata la strada a condizionare l’architetto, né le volontà del commissionario che aveva a disposizione terreno enorme per erigere una casa, l’ipotesi più corretta è che essa sia stata eretta sulle fondamenta di una precedente costruzione tre-quattrocentesca, che sorgeva nell’angolo stradale fatto dalla crosa dei Buoi e la via al Ponte.
Come si vede nella carta del Vinzoni del 1757, dall’inizio della nascita del borgo sino a quella data, questo tracciato è rimasto invariato. Millenaria quindi questa prosecuzione -allora anonima, verso il ponente- della via principale del borgo che allora attraversava nel centro il villaggio; in particolare posta al confine del quartiere detto “Mercato“, quale ramo della biforcazione che finiva al ponte di Cornigliano.
Non sappiamo quando, ma si presume per scelta popolare e forse a fine 1800, ebbe il primo nome ufficiale di strada San Cristoforo (vedi) simbolico forse, visto che portava al torrente e che -per quella via- si intraprendevano anche i viaggi fuori dell’abitato.
Nel 1850 fu tranciata dal viadotto ferroviario e dalla conseguente via PReti; pur conservando sino al torrente e sino a dopo il 1916 il nome ad intero di – via s.Cristoforo -. In quest’ultima data morì Cesare Battisti, suscitando scalpore ed indignazione, infiammando gli animi e determinando una scelta della Giunta locale con il cambiare nome alla strada, dandole quella del martire trentino (vedi).
Nel frattempo, il nome dell’architetto era già stato usato dalla Giunta locale: quando nel 1927 il Comune di Genova - neoformatosi con l’unificazione delle contrade limitrofe nella Grande Genova - pubblicò l’elenco delle strade facenti parte della città, lasciò questa titolazione –perché non doppione- ad un ‘vico’, di 5ª categoria, posizionato trasversale a via della Cella nella sua porzione superiore, ed era un assai breve tratto di strada, oggi anonimo.
Solo quando il Podestà, con delibera del 19 agosto 1935 firmò la eliminazione in San Pier d’Arena della titolazione via Cesare Battisti perché doppione con quella di Albaro, fu deciso il trasferimento del nome dell’architetto, dal vicolo a questa via –decisamente più importante e consona- che porta al Ponte di Cornigliano. In contemporanea lo stesso decideva il frazionamento delle titolazioni. Quindi, a questa data, la limitazione al solo primo tratto della lunga ed antichissima strada che portava al ponte: dai dati comunali, iniziava da via E.Mazzucco (via C.Rolando) ed arrivava a via Milite Ignoto (via P.Reti). Proseguiva verso il torrente chiamandosi via E.Degola (fino alla Crociera) e via Monte Corno (via R.Pieragostini) fino al Ponte.
DEDICATA all’architetto sampierdarenese, il cui nome completo è Angelo Maria.
La Famiglia = Cresciuto in una famiglia di architetti e costruttori (il padre forse era residente ove ora è piazza Modena).
Il nome è originario di Rapallo, e risale negli archivi al 1200. Poco dopo il 1528 lo troviamo nel Libro d’Oro dei nobili.
Si ricordano :
=un primo Paolo Francesco, che nel 1550-80 risulta costruttore di opere pubbliche e di fortificazione in Gavi
=Un altro nobile Paolo Francesco che lavorò alla parrocchiale e campanile di Sestri P..
=Tra loro fratelli Giacomo e Michele, che furono nel 1631 tra gli appaltatori delle nuove mura di difesa di Genova, nel tratto tra Granarolo e Peralto.
=Stefano -che nel 1655 progettò in città l’imponente edificio dell’ Albergo dei Poveri; dipendente dei Padri del Comune, e del Magistrato di guerra della Repubblica, fu spesso incaricato di studiare e perfezionare i progetti delle mura e del porto (anche di quello di Vado nel 1627) , anche quelli ideati da altri architetti, migliorando ed eliminando gli errori in rapporto alle continue modifiche delle armi di offesa. È citato dall’Alizeri nel vol. 1 delle “Notizie dei professori del disegno... - pag.35”
=secondo l’Alizeri, c’è a questo livello un altro Paolo Francesco, che l’autore definisce “parrebbe discendenza di quello Stefano a cui dobbiamo le tracce del vasto Albergo dei poveri”. E, per lo stesso Alizeri è questo il ‘disegnatore di strade da Ovada a Voltri ed Arenzano), con dettagliata descrizione di tutte le terre e castelli da esse attracersate; e che ‘ebbe mano nei lavori del Portomaurizio’ che però, trascurò per motivi non descriti, non facendo bella figura per lavori che poi, nel 1674 dovettero essere rifatti o ripresi, e quindi con biasimo dei Reggitori al punto che dovettero affiancargli un altro architetto, col quale però i rapprti furono ‘litigiosi’ per un buon lustro finché ambedue scompaiono dalle ricerche dello storico
=un Franco e Giuseppe (rispettivamente nonno e padre di Angelo, nativi di Cornigliano in zona detta Colombara, appaltatori di opere pubbliche e capi mastro).
Il Nostro. Nacque il 23 nov.1791 da Giuseppe e Caterina Marchese. Ammesso il 6 mag.1811 alla scuola di disegno dell’Accademia Ligustica di Belle Arti, nel 1813 si sposò con Marianna Luisa Rivara, dalla quale ebbe due figli, Stefano (che morì giovanissimo) e Caterina (poi vedova Tubino, ricca insigne benefattrice locale e soprattutto dell’ospizio omonimo. Unico neo fu che non curò l’ampia collezione di disegni e progetti del padre, cosicché alla sua morte gli eredi -ancor peggio sensibili- la lasciarono disperdere totalmente).
Allievo di Carlo Barabino, appena diplomato in materia, ebbe incarichi diversi nel borgo favorito dall’intenso rinnovamento edilizio dell’epoca: la chiesa ottagonale di Nostra Signora della Sapienza, nella villa ex-Doria delle suore Franzoniane, nel 1820-2; nel 1831 lavorò per aprire il camposanto ed erigere il nuovo teatro di Sestri Ponente; il Teatro Nuovo poi Ristori in via San Pier d’Arena (1833) che fu poi costruito dall’impresario Lorenzo Scaniglia; l’ampliamento e l’abside nel 1846 dell’ Oratorio della Morte ed Orazione di via A.Cantore: era stato costruito in forma rotonda e stile corinzio nel 1772 da suo padre; sarà poi demolito nel 1937; nel 1849 disegna la chiesa di N.S.delle Grazie, antecedente alla attuale; il riadattamento del palazzo del Comune nel 1852: nato su un fortilizio medievale e già soggetto a diverse opere di ristrutturazione ai fini di edificio pubblico; il prolungamento della navata centrale ed il progetto -assieme a Nicolò Bruno-della facciata della chiesa di S.Maria della Cella di via Giovanetti.
Nel 1821 fu acclamato Accademico di merito della Ligustica; e nel 1835
la sua bravura, lo portò ad essere candidato a sostituire il maestro alla sua morte, nell’incarico di reggere la cattedra di architettura civile dell’Università genovese (incarico che poi fu affidato a Resasco).
Eletto consigliere comunale di San Pier d’Arena nel 1824, dedicò molta parte della sua attività alla carica politica.
Il 30 gen.1880, morì in città. Anche se ormai era aperto il cimitero alla Castagna, seguendo le antiche consuetudini di seppellire in chiesa, fu tumulato in san Gaetano (allora in via san Martino (via C.Rolando): gli fu eretto un piccolo monumento, che andò distrutto con il bombardamento del 1943.
BIBLIOGRAFIA
-Alizeri F.-Notizie dei professori di disegno...-vol.I-Forni anastat.-pag.35
-Archivio Storico Comunale Toponomastica - scheda 4096
-AA.VV.-Annuario.guida archidiocesi—ed./94-pag.445—ed./02-pag.481
-Bottaro.Paternostro- Storia del teatro a ge,-Esagraph.1982-pag.164
-Comune di Genova- stradario del 1953-pag.163
-DeLandolina GC.-Sampierdarena- Rinascenza.1922-pag.55
-Dellepiane R.-Mura e fortificazioni di Ge.-NEG.1984-pag.164
-Gazzettino Sampierdarenese 3/80.4
-Genova rivista comunale n° 3/38.25
-Lamponi M.- Sampierdarena- Libro Più.2002- pag. 160
-Medulla M.-Sampierdarena- DeFerrari 2007- pag.23
-Novella P.-Strade di Genova-Manoscritto b.Berio.1900-pag.16
-Pagano/1933 –pagg. 248; /40-pag.405
-Pastorino.Vigliero-Dizionario delle strade di Ge.-Tolozzi.1985-pag.1671
-Poleggi E. &C-Atlante di Genova.Marsilio.1995-tav.33.34
-Ragazzi F.-Teatri storici in Liguria-Sagep.1991-pag.80.95.192
-Tuvo.Campagnol-Storia di Sampierdarena-D’Amore.1975-pag.114
-non citato su EM + ES +
SCANIGLIA vico Angelo Scaniglia
Nell’anno 1900 l’Amministrazione pubblica propose la titolazione
“vico Angelo Scaniglia ” ad un segmento posto a levante di via della Cella, e popolarmente chiamato “via Copello” .
Nel 1910 il vico esisteva ufficialmente riconosciuto, ovviamente compreso ‘da via Cella verso Levante’, con il solo civico 1. Ed è questo che l’amministrazione sampierdarenese passò alla toponomastica del nuovo Comune della Grande Genova nel 1926 all’atto della unificazione.
Nel 1933 risulta esistere ancora, collegante via della Cella con vico Pacinotti; ed essere di 5.a categoria con nessun civico.
Risale al 1934 una fattura di “Molinari Luigi / lavorazione ardesie / Genova-Sampierdarena – vico A.Scaniglia, 3r (da Via della Cella)”, con ‘deposito eternit, cemento, calce, gesso, laterizi‘.
La titolazione fu qui eliminata, su delibera del podestà firmata il 19 agosto 1935, in cui si dettava spostare il nome dell’artista alla strada che passa dietro il palazzo Carpaneto (via C.Battisti, già via san Cristoforo) e che volge verso il ponte di Cornigliano; lasciando il vicoletto della Cella anonimamente inglobato nelle strada principale.
BIBLIOGRAFIA
-Archivio parrocchiale sBartolomeo della Costa di Promontorio
-Archivio Storico Comunale
-DeLandolina GC- Sampierdarena -Rinascenza .1922 – pag. 55
TARGHE:
vico - Giovanni Scanzi – scultore – 1840-1915 – già vico G. Giusti.
angolo con via C.Rolando
angolo con via A.Stennio
QUARTIERE MEDIEVALE: san Martino
da MVinzoni, 1757. In giallo il tracciato di via AStennio; celeste di via CRota; verde ipotetico di vico GScanzi nel terreno del mag.co Tomaso Spinola.
N° IMMATRICOLAZIONE: 2848, CATEGORIA 3 (dice: via)
da Pagano 1967-8
CODICE INFORMATICO DELLA STRADA - n°: 56960
UNITÀ URBANISTICA: 25 - SAN GAETANO
26 - SAMPIERDARENA
da Google Earth 2007
CAP: 16151
PARROCCHIA: s.Giovanni Bosco
STRUTTURA: Collega via C. Rolando con via A. Stennio.
Nessun cartello proibisce il transito veicolare che però può essere effettuato solo da motocicli causa la strettezza e l’angolo retto che compie e che non è descritto nella cartina del Pagano (vedi poco sopra).
È strada privata, ancora pavimentata a grossi tasselli di pietra.
Nel nov.03 compare nell’elenco delle ‘vie private di interesse pubblico’ e quindi programmate a divenire municipali con passaggio gratuito per avere in cambio manutenzione e sevizi vari quali spazzatura, asfaltatura, illuminazione, fognature, ecc.
STORIA: Negli anni subito dopo il 1910 appare già intestato “vico Giuseppe Giusti“ (e presumibilmente tale era già agli inizi del 1900; ed ancora così restava nel 1933 quando collegava via A.Saffi con via Montebello, ed era di 5 ª categoria e con civici sino a 2 e 3).
Finì per essere intitolato nel 1935 allo scultore, deciso con delibera del Podestà il 19 agosto di quell’anno (da via E.Mazzucco (via C.Rolando) a via A.Stennio).
CIVICI
2007-UU25=NERI = da 1 a 3 e 2
ROSSI= da 3r a 17r (mancano 1r, 9r) da 2r a 12r
UU26=NERI = nessuno
ROSSI= 6r e 8r
Nel Pagano/40 la via è “da via E.Mazzucco a via A.Stennio. Nei nn. neri privati (levatrice e pianoforti) e nei rossi: 3r off.mecc.; 5r carbone; 6r ottoniere; 13r «Pia» s.a.prod.idrofili.
Nel 1960 si rilevano: 3r=manifattura ceramiche Genovesi; 4r=lav.metalli; 5r=tipografo.
DEDICATA allo scultore genovese nato il 30 feb.1840 da Antonio (modesto carovana del porto) e da Caterina Gherardi.
Iniziato al lavoro come “garzonetto” nello studio di Santo Varni (1852), questi lo giudicò di possibile talento e lo indirizzò all’Accademia Ligustica dove lui stesso insegnava l’arte della scultura. Qui il ragazzo riuscì ad esprimere le sue ottime qualità, tanto da vincere (1863, assieme al Monteverde) il premio “pensione Marcello Durazzo” consistente in un soggiorno-scuola di perfezionamento a Roma, per quattro anni .
Effettivamente nella capitale affinò il suo bagaglio tecnico, producendo due opere inviate a Genova per far giudicare il grado di apprendimento -ora disperse-, di un “satiro che scherza con una capra” ed il “rapimento di Elena” giudicate di alta qualità e che furono esposte alla Promotrice genovese nel 1866. Rientrato (1868) a Genova, aprì lo studio nel palazzo Fieschi in Santa Maria in Via Lata, dove diede inizio ad una intensa attività artistica con committenza sia locale che straniera (specie in sud America ed in Germania), realizzando innumerevoli opere.
Partecipò negli anni 1870-80 a quel periodo artistico che viene chiamato “realismo-verismo borghese” esprimendosi (antesignani della fotografia) in una forma puntigliosa del particolare (merletti, trine, gioielli, lacrime, mani callose o lisce, ghette, bombette e cappelli accartocciati dalla tensione; nonché simboli come caducei, fucili, onorificenze, ancore, e tutto quello che corrispondeva all’educazione del tempo legata soprattutto ai drammi -sia teatrali che musicali-). Sempre più richieste, soprattutto per i cimiteri (ove si voleva esprimere il simbolo della conquistata opulenza e dove la crescente nuova borghesia voleva lasciare una traccia visibile della acquisita posizione sociale) le pose atte a far comprendere le emozioni ed i sentimenti (addii strazianti, mani nelle mani ) e la ricerca della somiglianza fisica riproponendo l’espressione come si era da vivi (per i cimiteri, era da ricercare con l’indagine e la descrizione orale dei congiunti).
Nell’evoluzione artistica, questa moda fece da giunto di passaggio alla forma simbolista, che poi aprì la porta la gusto Liberty (1900-1920).
Tra le produzioni funerarie (oltre 50 a Staglieno), vengono ricordate in particolare la tomba Casella (1877: fu la prima; vi raffigurò il volo dell’angelo della resurrezione); poi, la tomba Carrena Ada, 1880-Staglieno, ove -si descrive- sia riuscito nella piccola, deliziosa e commovente scultura della giovane a divinizzare il dolore; la tomba commissionata per Piaggio Erasmo, 1885-Staglieno, opera grandiosa, dove l’arte si è elevata alla più alta dignità monumentale; la figura femminile della tomba Raggio,1885-Staglieno supera ogni possibilità di lode e meraviglia per l’espressione attonita ed impietrita dal dolore; Carpaneto, 1886-Staglieno, ove l’angelo ammaina le vele ad un vascello, simbolo della vita giunta all’approdo; e la tomba T.Ghiglino (1890), ove seppe esprimere una fondamentale verità cristiana che è l’ascesa dell’anima al Paradiso: figure femminili con vesti mosse dall’aria e librate in alto contornate da angeli favorirono composizioni di sicuro effetto.
Altre opere le ritroviamo nella chiesa dell’Immacolata Concezione di via Assarotti: sulla facciata (un san Giorgio; l’opera fu replicata per essere collocata a Staglieno sulla tomba di famiglia dello scultore), sull’altare destro (un san Giuseppe, ed un Davide con Abramo), sulla cupola (la Vergine) . All’ Acquasola il busto di Martin Piaggio; nella chiesa del sacro Cuore in Carignano ( un sant’Antonio –nell’ ’interno della chiesa- ed un Redentore -grande statua in bronzo dorato che sovrasta sulla facciata la porta centrale-); nel palazzo dell’Università, il ritratto in bronzo di Andrea Podestà del 1908, ed un busto di Nino Bixio; alla Berio, la patetica figurina dell’orfanella; a Tursi la statua in bronzo di Giuseppina Tollot, munifica concittadina; all’Albergo dei Poveri il ritratto di G.Polleri, facoltoso e benefico concittadino; nell’ex-ospedale Pammatone, la statua del gesuita B.Centurione; in villetta Di Negro il busto di G.C.Abba , lo storico dei Mille; al ex-circolo Filologico il ritratto di G.Leopardi; al ponte dei Mille lda dove salparono i due piroscafi del Rubattino che favorirono l’impresa garibaldina: è una colonna rostrata con all’apice la stella della libertà, eretta nel 1910 a ricordo del 50enario, quando l’artista aveva 70 anni; nella galleria d’arte Moderna di Nervi, una scultura di fanciulla.
Fu nominato cavaliere ufficiale della Corona; professore emerito dell’Accademia di san Luca in Roma; insegnante di scultura nell’ Accademia Ligustica di Belle Arti (1879-92) dove coltivò importanti discepoli come Brizzolara Luigi, Orengo Luigi, Merello Rubaldo; accademico di merito e promotore (consigliere di amministrazione) dell’Accademia genovese; consigliere comunale. Questi titoli dimostrano che lo scultore era divenuto protagonista dell’evoluzione artistica alla fine del XIX secolo.
Morì a Genova il 21 apr.1915, legando con testamento olografo datato 25 dicembre 1914 il suo cospicuo patrimonio (nonché moltissimi modelli delle sue opere) all’Accademia stessa, perché con parte della rendita premiasse per pubblico concorso i più promettenti scultori, per opere da collocarsi in edifici pubblici (in caso di concorso nullo, la somma sarà devoluta all’Albergo dei Poveri). Gli allievi lo ricordarono con una targa opera di Orengo Luigi, posta nell’Accademia, adorna di sculture degli allievi
E’ sepolto a Staglieno, nel porticato inferiore a ponente.
Nel maggio 2005 il Museo dell’Accademia Ligustica ha esposto sei terracotte ritrovate nei depositi del museo ed attribuite all’artista (sono quattro visi femminili -destinati a monumenti funerari- ed un busto in gesso dell’avvocato-benefattore Giacomo Borgonovo; nonché un bronzo della Madonna col Bambino benedicente -detta delle Vigne- (ne esistono altre ‘copie’ dell’originale prodotta dagli Orsolino –Tomaso e Giovanni- nel 1616; un’altra in argento rappresentò il dono dei fedeli alla Chiesa per l’insediamento di papa Benedetto XV nel 1914).
BIBLIOGRAFIA
-Archivio Storico Comunale di palazzo Ducale
-Archivio Storico Comunale - Toponomastica, scheda n° 4097
-AA.VV.-Annuario guida archidiocesi-ed.1994-pag.445; ed.2002-pag.481
-AA.VV.-Scultura a Genova e in Liguria-Carige-vol.II-pag.521 foto
-Grasso-Pellicci : Staglieno-Sagep-pag 31.54foto.59foto97foto.144foto.146foto
-Genova rivista municipale dell’ott/37.41 + ott/40.25
-Il Secolo XIX del 25.11.03 + 23.08.04 + 21.5.05 + 30.10.05 +
-Lamponi M.-Sampierdarena- Libro Più.2002- pag.161
-Museo S.Agostino-archivio uff. toponomastica
-Pagano –ed./1933-pag.246; /40-pag.405; ed./61-pag.384
-Pastorino Vigliero-Dizionario delle strade di Ge.-Tolozzi 1985-pag.1672
-Poleggi E. &C-Atlante di Genova-Marsilio.1995-tav.33
--non citato su EnciclopediaMotta e Sonzgno e su Novella.
TARGA:-
San Pier d’Arena – via - Remo Scappini – antifascista – 1-2-1908 – 15-6-1994
angolo con via De Marini
angolo con via Scarsellini
QUARTIERE MEDIEVALE: Coscia
da MVinzoni, 1757. In giallo via De Marini; fucsia ipotetica posizione del WTC; in verde la via Chiusa.
N° IMMATRICOLAZIONE: posteriore
da Pagano 1967-8. La nostra, sovrapponibile a via Chiusa
CODICE INFORMATICO DELLA STRADA - n°: 56970
UNITÀ URBANISTICA: 26 - SAMPIERDARENA
da google Earth 2007. In giallo via Demarini; fucsia via AScarsellini
PARROCCHIA: Si presume s.M delle Grazie
CAP: 16149
STRUTTURA: da via A.Scarsellini a via De Marini. Scorre parallela al mare, con a sinistra un silos auto che sale ad elicoidale, seguito da un più basso edificio ove è civ.4 con l’impresa Liberti & Parodi e dal lato mare del grattacielo Shipping; sbuca verso oriente in via DeMarini avendo di fronte il muro della strada in salita che porta all’autostrada. A destra c’è una costruzione chiamata ‘torri basse’ perché di altezza di un normale palazzo.
Si sovrappone per delibera della Giunta comunale del 18 gennaio 1996 al tracciato di via Chiusa dalla quale ereditò il civ. 4. Nello stesso anno acquisì i numeri fino all’11 assegnati ad una nuova costruzione di 13 piani.
Allo sbocco in via DeMarini, costeggia il fianco della Torre Shipping.
CIVICI
2007= UU26= da 3 a 39 (mancano 1, 5→9)
da 4 a 8 (“ 2)
DEDICATA
Per tutto il periodo bellico fu segretario direttore responsabile della federazione comunista genovese, ovvero di tutto il lavoro politico e militare del PCI in Liguria lottando col nome di battaglia Giovanni (che cambiò in Rossi Mario quando, scoperto, fu fortemente ricercato).
Nativo di Empoli nell’anno 1908, per due anni operaio in giovane età quale allievo vetraio, entrò a 15 anni nei gruppi della gioventù comunista diventando funzionario locale esercitando questo incarico giovanile con fermezza e rigidità morale, volutamente in contrapposto al lassismo fascista. Nel 1930, ventiduenne, individuato come sovversivo (in effetti era rivoluzionario d’istinto, fin da giovane applicando attività cospirativa antiregime) fu ricercato e catturato nel 1934 e condannato dal Tribunale Speciale a 22 anni di reclusione. Amnistiato in occasione del ventennale fascista, riuscì ad espatriare prima a Parigi e poi a Mosca (dove per tre anni fu educato alla scuola marxista-leninista, che prevedeva anche scuola di guerriglia. Una delle prime cose imparate, fu la fedeltà ed obbedienza senza riserve né domande, alle direttive del partito). Così, caduto il fascismo, fu incaricato di rientrare ed organizzare in Liguria la lotta partigiana clandestina, risiedendo di fatto a Torino dove creò nell’interno del partito -e quindi diresse (lasciando a Bosi il segretariato della Federazione)- un “triunvirato insurrezionale”, mirato a dirigere l’incarico politico-militare ricevuto dal partito.
L’8 settembre 1943, il PCI era già in possesso di una rete organizzata, e tramite il triunvirato, ampliò e perfezionò il coordinamento e gli aiuti per le formazioni sia cittadine che di montagna. Assieme agli esponenti degli altri partiti politici (partito d’azione, democrazia cristiana, socialisti, repubblicani, liberali) diede vita alla costituzione del CLN (Comitato di Liberazione Nazionale; formato presso l’hotel Bristol).
Lo Scappini fu designato quale presidente a capo del CNL locale, divenendo detentore di tutti i poteri amministrativi e di governo della Liguria (viveri, rifornimenti, ordine pubblico, organizzazione della resistenza armata di popolo e militare contro l’occupazione tedesca). Iniziò favorendo con scritti, volantini, scioperi e sabotaggi, dapprima solo il disarmo, poi scontri aperti contro i militari; creazione di istruttori militari; squadre di difesa operaie (preludio delle SAP: squadre d’azione patriottica, specie dopo l’improvvisa deportazione di 1488 operai prelevati bruscamente dalle fabbriche genovesi e trasportati a Mauthausen per alimentare quelle hitleriane).
Il ruolo di responsabile coordinatore era estremamente difficile per la mancanza totale di comunicazione diretta; la precipitazione improvvisa di situazioni imprevedibili; le mille interferenze più o meno aperte con gli altri partiti, tutti miranti a non farsi sopravanzare dal compagno. Ci voleva una buona dose di fortuna; e Scappini la ebbe al suo fianco sino alla fine.
Il 20 nov 1943 ritornò a Genova, inviato dai dirigenti milanesi (Paietta, Longo, Secchia) a rilevare l’incarico fino ad allora gestito da Pieragostini, ed assumere così il controllo dell’organizzazione ligure; qui trovò pressoché inesistente la cultura cospirativa e militare, e l’organizzazione del comunismo genovese nel caos sia in alto che in basso. Iniziò quindi a dirigere la componente comunista nel C.L.N. regionale cospirativo, ed assumendo il ruolo di stimolante -contro l’<attendismo> interno e degli altri partiti- privilegiò la reazione armata da attuarsi con tutti i mezzi a disposizione, iniziando con gli scioperi ed il terrorismo urbano dei Gap (a dicembre Buranello era già stato individuato e costretto a riparare sui monti; il 13 genn due gappisti uccisero un ufficiale tedesco ferendone gravemente un altro (otto antifascisti, tra cui il pf Bellucci, prelevati da Marassi, furono fucilati l’indomani mattina; altri 42 furono inoltrati verso i campi di concentramento). Il 6 aprile scattò l’operazione di rastrellamento alla Benedica, con 150 morti e 350 deportati. Il 15 maggio avvenne la bomba nel cinema Odeon , con la rappresaglia del Turchino. Il 16 giugno, 1500 operai furono prelevati, insaccati in quaranta treni merci e deportati. In Germania), senza tralasciare l’organizzazione sui monti affidata al com. Miro (lo slavoVictor Ukmar, fanatico comunista, esperto militare rivoluzionario, inquadrato nella militanza internazionalista soggetta agli ordini di Mosca, descritto di non integerrima moralità) che prese contatti con Bisagno della divisione Cichero che bene resse al grande rastrellamento del 24 agosto.
Nel giu 1944 lasciò l’incarico di segretario della Federazione genovese (sostituito da Ilio Bosi), divenendo responsabile del Triunvirato insurrezionale ligure.
Divenne ricercatissimo quando, abitando in corso Firenze 38/13, fu individuato dalla polizia del dr.Veneziani e dalle SS quale dirigente della Federazione comunista genovese (nell’ispezionare un carteggio rinvenuto in un appartamento di via P.Salvago 14/6, ricco di materiale: appostandosi quindi nei pressi, poterono arrestare vari frequentatori dell’abitazione alcuni dei quali che collaborarono con la promessa dell’impunità. Tra gli arrestati ci fu la moglie Chiarini Rina chiamata “Clara” (essa fu arrestata -seppur fosse sotto il falso nome di Antonietta Bianchi di Lorenzo nata a Livorno ma della quale fu subito riconosciuto la falsità del documento. Ciò malgrado non volle mai dire le esatte generalità, ostinando a tacere anche della propria abitazione; il che le permise di non essere conosciuta quale moglie di ‘Gi’=Giovanni alias Rossi, in quel momento latitante ma supposto dirigente)- minacciata e torturata, per lungo tempo con ‘fare scaltro e reticente’ non fornì alcuna identificazione utile né di se stessa né dell’organizzazione; finché non segnalò l’indirizzo di casa, corso Firenze 38/13, quando però gli abitanti (il marito soprattutto) erano ormai in fuga; fu condannata alla deportazione; ma riuscì a fuggire e tornare. Fu decorata con medaglia d’argento al V.M.). Lui, fortunosamente riuscì sempre a sfuggire salvandosi dalle rappresaglie che giornalmente decapitavano i vertici della resistenza (fra tanti, ricordiamo Riccardo Masnata e R.Pieragostini).
Nel suo ruolo dirigenziale, si rendeva conto nel giungo 1944 che la popolazione genovese era sfiduciata e quindi non ancora pronta ad una insurrezione di massa, malgrado lo sciopero generale del marzo e che da poco (il 16 giugno) le forze tedesche avessero deportato migliaia di operai.
In quel mese si vennero a formare le SAP (squadre di azione partigiana; esse, moltiplicatesi rapidamente già nell’autunno ’44 poterono essere raggruppate in 36 Brigate (24 chiamate Garibaldi, organizzate e dirette dal PCI; 2 Matteotti dal PSIUP; 2 Mazzini dal PRI; 1 Patria dalla DC; 4 GL dal Partito d’Azione; 2 Libertarie da anarchici; 1 Autonoma dal PLI)) ciascuna formata di 3-4 distaccamenti composti da più squadre di 5 uomini.
Partecipò alla programmazione dell’insurrezione e liberazione finale di Genova, cercando sia di prevedere le mosse del nemico e prevenirle per attutire i danni alla città, superando diplomaticamente tutte le divergenze tra i vari partiti ed i settarismi personali, sia di salvaguardare il prestigio del partito nei difficilissimi equilibri di forza, potere, comando (ovvero il controllo sia militare che politico del movimento partigiano, con quadri di comando affidati a comunisti di fiducia) .
Nella notte del 23 aprile 1945 il CLN, presieduto dallo Scappini si riunì in seduta permanente nel collegio San Nicola (per la DC c’erano Taviani, Loi, DeBernardis; per il PCI Scappini e Pessi; per il Pd’Azione Cassani Ingoni, Lavoretti, Zino; per il PLI, Manzitti e Martino; per il PRI Acquarone e Gabanizza; per il PSI Toni, Cirenei e Bianchi. Gli invitati furono adunati usando una immaginetta religiosa, il santino di san Nicola, a significato del luogo d’incontro). Presero il loro preventivato posto direttivo quale prefetto (avv. Martino Errico); questore capo della polizia (avv. Bianchi Costante); presidente del CAP Canepa Carlo; in Regione (Manzitti) e Provincia (avv. Raimondo Enrico); e poi anche il futuro sindaco nominato in Faralli Vannuccio del PSI appena liberato dal carcere di Marassi ed ancora convalescente di una grave lesione ad un occhio conseguente le sevizie subite alla casa dello studente; e i vari amministratori) e decise l’insurrezione seguendo in parallelo le trattative che i professori medici Giampalmo e Romanzi conducevano con il generale Günther Meinhold (il maggior-generale, assegnato da Hitler al comando della ‘fortezza Genova’ dalla seconda metà del 1944 dopo la ritirata dal fronte russo, aveva avuto l’ordine specifico di minare e distruggere città e porto in caso di arrivo degli Alleati onde offrire loro ‘terra bruciata’. L’ufficiale, vivendo in città si rese conto dell’assurdità del comando e consapevole che per potersi ritirare doveva trattare; e così divenne pronto a disobbedire rendendosi conto della sconfitta e dell’inutilità di versare altro sangue. L’incarico di distruggere il porto fu trasferito alla Marina, al cap. Max Berninghaus della Kriegsmarine (che nel frattempo aveva sconfessato Meinhold condannandolo a morte per tradimento). Fu monsignor Siri inviato dal cardinale Boetto che perorò la causa. Intanto Meinhold, con la mediazione sempre del cardinale, seppur forte di oltre 15mila soldati (tra tedeschi e repubblichini), offrì dapprima la ritirata, poi la resa, con ovvio personale ed impegnativo sforzo mentale, complessato da ovvi enormi sentimenti contrastanti).
Così il 24 mattino alle ore 10 il popolo iniziò ad occupare con lotta cruenta e prima che sopraggiungessero gli anglo-americani, il palazzo comunale, i telefoni, la questura, le carceri, il porto, lottando sino al 26 mattino (i fascisti si erano già defilati, rimanevano i tedeschi decisi ad oltranza, attestati e ben armati in palazzo Raggio, a Coronata, monte Moro, Nervi, Albaro, val Polcevera). Un giovane partigiano, cautamente penetrato nella ‘casa del Fascio’ di via II Fascio d’Italia, ne uscì esterrefatto dicendo ‘Non c’è più nessuno!’.
Il 25 alle ore 17 a villa Migone nel quartiere di san Fruttuoso, si incontrarono il medico C.Romanzi, il gen. Meinhold, R.Scappini, assieme a Martini Errico (rappresentante del partito liberale), Aloni Mauro (maggiore, comandante militare) il console von Etzdorf, G.Lavoretti (dei liberali), non presenti fisicamente ma rettori della trama, l’arcivescovo Pietro Boetto ed il suo ausiliare Giuseppe Siri la scusante era : non siamo politici e la Chiesa non interferisce con le lotte profane. Alle 19,30 dopo qualche indugio, il tedesco firmò la resa e la comunicò via telefono ai suoi subordinati (riconosceva con franchezza la sconfitta ed inutile ulteriore spargimento di sangue e distruzioni; precisando che era generale tedesco e non nazista; che la sua decisione non sarebbe stata condivisa da Berlino e da gran parte delle truppe (dai 6 a 8mila soldati tra ‘di terra –soprattutti artiglieri-‘ e di marina: Genova era sede delle forze navali tedesche leggere) per i quali cercava garanzie di trattamento; la pace sarebbe entrata in vigore dalle ore 09,00 del 26. Non tutti i tedeschi furono d’accordo e decisero unilateralmente di non cedere ai partigiani e di resistere sino all’arrivo degli alleati ai quali solo cercavano di arrendersi per dignità militare e per maggiori garanzie): fu quel giorno la vittoria della diplomazia su quella delle armi. Alle ore 13 gli americani erano arrivati a Sestri Levante, ma lì fermati dalle batterie tedesche alla ricerca di tempo, sperando ancora di poter evacuare Genova: il capitano americano M.Steinman, arrivatovi per primo, morì a Lavagna colpito dal preciso fuoco tedesco, assieme a molti suoi soldati
Il giorno 26 vide il tripudio della folla; l’assegnazione delle previste funzioni direttive cittadine ed avvio alla lotta agli altri incarichi di potere; per le strade molti cittadini -collusi con i fascisti- furono irregolarmente giustiziati ed altri incarcerati.
A Mulinetti la reazione americana, forte di cannoni su mezzi cingolati sopraggiunti nella notte, schiacciò queste sacche di resistenza, ma intanto la marcia degli alleati era stata rallentata di un giorno.
Il mattino del 27 arrivarono in città i primi alleati, guidati dal generale Almond; in particolare si trattò di una avanguardia di jeeps, guidata dal tenente Egget con i plotoni I ed R; il grosso arrivò nel pomeriggio del giorno dopo. Migliaia di tedeschi prigionieri sfilarono poi risalendo via XX Settembre, con sguardo di rassegnata depressione dei soldati, ma ancora di tracotante disprezzo delle SS.
Come ai tempi del Balilla, Genova –unica città in Italia- si era liberata da sola, con la volontà del suo popolo, dando ulteriore prova della propria fierezza e salvando l’onore del soldato italiano
Lo Scappini divenne poi segretario della Federazione del PCI di Pisa, ed onorevole. Genova lo riconobbe ‘cittadino onorario’.
Scrisse con costanza anche nei momenti di impegni travagliati, una aggiornata relazione della situazione periferica, onde poter tenere informati i centri coordinatori nazionali: questo fu di molto aiuto nella ricostruzione storica degli avvenimenti, spesso ingarbugliati, dalle vicende belliche e dalle tesi interessate dei singoli. Nel 1981 le memorie furono pubblicate dall’editore milanese LaPietra, col titolo ‘Da Empoli a Genova’.
Morì ad Empoli, ove risiedeva, il 15.6.1994.
BIBLIOGRAFIA
-Antonini S.-La Liguria di Salò-DeFerrari.2001-pag.494
-Archivio Storico Comunale Toponomastica - scheda 4097°
-AA.VV.-Contributo di Sampierdarena alla Resistenza-PCGG.1997-p.68
-Calegari M.-Comunisti e partigiani-Selene.01-
-Faraggiana A.-Garofani rossi-1977-pag.141
-Gazzettino Sampierdarenese 6/94.15
-Genova-rivista del Comune- 1/49.17 (oppure 1/47.17nota5?)
-Gimelli G.-Cronache militari...-Carige.’85-p.52.70.194.226.243.477.947
-Il Giornale -quotidiano- 20.01.2010
-Lamponi M.- Sampierdarena- LibroPiù.2002. –pag.29
-Ronco A.-Genova in guerra-Il Secolo XIX-Carige-pag.182
non c’è ancora in Pagano e 101/94
SCARSELLINI via Angelo Scarsellini
TARGHE:-
San Pier d’Arena – via - Angelo Scarsellini – martire di Belfiore
sul WTC angolo con via De Marini
angolo con via Scappini
QUARTIERE MEDIEVALE: Coscia
da MVinzoni, 1757. In giallo via Demarini; fucsia ipotetica posizione del WTC; verde ipotetico tracciato della strada.
N° IMMATRICOLAZIONE: 2849
Pagano 1967-8 – L’area dove scritto ‘scuola’ era l’oleificio.
CODICE INFORMATICO DELLA STRADA - n°: 57020
UNITÀ URBANISTICA: 26 - SAMPIERDARENA
da Google Earth 2007
CAP: 16149
PARROCCHIA: s.Maria delle Grazie
STRUTTURA: la strada appare nella carta del 1961 in zona oggi completamente sconvolta nella struttura.
Allora, sempre era orientata sud-nord ed iniziava da via P.Chiesa (alla stessa altezza di dove, a mare, inizia il raccordo autostradale); dopo due brevi isolati, da metà strada - a levante - con una scalinata si saliva sulla soprastante via Chiusa che la intersecava; con l’altra metà - a ponente - passava carrozzabile sotto la suddetta via Chiusa e proseguiva – fiancheggiando l’oleificio - per sbucare in via di Francia pochi metri a ponente di via DeMarini.
Oggi, da via P.Chiesa arriva sempre in via di Francia (e via De Marini), ma con a levante un corpo edilizio rettangolare di 13 piani (detto ‘torri basse’); seguito dalla rotonda di un silos-garages ed infine dal fianco del WTC. A ponente c’è prima un basso edificio -alto come una casa normale-; seguito dalla facciata del secondo gemello grattacielo, dalla rampa carrabile che porta alla piastra di collegamento delle due torri gemelle; ed infine da una più bassa costruzione conosciuta come AZ dal negozio che vi è stato ospitato.
È servita dall’acquedotto DeFerrari Galliera.
STORIA: Viene descritta scorrere in terreno di proprietà del CAP.
L’11 ottobre 1940 il podestà deliberò così la titolazione di questa strada che precedentemente corrispondeva ad un tratto di via G.Alessi (che scendeva da via DeMarini-via Dieci Giugno, a via P.Chiesa).
Doveva fungere da passaggio di scarico verso il lungomare, del traffico proveniente dalla sopraelevata e da via di Francia, snellendo via Buranello. Ma ancora nel 2002 una gru -utilizzata per costruire le torri- occupava trequarti della strada strozzando ogni iniziativa in quel senso. In questa data secondo i progetti iniziali del Centro san Benigno, doveva aprirsi sulla strada la seconda torre de “i gemelli”, poiché di esse ne era stata eretta una sola, quella a ponente. Questo secondo grattacielo è stato pressoché ultimato solo nel 2004, realizzato dalla soc. Edige. Da una rampa carrabile, si accede ad un vasto parcheggio per auto. Nel 2006, liberata questa strada, il traffico non ha trovato sfogo a mare impedito da quello che -provenendo da piazza Barabino- taglia la deviazione facendo preferire andare diritti in via Buranello.
CIVICI
2007= DISPARI: da 1 a 183 (mancano 9→13, 25,27,33,37,41,79,93,95,111,113,143,177)
PARI da 2 a 62 ( mancano 26,28,46→56,60) aggiungi 6CD e 32B
===civ. 1 esistente nel 1961 : ci abitava una ostetrica
===civv. pari 2→ 8 (secondari al civ. 1 di via De Marini) e dal 4 →al 24 assegnati nel 1988 a nuova costruzione .
===civv. 15, 17 demoliti nel 1995 e rassegnati, con tutti i dispari, sino al 139 a nuova costruzione, nello stesso anno
===civ. 37r nel 1961 c’era un rigattiere
===civv dal 145 al 181 assegnati a nuova costruzione nel 1996 .
DEDICATA Al patriota italiano, nativo di Legnago nel 1823 (Lamponi scrive 1782), martire di Belfiore nel 1852, di professione macellaio.
Cittadino di carattere ottimista e pratico, pagò di persona lo slancio e l’entusiasmo di partecipare alle lotte per l’irredenzione della sua terra natia anche se condotte quasi sempre in pochi o comunque senza mezzi ed organizzazione coordinata. Iniziò partecipando ai moti del 1848, sperando nella liberazione del Lombardoveneto; la sconfitta del Piemonte lo costrinse all’esilio in Francia e poi in Piemonte.
Rientrato nel Veneto ancora soggetto all’ austriaco, partecipò alle cospirazioni dirette dal sacerdote Enrico Tazzoli (diffusione di opuscoli rivoluzionari, riunioni sediziose, organizzazione di focolai di animosi, alcune anche ingenue tipo progettare traffici d’armi o rapire l’imperatore); di loro, da poco aveva perduto la vita Luigi Dottesio, che -dopo cattura e processo- fu la prima vittima dell’ampia rete del comitato insurrezionale creatasi nel territorio occupato dallo straniero.
La polizia austriaca, forte di due inquisitori particolarmente tenaci, attraverso vari arresti riuscì a concatenare i fatti ed i nomi di vari collaboratori -per lei traditori-; riuscendo così a fare una retata di ben 110 cospiratori . Essi furono processati in vari gruppi, e 10 condannati a morte, altri al carcere duro della Mainolda.
Scarsellini, arrestato a Venezia, fu tra i condannati a morte il 4 dic.1852 , e condotto al patibolo dell’impiccagione il giorno 7, assieme al Tazzoli ed altri tre; in altri giorni morirono anche Tito Speri e gli altri: secondo l’accusa, tutti rei di alto tradimento. L’esecuzione avvenne in un vallo del forte, posto a difesa della piazza di Mantova.
Alla liberazione, la località divenne altare per la libertà d’Italia.
BIBLIOGRAFIA
-Archivio Storico Comunale - Toponomastica, scheda 4100
-Autore non conosciuto-Guida del porto di Ge-Pagano.1954-pag.732
-AAVV-Annuario guida archidiocesi anno/94-pag.445; anno/02.-pag.481
-Enciclopedia Motta
-Enciclopedia Sonzogno
-Genova&Genova, n°6 del maggio/01
-Lamponi M.-Sampierdarena- LibroPiù.2002-pag.29
-Pagano 1961-pag.385
-Pastorino.Vigliero-Dizionario delle strade di Ge.-Tolozzi.1985-p.1672
-Poleggi E&C-Atlante di
Genova-Marsilio 1995- tav.51
SCASSI corso Onofrio Scassi
TARGHE:
San Pier d’Arena – corso - Onofrio Scassi – medico-scienziato-politico – 1768-1836
in angolo con corso Magellano, casetta dell’AMT
in angolo con scalinata C.Beccaria
QUARTIERE MEDIEVALE: Mercato
da MVinzoni, 1757. In rosso salita sBarborino; giallo vico Imperiale; fucsia, via GB Botteri; verde, ipotetico tracciato del corso, sotto la vasca del lago infer.
N° IMMATRICOLAZIONE: 2850 CATEGORIA: 2
da Pagano 1967-8
CODICE INFORMATICO DELLA STRADA - n° : 57040
UNITÀ URBANISTICA: 27 – BELVEDERE
28 – s.BARTOLOMEO
da Google Earth, 2007
CAP: 16149
PARROCCHIA: Cristo Re
STRUTTURA: doppio senso viario, da via G.B.Balbi Piovera a corso F.Magellano.
Due scalinate si aprono a mare sulla strada: una col nome di scalinata Beccaria; altra anonima che la collega a via GBBotteri.
La proposta formulata del marzo 2004 di munire la strada di posteggi a pagamento sul lato a mare, fu bocciata dal CdC: il problema coinvolge quello del traffico (ospedale, scuola, residenti), che ostacola il flusso delle ambulanze
Prima dell’applicazione delle targhe in plastica, nell’angolo a sinistra della vecchia targa c’era inciso “già corso Roma”.
È servita dall’acquedotto DeFerrari Galliera
foto anni 1960
CIVICI:
2007 =possiede solo neri, 1 e 3 =UU27 e 2→10=UU28.
Nel Pagano/40 la strada va “da via G. Balbi Piovera al monte” ed ha solo ilo civ. 1 degli “Ospedali civili Sampierdarena”
STORIA: dalla mappa del Vinzoni si vede che la strada faceva parte del giardino di villa Imperiale, separando il tratto di giardino (col viale centrale, il quale, lievemente in salita e detto ‘delle statue’, ancor oggi è esistente al limite alto del parco) dal largo lago –detto ‘inferiore’- della villa stessa.
Non è chiaro quando il Comune, a vantaggio dell’ospedale, trovò modo di allargarsi a levante rispetto la cinta degli Imperiali; si riscontra infatti una non corrispondenza tra la carta del Vinzoni (ovvero della antica villa) e la situazione ad oggi: in quella, il vico Imperiale scorreva diritto al lato orientale della proprietà racchiusa da un alto muro. Tutto corrisponde, dall’inizio in basso sino a ponente della torre dell’ospedale – ancor oggi eretta - della ex villa del principe Francavici. A quel livello, il muro di cinta della villa Imperiale fu distrutto per aprire via GBBotteri, ma dovrebbe riprendere diritto a monte del corso Scassi - per salire a Promontorio -. Invece oggi la proprietà dell’ospedale si estende per ulteriori 100m a levante – al limite con via MFanti-. Qui, nel tratto iniziale, c’è un muro di cinta, ma non è in linea con quello di via Botteri. Quindi, o questo di via Fanti è della proprietà vicina, i principe di Francavici, ma da nessuna parte è scritto che l’ospedale acquistò terreno espandendosi a levante; o c’è un errore nella carta (assai difficile) nella parte medio-alta della proprietà.
La strada, nacque con i lavori di erezione dell’ospeale; e nel 1915 - in concomitanza dell’inaugurazione ed apertura funzionale dell’ospedale - fu battezzata corso Roma. Ancora in quel tempo, non aveva sbocco ai due estremi ma si collegava col centro cittadino tramite la ripida via G.B.Botteri. La difficoltà a transitarla con i mezzi di allora (su carretti trainati a mano o da animali), furono poi superati con la donazione dei terreni utilizzati per aprire via Balbi Piovera.
Ma prima di quest’ultima, sappiamo che in un primo progetto, la strada inizialmente andava dall’entrata dell’Ospedale verso levante, per farla scendere a tornanti lungo il fianco destro della valletta di san Bartolomeo fino all’antica abbazia.
Mentre, dal lato a ponente, la strada fu interrotta al limite del giardino della villa Imperiale-Scassi, e tale rimase per altri cinquant’anni circa. Del muro di cinta che limitava a ponente detta proprietà, rimane - proprio sul marciapiede a mare della strada - un arco-porta, che molto probabilmente collegava l’interno della villa con l’accesso alla basilica di san Giovanni Borbonoso.
Sul montante a mare dell’arco, in occasione dell’apertura della strada fu apposta una lapide del 1915 che scrive:
«A testimonianza del giardino cinquecentesco / onde / Galeazzo Alessi per Vincenzo Imperiale / il colle aprico / da valle a monte / imparadisava / il Comune / quest’arco intatto volle rimanesse simbolo dell’arte / travolta dalle esigenze nuove //--// Il Popolo Sampierdarenese / chiamato nel 1° maggio 1915 / al battesimo del corso Roma / ne consacrava il ricordo»
Come scritto, inizialmente il progetto non era come oggi: infatti già approvato l’anno 1925, già finanziato e reso esecutivo (così nella relazione dell’amministrazione cittadina del 1926 al momento dell’ultimo anno di autonomia prima dell’assorbimento nella Grande Genova, ed in alcune mappe del 1931) era previsto un allacciamento con via san Bartolomeo, tramite una strada che doveva scorrere a tornanti lungo il fianco della collina -larga 15m, lunga 4 km, passante per Promontorio; ed a ponente arrivare al Campasso ed oltre fino al confine con Rivarolo in via A.Ristori. Evidentemente l’assorbimento con Genova, fermò e cambiò tutto.
Così poi invece, dalla Abbazia di s.B.d.Fossato la strada fu continuata ma sul versante opposto, quello a levante verso le mura.
Il 19 agosto 1935, con delibera del podestà, fu cambiato la titolazione della capitale con l’attuale, per evitare l’omonimia con Genova.
Mentre a ponente, l’allacciamento con corso Magellano avvenne assai tardi, oltre gli anni 1950.
Nell’angolo la gabina dell’ascensore che collega il corso con via A.Cantore, descritto in questa ultima strada.
Tutta la zona sovrastante che dall’antico era parte integrante della villa Imperiale-Scassi (sottostante e descritta in via N.Daste) quando dal Comune fu comprato tutto, fu dapprima deciso tagliare i giardini a livello del laghetto inferiore, dedicando la soprastante - cosiddetta zona boschiva - all’ospedale. Alla fine, compreso il taglio di via A.Cantore, tutta la proprietà si trovò separata in tre porzioni, come aree autonome ed avulse una dall’altra che han costretto me a descriverle separate con grande rimpianto nel cuore (la villa in via N.Daste; i giardini in via A.Cantore; il boschetto in corso O.Scassi), perché così han fatto perdere a san Pier d’Arena la più alta magnificenza che aveva.
Tornando alla zona boschetto, la possiamo interpretare solo dagli acquarelli prodotti da Dante Conte e da rare fotografie. Li premettiamo alla descrizione del nosocomio (leggere anche “giardini villa Scassi in via A.Cantore).
la torre delle Franzoniane - nei pressi del terzo ninfeo arco esistente in c.so Scassi
come foto 2 il terzo ninfeo idem
terzo ninfeo
il terzo ninfeo un lago
parte della quadreria presente nella Direzione dell’Ospedale
===civ 1 l’OSPEDALE civile, già “Azienda”. Dal 2009 semplice “Ospedale civile villa Scassi”, tornato a far parte delle ASL 3 regionale (Anticamente gli ospedali erano alla diretta dipendenza dallo Stato; la loro gestione passò alla USL Regionale, che nel territorio è la numero ‘3 genovese’. Oggi, quelli minori non sono aziendalizzati e dipendono dal complesso sanitario gestito direttamente dalla Regione; invece, quando un ospedale è aziendalizzato gode di autonomia economica pur sempre dipendente gestionalmente dalla Regione).
1)==Alle origini locali, leggiamo che il primo ospedale cittadino, non inteso con la mentalità odierna ovviamente, ma come ‘ospizio per viandanti e marinai’, fu quello in salita san Barborino dall’anno 1200 circa, detto ‘spedale’ o ‘ospizio di san Giovanni’. Praticamente nulle, le notizie relative a questa iniziativa, al punto che storicamente ne è accertata l’esistenza ma di cui nessuno descrive la funzione e lo sviluppo negli anni. Fu chiuso con bolla pontificia di Sisto IV il 26 novembre 1471 assieme a tutti gli altri uguali genovesi, a beneficio dell’accentramento in unica sede, a Pammatone.
2)== Dopo questo, nulla fu fatto nel borgo, finché il Comune con delibera del 2 lug.1871 decise l’acquisto a condizioni di assoluto favore della villa Masnata (oggi essa si affaccia su via A.Cantore, ma allora si apriva nell’attuale via N.Daste.
Necessaria la descrizione dell’ambiente sociale in cui maturò la decisione: dal 1865 il borgo era divenuto città e l’unica assistenza ospedaliera era solo a Pammatone. Le grosse industrie avevano richiamato innumerevoli immigrati, operai - e famiglia annessa - alla ricerca di occupazione fissa. Come conseguenza, un aumento di malattie ed incidenti. Divenne costoso, disagevole ed a volte drammaticamente difficile l’utilizzo di Pammatone posto al di là del colle di s.Benigno in tempi in cui le barelle erano
sospinte a mano su strade in terra battuta).
Nacque come Opera Pia, ed il 26 gennaio 1873 fu riconosciuto Ente Morale; fu inaugurato il 15 marzo 1874 con 60 posti letto.
Dopo solo vent’anni d’uso, apparve evidente che la villa non era più sufficiente alle esigenze della tumultuosamente crescente popolazione, e che non era opportuno ci si dovesse sempre appoggiare a Pammatone.
3)== Così il 30 mag.1903, sotto l’amministrazione di N.Ronco, fu elaborato un progetto per qualcosa di più consono alle necessità: per 1.402mila lire, si prevedeva un edificio da far sorgere a quota 60, nel luogo della villa Scassi chiamato ‘boschetto’, dove allora c’erano il lago artificiale ed “il bosco ed un centro di tiro al piccione” nonché accesso da via dei Colli (approvato dalla prefettura il 14/5/04). Fu proprio la strada, di difficile realizzazione, che fece fermare l’inizio lavori. Si arrivò così al 1907 quando il prosindaco Gino Murialdi (nominato commissario prefettizio alle dimissioni di N.Ronco) fece proporre la collocazione dei primi padiglioni a quota 40 dove era la grande vasca e facendo studiare una via di accesso differente.
Così, nel 1911, l’impresa Carena Giovanni, (sindaco Peone Gandolfo), iniziò i lavori di accesso verso quota 40 usando la strada oggi chiamata via GB Botteri, (solo in seguito, fu aperta a levante una più larga e comoda strada chiamata via E.DeAmicis che corrispondeva all’insieme delle attuali via Malinverni, via Pittaluga, via B.Piovera) che da quota m.5,5 sale a quota 40 (-ancor oggi assai stretta- sul terreno concesso gratuitamente dal sig. Benedetto Piccardo (la cui proprietà, posta ove ora sorga il grattacielo, tramite cancello si apriva in via De Marini (via L.Dottesio)).
Nella ex-proprietà Scassi, fu per prima distrutta la grande vasca dentro la quale gli Imperiale, gli Scassi e poi turisti vari, andavano in barca; per aprire la strada e poter innalzare il padiglione centrale principale, sul cui fianco una entrata con un unico maestoso ed imponente festone floreale e, molto più recenti una palazzina all’estremo levante della strada, adibita dapprima ad archivio ed ora a CUP; l’entrata carrabile da corso Magellano; ed il contestato – ma vinto dall’ospedale – accesso alla camera mortuaria posta al piano terra del pad. 9 – dopo la sbarra dei vari civici di corso Magellano 1.
Sulla facciata Antonio Quinzio disegnò sulla facciata esterna un affresco oggi scomparso, sotto una nicchia culminante con la torre di città sovrastante lo stemma col sole nascente ed un cartiglio con scritto “ospedale civile”.
anno 2007
Forse, suoi anche gli affreschi nell’interno dell’atrio (nessuno spiega il significato: in basso tre uomini nudi sorreggono altrettante bandiere, di cui quella centrale crociata e quella a sinistra è alla base di una serie di figure che si sublimano verso l’alto, forse a simbolo della tendenza ad elevarsi al cielo; -al centro ed in alto- una figura femminile ammantata di rosso vista dal basso, tende minacciosa un pugnale contro una nube nerastra, probabile simbolo delle malattie),
Atrio con lapide
Atrio = soffitto laterale parete soffitto centrale
Atrio = soffitto centrale Scale = parete laterale
nel quale è in evidenza una lapide dettata dal sindaco, l’on. Mario Bettinotti che tramanda (foto sopra) «resti scolpita nel marmo / con indelebile segno / siccome eterna vivrà nelle anime / la testimonianza / della riconoscenza che l’ospedale / deve / al Municipio di Sampierdarena / costruttore e donatore munifico di questa sede / dove il dolore umano / si placa / nel magistero della scienza / nel palpito della fraterna carità / nel sorriso della natura».
Su progetto dell’ing. Adriano Cuneo, nel 1913 fu eretto un secondo lotto, a padiglioni separati (così era necessario allora, in assenza di antibiotici, per contenere eventuali epidemie e contagi): due per medicina, due per chirurgia, uno per maternità, uno per servizi - cucine, lavanderia, camera mortuaria -. Allo scopo venne sacrificata la parte alta dell’ampio territorio appartenente agli Scassi: dalla quota 40 in su, furono distrutti il lago artificiale superiore, l’ampia voliera (lasciando la colombaia), l’ultimo ninfeo fatto a grandioso anfiteatro a due piani, risalibili con rampe laterali; ed il rigoglioso bosco di macchia mediterranea.
lavanderia radiologia suore ‘cappellone’-foto 1960
in costruzione pad. 3 e 4
pad. 6 pad. 7
pad. 8 con il sottostante lago superiore asciugato idem pad. 8
Lo sgombero dal sottostante nosocomio, avvenne in due tempi: il 15 sett.1915 -per necessità belliche e la richiesta della villa sottostante da parte delle autorità militari per loro uso; numerosi del personale sia medico che infermieristico erano partiti per il fronte, frenando ovviamente il naturale progetto di ampliamento- si aprì di fretta per primo il pad.3 di chirurgia uomini (quando ancora non erano terminati molti servizi generali come l’impianto ascensori e di riscaldamento -quest’ultimo entrò in funzione solo nel 1923-). Particolare che riguarda questo evento è l’evidente –ma da nessuno descritto- allargamento verso levante di un centinaio di metri della proprietà ospedaliera, proprio a monte di corso Roma (poi O.Scassi). Quando il Comune acquistò villa e terreno degli Imperiale-Scassi, quest’ultimo a levante era delimitato –come descritto nella carta del Vinzoni- da una crosa chiamata vico Imperiale la quale procedeva diritta dal basso all’alto con piccola sbavatura che però diventa enorme (un cento metri) appena sopra la torre dell’Ospedale ex-villa dei Francavici. Evidentemente l’ente ospedaliero acquistò questi metri a est (e, trattandosi di ‘eredità’ Francavici, forse il generoso P__che aveva regalato il terreno per far salire via B.Piovera, non è esente dal pensiero che abbia donato anche questa ‘fetta’ di proprietà) che determinarono: A) troncamento di via Imperiale (poi via GB.Derchi) con ovvia necessità di farla finire con una scaletta sbucando nella stradina interna che poi diverrà via Carrea; B) solo così avere possibilità di far entrare nella proprietà in possesso, due padiglioni affiancati.
Subito dopo la prima riunione del Consiglio di amministrazione avvenuta il 14 mar.1916 e diretta dal presidente prof. Gallino, avvenne il secondo e definitivo trasloco nel maggio successivo: il trasporto degli ammalati fu realizzato tramite un carretto trainato da un asino – ambedue di proprietà dell’ospedale, finché poi non fu comperato anche un cavallo ed un carretto speciale, utili anche per i trasferimenti interni e per la cucina; solo nel nov. 1926 fu acquistato un camion che sostituì il cavallo, non l’asinello che rimase col nuovo carretto. La retta era stata fissata in rapporto alle possibilità personali: gratuita per i poveri residenti in SPdA, e retta giornaliera per i più possidenti. Limiti ai malati infettivi, esclusi gli affetti da TBC ma da collocare separatamente.
Elenco donatori dell’ospedale
==anno 1916
cav. Nasturzo Silvestro; comm Romairone (lascito); Derchi Luigina ved.; Lagorara f.lli; Cassa R Ge.; Feltrinelli f.lli
==anno 1917
Nasturzo; DeAndreis Menotti; Vassallo avv. Guglielmo; Carige
==anno 1918
Pittaluga Luigi; Pittaluga Luigi (pro cappella erigenda); Paleari Angioletta; Nasturzo; F.lli e s.lle del fu Macciò Natale cav.; Soc.Carbonifera Industriale It.; Michelini Caterina ved. Bertorello; Rapallo fam.; Gatti Agostino; Balbi f.lli e s.lle; soc. an. Calderai in rame di Cornigliano; Feltrinelli; Bertorello Salvatore; Liberti Placido Enrico
Nel 1917, in una relazione pubblica, fu presentato su opuscolo il prospetto completo del progetto, di come e dove l’Amministrazione prevedeva espandersi; i tempi hanno fatto modificare molti di queste ipotesi, come si può constatare nella foto sotto, compreso i giardinio della villa e l’attuale corso Magellano:
Nel 1919, aveva già 500 letti; si previde un sostanziale concorso spese a carico del Comune di San Pier d’Arena (in più, alla sopravvivenza contribuivano altri Comuni vicini per i loro ricoverati, l’usufrutto delle rendite patrimoniali, rette pagate dai privati più abbienti, lasciti e beneficenze (come il cav. Nasturzio Silvestro, fornitore in forma gratuita di ghiaccio), rimborso spese della degenza di soggetti di altri comuni del regno, enti, iniziative e promozioni varie).
In questo dopoguerra, - e sino al 1932 - le difficoltà economiche subentrate, determinarono un rallentamento del previsto ampliamento, apportando però miglioramenti sostanziali (gli amministratori da 6 a 7; i medici da 12 a 17; gli infermieri -chiamati sussidiari, comprese le 11 suore- da 45 a 120, operanti in tre turni giornalieri ininterrotti).
Venne iniziato (apr.1924) il pad.8 -già chiamato “padiglione per la tubercolosi”, progettato secondo le norme più recenti della terapia, con 110 letti elevabili a 140, bagni “modernissimi e latrine distinte per gli ammalati e personale”, cucina ad ogni piano, ascensore e montacarichi-; fu completato nel 1926 assieme al pad. 7 della maternità, iniziato prima, ma non ancora ultimato; venne avviato l’impianto a vapore centralizzato del riscaldamento (fornito da impianto basale munito di ciminiera ottagonale, alta 40 m.; fu abbattuta negli anni 1980 per la molestia recata ai grossi edifici popolari costruiti nei dintorni dell’ospedale; tutte le tubature – comprese quelle elettriche – scorrono sottoterra lungo un cunicolo che inizia a ponente del pad. 8, è largo circa 2 metri ed alto altrettanto o poco più – ma in alcuni punti assai di più - che serviva nell’antica villa da scarico dell’acqua dal lago superiore a quello inferiore).
dove inizia presso il pad. 8 un tratto del cunicolo sotto pad.1 e corso Scassi
sotto il pad. 7 con sbocco all’esterno
Il Comune donò all’Ente ospedaliero, il 25 sett.1926, tutti i sei edifici eretti (5, pari a 250 letti +1 centrale amministrativo) + 2 in fase di ultimazione (maternità e tbc); da allora l’Amministrazione divenne autonoma (e si impegnò a ridurre la retta dei poveri del 25%; a “destinare tutto ad uso esclusivo di Ospedale”, ovvero “mai essere adibiti a destinazione diversa, né tantomeno alienati...”; al massino, se espropriati o cambio di destinazione, il ricavo va investito in buoni fruttiferi e devolvere il reddito a scopi benefici a favore dei sampierdarenesi per nascita e domicilio.
L’ultimo sindaco, il cav. Manlio Diana ebbe valorizzato l’insieme pari a 6milioni; notaio Giuseppe Martinoia, rogito 25 sett.1926; con vincolo di essere sempre a scopo assistenziale; con sussidio annuale portato da 840mila lire ad 1milione)
Solo i vecchi e cronici, dopo l’iniziale trasloco, nel 1919 ritornarono al Masnata; nel 1929 vennero tutti trasferiti a Coronata, ma ben presto dovettero essere riospitati a villa Scassi, alloggiandoli in provvisorie baracche di legno, dette allora “sezione cronici, oppure sanatorio” fatto erigere nella parte alta della proprietà per ospitarvi i prigionieri austriaci, che se lo costruirono in legno preferendolo ad una prigione in muratura.
foto epoca 1930
anno 1997 anno 2002 – eliminato l’amianto
Nel 1930 (anno VIII dell’EF) fu ristrutturato usando l’eternit ed è scritto su ‘Genova’ che fu adibito quale nuovo padiglione ad uso sanatorio per i tubercolotici, essendo “in ottima posizione, con ambienti spaziosi, pieni d’aria e di luce, dalle cui finestre si gode di un’ottima vista delle colline circostanti e del mare”.
Fu demolito nel 1998, ma in suo scheletro rimase fino al 2002; fu ricostruito nel 2006 completamente nuovo.
Dove è la sua base, fatta come piloni di ponte fiancheggianti la salita mattonata, si intravedono residui di grottesche (false stalattiti ) relative al contorno del lago anticamente esistente nella zona.
Nel 1930 il comune di Genova, successore nel possesso dei beni sanitari,
decise non pagare le spese con un saldo annuale a forfait, ma rimborsando all’ospedale per i singoli malati, la singola retta giornaliera da far pagare, riferita alle giornate di degenza effettivamente consumate (di base, in corsia o camera comune lire 14,50/die) stabilendo le differenze per gli Enti, per gli altri Comuni, per la Casa di Salute, arrivando a diarie da 20 a 45 lire).
l 20 lug.1933 l’amministrazione degli Ospedali cedette al Comune di Genova villa Masnata e l’area antistante necessaria per aprire via Cantore
Nel 1934 entrarono in funzione tutti gli ascensori interni (quello del pad.7 dovette aspettare l’anno dopo); nel 1936 venne iniziata sopraelevazione dei padd. 3 e 4, a cui seguirono tutti gli altri.
Nel 1938, per un progetto di espansione, fu proposto l’esproprio di un terreno confinante a ponente - di 44mila mq e proprietà della marchesa Durazzo Pallavicini; ne verranno invece poi acquistati solo 16mila mq (nei restanti mq molto più tardi verrà costruita la chiesa) posti a ponente delle cucine,
e allora di proprietà della sua erede marchesa Negrotto Cambiaso (La DurazzoPallavicini probabilmente fu Teresa, che ebbe figlio GiacomoFilippoV (1848-1921) sposo con Matilde Giustiniani; morto questi senza eredi, la vedova sposò Pierino NegrottoCambiaso in seconde nozze). Il numero dei ricoverati era salito a 650 (di cui 200 affetti da tubercolosi).
La guerra del 40-45 impoverì gli organici e la cassa; nel ‘40 fece scomparire la cancellata per il ricupero del ferro; fece riaprire nella zona alta del parco, nel ’41, il “Giardino” per una grave epidemia di tifo;
il Giardino – ove ora sorge il pad. 10 – l’arco dell’antico giardino aiuta a localizzare la zona.
in basso a destra, la cinta del lago superiore
Sempre nel 1941, in zona bassa si costruì una galleria per evacuazione, cercando di arginare il fuggi-fuggi disordinato di gente terrorizzata, specie di malati e feriti, ma che risulterà pur sempre inefficace; nel ‘44 i bombardamenti distrussero il pad. 7 e - parzialmente il 5 e 6 e la chiesetta del Giardino. Dopo il 25 aprile, sotto i muri di cinta nell’altura, si descrive dei ‘partigiani’ nella frenesia della vendetta, fucilarono senza processo dei collaboratori - o presunti tali - dei tedeschi.
Nel 1950 aveva presidente il geom. Manzini Oreste e primari Albanese Andrea (ortopedico); Bianchi Giovanni (radiologo); Canestro Corrado (ORL); Fulle GB (chir); Dallera Nicolò (o.ginec); Polleri Pio (medic); Rossi Giovanni (patologo); Rebaudi Ulisse (dermo); frola Enrico (medic); Vialetto Ernesto (neurol); Fazio Giuseppe (medic.legale); Cisi camillo (ped); Magliano Eugenio (medic); Marchesini Ettore (oftalm); Costa Luigi (medic).
Nel nov.1955 si deliberò la costruzione del pad. 10, salvando dei muri dell’antica villa, un arco di uscita dalla proprietà cintata per immettersi nel boschetto superiore. Inizialmente vi fu aperto un reparto di medicina, affidato all’ill.mo clinico prof. A.Marmont (attualmente è adibito a servizio di medicina nucleare).
il pad. 10 negli anni 1960 una nicchia votiva ricavata da grotta artificiale che arredava il lago
Sottostante ad esso, e confinante col retro del pad.8 esiste tutt’ora una piccola costruzione in muratura ora in abbandono, con torretta rettangolare munita di tetto a pagoda, non segnalata nel rilievo del giardino fatto da Reinhard. era una antica colombaia (nel cartello del restauro, è chiamata ‘voliera’ ma –a mio avviso - erroneamente perché non è mai stata tale (che però esisteva, ma vicino, e già da tempo abbattuta) quanto piuttosto colombaia: sia perché essi – a partire dal campanile – erano usati quali postini di quei tempi, sia perché da lassù i signori andavano a sparare al passo dei colombi selvatici) che è vincolata e tutelata dalla Soprintendenza, a fianco della quale sono ancora 2 grossi gessi di animali che una volta ornavano il sentiero. Nel 2006 è pressoché completato il restauro esterno ed, a buon punto, quello interno. A monte di essa, sono stati costruiti due piani+tetto ad uso box per auto.
ante restauro laterale interno
soffitto, ante restauri i due leoni, ante sistemazione
Il 26 novembre dello stesso anno, s.e. il card. G.Siri consacrò la chiesa (L’ospedale, nato in un clima decisamente laicizzato, nell’anno 1908 aveva licenziato il cappellano, generando da parte dei cattolici scritti di protesta, nonché un apposito comitato e raccolta di offerte per riammetterlo a spese pubbliche. Da allora, mai eretto l’alloggio per il sacerdote, e le suore ospitate in precarità (le ‘figlie della Carità’ o cappellone, di san Vincenzo dè Paoli).
progetto sistemazione della Chiesa – attuale collocazione (foto 1960)
Circa l’edificio, l’amministrazione aveva previsto una costruzione allo scopo, ma furono sempre ritardati i tempi finché una chiesuola fu adattata in una baracca di legno, nel settore Giardino, poi coperta con il famigerato eternit. Un più sostanziale discorso sulla chiesa iniziò nell’ott.1933 quando fu cappellano il famoso don Giordano, con precisazione da parte dell’Amministrazione di non voler spendere nulla di proprio. Seppur raccolta una discreta cifra, ed approvato il progetto dell’ing. Ferrari, la guerra fece rinviare di nuovo tutti i programmi. Solo nel 1954 padre Rinaldi dei padri Camillani o Ministri degli Infermi (i Camilliani furono fondati da san Camillo de Lellis nel 1582 e sono dediti ai malati indossando un abito talare con grossa croce rossa sul petto), costituì un comitato pro chiesa: ridotta all’estremo la spesa, spostando la sede nell’area all’estremo levante anziché sopra il pad.7, promovendo lotterie e beneficenza, nel 1955 fu eretto il sobrio edificio ad unica navata,con un altare maggiore su cui domina la statua di una Madonna ‘Regina Mundi’, donata dalla squadra di calcio U.S.Sampdoria, con retro affrescati degli angeli).
Il 13 dic.1959, con festosità interna, l’ospedale venne riconosciuto ed elevato “di prima categoria”; si aprì la scuola convitto per infermieri professionali.
Nell’ott.1961 fu inaugurato il pad.9 a grattacielo, dedicato al dott. Peone Gandolfo, giù medico-sindaco di San Pier d’Arena.
Nel 1982 si aprì con semplice cerimonia un attrezzato e moderno ‘centro ustioni’, poi ribattezzato‘grandi ustionati’, con camere sterili e le più sofisticate attrezzature atte a combattere le deturpanti e dolorosissime lesioni. La ‘sponsorizzazione’ avvenne per la generosa donazione (con la clausola dell’anonimato di Italo Scorza – alla sua morte- della sua consorte Angioletta Mela-; 1894-1982, titolare della società in n.c. Gerolamo Scorza posta in calata Gadda, grossa produttrice di legname nazionale, importatrice di quello estero, segheria e deposito anche di compensato, alberature e per riparazioni navali. Si assunse l’intero onere economico dalla progettazione alla realizzazione della più moderna struttura; dalla somma messa a disposizione, si ottennero anche due ambulanze e l’attrezzatura per il centro ortottico)
Nel 1996, l’ospedale divenne Azienda, ed assume il nome di azienda Villa Scassi. L’anno dopo fu inaugurato un funzionale Pronto Soccorso, la cui struttura muraria ben presto fu demolita (con trasferimento momentaneo al retrostante pad. IV) per far posto al modernissimo centro nominato DEA, aperto nel 2001.
foto 1997 anni 1980
1990 con un solo fornice
Nel 1998 venne definitivamente sventrato la palizzata lignea del Giardino, col contemporaneo inizio del programma di aprire ancora più in alto un eliporto.
foto 1 area a monte del pad. 10 con in alto zona posteggi e verso il basso la rampa per arrivare all’eliporto; sulla sommità dei prati – fuori area di proprietà ospedaliera – le case di Promontorio
foto 2 l’eliporto e – a destra – il muro cghe separa l’area a salita superiore S.Rosa
Non viene specificato da quando, ma l’intero complesso è vincolato e tutelato dalla Soprintendenza per i beni architettonici della Liguria.
Vengono rammentati saggi amministratori nelle figure dei presidenti Cavallaro, Fraguglia, Saitta, Ferrando. Nel giu. 2001 venne ristrutturato il P.Soccorso (ma, i codici a colore fanno far aspettare anche delle ore, una volta con intervento dei carabinieri).
Nel 2002 compare tra le strutture, la ‘clinica privata o casa di salute’, al piano terra del pad.5, gestita dai medici stessi dei vari reparti ma anche aperta a tutti i professionisti anche di altri ospedali, per medicina e chirurgia (aria condizionata, telefono, frigobar, parcheggio riservato, non orari di visita). Questo trattamento ha favorito la scelta da parte di molti pazienti paganti o assicurati, con ovvio beneficio dell’intero ospedale in cui vengono usate le cifre guadagnate. Queste iniziative concorrono ad aumentare la disponibilità, la scelta e la fiducia nei medici ed infermieri.
Così anche, stipulando contratti di appalto con società esterne a livello internazionale, riguardanti la pulizia, il calore e climatizzazione, le fonti di energia come la corrente elettrica ed il gas, lavanderia e ristorazione, vigilanza e , ecc. notevole è risultato il risparmio e la funzionalità.
Da questi anni, ampi e frequenti riconoscimenti di funzionalità, entrando nei 18 ospedali nazionali più innovativi e secondo per il costo giornaliero di ricovero (--sotto la guida del direttore Lionello Ferrando, dal 2003 tutto il sistema informativo è ‘on-line’ ovvero computerizzato: eliminate in pratica le lastre ed i referti, sostituiti da cd-rom --Nel 2003 l’ospedale è stato soggetto ad un clamoroso furto di 14 seggiole antiche (‘600 e ‘700-; probabili provenienti da villa Doria Masnata) -fotografate e catalogate- che la Soprintendenza aveva valutato 40mila euro. -- Sempre dal lug. 2003 è partito il progetto di un nuovo padiglione a monoblocco, da affiancare al 9: ospiterà le più moderne attrezzature tecnologiche con la casa di salute privata, e permetterà una completa e finale ristrutturazione funzionale di tutto il nosocomio. Nel 2006 è in fase avanzata di costruzione).
===civ.20 assegnato a nuova costruzione nel gennaio 1955, divenne il civ.20 di corso Magellano nell’ottobre dello stesso anno.
===civ. 2 fu distrutto, demolendolo nel 1957.
Nel nov.1953 e nel lug 1954 la Commissione Edilizia comunale approva il progetto di costruzione di un caseggiato nella strada, non viene precisato quali; nel 1963 la numerazione rossa e nera fu unificata
IL PARCO sopra corso O.Scassi
La targa posta nel 1915 sull’arco di ponente (quello di levante fu demolito) esistente nel corso stradale, è un tuttodire a riconoscimento: «a testimonianza del giardino cinquecentesco - onde - Galeazzo Alessi per Vincenzo Imperiale - il colle aprico - da valle a monte – imparadisava - …».
In effetti, in origine, tutto il giardino dalla villa arrivava sino a Promontorio: era il più vasto possedimento terriero nel nostro borgo, ed essendo rimasto tutto in possesso del Comune –anche se poi frazionato in tre parti per necessità urbana ed edilizia- è l’unica cosa che ci concilia con le scelte fatte nell’ottocento e novecento quando furono date –in piccola parte complici i bombardamenti- maggiori concessioni a distruggere che a costruire.
Furttenbach nel 1627 scrive il suo «Newes itinerarium Italiae…» ed a proposito : “in cima, su un monte assai alto, vi sono due bacini…c’è una graziosa passeggiata con la quale il cuore si può rallegrare”.
Le carte del Vinzoni (1757 e 1773), quella del Porro (1830) e le vedute di Gauthier (1832) permettono captare i confini, la vastità e varie localizzazioni di questa parte del parco.
Nell’origine, questa parte di parco (fa fede l’arco, che è stato conservato troneggiante da solo in corso Scassi e che permette di confrontare con la pianta del Gauthier) in basso inizia a livello del bordo inferiore del ‘Lago inferiore’, ed arriva sino all’apice di Promontorio ove pare, perché informazione non sicura, che in questa zona, circa subito sotto la chiesa di Promontorio, c’era una fontana dalla quale iniziava l’utilizzo dell’acqua del torrente e che, -come la fonte Ippocrene- iniziava il regno di Apollo e delle Muse: una fantastica Arcadia, una nuova Elicona.
Nel poema, l’autore finge essere accompagnato dalla musa del canto, Euterpe, a visitare un fantastico paesaggio, con casa e giardino, dove la bellezza.
Il giardino nasce parallelo al poema. L’acqua che scende, è l’asse ai cui lati si allarga la Natura. Quest’ultima, emergente da una poliedrica situazione: la poesia del proprietario indirizzato a quella Natura, quale via i fuga dagli affanni quotidiani; la mitica fantasia in auge in quei tempi –da vedere anche nella grotta Pavese-; gli architetti Donzello che –seppur prevalentemente rudi costruttori- anche se liberi di agire debbono interpretare i non facili voleri del committente «…sagace giardinier…/compor sapendo e accordare insieme/ e beltà di natura e beltà d’Arte/ seppe imitar di bella donna il viso…»; la vera natura del luogo che doveva essere interpretata ed artificiosamente plasmata ed arricchita con piante possenti (querce, aceri, olmi, noci, platani, faggi) od odorose (allori, pini -cedri, cipressi, abeti, tassi e bossi) o fruttiferi (meli, e fichi, olivi, melograni, lentischi e mirti fioriti) o preziose piante di sapori (come timo, rosmarino, salvia, ecc.) e, a terra, fiori come rose, narcisi, gelsomini, garofani e violette.
Oggi, le varie mutilazioni e tagli, hanno compromesso maleficamente l’interpretazione di questo incanto
Iniziando dal basso:
===LAGO INFERIORE dopo il viale centrale in salita (ancora esistente nel parco, descritto in via A.Cantore), si arriva al lago artificiale, grande vasca rettangolare (circa 30x40), posizionata in corrispondenza dell’attuale strada e DEA (pronto soccorso. L’ingresso principale dell’ospedale, o padiglione 1, fu eretto a levante della vasca).
Anche il Derchi, che acquarellò e dipinse lo specchio d’acqua (Nocchiero così commentò «…la tavola del Lago villereccio, con arconi, di Villa Scassi, ci offre tra acque chete e riflessi iridati, l’ambito perduto, anzi perdutissimo, della tranquillità e della pace, tutelata dai serrati filari di alberi dal fogliame verzicante e dorato…»), evidenzia l’arco decorativo lungo il muro di cinta, e che fa da riferimento a tutta la ricostruzione.
Nella visione del Gauthier -1832- il lago inferiore aveva a monte un viale alberato (nel disegno, affusolati ma probabilmente dei bagolari opportunamente potati), e si arrivava ad un ultimo e terzo ninfeo, alto forse più dei due inferiori, a grotta con pilastri, con superficie del tetto rettangolare (lato lungo in verticale), balconata ovale –e, come disegnato da GB Derchi, con accesso a rampa bilaterale arrotondata- alla cui base erano due leoni accucciati. Ospitava due grosse statue marmoree, di Flora (dea dei fiori) e di Pomona (frutti. A significato che, sopra esse, iniziava quella parte di proprietà non più destinata a giardino ma alla parte produttiva e generativamente spontanea della Natura). Da questo ultimo ninfeo partiva un muro delimitante, che arrivava sino al muro esterno di levante. E per il Gauthier, il prospetto dei possedimenti della villa finivano qui, senza la parte superiore.
=Nei primi anni del 1900, Fravega ricorda che nel lago si andava in barca, mèta di innamorati, di chi desiderava andare ‘all’aperto, come i pittori Derchi e Conte, e di chi desiderava andare a ‘ribotta’ verso la trattoria-osteria posta più in alto, dove salita Sup.S.Rosa compie curva a sifone e dove, come dimostrato dalla carta del Porro e testimoniato da altri più recenti (sig.Bertaglia) che ricordano ancora in epoca postbellica, c’era una grossa vasca sopra via dei Landi.
===LAGO SUPERIORE
=Nelle intenzioni dell’Imperiale, doveva essere sia riserva di acqua per il lago sottostante e per la villa, e sia peschiera dove allevare fresco d’acqua dolce. Ne ‘Lo Stato rustico’, il GioVincenzo Imperiale descrive (1611; vedi a ‘salita Imperiale’) un giardino fantasioso ed ideale, ma senz’altro che fece coincidere col suo pensiero dai due costruttori del parco. Pertanto
Dalla prima rappresentazione vinzoniana tratta dal libro dei domini della Serenissima, si trae la conformazione quasi quadrata con ampio semicerchio a monte (con raggio di circa 15m.) in area raggiungibile dall’estremo viale del parco tramite lunga creuza diritta (dalla villa, tre volte il tratto per arrivare al primo lago), circondata in tondo da alberi, con a ponente una scalinata che arrivava in alto ad una casa tutt’ora esistente lungo salita Sup.S.Rosa, e che da monte raccoglieva le acque in discesa da san Bartolomeo della Costa.
Alla base del lago, forse anche come contrafforte alla pesante spinta dell’acqua, fu eretta - ed esiste ancora, ristrutturata negli anni 2006-7 - un edificio detto ‘Piccionaia’. Da lassù, i signori Imperiale potevano andare a caccia quando era tempo del ‘passo’ dei colombi provenienti da sud, e sia conservare i piccioni ad uso postale.
Invece a nord della vasca, c’era un gruppo marmoreo raffigurante Nettuno – con tridente - circondato da Teti ed Anfrite. Nel suo libro, l’Imperiale poneva Petaso che con lo zoccolo smuoveva i sassi dove terminava il monte e sgorgava un fiume l’Ippocrene, la cui acqua vivifica tutto il modo sottostante, comprese le statue marmoree delle dee, delle ninfe, dei putti e di tutti gli animali veri o fantastici.
=Nella ristrutturazione dello Scassi, sembra che nulla fu modificato in questo settore del giardino.
=Divenuto proprietà comunale, questi trovò ovvio e necessario sacrificare l’area a monte, per erigervi il nuovo ospedale, mandando perduto buona parte del terzo dell’intero possedimento dedicato al verde.
E, a mio avviso è con questo passaggio di proprietà che nella parte alta, sopra il lago, fu concesso l’utilizzo a campo scuola di tiro a segno per i gli iscritti alle società sportive, in particolare i tiratori di carabina da prepararsi alle guerre con quel nuovo tipo di fucile (che poi si distinsero con Mosto e Garibaldi). Finite le guerre risorgimentali, questa società divenne -fino alle prime decadi del 1900- poligono per il tiro al piattello e forse anche al piccione (con il sindaco Diana presidente). Infatti in una cartina preparatoria dell’inizio lavori dell’Ospedale, compare ancora la scritta “tiro a segno”.
Nel 1910, in particolare per iniziare i lavori, furono eliminati e vi vengono descritti
===una vasta cisterna d’acqua, di circa 30x50 metri (vedi Nocchiero. GBDerchi pag.47), che formava un laghetto contornato di canne, alberi d’alto fusto e spontanei ‘limoni di muro’ i cui frutti erano usati fritti in impasto con farina, uova e zucchero; in esso, dopo essere divenuto proprietà comunale, pur essendo proibito pescare o nuotare, era permesso farci un giro in barchetta, divenendo meta di innamorati o di chi marinava scuola;
===vicino, come già detto sopra, in una rustica ‘villetta’, era stata attrezzata una trattoria, ove potersi ristorare nelle ‘gite’ domenicali, alla pari di quelle rimaste più famose a Promontorio.
Negli anni dopo il 1990, nella parte apicale, sopra il padiglione 10, un ampio appezzamento più o meno a dirupo ed ancora a macchia mediterranea selvaggia, sino ad ora abbandonato salvo un piccolo campetto da pallone per i dipendenti, è divenuto zona di atterraggio degli elicotteri che nella previsione dirigenziale serve al trasporto rapido di certi malati ed a parco posteggio d’auto.
DEDICATA
Della famiglia Scassi poco si sa, essendo andate disperse le carte relative. Appare originaria di Arenzano (testata con documenti catastali e diritti patronali datati 1600).
Capostipite fu il primo Onofrio (medico, che ebbe tre figli : Emilio, Nicolò (divenuto vicario nella chiesa di san Pietro in Banchi) ed Agostino.
Quest’ultimo pure lui divenne medico a Cogoleto: coniugato con Francesca Agnese, fu padre del nostro Onofrio, di Gerolamo (1777-1842, morto vedovo senza discendenza) tre sorelle (Battistina Maria (15.O1.1771), Battistina Giovanna Maria (10.02.1773) e Giovanna Maria (10.02.1775), e di Raffaele (1785 che nacque a Rapallo quando il padre vi portò la famiglia (1775.6) avendo vinto la condotta medica; a 28 anni già aveva carica di consigliere imperiale di Russia e divenne armatore, imprenditore ed anche governatore di una zona sul Mar Nero per conto del governo russo. Morì in Russia. celibe nel 1840circa).
Il Nostro Onofrio. Celeberrimo medico e politico ligure a cui furono imposti i nomi di Onofrio, Emilio, Maria.
Nacque in Cogoleto, il 2 sett.1768 primogenito da Agostino e da Francesca Agnese di Ambrogio, di antica e facoltosa famiglia di Cogoleto.
Il giovane fu cresciuto all’amore ed onore della cultura, intesa come arte da acquisire indipendente dalla professionale: nei suoi ascendenti materni e paterni, tutti erano laureati in legge, medicina o altre facoltà coltivate per pura passione e non per necessità economica o sociale.
Già a 12 anni (1780) fu iscritto al seminario arcivescovile genovese; ed a 16, seguendo un corso di filosofia e matematica, fu capace di sostenere in pubblica disputa, tesi filosofiche (in quei tempi illuministi, la filosofia era alla base ed a coronamento di tutto lo scibile) e scientifiche che ebbero l’onore della pubblicazione, dimostrazione di una già vasta cultura in un candidato di quell’età.
Il 4 agosto 1784 sostenne all’Università ed in pubblica disputa ben 136 tesi di metafisica, morale, scienze fisiche e naturali (nessuna in medicina), pubblicate e dedicate a Giacomo Filippo Durazzo.
Terminati gli studi con la laurea a Genova in scienze mediche e filosofiche dibattendo temi di filosofia e di matematica(5 luglio1788). Come premio, andò a perfezionarsi a Pavia (alla scuola del famoso igienista G.Pietro Franch e del chirurgo A.Scarpa, allora i più illuminati maestri nell’ambito medico, inteso come disciplina applicata e suddivisa in modo diverso dall’ attuale: fondamentali erano l’anatomia; l’igiene che intuendo, ma ancora non conoscendo i germi, era generica e sui generis e non condivisa come causalità delle malattie infettive; la chirurgia che non possedeva ancora gli anestetici e che abbandonava al loro destino i feriti di guerra salvo drastiche amputazioni; la chimica farmaceutica con i suoi principi derivati solo dalle erbe naturali).
Poi ancora si mise a girare in contemporanea l’ Europa -come d’uso nella sua famiglia- per ampliare gli orizzonti culturali al di sopra della notevole grettezza e pigrizia dell’aristocrazia genovese (specie in Inghilterra, dove nel 1792, da due anni faceva parte del club studentesco parauniversitario Royal Medical Society senza esserne formalmente iscritto. Ad Edimburgo, nel gennaio di quell’anno vinse il tema proposto dal club e poté quindi dissertarlo in pubblico (aveva stilato un lavoro scientifico “de foetu humano” (scritto in latino, oggi valutabile errato, sotto il profilo dottrinario, avendo seguito teorie allora prevalenti ma scorrette); così a novembre divenne membro onorario del club stesso.
Sicuramente non poté non aver sentito parlare di Edward Jenner, medico britannico, che in quegli anni pubblicizzava le sue esperienze e che negli anni attorno al 1796 aveva messo a punto e capito il metodo di immunizzazione contro il vaiolo (inoculando il virus proveniente dalle vacche -da cui vaccinazione-; ed ancora ben lontani da Pasteur –che solo dopo gli anni 1860 iniziò a descrivere l’origine batterica delle malattie infettive; e vent’anni ancora dopo, necessari a porre le basi definitive della vaccinazione-).
A 24 anni (1792) venne a Genova per iscriversi al Collegio di Medicina (allora non ancora facoltà a sé ma inclusa nella antica corporazione di filosofia , che dava l’abilitazione ad esercitare la professione); e due anni dopo gli toccò l’onore di pronunciare il discorso inaugurale per l’insediamento dei nuovi serenissimi senatori di fronte al doge Giuseppe Maria Doria, in un momento in cui il consesso deliberante era politicamente diviso tra i conservatori e gli innovatori fu molto abile a elogiare i nuovi tempi pervasi di idee egualitarie ed evolutive post rivoluzionarie, ed in contemporanea far basamento sulle tradizioni e sulla conservazione dei principi più saldi, senza mutamenti profondi (a Genova: una parte dei nobili e popolazione -capeggiata dal farmacista-droghiere di via Luccoli Felice Morando e dal medico Antonio Mongiardini- erano filofrancesi, quindi riformatori delle istituzioni; la Francia stessa spingeva con minacce più o meno velate per favorire l’ allargando delle basi dirigenziali ai borghesi, e che tutti i cittadini potessero accedere al governo tra essi, soprattutto i giacobini; mentre Massena occupava Oneglia.
Altra parte dei nobili, preti e popolo, era invece conservatrice, mirata a rimanere legata alle consuetudini e norme immutate dal 1576, quali la neutralità ed autonomia della Repubblica senza aperte alleanze: sfilavano per i paesi e strade al grido di “viva Maria” oppure “morte ai giacobini”.
In Europa, l’Inghilterra favoriva gli equivoci che potessero mettere la neutralità della Repubblica in situazioni di grave disagio: tipico l’incidente della fregata francese ‘Modesta’, predata e con l’uccisione di alcuni marinai il 6 ott. 1793 da due navi inglesi mentre era ancorata in porto: arrivò il 9 sett. 1796 al Senato l’ingiunzione di pagare alla Francia una ammenda di 4milioni (Merega dice 14) di indennizzo perché il fattaccio era avvenuto in acque territoriali nostre (in più si ingiungeva la sospensione di tutti i processi intentati a sostenitori della causa francese, l’interdizione perpetua a pubblici uffici per gli avversi, l’interdizione di tutti i porti alle navi inglesi e la cessione per utilizzo dei porti di Vado e Spezia). Mentre il Senato valutava le pesantissime richieste, a peggiorare la situazione una incursione inglese fu effettuata l’11 sett.1796 sul lido sampierdarenese e pochi giorni dopo fu accidentalmente ucciso un soldato francese in rissa con marinaio inglese. Il destino metteva il cappio attorno al collo della Repubblica Intanto, anche i Piemontesi per sé e l’Austria per la Lombardia, erano alla continua ricerca dello sbocco in mare).
Dopo un addomesticato plebiscito, il 6 giugno 1805 Napoleone da Milano decise per tutti: decretò l’annessione di tutti i territori della Repubblica Ligure all’Impero francese, con abolizione della Costituzione Ligure.
Forte delle conoscenze raccolte all’estero, ricevette pressoché subito dopo (1795) una missione nel ponente ligure, per una strana epidemia di ‘febbri putrido-biliose’, diffusasi nella popolazione e nelle truppe francesi dimostrate dipendere dalle inesistenti precauzioni igieniche in località sovraffollate come carceri, ospedali, truppe; Massena, al comando di un corpo di spedizione non perfettamente organizzato promosso contro il Piemonte e l’Austria invasori della riviera di ponente, aveva occupato Oneglia creando una situazione pericolosa non solo politica per la mossa militare precorritrice di guerra più vasta, ma anche sotto il profilo sanitario). Si mise in luce per le sue straordinarie qualità e capacità nell’assolvere il caso, seppur con gli scarsi mezzi offertigli . Così che, da questa prima esperienza che gli fruttò il posto (1796) di coadiutore di medicina teorica a Pammatone e di professore di fisiologia e filosofia nell’Università l’anno dopo, giunse gradatamente a cariche sempre più responsabili
La sua capacità di districarsi da impegni settoriali (seppur ‘fiutando’ l’inarrestabilità delle idee progressiste) e di tessere una trama con le autorità politiche (le quali, per le difficoltà di comunicazione, godevano di elevate autonomie decisionali), lo portarono a gestire eletti incarichi pur mantenendo un contegno molto riservato, dignitoso e tempestivamente indipendente, senza farsi trascinare dallo scegliere correnti politiche particolari (proprio mentre le idee innovative sconvolgevano la mentalità tradizionale dei colleghi più anziani creando un ambiente di forti tensioni, disordine organizzativo negli ospedali, indisciplina gratuita e discordie; ma non solo in campo sanitario: da Parigi provenivano e dilagavano moda del vestire e delle acconciature, gestione di feste fino al colore delle carrozze, stile dei mobili e moralità. Si stava –con non discreta violenza e terrore- antiteticamente- imponendo la libertà); così si dimostrò subito dopo, uscendo dal Collegio dei medici; e così altrettanto lo portarono a sottrarsi alla donazione di una decorazione offerta da Napoleone stesso ai propri fautori.
Nel 1798 divenne professore alla cattedra di medicina teoretica, presidente del Collegio dei medici e socio dell’Istituto Nazionale (un solidalizio culturale politico, che ebbe breve esistenza, ma che lo elevò a cariche sempre più preminenti). Per incarico del ministro degli interni della Repubblica Ligure democratica presentò un piano di ristrutturazione degli studi medici, che senza rompere l’antica tradizione, prevedeva nei particolari l’esercizio di tutti i componenti, dai professori agli infermieri, in un innovativo metodo di riforma ed organizzazione che, per la fretta di essere applicato si rivelò un guazzabuglio ricco di errori ma pur sempre ‘il male minore’ rispetto al caos esistente .
Nel 1799 e fino al 1803, nel periodo estremo dell’assedio a Massena, divenne a 31 anni presidente della commissione sanità: fu incaricato nel momento più grave dell’assedio e dell’epidemia conseguente, della lotta contro “febbri d’ogni indole più maligna (le petecchiali, probabilmente da ipovitaminosi C, particolarmente infierivano così nell’umile casolare del povero come nei marmorei palazzi dei ricchi”; il tifo, la peste ed il colera che dilagavano tra le truppe – francesi, austrianche e marinai inglesi - e la popolazione, favorite dalla ovvia carestia, dall’assenza di igiene, dai numerosi feriti e morti da seppellire: in solo tre mesi erano decedute oltre 4500 persone su una popolazione di poco inferiore alle 100mila più i soldati; al ritmo di oltre cinquanta al giorno). Dopo la battaglia di Marengo (14 giugno 1800) il rientro in città dell’esercito cisalpino ci portò il parmense Giovanni Rasori, ingegnoso chirurgo che aveva assunto anche incarichi governativi e qui fu inviato per coordinare le operazioni sanitarie già intraprese dallo Scassi, mirate a debellare le varie carenze alimentari e sanitarie. Le imposte severe regole igieniche e di prevenzione, e la battaglia contro operatori indisciplinati ed incapaci tra cui alcuni sanitari che si rifiutavano di andare a curare i malati nel lazzaretto, ridussero rapidamente e drasticamente la mortalità, fino a domare le epidemie.
Lui stesso presentò lavori sui calcoli biliari e sulla scrofola; con questo incarico approfittò anche per favorire -primo in Liguria e contemporaneo ad altri illuminati, in Italia- l’introduzione del vaccino di Jenner contro il vaiolo, e pubblicando nel 1801 le “ riflessioni sulla vaccinia ” (dopo aver letto il trattato dello Jenner portatogli a Genova dall’amico medico inglese Batt, ed aver ricevuto dal prof. Odier del materiale necessario per l’innesto. Aveva iniziato nel 1799 le prime inoculazioni in un bimbo di 32 mesi figlio del negoziante Tollot, e successivamente in un altro bimbo di tre anni figlio di un certo Marrè; ma la tecnica fu adottata ufficialmente nell’anno 1800: dall’aprile 1800 ottenuto da Parigi il pus vaccinico, si iniziò nell’ospedale Pammatone una regolare pratica preventiva ed una campagna di informazione contro tutte le forme di supponenza ed arretratezza, basate solamente su eventuali errori o imperfezione dei mezzi usati o imperizia dei medici praticanti. Fiorato gli riconosce –tra i tanti- anche il merito di essere stato uno dei primi a superare le barriere nazionali delle scoperte scientifiche, vantaggiose per tutti.
Il poeta genovese Gioacchino Ponta, ne tessé la lode asserendo “…tu primo, o Scassi, alle materne arene - dalla Senna recasti il dono e il lume – del Vaccin tesor…”; nel 1811 a Maria Luigia imperatrice e regina, fu donata una incisione con i ritratti di Jenner inventore, di LaRochefaucaud Liancourt il primo ad introdurre la vaccinazione in Francia, e del sig. dott. Scassi, già Senatore di Genova, cavaliere dell’ordine reale delle due Sicilie, professore e decano della facoltà di medicina all’Accademia Imperiale di Genova, il primo che praticò la vaccinazione in Italia) .
E’ sempre del 1801 la partecipazione alle ‘Memorie’, quadrimestrale della Società Medica di Emulazione di Genova
Così la scalata sociale si avverò raggiungendo sempre più alti incarichi direttivi amministrativi (in genere sempre sanitari ed accademici) tipo venire a far parte (1803) del Consiglio generale del Dipartimento dell’Entella, (durante il periodo storico dell’annessione della Liguria alla Francia e della cessazione dell’indipendenza della Repubblica di Genova, la Repubblica era stata divisa in sei giurisdizioni presiedute da un provveditore; il Nostro accettò l’incarico ma in realtà non lo svolse non riuscendo a muoversi da Genova); e presidente del Collegio e Società medica di emulazione (ovvero basata sullo stimolo ai 24 membri a produrre studi clinici da relazionare ogni quindici giorni, divenendo antesignano dei moderni simposi e congressi).
Fece redigere un nuovo ed aggiornato testo di farmacopea; partecipò alla costituzione della Università ed alla fondazione della “Società medica d’emulazione”, nonché alla commissione per la riforma universitaria (inizialmente trasferendo l’insegnamento dall’ospedale Pammatone a san Martino, mise le basi al moderno corso universitario di abilitazione, formato da tre anni di medicina teorica seguiti da altri tre di medicina pratica, con esami per aver diritto al diploma di libero esercizio. Dopo vari tentativi poi, nel 1803 stabilì che i professori docenti fossero definitivamente ed unicamente assegnati all’ Università, inquadrando così in forma definita il corso nuovo della vita universitaria) .
Divenne senatore nel 1804, al culmine dell’ ascesa politica; vivendo gli ultimi spasimi della Repubblica: fu parte della commissione inviata a Milano per offrire a Napoleone l’annessione alla Francia, e quando l’imperatore scese a Genova (1805), a lui toccò il discorso ufficiale di ricevimento.
Nel 1806 lo leggiamo nelle ‘Memorie’ stampate dall’ ‘Instituto Ligure’ celebre istituzione fondata nel 1797 composta dalle più eminenti personaggi della cultura locale e che poi diverrà Accademia imperiale delle scienze e belle arti.
All’inizio del 1815 -secondo le norme istituite dal Congresso di Vienna- Genova fu definitivamente privata della propria autonomia, venne inglobata nel nuovo regime sabaudo, e socialmente divisa in due classi sociali (nobili e borghesia); nel riordinamento vennero soppressi l’Istituto nazionale (era nato nel 1798, divenne ‘Accademia Ligure’, e di esso era presidente) e la Società medica d’emulazione. Ma già assai prima di questa data, il governo piemontese forte della promessa di poter occupare la Liguria, già si interessava alla qualità politica delle persone di prestigio: lo Scassi da una relazione di un funzionario della polizia sabauda già inserito a Genova prima (1814) dell’annessione viene descritto “è reputato un buon Medico, fu uno dei Capi della Rivoluzione di Genova. Nel Governo Democratico ha sostenuto più cariche e nel 1803 da Napoleone fu nominato Senatore. È nel numero degl’ Indipendenti”. Quanto abbastanza per dire che era stato coinvolto nel governo francese; il giudizio era quindi che era opportuno scartarlo.
Invece, la descritta e conservata sua equidistanza politica (non altrettanto fortunata fu l’identica ideologia della Repubblica, perché fu punita da interessi politici superiori) gli consentì di mantenere tutti i precedenti incarichi anche dopo l’annessione al Piemonte; la polizia piemontese qualche anno dopo ebbe modo di classificarlo ‘pessimo napoleonista, democratico, libero muratore’. Anzi, a 47 anni come Decano della facoltà (nel desiderio da parte del re di accattivarsi i favori delle migliori personalità della borghesia genovese più colta e professionista), fu introdotto alla corte sabauda col titolo di medico onorario, e gli fu affidato l’incarico di riorganizzare il comparto sanitario del regno, producendo successive riforme, migliorative della prima effettuata nel 1803.
Da grande dignitoso personaggio, in questo periodo rimase volutamente piuttosto emarginato nel grosso avvicendarsi a corte; così astenendosi da particolari impegni politici, rivolse la sua attenzione alla pratica locale: restaurò il Collegio di Medicina dell’Università (continuandovi lo Scassi l’insegnamento in anatomia e fisiologia; il nuovo regolamento stabiliva l’obbligo dell’insegnamento usando unicamente la lingua latina), e la Commissione di Sanità di cui il Nostro divenne parte fondamentale e in cui nel 1819 promosse la nascita di una giunta superiore per la vaccinazione; tutte le proposte in questo settore a lui caro, lo portano ad essere riconosciuto quale il precursore dell’odierna igiene pubblica. Nell’aula magna del DIMI una targa ricorda : “preceduta da lunga e onorata serie di Lettori di medicina teorica e pratica, di cui restano memorie sicure fin dall’anno 1635, veniva -con decreto degli ecc.mi sigg. dodici Protettori dell’Ospedale Grande- istituita nel 1789 la CLINICA MEDICA, che da allora continuò sotto la direzione dei clinici prof. Nicolò Olivari (1790-1819)- Onofrio E Scassi (1819-1824)-Antonio Mongiardino (1824-1836)…” .
L’Università non si fece coinvolgere nei moti studenteschi del 1821; il padre di Giuseppe Mazzini, Giacomo, lo sostituì nell’insegnamento alla cattedra di anatomia, e lo Scassi lasciata anche la Clinica Medica, divenne componente principale della Deputazione degli studi, organo cui spettava l’onerosa sorveglianza disciplinare e didattica dell’Università, interessandosi in genere benevolmente dei giovani che venivano vessati dalla polizia di Stato, come Giuseppe Mazzini ed i fratelli Ruffini. Si veniva preparando una nuova generazione, con diverse aspirazioni confusamente rivoluzionarie, e orientata verso altri ideali: toccò al Mazzini dare ad essa un indirizzo unitario più preciso, che mise politicamente da parte persone di qualità come lo Scassi, il quale però da buon moderato rimase soddisfatto della propria opera e del proprio valore professionale . Negli anni che portarono ai moti del 1821, la situazione in città -specie tra gli studenti- non era idilliaca ma aveva in lui un dirigente di larghe vedute e non certo un autoritario aguzzino, permettendo così la crescita di quei fermenti come i fratelli Ruffini, Federico Campanella, F.Rosazza, GB.Castagnino .
Finché anche l’Università fu chiusa nel 1831 per motivi politici rimandando per quattro anni gli studi esclusivamente nell’ ospedale cittadino .
Il 26 gennaio 1812 aveva sposato Angela Saccomanno, dalla quale il 27 maggio 1815 ebbe il figlio Agostino (è probabile a sua memoria che sul ninfeo della villa, oltre alle lettere sovrapposte OS –per Onofrio Scassi- ci sono anche –anch’esse sovrapposte- le lettere AS. (E non SA come io pensavo inizialmente, riferendole a sant’Angelo, in quanto dovrebbero aver avuto anche la I di Imperiale). Per ovvia conseguenza al centro c’è uno stemma che per logica è della famiglia (anche se non compare in nessuna pubblicazione da me letta).
Il 19 apr 1816 (11.647 e Parma dicono nel 1801. Prima, all’inizio della sua carriera era stato residente al Carmine; poi –censimento del 1808- abitante in via Garibaldi (allora ‘via Nuovissima’ al civ.260 già f.lli Cambiaso; poi –1818- sempre in ‘via Nuova’ civ.871 nel palazzo Cattaneo (oggi civ.8) ove morì: Parma scrive che detto palazzo fu comprato dal conte Scassi nel 1825-50), già essendo proprietario di vaste terre presso Voghera, divenne proprietario (notaio Sigimbosco) della villa “la Bellezza” (allora del principe Giulio Imperiale di sant’Angelo, ed in gravissimo stato di abbandono dopo i fatti bellici austro-francesi del 1799-1800). La restaurò affrontando ingenti spese, affidando l’incarico architettonico a Carlo Barabino (1768-1835), quello ornamentale a M.Canzio e per le plastiche a G.Centenaro (F.Baratta ?); fece incidere sulla porta “ Onophrius Scassi dirutum rifecit”; ed andò a viverla quando era rifiorita in tutta la sua bellezza, in un paesaggio ancora idilliaco e paesano del borgo, prima che la ferrovia-le industrie-la sovrapopolazione-le strade e le case attorno ne sconvolgessero il contesto; da allora è più comunemente conosciuta come “villa Scassi”. Dagli eredi la villa fu venduta nel 1886; e dal 1926 è proprietà del Comune
Intanto, nel 1819 diventa il secondo direttore della Clinica Medica universitaria genovese (succeduto al prof Nicolò Olivari, docente nel periodo 1790-1819), restò in carica sino al 1824 (quando fu succeduto dal terzo, Antonio Mongiardino); poi, divenuto medico Ispettore degli Ospedali (nomina sostenuta dall’amico Antonio Brignole Sale) venne pure chiamato a far parte del direttivo della città, dapprima come decurione (nomina vitalizia), poi come procuratore, infine (1830-3) per tre anni come sindaco di seconda classe (ovvero proveniente dalla borghesia, ma appoggiato a Francesco Lamba Doria per la nobiltà; in un momento di gravi tensioni politiche interne e di tesissimi rapporti con Torino e soprattutto di scarse risorse economiche. Con questi incarichi promosse nel 1825 un importante rinnovamento edilizio su disegno di Carlo Barabino (tra cui il grande teatro lirico intitolato a Carlo Felice: fu lui a ricevere i sovrani il giorno dell’inaugurazione); un solido ponte sul Bisagno in sostituzione di quello travolto nel 1822; strade carrozzabili con le riviere; ampliamento del porto; sistemazione di piazza Fontane Marose; l’inizio lavori del cimitero di Staglieno (portato a termine dopo una grave epidemia di colera che nel 1836 falcidiò la città); e l’apertura di un ospedale per i malati di mente collocato vicino all’antica porta degli Archi ).
Il 2 luglio 1830, in aggiunta di tutti i riconoscimenti ottenuti, re Carlo Felice lo nominò conte, di San Giorgio, dal nome delle sue principali proprietà nel comune di Santa Giulietta, oggi in Lombardia, nella provincia di Pavia e re Carlo Alberto appena eletto al trono personalmente gli conferì la ‘croce di cavaliere o commenda, dei santi Maurizio e Lazzaro’ (durante una visita alla città: allo scopo gli fu preparato in Sampierdarena un arco di trionfo; dopo la sua costruzione arrivò la missiva che il re non voleva si spendessero soldi pubblici di celebrazione: si dovette invocare il permesso di non abbatterlo poiché l’opera era ormai compiuta e la spesa fatta. Fuori la porta della lanterna, furono consegnate le chiavi della città). Era insignito pure del titolo di cavaliere dell’ordine di s.Anna di Russia.
Nel 1831, per migliorare la situazione sanitaria della città, partecipò a costituire una associazione assistenziale, chiamata ‘N.S. della Provvidenza’ per la cura a domicilio degli infermi poveri. Pagava una o più quote annuali di lire 20
Morì in città nella notte del 9 ago.1836, lasciando i suoi beni al figlio (Vitali scrive che Marcello Durazzo comunicò la morte alla regia Deputazione nella seduta del 22 sett. 1836, dopo che da vari mesi risultava assente alle riunioni).
La ‘Gazzetta di Genova’ ne annunciò la scomparsa, dedicando un ampio necrologio
Numerose le tracce scientifiche: scritti e memorie scientifiche, provvedimenti decisivi e di svolta nell’educazione, nella cultura e nell’organizzazione sanitaria; in un’epoca di gravi, travagliati e travolgenti eventi politici .
Pochi giorni dopo la sua morte, l’unico figlio - Agostino, il ‘giovane conte Scassi’ dalla sospettosa polizia fu sospettato essere autore di scritti anonimi a sfondo repubblicano e liberaleggiante. Dal 1831 faceva parte della Associazione della Provvidenza (vedi sopra) per la quale pagava la quota annuale di lire venti. Sposatosi il 13 agosto 1834 a San Pier d’Arena con Rosa figlia del marchese Stefano Rivarola (vedi alla via omonima). Nella villa sampierdarenese gli nacque il 13 agosto 1836 un figlio, a cui fu dato il nome del nonno (alla coppia nacque poi anche una figlia la quale a sua volta, sposata con un Sauli, ebbe due figli Ambrogio ed Onofrio: ad essi, con regio decreto, fu data l’autorizzazione di chiamarsi Sauli-Scassi).
Il nipote Onofrio Scassi (jr), crebbe nelle belle proprietà del nonno paterno, compresa la villa di San Pier d’Arena, smanioso d’affermazione e di seguire forse a proprio modo un modello napoleonico. Il padre suo, vedendolo pieno d’ingegno e inclinato a entrare nelle armi, lo pose nella militare accademia: si arruolò nei cavalleggeri, raggiungendo dapprima il grado di sottotenente nel Reggimento Novara e poi luogotenente e aiutante di campo del generale Alessandro Avogadro di Casanova nel Reggimento Aosta. Uscito dall’Accademia, allo scoppio della Seconda Guerra d’Indipendenza, chiese ed ottenne di poter tornare ai reparti; rientrò quindi il 5 maggio 1859 con lo stesso grado, nel reggimento leggero a cavallo di Novara, al comando del colonnello Federico Morozzo della Rocca.
Nel combattimento di Montebello il 20’ di maggio 1859, preludio dell’epopea della indipendenza e unità d’Italia, cadde insieme con gli altri due ufficiali De Blonay savoiardo e Govone di Alba appartenenti ad altri squadroni.
Un annalista riporta “Il combattimento si era svolto con estrema violenza e con gravi perdite da ambo le parti; … accanto al capitano Piola Caselli comandante del 3° squadrone, cadde ferito il sottotenente conte Onofrio Scassi; cinque o sei ussari, visto l’ufficiale in difficoltà, gli si fecero addosso e lo finirono: era il primo ufficiale del ‘Novara’ caduto sul campo; avrà la medaglia d’argento alla memoria”; ed oltre riporta correttamente la motivazione della concessione della Medaglia d’Argento al Valor Militare:
“Scassi Onofrio (luogotenente) - Montebello, 20 maggio 1859 - Tra i cavalleggeri di Novara cadde estinto Onofrio Scassi conte di Santa Giulietta, e cadde appunto nelle sue terre, essendo a pochissima lontananza il paese di Santa Giulietta, ov’è seppellito nella cappella gentilizia di sua casa …” e dove si vede la medaglia che si meritò nel di’ della battaglia.
Ma con lui così, si estinse la discendenza
Quasi inaspettatamente anche Giuseppe Cesare Abba, trattando della successiva Spedizione dei Mille in Da Quarto al Volturno,attraversando in treno la campagna di Montebello: “4 maggio, in viaggio.”
“Non so per che guasti il treno s’è fermato. Siamo vicini a Montebello. Che gaie colline e che esultanza di ville sui dossi verdi! Ho cercato coll’occhio per tutta la campagna. E’ appena passato un anno, e non un segno di quel che avvenne qui. Il sole tramonta laggiù. In fondo ai solchi lunghi un contadino parla ai suoi bovi. Essi aggiogati all’aratro tirano avanti con lui Forse egli vide e sa dove fu il forte della battaglia ? Ho negli occhi la visione di cavalli, di cavalieri, di lance, di sciabole cavate fuori da trecento guaine, a uno squillo di tromba; tutto come narrava quel povero caporale dei cavalleggieri di Novara tornato dal campo due giorni dopo il fatto. Affollato da tutta la caserma, colla sciabola sul braccio, col mantello arrotolato a tracolla, coi panni che gli erano sciupati addosso, lo veggo ancora piantato là in mezzo a noi, fiero, ma niente spavaldo!
-Dunque, e Novara ?
-Novara la bella non c’è più! Siamo rimasti mezzi per quei campi E narrò di Morelli di Popolo, colonnello dai cavalleggieri di Monferrato morto, di Scassi morto, di Covone morto, e di tanti altri, lungo e mesto racconto.
-E i francesi ?
- Coraggiosi| - rispondeva egli : ma bisognava sentirli come i loro ufficiali parlavano di noi!
Io lo avrei baciato, tanto diceva con garbo”.
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SCUOLE TECNICHE piazza Scuole Tecniche
Era il nome generico e non ufficiale, dato alla piazzetta che poi, nel 1906, divenne legalmente “ piazza Giacomo Bove” (oggi, dal 1935, è “via V.Alfieri”).
Il nome proviene dalle scuole, ospitate nel palazzo omonimo, usato seguendo l’uso di nominare una località in rapporto al punto di riferimento più importante e conosciuto dai più.
Foto 1910 - il portone a sinistra corniciato di bianco è l’attuale civico 46 di via ACantore. In alto dopo gli alberi, nel centro della foto, i tetti dei quali rimane il segno in via Alfieri; alla loro destra il campanile dell’Oratorio Mrte e Orazione; a destra del quale il palazzo Boccardo.
Nel 1870 esisteva una ‘istruzione primaria’ composta dai primi asili infantili, seguiti dalle scuole elementari (pubbliche e private; serali e domenicali). Seguiva una ‘istruzione secondaria’ con divisione tra istruzione classica e quella tecnica. Mirata questa ultima a soddisfare le pratiche esigenze dell’industria, del commercio, della navigazione, dei sempre più frequenti contatti con l’estero, fu largamente adottata nella provincia genovese anche se troppo spesso lasciata sprovvista di quanto necessario per insegnare praticamente (ad esempio il gabinetto di fisica o di chimica) tanto che si chiedevano se non fosse meglio inserirsi direttamente nel lavoro lasciando che – chi più sveglio - imparasse di più inserito nell’ambiente che preparato nel teorico senza sussistenza pratica. In SanPierd’Arena in quell’anno era aperta una Scuola Tecnica comunale comunitativa (a Genova erano tre e tutte regie governative; una a Voltri comunale ma pareggiata; a Sestri e la nostra a carico del municipio locale). Nel 1870 era direttore il sacerdote teologo Bistolfi Giuseppe; 2 erano i professori di lingua italiana-storia-geografia; uno di lingua francese, di matematica, di calligrafia, di aritmetica e computisteria, di scienze fisiche e naturali.
Ancora nel 1899, le scuole civiche erano divise in “elementari (o preparatorie”con cultura generale e francese, ricamo, canto e piano, ballo, ginnastica);seguite dal “corso superiore” di 4 anni (con morale, aritmetica e contabilità, igiene e scienze, storia, lettere italiane, geografia, francese, inglese, disegno, ornato); oppure dalle “industriali” (con disegno, cucito, ricamo, calligrafia, filigrana, ecc oltre a lingua italiana, aritmetica, francese , calligrafia, storia e commercio); oppure dalle “tecniche”(diurne, serali e domenicali; con lettere, francese o inglese, computisteria, aritmetica, scienze, disegno, calligrafia, matematica) .
A levante, la PIAZZETTA era delimitata dall’Oratorio della Morte ed Orazione (vedi via A.Cantore); mentre a ponente aveva la casa Scaniglia (poi Barabino), la proprietà Parodi (ambedue oggi scomparse abbattuta e diversamente utilizzata) ed il palazzo Boccardo , sede della scuola .
Il PALAZZO BOCCARDO (vedi a via A.Cantore e, parziale foto in via GB Monti), posto allora in via del Mercato al civ.11 (oggi corrisponde come sede all’ultimo civico di via A.Cantore, il n° 51*** ). già a metà secolo del 1800 era di proprietà municipale. Nel 1856 ospitò la società di MS Unione Umanitaria -primo vagito dell’attuale Ass.Operaia Universale di M.Soccorso, che ebbe nel palazzo la sua prima sede-, che vi aprì scuole serali elementari, di disegno meccanico ed ornamentale, nonché una palestra (per ginnastica, scherma, scuola di tiro a segno e carabina ) ed una biblioteca circolante. Nel 1868 trovarono sede anche la “società di MS dei volontari italiani” riunente i combattenti volontari che - coordinati da Luigi Stallo - si organizzano in società avente presidenti onorari Garibaldi e Mazzini (che ringraziarono con lettera) .
Nel 1891, ed eguale nel 1896, un elenco di immobili di proprietà comunale, cita: “Palazzo Scuole Tecniche, locali carcere ed abitazioni annesse (valore) L. 100000”.
Nel 1908 non esiste più questa proprietà, e le Scuole Tecniche sono nel ‘Palazzo Galeazzo Alessi’, ovvero in villa Scassi allora ritenuta disegnata da questo architetto.
BIBLIOGRAFIA
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-Falcone G.-Annuario della Prov. di Ge.-Ferrando.1870-pag-. 618
-Lunario genovese del signor Regina 1889-pag.278
-Morabito.Costa.Universo della solidarietà-Priamar.1995-pag.333
SETTEMBRINI piazza Luigi Settembrini
TARGA:
piazza - Luigi Settembrini – letterato e patriota napoletano - 1813-1876
QUARTIERE MEDIEVALE: Mercato
da MVinzoni 1757. Ipotetica posizione della piazza, a levante della crosa dei Buoi, nei terreni del mag.co Giuseppe Doria
N° IMMATRICOLAZIONE: 2851 CATEGORIA: 1
anno 1960
CODICE INFORMATICO DELLA STRADA - n°: 58380
UNITÀ URBANISTICA: 26 - SAMPIERDARENA
CAP: 16151
PARROCCHIA: s.Maria della Cella
STRUTTURA: attraversata solo da pedoni, si estenda da piazza N.Montano a via U.Rela. Sono circa 1000 mq di area pedonale
E’ servita dall’acquedotto DeFerrari Galliera
STORIA: Ebbe più nomi: per primo, quello popolare di “piazza della Posta”, per indicare la presenza degli uffici, nell’affiancato palazzo affacciato su via N.Bixio, ed utilizzato dalle regie Poste italiane provenienti dalla sede di via A.Castelli: più vicini alla stazione ferroviaria e di arrivo dei primi mezzi intercittadini come gli Omnibus.
In seguito divenne ufficialmente “piazza Felice Cavallotti”, e così è citata dal Novella negli anni 1900-1930, aperta su via Milite Ignoto e su via U.Rela.
Il 19 agosto 1935 il podestà firmò la delibera di titolazione a “piazza Sabaudia” (città laziale nell’agro pontino)
Titolo che le rimase fino al 23 marzo 1944, quando il Commissario prefettizio deliberò per l’ intestazione col nome attuale.
Il terreno nel 1757 faceva parte della vasta proprietà di Giuseppe Doria, apparentemente senza una villa propria e quindi prato, destinato al mantenimento di animali (cavalli forse, visto vicino la ‘zona delle stalle’). Nelle successive carte dell’ottocento appare già strutturata a più ampio giardino con il segno di una vasca centrale; infatti, nel 1850 circa, con la costruzione della linea ferroviaria, tutto il lungo spiazzo-giardino, fu ridimensionato, tagliato e ridotto: a nord della palizzata fu lasciato un più vasto terreno che volgarmente veniva chiamato “o prou” ove esisteva anche un gioco delle bocce (le strade vicino di contorno, ora via Orsolino ed U.Rela, furono di conseguenza dapprima chiamate via Prato).
anni 1990
Ancora nel 1908, il terreno non appare incluso nei terreni di proprietà comunale e quindi soggetto - come tutto attorno- alla selvaggia erezione di palazzi degli anni tra il 1870 e 1920: esistono documenti depositati all’Archivio S.Comunale di richiesta di vendita del terreno; quindi malgrado lo spazio allettasse più d’un costruttore, fu infine deciso dal Comune di ricuperarlo a piazza pubblica, quale ora, divenendo per la sua centralità “il salotto buono” di San Pier d’Arena.
Fu restaurato e ripulito nel 1975, ma subì da quel tempo la presenza -per anni- di un attivo centro di spaccio di stupefacenti, che fecero della zona un punto da evitare; ‘perseguitati’ dalle forze dell’ordine, traslocarono altrove lasciando spazio a riunione di extracomunitari – forse albanesi - che trovarono nella piazzetta luogo di incontro tra loro.
1997 – asfaltata 1980 1980 senza palma
anni ’80 con palma
Nel complesso -ed in pratica-, è stata generalmente, gravemente ed a lungo trascurata dall’amministrazione pubblica. Nel nov.1999 si annunciò trionfalisticamente che il CdC aveva approvato il progetto in base al quale oltre al rifacimento dell’illuminazione, giochi d’acqua nella fontana ripulita, ecc., la piazza “ritornerà agli antichi splendori con al posto dell’asfalto un ‘accoltellato’ di mattoni di colore rosso cupo, com’è nella tradizione genovese” (dalla terra battuta, in cartoline dell’inizio 1900 appare pavimentata a lastroni di pietra che, per praticità nel dopoguerra furono coperti da asfalto, si è passati a mattoni rossi come in piazza Modena, forse sempre meglio di nulla anche se non mi pare vero che esista simile tradizione! Forse l’acquisto –come le palme- di grossi quantitativi di mattoni, oltre al risparmio favorisce la creazione di una ‘nuova tradizione’). Le lungaggini burocratiche (legate a competenze operative nell’ambito delle varie sezioni comunali con necessità di una delibera della giunta che assegnasse la responsabilità dei lavori ad una di esse) ritardarono l’iniziativa di due anni. A fine 2001 infatti -con una spesa prevista di 300milioni circa e finita a 450milioni - iniziarono i lavori su progetto dell’arch. Cassini, terminati 18 mesi dopo, inaugurati il 27.7.02: tolto l’asfalto, la messa in atto della pavimentazione a mattoni rossi, poggiati in costa su sabbia drenante; sotto gli alberi è stato formato un corridoio in ciottolato che separa la zona centrale dai marciapiedi laterali.
foto 2002
È stata rifatta l’illuminazione che era a lampade appese con fili, ora con lanterne in ghisa su mensola; sostituiti alcuni alberi, che ora sono 19 più due palme; ripulita ed aggiustata la vasca (vedi sotto).
Numerosi sono i progetti futuri; da mostra all’aperto di pittori, ripristino del banchetto di frutta e verdura. Ed altrettanto numerose si sono succedute sedi di commercianti, artigiani (macelleria, pasticceria, ristorante, osteria, parrucchiere, mobilificio, tessuti, focacceria, erboristeria) ciascuna famosa e ricordabili solo per la generazione che le ha vissute.
antica targa di reclame, posta nell’angolo con il tunnel ferroviario per piazza VVeneto.
Al centro una bella fontana la cui storia è emersa in due versioni solo in tempi molto recenti, all’atto dell’ultimo restauro.
L’origine e lo scultore della vasca sono stati a lungo sconosciuti. Si pensò anche ad un trasferimento dalla vicina villa Centurione-Carpaneto quando fu ridimensionato il vasto giardino.
1999 2002
La prima descrizione è di Remedi, il quale cita un verbale della riunione della giunta comunale datato 28 maggio 1906, ove si legge della possibilità di costruire una fontana in piazza Giovanni Bovio (attuale piazza N.Barabino) su progetto (arch. Egisto Bellini) e realizzazione della Società Unione Scalpellini e Selciatori Genovesi, detti dell’Ansaldo; i quali -non senza tornaconto (visto le numerose commesse a loro affidate)- volevano dimostrare la loro bravura e devozione alla città di san Pier d’Arena. Ancora Remedi scrive che tutto il progetto fu approvato ed intanto presentato alla fiera Universale di Milano dello stesso anno. Ma le cose non filarono lisce: i pezzi furono invece montati in piazza Felice Cavallotti (oggi Settembrini); nel 1908 la cooperativa entrò in crisi; la giunta cambiò colore ma accordò un anticipo di lire cento a fronte di richiesta di sovvenzione, che divennero 5625,92 nell’aprile 1909 come da delibere (il giorno 1 e 20) della Giunta, la prima delle quali vistata dalla regia Prefettura il 16.
La seconda versione scrive che fu realizzata nel 1908 pare su proposta ed offerta degli ansaldini (del loro circolo in particolare che aveva sede vicino, in via U.Rela ai civv. 1n e 3r) ed con opera della «soc. an. Cooperativa di Costruzione per Lavoranti Muratori ed Affini» (con sede in via UmbertoI civ. 45rosso; essa però chiese al Municipio un acconto di £.4000 per le spese sostenute per la “costruzione della vasca”)
Il basamento è a scalini di marmo, con forma di croce di Malta; alcune decorazioni della vasca sono di tardo liberty anni 1910 (stesse decorazioni presenti al Campasso nel palazzo dei macelli). In alto un amorino stringe un grosso pesce. Forse il putto, che sembra più antico dell’insieme, era già appartenente ai giardini della villa e -se fosse così- sicuramente fu lui a condizionare la destinazione del terreno di questa piazza comunale.
Ma stranamente neanche il Novella la cita, pur essendo l’unica fontana della città (a parte quella dentro i giardini di villa Scassi), forse perché non c’era o fu innalzata dopo, non si sa.
Dopo decenni di attesa, fu ripulita, impermeabilizzata, e riattata nel 1994; poi nell’aprile 2000 provocatoriamente ed in parte a scopo politico la fontana fu ripulita delle alghe, incrostazioni e ‘rumenta’ varia, da una squadra di volontari detti bonariamente ‘acchiappaschifezze’ dei Verdi; ed infine riattata nei marmi e nell’idraulica a fine luglio 2002
Gli alberi che la attorniano, nelle foto degli anni attorno al 1910 si vedono appena appena collocati in sito, piccoli e minuti, a testimonianza che lo spazio fu adibito a piazza in quegli anni. Si racconta che un uragano a metà degli anni 50, riuscì ad abbattere una palma, e che per lungo tempo non fu sostituita, lasciando l’aiuola rotonda vuota ***. Oggi, le palme ai due estremi sono contornate da un anello di alberi ad alto fusto; (delle palme, quella a levante, centenaria, è stata sostituita nel 2002 giudicandola malata (le erano state riscontrate delle cavità e fenditure interne al tronco, pericolose alla sua stabilità ed a rischio cedimento al vento, visto la vasta chioma); mentre degli alberi attorno qualcuno è stato cambiato per necessità naturali, come la robinia localizzata più vicino a via U.Rela che stava rigermogliando dal tronco precedentemente tagliato e che è stata sostituita all’ultimo restauro del 2002 con un acero; anche un platano non c’è più. Oggi di alberi se ne contano 7 dal lato ferrovia ed in totale 17, così ripartiti: 3 nuovi aceri, 4 bagolari (o spaccasassi), 7 tigli, 2 robinia pseudoacacia, 1 ippocastano). L’angolino a ponente, più vicino alla ferrovia, è stato da sempre occupato da persone che entrarono nel folklore cittadino: nell’84 morì ultranovantenne la Gilda, che vendeva le caldarroste all’aperto, nei rigidi inverni, coperta da uno scialletto, amata da tutti; poi, più attrezzato, c’è stato un chiosco che vendeva frutta e verdura ed in stagione anche cocomeri (un breve periodo di abbandono del manufatto per avvicendamento, ha fatto gridare allo sconcio). Per anni, nella parte a levante invece, c’era una bancarella di libri usati, gestita da “Giuseppe”, che certo non faceva concorrenza alla libreria vicina ma al contrario serviva piuttosto a fare della piazzetta un “centro lettura” .
CIVICI
2007= NERI = da 2 a 6
ROSSI = da 1r a 13r (compreso 3Ar. Sotto il viadotto) e da 2r a 24r
===civ.1r la microinsegna posta all’angolo col tunnel lascia pensare che prima di tutti vi fosse una osteria. Sicuramente, negli anni 1950 divenne sede della SPI (soc.per la pubblicità in Italia) che raccoglieva inserzioni per il quotidiano indipendente genovese ‘Corriere del popolo’ diretto dal dr Arrigo Ortolani, che si autodefiniva ‘il più diffuso di informazioni’. Oggi è un piccolo locale adibito a deposito merci privato.
===civ. 2: edificio progettato forse dall’ing. Giovanni Crier (il nome è insicuro) costruito nel 1908, distinto per l’elegante decorazione in stile liberty, nelle cornici delle finestre, negli elementi in ferro che ornano i balconi. Era di proprietà Ravina Rina, vedova Castello. Fu realizzato con tetto a mansarda. Divenuto sede dell’ufficio postale, è rimasto nel gergo popolare il “palazzo delle poste” ed ha dato alla piazza sottostante lo stesso nome .
Dopo 5 lustri di lungaggini burocratiche fu completamente rifatto per ragioni di staticità, dall’impresa Gadolla nel 1983-6, in un complesso comprendente due unità ravvicinate: quella a mare, ricalca in modo eguale il palazzo preesistente ed abbattuto, in stile liberty e con l’ultimo piano a piramide (la critica fu non aver ricalcato gli antichi spazi, senza porticato continuativo dei vicini palazzi di piazza Montano, addossati ai margini stradali da ridurre lo spazio pedonale, al punto da far criticare il ‘casermone’ così rinnovato quale ‘speculazione edilizia); quello a monte, moderno, che dalle piazze Montano e Settembrini, arriva sino a via U.Rela in unica superficie di oltre 1500 mq., per 6 piani, più degli interrati, avente il tetto ad ampie terrazze degradanti in modo da non soffocare le case vicine, destinato dapprima ad ospitare al piano terra la sede di una filiale della BNL, ed a quelli superiori con apertura via U.Rela, la sede itinerante (da via T.Molteni) delle Poste e Telegrafi con uffici per il pubblico; poi fu modificata la delibera, per “inserirvi” la direzione compartimentale delle PT, impegnandosi a trovare un’area equivalente per i sevizi pubblici; infine, attualmente è occupato solo dalla Direzione, ed gli sportelli per il pubblico sono stati definitivamente spostati - si spera- in piazza del Monastero.
Sotto la ferrovia
===civ. 3r fu un altro piccolo locale occupato nel dopoguerra da un artigiano che riparava penne stilografiche e vendeva francobolli da collezione;
===civ. 3Ar (sul Pagano/50 è al 5r): c’era un servizio ‘Albergo Diurno’ ovvero ‘gabinetto pubblico’,sotto la ferrovia; l’ unico della delegazione a parte sparsi vespasiani (Lamponi dice che vi erano delle docce, ma viene smentito da testimoni e …dallo spazio a disposizione). Era molto opportuno per tutti, ma soprattutto per gli assidui frequentatori delle panchine i quali generalmente sono di età pensionata (e -relativo alle loro stanche e flaccide membra- fu dato alla piazza un volgare popolare nomignolo: “ciassa di belin molli”-). Fu chiuso agli inizi degli anni 70, vanamente sostituito da una struttura posta vicino in piazza Vittorio Veneto, di quelle autopulenti ed a entrata a pagamento che funzionò pochi giorni, stette lì per alcuni anni e poi fu rimossa e riproposto similare lontanissima, nei giardini Pavanello.
===civ. 5r corrisponde al retro del negozio coltelleria Dossi di piazza V.Veneto
Dal lato a monte:
===civ. 4 In stile prime decadi del 1900: semplice ma pur sempre con una decorazione: caratteristiche –anche se nascoste alla vista dalle fronde degli alberi- le due lesene*** che dividono la più antica parte di facciata del palazzo in tre porzioni interrompendone così la sua piattezza e rendendola più gentile (in altezza arrivano sino al quarto piano e non ai due superiori che furono sopraelevati anni dopo). Anche le finestre, sono più basse al primo e quarto (ex ultimo) piano e più alte nei piani centrali quasi a ricercare l’architettonica esistenza del ‘piano nobile’ delle vecchie ville
===civ. 6 = appare sopraelevato di un solo piano. La sua semplicità lo colloca costruito prima degli altri, negli anni a cavallo tra 1800-1900.
===civ. 10r: ospitava (si sono perdute le tracce storiche dell’apertura; a voce dovrebbe risalire agli anni 1896-8) la mitica libreria-giornalaio di Roncallo Attilio dal 1908 anche rappresentante di case editrici e punto di riferimento per tutti gli studenti ed amanti della lettura. Negli anni 60 divenne di Roncallo Manlio; e lì era ancora nel 1968 quando rilevata dagli eredi, si trasferì in via C.Rolando. Fu poi affidata alla signora Macciò Andreina finché alla fine degli anni 90 divenne una filiale del ‘Libraccio’.***
===14r nel 1950 c’era l’osteria di Parodi Mario
===20r. “da Enzo”, per Monatti è un “locale giovane e accogliente che mantiene però i buoni sapori d una volta. A cominciare dalla farinata preparata nel forno a legna, che ancora tiene testa alla concorrenza della pizza (peraltro assai gustosa). In menù anche le versioni meno classiche ma ormai richiestissime: bianchetti (di stagione), cipolle e carciofi”.
DEDICATA: al letterato e patriota napoletano, che per le sue idee libertarie, subì nel regno delle Due Sicilie lunghi e travagliati affanni.
Nato a Napoli nel 1813, come ricorda se stesso in un libretto intitolato “Le ricordanze della mia vita” pubblicato nel 1879 (un secondo volume, curato dal figlio, contiene tutte le dichiarazioni processuali e testi vari), fu educato alla maniera illuminista ed avviato agli studi legali; ma lui preferì non seguire la carriera forense quanto piuttosto studiare la letteratura classica; così messosi alla scuola di Basilio Puoti, si laureò in lettere e vinse nel 1835 il concorso di insegnamento di “eloquenza” a Catanzaro, allora sotto i Borboni.
In quell’anno, l’8 ottobre, si sposò a Napoli con Maria (Bruzzone scrive Raffaela) Luigia Faucitano, detta Gigia, andando in viaggio di nozze…a Catanzaro. Dall’unione nacque Raffaele; e poi nel 1839, mentre lui languiva in carcere da tre mesi, anche Giulia.
Le ampie letture fatte, specie del Mazzini, avevano stimolato le sue idee libertarie, favorevoli all’unità d’Italia, ed ostili alle dittature; così con l’amico Musolino, fondò una società chiamata “figlioli della Giovine Italia”, che ovviamente dalla polizia borbonica fu giudicata fuori legge.
E poiché aveva scritto un manifesto giudicato insurrezionale, tradito da un sacerdote, fu arrestato e dapprima condannato al carcere di Napoli per tre anni, dall’8 magg.1839 al 1842; ma in tutto ne scontò venti mesi, perché al processo d’appello fu assolto per insufficienza di prove; ma perdette la cattedra di insegnamento.
foto al Museo del Risorgimento-Milano
Senza lavoro stipendiato, visse per altri 5 anni a Napoli, dando lezioni private; ma ben tosto reinserendosi nei circoli clandestini animati dalla medesima aspirazione dell’unità ed indipendenza nazionale.
L’animo libertario, lo portò ad associarsi con Silvio Spaventa e Filippo Agresti, per fondare ed esserne presidente, la “Grande società dell’Unità d’Italia”; ma nel 1847, essendogli stato attribuito un opuscolo (seppur pubblicato anonimo, ma che ebbe grande risonanza nel regno ed intitolato “Protesta del popolo delle Due Sicilie”) ricco di severi rimproveri contro il Borbone Ferdinando II (accusato nella persona, quale ignorante, ricco di pregiudizi, volgare, perfido e soprattutto insensibile alle necessità del suo popolo) dovette fuggire, raggiungendo Malta ove rimase un anno, potendo ritornare a Napoli solo l’anno dopo, alla promulgazione della Costituzione (sotto la spinta libertaria che pervase l’Italia in quell’anno, anche il tiranno aveva concesso la costituzione; ma dopo pochi mesi, abiurando il giuramento fatto e protetto dall’impero austriaco, la revocò).
Cosicché nel 1850 il Settembrini fu riarrestato, il 1 giugno processato (durato sei mesi); lui ed altri 5, condannati a morte –pena commutata in ergastolo malgrado la fervente autodifesa indirizzata inutilmente agli “uomini di buon senso”- da scontarsi dal 6 febbraio 1851; si ritrovò così assieme a Silvio Spaventa ed altri ergastolani politici. Iniziò la pena nel carcere dell’isola-penitenziario di santo Stefano, ove trascorse i primi otto anni ristretto in cella illuminata da una finestra posta in alto irraggiungibile, traducendo dal greco le opere di Luciano da Samosata (antica città della Siria, residenza reale, che fu assediata da Marcantonio nel 33 a.C. e che diedei natali al faceto e sofista scrittore). Di questo periodo lasciò la documentazione ne ‘Le ricordanze’. Rifiutò domandare la grazia, e -appena poté- tentò inutilmente una fuga.
In questo periodo, il figlio divenuto marinaio su navi militari piemontesi, tornò nel 1856 dalla Crimea gravemente ammalato di tifo e ricoverato in fin di vita a Genova nell’ospedale di Marina, assistito dai cappuccini e dalle suore di sAnna (suor Giuseppina, ‘suora della carità’, fondate da s.Vincenzo de’ Paoli). La madre per assisterlo, dopo essere stata sottoposta a salasso terapeutico e ricevuto un passaporto, arrivò via nave fu qui ospitata -prima in pzza Carlo.Felice per interessamento del gen. Mengaldo- e poi, quando dopo 20 gg. –a luglio- il giovane potè uscire ed esservi portato in portantina, ‘camallata’ da 4 marinai, in piazza Acquaverde, ove godeva il panorama della città ed ebbe visite anche dal conte Terenzio Mamiani (vedi).
Il sacrificio del Settembrini non era ignoto a Genova e la moglie fu confortata dalle più alte autorità locali, e fu aiutata dal medico Agostino Bertani quando dovette rientrare –nei primi di settembre- a Napoli, essendo in corso segrete operazioni mirate a far fuggire il marito.
La signora Settembrini tornò a Genova due anni dopo 1858, quando il figlio, ripreso il mare sulla nave Beroldo, dopo essere stato in estremo Oriente, fu bloccato agli esami (da marinaio a ufficiale di marina perché ‘ straniero’ (dopo 4 anni di servizio nella marina sarda). Si tentò la strada della naturalizzazione sarda, ricorrendo personalmente anche al Cavour a Torino. Alla fine, dovette congedarsi. Ma quando da Genova la signora si accinse a rientrare a casa per assistere la figlia partoriente, il console di Napoli a Genova ed accreditato a Torino Canofari, dopo averla fatta seguire e vigilare, le rifiutò (pare per diretto ordine di Ferdinando II) il passaporto di rientro, catalogandola esule pericolosa.
Solo con l’attivo aiuto di NBixio rientrò in patria: dopo due vani tentativi di imbarcarla, sventati dalle spie borboniche –di cui uno su vapore postale francese travestita da cameriera- la affidò a Paolo Fassiolo (che per due volte aveva fatto emigrare Mazzini in Svizzera) che usò la via terra, più soste e variazioni di itinerario, per non destare sospetti.
Nel 1859 il governo borbonico, decise di disfarsi dei 500 e più prigionieri politici. Accordatosi con il governo della repubblica argentina (laggiù avrebbero avuto un pezzo di terra da coltivare ed una somma per iniziare), decretò trasformare tutte le pene in esilio. Il viaggio, a spese del Borbone, fu organizzato anche per altri 65 prigionieri politici (L’ES dice che fu graziato e così poté emigrare). Ma per loro fortuna, il figlio Raffaele -che prestava servizio nella marina mercantile inglese- riuscì ad imbarcarsi a Cadice in incognito come cameriere ed a convincere il capitano a sbarcare i condannati a Queenstown in Irlanda del sud.
Solo l’anno dopo, 1860, liberata Napoli da Garibaldi, tornò in patria passando per Torino e Firenze; a Napoli venne riammesso alla cattedra universitaria di letteratura italiana. L’insegnamento è documentato dalle “Lezioni di letteratura italiana” riguardanti il periodo 1866-72. Reinserito nella società partenopea, poté diventare scrittore e giornalista, essere nominato socio di Accademie e società politiche (fu a lungo presidente dell’”associazione Unitaria costituzionale”, fondata assieme al De Santis).
Conosciute le sue capacità, fu nominato capo divisione nel ministero dell’istruzione, ma dopo due mesi diede fermamente le dimissioni non sopportando il clima di clientelismo e di incapaci ambiziosi di chi lo dirigeva. Anche la pensione, che gli fu offerta, venne rifiutata giudicando non meritarla per il troppo breve periodo di servizio.
Eletto deputato, preferì rinunciare per non lasciare l’insegnamento.
Nel 1873 fu nominato senatore del regno.
Morì tre anni dopo, nel 1876, a Napoli .
Importanti pubblicazioni sono raccolte in volume, specie le “Lezioni” di storia della letteratura italiana (tenute all’Università dal 1866 al 1873); un “Epistolario”, ed il memoriale già citato “Ricordanze della mia vita” pubblicato postumo ed importante per capire le vicissitudini dei carcerati politici sotto i Borboni.
Da una lezione, si trae questo brano, valido ancor oggi : “ restare al proprio posto di combattimento, che pei giovani è principalmente lo studio il quale è il più vero strumento di libertà e di civile milizia perché un popolo ignorante è sempre servo di uno, di pochi o di molti”.
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SIVORI piazza ammiraglio Sivori
Corrispondeva alla zona dell’attuale via G.B.Gaggino, da via Fiumara a via Bombrini, prima delle trasformazioni legate all’Ansaldo.
Nell’anno 1900, alla Giunta comunale venne proposto la titolazione al Sivori della “via di fronte allo stabilimento Dufour verso notte contro la seconda piazzetta” (vedi a Antica Fiumara civ.1)
Il Novella negli anni 1900-30 segnala una “ammiraglio Sivori (piazza), da via Fiumara (G.B.Gaggini)”.
Una ‘Via Ammiraglio Sivori’ e non piazza, ‘da via Bombrini a via Fiumara’ appare ufficialmente già riconosciuta nell’elenco delle vie cittadine pubblicato nel 1910.
Ma ritorna ad essere ’ piazza Ammiraglio Sivori’ quella offerta dall’amministrazione comunale sampierdarenese alla nuova toponomastica quando nel 1926 confluì nella Grande Genova. Ed esendo in duplicato con la via del centro, fu destinata ad essere sostituita.
Nel 1933 esisteva ancora, ed era ancora “da via Fiumara a via Bombrini” , di 4.a categoria, con un civico solo .
Il nome fu cambiato per delibera firmata dal podestà il 19 agosto 1935, lasciando a Castelletto la via omonima classificata di 2a categoria..
DEDICATA all’ammiraglio Francesco Salvatore Stefano Sivori , nato a Palermo da genitori (GB e Teresa Punta) genovesi (Villa santa Giulia, Lavagna) il 6 magg. 1771, famiglia patrizia dal 1528.
Divenuto –dapprima allievo- poi ufficiale della marina borbonica sul veliero ‘Leone’, da questa passò nel 1797-8 (o disertò) alla Marina francese ritrovandolo pilota ai segnali su una nave della spedizione napoleonica in Egitto (imbarcato a Genova con 2400 soldati su navi in buona parte di proprietà di Bavastro, rientrò con il Buonaparte nell’ago.1799 ).
Il 27 genn 1799 lo troviamo sottotenente nella Marina Ligure della Repubblica democratica Ligure (che aveva iniziato ad essere dal 14 giu.1797, alla morte della Repubblica di Genova, e che aveva una parvenza di Marina seppur ufficialmente riconosciuta: quattro trascurate galere, alcune golette e brick o navicelle armate ‘in corsa’, affidate al comando del cap. di fregata G.Bavastro. Il Sivori fu assegnato alla goletta ‘La Giustizia’ ove prestò servizio fino all’ott.1802 vivendo l’assedio di Massena in una guerra spietata di astuzia, agguati, abbordaggi mai resi noti a nessuno per ragioni appunto di guerre corsare).
Nell’arte guerriera, Napoleone favorì sempre la via di terra, trascurando quella marittima : ne approfittarono gli inglesi divenendo rapidamente padroni del mare , permettendosi quasi impunemente di distruggere o requisire tutto il naviglio che potesse essere di aiuto ai francesi ; se questa concezione tattica diede ragione al Corso nelle innumerevoli vittorie raggiunte, ben caro pagarono i francesi rivieraschi e noi liguri: il generale Massena quando nell’anno 1800 si trovò assediato in Genova accerchiato -dalle truppe di terra austro russe attestate a Cornigliano e Bolzaneto-, e dalla flotta inglese che bloccava l‘unico accesso utile, il mare, visto che praticamente non esistevano strade facilmente agibili per raggiungere la città boccheggiante, unici rifornimenti potevano arrivare solo dal mare per opera di ardimentosi marinai (vedi Bavastro) capaci di forzare il blocco navale. Erano gare di abilità, velocità, agguati, da corsari, con cannonate ed arrembaggi , spesso in perdita visto che gareggiavano barche cariche di viveri contro altre cariche di armi . Nell’ordinamento marittimo internazionale, esistevano ancora ‘i corsari’ legalizzati (una sorta di guerriglieri che operavano per una nazione e non per lucro personale) ; nonché -in guerra- il “diritto di preda”(consistente nella vendita del sottratto -tramite un apposito “tribunale delle Prese” posto a Gibilterra- e successiva distribuzione del ricavato tra l’equipaggio vincitore). L’Inghilterra era riuscita con la forza a requisire tutta la flottiglia anche quella minuta a tutti i liguri (nei porti di Camogli, Portofino, SestriL. Savona, PortoM. ed in tutte le spiagge aperte come a Rapallo, Foce, da San Pier d’Arena a Voltri e Loano) con un danno vitale per le attività della nostra Repubblica ancora solo legate alla vita sul mare. Il naviglio ligure, a seconda della stazza e della forma, comprendeva vari scafi : per rifornimenti da costa a costa c’erano i pinchi - i più noti, a tre alberi con due vele latine molto grandi alla maestra ed al trinchetto ed una più piccola alla mezzana a poppa-, le golette, le feluche, le bombarde).
Dalla goletta, passò a comandare il brick ‘Giano’ e condurre la stessa guerra a vantaggio della Repubblica Ligure che nel frattempo era stata invitata da Napoleone a potenziarsi imponendo la bandiera francese su tutti i vascelli fino ad incorporare la Marina Ligure in quella francese praticamente estinguendola : il 1 lug. 1806 il Sivori divenne tenente di vascello di complemento, ebbe il comando della goletta imperiale ‘La Sentinelle’ con la quale continuò la lotta corsara pro Napoleone fino a che tallonato da una fregata inglese, piuttosto che arrendersi preferì bruciare il vascello. Per questo atto di coraggio, fu nominato tenente di vascello effettivo, ed inviato il 26 nov.1810 a comandare il brick Janus sul cui ponte rimase sino all’inizio del 1814.
Il 15 magg.1815 l’amm.G,DesGeneys scelse Genova per fondare la regia Marina Sarda; assunse il Sivori per comandare una ‘mezza galera’ inviata a Moneglia per cercare di distruggere una barbaresca segnalata in quelle acque (non fu trovata); e poco dopo a rioccupare l’isola di Capraia (rimasta a Genova dopo la cessione della Corsica, quando Napoleone fu inviato all’Elba, la Capraia fu evacuata dai Francesi; con la restaurazione del trattato di Vienna, i francesi di Luigi XVIII la rioccuparono indebitamente perché appartenendo essa alla Repubblica di Genova –anch’essa da allora faceva parte del regno di Piemonte,. Dopo Waterloo, le truppe francesi vennero ritirate ma rimase un manipolo di corsi che affiancati dagli isolani, non volevano divenire sudditi piemontesi). Due mesi durò la navigazione (continuamente sospesa per timore di barbari tunisini che avrebbero potuto recar danni alle navi impossibilitate a combattere perché piene di truppe e carriaggi), finché il 7 nov. poté sbarcare ed assalire la guarnigione che però dopo pochi colpi si arrese. Il Sivori ebbe una promozione divenendo capitano di vascello in 2°. Dopo questa impresa, per un anno navigò con tre vascelli, per difendere le costa sarde dai pirati, forti di una flotta di oltre dieci vascelli, che non solo depredavano ma traevano schiavi.
Sebbene col trattato di Vienna , la pace era scesa sul mediterraneo tra le nazioni ‘civili’, persisteva l’esistenza dei pirati mussulmani , persuasi che le nazioni europee sarebbero state imbelli contro il brigantaggio. Algeri era stata sottomessa alle nuove regole navali nel 1816, con l’aiuto determinante della flotta inglese; ma altri nidi di pirati barbareschi come Tunisi e Tripoli , apparentemente avevano accettato una convenzione di abolizione della pirateria e schiavitù dei cristiani, ma in realtà si dimostravano ostili , arroganti e continuavano i loro attacchi: ancora nel 1815 ben 158 sudditi del re di Sardegna “erano stati trasportati, pressoché nudi e sanguinanti, a Tunisi e là venduti come bestie” .
Nel 1819, mentre il Sivori diveniva capitano di fregata, fu approntata a Genova ed a spese dei commercianti locali, una fregata a tre alberi che venne battezzata ‘ Commercio di Genova’ (voluta dalla Camera di Commercio genovese sia per farsi promotrice di un ripopolamento della marina sarda del nuovo regno della casa Savoia, sia per contrastare e proteggere con maggiore utilità i navigli ancora esposti alle piraterie barbaresche): a scortare la nuova nave in un viaggio oltre oceano (il primo della Marina sarda), l’ammiragliato prescelse il capitano Sivori a comandare la corvetta Tritone (che però fu fermato a Lisbona) cosicché nei primi mesi del 1820, sbarcato,assunse sevizio all’Arsenale genovese. quale vice direttore assumendo un ruolo fondamentale nella difesa del porto nella rivolta cittadina del 23 marzo e nel salvataggio di una fregata che aveva divelto gli ormeggi in porto durante un fortunale.
Nel 1822 partecipò come comandante in seconda ad una ‘crociera’ di controllo delle coste africane e spagnole (dalle quali ultime si temeva la partenza di fuoriusciti), ricevendo la decorazione della Croce di cavaliere Mauriziano.
Nel settembre 1825 venne l’occasione tanto sospirata : il bey di Tripoli ebbe l’impudenza di comunicare una nota con toni che vennero considerati lesivi al decoro ed all’onore della marina sarda: fu così inviato il Sivori al porto africano per distruggere con un attacco la flotta nemica all’ancora, protetta da fortificazioni molto ben armate e per questo, attacco mai tentato prima : anche se riuscito in parte causa il maltempo, e quel poco fu eseguito dal Mameli, fu sufficiente ad ammansire il bey. Questa brillante operazione gli guadagnò la promozione a contrammiraglio, il titolo di barone conferitogli dal re Carlo Felice nel 1829, la commenda dell’ordine militare di Savoia e, dai genovesi, una spada con l’elsa d’oro (sull’elsa la scritta “IMPERANTE CAROLO FELICE PIO AVG.INVICT.” e sulla lama la dedica “Al Cav.Com.Sivori il comercio (sic) di Genova”); una pensione annua di 1500 lire; Martin Piaggio gli dedicò una poesia in dialetto intitolata “a spedizion contro Tripoli” .
Morì a Genova il 22 luglio 1830, e sepolto nella chiesa della Madonnetta, ove –presago- aveva già fatto scolpire l’epitaffio su un marmo (sepulcrum – hoc D.Franciscus Sivori – eques sibi suisque – paravit – anno MDCCCXXIX).
BIBLIOGRAFIA
-Archivio Storico Comunale - Toponomastica , scheda n.4224
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-Brizzolari C-Storia di Genova sul mare-Vallecchi-1981-vol.2-pag.297
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-Enciclopedia Motta
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-Pastorino.Vigliero-Dizionario delle strade di Ge.-Tolozzi.85-p.1714
SOLFERINO vico Solferino
in rosso, via solforino. In giallo via Garibaldi (A.Pacinotti); in verde via Pieragostini; grigio ferrovia Ge-Sv, con via S.Dondero sottostante.
Prima dell’anno 1900, c’era una unica casa, di proprietà Mongiardino, e senza alcuna denominazione. In quell’anno, fu proposto questo nome al vicolo (oggi –all’incirca- vico Alberto di Bozzolo; scrivo all’incirca, perché nella carta senza data sopra riprodotta, si riporta il nostro vicolo (in rosso) che però -rispetto ai limiti del palazzo dei tabacchi (linea nera marcata)-, appare più a ponente dell’attuale vico AdBozzolo) che si era formato in zona Crociera, trasversalmente tra via Garibaldi e via san Cristoforo, lungo lo stabilimento Solei Hebert (scritto a mano - di non facile comprensione).
Con la fantasia e la cartina sopra, perché non esiste più -ma c’era in quegli anni-: occorre costruire una grossa casa (o, un complesso di case e cortili) posta a ponente del nostro vicolo, delimitandolo da quella parte, ove ora sono i giardini. Questo casermone fu abbattuto negli anni ’30, e lo spazio rimasto vuoto utilizzato per allargare la strada della Crociera e lasciarvi il giardino.
Identico era nel 1910, con civici solo pari fino a 4. Dopo questo anno, nel vicolo definito ‘privato’ vi vengono ricordati –non solo la presenza ma soprattutto gli odori e rumori- di un’osteria, proprietà di un certo Pesce che riceveva -con un camion direttamente dal Piemonte- l’uva da spremere con i piedi; di un fabbro, che ancora ferrava i cavalli; di una trattoria posta d’angolo aperta ai lavoratori dei Molini; dei bimbi che vi giocavano a piedi nudi ed a fare le monellerie per creare con il nulla un po’ di interesse e fantasia. Dietro il palazzo, passava il treno merci, che dal porto, tramite il Canto, andava alla ‘stazione piccola’ posta sulla riva del torrente.
Nel 1926 fu creata la Grande Genova e con essa si propose l’unificazione dei nomi stradali. Dedicata alla battaglia erano strade di Prà (anche una piazza), Pegli e SPd’Arena: tutte dovettero soccombere di fronte all’omonima in Centro (zona di Castelletto) che conservò il titolo.
Nel 1933 era ancora tale, di 4.a categoria, con 2 civici; ma intanto via san Cristoforo era stata chiamata via Cesare Battisti. In quest’anno, una proprietà privata venne ceduta gratuitamente al Comune, ma non è precisato quale.
Attualmente, dal 19 agosto 1935 per delibera del podestà di Genova, è intestato vico Alberto di Bozzolo.
DEDICATO: al comune mantovano ove il 24 giu.1859 fu combattuta per quindici ore l’epica ed asprissima battaglia del Risorgimento (2.a guerra di Indipendenza), tra 80mila francesi guidati dall’ imperatore Napoleone III, e gli austriaci forti di 90mila uomini, guidati da Francesco Giuseppe (i Piemontesi, erano schierati all’ala sinistra e contemporaneamente impegnati nella vicina san Martino: un unico fronte ma con due battaglie distinte; erano guidati dal re Vittorio Emanuele II, che riuscì ad avere il sopravvento solo alle ore 21: soldati e re, si addormentarono esausti, accanto ai soldati morti e non ancora raccolti).
E. Meissonier – museo del Louvre - Solferino
Quindi nelle due località vicine, separatamente, si scontrarono in assalti e contrattacchi furiosi e sanguinosi all’arma bianca, 250 mila soldati (in vari testi, sono controverse le cifre : per PastorinoVigliero: 118m francesi-120m austriaci-imprecisati gli italiani ; per l’Enciclop.Motta 80m francesi-90m austriaci-imprecisati gli italiani; per Barbagallo 130m pari . Nella carneficina generale, morirono o furono gravemente feriti, secondo PastorinoVigliero: 22,5mila austriaci, 17mila francesi; secondo l’Enciclop.Sonzogno 13m francesi, 13m austriaci, 5521 italiani; secondo l’Enciclop.Motta 17m francesi e 21m austriaci ; per Barbagallo 50000 morti e 23m feriti tra tutti).
I francesi mandarono in battaglia gli zuavi (soldati africani,caratteristici per gli ampi pantaloni fino al ginocchio, una fascia alla vita ed il fez in testa) di straordinario vigore, genericamente feroci e scarsamente rispettosi dell’avversario tanto che compirono vere e proprie stragi tra gli austriaci: furono loro che a Palestro riconoscendo il coraggio del re italiano, lo promossero sul campo al grado di caporale.
Solo a sera, la spinta dell’armata francese contro il centro dello schieramento austriaco ebbe il sopravvento, rompendo il fronte nemico: cosicché alle ore 15 Francesco Giuseppe ordinò la ritirata. Stremati, i soldati si addormentarono sui prati di battaglia: la Lombardia era liberata e poteva entrare nel regno lanciando contemporaneamente un chiaro messaggio alla popolazione di tutti gli staterelli in cui l’Italia era ancora divisa.
Malgrado la vittoria, Napoleone III sconvolto dalle perdite subite (disse: “non dimenticherò mai più l’urlo disperato dei morenti”), firmò la pace di Villafranca deludendo i patrioti italiani; Cavour si dimise da presidente del Consiglio.
In quegli anni, in guerra, era concetto generale considerare la morte come una fortunata alternativa alla vita, mentre rimanere feriti era un po' come morire lentamente in agonia, sia per le ferite (molte d’arma bianca, generavano emorragie inarrestabili o infezioni con necessità di medicazioni o amputazioni da svegli, senza anestesia , in un ambiente genericamente sporco, infetto) sia perché c’era il rischio sostanziale di rimanere abbandonati trascinandosi infermi alla misericordia degli altri, non esistendo alcuna forma assistenziale né immediata né proiettata nel futuro). Fu in questo scempio, in mezzo agli innumerevoli casi di penosissima sofferenza fisica e morale che a Enrico Dunant -svizzero, e per questa iniziativa premio Nobel per la pace nel 1901- nacque l’idea di proporre a tutte le Nazioni un codice di protezione per i feriti in guerra, chiamato “Croce Rossa”, che ancor oggi, ampliando il servizio al di là degli eventi bellici, è benemerita di infiniti casi di assistenza nel mondo.
Re Vittorio Emanuele II , presente e partecipe alla battaglia di san Martino, promosse sul campo i due generali italiani che - con metà soldati rispetto al nemico-, seppero condurre con estremo valore e sacrificio sei successivi assalti frontali contro 50 mila austriaci.
BIBLIOGRAFIA
-Archivio Storico Comunale
-Archivio Storico Comunale - Toponomastica , scheda 4234
-Barbagallo C.-Storia Universale-UTET-vol.V -pag.1432
-Colombo E.–Epoca rivista Mondadori.1964-documentari
-DeLandolina GC.-Sampierdarena -Rinascenza.1922-pag,55
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-Pagano/1933-pag. 248
-Tuvo.Campagnol-St. di Sampierdarena-D’Amore.1975-p1716dice Napoleone II
SOMMEILLER vico Sommeiller
Strada scomparsa nel rivoluzionamento edilizio operato nella zona della Coscia.
STORIA: nell’anno 1900 venne proposta la titolazione all’ingegnere, del vicolo che porta “alla via delle scuderie Carpaneto”; nel 1910 -con due civici dispari, 1 e 3- era ufficialmente riconosciuto dal Comune locale,“da via Demarini verso la collina”; una cartina locale (1925) riporta –col nome sbagliato- una “via Somoiller” distaccatasi da via DeMarini verso nord, poco a ponente dell’ inizio di via Balleydier (verso mare); ed a sua volta con l’inizio-verso levante- di vico Chiuso; per il Novella (1930ca) era “da via De Marini”.
Nel 1927 il vicolo viene riconosciuto facente parte -nella grande Genova- della delegazione di SPd’Arena, nel momento della unificazione comunale e quindi della toponomastica.
Nel 1933 era ancora tale, di 5.a categoria, con due civici e chiuso alla fine ed infatti definito ‘vico chiuso Sommeiller’.
Nel 1940 non c’era più; e la parte di strada rimasta fu incorporata in via Balleydier. Però il Pagano/40 la cita ancora come “vico Sommeiler” (con una elle e senza null’altro come civici).
DEDICATA all’ingegnere italiano, Germano Sommeiller, nato a Saint Jéoire nell’ Alta Savoia, nel 1815 (proprio in questa data, col trattato di Vienna, la Savoia fu data al re di Sardegna, che la tenne sino al 1860; il Sommeiller optò rimanere italiano); ed ivi deceduto nel 1872 (Tuvo però precisa: 17 settembre 1871; due mesi prima l’inaugurazione del traforo del Fréjus).
Ricordato perché cooperatore del progetto e dei lavori, assieme a Grattoni e Grandis, di varie opere pubbliche stradali e ferroviarie, primo fra tutte la macchina perforatrice ad aria compressa- basata su precedenti invenzioni di compressori da parte del Sommeiller (a colonna ed a tromba; da Ogliari viene citato che nel 1853 i tre ingegneri furono “nominati dal Governo Piemontese ‘ingegneri aggiunti’ della ferrovia (Torino-Genova appena aperta) con l’incarico di occuparsi della circolazione dei treni sulle rampe dei Giovi. Essi fanno brevettare un loro ‘ariete compressore’ destinato ad utilizzare la forza della cadute d’acqua degli Appennini per comprimere l’aria in un tubo posto in asse alle due rotaie del binario, per spingere i treni sulle rampe in salita. Il Parlamento stanzia fondi per l’esperimento: il termine è di due anni. Ma questo non ha luogo: l’’ariete compressore’ –su idea dello stesso Cavour- verrà invece usato per praticare nella roccia i fori da mine nello scavo della galleria del Frejus”).
Ansaldo - perforatrice di Sommeiller - 1857
Era stata costruita nello stabilimento dell’Ansaldo nei primi tempi della sua nascita a nuova “società” acquistata da Taylor e Prandi.
Fu sperimentata nel febbraio 1857 alla Cava proprio per bucare san Benigno ed aprire delle gallerie per la ferrovia; il giorno 2 del mese dopo, venne a Genova il Cavour col ministro dei lavori pubblici Pietro Paleocapa, per visionare lo strumento: soddisfatti dei risultati, fecero usare la macchina perforatrice a compressione idropneumatica capace di accelerare e semplificare il lavoro (fino ad allora eseguito solo a braccia) non appena iniziarono nell’estate i lavori di apertura della galleria del Fréjus (iniziata nel 1857 fu terminata nel 1871, adibita ad uso ferroviario, di 13.636 m. sotto il Monte Cenisio (o Moncenisio) -: massiccio delle Alpi Graie-Cozie , che divide il Piemonte -Susa e Bardonecchia-, dalla Savoia -val d’Isère. La carrozzabile attuale fu invece aperta per volere di Napoleone).
All’imbocco sud ovest della galleria ferroviaria sotto san Benigno, fu poi posta una lapide che ricordava con uno scritto apposito di Federico Alizeri: “NEL MDCCCLVI – QUESTE ROCCE – OBBEDIENTI AL POSSENTE ORDIGNO – DEI PRODI INGEGNERI – GRANDIS, SOMMEILLER E GRATTONI – MOSTRARONO POSSIBILE AD UOMINI – ENTRAR NEL CENISIO- E APRIR L’ALPE AI COMMERCI – LA CITTA’ DI SAMPIERDARENA – IN APRILE DEL MDCCCXXVII (errata ovviamente, nds)– STANZIO’ QUESTO SCRITTO – GLORIANDO – CHE QUI S’AUGURASSE CON IMPEGNO ANIMOSO – L’ESTREMA FATICA DEL SECOLO”
Era divenuto nel 1854 onorevole, deputato al parlamento subalpino dove fece un rapporto a nome di una Commissione che si interessava della spesa straordinaria per l’acquisto di locomotive ad uso della strada ferrata; proprio quando l’Ansaldo decise iniziare a fabbricarne a proprio rischio e pericolo, pur essendo sotto apparente ‘tutela politica’ sul piano della produzione: si ottenne così un contratto, similare ad una sfida intendendo che se non funzionavano a pennello non sarebbero state acquistate; la battaglia fu vinta perché la prima locomotiva prodotta, battezzata ‘San Pier d’Arena’ eseguì le prove di esperimento con soddisfazione generale tale che fu messa in esercizio subito sulla linea Torino-Genova (la quale era stata completata alla fine del 1853) .
Andò a lavorare anche in America (per la ferrovia che univa l’Atlantico col Pacifico), e collaborò col Paleocapa al taglio di Suez (1869).
Erano gli anni in cui era in dirittura d’arrivo lo sviluppo industriale, tecnologico e scientifico che avrebbe trasformato il mondo: la luce elettrica; il telefono (Bell che rubò l’idea a Meucci); i motori (Gramme che rubò l’idea a Pacinotti); la legge Coppino, dell’istruzione elementare obbligatoria laica e gratuita; le grandi finanze in mano alle banche, ecc.
40° inaugurazione del Frejus
BIBLIOGRAFIA
-Archivio Storico Comunale
-A.sconosc.-Storia del trasporto pubb. a Ge.-Sagep.’80-pag. 230cart.- Somoiller
-Castronovo V-St.dAnsaldo-Laterza.94-v.I-p.104.f.13049.206n17.268n42.49.291
-DeLandolina GC-Sampierdarena Rinascenza .1922 - pag.55
-Enciclopedia Motta morto nel 1871
-Enciclopedia Sonzogno
-Gazzettino Sampierdarenese : 4/85.15
-Museo SAgostino-archivio uff.Toponomastica
-Novella P.-Strade di Genova-Manoscritto b.Berio.1900-pag.19
-Ogliari&Muscolino-150anni di trasporti in Italia-Socimi.1989-pag.41
-Pagano/1933-pag. 248 chiama Gerolamo ; /40-pag.412
-Tuvo.Campagnol-Storia di Sampierdarena-D’Amore.1975-pag.68
---non citato da Pastorino.Vigliero + 38 +
TARGA: via - Giuseppe Spataro – caduto per la libertà – 1925-16.1.45
angolo con Largo Jursé
finale strada, a nord
QUARTIERE MEDIEVALE: Mercato – Ponte
da MVinzoni, 1757. Zona di futura apertura della nostra strada.
N° IMMATRICOLAZIONE: 2852, CATEGORIA: 2
da Pagano 1967-8
CODICE INFORMATICO DELLA STRADA - n°: 59380
UNITÀ URBANISTICA: 24 - CAMPASSO
da Google Earth 2007. In giallo via EDegola; in fucsia via GTavani.
CAP: 16151
PARROCCHIA: s.Giovanni Bosco
STRUTTURA: doppio senso viario; inizia da largo E.Jursé, affianca a ponente la ferrovia verso nord; finisce, chiusa ai veicoli, ma percorribile ai pedoni che possono usare lo stretto e basso sottopassaggio della ferrovia, per sbucare in via G.Tavani.
parallela a via W.Fillak – foto anni ‘80 via Spataro in basso a sinistra, dal grattacielo – 2004
dove – con un cancello – finisce la strada imbocco del voltino verso via G.Tavani
il sottopasso
STORIA: Nella carta del Vinzoni non appare alcun segno di un tracciato sovrapponibile mentre possiamo concepire dei sentieri ai limiti delle proprietà, se non altro per consentire a chi abitava vicino al ponte e sottostante Fiumara, poter raggiungere la parrocchia a san Martino.
Così, dal ponte verso nord, tra la proprietà GBGrondona e quella dei fratelli Veneruso; quest’ultima seguita fino alla attuale via GTavani, dalle terre del mag.co Ventura (già del mag.co Stefano Lomellini Carlo).
Il percorso attuale, via Pacinotti-Spataro, era divenuto studio ingegneristico pochi anni dopo, a fine del settecento (anche da Giacomo Brusco nel 1781), mirato a collegare la Marina del Canto con san Martino per proseguire verso nord, allo scopo di evitare il centro - quartiere Mercato - già evidentemente congestionato allora. Però, allora non fu realizzato. Il progetto fu proposto ai gestori comunali, sottolineando anche il basso prezzo –visto che attraversava dei prati- rispetto una bonifica e ristrutturazione -peraltro “senza raggiungere risultati di gran bellezza”- della vecchia via centrale (cioè dell’attuale via C.Rolando). Dalla strada al Ponte verso nord, la nuova strada sarebbe passata (sino all’altezza della chiesa di don Bosco), nei terreni allora (1781) di proprietà dell’ecc.mo Domenico Spinola (questi terreni erano estesi est-ovest, un poco arcuati, dalle attuali via Degola-via C.Rolando ove era la villa padronale, l’attuale civ. 8). A nord di questa proprietà, proseguiva tra -a levante quella del ‘m.co Vontegra (non sicuro perché si legge malissimo) ora Cambiaso’- ed a ponente ‘dell’Ospitaletto’ a livello della attuale via B.Agnese; ed infine sui terreni del m.co Steffano Lomellino q. Carlo, fino all’attuale via Tavani.
Nel 1853, con l’apertura della linea ferroviaria, specie, subito dopo, della linea che portava a ponente, nuovamente si ravvide pressante l’opportunità e l’utilizzo di una strada che proseguisse dalla Fiumara verso Rivarolo, ‘bypassando’ il centro: si allargarono i sentieri e carrettabili già tracciati da molti anni per uso pedonale dalla gente del luogo per andare a messa nella parrocchia. Fu dapprima chiamata “strada reale di Torino” in prosecuzione della omonima già stesa dalla Lanterna lungo la riva del borgo (attuale vie SanPierd’Arena+Pacinotti+Spataro).
Il nome poi fu modificato in via Garibaldi agli inizi del 1900 per il percorso dal Canto a san Martino “da via C.Colombo allo scalo Piccola Velocità” e poi “a via G.Tavani”. Ma qualcosa -che non conosciamo- dovette modificare i progetti, forse l’apertura di via P.Reti o il raddoppio dei binari dei treni: il sottopasso ferroviario –stretto ed angusto- rende inspiegabilmente inutilizzabile lo sbocco verso nord; e –così stando le cose in superficie- impossibile chiedere alle ferrovie di alzare il sottopasso, ed altrettanto approfondirsi per costanti allagamenti.
Il podestà di Genova, con l’unione delle delegazioni nella Grande Genova, onde eliminare in periferia strade già titolate in centro, il 19 agosto 1935 deliberò modificare il nome, titolando la strada via A.Pacinotti; così rimase fino alla fine dell’ultimo conflitto bellico.
Con nuova delibera della Giunta del 26 aprile 1946 la lunga strada fu denominata diversamente nei due tratti, lasciando via Pacinotti nella parte a mare e dalla zona Crociera al sottopasso della linea ferroviaria venne titolata al partigiano.
CIVICI nel 2007:
Neri= da 24 a 36 (mancano da 2 a 22; compreso 32a, 34ab)
Rossi= da 2r a 124r (mancano da 36 a 58, da 62 a 100, da 104 a 122)
===agli inizi secolo, vi era una fabbrica di olio intestata a Scerno e Gismondi (Enrico Scerno aveva fondato nel 1860 una piccola fabbrica di chinino e biacca che usava metodi di lavorazione primordiali, non più modernizzati e così perdendo il mercato; così poi fu trasformata –assieme al Gismondi- in raffineria del salnitro chiamata ‘Nitrum Scerno-Gismondi e C’ per l’uso fatto dalle polveriere militari statali, raggiungendo i 30 operai, ma già ridotti a 10 nel 1874. Nel 1875 l’azienda passò alla fabbricazione di olio di semi, creando una soc. per azioni con gli stessi imprenditori, e ricca di un modesto capitale (740mila lire) proveniente da numerose fonti.( Dei suoi due figli, prevalentemente Fausto fu presente in molteplici azioni di imprenditoria (tra cui ricerche petrolifere in Emilia –antesignani dell’ENI a Cortemaggiore- con perdita nel 1877 di tutto il capitale impiegato. Con alterne fortune, scelse infine divenire importatore di cereali, e da qui azionista di peso nella società Molini Alta Italia).
Carlo Gismondi, dopo la società chimica fondata assieme al precedente, divenne commerciante all’ingrosso di cereali, e dopo anche lui fu azionista nei Molini. Mori’ nel 1900
===Nella strada nei lontani anni 1920 vi aveva negozio di costruzione, riparazione ed affitto biciclette, un asso del ciclismo di allora, Libero Errante; corridore di rilievo nazionale, si distinse in molte gare favorendo l’entusiasmo e lo sviluppo di questo sport. Il padre era venditore di giornali, ove è ancor ora l’edicola, nella piazzetta di largo Jursé.
Nel Pagano/1950 sono segnalate due osterie (68r di Quaglia V.; 82r Grillo B.); un bar all’84r di Maia Teresa; nessuna trattoria).
Invece nel Pagano/1961: sempre le due osterie dove solo la seconda è divenuta di Manno GB; il bar è divenuto bottiglieria di Marino G.; in più= 64r canc-Rossi D lubrific.; 76r Campana M. commest; 78r Pigoni A noleggia moto; 86r la Amuchina disinfett. ha uno stabilimento; 88r fino a 92r lo spaccio commest- dell’Eridania.
Solo nel 1987 si sistemò definitivamente la numerazione stradale (dalla scheda della toponomastica, appare solo per i civv.rossi).
Molte costruzioni sono di proprietà comunale e per alcune di esse in angolo con via T.Grossi, è stata prevista la utilizzazione ad autosilo per auto, abbattendo i capannoni ed usando prefabbricati metallici moderni; ma nel 2008 tutto giace.
la lapide
anno 1930 cerimonia deposizione di lapide ai caduti
sottopasso di ingresso e uffici lapide nel sottopasso piazzale (uffici a destra)
===civ 34 si apriva la Raffineria Zuccheri Ligure Lombarda (poi ’Eridania’; descritta alla E).
Oggi è sede della soc. “fratelli Pagano” trasporti. Pagano Giuseppe (da piccolo autotrasportatore autonomo che iniziò in via del Molo nel 1945, subentrò come sede al grande complesso, nel 1946; con i dovuti sacrifici e valenza, e col subentro dei due figli, sono riusciti a rimanere uno dei pochi efficienti servizi di autotrasporti nazionali, ristrutturando anche due vecchi capannoni per l’uso di deposito, svuotati dei macchinari e rifatti dalle fondamenta. Nei vari passaggi ci si infilarono anche gli speleologi del Gruppo di Roberto Bixio –vedi in via Avio- ma appurarono che solo erano vie di comunicazione tra i vari capannoni e di scarico verso il torrente). Nell’ingresso dell’area di lavoro, c’è un iniziale sottoèpasso nel quale èmurata una lapide che ricorda la visita del re ai vecchi zuccherifici.
ristrutturazione del 1998 valvola di chiusura di recipiente
===civ.34A e 34B furono assegnati a costruzione scolastica ristrutturata nel 1979. (===ex-civ. 34): edificio scolastico, vincolato dalla Soprintendenza per i beni architettonici.
Da foto del 1930 ca (riferentesi ad una lapide ai caduti con la scritta: ‘vivono nella gloria’ (illusi, poverini!) apposta sopra la porta dedicata ai Caduti in Guerra della Soc.Lig.Lombarda con concomitante premiazione di 17 vecchi –dopo 50 anni di lavoro- operai benemeriti; dei quali 5 riconosciuti meritevoli dal Governo di una Stella Nazionale del Lavoro) si rileva che la palazzina, allora singola (ovvero senza l’aggiunta del prolungamento a nord), era la sede della Società stessa.
Probabilmente durante l’ultima guerra, tutta l’ala destra, a monte, della palazzina –a nord- è crollata e nel ricostruirla nel dopoguerra (mancano così due finestre al lato del portone che appare decentrato; e la lapide) hanno aggiunto un corpo similare, diverso strutturalmente distinguibile dalle finestre più piccole e basse.
ristrutturazione del 1998
Divenne dapprima succursale (1978) della ‘scuola Cantore’ (sul Gazzettino del lug.1979 si legge “l’anno scorso la scuola Cantore ha usufruito della nuova scuola di via Spataro; quest’anno avrà a disposizione l’ex istituto suore di sant’Anna” (in via Currò)), poi della scuola succursale “istituto magistrale statale Piero Gobetti”; poi infine è stato a lungo abbandonato ed occupato abusivamente da extracomunitari. Nel febbraio 2002 è stato circondato da impalcature per lavori, previsti da completarsi in un anno, di ‘adeguamento normative’.
Nel 2007 la facciata è deteriorata da innumerevoli e ovviamente stolide scriutte con bombolette. Una targa sopra l’ingresso principale segnala semplicemente «Istituto Magistrale statale Piero Gobetti»; altra sopra il civ.102r segnala «Istituto Statale “P.Gobetti” – succursale (di largo Gozzano, 5) – via Spataro N° 34 – indirizzo “Brocca” – socio psicopedagogico», tel. 010 64.69.787.
L’indirizzo ultimo descritto è a carattere sperimentale, con due diplomi dopo 5 anni: A) di maturità magistrale, conseguibile con tre diramazioni convergenti=liceo delle scienze sociali; =idem a indirizzo musicale; =socio-psico-pedagogico Brocca. B) di maturità linguistica seguendo il corso ‘linguistico Brocca’.
===civ. 38 la sede della soc. Libertas Genoa Tennistavolo (della FIT-T; vulgo “ping pong”), nata nel 1992, iscritta alla Federazione Italiana (FIT) iniziò una politica di stretto collegamento con le scuole locali al fine di attingere nuova linfa, raggiungendo dopo soli tre anni risultati da campioni nelle varie categorie della disciplina. Sotto la guida del pf. Quaglia (tecnico di fama europea) militano una campionessa mondiale (bronzo a Budapest di Fracchiolla Marina nel 2002), e pluricampioni d’Italia.
Nel 2007 appare presidente Sergio Montisci e, delegato della struttura federale: Patrizia Boccacci di via GB Monti 56/9b.
a sinistra, la sede della società nel piazzale
Forse è su questa area –definita ‘molto grande’ - che alla fine del 2009 si parla verrà costruito un polo sportivo – già progettato e presentato al Coni- che conterrà due palestre: una grande, per eventi (basket, volley su tutti) di alto livello; ed una più piccola per allenamenti; ed altre aree da dedicare allo sport.
DEDICATA al partigiano, nativo di Roccella Ionica (RC) il 18 mar.1925; operaio dell’Ansaldo Meccanico, fu tra i primi degli abitanti del quartiere san Martino-Campasso a sentire il bisogno di ribellarsi in modo concreto alle crescenti irruenze dei fascisti. Inizialmente con approcci vaghi, non organizzati, facili ad essere captati dal nemico, si limitò a contattarsi con pochi compagni per fare propaganda orale, distribuire manifestini ciclostilati, raccogliere materiale vario, opportuno per il futuro: dai vestiti alle armi.
Dopo l’ 8 settembre, da questo nucleo isolato, nacque più organizzato il ”fronte della gioventù”, col compito di favorire scioperi tra gli studenti, organizzare il “soccorso rosso”, reclutare nei luoghi d’incontro (Croce d’Oro, don Bosco, bar, Società di mutuo soccorso ) chi condivideva le idee o quantomeno in quei giorni desiderava fuggire per non essere obbligato nelle truppe di Salò.
Nel giu.1944, tutte queste iniziative confluirono nelle SAP (squadre di azione patriottica), ove lui scelse il nome di battaglia “Roberto”, divenendo comandante del distaccamento Carlo Roncati, della Brigata SAP Giacomo Buranello.
In una prova generale della agognata liberazione di Genova, malgrado essa fosse stata programmata ed eseguita in gran segreto, le Brigate Nere vennero a sapere del fatto ed organizzarono a loro volta una contromossa che sfociò in uno scontro a fuoco in cui persero la vita due fascisti: il cerchio si strinse fino al 16 dic.1944 quando lo Spataro venne catturato assieme a Jursé nelle sale della Ciclistica. Furono assieme condotti alla casa Littorio, e sottoposti ad interrogatori con pestaggio e tortura. Il 15 gennaio successivo, condotti assieme sotto l’archivolto ferroviario del Campasso, nella notte e senza precisa condanna da tribunale, furono fucilati, lasciando i corpi a terra come monito a tutti gli abitanti della zona .
In tasca ambedue avevano un panino ed una mela; di dubbio significato: falsificare che avessero tradito, e quindi avessero ricevuto promessa di trasferimento, oppure di calmiere onde evitare la fuga se avessero saputo del loro reale destino.
Sul giornale cittadino, il giorno dopo, si fece riferimento a “salme di due sconosciuti, rinvenute al Campasso, presumibile scontro tra fuorilegge o bande di ribelli, abbandonati a se stessi dagli angloamericani”.
BIBLIOGRAFIA
-Archivio Storico Comunale
-Archivio Storico Comunale - Toponomastica, scheda 4260
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-AA.VV.-Contributo di SPdA alla Resistenza-PCGG 1997-pag. 197
-AA.VV.-35°SPd ’A
-Comune di Genova- stradario anno 1953 – pag. 169
-Corti M.-Annuario ligure dello sport-LoSprint 2008-pag. 400
-Doria G.-Investim e sviluppo econom. a Ge.-Giuffrè.1969-vol.I-pag396
-Gazzettino Sampierdarenese: 7/79.1 + 4/81.7 + 2/89.11 +
-il Secolo XIX , del 27.04.02
-Lamponi M.-Sampierdarena- LibroPiù.2002- pag.119
-Pagano/1933-pag.246; /1961-pag. 399
-Pastorino.Vigliero-Dizionario strade di Ge-Tolozzi 1985-pag. 1724
-Poleggi E&C-Atlante di Genova-Marsilio 1995-tav.21
-Stringa P.-La Valpolcevera- Agis 1980-pag. 92cartina
TARGA : via – Silvio Spaventa
angolo con via del Campasso
angolo con via Pellegrini
QUARTIERE ANTICO: san Martino
da MVinzoni 1757. In rosso, villa Durazzo-Currò; fucsia santuario di Belvedere; celeste, chiesa e oratorio di san Martino; giallo, via Vicenza e Campasso.
N° IMMATRICOLAZIONE: 2853
da Pagano 1967-8
CODICE INFORMATICO DELLA STRADA - n°: 59400
UNITÀ URBANISTICA: 24 - CAMPASSO
da Google Earth, 2007.
CAP: 16151
PARROCCHIA: s.Cuore di Gesù (Campasso)
STRUTTURA: senso unico veicolare, da via A.Pellegrini a via Campasso
È servita dall’acquedotto DeFerrari Galliera.
Si sviluppa a S rovesciata con un primo e terzo tratto perpendicolare alle vie Pellegrini-Campasso, e quello centrale parallelo alle due strade.
primo tratto ( a sinistra l’ala nord del mercato)
STORIA: la strada è nata nei primi del 1900, con la costruzione della prima casa (dal 1908, i proprietari dei civv. 2-4-6, non pagarono tassa di proprietà fino al 1980), ma rimase anonima. Ancora nel 1910 non compare riconosciuta ufficialmente dall’autorità comunale, però nell’elenco delle strade pubblicato in quell’anno, compare il nome aggiunto a penna (‘dalla via A.Pellegrini alla via G.Bruno, con civv sino all’ 1 ed 8’; tipico delle vie approvate nel periodo 1914-20). Infatti l’Ente Autonomo Case Popolari, istituito nel 1915, ed approvato con regio decreto il 4 feb.1917, ricevette dal Comune, all’atto della fondazione, un lotto di terreno edificabile, ed una casa già eretta nella zona.
L’ente si affidò all’ing. Adriano Cuneo, per progettare la sistemazione delle aree, ed al Consorzio Ligure delle Cooperative di Genova, per costruire. Difficoltà finanziarie impedirono di attuare il progetto; sino al 1930 quando esso si fuse nello IACP (oggi ‘Arte’), che ereditò i beni ed il programma.
Per attuarlo, inizialmente l’Ente trovò necessario chiedere la partecipazione economica delle varie industrie cittadine ritenendole responsabili e beneficiarie del grosso afflusso immigratorio. Da allora, il tratto fu completato con altri edifici a speculazione privata.
La strada, fu quindi dapprima, agli albori del 1900, considerata solo una traversale di via G.Bruno (via Campasso); poi fu collegata con via Pellegrini acquisendo autonomia e nome ben dopo il 1910 (comunque nel 1927 viene segnalata strada di SPd’Arena nell’elenco pubblicato dal Comune delle neonata Grande Genova, e di 5a categoria) e probabilmente con carattere di via privata se risulta essere entrata nell’elenco delle strade comunali solo agli inizi del 1956.
Nel 1921 viene segnalato un aumento di tasse ad una azienda esistente nella strada: ‘Garbarino e Sciaccaluga, trasporti ‘.
Nel 1956 viene iscritta nell’elenco delle strade comunali
CIVICI nel 2007:
neri da 1 a 7 (compreso 1a); e da 2 a 6
rossi da 1r a 31r (mancano da 13 a 17 e 21) e da 4r a 10r (manca 2)
Nel Pagano/40 va “da via A.Pelleghrini a via Campasso” ed ha ai civv. neri 7 s.a.Ind.Frigorifere; senza civico l’Asilo Infant.«Campasso»; nei civv. rossi: 2 commestibili; 3 fruttiv.; 27 bottigl.; 29 commestibili.
===civ .1, 1A, 3: posizionato a destra, dopo una entrata aperta di pochi metri, si accede ad un cortile sul quale si aprono i tre portoni, il primo dei quali è rialzato ed ha accesso con una breve scala esterna.
Costruito nel 1919 dall’ICP di San Pier d’Arena, copre un’area di 578 mq.; fu colpito dai bombardamenti nel ‘43-4 ed andò abbondantemente distrutto. Ciò malgrado negli appartamenti più o meno illesi trovarono ospitalità in periodo postbellico emigrati del sud arrivati per lavorare all’Italsider (baresi e napoletani, oggi normalmente integrati nella città). Fu ricostruito nel 1954 con il contributo della Cooperativa dei Carbonai genovese, da ciò il nomignolo di ‘palazzo dei carbonai’ (o ‘carbonê, camalli, coffesanti’). Il Gazzettino fornisce la versione che il nome proviene dal fatto che vi abitavano questi lavoratori (e che ‘tornavano a casa con le tracce del minerale sulle ciglia’, portando i mandilli a quadretti bianchi e rossi entro cui avevano custodito il cibo).
===civ. 2 posizionato a sinistra della strada, è probabilmente il primo civico costruito nella strada, risalente quindi alla prima decade del 1900. Viene ricordato che molti appartamenti erano di proprietà di un porcaio che aveva negozio in piazza Masnata ove era il trippaio (oggi gelateria Maracanà). Nei fondi del palazzo ed aperto anche nel retro in via Campasso 97r c’era negli anni 1950-60 una fabbrica di detersivi, specie lisciva e poligrina (di proprietà di Gallino S., ora in via Vezzani); nel retro (sempre in via Campasso) invece c’era anche una fabbrica di bottiglie di vetro e di tappi (si legge ancora la scritta sopra le saracinesche), e su questo lato la facciata fu decorata con riquadri posti tra e sopra le finestre, contenenti immagini a rilievo di stella, e di decori di fantasia (non frequente la decorazione sulla facciata posteriore e non sulla anteriore, a significato di maggior pregio della via principale).
===civ. 5: inizialmente, al posto del palazzo esisteva un rilievo tipo collinoso libero a prato con una generosa fonte d’acqua potabile; il rilievo fu spianato e vi costruirono nel 1949 una baracca adibita a depositi ferrosi di proprietà di Pittaluga, a cui fu assegnato il civ. 5; nel 1963 la baracca fu demolita, e sul luogo l’anno dopo fu eretto il nuovo attuale palazzo.
=== civ. 6: Durante l’ultima guerra, fu parzialmente colpito .
=== civ. 7: Agli inizi dell’anno 2000 si completò l’ultimo edificio eretto al posto di una vecchia fabbrica di ghiaccio, andata demolita pochi anni prima (L’industria del freddo, giudicata di sicuro avvenire, nacque nel primo decennio del secolo 1900 in genere affiancata alla produzione di birra; ma nei cinque anni dopo l’insieme delle piccole aziende ebbe un brutto ridimensionamento con spesso perdita di tutto il capitale impiegato, segnando un colpo negativo per le minori imprese industriali, a vantaggio dei grandi trusts).
neve–foto presa dal tetto della fabbrica di ghiaccio; la fabbrica nei preparativi della demolizione
e rimozione recipiente x anidride carbonica
Questa, nata nel 1933 su progetto dell’ing.civile Adriano Bagnasco, si chiamava SAIF (società anonima Industrie Frigoriferi genovesi, ed affini; si apriva in via G.Bruno 83-85r), di proprietà Ghezzi Elio & c.: veniva fabbricato il ghiaccio in lastre (favoriti dalla possibilità di attingere localmente da numerose sorgenti esistenti nella zona ed opportunamente incanalate; di infantile memoria in assenza dei frigoriferi nel ventennio seguente la fine del conflitto mondiale, col ghiaccio sia come conservante dei cibi nell’apposita madia rivestita di metallo, sia da grattare con apposita pialla per farsi saporose e rinfrescanti granite casalinghe); si caricavano bombole di anidride carbonica ed aveva dei frigoriferi atti a grossi depositi (nel Pagano/61 coesiste alla SAIF anche una VEGA srl, deposito di gelati); il figlio del proprietario con altro imprenditore Berni cessarono tale produzione negli anni 1980 trasformando il fabbricato in deposito derrate scandinave ‘Stokafiss Norge’: l’arrivo pressoché giornaliero di grossi TIR , sia per la ristrettezza di tutta via Campasso che per la secca curva per immettersi in via Spaventa fu per vari anni un gravissimo problema di traffico e posteggi. Collaborava ai grossi ingorghi la presenza negli stessi ambienti della società ‘Coop-45’ che lavorava pesci e verdure surgelati (poi trasferitasi a sant’Olcese).
Distrutto l’edificio, ne fu ricostruito uno nuovo a scopo abitazione, completato nell’anno 2000.
Nel Pagano/61 esistevano ai numeri rossi: civ.2r, Parodi Luigi-commestibili; 3r, Giordano A.-frutta; 5r canc., Pittaluga P.-ricup.demoliz.; 6r, Raddino M-latteria; 27r, Magnani O-osteria; 29r, Accornero P.-pizzic.commestib.
DEDICATA al patriota ed uomo politico nato a Bomba (Chieti) nel 1822.
A 21 anni si trasferì a Napoli, aprendo una scuola privata di filosofia, fondò il giornale politico “Il Nazionale” ove sosteneva la necessità di allearsi col Piemonte contro l’Austria e fondò una società segreta chiamata “Unità Italiana” con idee antiborboniche (Ferdinando II) e con sentimenti unitari.
Dopo pochi anni di attività clandestina, a 26 anni quando era divenuto anche deputato al parlamento napoletano, venne individuato dalla polizia ed imprigionato assieme a Luigi Settembrini e Carlo Poerio. Tutti e tre processati, vennero riconosciuti colpevoli di tradimento e condannati a morte (pena che venne commutata nella reclusione a vita, da scontare nel bagno penale di Ventotene). Un successivo provvedimento giudiziario –1859 - commutò l’ergastolo in esilio.
Così fu imbarcato per essere trasferito in America; ma quando la nave raggiunse l’Irlanda, assieme al Settembrini riuscì a sbarcare, rifugiando presso altri componenti del liberalismo italiano residenti nei paesi anglosassoni. Da Londra, scese in Piemonte attendendo un anno per poter tornare a Napoli nel 1860-1, dove – d’accordo con Cavour - fu incaricato di fomentare la rivoluzione nel nome di Vittorio Emanuele II prima ancora dell’arrivo di Garibaldi.
Durante il periodo di luogotenenza gli fu affidata la direzione delle forze di polizia (dette allora “Comitato dell’Ordine”), affrontando gravissimi problemi con somma intelligenza e provveduta severità (ma questo lo pone in situazione inversa, di servilismo ai Savoia: fino ad arrivare a eserciare per loro, lo stesso ‘spirito indomito’ che lo avevo posto a combattere contro i Borboni).
Finché in attrito con Cialdini, diede le dimissioni.
Ma intanto era cresciuta gradatamente la fiducia nel suo operato e gli incarichi amministrativo-politici: 1861, deputato nel paese natale del nuovo regno; 1862, segretario generale agli interni; 1868, consigliere di Stato; 1873, ministro ai lavori pubblici (furono in questa occasione due importanti episodi: uno che statalizzò le ferrovie romane e meridionali pur lasciandole affidate in esercizio a compagnie private causando così la sconfitta della Destra al parlamento. Secondo, di interesse genovese, lo ebbe protagonista nella vicenda con quel Raffaele DeFerrari a cui Genova ha dedicato la sua piazza centrale: quando questo banchiere, noto per la sua enorme ricchezza associata a taccagneria, si propose per regalare a Genova l’impensabile somma di 20milioni di lire-oro necessarie per costruire nuovi e decisivi moli nel porto, non fu preso sul serio dal ministro e pare che alla prima richiesta non fu ricevuto: lo Spaventa fu obbligato a chiedersi dove stava il negativo di una simile proposta, fatta da un simile personaggio, teoricamente improponibile senza esserci un tornaconto pericolosamente non evidente. Alla fine però, perorato dal Cavour , il duca fu creduto, e l’offerta venne accettata ed utilizzata per creare il molo Galliera, il Giano ed il Lucedio. Altre opere di imponente impegno vennero donate alla città dal divenuto senatore del regno e principe di Lucedio, e poi dalla sua vedova Maria Brignole Sale: doni elargiti dai due in tarda età, dopo una vita vissuta nel fruttuosamente impegnare i capitali in grandi e redditizie operazioni bancarie e di borsa, e finanziamenti di grosse imprese come il taglio di Suez).
Divenne senatore nel 1889, e nel medesimo anno eletto presidente della IV sezione del Consiglio di stato (organo di giustizia amministrativa); fu riconosciuto membro d’onore della corte reale e iscritto a molte associazioni (specie di stampa in quanto scrittore autorevole di politica, schierato a destra essendo ardente seguace del sistema parlamentare inglese con l’idea dello stato forte e capace di assicurare a tutti sia protezione che giustizia ed a cui dovevano essere subordinati gli interessi particolari).
Morì a Roma nel 1893.
BIBLIOGRAFIA
-Archivio Storico Comunale
-Archivio Storico Comunale Toponomastica - scheda 4261
-AA.VV.-Annuario.guida archidiocesi—ed./94-pag.447—ed./02-pag.483
-AA.VV.-L’Edilizia residenziale pubblica-Comp.Librai-1999-scheda 286
-AA.VV.-La storia d’Italia-biblioteca di Repubblica.2004-vol.18-p.389foto
-Balletti.Giontoni-Una città fra due guerre-DeFerrari.1990-pag. 151cartina
-Bampi&Oneto-L’insurrezione genovese del 1949-IlCerchio 2010-pag.5
-DeLandolina GC.- Sampierdarena -Rinascenza.1922- pag. 56
-Dolcino M.-Storie di Genova-Frilli.2003-pag.66
-Enciclopedia Motta
-Enciclopedia Sonzogno
-Gazzettino Sampierdarenese : 7/92.7
-Genova, rivista del Comune : 2/56.43
-Lamponi M.-Sampierdarena- Libro Più.2002 –pag. 161
-Novella P.-Strade di Ge.-Manoscritto B.Berio.1900-pag.19
-Pagano 1933-pag.248.1388 Pagano/61-pag.399
-Pastorino.Vigliero-Dizionario delle strade di Ge.-Tolozzi.1085-pag.1700
-Poleggi E. &C.-Atlante di genova-Marsilio.1995-tav.10
TARGA: 2 – 2866 - via – La Spezia
angolo con via A.Cantore
QUARTIERE ANTICO: Mercato
da MVinzoni, 1757. In fucsia salita SRosa; celeste villa Doria-Franzoniane e salita sBarborino; giallo, villa Imperiale la Bellezza. In verde ipotetico tracciato di via La Spezia
N° IMMATRICOLAZIONE: 2863 (non conforme con la targa)
da Pagano 1967-8
CODICE INFORMATICO DELLA STRADA - n°: 32840
UNITÀ URBANISTICA: 27 - BELVEDERE
da Google Earth 2007. In celeste salita sBarborino; fucsia corso OScassi; verde via La Spezia
CAP: 16149
PARROCCHIA : (civ. 1 e 2)=sM.della Cella – (il resto)=Cristo Re
STRUTTURA: da via A.Cantore a corso F.Magellano
La strada percorre solo un tratto di una ripidissima valletta secondaria della pendici del colle di Promontorio: quest’ultima, dopo un breve tratto semipianeggiante in origine si impennava bruscamente verso l’alto, da cui in senso inverso scende un rio, anonimo nella topografia generale, che si scarica a mare ancor oggi con tragitto sotto terra lungo via Gioberti.
Tutto l’appezzamento, dalla attuale via N.Daste, oltrepassando la strada soprastante di c.so Magellano fino a raggiungere l’apice del colle, era proprietà dei Pallavicini.
Nel 1936 avvenne una trattativa con gli eredi della famiglia Pallavicini da parte del dopolavoro Ansaldo. La spesa prevista di 350mila lire aveva il fine programmato di costruirvi un complesso sportivo ristrutturando un palazzo esistente chiamato “Smith”, sconosciuto; attorno sarebbe stata riattata una grossa vasca soprastante, e sarebbero sorti campi da tennis e bocce. La trattativa fallì, così prima che subentrasse la guerra, tutto fu acquistato da una impresa che solo a fine guerra iniziò a lottizzare i terreni.
L’erta valletta, quando in alto a metà fu tagliato il corso Magellano, fu come bloccata a guisa di diga dal relativo muraglione; resistette ancora qualche anno isolata e selvaggia, ma dal 1954 in poi fu invasa dal cemento che ovviamente ne radicalmente cambiò l’aspetto; nei 5-6mila mq esistenti sorse ad opera di numerose e diverse società una fungaia di case così addossate una all’altra da non lasciare spazio alla fantasia diversa dalla vile speculazione, anche in virtù del fatto che esisteva preciso un piano regolatore (si presume non quale poi applicato) tra cui l’obbligo di munire le case di garage o box per auto. Quando le varie cooperative ritirarono i propri mezzi ed attrezzature, rimase uno spiazzo di 60 mq a metà via che fu proposto in donazione al Comune; questi accettò, purché fosse adibito ad aiuola alberata: nacque così quest’oasi di verde e vi furono messi a dimora 11 abeti.
anno 1978
Prima dell’urbanizzazione, sotto la strada scorreva un corso d’acqua torrenziale anonimo; negli anni 1950 era ancora un rivo libero a cielo aperto che allora fu coperto e rinforzato con cemento ai lati che già erano tenuti da muretto di pietre; residua quindi un cunicolo a soffitto tendenzialmente piatto, alto da 1m fino a 1,60 percorribile per 50m circa fino ad un crollo in alto sotto il cui pietrisco filtrano dall’alto le acque provenienti da Promontorio ma che prima ancora dell’ultimo evento bellico erano dapprima fermate in un vascone collocato alla fine della strada ed alla base dello scoscendimento oggi contenuto da un alto muraglione. (vedi RioPromontorio e relazione del CSS, in classificatore rosso)
Ora è strada chiusa, seppur con doppio senso del traffico veicolare; quasi al sommo è bloccata alle auto, ma collegata pedonalmente con il corso soprastante di Quota 40, attraverso due scalinate: una rettilinea ‘scalinata Magellano’ di 135 alti scalini abbastanza mozzafiato, e quella meno impegnativa ma raggiungibile dopo altri 100 metri di ripida salita, che sbuca di fronte all’ascensore dell’Ospedale.
CIVICI
2007= NERI = da 1 a 13
e da 2 a 14 (compreso 12A)
ROSSI = da 1r a 85r (compresi 1ABCr, 7Ar, 9ABr, 19Ar, 43A→Er, 55Ar, 83ABr)
e da 2r a 80r (compresi 14ABCDr, 26Ar, 68Ar, 76Ar)
I numeri civici neri, arrivano sino al 13 e 14: un vantaggio è che gli appartamenti sono muniti di terrazzi ben esposti al sole e godibili: qualcuno con più gusto ne ha fatto una serra, vincendo più volte il premio del poggiolo fiorito messo in bando dall’Assessorato del Turismo.
===i civv 1, 2, 4: furono trasferiti da via Cantore ove erano rispettivamente il 25,25A,27, all’atto della denominazione stradale. Il civ. 4 si dice eretto sulle fondamenta di una costruzione preesistente –forse la ‘casa Smith’- demolita nel 1954; viene descritto anche che alla demolizione, fu trovata una galleria sotto il palazzo che lo connetteva alla salita S.Rosa: ma presumibilmente era solo il cunicolo di interramento del rio, che presumibilmente fu fatto durante i lavori per l’apertura di via A.Cantore);
tratto iniziale da via A.Cantore civ. 1 – foto 2008
civ. 2 – foto 2008
===i civv. 3 e 5 (viene descritto esserci stato un cunicolo sottostante e che la roccia fu spezzata a colpi di dinamite- vedi torrentello su descritto), 7 ed 8 furono eretti nel ’54; il 10 nel 1955; 6, 9,13 nel 1957; il 12 e 14 furono assegnati a nuove aperture nel 1957 ; l’ 11 ed 11a nel 1960.
civ. 3
===Nel 1958 i condomini del civ. 1 e 3 di salita Inf. S. Rosa preferirono divenire 6a di via La Spezia con scala sinistra e destra.
===civ. r: Il Cantinone un pub all’inglese, forse il primo a Genova. Aperto nel 1980, su due piani, attira i giovani che trovano momenti di vivace aggregazione.
===civ. r : il marmista Nebbia; subentrato nel 1962 alle stalle degli spedizionieri Mottura e Fontana che con alcuni capannoni occupavano il terreno dove ora il civ.4 e 6. Il terreno fu comprato dal pescivendolo Carletto di via Ghiglione, convertito in imprenditore: creò una Coop per erigere i palazzi nella strada usando il negozio quale punto di agenzia.
===civ.7: inaugurata da Pietro Nenni nel 1953, c’era la sede della locale sezione del Partito Socialista Italiano , chiamata ‘circolo ricreativo Pietro Chiesa’e la sede redazionale del quotidiano “il Lavoro”. Oltre a punto di incontro per dibattiti e di riferimento politico di tutto il ponente cittadino, con ospite più volte Sandro Pertini, venivano proposte attività anche ludiche : ballo (con due scuole chiamate ‘Primavera’ e ‘Lucchini’) e con tutti i ritmi (liscio, rock, latinoamericano, ecc); biliardo; ginnastica artistica (nel 1979 vi aveva sede lo ‘Sporting club’; contava duecento iscrizioni alla sezione ginnastica) e di mantenimento; paninoteca e giochi elettronici per i giovani. Il Circolo era arrivato a contare un congruo numero (circa mille) di iscritti.
Il Circolo fu sfrattato nel 1997 da un istituto bancario, nuovo proprietario dei muri, e dovette abbandonare ogni attività dopo lo smembramento del partito in seguito ai fatti di tangentopoli.
Nel 2000 divenne sede della “A:G:D:G:A:D:O: Massoneria, grande Oriente d’Italia, Circoscrizione Ligure”.
La Massoneria, nacque come club prettamente maschile, in Inghilterra ove ancor oggi esiste la “Gran Loggia Unita d’Inghilterra” quale madre di tutte le diramazioni mondiali, diretta da un Gran Maestro dei Gran Maestri. Avvenne circa a metà del 1700: tra il 1747 e 1787 si aprirono le prime e più antiche associazioni (chiamate “Compagnia della felicità”, e “la Compagnia della stella”, la “Fidelté”, l’ “Old british and ligurian lodge”, e la “Saint Jean des vrai amis réunis”, nessuna sopravvissuta) prima di confluire in una ed unica più potente struttura..
Oggi in Italia è suddivisa in quattro Logge: Il “Grande Oriente d’Italia” (la più numerosa di iscritti che raggiungono poco meno di 20mila); la “Gran Loggia Nazionale d’ Italia” o ‘Loggia di piazza del Gesù’ che ne conta poco meno di 10mila; la “Gran Loggia regolare d’Italia” con circa 3mila iscritti, nata da una scissione dal Grande Oriente ed unica riconosciuta da Londra; la “Gran Loggia femminile d’Italia” con appena poco più di 150 iscritte.
La nostra sampierdarenese è una delle 13 logge genovesi (delle 35 in Liguria) con circa 600 iscritti. Si chiama “rispettabile Loggia ‘La Verità Labor’ n. 95 all’Oriente”. Due grosse targhe ai lati del portone segnalano che vi sono ospitati “il Collegio dei maestri venerabili della Liguria” e che vengono accettati il “rito scozzese antico, di York’ ed ‘Ordes on the lastern star”.
Le nostre Logge nacquero tutte repubblicane, mazziniane-garibaldine, quindi con un orientamento prevalentemente politico. Nella sede si conserva un libro d’oro contenente le ‘tavole’ e le ‘balaustre’ inviate da garibaldi (quale Gran Maestro del Supremo Consiglio del Grande Oriente d’Italia, con sede a Palermo). Punti di inserimento sociale sono nell’economia e nella finanza (molti degli iscritti sono professionisti, grossi imprenditori, personaggi dell’alta finanza e del ‘business’).
Mezzo usato è la valorizzazione degli ammessi (gli antichi ‘muratori’che tra loro si chiamano ‘fratelli’) tramite la dignità, la libertà, rispetto del singolo e della diversità individuale e sociale.
Cerimoniali da applicare nei templi, sono l’uso di vesti speciali (paramenti, grembiulini, fasce al collo con medaglioni, mantelli e spade, e così via) e di simboli (usati dal demiurgo di Platone per segnare l’inizio del mondo: compasso e figure geometriche –cerchi, quadrati,triangoli, ecc.).
Scopi prefissi sono l’autonomia (in epoca della religione di Stato, iniziò come ‘segreta’ con chiari atteggiamenti anticattolici; oggi è preferito il termine ‘coperta’, o ‘riservatezza’) e la più completa ‘trasparenza’ nei rapporti con le istituzioni e con i cittadini; in modo di essere eticamente attivi nella società, ricusando antiche e più recenti (gli episodi della P2 con Licio Gelli) storture dell’operato. Infatti, più lo Stato è debole, maggiore possono essere le interferenze ed il ‘dominio occulto’ nelle transazioni economiche e finanziarie, con possibilità di devianze non volute dallo statuto.
Personaggi di spicco, vengono citati Wahington, Garibaldi, e – numerosi - da Cavallotti a Bixio, da Pertini a Cossiga.
A fianco della società di cui sopra, si apre una porta che da accesso a depositi del Monopolio
===10 int.19 abitava Roncagliolo Aldo Lorenzo, storico del Gazzettino, morto nel 2006 alla veneranda età novantenne e più. Figlio di Emilio (pioniere di ciclismo –con tessera dell’Unione Velocipedisti Italiani n°79 - e detentore del record di 17 km., in 30’, nel 1896, su pista in terra battuta e poi dirigente della categoria), in gioventù aveva praticato il Canotaggio nella Sampierdarenese (dai tempi della sede a levante dei bagni Italia, a SestriPonente; con conquista di numerosi titoli regionali ed uno anche nazionale nel 1974 al timone di una jole, assieme a Vespa, Casalini, Fornaciari, Scotto) quale timoniere, divenendo poi dirigente ed insegnante della disciplina. Andato in pensione si era dato ad acculturarsi sulla storia genovese e sull’arte divenendo un esperto riconosciuto.
===il 12A fu assegnato nel 1977 ad una porta secondaria del civ. uguale di corso Magellano. Dal 2005 ospita l’assoc. culturale Azzurra che ha scopo di proseguire l’attività radiofonica di Radio Azzurra 88 rete Liguria in atto dal 1988 con propositi di intrattenimento, informazioni, canzoni. Proseguendo con l’attuale assc. si propongono anche recital di poesie (e narrativa), mostre di arti figurative, e trasmissioni radio.
===58r ospita il Camper Club Liguria (tel.o1o.463261) e la Federazione Italiana Escursionismo (FIE tel.010.414194, espone una bacheca di programmi in via Cantore presso il civ.48).
===ospitò per molti anni il GEAM (gruppo escursionistico amici della montagna); il settore sci club sampierdarenese, ottenne buoni piazzamenti in gare regionali della FIE. Alla fine del 1976 cambiarono la sede sociale.
STORIA: Questo nome stradale fu deliberato dal Consiglio comunale il 16 mar.1954 (il n° di immatricolazione è quello subito successivo a P.za V.Veneto).
DEDICATA: al capoluogo provinciale ligure, 90 km a levante da Genova, sorta in fondo ad un golfo profondo 10 km., difeso alle spalle da alti monti. Comprende 32 comuni, conta circa 115mila abitanti.
La sua storia è difficile racchiudere in poche righe.
Comincia col nome: fin dall’antichità medievale, il centro veniva chiamato “dela speza”; con “speza” preceduto dall’ articolo “la”.
Quando francesi prima, ma sopratutto piemontesi dopo, costruirono l’arsenale, tutto il centro attorno ad esso lo chiamarono semplicemente Spezia. I cittadini, nel 1926 fecero ricorso ed il 2 ottobre 1930 il re decretò per legge che - sia per tradizione storica che per l’uso locale - da allora il nome della città sarebbe stato “la Spezia”. La scelta favorì l’equivoco della “la” minuscolo, come vuole la grammatica italiana per un articolo semplice e declinabile; e non “La” facente parte del nome e quindi non più articolo e quindi indeclinabile. Nel 1996 il consiglio comunale ha posto nel suo statuto la forma originale, che vuole “la” come semplice articolo e quindi definendo che il nome della città è Spezia.
L’origine della città conta tre ipotesi: si fa dipendere dagli abitanti di Vesigna (paese posto sulla parte alta del golfo) che scesero al mare nella località Poggio per favorire il commercio, e tra esso presumibilmente più ricchi quelli delle spezie d’oriente (da cui: spetie,spezie,spezia); oppure ai fuggiaschi di Luni che diedero -al posto di raccolta - il nome di “hospitia”; oppure dall’estendersi di un primitivo villaggio, chiamato Bagno Antico e riferito all’antro delle ninfe descritto da Virgilio.
La zona era già abitata in forma evoluta dai liguri apuani nell’età del bronzo e del ferro; nel III secolo aC si allearono con i Cartaginesi contro Roma perdendo il conflitto; i soldati romani ne invasero il territorio e fondarono nell’interno in posizione strategica (177 aC) la città di Luni. Essa diventò centro dell’Italia Marittima bizantina e poi longobarda. Ma sotto i normanni, fu depredata e saccheggiata scomparendo in decadenza.
In contrapposto, sul mare e solo nel secolo XII in epoca feudale, fu rivalutato l’antico borgo limitandolo da una cinta muraria e mantenendolo autonomo (fino al XIV secolo) con ampi territori estesi a levante sotto il governo dei Malaspina confinanti a ponente con i Fieschi, conti di Lavagna.
Le mire espansionistiche di Genova (ma anche di Firenze e Milano) orientate ad occupare la Lunigiana fino al passo della Cisa per poter controllare la via di transito verso l’Emilia e Padania, riuscirono ad indebolire i due feudatari che umiliati ed irati dovettero vendere il potere - prima uno, i Fieschi (1276); poi l’altro (ne fa fede Dante Alighieri, ospite dei Malaspina e portavoce dell’astio verso i genovesi), alla Repubblica genovese.
Da allora la cittadina portuale seguì le sorti della Repubblica, anche se sempre alla ricerca di una propria identità ed autonomia. Già aveva un proprio podestà nominato da Simon Boccanegra (1343); forti mura col castello di san Giorgio (del XIV e XVII secolo); un tribunale; ed un vicariato con il duomo (1409, sulle fondamenta di una duecentesca chiesa).
Nel 1506, ebbe un primo governo popolare gestito dalla famiglia Biassa (nobile - ricca - rappresentata da arditi navigatori).
Riuscì a conservare la propria integrità, anche se spesso coinvolta in lotte vitali: ricordiamo dapprima con la vicina Carpena (dapprima dipendente dai loro signori; poi ne furono vincitori nel 1412, radendo la nemica al suolo), poi con gli Sforza (1464: le truppe viscontee la saccheggiarono); con i pirati saraceni; e con gli austriaci: del gentile Botta Adorno nel 1746; fu saccheggiata dagli austro-russi nel 1799 mentre erano in assedio di Massena; e da loro ancora occupata dopo la sconfitta napoleonica del 1814 nel fronte russo.
Solo nel 1797, governante a Genova la Repubblica Ligure, venne proclamata ‘capoluogo’ del distretto del golfo di Venere.
Dopo Marengo, Napoleone volle crearvi un porto militare: iniziarono i lavori per la costruzione di un poderoso arsenale (furono aperte solo una strada litoranea e le basi del forte sul monte Castellana)
Al congresso di Vienna (1815), la Spezia, la val di Vara e Sarzana furono riconosciute al Piemonte (la val di Magra e Pontremoli passarono al granducato di Toscana).
Durante il regno sabaudo, l’opera napoleonica fu proseguita dal Cavour (tramite progetti del gen. Chiodo) e nel 1857 si decise trasferirvi l’Arsenale. Così che - quando nel 1860 l’Italia fu unita, e l’opera conclusa con l’approvazione di una legge il 28 luglio 1861- la Spezia divenne il primo porto militare italiano. Questo fu il primo importante avvenimento nella storia economica della città, da cui essa trasse fondamentale impulso per la crescita, da divenire per importanza, la seconda città della regione.
Solo dal 1923 è provincia a se stante.
Ricca di monumenti, di edifici e di opere d’arte di grande interesse risalenti fino al XIV secolo, ha ricevuto di recente una donazione da parte dell’ing Amedeo Lia, che ha arricchito la città di un museo d’arte (autentico tesoro di misura internazionale, assieme a quelli donati da G.Cozzani e E.Capellini).
La vocazione turistica di molti suoi comuni rivieraschi, ne fanno una delle province di richiamo e riconoscimento più interessanti d’Italia.
BIBLIOGRAFIA
-ACI-Guida turistica e cartografica delle provincie...-vol.I-1980-pag.108
-Archivio Storico Comunale - Toponomastica , scheda 2348
-AA.VV.-annuario guida archidiocesi-anno/94-pag.413; /2002-pag.450
-Enciclopedia Motta
-Enciclopedia Sonzogno
-Gazzettino Sampierdarenese: 2/74.14 + 9/75.13 + 8/76.12 + 4/78.5 + 6/79.12 + 9/86.2 + 2/89.9 + 8/89.4 + 8/92.9 + 7/97.15
-Il Secolo XIX : 22.3.04 + 12.01.96
-Lamponi M.- Sampierdarena- Libro Più.2002- pag.186
-LaRepubblica –quotidiano- 27.11.07 pag.34
-Ogliari&Sapi-Signori, in vettura. Liguria-Ed.Autori.1965-pag.52
-Pagano/1961-pag. 443.597
-Pastorino&Vigliero-Dizion. delle strade di Genova-Tolozzi 1985-pag 961
-Poleggi E &C-Atlante di
Genova-Marsilio 1995- tav. 34.35
SPINOLA via Spinola di san Pietro
TARGHE: via – Spinola di san Pietro.
da MVinzoni, 1757. La villa del Signor Duca Spinola –aperta sulla via Centrale (via LDottesio)- è al centro di un vasto appezzamento a monte, ed una più stretta striscia -a valle- sino al mare.
N° IMMATRICOLAZIONE: 2791 CATEGORIA: 2
da Pagano 1961
CODICE INFORMATICO DELLA STRADA - n°: 59605
UNITÀ URBANISTICA: 28 – s.BARTOLOMEO
da Google Earth, 2007
CAP: 16149
PARROCCHIA: s.Maria della Cella (sic)
STRUTTURA: da via L.Dottesio doppio senso viario ma senza sbocco perché chiusa a nord da una ampia scalinata che consente solo il passaggio pedonale in via A.Cantore.
Strada comunale carrabile; lunga 92,6 m.; larga 7,20, più due marciapiedi di 1,1 m. cadauno.
STORIA: La antica proprietà Spinola. È rilevabile dalla carta del Vinzoni come una grossa striscia verticale al mare, divisa in due porzioni perché tagliata a metà –trasversalmente- dalla strada principale (via LDottesio).
Essa iniziava in alto presso le falde di Promontorio e scendeva fino al mare, con la villa in posizione centrale, posizionata poco sopra la strada. Si presume che i giardini si proiettavano verso l’alto, lasciando il terreno a mare coltivato a orto, frutteto, vigneto, ecc.
Sopra la strada, a ponente, la proprietà confinava con quella altrettanto vasta dello sconosciuto ‘Prencipe di Francavici’- imparentato con gli Spinola; mentre a levante c’è quella parimenti vasta del mag.co Nicolò Pallavicino (la cui villa è stata abbattuta lasciando solo il muro di facciata in via LDottesio-vedi).
Sotto la strada, la proprietà è più stretta. A ponente, una stradina - aperta dalla strada principale al mare e che il Vinzoni chiama “strasetta Stretta” - la divide dalla vasta proprietà della “mag.ca famiglia Grimaldi” (anch’essa estesa dalla strada al mare; con villa sulla strada a levante rispetto la Fortezza; e con tre case sulla palizzata a mare, di proprietà non facilmente leggibili per deterioramento della carta: quella a levante della famiglia Grimaldi, quella centrale del sig. Nicolò xxx, quella a ponente d’angolo con la crosa Larga del xxx del fu M.co xxx Imperiale). A levante confina con altro terreno appartenente a (illeggibili sulla carta vinzoniana) “Giacomo fam.? Sr? Tanente? Martelli”.
Strada attuale. Il primo nome datole ufficialmente fu di “via R.E.S.” in riferimento all’impresa edile che - acquistati i terreni della villa e proprietà vicino - effettuò lo scempio paesaggistico locale (non c’è però la scheda alla Toponomastica).
Nel 1924, regnando Vittorio Emanuele III, gli fu dedicata la scuola; la via divenne così “via regio Istituto Tecnico”, a cui si accedeva solo dalla strada a mare che ancora si chiamava via DeMarini (oggi, via Dottesio); solo più tardi nacque - nel retro della villa - la grande strada (che dapprima ebbe il nome di via G.Carducci , poi ‘via A.Cantore’), collegata con una scalinata, stando un discreto dislivello che ovviamente quando c’era il giardino, non esisteva.
Presumo sia in questi anni che fu colta la necessità di usufruire del retro-villa come ingresso principale per la scuola, essendo già stato invaso il vero piazzale d’ingresso dalla bassa e gretta costruzione ora adibita ad asilo.
Nel 1945, tolto il ‘regio’, divenne “via Istituto Tecnico”, con un solo numero civico, quello della villa.
L’attuale titolazione della strada, fu deliberata dalla Giunta comunale nel 1997, ma fu posta in atto nel 1999 senza alcuna informazione alla cittadinanza, cambiando la precedente senza una significativa e conosciuta motivazione; anche se dal punto di vista nostro, è meglio così.
Scuola: Nel 1924 (16 ottobre) venne istituito con regio decreto l’apertura nella villa dell’insegnamento, effettuando lezioni alle 8 classi dei corsi inferiore e superiore, chiamandolo “regio Istituto Tecnico”, e dedicandolo a Vittorio Emanuele III; l’aver aperto un istituto superiore di cultura ed indirizzo professionale, fu considerato nell’ anno 1925 il massimo di una antica aspirazione culturale cittadina; nel 1927 aveva 14 insegnanti, 137 alunni maschi e 35 femmine.
Dopo l’ultima guerra, ed ancora nel 1961, con l’avvento della Repubblica, fu tolto il ‘regio’ e intestato semplicemente “Istituto Tecnico” per la permanenza dell’istutito scolastico commerciale, però dedicato a G.C.Abba.
Non so quando divenne “Istituto magistrale «P.Gobetti»”, unico nel ponente genovese, per la maturità magistrale ovvero formazione di insegnanti maestri, educatori dei giovani - dalla scuola materna alla superiore -. Dotato di diverse succursali (largo Gozzano, 5; e dopo restauro via Spataro, 34), raggiunse quasi i 2000 iscritti.
In esso, in parallelo, sorsero tre indirizzi diversi: nel 1980 circa la ‘scuola pubblica Magistrale’, gestita dalla Provincia e destinata alla formazione in tre anni degli insegnanti di scuola materna (questa raggiunse l‘iscrizione di oltre 800 allievi); e dopo anche i ‘Corsi sperimentali’ della durata di sei anni, ad indirizzo linguistico mirato ad iniziare il rinnovamento scolastico molto sentito in quegli anni.
CIVICI
2007= neri = solo 1
rossi = 3r (manca 1r) e da 2r→18r
Nel 1961, numero nero= 1 Istituto Tecnico «G.C.Abba». Numeri rossi= 2r-Termoindustria Ital. (termometri) e Lerma W (costr.edili); 3r-Cimadoro (autorimessa ); 6r-Mazzucco G.(gross.birra); 10r -Negro M. (sacchi usati); 16r-Benasso F&L (sacchi juta).
===civ. 1: La villa Spinola fu costruita a monte della strada centrale, sopra un rialzo del terreno (ancora nel 1922 DeLandolina scrive: «è sito sopra una dolce altura sulla via DeMarini»), nella seconda metà del cinquecento (XVI secolo). Riguardo al periodo di erezione non è valido, se è vero che ospitò CarloV (ma molto probabilmente è una notizia falsa). Riguardo la zona che aveva attorno valgono le parole dell’Alizeri “quanto importi il mostrarsi allo sguardo del passeggero, e il campeggiar tutto quanto sulla campagna che le verdeggia ai due fianchi e alle spalle”.
NOTA STORICA DEI TEMPI sono anni, quelli nella seconda metà del 1500, della adesione politica di Genova alla Spagna, con diretta fornitura a prestito di soldi, navi e milizie, tali da consentire alla Spagna di divenire la prima potenza a dimensione mondiale; di conseguenza feconde possibilità di commerci, appalti, ricchezza e gloria (il famoso detto: l’oro nasce in America, vive a Siviglia, viene sepolto a Genova). Un terzo delle potenti famiglie genovesi vive lungo tempo a corte spagnola; dodici di esse -Spinola, Doria, Cattaneo, Gentile, Lercari, Centurione, Piccamiglio- vi vivono perennemente; nell’arco di pochi anni diverranno centinaia, coinvolgendo i DeMarini, Imperiale, Doria, Pinelli, Squarciafico, Pallavicino, Sauli, e tanti altri). In un clima ambiguo, perché ufficialmente si doveva dare l’impressione di voler soprattutto mantenere la neutralità, soprattutto con la Francia diretta rivale.
LA FAMIGLIA: (vedi sotto, a ‘DEDICATA A’).
LA VILLA Non si conosce la data di costruzione, né il committente, né il nome dell’architetto (fu attribuita all’Alessi, ma la stima delle date lo esclude). Fu una delle prime, più o meno contemporanea con villa Imperiale-Scassi: si risale quindi ad un periodo paraalessiano, riscontrandovi elementi architettonici tipici dello stile primitivo locale (le logge ad ambedue gli angoli del piano nobile, e la torre) mescolati ai nuovi indirizzi dettati dall’Alessi per le ville dell’aristocrazia genovese a cui si dedicò.
D’Oria dice che la villa ospitò CarloV (nato nel febb.1500 e morto nel sett.1558) quando venne a Genova diretto a Bologna nel 1530 per cingere la corona di re d’Italia dalle mani di Clemente VII, contemporaneamente ai titoli di imperatore di Alemagna e di Carlo I di Spagna; fu accolto con magnificenza da Andrea Doria. Ma forse fu in realtà ospitato per 17 giorni a palazzo Ducale; sicuramente, quando dopo 4 anni fece ritorno a Genova via terra per tornare in Spagna, fu ospitato dallo stesso Doria a Fassolo nella villa del Principe, ove poi fu riaccolto in altri 4 successivi soggiorni).
Foto prima decade del 1900-al centro della metà destra della foto, con torretta, la villa Spinola
Quindi, a commissionare la costruzione fu uno SPINOLA del ramo dei duchi DI SAN PIETRO, sconosciuto come persona. Dopo lui, abbiamo una serie di personaggi, ‘sciolti’ da successione specifica conosciuta.
===Si sa che nel 1569 Pietro Carlone, importatore e rivenditore di marmo, fornì ottanta colonne a un ‘Daniele Spinola, per il suo palazzo in San Pier d’Arena’ da adibire a villeggiatura, e - come iniziò ad entrare in uso in quei tempi - al godimento dei propri beni e della natura; NB== gli Spinola avevano in SPdArena numerose ville: evidentemente quella di daniele non è questa e la notizia l’ho scritta qui non sapendo a quale villa riferirla; sul Battilana (pag.132) esiste un Daniele (q.Giacomo e Battina Negroni q.Carozio) ma Spinola di Luccoli vissuto nel 1458; che in seconde nozze sposò Maddalena Imperiale q.Andrea e che in totale ebbe 11 figli tra cui Gironima (vissuta nel 1514 ed andata sposa ad Antonio Spinola q. Spinetta). Ma non combacia con la Gironima sotto scritta, per via del padre.
M.Meljin-.nozze di GBSpinola con Maria GB Spinola fa ingresso a San Pietro- Amsterdam Rijksmuseum
===Boccardo scrive che Geronima Spinola di Cristoforo (nel Battilana, come scritto sopra, ci sono Spinola di s.Luca e di Luccoli, non di s.Pietro: ci sono tante Geronime ma nessuna figlia di Cristoforo, e viceversa) vendette la villa e quindi ovviamente tutta la proprietà, al primo della famiglia che ufficialmente viene riconosciuto, forse solo perché meglio conosciuto ed accertato:
===Gio. Batta Spinola, di Gio. Maria.
Negli affreschi, riportate 3 generazioni: GiovanniMaria Spinola+Pellina Lercari (per lei la storia di Megollo; a lutto nel dipinto delle nozze di Luca)→il nostro GB (feudo di Galatina; vestito alla spagnola, alle nozze)+Maria Spinola (con diadema alle nozze)→GioFilippo (principe)+Veronica Spinola→Francesco Maria.
Scorza scrive che fu GiovanniBattista che nel 1621 comprò il feudo di san Pietro in Galatina, nel vicereame di Napoli, nel quale fece trionfale ingresso in quell’anno. Era anche signore di Torrione.
Nel 1622-1624, concluso 1625, fece ristrutturare la villa, commissionando Andrea Ansaldo nella decorazione (rappresentando la conquista di Gulick, ma non ancora quella di Breda del 1625) ponendo a memoria del fatto una iscrizione sul portale interno (dove però è scritto solo ‘Battista’). Tale opera è stata documentata dal Rubens (1607- Palazzo C) e poi anche dal Gauthier (XIX secolo). Dovrebbe esistere una iscrizione attorno all’arco della porta con scritto: «Io Baptista Spinola dux Santi Petri ornavit Anno Domini M.DC.XXV».
PalazzoC prospetto (cornici finestre taglio da ponente
mezzanino appena schizzati) a levante
Londra Royal Inst. of British Arch.
Si sposò con Maria Spinola di Filippo di Ambrogio, con la quale ebbe come secondogenito:
===Gio.Filippo, figlio di GB. Nato nel 1610, visse sino al 1660; anche lui provvide a far migliorare gli interni, lasciando che continuassero le loro opere sia Andrea Ansaldo (che affrescò le memorabili imprese del grande avo materno Ambrogio) che Giovanni Carlone (che affrescò le imprese di Megollo, avo materno di GB).
Rubens-Veronica
Sposò Veronica Spinola di Luca del ramo di San Luca, che gli portò in dote il feudo di Molfetta (già appartenuto a Ferrante Gonzaga di Guastalla) facendolo divenire principe, e padre (1659) di Francesco Maria. Dapprima Gio.Filippo andò a vivere vicino a piazza Banchi, ma poi trasferì la famiglia in affitto in via Balbi (l’attuale Palazzo reale, già di Gio.Agostino Balbi, dopo dei Durazzo-Pallavicino e Cattaneo-Adorno).
Ebbe incarichi diplomatici a Milano (1643) e Napoli (1649) divenendo conosciuto dalle alte personalità straniere come Salvatore Castiglione (questi quando comunicò a Carlo II Gonzaga della morte di GiovanniFilippo scrisse che ciò aveva ‘affatto privata questa città di chi si dilettava a poteva spendere in pitture di questa qualità’) ed il cardinale Mazarino (quest’ultimo che si rallegrò per scritto della nascita del figlio). Importante collezionista, di argenti, (ordinò i famosi argenti a Matthias Meljin – vedili sopra, conservati al Rijksmuseum di Amsterdam, nei quali alcune figure sono molto somiglianti a quelle dipinte dal Carlone nel fregio del salone), sculture, paramenti, ben 65 dipinti e miniature (tra essi il 1 settembre 1660 furono inventariati dal notaio Monleone 1 VanDick, 3 di Veronese, 1 Tiziano, 9 del Grechetto, 3 del Rubens, molti di altri maestri veneti. Di una tela del Veronese, la ‘cena in casa di Simone’, allora conservata a Verona nel refettorio del convento benedettino dei santi Nazario e Celso si ha notizie scritte dell’interesse all’acquisto per una cifra enorme pari a 21 kg. di oro; l’impegno con i frati era di sostituirla con una copia fatta a Genova da David Corte causa la proibizione di far uscire opere d’arte dalla Repubblica di Venezia; ma quando tutto era pronto, non si fece il cambio forse perché scoperti, ma la tela originale venne lo stesso a Genova, andando in successione al figlio Francesco Maria, e nel 1735 al nipote nato nel 1686 e suo omonimo Gio.Filippo, che la cedette ai Durazzo che a loro volta la vendettero col palazzo a Carlo Felice, che la fece trasferire a Torino).
===Luca è il personaggio di san Luca, titolare delle nozze disegnate nella ‘striscia’ sottostante la storia di Megollo. Si suppone fosse uno dei figli di GB; ma non è certa la sua posizione nella genealogia di questi Spinola (ci sono i due sposi: lui – con un servo-; la sposa Pellina__ - al centro tra due sorelle-; la vedova di GiovanniMaria Pellina Lercari vestita a lutto; la padrona di casa Maria – con diadema-; GB vestito spagnoleggiante; Ambrogio -col toson d’oro-).
==La villa, pur essendo dimora di vacanza, era vissuta per molti mesi all’anno dagli Spinola i quali favorivano frequenti incontri musicali ospitando i più famosi cantanti e suonatori; le figlie stesse e le nipoti del proprietario, erano assai capaci nell’arte musicale, anche esibendosi con gli attori.
L’11 novembre 1702 vi fu ospitato proveniente da Milano Filippo V, ventenne re di Spagna, capo della dinastia dei Borboni (1683-1746).
Nel 1701 era scoppiata la guerra di successione per il trono di Spagna tra le case dei Borboni (Francia, Napoli) e degli Asburgo (Austria); Genova prudentemente si teneva equidistante, prediligendo i primi. Filippo, acclamato a Napoli, dovette combattere in Lombardia per far valere il privilegio di divenire ‘sua maestà cattolica’. Sopraggiunto l’inverno, si mosse da Milano (5 nov.1702), e -via Pavia- a Pieve del Cairo, Alessandria, Novi (9 nov.), Voltaggio, Bocchetta, Campomorone (palazzo del march. Balbi), SanPier d’Arena ove giunse alle 22,30 alloggiando nel palazzo Spinola. Preceduto di 2 giorni dal Duca di Mantova (con cavalieri e 30 ‘carabinieri’) ed accompagnato dal principe di Vaudemont (con le sue truppe), scesero (tutti spesati di tutto) -sotto il diluviare della pioggia e percorrendo una strada assai dissestata malgrado le riparazioni approntate dal Capitano della Polcevera - a San Pier d’Arena - per imbarcarsi verso la Spagna.
Così il territorio genovese fu attraversato dal corteo reale proveniente dal nord.
Il Magistrato di Guerra (allora l’ecc.mo Francesco M.Imperiale) ordinò al ‘sargente maggiore generale’ (ovvero il capo delle truppe della Repubblica) di non andare incontro a S.M. e rimanere in città. Si mossero invece sino al confine della Repubblica poco oltre Novi, i Commissari Forieri (Domenico Doria ed Agostino DeMari, con 8 soldati corsi, “per guardia degli argenti”) e sei Ambasciatori (GioAgostino Centurione, Clemente Doria, FrancescoMaria Balbi, FrancescoMaria Serra, Giacomo Viale, GioGiacomo Imperiale, scortati da un reggimento – comandato dal sergente maggiore di battaglia, Michelangelo Gentile - e 40 servi in livrea vergata d’argento, cavalli e carrozze). Furono poi seguiti dal doge Federico DeFranchi (doge nel periodo 1701-3) e tutti i Senatori, che ricevettero il re al confine del territorio genovese - in magnificenza, vestiti per l’occasione in abito con roboni di velluto anziché il solito di damasco - offrendo un ricco dono ed accompagnandolo fino a San Pier d’Arena.
Al seguito, numerose le personalità tutte ospitate nel borgo: tra essi l’ emin. cardinale D’Estré (futuro ambasciatore); i rappresentanti del Consiglio di Stato: il conte di Marsin (ambasciatore di Francia), il principe di Vademon (governatore di Milano), il duca di Medina Sidonia (maggiordomo maggiore), il conte di SantoStefano (cavallerizzo maggiore); non ultimi il duca di Osona (gentiluomo della Camera di esercizio), il duca di Candya, il marchese de los Balbases (comandante generale della guardia), il conte di Calmenaro, don Garzia de Gusman (governatore della ‘cavallerizza’), il conte d’Ora (capitano della compagnia de’ Carabinieri), marchese de Rivas (segretario del dispaccio universale), don GioAntonio Albizzo (ambasciatore di Torino).
A Genova, poi gli fecero visitare la città e sostarono in preghiera anche presso le sacre ceneri di san Giovanni Battista, dopo la messa celebrata dall’arciv. GB Spinola (il re camminando a destra del doge, rifiutò il baldacchino e più volte appellò il doge ‘altezza’ anziché ‘serenissimo’: significativo di maggiore valore rivolto al governatore della città). Durante il soggiorno, unico avvenimento fuori protocollo fu un incendio del caminetto in casa Doria provocato da ufficiali di scorta al re e descritto alla villa di via Daste.
Dopo breve soggiorno, rottosi un sontuoso pontile preparatogli per l’imbarco presumibilmente alla Coscia, fu accompagnato al Passo Nuovo dove si imbarcò nella feluca del magn.co Giuseppe Doria salutato da salve di artiglieria. Scortato sino a Vado da 5 galee della Repubblica, il sovrano ritornò in Spagna con la sua flotta di 12 galee (metà francesi, metà del duca di Tursi).
Sicura l’appartenenza agli Spinola, fino al 1757. Probabile fino all’inizio del 1800.
Infatti nel 1840, proprio nel periodo di ‘misurazioni territoriali per il passaggio della ferrovia’ e quando da tempo ormai l’appezzamento non era più degli Spinola, appare avvenuta la vendita: la metà a levante della crosa della Catena (che separava in due la proprietà a mare della villa, quella degli orti e giardino) all’avv. Carlo Cambiaso (poi divenne proprietà della sua vedova Gioannina Geronima Carlotta Pagano e del figlio Gerolamo); e la metà a ponente ai fratelli Derchi (nel 1847 questa metà compare divenuta del marchese Negrotto GB, fu Lazzaro).
Altra fonte, dice che la proprietà fu acquistata nella prima metà del 1800 dai Negrotto, a cui rimase però per breve periodo perché è documentato che nel 1848 fu occupata dalle DAME DEL SACRO CUORE (controversa la data: così si scrive nelle ‘Ville del genovesato’; P.Novella dice genericamente che cessarono d’esserci; Lamponi a pag..29 precisa ‘fino al 1848’; Alizeri a pag.642 conferma che nel 1875 c’erano ancora), che lo utilizzarono quale collegio femminile per le figlie di ricchi possidenti. Nel 1848 in Genova avvennero gravissimi disordini a carico dei Gesuiti, con vandalismi e saccheggio della loro sede in sant’Ambrogio; a colpa di questa Congregazione si attribuirono sia la loro invadenza politica, sia la loro intransigenza; d’altra parte l’astio della compagnia era quasi generale nel popolo repubblicano ed in special modo nei seguaci di Mazzini e nel clero stesso. Temendo e ‘buccinando’ che i disordini coinvolgessero le Dame sampierdarenesi (anch’esse espressione di Congregazione potente sia perché Collegio per giovinette di ricca famiglia e sia perché già gestivano Montmartre a Parigi e Trinità dei Monti a Roma) fu spedito un reggimento a custodirle e proteggerle. Ma nulla successe di male, anche se esse furono invitate ad andarsene; cosa che non fecero. Durante il loro possesso, apportarono sostanziali modifiche che deturparono le caratteristiche seicentesche: riempimento dei porticati –degli avancorpi e dello spazio dell’avancorpo stesso-; sopraelevazione di un piano; correzione della torretta.
Ad esse subentrarono le suore del Collegio della Immacolata Concezione, o FIGLIE DELLA CARITA’ di san Vincenzo de Paoli, quelle cappellone presenti ancvhe nell’ospedale, qui come collegio per le giovani meno agiate.
Effettuarono due grandi modifiche, sulla scia di un utilizzo personalizzato alle esigenze momentanee e borghesi, ordinando la sopraelevazione di un piano ed un ingrandimento della cappella ( essa già esisteva sul fianco sinistro del porticato d’ingresso creata dagli Spinola per loro uso privato, con altare marmoreo; dalle suore fu intitolata all’Immacolata Concezione con effigie uguale all’immagine impressa in una medaglia giudicata miracolosa e che le stesse fecero incidere anche sul centro dello stemma degli Spinola che incoronava il sommo della facciata, in memoria della grazia ottenuta da una loro consorella a Parigi il 27 set.1830).
Mantennero intatti i due giardini (aspetto che la differenziava dalle altre ville): quello a sud, davanti all’ingresso principale, che attraversato dalla via principale (via DeMarini - Dottesio), proseguiva sino al mare ( coltivato ad orto -giudicato nel 1847 di prima qualità-, frutteto, vigneto; e creando col suo viale centrale chiuso sulla via principale da una catena, i presupposti alla lottizzazione per una strada che fu appunto chiamata “ crosa della Catena”, e che diede nome negli anni attorno al 1850 alla zona “quartiere della Catena”); quello a nord invece, esteso sino alle pendici della collina di Promontorio, era il vero e proprio giardino privato, all’italiana, simmetrico, con lunghi viali diritti -e coperti da berceaux- per arrivare in alto alle peschiere, ninfei (di cui rimane un minuto residuo sulla scalinata di via Pittaluga) sino al bosco nella parte estrema (ove la proprietà terminava confinando con altri orti di una villa ora demolita -villa Piccardo, che a sua volta era stata eretta nel 1911 sui resti della villa del duca di Molfetta, e dove ora troneggia il grattacielo di fronte all’ospedale).
L’erezione nei primi del 1900 del palazzotto prospiciente la strada principale via DeMarini (oggi Dottesio), ma anteposto così vicino alla facciata principale, da esserne separato solo dalla terrazza costruita al posto della scala, obbligò a spostare l’ingresso principale sul retro, dando alla facciata a nord una priorità, a cui non era adibita.
Questo gruppo religioso, conservò l’uso della villa fino al 1920 ( quando si trasferirono a Coronata).
Nell’anno 1919 la Soprintendenza alle Belle arti vincolò l’edificio a tutela. Questo atto forse favorì la concretizzazione del progetto reciproco in base al quale, in quell’anno, le suore cedettero la villa al COMUNE di San Pier d’Arena (acquisto per lire 600mila, firmato dal commissario prefettizio dr.cav.Ferdinando Ferretti) che iniziò ad adibirla a scuola adattandola per la sistemazione delle aule con lavori diretti personalmente da inviati del Ministero e diretti dal prof. Giacomazzi Lorenzo e mirati a non nuocere alla grandiosità ed al carattere dell’immobile (caloriferi; gabinetti; illuminazione; arredi e suppellettili: gli stessi mobili, essendo anacronistici quelli “moderni” per la loro fragilità, furono ordinati tavoli massicci, lampadari e torciere in ferro battuto, banchi solidi e comodi, cattedre ed armadi intonati alla severità dell’ambiente; biblioteca; nonché fu previsto il trasloco della scuola professionale femminile “Principessa Jolanda” alloggiata nel palazzo in via provvisoria, e l’eliminazione dopo espropriazione del palazzo antistante in modo da ridonare lo spiazzo d’onore e la doppia scalea di ascesa = ahinoi non eseguita dal comune di Genova che ereditò il progetto, coperto nelle spese dalla cifra necessaria dal Comune e tramite donazioni e partecipazione dei Comuni limitrofi interessati). Il Comune -encomiabile per la salvaguardia del bene immobile, fu drammaticamente scellerato per le decisioni successive ( forse per pagare la quota di acquisto o per “eccesso di fame di case”): lottizzò e cedette tutto il giardino, costruì sul davanti senza alcuna avvedutezza per il rispetto dell’estetica, permise il soffocamento edilizio e l’annullamento dell’ambiente.
Dapprima chiamato regio Istituto Tecnico, nel 1926 –quando era il maggiore istituto culturale ligure- passò nel patrimonio del COMUNE di Genova; divenne poi Istituto magistrale Piero Gobetti, frequentato da quasi 2mila persone tra studenti ed insegnanti in altre tre succursali. Ha ospitato anche la scuola per insegnanti della scuola materna, ed i corsi sperimentali ad indirizzo pedagogico e linguistico.
Rispetto le originali strutture -intendendo per tali l’aspetto descritto dal Rubens nel suo libro, laddove la villa è identificabile con il “palazzo C” - lo stabile fu soggetto a periodiche ma sostanziali modifiche tali da rendere nel trascorrere dei secoli la villa quasi irriconoscibile: soprattutto quelle apportate nel 1625, poi dalle suore ed infine dal Comune (questi, negli anni vicino al 1900 eresse un nuovo edificio scolastico proprio sul terreno del piazzale d’onore, davanti all’ingresso principale, coprendo la facciata a mare con una insensibilità estetica assurda e stupefacente; e costringendo nel futuro -come per la villa Scassi- a considerare il retro come fosse la facciata principale ). Anche il giardino, dal 1850 in poi subì le terrificanti modifiche ambientali: il taglio a mare della ferrovia -con via Vittorio Emanuele affiancata-; ed ottant’anni dopo via G.Carducci (via A.Cantore) a nord.
In conclusione, uno scempio immorale, da non meritare neppure una cartolina ricordo nel libro di Tuvo (SPdA come eravamo), né la citazione su Pastorino-Vigliero (pag.1736): il che vada a gogna di chi ha governato la città in quei tempi. Geomar, sul Gazzettino, dice che è giusto l’«utilizzo del complesso da individualistico e privato a collettivo e pubblico». Non polemizzo: dico solo che c’è modo e modo di trasformare in socialmente utile quello che era privato; ed il modo attuato è il più stupido che l’uomo di cultura politico amministrativa potesse adottare.
Il Pagano 1950 include l’edificio, unico di SPd’Arena, nel gruppo dei 30 ‘palazzi’ genovesi, includendo breve accenno alle altre ‘ville’.
a sinistra la facciata della ‘villa C’, come descritta da Rubens- a destra foto della facciata riferibile al 1910 circa.
come era negli anni del fascio – con un come è malamente visibile dalla strada terrazzo, eliminata la scala di accesso
La facciata esterna principale, era a mare, conosciamo l’immagine originaria, dal disegno del Rubens del 1622: ad una triplice loggia centrale d’ingresso, corrispondevano due eguali laterali al piano nobile, separate da finto bugnato che dava l’aspetto tripartito; era completamente dipinta e fittamente decorata, con cornici alle finestre.
a sinistra manca la chiesa; in erezione il palazzo a destra
Nel 1625, l’organismo cubico cinquecentesco venne trasformato con l’aggiunta di avancorpi porticati ad ala, verso il giardino a monte, e di una corte d’onore a sud all’arrivo del viale, concluso da una doppia rampa molto larga per collegare il fronte dell’edificio col giardino; tutte e tre le logge furono tamponate, aprendo -al piano nobile- al loro posto due finestre. La facciata principale a sud, fu decorata con riquadri a chiaroscuro, e ponendo in quattro finte nicchie altrettante figure femminili: furono dipinte dall’Ansaldo (rappresentanti le 4 virtù; così belle che raggiunsero particolare meritata fama; ma ora scomparse per incuria e sovrapposta intonacazione)-
Il tutto fu documentato dal Gauthier nel 1818-32.
Ancora negli anni 90 attorno e sopra al portone principale residuava una illeggibile decorazione affrescata –come visibile da foto sopra e da altre.
Aveva sul portale, uno stemma gentilizio che nel giu.1798 dalla Municipalità francesizzante ed anti aristocratica fu ordinato fosse distrutto. Permane tutt’ora, vuoto di decorazione, uno spazio sopraelevato, con volute laterali, a livello del tetto.
Mentre nell’800 venne chiusa tutta la facciata a nord, tamponando i porticati delle due ali e lo spazio tra esse, nonché sopraelevando di un piano in modo di falsare sia il prospetto che i volumi; venne eliminata la corte d’onore antistante fornita di ampio scalone formato da due scalinate curve in crescendo ascensionale maestoso, e sostituita con una terrazza che oggi malamente separa la villa dall’edificio a lato mare, costruito davanti in maniera da togliere tutta la vista ed annullando tutta la scenografia originale altamente plateale.
Viene segnalata sulla facciata prospiciente via Dottesio la presenza di un presunto affresco di una Madonna, che già nel 1980 era fatiscente divenendo più evidente quando la pioggia bagnava i colori.
La facciata sul retro, che dava ai giardini, ed ora ingresso unico della scuola è assai semplice con finestre centralizzate escluso quelle del piano nobile.
Sia l’ingresso unico attuale, sia la presenza dei palazzi attorno, sia via A.Cantore: tutti e tre hanno criminalmente snaturalizzato l’edificio.
La torre quadrata, di vedetta e difesa nei tempi di ancora facili incursioni piratesche, forse si pensa preesistente alla villa e che fu inglobata nella fase di costruzione, ed aggiustata quale appare oggi con, a sbalzo, il percorso di ronda. La Soprintendenza per i beni architettonici dal 1935 la vincola a parte, con atto diverso dall’insieme della villa (per questa, come detto, risale al 1919)
scorcio dalla scalinata –ex giardini facciata di levante dalla strada nel retro
L’interno evidenzia architettonicamente le mescolanze dell’arte ligure preesistente, con le impostazioni suggerite dall’Alessi (tipo la tripartizione dei muri portanti, le logge contrapposte, la posizione dello scalone).
I dipinti sono firmati nel 1611 da Bernardo Castello (1557-1629, già presente nel 1602 nella villa Imperiale-Scassi, diventerà presidente della corporazione dei pittori di Genova); e dal 1621-5 dal genero genovese Giovanni Carlone (24 apr.1584-1630, fratello del più noto GB) e dal coetaneo voltrese Andrea Ansaldo (24 ago.1584- 1638); già nel 1766 il Ratti riconosce che la rinomanza e l’ammirazione per questa villa non sono tanto “per la struttura, quanto per le sontuose pitture che al di dentro lo adornano”; tutta l’opera pittorica è mirata alla celebrazione dei fasti familiari (dei Lercari e degli Spinola) utilizzando situazioni mitologiche per indicare le qualità e virtù dei singoli, come era nel costume cinquecentesco; fu completata nel 1625, come testimonia la scritta sul portale d’ingresso “io Baptista Spinola dux santi Petri ornavit anno domini M.DC.XXV“ (NB: su Pastorino-Vigliero non c’è alcuno riferibile al nostro in quanto era Gio.Battista e nemmeno potrebbe essere Battista di Tommaso, perché “di san Luca”).
All’ingresso -originario a sud- (attualmente si accede solo da quello posto a nord, più semplice, che dava adito ai giardini), segue un imponente atrio la cui volta presenta un paesaggio centrale contornato da grottesche assai fitte e paesaggi; sopra le porte, sono dei medaglioni con finti busti di personaggi ricordanti le glorie familiari, come era in uso a quei tempi.
atrio di ingresso – finestre a mare verso il retro
La cappella: il Remondini riferisce che il cardinale Sauli, con lettera del 2 ott.1606 al vicario arcivescovile, dava autorizzazione a farvi celebrare la Messa se la cappella era sufficientemente ornata. Questa era stata aperta ed apprestata per volere di Maria Spinola; nel 1609 papa Paolo V accordò a Filippo Spinola aprire al pubblico per il culto la cappella esistente nel suo palazzo.
Nella seconda sala, 5 affreschi firmati da Bernardo Castello (in basso a destra del riquadro centrale: “B.C.1611”) caratterizzati dalla disposizione sulla volta dentro dei riquadri, ed dalle “cartelle” angolari utili per riempire quegli spazi, altrimenti non facilmente utilizzabili; rappresentano con colori di grande morbidezza: nel mezzo il “rapimento di Elena , la bella laconese, da parte di Paride”, e d’intorno nelle lunette, “re Priamo che prega” , “Priamo che consegna Paride fanciullo ai pastori“, “Paride che decide tra le tre dee qual sia la più bella”, “il consulto dell’oracolo”, “gli dei dell’Olimpo che decidono”; negli angoli quattro figure di donna, simboliche. In questi dipinti, il fare pittorico appare più maturo e ‘morbido’ rispetto quelli della villa Imperiale eseguiti nove anni prima.
Alle pareti un colonnato che fornisce l’illusiva sensazione di dilatazione dello spazio; nelle nicchie angolari le figure di Nettuno, Saturno, Eros, Giove. Tutte queste immagini mitologiche, valgono a ricordare la parte avuta da Ambrogio Spinola nello sventare il rapimento di Margherita di Fiandra. Vicino, e sempre a piano terra, una terza sala posta a levante con affresco attribuito a D.Fiasella (qualcuno dice al Castello) descriventi “Gesù e la samaritana al pozzo” (originariamente rappresentava una storia mitologica o quantomeno profana, in cui la figura femminile era armata di lancia, e non c’era il pozzo; ed il dipinto era più largo e meno alto).
Sotto lo scalone -come nella Fortezza- è il bagno, ottagonale, comprendente un vano a nicchie semicircolari per l’uso delle acque calde, e vicino un vano più piccolo, stretto e lungo per quelle fredde.
Lo scalone (unico, assieme al bagno, rimasto intatto della primitiva pianta cinquecentesca) dopo la prima rampa presente affisse alle pareti due lapidi: una riporta «QUESTO ISTITUTO SI INTITOLA – AL NOME DI – GIULIO CESARE ABBA – 1838-1910 – “UNO DEI MILLE” – SEGUI’ GARIBALDI – DA QUARTO AL VOLTURNO – SOLDATO E STORICO DELL’EPICA GESTA -------LETTERATO DI CHIARA FAMA – DOCENTE EDUCATORE – CON GLI SCRITTI LA PAROLA L’ESEMPIO – FU AI GIOVANI MAESTRO – DI DEDIZIONE AL DOVERE – DI DEVOZIONE ALLA PATRIA. ------14.VI.1947»
E l’altra «1-2-64 ------ VINCENZO TOSI – 1877-1962 – FONDATORE DELL’ISTITUTO – CHE PER 24 ANNI RESSE – CON AMORE E SAGGEZZA – EDUCANDO I GIOVANI – ALL’ONESTA’ E AL DOVERE – CON L’ESEMPIO COSTANTE – E PAROLA SUADENTE E ARGUTA».
Porta, tutto decorato con grottesche al piano nobile, presso la loggia (anch’essa con grottesche e quattro paesaggi che contornano l’immagine centrale dipinta dal G.Carlone di “Vulcano nella fucina, assistito da Minerva mentre prepara le armi per Perseo” -allusivo: per Ambrogio Spinola-), e -centralmente- l’ampio salone recante le porte di accesso alle varie camere e sale laterali secondo l’antica concezione genovese.
Vi sono rappresentati il capolavoro dei due pittori Carlone ed Ansaldo, in collaborazione -sommando nel lavoro le loro diverse capacità espressive provenienti da distinte tradizioni pittoriche: di pittore- disegnatore l’uno, di pittore-colorista l’altro; e sempre tesi alla celebrazione della famiglia commissionaria: di G.Carlone la volta, con 5 grandi quadri rappresentanti la storia di Megollo Lercari.
La fantasiosa (o quantomeno ricordo amplificato; esasperato simbolo di crudeltà adottata col fine di salvaguardare l’onore e l’orgoglio familiare con esempi significativi ed esemplari) storia di Megollo (nome diminutivo o volgare di Domenico; qualche storico sospetta essere mai esistito perché è nome troppo frequente tra gli schiavi, per essere stato di un signore) fu narrata in una lunga lettera in latino dall’analista Bartolomeo Senarega, annalista dal 1492 al 1514, cancelliere della Repubblica, diplomatico e oratore anche all’estero: Francia, Napoli, Lombardia, spedita nel periodo 1475-1514 all’umanista napoletano Giovanni Pontano; ripresa da Agostino Giustiniani nei suoi Annali scritti in volgare del 1537 (col fine di instruere il popolo nostro ad essere amatore della Repubblica) e da Oberto Foglietta nel 1570 circa.
Megollo abitò a lungo a Trebisonda (Trabzon, città già ben guarnita da mura costruite da Giustiniano; capitale sul mar Nero del regno autonomo degli imperatori Comneno al tempo di Alessio III -1349-90– terzo della dinastia) ove è accertata la presenza genovese dai primi anni del 1300. Nel 1310 circa, il Lercari probabile addetto commerciale della Repubblica, fu offeso da uno schiaffo da Andronìco – favorito dell’imperatore - durante una partita a scacchi; alle rimostranze, fu consolato dal regnante con buone parole ma non con giustizia. Perché non si indebolisse il prestigio dei genovesi in tutto l’Oriente, tornato a Genova armò due navi con Accellino Grillo; ritornato nel mar Nero ne vinse, separandole due a due, tutte e quattro quelle dell’imperatore, e per rabbia aggiunse pirateria e strage di nasi ed orecchie dei prigionieri. Pare impietosito da un genitore che offriva la sua vita alla mutilazione dei figli, lo usò come ambasciatore ed ottenne nel 1316 le scuse dell’imperatore e la consegna - perché fosse punito - dell’ingiuriatore, più un console genovese ad amministrare giustizia, la costruzione sia di un palazzo per il console, che di un fondaco, di un forno e di un bagno; e diverse altre franchigie, immunità e privilegi commerciali. Molto probabile il racconto è n buona parte leggendario: il rude marinaio, temerario commerciante, non immune dal titolo di pirata e sadico vendicatore della dignità genovese offesa alla corte di Trebisonda; una figura necessaria per impersonare l’orgoglio patrio misto ad ardita tenacia e magnanima clemenza) -celebrerebbe gli ascendenti materni dello Spinola, essendo figlio di Bettina Lercari-.
A obbiettiva difesa, non è che i costumi di allora nei confronti dell’onore fossero diversi da quelli descritti: il testo del Pallavicini su come venivano trattati allora i nemici sociali o malfattori, è un chiaro trattato di sadismo. E, malgrado fossero molto religiosi, la vita umana della plebe non aveva valore di eguaglianza, come oggi intesa. In più, il concetto del rispetto del prossimo e della vita, nello specifico in marina, è sempre stato assai aleatorio: corsari e pirati non mancheranno certo di ferocia gratuita. per ancora quattrocento anni dopo, e più.
Nel 1622-5 GB Spinola, figlio di Pellina farà affrescare da Giovanni Carlone figlio di Taddeo, il palazzo Spinola di SPdA con le imprese di Megollo, parente significativo della famiglia della madre ‘contrapposto’ ad Ambrogio eroe nei Paesi Bassi della famiglia degli Spinola e fratello di Maria, sua moglie. Le 4 ‘Virtù’ che ornano gli affreschi (mentre quelle degli argenti fanno riferimento alla religiosità del committente) fanno riferimento alle virtù della famiglia Lercari e nelle quali si riconosce il committente, che sono “rationabilis ira”, “spes certa victoria”, “fortitudo in adversis” “humiles beneficentia”.
Per riconoscerli, ponendosi in modo di vedere a dritto il quadro centrale, cronologicamente andrebbero letti 3), 4), 5), 1), 2):
1)- al centro “ Megollo che vendica l’oltraggio di Andronico, dinanzi all’imperatore di Trebisonda” (con la scritta: subiectum inimicum despicit et amicum recipit imperatorem); infatti la scena è, nella cronologia dell’evento, l’atto finale
2)- a destra “il perdono dei prigionieri” (con la scritta: iniuriam repellere nititur),
3)- in basso “Megollo che, spada in pugno, perora con gli amici la causa della dignità e fierezza genovese”(con la scritta: amicorum ope ad vindictam se accingit ),
Megollo a rapporto con i familiari lo scontro navale
4)- a sinistra “la vittoria, con il possesso di due triremi sulle 4 dell’imperatore Alessio II“ (con la scritta: duabus triremibus quatuor inperatoria vincit),
i barilotti di nasi il calcio finale ad Andronico
5)- sopra (a rovescio per chi guarda) “Megollo che fa consegnare i barilotti di nasi ed orecchie messi in salamoia ”(con la scritta ingemiscentibus parcit),
- messe alternate a spaziare i riquadri , le nicchie con tra 2 e 5 l’Umiltà (in humiles beneficentia); tra 5 e 4 la Forza (fortitudo in adversis) ; tra 4 e 3 la Speranza (spes certa victoria) ; tra 3 e 2 la Ragione (ragionabilis ira);
ai quattro angoli gli stemmi alternati degli Spinola (campo giallo, banda centrale a scacchi bianchi e rossi, sormontata da una spina), e dei Lercari ( bande rosse e gialle );
la sposa con le sorelle e la vedova Pellina musici
--- più in basso un affresco continuo, aggirante tutto il salone e raffigurante (qualcuno dice per opera dell’Ansaldo, altri del Carlone, altri di entrambi) un loggiato parato di tappeti ed arazzi, da cui in uno sfolgorio di colori si affacciano come visti dal basso -in una veridicità di atteggiamenti e realismo esecutivo assai sorprendente, dame e cavalieri, cantori e musici di cornetto, trombone, viole e liuti ((molto presumibile le nozze tra Pellina -figlia di Maria Spinola e di Giovanni Battista Spinola-, e Luca Spinola di san Luca- figlio di Gaspare e Maria Doria - divenuto principe della Molfetta in Sicilia: il giovane elegante disegnato sul lato opposto con un servo (nel 1625, alla conclusione degli affreschi, la coppia aveva già 5 figlie, di cui una, Aurelia, nata nel 1620, era naturalmente predisposta nell’apprendimento della musica, danza e canto, andò sposa al principe di Monaco Ercole Grimaldi nel 1641 e divenendo duchessa di Valentinois); tra le donne, col diadema, è raffigurata Maria, la padrona di casa; ed in abiti vedovili Pellina Lercari madre di G.Battista; a sinistra delle donne è un personaggio con abito spagnolesco, presumibilmente GB, il padrone di casa; mentre vicino a lui, col manto rosso, su cui è appoggiato il tocco rosso insegna del Toson d’oro: si pensa sia Ambrogio Spinola -l’eroe delle Fiandre- della cui onorificenza era appunto insignito dal 1605) ; a destra la sposa Pellina, tra le sorelle Geronima e Violante)).
Dai disegni del Gauthier, si vedono le pareti anch’esse affrescate, ma oggi scomparsi.
Delle sette stanze a fianco, spicca d’importanza un secondo salone - (controfittato per ricavarne due aule scolastiche, ma così impedendo di vedere il soffitto), con 5 grossi riquadri sul soffitto, affrescati magistralmente da Gio.Andrea Ansaldo, e da lui dedicati alle glorie della famiglia, in particolare di Ambrogio Spinola, Al centro “lo Spinola che a Ostenda passa in rassegna le truppe” (con sottoscritta “ Ostende - naturam et artem expugnat patientia”. T.Grosso vi legge ispirazione e fedeltà alla tradizione del Tavarone) , dopo la vittoria di Ostenda, alla presenza dell’arciduca d’Austria Alberto e della sua sposa l’infanta Isabella di Spagna; in altri sono riferimenti ad altrettante imprese condotte dallo Spinola: ”quando presso Grol, si appresta alla battaglia”, “quando (1621)-di fronte alla sua armata- accetta gli omaggi dei vinti proceri di Giulich”, “quando entra in Vesel”, “quando riceve le chiavi della città di Rimberch” (sottoscritta “ Rimberch - hostis hostem angit constantia tranget).
Ostenda Grol
Giulich Rimberch
Nelle lunette angolari, le allegorie della Fortezza-Valore-Fama-Prudenza, armature e -nel fregio- l’immagine degli “schiavi o prigionieri in catene, umiliati e nudi “.
prigionieri
armature
la speranza di certa vittoria l’ira natura
Manca negli affreschi del salone la vittoria di Breda del 1625, perché avvenuta dopo il completamento di essi, quindi tra il 1622 ed il 1625). I dipinti dimostrano il sovrapporsi di una certa influenza subita degli artisti contemporanei lombardi mescolata ai dettami tradizionali dell’affresco; ed esaltano simbolicamente la fedeltà alla Spagna purché –sappiamo- fosse mantenuta l’autonomia politica della Repubblica, essendo l’aristocrazia locale di allora genericamente intollerante a qualsiasi ingerenza esterna. Identiche scene verranno riprodotte in argenti .
In altra sala (4 e 5) la storia di Perseo, affrescata da Gio Andrea Ansaldo: evidente rapporto simbolico Ambrogio Spinola-Perseo, dove l’eroe si identifica nel mito con una sequenza narrativa che lo porta dall’iniziale sete di gloria, all’uccisione del nemico e del male, al matrimonio col bene ed al trionfo sul male con “Perseo e le Forcidi”, “Perseo in volo sull’oceano”, “Perseo uccide Medusa“, “Perseo con il trofeo della testa decapitata“, “Perseo che libera Andromeda“, “Perseo che sposa Andromeda” (Nei primi due riquadri, l’Ansaldo usò come sfondo e scenario delle sue invenzioni pittoriche, tratti del territorio e della villa stessa: si intravedono così il palazzo, i giardini, i viali, le fontane marmoree; nel terzo, la grande cupola ricorda la cattedrale genovese di san Lorenzo; nell’ultimo la trasposizione allegorica del matrimonio con Giovannetta Bocciadonne. Dagli Spinola di san Pietro fu richiamato -nei primi anni del XVII secolo- per ripetere negli affreschi i fasti di famiglia, avendo essi acquisita dai Doria una villa in Acquasola; dei vari decoratori, praticamente era rimasto lui dei migliori a lavorare in Genova dopo il 1630, sia per la peste, sia perché Bernardo Castello era morto l’anno prima, Tavarone e Fiasella un po’ invecchiati e ripetitivi, Giovanni Carlone si era trasferito a Milano e lo Strozzi a Venezia.
Nella sala 5 viene citato un affresco raffigurante “Atena e Mercurio che consegnano le armi e Perseo che le prova”; viene attribuito a G.B.Carlone (16 feb.1603-1684) fratello -più giovane di 19 anni- di Giovanni.
Vengono segnalati presenti nel palazzo: un affresco dell’Ansaldo raffigurante il “matrimonio di Argentina Spinola con il figlio dell’imperatore Andronico”; e “moderni quadri” di N.Barabino, e Plinio Nomellini, senza precisare dove (nell’opuscolo “SPdArena nella sua amministrazione fascista” a pag.27 una foto dell’aula magna evidenzia due grosse tele).
Nel 1996 si avvalse dell’assistenza culturale ed organizzativa del FAI (Fondo per l’ambiente italiano), aderendo all’iniziativa “la scuola adotta un monumento” (gli studenti fungevano da ciceroni , aiutati dagli allievi in costume della Compagnia teatrale LaNave ; da quelli del conservatorio Paganini che suonavano in sottofondo; da quelli dell’istituto agrario Marsano che avevano curato la coreografia floreale; da quelli dell’artistico Klee che avevano confezionato uno stendardo; da quelli dell’alberghiero Bergese che cucinarono specialità liguri).
DEDICATA A: Alla famiglia degli Spinola, del ramo di san Pietro
-lo STEMMA rappresenta una scacchiera a dadi bianche e rossi che taglia in mezzo un campo d’oro; sormontata da una spina di botte.
Il motto era ‘nonc numquam’. In gergo specifico “d’oro alla fascia scaccata di tre file d’argento e di rosso, accompagnata in capo da una spina di botte in palo di rosso”. La fascia scaccata rappresenta il cingolo cavalleresco, e sarebbe quindi un vero simbolo militare: lo scacchiere era adottato in campo di battaglia, ed era al comando dei capi militari; ma lo scacchiere era anche il simbolo dell’esattore (lo scaccarium -o abacum-, necessario per i conteggi; in Inghilterra –ancor oggi- lo scacchiere è il ministro del tesoro).
-la FAMIGLIA: Fu una delle prime (secolo X, in epoca feudale) famiglie di ricchi, con incarichi dirigenziali demandati dall’imperatore; proveniente dal ramo viscontile di Manesseno (in Val Polcevera). In particolare, come visconti, -e Visconte era il nome primitivo- erano incaricati di riscuotere i diritti monetari feudali, legati al movimento delle merci in transito. Esattori, quindi, per incarico dell’Impero. Divennero una delle più vaste e potenti famiglie della Repubblica.
Per l’origine del nome, Canale racconta una forse leggenda riportata dal Giustiniani: un Guido Visconte (forse Guidobono o Ido, padre di Oberto e Guido sottoscritti), signore in valpolcevera, era sempre così cortese che a chiunque passasse a trovarlo non poteva fare a meno di aprire le sue botti ed offrire del buon vino. Questa abitudine gli valse il soprannome –come pressoché sempre succedeva a quei tempi- di ‘spillatore’ e, ai suoi discendenti, di spinola. Ma le leggende si sovrappongono: fu proposta la ‘spina’ della corona di Cristo, portata dall’oriente a Genova, dai fratelli Guido e Oberto Spinola, agli inizi del XII secolo; alla simbolica spina di rosa che ‘punge’ chi la usa impropriamente; al feudo tortonese nel quale è compreso il monte Spinola, posseduto dal suddetto Ido –o Guido- Visconte; ai -di mestiere- fabbricanti di botti. Ma molto più probabile, perché come visconti erano addetti all’esattoria dei tributi, e quindi ‘spillavano’ diritti fiscali dal commercio del vino
In epoca consolare, la famiglia era già di spicco e di valore
Conosciuto capostipite è un Guido, da cui nacquero Ansaldo ed Oberto vissuti nella seconda metà del 1200, ghibellini (avversari dei guelfi Fieschi e Grimaldi), originari in “san Luca”. Un discendente scelse andare ad abitare poco lontano, vicino all’attuale salita s.Caterina: questo ramo divenne “di Luccoli”. Seppur imparentati, non infrequenti furono le divergenze tra le quali la più conosciuta è il malcontento che distinse i San Luca quali “nobili di vecchia data”, da quelli di san Pietro “nobili nuovi”; fino ad un primo tentativo di pace con la legge del Garibetto (=aggiustamento con garbo, del 1547, che però non frenò una guerra aperta tra i due rami) e la pace di Casale (1576, con nuove leggi costituzionali che determinarono la nascita di una nuova Repubblica di Genova, che tale rimase poi fino al 1797).
Le più ampie relazioni, incroci ed alleanze nonché matrimoni con potenti famiglie, fecero nascere numerosi ‘rami’ che per lo più trassero nome dai corrispondenti feudi (più vaste numericamente e conosciute, la stirpe degli Spinola di Luccoli, e quella degli Spinola di san Luca, con i rami ‘signori di Cassano’, signori di Masone’, ‘signori di Campofreddo’ ed i nostri ‘duchi di san Pietro’).
Nel 1528 formarono il 1° Albergo.
Dal 1531, la famiglia Spinola si distingue per aver dato 11 dogi (iniziando con Battista q.Tomaso dal 4.2.1531 secondo doge in ordine cronologico); 12 cardinali; innumerevoli senatori ed un beato martire; innumerevoli ammiragli (poco meno dei Doria, ma pur sempre ben inseriti nelle alte cariche cittadine e nel comando delle flotte genovesi) ed ambasciatori.
Erano una delle famiglie più potenti, schierate nel gruppo dei nobili (e solo nobili) ghibellini, come i Doria (mentre altre famiglie, comprendenti componenti popolari, erano Guelfi: come i Grimaldi e Fieschi).
Nel 1800, due divennero senatori del regno.
I PERSONAGGI in particolare :
-GUIDOBONO Spinola, è considerato il capostipite, da alcuni specificatoi come ‘major’. Guidò una spedizione alla prima Crociata nel 1099, divenendo poi Console della città per oltre 20anni durante i quali Genova conquistò Beyrut, Mamistra e Lavagna) fondando il castello di Portovenere).
-OBERTO : figlio del precedente, è il più famoso della famiglia nel periodo del XII secolo perché fu console per sette volte. Quale capo dei ghibellini, con l’omonimo Doria formò una diarchia che governò a lungo la città; ebbe il merito di veder sconfiggere Pisa ed allargare i commerci; di aver difeso la città dal Barbarossa (1158-64); ambasciatore in Spagna; vittorioso sui saraceni patteggiò vantaggiosi contratti commerciali col re del Marocco (1161). Ma il demerito, assieme ai suoi successori, di aver insanguinato le due riviere con interminabili lotte sanguinose. Nel 1144 (Cappellini dice nel 1188).fu uno dei fondatori della chiesa di san Luca in Genova, divenuta gentilizia della famiglia
-OBERTO, altro, omonimo ma del secolo successivo XIII, fu anch’egli console nove volte, Capitano del Comune e del popolo; ambasciatore in Spagna; ammiraglio nel 1285.
OPIZZINO di Luccoli, visse nella prima metà del 1300. Dall’imperatore di Germania EnricoVII di Lussemburgo, ottenne in feudo un ampio territorio nella zona di Serravalle-Arquata-Rocchetta, che poi si espanse comprendendo Tortona-Busalla-Mongiardino
-BRIGIDA: Nacque nel 1583, Brigida Spinola, immortalata dal Rubens, sposa di Massimiliano Doria. Quando rimase vedova con tre figlie, si risposò con GioVincenzo Imperiale (vedi), vivendo assai spesso nella villa della Bellezza.
-NICOLO’ Spinola, fratello di un Ambrogio (figlio di Franco Spinola), esperto e molto attivo mercante ed uomo d’affari internazionali, vissuto durante la peste del 1656 della quale fu preciso relatore. Agli inizi di quell’anno quando il contagio iniziava a Napoli, lui era in prigione per ‘contrasti’ col Magistrato del Nuovo Armamento (voleva acquistare per Genova quattro vascelli d’alto bordo, armati ed attrezzati ma costruiti altrove). Arrivato il morbo, a giugno scappò con la famiglia a Chiavari ma il bisogno impellente di liquidi, lo riportò a Genova quando era in corso il più alto tasso di mortalità giornaliera e 40mila erano già morti, facendoli trasportare via nave e depositare a Livorno (dove per legge, le monete venivano sorvegliate e conservate immerse in un barile d’aceto, lontano dalla costa). Ritornato a Chiavari visse nell’ansia del contagio ed incerto se rimanere là (pochi casi isolati, ma che avevano rapito il padre, un fratello, moglie ed un figlioletto) o scappare nella ritenuta più sicura casa di Sampierdarena (anche il cardinale Raggi in ottobre era fuggito nel nostro borgo da cui si allontanò dopo un mese cercando andare a Novi accortosi che si moriva anche qui: 3200 i morti in Sampierdarena, su 4mila abitanti). Stessa ansia estremamente dolorosa ebbe quando l’anno dopo fu nominato commissario di Sanità (se cercava di sottrarsi, sarebbe stato punito con multa di 500 scudi d’oro ed interdizione ai pubblici offici per 10 anni). Venne qui, con la madre, a fine settembre del 1657 e rimase fino agli inizi di ottobre . E –ad epidemia finita- dover decidere se sacrificare mobili ed indumenti dei parenti perduti o affidarsi alle costose ‘profumazioni’.
-DANIELE: nel vastissimo albero genealogico degli Spinola, unico omonimo corrispondente all’anno della villa sampierdarenese, fu il Daniele degli Spinola di Luccoli vissuto negli anni 1563-1587 (-q. Niccolò; e nipote di un altro Daniele che era morto nel 1504 ed a sua volta figlio di Giacomo q. Carozio (quest’ultimo morto nel 1405)). Se fosse lui, sappiamo che sposò Maria DiNegro con la quale ebbe 5 figli (essendo: 2 femmine, uno sacerdote, uno morto infante, l’unico di essi possibile ad aver ereditato fu Flaminio. A sua volta, questi ebbe tre figli, uno femmina, l’altro anche lui Daniele ma che ebbe una sola figlia e quindi di essi solo GioGirolamo può aver ereditato negli anni 1636 (ma che fu l’ultimo del ramo avendo generato 5 figli tutti divenuti sacerdoti o monache).
-GIOVANNI MARIA sposò Pellina Lercari (figlia del doge GiovanniBattista, erede di un vistoso patrimonio paterno tra cui forse anche la villa della Semplicità nell’attuale via N.Daste), dalla loro unione discese la casa dei Duchi di sanPietro.
-AMBROGIO: 1569-1630, gran condottiero degli Spinola di san Luca. Figlio di Filippo (marchese del Sesto e di Venafro) e Polissena Grimaldi. La sorella Battina aveva sposato Francesco Pallavicino fratello di Nicolò, e suo figlio Filippo che nel 1625 era a Genova Magistrato della Guerra, seguì lo zio nelle Fiandre. Ambrogio fu coinvolto dal fratello Federico al servizio del re di Spagna Filippo III, aiutandolo con denari nel 1601 ad affrontare la guerra di Fiandra contro gli olandesi: poi attivamente nel 1603 sostituendo il fratello Federico, morto in battaglia mentre organizzava nel porto di Dunquerque una flottiglia di galere necessarie per combattere sul mare olandesi e Zelandesi. Forte da uno spirito ambizioso, di far grande il suo casato alla corte spagnola, espugnò Ostenda (che era sotto assedio da quasi 4 anni (a fine sett.1604 la città si arrese essendo completamente distrutta, e dopo aver perso 50mila soldati; altrettanti e forse anche di più ne perdettero gli assedianti spagnoli). Nel 1606 era a Genova a parlare al Senato come ministro-ambasciatore del re spagnolo.
Ai tempi di Keplero nel 1618 si allargò da Praga la ribellione protestante che covava nell’Europa; il Papa Paolo V e molti regnanti si gettarono nella battaglia armata, iniziando la cosiddetta Guerra dei Trent’anni. Nel primo periodo di essa (1618-1625), la Lega cattolica dapprima perse, ma poi affidata nel 1620 ad Ambrogio -per ordine di Filippo IV di Spagna- (partendo dalla Baviera con 25mila uomini, 12 cannoni (quanti gli Apostoli) e con gesuiti e truppe spagnole in prima fila) invase i Paesi Bassi ed il Palatinato cogliendo una successione di oltre 58 vittorie con altrettante espugnazioni di città (tra esse (non in ordine) Linghem (con 14mila famnti, 2000 cavalieri piccolo borgo della Frisia importante perché “nelle viscere de’ Nemici”); Grolio (importante fortezza militare); Riemberg (grosso ed importante paese delle Fiandre); Aquisgrana, Vezel, Oppenheim, Creutznach, Jülich (quest’ultima fu rappresentata nella nostra villa dagli affreschi di GioAndrea Ansaldo su commissione di GB Spinola), fino alla più importante, l’olandese Breda (1625: nel lungo conflitto che oppose la Spagna all’Olanda, allora Province Unite del Nord, del Brabante, spicca questo grande successo dello Spinola che facendo uso di inusitati mezzi militari -specie complesse opere di ingegneria che interessarono tutti gli esperti militari d’Europa-, in nove mesi espugnò la città comportandosi alla fine da vero grande gentiluomo verso gli sconfitti, il ché accrebbe a dismisura il valore morale della vittoria e divenne codice nuovo di comportamento militare: rispetto della parola data, generosità verso lo sconfitto, invulnerabilità dei negoziatori e degli ospedali; durante l’assedio ricevette in dono da G.Galilei un telescopio perché ‘sul sacro campo di battaglia meglio potesse vedere anche da lontano i ribelli eretici’). Durante tutta l’operazione, tenne costante rapporto con i genovesi (in particolare Nicolò Pallavicino) tramite corrispondenti d’affari. Nel 1627 Ambrogio era in Fiandra; scese in Spagna per relazionare Isabella sulle future imprese militari; era con lui la figlia Polissena e suo marito don Diego Messia Felipe de Guzman (m.1655), marchese di Leganès. Terminata felicemente questa guerra contro il conte Maurizio di Nassau, giudicato il più grande capitano del suo secolo (36 dice Filippo, Boccardo-DiFabio dicono che ‘governatore della città era Giustino’)
Era divenuto cognato del nostro Gio Battista.
Dopo venne anche in soccorso del duca di Savoia contro i francesi, nella successione al ducato di Mantova e Monferrato. Nel 1629 nei pressi di Casale fu sconfitto dai francesi e si ammalò; si spense lentamente (si dice ‘disgustato’ dal vedersi abbandonato da chi riteneva debitore dei suoi vittoriosi servigi (cioè la corte di Madrid) e dalle notizie catastrofiche in Fiandra da dopo la sua partenza) morendo l’anno dopo il 25 settembre nel suo feudo a Castelnuovo Scrivia ove fu sepolto nella parrocchiale, nella cappella di famiglia.
Fu ritratto da molti artisti, tra i quali Rubens ed il pittore fiammingo Van Dyck (merito suo se allora 22enne, fu ospitato a Genova; qui conseguì una ampia produzione di tele, che onora la nostra città). Contemporaneamente fu decantato da innumerevoli poeti e scrittori, tra cui Filippo Casoni .
-GB: Giovanni Battista, altrove chiamato Giambattista o Gio Battista, era Spinola di san Luca (Boccardo scrive che era di san Pietro), uno dei 9 figli di GioMaria e Pellina Lercari, vissuto a cavallo tra il 1500 e 1600; divenne duca di san Pietro in Galatina; sposò Maria Spinola (sorella di Ambrogio il conquistatore delle Fiandre, e figlia di Filippo) da cui ebbe ben 10 figli (tra i quali l’erede fu forse GioFilippo considerato che tra tutti, fu l’unico ad avere da Veronica Spinola un figlio, Francesco Maria, anche lui duca di san Pietro in Galatina, molto apprezzato in città ma anche alle corti di Parigi, Vienna, Madrid e Londra). Ufficialmente risiedeva in via Orefici nel palazzo dei nonni materni.
Di lui vedi anche all’inizio, dei proprietari a San Pier d’Arena.
-ETTORE fu comandante di galea che combattè a Lepanto, e che morì in battaglia (7 ott.1571).
-GioFilippo grande ed appassionato collezionista di quadri: arrivò a sfidare le severissime leggi della Repubblica di Venezia attuando una illecita esportazione della grande tela del Veronese ‘Cena in casa di Simone’, impegnandosi a pagarla settemila ducati d’oro (pari a venti chili del prezioso minerale).
-LUCA (di Battista, 2° doge). Del ramo di s.Luca, marchese di Lerma, signore di Campoligure. Fu 12°doge dal 4 genn.1551 al 3 genn. 1553. ‘Vir strenuus’, uomo di ferro, scrupoloso della legge. Aprì la ‘strada Nuova’. Soggetto ad un attentato per commissione, ne sfuggì ma morì il suo amico Pinelli; scoperto il mandante, lo fece decapitare anche se era un giovanissimo che voleva salvare l’onore del padre caduto nei rigori delle leggi varate dal doge.
-TOMMASINA fu moglie di Luca Spinola. Dotata di bellezza ed ingegno, divenne famosa per il suo platonico innamoramento di LuigiXII, quando lui ebbe a venire a Genova. Tenne col re una lunga ed appassionata corrispondenza cercando anche di appoggiare i suoi patrioti e la sua città. Morto il re, ella si ritirò in solitudine morendo anche lei, nell’anno 1505 lasciando fantasticare i cronisti su questo rapporto.
-CARLO della Compagnia di Gesù, fu per venti anni missionario in Giappone ricoprendo incarichi di grande responsabilità compreso di vicario generale dell’episcopato nipponico. Arrestato durante una persecuzione, dopo quattro anni di carcere subì il martirio andando bruciato vivo sul rogo, a Nagasaki.
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STALLO vico Luigi Stallo
TARGA: vico – Luigi Stallo
angolo con via W.Fillak
angolo con via Vicenza
QUARTIERE ANTICO: san Martino
da MVinzoni 1757. la zona compresa tra via Caveri (abazia di san Martino); l’inizio di via Vicenza-Campasso e il torrente che formerà via Chiusone.
N° IMMATRICOLAZIONE: 2854 CATEGORIA: 3
da Pagano 1961
CODICE INFORMATICO DELLA STRADA - n°: 59780
UNITÀ URBANISTICA: 24 -CAMPASSO
da Google Earth 2007
CAP: 16151
PARROCCHIA: s.Giovanni Bosco
STRUTTURA: da via W.Fillak, chiusa in fondo da una breve scalinata che consente l’accesso pedonale in via Vicenza, teoricamente aperta ad ambedue i sensi viari per i pochi metri che la costituiscono, lunghi quanto la facciata laterale del palazzo.
E’ strada privata. Nel SecoloXIX dell’ago/04 si legge essere una ‘via privata di interesse pubblico’ e quindi programmata a divenire municipalizzata (cessione gratuita) e in cambio poter usufruire del mantenimento e servizi annessi (fognature, spazzatura con cassonetti, asfaltatura, illuminazione, ecc.).
STORIA con tali confini c’era stata una proposta di dedicarlo ad un generico “Canepa”, in attesa di approvazione; questo nome compare messo tra parentesi ma non meglio specificato a chi si riferiva.
Fu invece ufficialmente titolato allo Stallo negli anni subito dopo il 1910, quando allora si distaccava da via Umberto I, ed era collegato con via U.Bassi (via Vicenza). Con civv. 1 , 2 e 4.
Nel 1926, anno in cui SP’Arena fu unificata a Genova, il vico è incluso nelle strade genovesi; ed essendo unico tra le delegazioni, non subì variazione
Nell’anno 1933, era ancora eguale, di 5ª categoria, con solo un civico.
CIVICI
Nel 2007: neri= 1; e da 2 a 4
rossi= da 1r a 11r; e da 2r a 10r
Nel Pagano/40 la strada da “da via d.Corporazioni a Via Vicenza a via G.B. Millelire “ ed ha: un solo civ.nero, e rossi: 4 falegname; 10 carbone legna.
===civ. 1 Nel Pagano/61 risultano abitanti il ‘medico della mutua’ Benedetti Renato, presente sul territorio negli anni 1960 (poi andò ad abitare in sal.Inf.sRosa. Personalità buona d’animo, un pò forzatamente estroversa ma piena di problemi: in primis il modo di gestire –troppo disinvolto: ma allora c’erano meno controlli e meno leggi; il laudano e dolantin erano prescrivibili con semplici ricette e reperibili in tutte le farmacie- alcuni pazienti diventati assuefatti alla morfina quando esserlo non era mai secondario a voluttà ma a malattie; in secondo ‘i grappini’ che già dal mattino facevano parte della colazione; in terzo una spiccata avversione alla burocrazia delle mutue con conseguenza di non essere pagato perché non mandava relazione del suo operato (copia delle ricette con carta carbone). Morì per neoplasia cerebrale, apparentemente freddo e rassegnato conoscendo il suo destino a brevissima scadenza) ed il giornalista Ferro PG.
===civ. 5r Caselli mobiliere;
===civ. 8r Vi aveva sede l’ex PCI sezione Spataro; attualmente vi sono circolo e società ANPI-Spataro, federati Arci (come anche la vicina “Fratellanza” di via Millelire). Non so quando, il circolo ha preso in gestione anche il civico di fronte, 9r pianoterra (che sfocia nel retro, in via Vicenza al 12r, e che nel 2007 è quello aperto, mentre l’8r è chiuso).
DEDICATA: al mazziniano-garibaldino, membro della società Umanitaria nel cui ambito fu tra i promotori nel 1854 del settore alimentari a favore degli operai, basato sull’acquisto delle materie prime (patate, grano e farine, riso, olio, vino, legumi, ecc. ed anche carbone), tramite un capitale raccolto tra i soci, con obbligazioni di lire 50 cadauna, e creazione di una società in accomandita chiamata “società Filantropica Alimentaria” con sede a Genova in vico Dritto della Maddalena, 99. I beni di consumi, venivano rivenduti con sopraggiunto solo le spese di amministrazione, senza lucro. Furono il primo passo verso le più organizzate cooperative di consumo, che avranno un notevole sviluppo dieci anni dopo.
Nell’ambito della cospirazione pro Mazzini e Garibaldi, diede un notevole contributo ed impulso schierandosi a favore di una democrazia popolare basata sul suffragio universale, diritti dei meno abbienti, educazione e cultura, progresso sociale degli operai. Fu un soggetto quindi, ben presto conosciuto dalla polizia (come Antonio Mosto e Nicola Ardoino), che durante una delle tante insurrezioni popolari, il 29 giu.1859, lo arrestò soffocando la sollevazione; riuscito a fuggire, fu egualmente processato in contumacia (assieme a Mazzini ed Antonio Mosto) e condannato a dieci anni di reclusione (il capo d’accusa era “ sedizione”, poiché volevano instaurare la repubblica) .
Partecipò di persona e volontario alle guerre garibaldine tra i Carbinieri genovesi.
Nel 1868 lo troviamo fondatore e primo presidente (assieme a Garibaldi e Mazzini ovviamente onorari; poi rieletto nel 1869) della neonata “Società M.S. dei Volontari italiani di San Pier d’Arena” e della ‘Associazione Reduci delle patrie battaglie’, con sede per le riunioni in via del Mercato 11, presso il palazzo Boccardo.
Non fu rieletto l’anno dopo perché il 7 lug.1869 lo troviamo detenuto nella cittadella di Alessandria; e nel 1870 a Gaeta.
Uscito dal carcere, dopo la spedizione francese criticò veemenemente Garibaldi, pubblicando un volume in Francia (a Chambery) nel 1871 «Verità e calunnia in faccia al generale Giuseppe Garibaldi. Reminiscenze di un volontario italiano in Francia» in seguito al quale fu allontanato dalle associazioni e finì emarginato.
Era l’epoca della nascita delle associazioni, che si costituivano numerose tra i lavoratori, con scopi mutualistici ed umanitari, come dettato da Mazzini nei suoi scritti (comprendevano la protezione anche contro l’invalidità, la vecchiaia, le infermità temporanee; e si interessavano anche di moralità e benessere). In particolare si ricorda il 5 ott.1851 la fondazione della “Società di Mutuo Soccorso dell’ Unione Umanitaria”, con sede in via privata Rolla.
Tre anni dopo, assieme alla “S.M.S. Unione Fraterna”, inaugurarono un gabinetto di lettura, scuole serali elementari e di disegno, corsi di scherma, tiro a segno e ginnastica; il 24 ago.1862 le due società si fusero generando la “Associazione Generale di M.S. ed istruzione degli operai in San Pier d’Arena” con sede sempre in via del Mercato 11 (la quale contava 200 soci; fondò una banca operaia; organizzò esposizioni d’arte e di artigianato; aprì una biblioteca circolante: si fece promotrice di sottoscrizioni volontarie mensili “pro Mazzini” per il suo apostolato: quest’ultimo fu il pretesto della polizia - ritrovata la lettera di ringraziamento - per sequestrare tutto il materiale, mettere i sigilli e sciogliere l’associazione). Gli operai, ricrearono un nuovo solidalizio, con lo stesso statuto ma con nome diverso di “Associazione Operaia Universale di M.S. San Pier d’Arena” (vedi in via Carzino), la quale di nascosto ricreò le stesse collette e propose le stesse attività; ciononostante fu riconosciuta dalle autorità (questore e prefetto), permettendo di raggiungere anche 500 soci (che sono pur sempre pochi, in un centro così fittamente popolato da operai: ma c’era contro anche una parte del clero in quanto oltre all’attività sociale si svolgeva anche attività politica ed anticlericale).
Esiste una cartolina, viaggiata nel 1909, riproducente a Genova una “via L.Stallo” (http://www.genovacards.com/genova/vie/vie.html) che evidentemente non esiste più.
Viene citato un omonimo che nel 1869 militava in città quale delegato di P.S.; per ordine prefettizio accompagnato da guardie e carabinieri, il 13 dicembre perquisì e sciolse la Camera del Lavoro ed il Circolo socialista.
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-Tringali S-Sampierdarena 1864-1914-CoopTipograf.2005-pag.26
-Tuvo.Campagnol.Stria di Sampierdarena-D’Amore.1983-pag.242
non citato da ES + EM +
STAZIONE via Stazione
Salita alla Stazione
Non sono mai esistite ufficialmente come tali. Quale “salita alla Stazione” è pure riportata su alcune cartoline illustrate.
Quando nel 1850 studiarono come far transitare il treno in pieno borgo, fu ovvia conseguenza erigere l’alto viadotto che isolasse la linea dalla vita del popolo: un lavoro immane che da san Benigno percorreva l’interno della linea costiera e si prolungava verso Rivarolo. Anche la stazione fu eretta in alto, in pari con i binari. Ovvio creare la salita per arrivare ad essa, ma alla quale mai è stato dato un nome personalizzato.
Ambedue le titolazioni quindi corrispondono a quella ancor oggi esistente salitella che porta alla stazione ferroviaria, dalla via sottostante (che all’epoca del Novella, prime decadi del 1900, era via Milite Ignoto ma che prima era stata via Vittorio Emanuele e via UmbertoI; e dopo via P.Reti).
Ci appare quindi che non abbia mai assunto questo nome in forma ufficialmente riconosciuta dal Comune; così si includerebbe nelle numerose indicazioni ad uso popolare, atte ad indicare certe zone in rapporto alla funzione.
Il 9.2.1931 ci fu una interpellanza nel consiglio comunale, mirante a migliorare la viabilità alla stazione (il progetto prevedeva poter accedere anche dalla retrostante via Cavour tramite un sottopasso a piano terra ed ove avrebbero trovato posto biglietteria, ristorante, diurno e lasciando di sopra oltre l’accesso ai treni, al caffè e le sale di aspetto: parzialmente fu realizzato dopo oltre cinquant’anni, per carenza cronica di fondi economici).
BIBLIOGRAFIA
-DeLandolina GC –Sampierdarena -Rinascenza.1922 – pag. 56
-Genova-rivista municipale- del 3/31.195
-Novella P.-Strade di Genova-Manoscritto b.Berio.1900-pag.19
-Tuvo T.-Sampierdarena come eravamo-Mondani.1983-pag.62
.non citata dallo stradario comunale 1953- e dal Pagano/1933
TARGHE:
San Pier d’Arena – via – Achille Stennio – medaglia d’oro ligure – Carso 1916
angolo con via C.Rolando, lato a monte
in angolo con via P.Reti
QUARTIERE MEDIEVALE: San Martino – Ponte
da MVinzoni, 1757.
N° IMMATRICOLAZIONE: 2855 CATEGORIA: 2
da Pagano/1961
CODICE DELLA STRADA - N° INFORMATICO: 60140
UNITÀ URBANISTICA: 25 - SAN GAETANO
da Google Earth, 2007
CAP: 16151
PARROCCHIA: san Giovanni Bosco
STRUTTURA: senso unico viario da via P.Reti a via C.Rolando (oltre la quale prosegue diritta in via C.Rota).
La targa in marmo, precedente quella di plastica, in basso a sinistra riportava l’incisione “già via Montebello”.
STORIA: nella carta vinzoniana si rileva che allora era un piccolo sentiero interposto tra la proprietà del Mag.co Tomaso Spinola e quella della Mag.ca Giovanetta Lomellini (dei quali si descrive in via C.Rolando). Il sentiero proseguiva verso il Polcevera, ma fu troncato nel 1850 con l’erezione del bastione della ferrovia e della conseguente via P.Reti.
Con la lottizzazione di fine 1800 ed i palazzi, nacque la strada inizialmente intitolata via Montebello. Questo nome le rimase sino alla decisione del podestà, espressa con delibera il 19 agosto 1935 (quando collegava via Martiri Fascisti con via E.Mazzucco) quando fu cambiato con l’attuale, per evitare doppioni dopo l’annessione nella Grande Genova.
Fin dal 1895 il tratto iniziale fiancheggiava il lato sud del deposito tranviario (in particolare con le case adibite ad abitazione dei dipendenti, e che ancor oggi sono di proprietà dell’AMT, e poi il muro del deposito sino all’incrocio.
Un progetto presuppose negli anni 30 la possibilità di farle delimitare un terreno per un mercato ortofrutticolo all’ingrosso.
Ricevette notevoli danni dai cannoneggiamenti navali del 14 giu.1940 e del 9 febb.1941, ma soprattutto dai successivi e numerosi bombardamenti alla ferrovia (binari tranviari vicini, sconvolti; muri e tettoie distrutte o perforate da mille schegge; tutti i vetri infranti; intonaci scrostati; porte e telai divelti; però per fortuna nessuna demolizione).
Subito dopo la guerra del 45 in angolo con via Reti, a mare era l’albergo Martini; lato monte c’era un negozio di dischi, macchine da cucire (in una palazzina eretta dall’AMT per uffici –sulla facciata a nord; ed abitazioni per i suoi dipendenti sulla strada). Verso est, quando la strada finiva intersecando via A.Saffi, il negozio d’angolo a mare era il mobilificio Mazzucco, poi Porcile; a monte c’era una palazzotto di due piani posto trasversalmente a 45°, al cui piano terra era una latteria.
da via P. Reti da via C. Rolando
CIVICI
2007= NERI= da 1 a 9 e da 2 a 4
ROSSI= da 1r a 25r (compreso 1AB) e 2r
Nel Pagano/40 va “da via M.Fascisti a vie E.Mazzucco”; Civv.neri: al 5 Dopolavoro Ansaldo; rossi 2r Gotti Icar macch.p.cucire; 9r-17r Porcile mobili; 19r frruttiv.
===civ. 1r : Nel 1930 era di Francesco fu Bartolomeo (ed era in via Milite Ignoto al 31r.); dal dopoguerra è stato sede per anni della soc. Piccardo fornitrice di materiali per costruzioni che alla fine del 1990 si trasferì in via San Pier d’Arena. Da dopo è divenuto sede di box per auto.
===2r negli anni 1960, dal 1930, era un negozio affittato a Gotti; vendeva dischi e radio; poi c’è stato anche una merceria.
===2 e 4 neri= è una palazzina creata dall’UITE per i suoi dipendenti e per uffici, con vani alti ed abbastanza vasti.
===civ.5: fu costruito nella prima decade del 1900 per adibire il primo piano, opportunamente rinforzato con putrelle e più alto d’aria, per sopportare il peso di una fabbrica di latta, finanziata dai sigg. DeAndreis-Casanova. Da vico Scanzi sono visibili ancor ora le finestre con la struttura tipica di una di fabbrica (rettangolari ma più larghe, con grata, diverse dalle altre).
La parte apicale dell’ultimo piano, fu invece sopraelevata negli anni 1930. Dopo un breve periodo di occupazione di una palestra, fu diviso in appartamenti (di cui, nel 1961, all’interno 1, era ospitato un dopolavoro interaziendale Ansaldo con telef. 459.959, 412.723). Nel 2004 quando il personale era assente per ferie, un incendio devastò, al primo piano, la palestra “Body Proiect”.
La facciata sulla strada è stata ridipinta nel 2004-5
===civ. 7-9 è stato ridipinto esternamente nel 2002-3. Sopra il portone del 9 in una losanga è l’immagine della Madonna della Guardia.
civ. 9
DEDICATA al militare genovese, nato in Portoria il 4 mar.1866 e - come si diceva allora quando era obbligatorio segnalare la genitura, “figlio di ignoti”, oppure “di n.n.”-.
Piccolo di statura, capelli scuri, fare risoluto, signorilità.
Entrato giovanissimo nell’esercito, seguì la carriera militare dedicandole piena attenzione e senza formarsi legami familiari.
Avendo combattuto a lungo nelle guerre coloniali di espansione (Eritrea, la prima colonia italiana, ove combattendo la guerriglia al comando del III Ascari, si fece conoscere per eroismo al punto che gli fu intestato un fortino all’Asmara e meritò i gradi di ufficiale.
In Libia nella guerra Italo-turca del 1914, fu al comando del 3° battaglione eritreo e fu premiato con un encomio solenne, la promozione di grado superiore a maggiore, ed il conferimento della “Croce dell’Ordine Militare di Savoia” (abbreviata OMS: era la massima onorificenza militare italiana in epoca monarchica e conferita solo per meriti e nei periodi bellici; la motivazione recita: “con molta energia, perizia e valore guidò il suo battaglione nell’aspro e sanguinoso combattimento di Omm (Scikaneb –26 febbraio 1914),prese parte altresì lodevolmente alle numerose operazioni del sud bengasino, comandando anche reparti autonomi delle tre armi – Sceleidina 24 febbraio 1914 – Zuetina, 12 marzo 1914 – Gedabia, 15 aprile 1914 – Sira Gemaisil Kleita, 8-9 agosto 1914) . Ad essa seguì un encomio solenne “per l’efficace azione direttiva dimostrata nell’impiego del suo battaglione durante il corso di operazioni – regione dell’Uadi Mayur dal 24 agosto al 4 settembre 1914”).
Partecipò alla prima guerra mondiale col grado di colonnello, comandando il 2° battaglione del 9° reggimento fanteria, brigata Regina.
Nella primavera del 1916 è sui monti del Carso, rocce insanguinate dallo sproporzionato sforzo bellico (molte vite umane, in cambio di trincee giudicate imprendibili e di un vantaggio bellico irrilevante, se non di tenere agganciati i nemici ed impedire loro di aiutare i tedeschi nella loro offensiva a Verdun).
A Bosco Capuccio, contro una munitissima trincea chiamata ‘fortino’ posta sulla sella tra san Martino e san Michele, sempre seguito dal suo fido collaboratore Carlo Bazzi (decorato con medaglia d’oro al VM per aver sgominato un pesante contrattacco nemico) nei giorni 11-15 marzo del 1916, seppe conquistarsi un’altra onorificenza di bronzo ed il grado di colonnello del suo stesso reggimento per aver saputo adattarsi e gestire la terribile guerra di trincea, sempre condividendo alla pari con i suoi soldati il pericolo della morte sotto il tiro incrociato e di sbarramento delle armi pesanti, nonché fronteggiare il primo impiego austriaco dei gas asfissianti e l’uso delle mazze ferrate per finire i feriti. (La motivazione spiega : “comandante di un reggimento di fanteria diresse con perizia e valore le varie operazioni per opporsi ai contrattacchi nemici e per riconquistare un fortino perduto. Nella notte successiva tra l’infuriare dell’artiglieria, delle bombe e della fucileria avversarie seppe infondere col suo contegno calma e coraggio nei solati affaticati da quattro giorni di lotta, tenendoli saldi sulla posizione. – Bosco Cappuccio 11-15 marzo 1916”)
Superata l’offensiva austriaca sul Trentino e dopo le gloriose giornate di Gorizia, sul Carso si combatté il 17 sett.1916 la VII battaglia dell’Isonzo; si trovò a dover avanzare oltre le più valide cime già conquistate, onde poter meglio difendere Gorizia e mirare a raggiungere Trieste. Sulle doline dopo cannoneggiamento, iniziò l’attacco da Devetachi, lungo la linea Oppachiasella-Castagnevizza. Ovviamente il nemico controbatté con fuoco serrato e micidiale; lo scontro fu per conquistare e difendere poche decine di metri: palmo a palmo. Infine dopo un furioso assalto alla testa dei suoi soldati ebbe ragione dei continui rincalzi di cui godevano gli austriaci dalla vicina Loquizza e si portò sulla nuova linea preventivamente mirata ed appena conquistata; ma qui pervenuto si accorse che il nemico stava allestendo una nuova linea d’attacco, che occorreva prevenire. Così dopo aver consolidato la posizione conquistata, in piedi alto su tutti -mentre indicava ai suoi rincalzi che affluivano la direzione da seguire ed i compiti da eseguire-, fu colpito al petto da una pallottola che gli lasciò solo il tempo di dire poche ma patriottiche parole; meritando così la medaglia d’oro al V.M. (cronologicamente 11° tra i liguri onorati di tale riconoscimento).
Nella motivazione alla medaglia, si legge “ Preparato con vigile cura e materialmente il suo reggimento, pieno di fede nella vittoria, alla testa delle prime schiere, lanciava violentemente due suoi battaglioni all’assalto di una solida posizione nemica. Sulla trincea occupata, fieramente eretto sui più avanzati approcci, incitava e dirigeva l’affluire dei rincalzi noncurante dei proiettili e delle bombe che numerose gli scoppiavano attorno, dicendo essere quello il suo posto per dividere il pericolo dei suoi soldati. Colpito mortalmente al petto da un proiettile di mitragliatrice, agli ufficiali accorsi che tentavano celargli la gravità del suo stato, fieramente rispondeva: «io muoio , ma la vittoria è nostra ! viva l’ Italia !»”
La sua salma, una delle tante, fu tumulata a Redipuglia nel cimitero degli Invitti della III armata (dietro l’Ara votiva, a destra per chi entra, all’inizio del primo girone c’è un cippo formato da un grosso proiettile di bombarda esploso, e vicino alcune pietre: su una di esse è scritto “colonnello Stennio cav. Achille Decor.Med.Oro“. Facile non accorgersi di essa, nell’immenso numero di cimeli, di tombe, di nomi e decorazioni).
Numerosi suoi ricordi, sono all’Istituto Mazziniano.
BIBLIOGRAFIA
-Archivio Storico Comunale Toponomastica - scheda 4323
-A.sconosciuto-Storia del trasporto pubb. a Ge.-Sagep.80-pag. 152.236.250
-AA.VV.-Annuario.guida archidiocesi—ed./94-pag.447—ed./02-pag.484
-AA.VV.-Archivio storico AMT-inventario 1873-1965-Bonati &S.
-Genova, ”La grande Genova”-Rivista comunale del **/24.649 + 11/29.649 + 12/34.1027ritratto + 1/37.25 foto
-Il SecoloXIX quotidiano del 25.8.04
-Lamponi M.-Sampierdarena- LibroPiù.2002- pag.162
-Novella P.-Strade di Genova-Manoscritto b.erio.1900-pag.18
-Pagano/40-pag. 416; /1961-pag. 401.598
-Pastorino.Vigliero-Dizionario delle strade di Ge.-Tolozzi.1985-pag.1748
-Poleggi E. &C.-Atlante di Genova-Marsilio.1995-tav.33
-non citato su Enciclopedie Motta e Sonzogno
STORACE via Dante Gaetano Storace
TARGA: Via – Dante G. Storace – mazziniano – 1889-sul Mrzly ott.1915
in angolo con via C.Rolando
in angolo con via P.Reti
QUARTIERE ANTICO: San Martino
da MVinzoni, 1757. In rosso la chiesa di san Giovanni Decollato (don Bosco); in verde ipotetico tragitto della strada.
N° IMMATRICOLAZIONE: 2856 CATEGORIA: 2
da Pagano/1961
CODICE INFORMATICO DELLA STRADA - n°: 60200
UNITÀ URBANISTICA: 25 – SAN GAETANO
da Google Earth, 2007
CAP: 16151
PARROCCHIA: s.Giovanni Bosco
STORIA: Nella carta vinzoniana del 1757, facendo riferimento alla villa d’angolo degli Spinola ed alla chiesa allora intitolata a san GiovanniBttista Decollato, appare sovrapponibile ad un rio d’acqua torrenziale proveniente da Belvedere e separante i terreni dell’ecc.mo Domenico Spinola (-a mare- la cui casa era la villa oggi al civ. 12 –la scuola- di via CRolando; rimane la torre), da quelli -a monte, verso il Campasso- dell’ ill.mo Magistrato degli Incurabili (la cui ampia villa oggi distrutta, costeggiava la strada principale e nel retro della quale, verso il Polcevera, rimangono dei muri di delimitazione della proprietà –vedi via CRolando).
Con la perdita di potere della nobiltà, i terreni furono evidentemente venduti e coperti da edifici che delimitarono definitivamente in larghezza il percorso; in lunghezza invece, quando attorno erano prati ed orti, dalla carta su descritta si legge che il rio si prolungava di più verso ponente scaricandosi nell’ampio e senza argini, quindi non delimitato, alveo del Polcevera; ma l’apertura nel 1850 della linea ferroviaria su massicciata e della strada sottogiacente da subito titolata a Vittorio Emanuele II, oggi via P.Reti, ne delimitarono anche la lunghezza.
Nel dic.1900, il regio Commissario straordinario propose alla Giunta comunale il nome di “via generale Marabotto” per quella “via, detta Grosso”, a ponente di via A.Saffi (via C.Rolando). Il signor Grosso evidentemente era uno –il più in vista e conosciuto- dei proprietari delle case o più probabile quello che diventò proprietario della villa che era davanti all’istituto donm Bosco, ed ora scuola statale.
Esiste una “via degli Storace” a Sestri (famiglia con famoso fisico-matematico del 1700, e con diversi personaggi pubblici dell’amministrazione; di esi, nessuno ha affinità col Nostro).
STRUTTURA: Da libera circolazione, nel periodo postbellico divenne senso unico viario da via P.Reti a via C.Rolando.
Nel febb.1999, il senso unico fu invertito e confermato con i lavori di ristrutturazione della via CRolando del 2005, opportunamente inserendo un semaforo all’immissione dei veicoli in via P.Reti)
È servita dall’acquedotto DeFerrari Galliera.
CIVICI
2007- NERI = da 1 a 7 e da 2 a 6
ROSSI= da 1r a 41r (compreso 15ABr e 25Ar) e da 2r a 24r (compreso 2ABr)
===Da un secolo, alcune attività commerciali hanno sede bilateralmente nella parte alta e sul lato a mare della strada: impossibile ricordarli tutti, ciascuno caratteristico per gli anni in cui rimase aperto. Vedere in via F.Marabotto quando per esempio nella strada si aprì la prima sede della Farmacia san Gaetano.
Nel 1961 c’erano una 6r=rivendita di burro, 16r=calzolaio, 8r=commestibili, 5r=costruttore edile, 33r=falegname, 27r=fruttivendolo, 14r=latteria, 21r=lavanderia LaLigure, 25Ar=liquori, 35r=macellaio, 29r=meccanico, 12r=merceria, 11r=mobiliere, 4r e 9r=due parrucchieri (Molinari e Posati); 37r=pollivendolo, 41r=profumiere, 18r= trattoria (nel 1950 di Bottero Gaetano e nel 1961 di Contatore F.). Al civ.nero 3/11 abitava la pittrice Barabino E.
===Il civico 2 canc., subì nel tempo alcune modifiche: nel 1964 fu dato alla scuola materna, per cui la palestra divenne prima 2B, poi 2A. Ma nel 1965 tutto l’edificio fu demolito e l’anno dopo ricostruito; così ebbe il 2nero solo la scuola, mentre divennero rossi tutti gli altri, compresi alcuni box.
==Palestra
==Società ginnastica comunale Sampierdarenese. Dal 1850 in poi, la trasformazione della città, è veramente convulsa, da borgo a città in continua espansione ed immigrazione; la trasformazione non si assesta, e si esprime con un costante bisogno di case; all’urbanistica penserà il Comune, ma la linfa vitale proviene dai singoli che promuovono iniziative e che divide in due i ceti: i benestanti pensano ad erigere il teatro, a creare -e sfruttare- lavoro, ad immortalarsi nel cimitero ed a migliorare sempre più le proprie finanze; la massa di operai si organizza e si difende creando delle regole (sindacali, associazionistiche, ludiche, sociali, mutualistiche) miranti al miglioramento delle condizioni di vita, e cercando di superare le frequenti miserevoli condizioni di base della maggior parte dei nuovi arrivati.
Le prime due nate in Liguria -alla pari- risultano essere state, nel 1863, le “Tiro a segno”, sezione di Chiavari e di Genova. A seguire, come terza, appare a Genova nel 1864 la soc. di ginnastica Cristoforo Colombo. Sedicesima (ma quarta tra le società di ginnastica) nel 1891, la società Ginnastica Comunale Sampierdarenese (sono invece 17°, di due anni dopo, il Genoa Cricket and FootBall club; e 27°, del 1901, il Circolo Nautico Sampieraderenese)
Già da quella data, dalle varie associazioni nacquero le prime iniziative culturali (scuole serali, biblioteche, conferenze), nonché sportive ( con lo scopo di fornire oltre all’educazione fisica anche quella educativa verso la mutualità, il senso dell’onore, l’incentivo alla lotta nel periodo delle guerre indipendentiste -come la scherma, il tiro a segno (effettuato nella parte alta della villa Scassi: lassù si selezionarono valenti esperti nel tiro con la carabina , molti dei quali costituirono gruppi di volontari che divennero leggendari al seguito delle campagne garibaldine), ma soprattutto la ginnastica (che più delle altre trovò fertile terreno nelle competizioni ad interesse locale, ben presto estese anche a livello nazionale ed internazionale)).
Sarà il 6 giu.1891, nascerà la Sampierdarenese, su iniziativa di alcuni giovani (vengono ricordati Bolzoni, Cambiaso, Castagnotto, Cipollina, Ferrando, Fossati, Leone, Testa, Sacco. Ma Tuvo cita molti altri, dei quali i primi quattro col titolo di capo squadra: Ghiglione, Mararcerio, Passalacqua, Quaglia; atleti Aghina, Anselmi, Arbanelli, Assereto, Bancalari, Bertini, Boni, DelCanto, Derchi, Marangoni, Masini, Poggi, Roncallo, Tuo; dirigenti: Bagnasco Ettore, Cornetto Luigi, DeAmicis Enrico, Storace Dante, Storace Giuseppe; istruttori: Brembale, Genesio, Marchisio), sia già iscritti alla Associazione Operaia di M.S.Universale, sia provenienti da una fugace Associazione studentesca chiamata “Gimnasium”.
Da subito, scelti i colori sociali bianco e celeste, acquisterà autonomia funzionale dalle due associazioni generatrici, cercando fondi (tramite sovvenzioni, quote e manifestazioni) ed una sede per gli allenamenti una lunga odissea segue l’evolversi di questo problema: --all’inizio, gli allenamenti avvenivano all’aperto, sulla spiaggia e sui prati del Campo d’Armi o dove ora inizia corso L.Martinetti; --il primo asilo fu trovato in un magazzino di piazza dei Mille (piazza A.Ghiglione). --Subito dopo, risultano trasferiti in via C.Colombo (via San Pier d’Arena) in un magazzino di proprietà del teatro Ristori in corrispondenza dello sbocco di via Gioberti (Lamponi segnala che il palcoscenico fu usato per preparare le figure degli esercizi da eseguire); --poi in un capannone ex stalla (posto di fronte al don Bosco, di fianco alle carceri di via A.Saffi (via C.Rolando). --Poi a seguire in via Manin (via GDCassini); --ancora in un’altra ex stalla di via della Cella (vicino alla soc. Croce d’Oro: in questo periodo –1899- assorbì la società ‘Liguria’ e partecipò come secondo impegno internazionale al concorso ‘Savona-Como’). --Nel 1901 ritorno in piazza dei Mille (fino al 1906 quando -sostituiti da una trattoria che si chiamò ‘del Canto’ (NB la notizia è tratta da Tuvo, ma penso sia scorretta perché piazza dei Mille era a s.Martino del Campasso e non avrebbe avuto logica chiamare una trattoria col nome di un rione vicino; invece si, quando erano in via della Cella) -- finché traslocarono in via B.Agnese (1907-1917);
--da qui si ritrovarono per due anni nel chiostro del palazzo Centurione di piazza Monastero (allora detto “dell’Istruzione”, usufruendo del piazzale antistante per le esercitazioni, quando il tempo od il clima lo concedevano). Fu solo il 20 sett.1919 che finalmente (già dal 1910 il Comune si era interessato al problema sistemazione della società, ufficializzandone il riconoscimento e promettendo di erigere una sede) dal sindaco Bettinotti fu inaugurata la palestra
cartolina celebrativa dell’inaugurazione D.G. Storace
sorta quale sede stabile, a fianco delle scuola A.Cantore, nella strada allora intitolata al generale Marabotto, e che fu poi intestata al campione della società caduto in guerra da eroe, Dante Gaetano Storace.
La nuova sede aveva un grande salone alto due piani, munito di galleria a raggiera per tre lati, un palcoscenico, alcuni retrolocali per uffici e spogliatoi. All’inaugurazione fu presente il sindaco di Genova e di San Pier d’Arena, nonché giornalisti delle maggiori testate e personalità. L’accordo col Comune prevedeva l’uso gratuito, più una somma per le spese, l’inserimento nel nome societario della dizione “comunale”, la concessione di tutto il giardino del retro di villa Scassi da adibire a campo per il foot ball e con l’obbligo di tenerlo decoroso, fino al momento di eventuale richiesta da parte del Comune, che avvenne per l’apertura di via A.Cantore.
Durante il conflitto, la palestra venne danneggiata e giudicata inagibile con nuova ricollocazione delle attrezzature --in piazza dei Mille (oggi A.Ghiglione): ma anche questa venne distrutta nel bombardamento che parimenti distrusse il vicino Oratorio di san Martino, per cui si dovette attendere lo sgombero delle forze tedesche di occupazione che avevano riattato e utilizzato la palestra ad uso stalla, e la fine della guerra. Questo complesso fu abbattuto nel 1964, quando dovendosi rifare anche le scuole, fu previsto uno sfratto temporaneo dei 250 allievi allora iscritti che dovettero andare ad allenarsi nelle varie altre palestre cittadine (mentre il materiale ed i trofei, rifugiarli nei più disparati magazzini, compreso nei fondi del campanile della chiesa di don Bosco).
La nuova struttura fu consegnata alla società il 4 ott.1968, ridotta di spazio ed utilizzo, dovendo funzionare anche per le attività scolastiche. Perché non a fianco della scuola, ma dentro; e –avendo primario interesse le esercitazioni di Educazione Fisica scolastica- occorre montare e smontare le attrezzature ogni giorno (materassini, tappeti, travi, parallele, anelli.
Il 5 ott.1977 un incendio distrusse parte delle strutture, che furono riparate.
Nel 1993 pur onorando il canone convenuto nel 1991, ricevette l’assurdo ordine di sfratto coatto ed immediato dal Comune, perché inadempiente nel pagare l’affitto (arretrati e futuri) del canone ‘aggiornato’.
Nel sett2004 si rinnova l’odissea della sede: palestra condivisa con scuola e quindi non agibile prima della ore 16 con grave handicap per le 4 istruttrici e 15 atlete in agonistica (su 100, divise in trenta corsi) che richiederebbero distribuire meglio la fatica degli allenamenti durante la giornata.
Nel 2009, è una delle 28 società sportive genovesi centenarie (44 liguri, 611 nazionali).
Le prime due in Liguria -alla pari- risultano essere state nel 1863, le “Tiro a segno” sezione di Chiavari e di Genova. A seguire, come terza, appare nel 1864 la soc. di ginnastica Cristoforo Colombo. Sedicesima (ma quarta tra le società di ginnastica) nel 1891, la società Ginnastica Comunale Sampierdarenese (è invece 17° di due anni dopo, il Genoa Cricket and FootBall club; e 27°, del 1901, il Circolo Nautico Sampieraderenese).
Nel 2010 la società si ritrova a dover condividere la palestra con le scuole: il che significa giornalmente tirare fuori tappeti, pedane, attrezzature varie; e tutte le sere riporle; e gli spazi non sono adeguati, specie per i salti mortali, alle necessità imposte dalle gare.
2010 la palestra attuale
Nel 2011 ritorna lo spettro degli affitti imposti dal Comune a tutte le società che occupano locali di sua proprietà: l’affitto appare sproporzionato alle disponibilità della società ridotta a pochi iscritti.
Presidenti che si sono succeduti negli anni:
1991=Terrile Andrea; 1981-3=Cipollina Salvatore; 1984-9=Piaggio Giuseppe; 1900=Roncallo Alfredo; 1901-2+1905-9+1911-4=DeAmicis Enrico; 1903-4=Bersini Pietro; 1910=Amodeo Luigi; 1915-7=Ravenna Pietro; 1918-sett22=Bagnasco Ettore; ott-dic1922=Assereto Dario, CornettoLuigi, GhezziPietro; 1923-9=Diana Manlio; 1929-31 =Bianconi Giuseppe e Traverso Salvatore; 1932-41+1950-1+1954-61=Storace Giuseppe; 1042-6+1947-9=Cornetto Luigi; 1947=Storace Antonio; 1962-76=Storace Giorgio; 1977-84=Papi Enrico; 1985-6=Caselli Domenico; 1986- =DeMartini Giovanni. Nel 2010 è il dr. Cipriani Maurizio
La storia: Il gruppo iniziale crebbe lentamente di numero ma velocemente di qualità. I tempi di allora non concedevano distrazioni popolari alternative efficaci, ed era cultura nazionale la valorizzazione del concetto fatica ed impegno, premiati con semplici allori o medaglie. La semplicità della vita e delle esigenze delle classi più povere, favorirono la dedizione ad attività che richiedevano tali caratteristiche.
L’iniziale continua peregrinazione della sede, si concluse nel 1919 solo quando i risultati divennero così clamorosi e dominanti, non solo a livello nazionale ma anche internazionale (con istruttore il prof. Genesio), da non potersi più ignorare da parte delle autorità comunali
Organizzativamente, dai più svariati esercizi, nacquero gradatamente per selezione naturale (locale, nazionale ed internazionale) specializzazioni ancor oggi in vigore; quando inizialmente invece erano genericamente inclusi nelle gare ed affidati alle varie capacità dei singoli; così si provarono tutte le possibilità atletiche: ginnastica (classica ed artistica, con acrobatica ed equilibrismo, salto in alto e lungo), lotta (libera e greco romana); sollevamento pesi; nuoto, pallanuoto e canottaggio; marcia, corsa, e podismo; calcio; pugilato, tamburello; tiro alla fune; fanfara e teatro; tiro a volo; bocce; scherma.
Di queste, numerose si estinsero da sole per carenza di atleti o di organizzazione, o si staccarono autonomizzandosi (come il calcio, canotaggio, pallacanestro nel 1950-8, ecc.). Se quei innumerevoli traslochi non andarono a scapito dei brillanti risultati individuali e societari, pur sempre furono causa della perdita di quasi tutti i documenti, obbligando alla trasmissione orale buona parte della storia iniziale della società (G.Marchisotti).
La cronologia societaria
I risultati si videro subito: già un anno dopo l’inizio, nel 1892, in occasione delle
Colombiane, parteciparono ad un concorso internazionale a Genova; e
nell’anno 1899 avvenne la presenza al concorso di Savona;
1900: la prima partecipazione alle Olimpiadi: di C.Pavanello (vedi); alla quale seguirono varie manifestazioni nazionali ed internazionali:
dal 1901 al 1930 ci fu la presenza costante –in media uno all’anno-, ad un concorso nazionale o internazionale (oltre le Olimpiadi)
La stessa nostra società fu in grado di organizzarne due gare internazionali, una nel 1902 e l’altra nel 1925, qui nella nostra città.
1920 alle Olimpiadi di Anversa furono presenti numerosi atleti della società: Romualdo Ghiglione e GB Tubino vinsero l’oro (allora, un serto di alloro), Pietro Bianchi l’argento (a loro si doveva intitolare la strada di accesso al complesso sportivo della Crocera); Bonatti Ferdinando, Roncallo, Cambiaso ). ***
1924 alle Olimpiadi di Parigi, 3 presenze;
1932 alle Olimpiadi di LosAngeles, 1 presenza;
1936 alle Olimpiadi di Berlino. 1 presenza
1952 alle Olimpiadi di Elsinki, 1 presenza
1956 alle Olimpiadi di Melbourn, 1 presenza.
Nel 1979 la società figurava prima in Liguria, e quindicesima in Italia (su 240 squadre).
trofei in bacheca
alcuni trofei fuori bacheca
In particolare, L’attività regina ed ancor oggi vitale della società, è la:
--GINNASTICA–--Già nel 1833 lo svizzero Obermann Rodolfo fu invitato dal governo sabaudo per dimostrare i vantaggi della ginnastica nel corso per gli artiglieri-pontieri. Fu poi Emilio Baumann (1843-1917) che riuscì ad inserire l’educazione fisica nel vasto più concetto sia medico che pedagogico; ed è quindi riconosciuto il fondatore della ginnastica italiana. Fu nel 1878 che il ministro della pubblica istruzione Francesco De Sanctis propose una legge specifica n. 4442, approvata dalle Camere non senza difficoltà, con la quale se ne rese obligatorio l’insegnamento nelle scuole; dopo una ventata di entusismo iniziale, feroce reazione e severe critiche rivolte dagli ambienti conservatori e religiosi soprattutto alla ginnastica femminile che suscitava nei benpensanti di sesso maschile interpretazioni non puritane ed attenzioni provocatorie. Chiamata inizialmente “educazione fisica”, poi “artistica”, inizialmente comprendeva anche acrobatica ed equilibrismo.
-Fino al primo conflitto mondiale aveva prevalente sfogo in gare locali, interregionali e saltuariamente nazionali (Colombiane del 1892); importante ed unica quella internazionale nell’anno 1900 con la partecipazione di C.Pavanello (-vedi- primo ed unico atleta italiano presente all’estero).
-Facenti parte della squadra nel 1912, vengono ricordati Barberis, Bianchi, Boccardo, Bottaro, Cocco, Gamalero, Malparsi, Morando, Ravenna, Rossi, Rota, Storca. Istruttore Quaglia Aldo.
-Decimati dal richiamo alle armi nel 1914, ebbero molti morti in combattimento (undici soci iscritti morirono nella carneficina, tra cui anche il campione G.D.Storace –vedi- ed il maestro Quaglia Aldo che aveva preparato la squadra per varie gare internazionali. Una lapide posta nel 1920, commemora ed onora i nomi dei caduti) .
-Nel dopoguerra del 1918, fino al secondo conflitto mondiale, inizia il periodo di gloria. Alle varie Olimpiadi, numerosa fu la partecipazione: uno solo a Parigi 1900 (Pavanello Camillo. Era allora presidente DeAmici Enrico e preparatore ginnico il prof. Bombale Domenico); sei atleti ad Anversa 1920 dei quali quattro sul podio dei vincitori (Bonatti Ferdinando, Ghiglione Romualdo, Roncallo, Savio Filippo, Tubino GB, Cambiaso Luigi);
-Nelle gare nazionali spesso faceva la parte del leone, sia per singoli atleti che per squadra: nel 1921 al concorso Internaz. di Lussemburgo, in quattro vinsero il titolo di Campioni: Bianchi Pietro, Cambiaso Luigi, Gianassi Alvaro, Bruzzone GB.
-All’Olimpiade di Parigi del 1924 parteciparono Bruzzone Emilio e Cambiaso Luigi;
-Capuzzo Oreste fu l’atleta presente alle Olimpiadi di Amsterdam 1928. Lo stesso a quella di LosAngeles 1932 (medaglia d’oro per la squadra. Aveva iniziato nel 1923 e nel 1930 faceva parte della squadra nazionale classificandosi secondo nelle gare nazionali del 1932). -La Federazione arrivò a dichiarare la società essere “squadra ginnica campione d’Italia“.
-L’inserimento obbligato nel secondo gruppo della Polisportiva Fascista Sampierdarenese, politicizzando l’ambiente determinò inizialmente un grave disinteresse generale, calando gli iscritti da 1800 a 50.
Una lettera pervenuta alla sede da un atleta in difficoltà economiche, dimostra quanto l’attività fosse proprio a livello dilettantistico (Mecheri Alessandro era stato un ginnasta che per 18 anni aveva gareggiato da campione con i colori della Società. Poi sfruttando le doti atletiche, si era dato allo spettacolo teatrale; ma un incidente ad un piede lo aveva bloccato nel lavoro, costringendolo a chiedere urgente sussidio agli amici).
-Riottenuta una certa autonomia, rapidamente ricuperò le forze al punto di essere già nel 1934 la più numerosa compagine presente alle competizioni romane del regime e Capuzzo potè coronare il sogno di partecipare anche a quella di Berlino nel 1936 (ove la squadra arrivò quinta; dopo la grande guerra, Capuzzo continuò a frequentare come istruttore.
-Nel 1938 compare il nome di Mario Maestri, quale campione italiano junores
-Dopo il conflitto mondiale, la sezione ginnastica definita ‘artistica’ tornò a primeggiare in tutte le gare regionali e rimanendo in altissima classifica nelle nazionali, e con presenza alle Olimpiadi di Helsinki e Melbourne, tanto che nel 1967 era 11ª a livello nazionale, prima in Liguria, con due donne (Scarsi Renza campionessa italiana e Volpi Clelia campionessa ligure e bronzo nazionale);
-Nel 1969 fu riconosciuta dal CONI meritevole della “ stella d’oro al merito sportivo”; la motivazione recita: «un alto e meritato riconoscimento al Solidalizio che per lunghi anni ha servito ed onorato lo sport nel nostro paese. L’opera svolta in campo organizzativo, morale, educativo e propagandistico è stata indubbiamente determinante per lo sviluppo della attività sportive alle quali la Società ha dato fecondo apporto».
-Nel 1977 si classificò seconda in Liguria e 21ª (su 305 società) in Italia.
Nell’anno 1993 vinse con le proprie ginnaste diversi titoli regionali e si classificò seconda nel campionato regionale di serie C.
-Ancora nel 1998 si classificò terza al campionato di serie B e partecipò al campionato di serie C con una squadra maschile e femminile.
-Nell’anno 1999 la società decise dedicarsi solo al settore femminile qualificandosi per due anni consecutivi per la finale; nel 2001 si classificò terza al camp. regionale (vincendo la prova della trave) e qualificandosi per l’interregionale.
-Nel 2002 risultò 4ª nel campionato di serie B, e 3ª in quello di serie C; all’interregionale di serie C avvalendosi di un ottimo 8° posto, si qualifica ai campionati italiani.
Questo settore, ancor oggi attivo, ha visto sempre più ridursi il numero dei partecipanti, non essendo di moda né facendo parte del concetto giovanile di quest’epoca il doversi sacrificare molto per poco riconosciuta gloria e guadagno. Nell’ottica di sempre avviare i giovani allo sport –anche non competitivo agonistico- si iscrivono ragazzi che desiderano oltre ad una vita sana in comunità, anche una vita attiva motoriamente, sono previsti corsi per bambini (4-5 anni), per ragazzi (6-18 anni), sino a dopo dove si può accedere ai veri corsi di ginnastica artistica utilizzando i vari attrezzi (trave, cavallo, sbarra, anelli, tappeto per i salti, ecc).
-Ma ancora nel genn.2004 si legge la vittoria nella prima prova del campionato di artistica femminile sia di serie B (parallele asimmetriche, volteggio, trave, corpo libero; con Sara DiPerna, Simona Risso, Michela Belgrano, Alice Romani; davanti alla squadra della s.Michele, proChiavari e Canaletto); sia di serie C con la prima squadra (Giulia Pioggia, Corinne Boschi, Martina Oliva) e quarte con la seconda squadra. Nel 2008 ha presidente il medico Maurizio Cipriani.
Nel 2009, è una delle 28 società sportive genovesi centenarie (44 liguri, 611 nazionali).
ATTIVITA’ ESTINTE
----ATLETICA LEGGERA: visse tra gli anni 1903 e 1933; con atleti in competizioni di impegno solamente locali . Comprendeva oltre la corsa, salto, maratona, il getto del peso (“getto della palla di ferro”) e nei primi anni il sollevamento della pietra.
--CICLISMO: i primi passi del ciclismo, vengono tratteggiati parlando della Ciclistica di via W.Fillak . In seno alla Sampierdarenese la sezione nacque negli anni a cavallo tra il 1800-1900. Non ebbe atleti di spicco dovendo competere con avversari locali di maggiore calibro, della Raffaele Rubattino prima, della Nicolò Barabino e della Ciclistica poi.
Nel 1931 si sciolse trasferendo tutti gli iscritti ed i trofei alla soc. Ciclistica.
--ESCURSIONISMO: nacque subito dopo la prima guerra mondiale, la voglia di misurarsi nella marcia, aprendo una sezione PODISMO, che concluse le sue attività in epoca prebellica del 1940 .
Ritornò vitale dal 21 lug,1945 ma limitata all’ escursionismo, effettuando economiche gite a piedi sui monti e località interne con promozioni allettanti e campeggio. Nel 1947 i soci convennero più opportuno confluire nel CAI locale.
--FANFARA: nata prima del 1903, nel 1920 vinse un concorso nazionale Si estinse con l’inizio della seconda guerra mondiale.
--FILODRAMMATICA: Nata nel 1921, aiutava la società madre nella raccolta di soldi, vitali per la partecipazione ed organizzazione delle gare. Terminò di vivere con l’evento bellico del 1940.
--PALLACANESTRO: nata nel lug.1950 come sezione autonoma, giocò le sue partite utilizzando quando possibile i campi da bocce; partecipò al campionato nazionale maschile di serie C nel 1956-7 dopo aver vinto il campionato di promozione.
-PALLAVOLO: fiorente attività capace di vincere i campionati nell’anno 72-3 sia maschile che femminile.
--PUGILATO (BOXE) affiancata alla lotta, ebbero vita fiorente sino al 1923.La sezione fu fondata dal pioniere del settore Cereseto Ettore. Il ring era nel chiostro del Monastero e la Società organizzava mensilmente incontri con boxeur di tutta Italia, prevalentemente a livello dilettanti (vengono ricordati Baiguera Innocente campione italiano pesi massimi del 1936 battendo il campione d’Europa per KO al primo round; Borzone; Ponte; Ulivieri; Tripoli; Galliano; Visani Alfredo; Coccia; Lotti; Peloni; Colombo; alcuni in odore olimpionico. Forse professionista lo divenne solo il forte Baiguera).
Non sappiamo quando, ma divenne società sportiva autonoma. Isolate partecipazioni a serate di incontri, avvennero sino alla fine del 1940. Ripresa l’attività dopo la grande guerra, ancora nei primi anni 1970 si registravano lusinghieri successi sopra tutti dell’azzurro Provenzano Angelo.
Personalmente ricordo che negli anni 50 la sede si apriva nel palazzo d’angolo del vicoletto che da via Storace portava alla palestra.
--SCHERMA: nata il 18 sett.1945, ebbe un iniziale gran successo , con vittorie in gare regionali ed interregionali. Dopo tre soli anni però, riducendosi gravemente il numero degli iscritti, obbligarono il presidente Martini e sciogliere la sezione.
--SOLLEVAMENTO PESI alla sua nascita fu una delle attività più attive e produttive; ebbe una folta schiera di seguaci, divenuti tra i più forti d’Italia, capaci di vincere per sette volte il titolo nazionale a squadre; nonché innumerevoli trofei.
Come dirigenti vengono ricordati Pietro Bianchi (per trent’anni e più. Ebbe l’argento alle Olimpiadi di Anversa del 1920 nella categoria ‘medi’) ed il cav. Renato Fossati (successore per altri decenni), sotto la cui direzione, tra il 1951-8, la società vinse per 5 volte il titolo nazionale a squadre.
Tra tutti, primeggiò il titolare Dante Gaetano Storace -vedi- che fu campione locale dal 1905 ed assoluto italiano per vari anni nei pesi massimi (Tuvo a pag 289. scrive tre, dal 1908 al 1910; ed a pag. 298 scrive sette, dal 1905 all’11)).
Tuvo ricorda Bianchi, Bugoni, Canti, Clavarino, Conrado, Derchi, DiGenova, Durante, Fornaciari, Gabetti, Iurillo, Lenti, Meriggi, Seggi, Vassallo
La sezione era ancor viva, con alcuni atleti, negli anni 90.
--TAMBURELLO: Innanzi tutto, va ricordato che il ‘gioco del pallone’ effettuato dal cinquecento (vedi in via Larga), è da considerarsi il padre di questo sport. Sicuramente anzi, il tamburello è una evoluzione di esso, avvenuta tra metà e fine 1800, quando il gioco della “palla al tamburello” era lo sport più seguito dai cittadini, contendendosi l’interesse con gli altri emergenti (su tutti, ginnastica, calcio e ciclismo).
Il tamburino era fatto con pelle di cavallo tesa tra i due cerchi (i migliori erano della ditta genovese Trucco&Boni); la palla, dal cuoio passò alla gomma dura la quale segnò un miglioramento dei rimbalzi e quindi della qualità del gioco; il gioco vedeva possibile colpire e rimandare –prima al di là di una riga per terra, poi di un cordino, infine di una reticella- la palla dopo un primo rimbalzo o direttamente al volo.
Le società di San Pier d’Arena, Sampierdarenese e N.Barabino -nell’anno 1897 parteciparono a Treviso ad un incontro polisocietario (vinto dall’Udinese), risultando subito tra le migliori in campo nazionale.
Possiamo quindi concordare nell’affermare che agli esordi del secolo scorso, questo sport parlava soprattutto sampierdarenese.
L’anno dopo, 1898, la seconda società andò a vincere a Torino il primo campionato nazionale assoluto; per ripetersi l’anno dopo ed ancora nel 1904. Solo nel 1905 nacque la Federazione Italiana Tamburello con i primi ‘scudetti nazionali’ nei quali iniziò a primeggiare invece la Sampierdarenese vincitrice negli anni 1908 e 1909.
Questa sezione, distaccatasi per divenire autonoma nel 1924, raccolse atleti che avevano già vinto campionati nazionali anche nel 1911 e 1920 . Nel 1925 si unì alla compagine di Cornigliano, di Sestri e la soc. C.Colombo, per formare la Associazione Ligure Tamburello & affini, andando a giocare nella zona ancora libera della ‘piazza d’Armi’. Nel dic.1927, Manlio Diana ordinò l’immediata cessazione della società, per assorbimento dell’attività nella Polisportiva fascista. Ripresa l’autonomia funzionale dopo il conflitto del ‘45, sopravvisse sino al 1954 cessando l’attività per carenza di appassionati e di stadio.
Lo sport del tamburello, negli anni 2000 è ancora vivo negli sferisteri del Basso Piemonte circa 80m x20): il paese di Castelferro (frazione di Predosa in Ovada) sono i pluricampioni d’Italia (11 scudetti; 2 coppe Europa; 5 Supercoppe) dello sport vissuto ancora con gare nazionali (con serie A, A1, A2, B e C) ed internazionali. Singolarmente, gli atleti più famosi furono: per primo un 17enne varazzino, Bagnasco Attilio,emerso nel 1898 a Torino, rimase campione fino al 1907. Dall’anno dopo iniziò la ‘carriera’ di campionissimo, Lorenzo Bruzzone nativo di Campoligure e laureato in chimica, valutato un mito quale giocatore invincibile e battitore impareggiabile.
--TIRO ALLA FUNE: scarse le notizie su questa attività. Nel 1910 la squadra della Sampierdarenese composta da DelPonte, Avio e DanteGStorace più due di cui non viene riportato il cognome, vinse il campionato italiano.
--TIRO A VOLO: la sezione nata nel periodo post bellico, vide vittorioso in una gara preolimpionica del 1947 il concittadino Polo
ATTIVITA’ POI DIVENUTE AUTONOME:
--BOCCE sezione nata nel 1946 raggiungendo ben presto gli oltre 100 soci, ebbe i campi vicino alla palestra arricchiti da bar, locali per segreteria. Nel 1964 la struttura venne tutta distrutta a favore del nuovo edificio scolastico e delle appendici annesse, che però non previdero la riapertura dei campi ed obbligando il trasferimento dapprima presso il Dopolavoro Ferroviario di via E.Degola e -dopo il 1970- in gestione autonoma, ma con l’antico nome- nel retro della villa Scassi in via A.Cantore.
Dal 1948, le innumerevoli vittorie arricchirono il palmares del titolo nazionale; due volte in ciascuna delle tre principali categorie: nel 1958 e ‘60 in categoria C ; ‘73 e ‘74 in cat. A ; ‘80 e ‘82 in cat.B.
--CALCIO. Già nel 1899 (qualcuno scrive1897) si era strutturata una sezione foot ball, con uno statuto proprio, fondato da un gruppo di soci studenti.
Già nel 1896 a Treviso era stato messo in palio un titolo nazionale di football, ancora limitato alle società di ginnastica, vinto dalla soc. Udinese. Nel 1898 (15 marzo) si costituì una ‘Federazione italiana’ a Torino: essa organizzò l’8 maggio il primo campionato nazionale che fu vino dal Genoa.
Nel marzo 1903, sulla spianata del Bisagno, la squadra partecipò alle gare di foot ball per una coppa a carattere interregionale: nella finale per il 3° o 4° posto, fu esclusa perché -posta di fronte alla seconda delle due squadre dell’A.Doria (vincitrice poi –la prima squadra- nella finale sulla Mediolanum)-, al punteggio perdente di 6 a 2 un giocatore fece un gestaccio al pubblico e la partita fu sospesa.
Usufruivano anche della piazza d’Armi per gli incontri, spesso con l’incerto che se non riuscivano ad arrivare in tempo -rispetto altri atleti di altre discipline- trovavano occupati gli spazi ove giocare.
contro la A.Doria nel 1903 (disegno) la squadra all’inaugurazione del campo. Primo
a sinistra, Marchisotti
Il settore inizialmente originato dalla sezione ginnastica e con presidente DeAmicis (giocatori Luigi Cornetto, Lenuzza, Riccardi, Scatti, Berlingeri, Pastorino, Calvi, Lancerotto, Siegris), nel dic.1911 si iscrisse alla FIGC ed adottò la maglietta bianca con la tipica –per l’associazione di ginnastica- fascia pettorale nera trasversale; giocò prima in terza categoria, poi in seconda e nel 1915 in prima categoria sul campo della Rivarolese (chiamato dapprima Sauli dalla famiglia sul cui terreno era sorto; poi Cereseto Oreste dal dirigente fondatore della squadra locale, infine Torbella dal torrente vicino). Vengono ricordati: attaccanti Migone Carlo, Garrone mario, Mazzella Pietro e Gatti; mediani Melandri Ermenegildo, Boldrini Renato, Carzino Ercole; terzini Riparelli Giuseppe, Bellini Delfo; portiere Canepa Enrico; presidente DeAmici.
La banda, divenne rosso nera solo nel 1919 a seguito dell’assorbimento della prima “pro Liguria” (Questa polisportiva sampierdarenese (calcio, nuoto, pallanuoto) era nata -per iniziativa di alcuni giovani- nel 1910 circa; aveva sede in una ‘casetta’ sugli scogli dietro il municipio e come le altre giocava in piazza d’Armi. Nel 1914 però era già una squadra emergente, partecipando ad un girone ligure-piemontese, finendo ultima. L’inizio della guerra non fece finire il campionato seguente formato da squadre dell’Italia del nord, assegnato al Genoa e dove la nostra era ultima. Nel 1919, la società non riuscì a riprendere gli impegni, e –presidente Mainetti- dovette soccombere nella Sampierdarenese, concedendo però a quest’ultima di entrare nella Prima categoria. La fascia nera venne dimezzata per fare posto all’affiacata banda rossa). Con questa fusione, ottennero di entrare nel campionato di prima categoria, e sia di avere un campo proprio -vicino al palazzo Spinola, affidato alle suore cappellone, e perciò detto “delle monache”. Nel 1920, in attesa di applicare quanto già il piano regolatore prevedeva a proposito di una nuova via centrale (via A.Cantore), il Comune concesse un campo nel retro di villa Scassi (detto “la scatola delle pillole” perché piccolo). Presidente era divenuto Ravenna che firmò l’autonomia dalla società madre.
la squadra nel campo Villa Scassi stemma fascista della federazione Sportiva
Nel 1921 tre giocatori (Boldrini Renato, Ramasso Sebastiano, Carzino Ettore) sono in Nazionale (Italia Svizzera 1-1); nel 1924 vittoria sul Genoa campione d’Italia.
Nel campionato diviso in gironi, inizia in quello B nel 1926-7, quando istituita la “grande Genova”; in data marzo 1927 si legge una lettera del presidente Alfredo Nasturzo, mirata a raccogliere fondi per creare un nuovo campo, la “Sezione Autonoma Giuoco Calcio / della Società Ginnastica Comunale Sampierdarenese / affiliata alla FIGC / con segreteria in via G.Mameli, 11r e campo : Villa Scassi. In essa si accenna che ‘la prima squadra , passando di vittoria in vittoria si appresta , con salda fede a sormontare gli ultimi ostacoli per arrivare a conquistare il diritto all’ingresso nel torneo finale, ambito appannaggio delle sei migliori squadre Nazionali’.
Dal governo fascista fu imposto (anche a Roma si diede una spinta alla fusione, per far posto alla Roma) la fusione con l’”Andrea Doria” per divenire la “Assoc. Calcio ‘la Dominante’” (divisa nera, con stemma di un grifone affiancato dal fascio; ma con un destino inverso al nome. Per le ripetute sconfitte subite, nel campionato 1927-8 fa ancora parte del girone B ove arriva penultima e non ha diritto ad entrare nella serie A del primo campionato nazionale). Nel genn. 1929 ne era presidente Manlio Diana
Si smise giocare a villa Scassi e furono trasferiti a Cornigliano allo ‘stadio del Littorio’.
Furono così imposte ulteriori fusioni coatte (con la Corniglianese; la Sestrese: la divisa nera assunse i bordi verdi; e la Rivarolese) riusando per la seconda volta il nome di “Liguria” FBC (“Associazione Calcio Liguria”), con maglia a banda rosso-nera e bordi verdi; ciononostante nel campionato 1931 la squadra più volte non riuscì ad avere il numero di giocatori sufficiente a disputare una partita perdendo a tavolino (la scusante fu non avere i mezzi per pagare gli ospiti): non si evitò la retrocessione in serie C.
“Separando e strasse” dopo fusioni e nomi nuovi, il segretario locale del fascio Benvenuti, riconvocò Cornetto, accettando i vecchi dirigenti già esautorati (Lenuzza, Buttignol, Riccardi e Barenghi presidente), e che si tornasse a chiamarla Sampierdarenese.
1933-4 nel nuovo campionato, iniziò a risalire la china tornando in B (una lettera datata marzo 1934, firmata dal presidente on.Com.te M.Barenghi, intestata «Associazione Calcio Sampiedarenese / Genova – Sampierdarena – (in timbro:) “Sede Casa Littoria / Campo di giuoco: Stadio municipale del Littorio / Genova Cornigliano / Coni-Figc-Fidal» = segnala che la squadra sta disputando il Campionhato Italiano Divisione Nazionale B, con diritto a disputare la finale “per consentire la tanto agognata promozione fra le elette...”; chiede soldi...
E poi in A (dopo che, avendo vinto prima il girone d’Italia del nord, sul neutro del ‘Comunale’di Bologna a giugno vinse 1 a 0 –indossando una provvisoria maglia verde che era la seconda del Bologna- anche la disfida col Bari vincitore del gruppo SudItalia e che aveva una maglia similare alla nostra (ricordati Felsner allenatore magiaro; Ciancamerla Edgardo, Poggi Gino detto Gipo, Bossi, Lancioni, Rigotti, Gay, Nervi, Bodrato, Gallina (altri scrive Galli), Munerati, Barisone, Fossati; e infine, imprestati dal Genoa -che retrocede in B- Comini (che veniva incitato al grido di “hoppo, hoppe”) ed il portiere Bacigalupo Manlio). Apoteosi della squadra in piazza VVeneto.
1934-5 va via Felsner (per Bologna, dove vincerà due scudetti) arrivano Busini e venturini; si piazzerà tredicesima.
1935-6, presidente Tito Nasturzio, arriverà dodicesima. A fine campionato verrà ceduto Comini alla Fiorentina mentre Venturini sarà chiamato per la squadra olimpica a Berlino.
1936-7 presidente Barenghi, salvezza in A per un solo punto, a scapito del Novara.
1937-8- Cambia di nuovo presidente in Moio (ex maresciallo dei Carabinieri, in qualità di dirigente capo del personale dell’Ansaldo: fa finanziare la squadra dalla società; fa allontanare Cornetto &C, vende al Milan Gipo Poggi e pretende la rinomina con rinomina –terza volta- di A.C. “Liguria”; finì all’11 posto.
1939-40 Ricambiato presidente e sponsor (l’AGIP) di nuovo retrocessione in B. Nuova riassunzione di Cornetto che – 1940-1- con Balonceri, fa tornare la squadra in A (la partita con LaSpezia avvenne nel giorno del bombardamento navale del 9.2.1941).
Durante il campionato 1941-2 in A, probabile nuova retrocessione in B ma non fu concluso per questioni belliche. E tutto rimarrà sospeso per tre anni.
Alla ripresa post bellica, nell’apr.1945-6 la Sampierdarenese calcio si ritrovò che nell’ultimo campionato svolto regolarmente, era in A -seppur ultima-. Diviso il campionato in due settori, la Sampierdarenese (tornata tale dal Liguria) rimase d’ufficio in serie A-Alta Italia finendo di nuovo ultima mentre l’ADoria terzultima; ma senza retrocessione, perché quel campionato fu definito ‘di transizione’ e venne deciso che il vero Campionato di serie A, girone unico, iniziasse con 20 squadre scelte tra quelle con maggiore tradizione nel 1946-7 (questo costò all’ADoria finire in B perché la Sampierdarenese risultò più titolata).
La società quindi era stata scelta per la serie A assieme al Genoa; ma era in condizioni economiche disastrose e nell’impossibilità di affrontare un campionato con trasferte in Italia ed acquisto di calciatori adeguati. Grosso problema, non trovando il mecenate che apportasse i dovuti mezzi finanziari. Un gruppo, guidato dagli inossidabili Cornetto e Buttignol, preferì riperdere l’ autonomia rifondendosi -tra fischi ed insulti, il 12 ago.1946- con la più florida Andrea Doria di Aldo Parodi che era destinata alla serie B e che portava 17 milioni di capitale, dando vita nello studio dell’avv. Bruzzone alla Unione Calcio Sampierdarenese-Doria “Sampdoria”, con maglia azzurra, fascia bianca contenente le strisce rossonere, lo stemma di Genova sul petto e primo presidente Piero Sanguineti.
I ribelli si riunirono, e diedero vita alla Sampierdarenese/46 descritta in via GB Millelire 4 avendo oggi sede nel campo del Morgavi.
Nel campionato 2005-6 dalla Promozione sono stati promossi in Eccellenza essendo arrivati secondi nel campionato e vinto il play-off; e l’attaccante Carbone capocannoniere . I Lupi sono diretti da Gino Grasso e Gianni Siri.
Le ragazze cresciute all’ombra dei maschietti, furono però promosse al campionato interregionale nel 1973. Divenute Sampierdarenese-Serra Riccò, sono la punta di diamente del calcio femminile regionale (inserito nella FIGC che a Genova iscrive 8 squadre femminili) giocando in A2 dopo esserne state promosse nella stagione 04-05 ed aver mantenuto la serie con un sesto posto (05-06) ed un terzo (06-07, con coppa disciplina). La società nel 2008 ha presidente EugenioBuscaglia e 150 soci
--CANOTTAGGIO: sezione nata il 27 sett.1920, con una sessantina di soci, sede presso i bagni Italia di via C.Colombo, e regolare iscrizione al regio Rowing Club.
La prima grossa difficoltà fu “armarsi” di imbarcazioni idonee alle gare: gli stessi atleti l’anno dopo dovettero comperarsene una, facendo un prestito, e battezzandola col nome della nostra città. Ma il gruppo si estinse il 23 lug.1926 lasciando poche tracce della sua breve esistenza. Soci e materiale confluirono nel Club Nautico Sampierdarenese mentre però i lavori portuali resero necessario assecondarne supinamente gli spazi compreso l’area dell’Idroscalo.
Essi, col nome ‘Canottieri Sampierdarenesi’, in sigla CAS, furono coinvolti come tutti, prima dalle leggi fasciste che cercarono di cambiare solo la maglia (azzurra per tutti) sulla quale loro applicarono le strisce orizzontali rosso-nera; e dopo dal conflitto mondiale. Ma la ristrutturazione del porto nel dopoguerra obbligò al trasloco nel 1962 in Sestri con sede in via Cibrario 3, bacino d’acqua prospicente l’aeroporto. Dal CONI è stata insignita del merito di “stelle d’oro e d’argento a merito sportivo. La Società, negli anni 2000 svolge atletica nel campo del canotaggio, canoa e diporto
Negli anni 50 l’otto (con istruttore e timoniere Aldo Roncagliolo), si qualifica per le olimpiadi; nel 1956 e 1960 GCarlo Casalini ne prende parte a Melbourne ed a Roma. Negli anni 60 si evidenzia il due-senza juniores con la conquista del tricolore; ed altrettanto nel 67 e 70 per i canoisti. Negli anni 70 molti atleti vestono la maglia azzurra: vengono citati Pezzini, Rossi, Armezzani, Pidatella, Saracino, Firpo, Conti, Buffa, Gabbia, Maspero. La Società vedeva ancora negli anni 70 varie difficoltà (articolo di Spadaro): «il reclutamento; apparendo difficile ”chiedere ai giovani di sottoporsi ad una disciplina sportiva che richiede grandi sacrifici”; gli allenatori ovvero mancanza di preparatori all’altezza della situazione; nessuno sponsor che contribuisca ad aiutare questo sport (anche –come in Russia- ove l’industria da tempo libero a chi pratica allenamenti); disinteresse delle autorità; giornali che non dedicano spazio. Però si riconosceva che in Liguria l’unica società che ha dato “un grande contributo di vittorie, è la S.C.Sampierdarenese” con presidente il comm. Salvaneschi che rimarcava la più alta riprovazione per il sovrano disinteresse, anche di chi per preciso compito dovrebbe sostenere le società. (e sarebbero il Comitato di zona che dovrebbe organizzare gare locali ed il Provveditorato scolastico). Nel sett/74 Roncagliolo segnala due ori, un argento e tre bronzi nell’incotro Francia (del sud)-Liguria. E pochi giorni dopo Campioni D’Italia nel 4-con/categ.veterani (=Vespa, Casalini, Fornaciari, Scotto, Roncagliolo); e nella categ. Skiff-baby (<11anni =Scotto jr).
Nel 1998 (ottobre) le sorelle Trenta, Angela e Paola allenate dal padre Pino (vecchia gloria del club) conquistano l’argento ai campionati italiani nel doppio senior.
Per la sopravvivenza, conforta che nell’anno 2002 ha fornito, più di tutte le altre società liguri, quattro giovani alla Nazionale canottieri. Dal 2003 è subentrato alla guida del settore giovanile Simone Bruckner (cresciuto nello stesso nostro club a livello agonistico, dovettepassare a club di maggiore spessore come il Rowing per continuare e raggiungere zona medaglie, sino al 1998; da allora tecnico) con paralleli risultati a livello nazionale; dal Coni provinciale nel genn.2004 ha avuto premiati con ‘stelle al merito sportivo’ campioni italiani in varie specialità relativi agli anni 1998-01: Bo Nicolò (bronzo, 1999 e 2000), Boninelli Andrea (bronzo, 2000), Gobbi Andrea (bronzo, 2000), Scionico Davide (bronzo, 2000), Verardo Fabio (bronzo, 2000). Poi sarà DiVietro Flavio a raccogliere una medaglia al mondiale del due-con juniores. Nel 2006 tocca a Kevin Missarelli essere azzurro ai mondiali di Amsterdamn (nono posto finale); a Silvia Vignolo essere campionessa italiana juniores; e bronzo al quattro di coppia seniores al titolo italiano.
Nel 2008 la soc. fa parte della Struttura Federale FIC dove è scritto essere S.C.Sampierdarenesi; vede presidente Giuseppe Spatola, con nutrito gruppo di tecnici e di validi atleti che mirano molto in alto avendo vinto molte gare nazionali di selezione
--LOTTA GRECO ROMANA: attiva dai primi anni del 1900, acquisì fama per merito di un “foresto” savonese, Mario Cocco, arrivato in città per lavoro: iniziò una scuola che sfornò campioni, perla quale dal 1913 al 1928, si ebbe una delle sezioni più forti in campo nazionale. Vengono ricordati anni 1911-12: Azzarita; Bovone Italo (campione italiano medi); Lanzone; Montano Tesio; Morando detto Belzebù; Ponzini Tito Vezio; Torre; Divenne autonoma; non sappiamo quando.
--PALLANUOTO e NUOTO sicuramente una delle prime attività della società; assieme alla pallanuoto (Tuvo mescola i due sport in una miscellanea unica; mentre il nuoto ha la storia parallela alla vita col mare, lo sport della pallanuoto nacque inInghilterra nella seconda metà del 1800; nel 1877 vennero scritti i primi regolamenti e la disciplina venne ammessa ai giochi olimpici del 1900 col nome di water-polo). Però, mancando le piscine, all’inizio le gare erano solo marine, da boa a boa, con sede direttiva presso i bagni Colombo gestiti da un socio dirigente ed appassionato atleta. Nel 1919 la sezione si fuse -come il calcio (vedi)- con la società “Pro Liguria” (che era nata nel 1910 ed era una delle più forti d’Italia. Aveva tra gli iscritti (quelli sottolineati, giocavano anche nella pallanuoto) Pippo Rolla –divenuto poi organizzatore-; Azzariti, Baiardo Davide, Brugnera, Costa Malito, Frassinetti Silvio ed Agostino, Guaraglia, Lungavia Umberto, Sachner (detto il siluro), Sommariva Adriano), acquisendo un forte gruppo di atleti che assieme agli atleti presenti e partecipi a questa fusione: Bertoli, Bertorello, Boero, Brusati, Devoto, Frassinetti Settimio (fratello dei due sopra), Maretti, Patrone, Rasia dal Polo, Rollo, Storace, Secondo, Valle, Veschi, Zignone, permisero essere iscritti nella Prima Divisione Ligure (la più alta) e dominare in Italia.
Da ricordare anche Quintarelli, Sommariva Elio, Bianconi, Cocchetto, Avvanente, Bagnasco, Bisagno.
--La squadra fu campione d’Italia nel 1922 e nel 1927
--Singolarmente vincitori: Baiardo, veniva da Voltri, fu quattro volte olimpico
Frassinetti Agostino, fu tre volte olimpico (A JonvilleLePont=1919, Anversa=1920, Parigi=1924), e campione italiano nel 1921 e 22. Campioni anche i fratelli Silvio e Settimio
Marchisotti Giuseppe, detto Pinin, fu argento italiano nel 1919
Sommariva Adriano era un fondista
Sommariva Silvio 1929 campione d’Italia dorso e 1930 staffetta.
Lungavia Umberto olimpionico nel 1920, uno dei migliori d’Italia; ricordato da Tuvo come quello che introdusse ‘la rovesciata’ Ad Anversa partecipò alla gara in mare rischiando l’assideramento: metà iscritti si ritirarono
Bacigalupo Luigi fu definito “il Coppi del nuoto”. Iniziò la carriera nel 1913 a quattordici anni vincendo una gara di fondo internazionale; fu la prima di cinquencento vittorie.
Gamba Giacomo ; iniziò tredicenne e venne nella squadra nel 1929 esoerdendo in nazionale
1919 1921
1924 allievi
Dai più alti livelli nazionali, breve il passaggio a partecipare alle Olimpiadi nel 1920 e 24 (Dalla nascita ad oggi, gli olimpionici della società sono stati sedici, di cui nove presenti assieme ad una olimpiade; primato mai raggiunto da nessun’altra società nazionale.
Poi arrivarono altri atleti tra cui indimenticabili Angrisani, Baldini, Bianconi –(vincitore delle ‘traversate di Roma’), Bisagno, Bonadeo, fratelli Caorsi, Cocchetto, Ghibellini senior, Giannitrapani, Manzini, Marchisotti, Piano, Paraboschi, Quintarelli –detto bacchaê-, Sommariva Amleto, Sommariva Elio -azzurro d’Italia, il più forte della famiglia-,. Dirigenti erano diventati Scasso, Riccò, Maretti, RasiaDalPolo.
Il 10 lug.1922 -campioni d’Italia-, si riconobbe l’opportunità di separarsi dalla società madre, e mantenere una attività autonoma. Nel 1924 avvenne –nel bacino del porticciolo- una grande manifestazione natatoria preolimpionica, e Frassinetti fissò un record di 1’04” sui 100m..
Nel periodo fascista, fu cambiato il nome in “32.a Legione m.v.s.n.” che nel 1926 giocò la ‘coppa Littorio’ vincendo la finale contro la Libertas-Sestri in una accesissima partita che subì anche la sospensione a 5’ dalla fine per scorrettezze.
Nel 1946 riprese il vecchio nome, partecipando anche ad incontri nazionali.
Leggiamo nel 1952 che la FIN decise far giocare a girone unico le eliminatorie del campionato pallanuoto di serie B: la squadra arrivò seconda a pari punti col Nervi, dietro al Recco. Poiché l’anno dopo la ritroviamo in serie B si deduce che nel 52 non aveva vinto.
L’anno 1953 si concluse al secondo posto a pari punti con il Genoa, dietro all’Olona. L’anno successivo, 1954 –mentre l’Olona è ancora in B- non vi compaiono né il Genoa né la Sampierdarenese (e questo ancora nel 1955,56 e 57); lascia presupporre siano ambedue passate, dal campionato cadetto, a quello di A o, come per la Libertas di Sestri, per chiusura degli spazi balneari, non solo trasferimento a ponente o declino peggiore.
Ad imperitura memoria e testimonianza ai giovani, degli atleti olimpionici Tubino GB e Capuzzo Oreste, la società ha avuto in dono dai familiari e mette in mostra in una bacheca chiamata ‘stella d’oro’, tutti gli allori da loro conquistati.
DEDICATA all’atleta sampierdarenese, qui nato nel 1889 e cresciuto frequentando la società Universale ove alla scuola di Rota ed Armirotti, assimilò le teorie mazziniane e repubblicane di cui divenne fedele assertore.
Lavorò in collaborazione di Pietro Chiesa, occupando la carica di “console” nell’organizzazione sindacale regionale di allora, e quale rappresentante degli operai di San Pier d’Arena.
Come attività collaterale, si era iscritto nella Sampierdarenese, sezione sollevamento pesi, divenendo a 19 anni già campione societario, e negli anni 1908, 9,10 campione d’Italia.
Arruolatosi volontario nell’esercito, col grado di sergente di fanteria (89° reggimento) nella notte tra il 23 e 24 ottobre 1915 cadde eroicamente combattendo la terza (di dodici) battaglia dell’Isonzo, sul Mrzli Vrh – su alcune carte italiane riportato Merzli, o Smerli; un monte del bastione monte Nero sulla sinistra dell’Isonzo. Il nome, in slavo, significa ‘Cima fredda’; e la zona - più conosciuta come Tolmino - ora non è più territorio italiano –; a fine guerra (quando la popolazione civile poté tornare dall’evacuazione forzata) fu trovata corrosa dal lavoro umano di trincee, ma soprattutto da migliaia di bombe.
La battaglia era iniziata il 2 giugno con un fronte lungo 600 km; la dorsale Monte Nero - Mrzli è da conquistare per aggirare da nord Tolmino sull’Isonzo, base logistica determinante austriaca; con sanguinosi assalti di alpini prima e bersaglieri dopo, alla baionetta (gli ufficiali con la sciabola sguainata), dopo aver superato mitragliatrici e filo spinato. Alla fine di quel giorno, un terzo del reggimnto fu falcidiato assieme alla totalità degli ufficiali superiori, e costretti a ritirasi, non aver guadagnato un metro di terra. Seguiranno attacchi fallimentari ed eroismi sanguinosi, immortalati da Achille Beltrame sulla Domenica del Corriere, ma con morti a migliaia (in rapporto a nostro svantaggio perfino di uno a tre) e feriti a dismisura, inumanamente molti lasciati a morire sul posto o trasportati senza conforto né norme igieniche, senza lenire il dolore e mediczioni adeguate. Ben presto i camposanti di fondovalle divennero saturi, ed i morti vennero sepolti in buche naturali (“prima i pezzi irriconoscibili, coperti di calce; poi strati di cadaveri coperti di calce; infine terra, terra, ed infine una croce catramata nera”).
Gli italiani lanciati alla conquista – reggimenti di minatori soprattutto - inizialmnte non avevano né ripari né rifornimenti; e solo con la loro opera ricuperarono qualche grotta. Ma fondamentalmente all’aperto, sotto teli militari, sretti l’un l’altro per sopportare la neve prima ed il fango dopo. Mentre invece gli austriaci avevano un campo militare trincerato molto importante e ben rifornito dalle retrovie, che fu lungamente conteso con asperrime e sanguinose lotte, ricche di colpi di mano e di eroici sforzi e vittime: per entrambi i contendenti, ma con gli italiani in posizioni militarmente svantaggiose (sottoposte come posizione, a volte di solo pochi metri; melma a non finire; freddo; scarsità di rifornimenti; assalti per conquistare posizioni svantaggiose; tutto ai limiti etremi della sopportablità umana.
la zona di guerra dove ha perso la vita Storace
Dopo una giornata relativamente tranquilla, alle ore 15 del 23 ottobre la brigata Salerno va vittoriosamente all’attacco alla baionetta del primo fortissimo trincerone, sulle pendici vicine alla vetta del Mrzli (snaturatamente immortalati dal Beltrame: non alpini puliti, ordinati e impeccabili e tra rocce pulite; ma belve accecate dal bisogno della sopravvivenza in sparsi giochi mortali della vita reciproca, in un contesto pieno di macerie sconvolte centinaia di volte, filo spinato, ma soprattutto tanti morti e tantissimi feriti urlanti), e per vari giorni resisterà ai feroci contrattacchi dei temuti bosniaci.
In queste operazioni, fu riconosciuto meritevole della medaglia d’argento al V.M.; la motivazione recita: “nei combattimenti svoltosi durante la notte e nell’assalto della postazione nemica eseguito il mattino successivo, tenne costantemente contegno eroico, servendo d’esempio e d’incitamento ai propri dipendenti, fino a quando cadde morto.
Mrzli, 23-24 ottobre 1915”.
All’alba del 24 ottobre, l’89° fanteria riparte dalla trincea per cercare invano di conquistare la cima. Ogni grosso attacco, costa due-trecento morti; in ottobre la Brigata ha perduto 1200 soldati e 24 ufficiali. Per nulla, sarà da queste trincee che due anni dopo, il 24 ottobre 1917, dopo aver fatto brillare una mina che sconvolse le nostre trincee, il generale Gerabek - comandante della 50a divisione austroungarica e della affiancata 12a divisione di germanici slesiani – travolse il fragile sbarramento e dilagò fino a Caporetto).
lapide nell’Universale cerimonia 28.10.1934 a Roma- il Coni consegna
ad un balilla sampierdarenese un moschetto, in
memoria di DGStorace unico campione della FIAP
caduto in guerra e decorato al V.M.
Una lapide lo ricorda, affissa nelle pareti della società Universale, presso la palestra : “caduto eroicamente a Tolmino - il 24 ottobre 1915 – emulo di antiche glorie repubblicane - nei giochi ginnici crebbe le forze – negli insegnamenti di Giuseppe Mazzini – educò il cuore alla lotta e al sacrificio – la democrazia sampierdarenese – personificando in lui – le anime generose dei compagni di fede – che alla loro vita – anteposero la libertà e la grandezza d’Italia – lo addita ad esempio di magnanime opere – ora e sempre – “.
BIBLIOGRAFIA
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-Tuvo&Campagnol-Storia
di Sampierdarena-D’Amore 1975-p.283.298foto
STRETTA strasetta
Stretta
in fucsia la Fortezza; giallo, la crosa Larga; verde, la scritta ‘Strasetta Stretta’.
Così appare scritto –anche se non facilmente leggibile- sulla carta del Vinzoni del 1757, relativa a questa comunicazione tra la strada principale (oggi via LDottesio) e la strada a mare-.
A sua volta separante orti e frutteti: a levante della proprietà degli Spinola ed a ponente quelli dei Grimaldi (questi, con villa sulla strada principale e -della famiglia- anche la casa fatta a L posta d’angolo a mare. Le case a mare nella proprietà Grimaldi –per quanto è leggibile- sono descritte a via Spinola di San Pietro).
Considerato che a ponente della proprietà Grimaldi c’era la ‘crosa Larga’ (la quale la separava da quella di altri Grimaldi, di palazzo della Fortezza), non sfugge la legge dei contrapposti nel dare il nome a queste due vie parallele.
Non corrisponde al ‘vico della Catena’ (vedi; che viene descritto essere stato proprio di fronte all’ingresso della villa Spinola); potrebbe essere stato quello che in altri scritti viene intitolato ‘strada NS della Vista’ (vedi). Oppure è un tracciato che è stato distrutto dalle costruzioni del 1800.
STRETTO vico Stretto
Corrisponde all’attuale vico stretto sant’Antonio (vedi a A)
Le origini del vicolo, ovviamente anonimo, traggono fonte dai recinti o muretti delimitanti le proprietà delle ville cinquecentesche.
Nel 1757 -carta del Vinzoni- si rileva che lo spazio era occupato da un sentiero delimitato a ponente dalla proprietà di due signori: ‘M.ci Crosa’ a nord, e ‘Sig. Stefano Cambiaso a sud, con rispettive ville tuttora esistenti; ed a levante la proprietà del magnifico Giorgio Spinola. A mare, in corrispondenza dello sbocco di due rii provenienti da Promontorio e congiungentesi in corrispondenza del nostro vicolo, viene riportato il nome di “ sc di S.t’ Antonio” dove “sc” non è comprensibile se scalo o cosa altro.
Una carta di poco posteriore precisa che la proprietà Spinola ha cambiato intestatario (illeggibile= “ora Adolfo Nazaro”?)
In questi anni attorno al 1840, il carruggio delimitava il quartiere ‘Comune’ esteso a ponente, dal Borraghero a levante.
La ferrovia (1845), affiancata da via Vittorio Emanuele (attuale via G.Buranello), tagliò a metà questi terreni, che a levante verranno selvaggiamente lottizzati con costruzione di caseggiati e l’apertura poco vicino anche di via Gioberti, che prima non esisteva.
Ancora a metà del 1800, la zona attorno era tutti orti coltivati; i proprietari terrieri erano cambiati, ed anche il nome pare definito anche se non ancora ufficialmente, assumendo la titolazione “crosa sant’Antonio”. Allora delimitava a ponente -nella parte a monte sempre della famiglia Crosa (poi divenuta proprietà Diana), -nella parte a mare la proprietà di Parodi Bartolomeo (fu Giacomo evidente allora proprietario della villa Cambiaso, poi ex Pretura); a levante la proprietà di Sasso Emanuele fu GB (dalla strada comunale ora via N.Daste, alla strada Reale a mare ora via Sampierdarena).
Come anche scritto in basso sulla targa attuale, già agli inizi del secolo 1900, alla popolare dedica al santo, fu dato ufficialmente il nome di” vico Stretto”, da via C.Colombo (via Sampierdarena) a raggiungere la strada comunale (via N.Daste ). Può apparire ovvia la scelta di chiamarlo così, in contrapposizione alla vicina “via Larga” (via Palazzo della Fortezza), posta poco più a levante.
Allora vi erano ubicate le case della vedova Parodi al civ. 1 ed il baraccone Ronco-Carosio al civ.2.
Nel Pagano 1902 è scritto solo al civ. 1 lo straccivendolo Frontali Socrate’*°. Anche nel 1921 al civ.2 c’era il negozio di stracci (nella classificazione del Pagano, stracci era anche per cartiere e lanifici) della ditta Veardo Angelo & figli (che nel 1911-20 era in via V.Emanuele ad un civico non precisato).
Compare nell’elenco delle strade comunali, ufficialmente riconosciuto come “vico Stretto” nel 1910, da via C.Colombo a via S.Antonio, con civv. 2 e 4 .
Ma la sua fine fu decretata con l’unificazione della nostra città nella Grande Genova: anche il Centro e Borzoli avevano un vicolo omonimo, e la decisione fu ovviamente mirata a salvare quello del centro anche se attualmente nessuna strada genovese porta più questo nome.
Ancora nel 1933 , questo era il nome ufficiale della crosa (quando via N.Daste si chiamava via generale Cantore), di 5.a categoria, e con civici sino al 2 e 7.
Solo più tardi, il podestà di Genova, nel riordino delle strade cittadine conseguenti all’annessione di San Pier d’Arena nella Grande Genova, il 19 agosto 1935 con delibera n. 1657, definì si chiamasse vico stretto sant’Antonio, unendo in compromesso, il vecchio nome col nuovo (in quell’ anno anche le strade agli estremi mutarono nome divenendo via N.Barabino e via N.Daste).
BIBLIOFRAFIA
-Archivio Storico Comunale
-Archivio Storico Comunale Toponomastica, scheda 4332
-DeLandolina GC- Sampierdarena -Rinascenza.1922- pag. 56
-Lamponi M-Sampierdarena-LibroPiù.2002- pag.87
-Novella P.-Strade di Genova-Manoscritto bibl.Berio.1900-pag.19
-Pagano 1933-pag. 248
SUPERIORE strada Superiore
Nella carta vinzoniana del 1757 è anonima.
Negli atti ufficiali di prima del 1850, questo era il nome (probabilmente anche popolare) dato all’asse interno, dalla Lanterna (oggi l’insieme di via De Marini, via L.Dottesio, via N.Daste) a piazza del Mercato (la zona via ACantore civ.50, Salvemini-Sciamà); ed oltre, fino anche a Rivarolo (detta ‘Superiore a nord’, poi san Martino) o al Ponte; in contrapposizione alla “strada della Marina” che invece dalla lanterna seguiva la linea costiera.
Nel regio decreto del 22 mag.1857, ancora si descrisse con questo nome la via del borgo che dal bivio nella zona Coscia percorreva il centro (da Largo Lanterna si apriva un trivio, con via De Marini a monte; via VittorioEmanueleII oggi via G.Buranello-p.za VVeneto-via P.Reti-v.W.Fillak nel centro; e la strada della Marina oggi via Sampierdarena-via Fiumara).
A fine 1800 la troviamo chiamarsi anche “Comunale” ed essere così suddivisa: via DeMarini (da Largo Lanterna a via Larga); via sant’Antonio (da via Larga a via della Cella); via Mercato (da via della Cella al trivio (crosa Buoi, san Cristoforo verso il Ponte e san Martino verso Campasso)).
Nel 1900, alla morte di don Daste, si volle dedicargli una strada. Fu eliminata la titolazione di via Mercato e sostituita con il nome del prete.
Nel 1920-30 dopo la prima guerra mondiale, si volle onorare il generale Cantore. Fu eliminata la titolazione a sant’Antonio e sostituita con ‘via generale Cantore’, sempre fino all’incrocio con via della Cella.
Nel 1930-35 con la nascita di via di Francia e di via Antonio Cantore, avvennero queste modifiche: via DeMarini ( accorciata da Largo Lanterna a via di Francia); via L.Dottesio (da via di Francia a via Larga -a sua volta divenuta via J.Ruffini); eliminata la primitiva dedica al generale Cantore ‘spostato’ di strada, divenne tutta via N.Daste dalla via Larga (via Palazzo della Fortezza) fino al l’incrocio con via Carzino (essendo nel frattempo scomparsi gli ultimi cento metri inglobati da via A.Cantore)).
BIBLIOGRAFIA
-Archivio Storico Comunale.