2007 - Articoli pubblicati
N. 1 - GENNAIO -pag . 3 lettera al sindaco Pericu ..........................
9 l’importanza del medico di famiglia ........
12 il grave problema degli psicofarmaci.......
14 e brava Roberta
17 come eravamo notizie sulla torre del Labi....
n. 2 – febbraio - pag. 5 come eravamo palazzo del riso ..........................
10 i malesseri provocati dallo stress ............
i problemi della circolazione ..................
12 vorremmo rivedere il monumento..........
17 ginnastica sampierdarenese ...................
n. 3 – marzo - pag. 2 il perché delle cose ...............................
12 dopo il ‘fascino del disordine’ ............
19 venti minuti e venti secoli....................
23 come eravamo l’oratorio di san Martino...........
25 un sampierdarenese fatto così, SergioT...
NonnoNonna7: la tribù dei nasi chiusi......
Che cos’è il dolore....................................
26 di nuovo i Rumeni...................................
n.4 – aprile -pag-. 5 l’assurdo incidente mortale in porto........
6 san pier d’arena in prima pagina .............
9 i mille e la resistenza ..............................
11 come eravamo ancora sull’oratorio di sMartino ........
12 precisazione
18 i farmaci generici.....................................
n. 5 – maggio - pag. 7 una nuova etica tutta da scoprire.............
17 il morbo di Alzheimer ..........................
18 lo scautismo a san pier d’arena ............
19 la paura dei farmaci
n. 6 - giugno -pag. 4 la serendipità
7 depuratore................................................
8 come eravamo SPd’a stravoltra - la Coscia ...................
12 alla Cella il dipinto del Carlone ............
13 testamento biologico .............................
19 eroi o cavie ...........................................
n. 7 – luglio -pag. 3 i gatti del cimitero della Castagna......... n. 2
8 ‘tenere’ la sinistra..................................n. 1
10 via Fiamme gialle GdF.......................... n. 15
12 quando la stanchezza diventa malattia .... n. 13
ma il caffè fa davvero male?................ n. 12
n. 8 - settembre – pag. 8 come eravamo – via Daste......................n. 4
21 le minoranze etnicolinguistiche .............. n. 3
n. 9 – ottobre - pag. 12 la caserma Testero .............................
onestà per il rispetto delle regole ......... n. 11
n. 10- novembre – pag. 8 crosa dei buoi o dei bovi? .............. n. 10
12 influenza: il guaio dell’inverno ............. ....n.14
14 il leone ha perso la testa ........................
16 Francesco Gais................................. n. 9
n. 11 – dicembre -pag. 4 c’era una volta la gioia di Natale..............n. 7
le origini delle più belle canzoni natalizie..n. 8
5 a proposito di dignità........................... ..n. 6
12 il colpo di frusta cervicale .............. ... n. 5
n. 1 MARCIA A SINISTRA
Ci segnala il sig.Monaca Salvatore, sarto di mestiere e cultore di storia per hobby, che ne l’Annuario Generale 1912 del TCI, n° 187, pubblicazione semestrale giunta al XVII anno di edizione gratuita ai soci, esiste una interessante novità riguardante la nostra città: la circolazione dei veicoli, a sinistra, come in Inghilterra. Il testo preciso, tratto dal capitolo « Notizie d’interesse ciclistico e automobilistico – 1912», testualmente scrive: «VELOCITÀ.- Essa deve essere regolata in modo da evitare ogni pericolo per la sicurezza delle persone e delle cose. In nessun caso può superare nell’interno delle città i 15 chilometri all’ora ed i 40 chilometri in aperta campagna di giorno ed i 20 km. di notte, salvo sempre a moderarsi convenientemente nei tratti a visuale non libera, negli incroci delle vie, specie nei passaggi a livello ferroviari e dovunque la circolazione sia intensa. Deve inoltre ridursi secondo le prescrizioni municipali indicate nei tratti di via che si percorrono e limitarsi al passo d’uomo nelle traverse degli abitati rurali.
MANO DA TENERE.- Gli automobili devono tenere costantemente la propria destra e solo per oltrepassare altri veicoli portarsi sulla sinistra. Avvertesi però che nell’interno delle seguenti città si deve tenere la mano sinistra: Firenze, Milano, Padova, Parma, Roma, Sampierdarena, Savona, Torino e Verona. ».
L’avviso non compare più nell’edizione del 1916, del periodo bellico.
Fa piacere leggere la nostra Piccola Città, alla pari con altre ‘grosse’, anche se solo per una informazione che stupisce e che non ha immediata spiegazione; solo iniziali supposizioni.
Pensandole tutte, esse vanno dalla più banale e meno valida, del Touring che sia sbagliato; oppure che si era agli inizi di un ‘traffico’ stradale, dapprima libero e che solo allora prendeva nuove regole; o una similitudine inglese, non facilmente capibile né per le altre città dove poteva forse esserci una giustificazione turistica, né per noi essendo ormai sorpassata l’epoca dell’”invasione” dei vari anglosassoni Taylor, Wilson, MacLaren, Stephenson e Spensley; o infine e più probabile, l’essere in sintonia con i treni (la prima linea, sul viadotto di via G.Buranello, era stata inaugurata sessanta anni prima, nel 1853), i cui binari numerosi percorrevano le attuali via A.Pacinotti e San Pier d’Arena e –a mo’ di denti di pettine- mandavano ramificazioni verso le officine varie nelle strade interne, attuali piazza Treponti, via G.Buranello, G.Giovanetti e piazza del Monastero.
L’informazione è surrogata solo da alcuni tramway – fa fede l’asta del troller rivolta all’indietro - che, forse all’inizio del servizio procedevano sui binari di sinistra (gli Omnibus su rotaie c’erano dal 1877; la diavoleria delle vetture elettriche dal 1893; l’UITE dal 1895; a San Pier d’Arena dal 1898). Chi sa, ci informi.
EBaglini
NB le parti evidenziate in giallo possono ( lo stono state) essere eliminate per prime, se l’articolo è lungo.
n. 2 i GATTI
del cimitero
Ci segnala una nostra lettrice, che è
scomparsa la colonia dei gatti che viveva nel Cimitero. Uccisi? Sicuramente si,
dopo averli visti ultimamente molto deboli e dall’andatura stranamente
scorretta.
É dramma per molti: mortificante per le poche Signore popolarmente dette ‘gattare’ che – un giorno si ed uno no – con qualsiasi tempo e stagione portavano cibo e protezione alla diecina di gatti che crescevano ‘senza padrone’ nei pressi del Cimitero. A carico loro, le spese del viaggio, vitto, veterinario, castrazioni, medicamenti, antipulci, ecc. In cambio di un poco di affetto. Ma altrettanto dramma, ben più grave e da disprezzare, è che il ‘giustiziere’ si sentirà fiero di se stesso.
Evidentemente quell’ ‘umile’ servizio non ha suscitato pietà, o comunque non ha fatto piacere a qualcuno che – forte dell’impunità e di una non piccola crudeltà, sia verso gli animali che le persone volontarie – ha avvelenato pressoché tutta la colonia (è l’ipotesi più probabile; si spera non abbia usato il badile o peggio). Screzi con alcune persone erano già avvenute, ma non si pensava si arrivasse a tanto. In più, probabile che adesso i topi (grosse pantegane, non topini da cantina) la faranno da padrone anche al Cimitero. A chi compete un po’ di giustizia in questa gestione? Avverrà, come al solito, che i più deboli debbano solo subire in silenzio?
n. 3 LE MINORANZE ETNICHE-linguistiche
Tutti, in democrazia, hanno diritto di essere ascoltati, salvaguardati e protetti; ma nessuno dovrebbe essere preferito agli altri. Così, altrettanto, le minoranze, le ‘micronazioni senza stato’ (con usi propri, sociali, sessuali, religiosi, economici, ecc.) debbono essere tutelate (lo sancisce l’art. 6 della costituzione repubblicana) ma, specie se esse non sono innate nel territorio hanno un limite rispetto lo Stato ‘ospite’ per il quale detti diritti non debbono essere anteposti a quelli della maggioranza.
É un problema complesso, misconosciuto e disatteso, Le minoranze etnico-linguistiche furono salvaguardate dall’UNESCO nel lontano 1960, ma poi tutto fu lasciato in sospeso perché sia ancora sconvolti dalla guerra, sia troppe di numero, ma soprattutto per ostilità delle ‘maggioranze’.
Così, il mondo degli indipendentisti rimane assai vasto. Ognuno di noi pensa che essi siano pochi, in genere stravaganti, solo a volte facinorosi (oggi è di moda il termine ‘integralista’ per quelli violenti, cattivi e senza dialogo). Invece, se si ci si mette a contarli, nella sola Europa troviamo alcune centinaia di sigle, associazioni, movimenti; un elenco esagerato di scontenti. Il discorso diventa vasto nella necessità di distinguere le lingue dai dialetti, la cultura e tradizioni dalla politica, la pacata ribellione da –addirittura- terrorismo. Infatti alcuni movimenti agiscono in maniera pacifica e legale: nel mondo, Taiwan e Slovenia sono gli esempi più noti; nel piccolo da noi, i sardi ed i pugliesi, per citare le due più importanti comunità italiane a San Pier d’Arena. Mentre altri tentano imporsi con la forza: tutti han sentito parlare dei baschi, curdi, ceceni, irlandesi, ciprioti, ed in tempi da poco passati, i sudtirolesi (o altoatesini a seconda se visti di qua o di là).
Anche in Italia se ne contano molti: subito dopo la grande guerra, con accordi internazionali si provvide a tutelare il tedesco e ladino in Alto Adige, lo sloveno a Trieste ed il francoprovenzale in valle d’Aosta. Ma forti fermenti di minoranze sono nei friulani, occitani, marchigiani, seborghini, tabarchini, brigaschi, siculi, liguri, sardi e non ultimi gli stessi piemontesi; nessuno dei quali gode i vantaggi dei primi tre, anche perché lo Stato italiano non ha mai affrontato con definizione questo tipo di diatriba.
Più sfortunati quelli ‘veneti’ che han voluto farsi notare scalando ed occupando a Venezia il campanile di san Marco, beccandosi anni di carcere.
A mio parere, un po’ più antipatici perché chiusi e tenaci nell’ ‘imporre’ la loro minoranza discriminando la lingua nazionale, sono certi trentini (nel pieno dei confini italiani, parlano solo tedesco; ed anche la messa e predica in chiesa sono in quella lingua (... quando qui si impedisce quella in genovese); il bilinguismo è legalmente imposto ed i giovani hanno sì l’obbligo di studiare la doppia lingua, ma, come seconda, ovviamente preferiscono l’inglese e così l’italiano rimane un terzo optional in genere trascurato, anche perché per vivere e –soprattutto- per lavorare, basta il tedesco, obbligatorio invece per chi -in famiglia- ha solo parlato italiano).
Più straniti sono quelli della Padania, che han trovato il portavoce in un bislacco guascone che però –con la sua allucinante dialettica- funziona: sia perché è divenuto parlamentare (ma non, poi, che gli altri nostri ministri pari grado, per altri versi siano meno straniti di lui), sia perché trova sempre degli allocchi che abboccano ad ogni sua sparata, facendo il pelo alle parole che dice, e lui, a spirale, ogni volta ne inventa delle nuove, per rimanere sull’onda.
Più misconosciuti sono i nostri del Movimento Indipendentista Ligure. Hanno tre grossi handicap: scarsi mezzi economici; il fatto che di liguri veri ce ne sono più pochi (e -quei pochi- indifferenti, sia per quel tipico carattere poco espansivo, ma soprattutto perché i fasti della Repubblica genovese furono gestiti solo dai nobili e ricchi e non dal popolo); e non ultima, l’ignoranza dei governi locali attuali che si disinteressano della conoscenza e pratica delle tradizioni (religiose, dialettali, culturali, storiche) e dei diritti storici che il Movimento si propone di difendere.
Oggi, a Genova, sono di moda i Rom, che in italiano si chiamano zingari. Hanno di buono di voler conservare un tipo di vita molto antico, sopravvissuto allo sterminio hitleriano; lo svantaggio è avere ‘forti’ diversità e volerle conservare nel contesto territoriale degli altri, a spese degli altri (sovvenzioni, ma anche furti ed illegalità in genere), in spregio agli elementi di base degli altri (igiene, educazione dei bambini, rispetto delle regole, ecc.).
Tutti hanno rivendicazioni da fare, culturali, politiche, religiose, di diritti storici e di autonomia (le Regioni autonome non si possono più fare); tutti reclamano maggiore indipendenza politico-economica.
EBaglini
n. 4 FOTO di via Daste
Facile, dove ci indirizza questa antica fotografia che alla base, specifica essere del 1906: centouno anni fa. Merita una serie di considerazioni.
Per primo, colpisce il muro di cinta che stanno distruggendo, decorato sul davanti, a separare la proprietà dalla strada che allora si chiamava via s.Antonio e che prima di divenire via N.Daste sarà titolata al Generale Cantore. Personalmente pensavo che lungo la strada principale la limitazione fosse tutta con una cancellata il cui basamento con i segni dei ferri è a tratti ancora presente adesso, invece essa era limitata alla parte centrale con i piloni sormontati da vasi di agave; il ferro fu rimosso per “darlo alla Patria”. Sappiamo che il muro circonda tutta la proprietà degli Imperiale-Scassi, e che buona parte di esso è ancora eretto; inizia dalla separazione con le Franzoniane, sale costeggiando prima i giardini, poi salita Salvator Rosa sino a poco sotto Promontorio (racchiudendo l’apice del territorio dell’Ospedale, ove ora è l’eliporto). Da lassù scende sul fianco di levante costeggiando via GBDerchi, via GB. Botteri e tornerebbe in via N.Daste lungo via Damiano Chiesa. É un bel muro, che -seppur maltrattato- resta diritto in piedi da quasi 450 anni, tanti ne ha la villa della Bellezza fatta erigere dagli Imperiale nel 1560. Essi la possedettero, abitandola in alternativa alla più importante di centro città, e nascendovi. Fu –sicuramente due volte- utilizzata dalle truppe austriache assedianti Genova, finché nell’anno 1801 la comperò il medico Onofrio Scassi che la fece ripulire e restaurare. Dal 1888 divenne proprietà del Comune di San Pier d’Arena per essere adibita a scuola, e dal 1926 di quello di Genova.
Rispetto la foto, hanno già più di una quindicina d’anni le due “Scuole nuove” dedicate a Maria ed a Giuseppe Mazzini e sormontate da due grossi stemmi recanti lo stemma di San Pier d’Arena (il sole nascente dal mare, al centro dello stemma crociato di Genova). Il pavimento della strada è selciato, ma questo invece è in atto già da qualche secolo.
A destra, il lampione a gas (nel 1906 con c’era ancora l’illuminazione elettrica); si notano i fili, necessari per aprire/chiudere la finestrella e poter accendere/spegnere la luce. Dietro ad esso si nota già eretto il palazzo con i portoni aperti in via D.Chiesa ed in via Palazzo della Fortezza, decorato nella facciata che si apre su via Dottesio.
Colpisce anche la abnorme vitalità dell’ambiente; si presuppone la fatica dello spazzino presente col suo carretto, e lo stress causato dal silenzio, rotto dal cinguettio degli uccelli, dal frinire dei grilli ed dal vocio... di tre bimbi.
EBaglini
n. 5 MEDICINA IL COLPO DI FRUSTA CERVICALE
Chiunque venga coinvolto in un tamponamento, accusa una complessa sintomatologia di malessere con senso di mancamento, turbe dell’equilibrio, ecc. Andando ben al di là dello stesso stiramento dei muscoli della cervicale, essa ancora ha del misterioso nella causalità; al punto da non saper distinguere chi l’ha veramente e...chi ci naviga.
Nel “Journal of Neurosciences” di agosto scorso alcuni ricercatori dell’università di Leeds chiariscono che dai muscoli del collo partono fibre nervose incaricate di portare al midollo cervicale segnalazione dei cambi di posizione del capo. Essendo il punto di arrivo di tali messaggi (chiamato ‘nucleo del tratto solitario’) vicino ai centri del controllo della pressione arteriosa, della frequenza cardiaca, della profondità degli atti respiratori,
per i ricercatori ne può conseguire – in caso di violento stiramento dei muscoli cervicali – una falsa informazione centrale con ovvi falsi adeguamenti: così più frequenti in particolare cali improvvisi di pressione (ipotensione ortostatica e sintomatologia da collasso) e turbe dell’equilibrio fino a vertigini (per alterato flusso intracranico con coinvolgimento della circolazione dei labirinti); oltre – ovviamente- al male locale che sarà da trattare dai fisioterapisti manipolatori – con ovvia delicatezza per sospettabili microfratture (non visibili ai raggi) specie in soggetti osteoporotici -. A proposito, è sempre bene fare una radiografia della cervicale, che però potrà solo esprimere elementi di predisposizione (artrosi, scoliosi, rarissime fratture) e non di causa. Non esiste una cura farmacologica al di là di quella sintomatica della flogosi cervicale e dei disturbi clinicamente rilevabili (per l’ipotensione: gocce di vasocostrittori; per le vertigini: pillole specifiche). Nel frattempo tenere il collo a riparo da altri stress meccanici con un collare (dalla posizione sul cuscino a quella del lavoro) ed applicazioni di caldo asciutto (senza ustionarsi, ovviamente), aspettando che mamma Natura un poco alla volta riassesti il giusto equilibrio tra informazione proveniente dai muscoli e reazione vascolare.
Ovvio che più la patologia impiega a normalizzarsi e più è significativa di una labilità in quel settore, difficile da dimostrare alle assicurazioni. EBaglini
n. 6 Il nostro ‘corsivista’, nel numero di novembre del Gazzettino, ha parlato di ‘dignità’.
Gran bella parola! Perché ognuno di noi pensa di averla e - che siano gli altri - a mancarne. Ed...invece... Se siamo giunti a questo punto sociale, è doveroso che ciascun lettore faccia un ‘esame di coscienza’, perché è troppo comodo fare il pelo agli altri e non farlo, ciascuno e per primo, a se stessi.
Innanzi tutto, cos’è la dignità. La parola corrisponde all’atteggiamento adottato di fronte a minacce di integrità o scelte di responsabilità e di doveri (dalla salute alla morte, dal rispetto di se stessi a quello degli altri, dall’adempimento dei propri doveri al fregarsene,...). Cambia molto in funzione dell’importanza che ciascuno dà - spesso in modo sostanzialmente differente – al singolo problema; ed in funzione della propria cultura. Ne deriva che ciascuno può avere molta dignità in un momentaccio della vita, e zero in un altro. L’uomo ‘pubblico’, il politico, il prete, quello che compare in TV, chi comanda pubblici uffici, non può concedersi il lusso di essere a volte sì ed a volte no: la platea vuole che lo siano sempre...Ed invece...
Altrettanto quando l’argomento è condiviso con molti: le fluttuazioni personali debbono decadere. Questo è l’esempio del Balilla e dei partigiani. Così, di fronte all’insicurezza, alla ineducazione (non maleducazione), alla violenza, gli ideali sono in genere univoci ma –ahinoi - l’atteggiamento assunto è differente. Quindi, ciascuno per prima cosa chieda a se stesso: come mi comporto io? Sopporto (in nome di Dio, di una ben precisa filosofia - che in genovese si chiama ‘maniman’-, in obbedienza all’ideologia politica...); oppure reagisco (perché fondamentalmente sono un ribelle, ho dei princìpi o un orgoglio; ...e nel reagire, mi promuovo di persona oppure ho paura di espormi e delego altri...); oppure mi faccio i fatti miei (perché sono un incapace di reagire, diciamocelo, un po’ pusillanime...); oppure...
In sostanza, se ciascuno di noi possiede o no ‘dignità’ di fronte ad un ben preciso ostacolo, deve prima dirlo a se stesso e poi agli altri. Altrimenti è confusione, con se stesso e con gli altri.
Quello che succederà dimostrerà se, tra tutti, abbiamo o no questa benedetta dignità. Perché, se una persona, un quartiere, una società, non ce l’ha, c’è poco da spremere e l’appello del nostro corsivista andrà nel nulla. EBaglini
n. 7 C’era una volta la gioia che arrivasse Natale...
Siamo tutti in/s...zzati; e l’arrivo del Natale non lenisce questa angosciosa e rabbiosa sensazione, anzi la aggrava un po’ perché questa festa ci invita alla gioia mentre non ne abbiamo voglia. Non ne abbiamo voglia perché, in parte, abbiamo già quasi tutto - in superficie, mentre ci sembra di essere poveri ed avere nulla, nella profondità di noi stessi: manca quell’attesa di un magico regalo che caratterizza i bimbi e che caratterizzava anche gli adulti sino a pochi decenni fa. In altra parte perché più si è colti e più facile è essere preda dell’ansia; e l’informazione - che ci bombarda a 360 gradi - ci rende oggi fragili ed insicuri facendoci sentire impotenti e non protagonisti. Per essere tali, molti si svendono cercando di apparire in TV o andando nelle isole o grattando una striscia argentata.
E invece no. Ed è qui la bellezza del Natale: la felicità te la devi cercare dentro di te, non all’esterno. Altrimenti sei fottuto. E ti fotti con le tue stesse mani: non è colpa del governo, di Prodi, di Berlusconi, dei violenti, degli altri: è colpa tua. Dittelo, con chiarezza. La nascita del Bambino, Natale con la enne maiuscola, ma come la nascita di un qualsiasi bambino, rappresenta due cose: uno, è sperare; e – come anche scrive Maggiani - la speranza dobbiamo farla vivere sino all’ultimo se vogliamo vivere noi. Due, deve essere motivo fondamentale per smettere di guardare ed ascoltare fuori, e iniziare a guardarsi e sentirsi dentro. Ovvio che è faticoso e penoso, ma è l’unico modo per uscire dalla perversa spirale dell’infelicità, per sopravvivere e ritrovare la dignità di essere uomini. Non è filosofia: è pratica. É indispensabile essere felici dentro, per gioire ogni giorno della vita. Smettere di piangersi: meno egoisti e presuntuosi, amare, aiutare gli altri, ... erano tutti messaggi di un Natale, di una religione che sembra farci comodo mettere a tacere o considerarci superiori ad essa e di poterne fare a meno, ma che in fondo in fondo era quella che insegnava all’uomo come vivere e non farsi autogol.
EBaglini
n. 8 MUSICHE natalizie
Stille nacht, heilige nacht ! alles schlaft, einsam wacht…
Questa dolcissima e sublime canzone, conosciuta in italiano come ‘Astro del ciel’, nacque nel 1818 per essere cantata la notte di Natale nella chiesuola di san Nicola, in Austria, a Oberndorf (15 km da Salisburgo). Ha una storia un po’ rocambolesca e, degnamente, a lieto fine.
A sera del 24, negli ultimi preparativi, il parroco si accorse che si era guastato l’organo: grande costernazione per il reverendo Joseph Mohr, perché proprio con quello strumento voleva far suonare, accompagnato dal coro della chiesa, una melodia della quale aveva scritto le parole poi musicate dal suo amico e maestro organista della chiesa, Franz Xaver Gruber.
Ovviamente non si arrese. Suonando la melodia con la chitarra (allora non certo in uso come oggi, e poco consona alla solennità della cerimonia), si fece –come convenuto- accompagnare dal maestro con il coro. La folla dei fedeli rimase egualmente turbata dalla soavità del brano e gli autori ricevettero numerose congratulazioni. Ma –come tante cose belle- il giorno dopo finì nel dimenticatoio.
Il maestro Gruber, trasferitosi ad Hallein (dove era nato nel 1787), la ripropose col coro parrocchiale. Dalla partecipazione generale, si accorse che era già conosciuta, apprezzata, e cantata; ma, ahi per lui, attribuita a Michel Haydn (fratello del grande compositore) o –da altri- addirittura a Mozart. Cosicché scrisse all’abate di sanPietro a Salisburgo, chiarendo la sua paternità della musica; ma la lettera rimase senza risposta e, finite le feste, nuovamente tutto ricadde nel dimenticatoio.
Gruber morì nel 1863 ad Hallein, quando la sua Stille Nacht iniziava a fare il giro del mondo, però orfana dell’autore, solo attribuita. Infatti, ormai molto nota, nei primi anni del 1900 un grosso giornale di Berlino pubblicò un articolo denunciando le più varie ipotesi riguardanti la paternità del canto. Fu un nipote del Gruber, suo omonimo abitante a Merano, che fece giustizia, documentando la verità, avendo ritrovato la lettera del nonno con la partitura originale. Il giornale stesso riportò la notizia, rendendola ufficiale.
Oggi, mentre la musica –in mille adattamenti e versioni- ha raggiunto il primato della canzone natalizia più conosciuta e suonata nel mondo, nel borgo di Allein, tutto viene ricordato in onore del proprio concittadino: dall’organo che quella sera fece le bizze, messo in mostra; dalla annualmente rinnovata corale del luogo che ogni notte natalizia ricorda l’autore con una esecuzione speciale nel ‘cimitero vecchio’ del paese, sulla sua tomba riccamente coperta di fiori e da una targa bronzea ove si narra la bella favola della sua storia; dalla casa natale con un altorilievo del suo volto; dal museo contenente chitarra, piano, scritti autografi spartiti e trascrizioni del Gruber.
Invece, fu Irving Berlin (nome d’arte, del russo emigrato Israel Taline), famoso musicista, che nel 1942 compose l’altra canzone - “White Christmas”, in italiano Bianco Natale – divenuta altrettanto famosa nel mondo da scalzare la precedente. Questa canzone, cantata in un film da Bing Crosby assieme a Danny Kaye, diede l’avvio al concetto di Natale non più solo intimamente religioso, ma anche evento sia di rafforzamento del concetto di coesione familiare, proprio nel momento dell’inizio del conflitto mondiale che al contrario brutalmente la spezzava; e sia commerciale assieme al Babbo Natale americano oggi tanto in voga anche da noi, ma – come già detto l’anno scorso- di pretta matrice Coca Cola.
EBaglini
n. 9 Gais
Il 4 novembre sarà ricorrenza del 90° anno della vittoria dell’Italia contro l’impero Austro-Ungarico. La vittoria fu preceduta – il 24 ottobre 1917 - da un attacco nemico, speranzoso così di determinare l’intero conflitto: riuscì a sfondare le nostre linee e costringerci ad una caotica ritirata: la famosa “disfatta di Caporetto”, che ci costò 330.000 uomini (11 mila morti, 19 mila feriti, 300mila tra sbandati, disertori e prigionieri). La successiva epopea del Piave, riscattò l’onta e fornì alimento al tentativo - non ancora pienamente raggiunto oggi - di formare una coscienza nazionale.
San Pier d’Arena pagò un altissimo prezzo in quella guerra: Antonio Cantore e D.Gaetano Storace sono anche ricordati nelle nostre strade, assieme al lungo elenco di nomi – tutti ragazzi - che fiancheggia il monumento dei giardini Pavanello.
Meritevole di memoria il concittadino Gais Francesco. Appena maturato al liceo, partì volontario diciassettenne col grado di aspirante ufficiale nel 156° reggimento fanteria. Il giorno in cui giunse in trincea a Vodice, iniziò l’attacco nemico su menzionato: dopo intenso bombardamento e uso di gas, la fanteria nemica si mosse travolgendo i pochi rimasti, che coraggiosamente si opposero alla loro avanzata. Tra essi il giovane che, seppur ferito, fece contrattacco, combatté feroci corpo a corpo sino a lasciare la vita colpito in pieno da una bomba nemica. Il corpo dilaniato ed irriconoscibile, fu restituito alla famiglia che aspettava notizie dopo ben 5 anni, decorato di medaglia di bronzo alla memoria .
L’Italia alla fine vinse la guerra. I singoli morti- potrebbero essere i nostri fratelli o figli – sono belli e dimenticati. Ne aveva fatto motivo di orgoglio e promozioni il regime sopraggiunto al governo al termine del conflitto; per cui oggi si è giunti ad una perversa sovrapposizione mentale, per cui la memoria di questi eroi infastidisce. A mio avviso è pura ignoranza, cattiveria e debolezza da presunzione.
In più distinguere. Oggi ‘possiamo’ gridare: Mai Più Guerre! Ma per chi non poté godere questa frase e dovette subirla, l’oblio è dichiarazione di un’altra guerra.
Mai Più Guerre! Si, ma non facciamo confusione: il problema di una guerra è politico, e non del singolo ferito o morto che invece – lui nel piccolo - è proprio il simbolo della crudeltà della guerra – eroe o no; sul Carso o a El Alamein, sui monti o in Afganistan–. Non dovrebbe essere l’ideologia a determinare il ricordo e l’esempio, ma il comportamento. E proprio perché Mai Più Guerre, che bisogna rispettare le sue vittime e farle memorizzare ai giovani come esempio. EBaglini
n. 10 CROSA DEI BUOI, O DEI BOVI?
Il computer è una meravigliosa dannazione. Dannazione, perché –per esempio-
mio figlio, per lavoro prima e per diletto dopo, passa davanti al ‘plasma’ intere giornate; ‘naviga’, esce poco, sgranocchia, ingrassa, non vive -pur respirando-. É una esagerazione la mia, ovvio; ma nella analisi da medico questo modo di vivere abbastanza comune oggi nei giovani, appartiene alla devianza ossessiva, quindi una ‘dannazione’. Meravigliosa, perché offre una enorme gamma di possibilità di ricerca e di studio, che prima era impossibile.
Nell’ottica di questo punto di vista il computer mi ha permesso di ingrandire la cartina di Matteo Vinzoni datata 1757 (ma compilata molto prima; scritta a mano con calligrafia chiara ma che il tempo ha parzialmente -e in alcuni punti gravemente- deteriorato o cancellato). E, in particolare, la scritta “crosa de bovi”.
250 anni fa, come oggi, la stradina sbucava verso il mare. Ma, dove oggi scorre via san Pier d’Arena c’erano ciottoli e sabbia finissima, con -sotto terra, per 30-40 metri, detriti portati a valle dal Polcevera nel corso di milioni d’anni e riplasmati sul lido dalle correnti marine-. Dove c’è Lungomare Canepa era mare.
La scritta vinzoniana riporta la parola “bovi”. Voleva scrivere “buoi”? No.
In quegli anni, e sino ancora a metà 1800, una imbarcazione molto usata non solo in Liguria ma in tutto il mediterraneo, era il bovo, grosso barcone da trasporto (per noi profani, il riferimento similare ma più noto, può essere il leudo).
Poiché i nomi delle strade allora erano dati in funzione pratica di quello che esisteva nel tragitto, non è negabile l’ipotesi che la strada prese il nome da queste imbarcazioni che attraccavano ai pontili della spiaggia. E non dagli animali (quelli che arano i campi e che hanno avuto diecimila interpretazioni una più stramba dell’altra ed addirittura alcune fasulle come quella di un ricercatore che spiegava il nome ‘buoi’ affermando che essi vi transitavano trasportati dalla ferrovia, quando questa arriverà nel 1853, cento anni dopo).
Quindi possibile: non strada dei buoi, ma strada dei bovi .
L’importanza è pressoché nulla. Se potesse essere vera l’originale interpretazione dei “bovi”, fa sempre testo l’uso popolare che nel tempo decretò si chiamasse dei “buoi” anche storpiando un originale; ma scusati visto che tale tipo di barca qui in Liguria non fu più costruita sia perché -essendo mirata al trasporto- era troppo facile preda delle razzie inglesi naviganti alla ricerca di prede e di danneggiare i francesi di Napoleone, sia per ragioni pratiche commerciali. EBaglini
n. 11 L’ONESTA’
L’onestà è una componente secondaria della psiche umana, facendo parte delle multiple caratteristiche della Personalità (la quale a sua volta - chi mi segue negli articolini da medico comprende subito - è una delle componenti primarie della mente assieme alla memoria, intelligenza, produzione del pensiero, affettività, volontà, sessualità ed altre. Altra cognizione di base, il lettore che mi segue sa già, è che il confine tra psicologia e psichiatria – può a volte, assai poche, essere legato alla “qualità” della personalità (il matto, sragionando, dice e fa cose che per il sano sono totalmente fuori senso); ma molto più spesso, quasi sempre, il confine è una sfumatura della “quantità” (esempi di quantità: un bicchiere di vino fa bene ed è psicologicamente accettato, un fiasco porta a condizioni psichiatriche; collezionare francobolli va bene, andarli a rubare nella cassetta del vicino per averne uno in più, non è più normale; giocare – per esempio al lotto - è accettabile, ma sperperarvi i propri risparmi è patologico; in auto e in città, a 50 km all’ora va bene, a settanta no. Quindi, sempre per la quantità, è psicologia essere tristi: diventa psichiatria la depressione; è psicologia essere fantasiosi, diventa psichiatrico delirare. E così, nei miliardi di esperienze della vita - arrivando a cose recenti, tanto per sorridere un pò – è psicologia se ci venisse detto che pagare le tasse... è giusto (gulp!), ma diventa psichiatrico il sentirsi dire che è bello pagarle.
Tornando all’onestà, essa è una virtù della personalità mirata al rispetto delle regole e degli altri. L’errore, che crea equivoci, è che si parte da principi, falsi: sia che ciascuno vorrebbe che tutti la possiedano almeno pari alla propria (se non addirittura in modo innato (soprattutto certe categorie più esposte come i commercianti, i funzionari, i politici, i liberi professionisti); e sia che essa sia manifestata ad ampio raggio (costumi, religione, etica, giustizia, educazione, ecc.).
Con queste premesse, consideriamo il tema specifico dell’onestà economica. Chi dovrebbe applicare il giusto senso della misura, dovrebbe essere il cittadino; non tanto quello obbligato ad essere onesto perché ha nulla se non già conosciuto, ma quello che introduce ‘moneta’, indefinita nella quantità e nelle modalità.
Come sui piatti di una bilancia, pesano da una parte vari fattori: per primo la Natura: essa riconosce la genetica presenza dell’imperfezione (la Chiesa lo chiama peccato originale e la Bibbia lo spiega con Adamo ed Eva). Ad appesantire lo stesso piatto ci sono altri fattori: uno è la naturale tendenza a giustificare e perdonare se stessi e parallelamente colpevolizzare gli altri (la parabola della pagliuzza e del trave). Altro, noi italiani abbiamo dovuto imparare l’arte furbesca dell’arrangiarsi, per secoli e secoli dominati e succubi. Altro ancora e sempre a giustificazione, è che nessuno si impegna ad insegnarla, soprattutto ai pargoli ed in forma diretta e preventiva, ma solo se capita l’occasione – e spesso quando ormai è tardi come per quei ragazzi che in ottobre scorso hanno investito un bambino -: non i genitori, né i vicini di casa, né la scuola, né a volte la vita stessa. Solo la nostra religione, oggi in calo di conoscenza e quindi con minore potere, ammonisce con il suo “settimo: non rubare”, “non desiderare la roba d’altri” ed il più famoso - quasi invano perché pregato troppo spesso col tono che esprime essere colpa Sua se non si avvera - “non mi indurre in tentazione”.
Ne consegue che si esaltano i furbi, nella quale categoria si rispecchia il 99% della gente (il famoso “non sono mica scemo!”, ma dei quali, ci sono quelli veri, pari allo 0,1‰, e quelli che si credono tali pari al 99,9‰); da questa categoria, chi è onesto viene additato come fenomeno da circo (in genovese, tutto attaccato: a/privativa+parolaccia d’uso comune+nato). Un esempio di furbi veri sono: i politici. Partendo dall’insegnamento di Socrate, quello che aveva alla base della sua filosofia la frase “conosci te stesso”, essi, sapendo di sé, hanno legalizzato due cose: per se stessi, una legge con la quale si sono autodichiarati incensurabili; per gli altri, hanno istituito la Guardia di Finanza.
Alla fine quindi, è lei, la GdF, l’addetta ad equilibrare i piatti della bilancia ed a far capire ed a far applicare l’onestà. E, in più, nell’ipocrisia generale delle istituzioni, visto che nessuno ne ha l’incarico, forse toccherebbe a lei, anche nelle scuole, insegnare a tutti il “senso dello Stato”, che noi italiani non abbiamo quale bene comune, non da spremere ma da salvaguardare.
Ai suoi Militi è imposto annullare verso se stessi quelle suddette attenuanti (genetiche, umane, culturali) che noi popolo - continuando a conservarle per noi stessi – perpetuiamo in una spirale all’infinito di alternativa tra bene e male, con tendenza a far prevalere il secondo (specie per quel 99% di cui sopra). Finché a qualche politico non verrà in mente di educare in merito ed in modo diretto le nuove generazioni (una volta si chiamava educazione civica? Chi sa perché l’hanno eliminata).
Se la GdF come forza dello Stato non sempre è nelle grazie del popolino, è perché troppo spesso dai media si viene a conoscere che punisce severamente il furto di una caramella mentre altri enormi reati, segnalati da Iene, Striscia, quotidiani, o vissuti sulla propria pelle in lotta contro il Potere, sembrano volare inosservati. Ma tutti sappiamo che non è così: sappiamo che essa è contro tutte le disonestà, piccole e grandi, e che lo fa con tutte le sue forze: l’organizzazione, l’esperienza, la tecnologia, ma soprattutto con uomini ai quali per primi si impone di essere onesti, mal pagandoli e troppo spesso ricompensandoli poi con una medaglia alla memoria.
n.12 Medicina- IL CAFFÈ
Come per quasi tutte le cose piacevoli, che interessano all’uomo, da Bacco e tabacco a Venere, è tutta questione di misura.
Perché, lo sanno tutti che dentro la tazzina c’è, non vista né odorata o assaporata, una medicina: la caffeina. Essa, come tutti i farmaci, svolge un ruolo di interferenza nel nostro organismo. Analizziamo questo ruolo, tenendo presente che al 2007 seppur la chimica ha fatto passi mostruosamente in avanti, i pareri clinici tendono a rimanere non univoci.
Farmacologicamente è definita ‘analettico’, quali la vecchia Coramina, l’attuale Micoren e similari compreso la teìna del the. La parola significa che la molecola ha azione eccitante-stimolante i centri bulbari cerebrali (detti neurovegetativi) che regolano la funzione periferica dei nervi (più tonici), psiche (più lucida), vasi sanguigni (costrizione; quindi tende ad aumentare la pressione), cuore (maggiore ‘strizzata’) ed atti respiratori (migliore inspirazione). Pertanto è indicata negli insonnoliti, ipotesi (collassati) ed ipoventilati. Si usa abitualmente al mattino per tonificare il risveglio, e dopo i pasti, non solo perché capace di cancellare nel palato il gusto dei grassi, ma perché apparente controbilancia dell’alcool.
I giudizi clinici, dicevamo, non sono univoci per la sua innocuità, perché gli innumerevoli studi non hanno dato risultati sovrapponibili. Pur avendoli condotti su migliaia di persone sia in buona salute generale che a rischio, sono state avanzate incertezze e dubbi sia perché l’incidenza del fattore caffeina è di poco peso rispetto ad altri più gravi tipo colesterolo, fumo, sedentarietà, alcol , ipertensione, epatopatie e perfino emotività; e sia perché non siamo tutti uguali, e la risposta di fronte all’ingresso della sostanza nel sangue, è molto soggettiva. Infatti, ognuno ha la sua proposta personalizzata: da chi non dorme più, a chi lo tollera a tutte le ore; da chi lo beve bollente a chi lo vuole tiepidino; da chi lo vuole ristretto a chi brodaglia all’anglosassone; da chi lo usa come infuso (come noi: acqua bollente sulla polvere, come il tè) a chi come decotto (alla araba: la polvere a bollire; come la camomilla); da chi dolce a chi amaro; da chi macchiato a chi decaffeinato... generale è la,
I vari studiosi hanno concordato solo: che non va demonizzato un uso moderato perché riduce il rischio di sviluppare il diabete2 (iperglicemia postprandiale); che le varie miscele di caffè non sono tutte eguali, ma non esiste una legislazione che imponga la specificazione quantitativa; che il caffè bollito (sistema arabo) è più ricco di terpeni ad azione ipercolesterolemizzante; che il caffè debole, alla francese o anglosassone (è diversa anche la miscela), è meno ricco di composti fenolici che possiedono elevata attività disintossicante; che le persone con ‘lenta metabolizzazione’ sono più in pericolo perché maggiormente soggette all’effetto sulla circolazione, e di rimessa sulle coronarie, rispetto i ‘metabolizzatori rapidi’ che eliminano velocemente, ma è una differenziazione teorica perché richiederebbe una tipizzazione individuale, impossibile a fare sistematicamente.
Particolare attenzione debbono porre gli assuntori occasionali perché più sensibili; ed i possessori di altri rischi cardiovascolari, perché predisposti e per i quali quel minimo stimolo potrebbe divenire ‘trigger’ (fattore scatenante)... ma se oggi non è il caffé – a quel punto – una banale arrabbiatura...Così, per non imbattersi nelle reazioni indesiderate avverse, rimane ovvio il concetto della moderazione (tre/die), della distribuzione nelle ore, dell’adattamento personalizzato.
EBaglini
n. 13 LA STANCHEZZA
Esiste una forma di stanchezza che, da sola, costituisce una malattia a sé, rara ma riconosciuta (quando supera un anno di persistenza, detta ‘sindrome da stanchezza cronica’).
Ma, in genere, è solo uno dei sintomi, comune a tante malattie (praticamente tutte quelle debilitanti – febbrili, tumorali, alimentari - o ipoossigenanti: anemie, broncopatie, ecc.). In termini medici, viene chiamata astenia (dal greco: a=mancanza, stenos=forza); e, come per tante altre affezioni, può essere acuta, ovvero da meno di tre mesi; subacuta se perdura da vari mesi.
A titolo di stretta conoscenza, distinguiamo due tipi di astenia: quella muscolare e quella cerebrale. La prima ha motivazioni ovvie anche al profano: il muscolo, e di essi non solo quelli degli arti ma soprattutto il cuore, funziona basandosi, attraverso lo scorrere del sangue, sia sull’apporto continuo di ossigeno, enzimi e nutrimenti da ‘bruciare’(metaboliti); e sia sui meccanismi di disintossicazione (cataboliti da ‘smaltire’). Rientrano in questo gruppo le anemie tutte, le affezioni dell’apparato respiratorio che comportano affanno, l’anoressia alimentare, la sedentarietà con conseguente ipotrofia muscolare, l’arterosclerosi dei piccoli vasi (drammatica quella coronarica, per il conseguente infarto miocardico), ed altre similari numerose affezioni. Opportuni esami, sono in genere capaci di evidenziare questo tipo di astenia.
Forse meno conosciuta è quella mentale. Si distingue in due tipi principali: quella ‘organica’ e quella ‘funzionale’. A protezione della cellula nervosa, incapace di utilizzare un diretto contatto col sangue come per tutte le altre cellule del nostro corpo – e di per sé anche incapace di riprodursi – il Padreterno ha previsto che sia i metaboliti che i cataboliti siano movimentati attraverso un altro tipo di cellule che fanno da ponte e da filtro, dette astrociti (meccanismo chiamato ‘barriera ematoencefalica’).
La prima, quella organica, è tipica dell’anziano perché è dovuta prevalentemente all’arterosclerosi; ed è sovrapponibile a quella muscolare descritta all’inizio.
Più curiosa è la fatica mentale funzionale, o nevrotica. Sappiamo che l’ansia – già lei da sola - determina sia restringimento dei capillari e quindi diminuito apporto di ossigeno e metaboliti; e sia una tensione muscolare che comporta maggior consumo energetico; ne deriva che un ansioso, anche se fermo in poltrona, consuma molte energie a vuoto, stancandosi pur facendo nulla. Se poi ad essa si associa la depressione, l’astenia diventa sintomo costante e determinante per la diagnosi, con la caratteristica di essere maggiore al mattino, a dimostrazione che anche se ha dormito, lo ha fatto malamente (quando la persona normale invece è più tonica dopo il riposo notturno), migliorando alla sera.
La terapia si avvale sia e soprattutto cercando di eliminare la causa. Si può interferire sia rinforzando i muscoli con opportuna ginnastica, sia usando un tranquillante (il quale, agendo solo sull’ansia, a dosaggi giusti e ben ripartiti nella giornata, non ha azione sedativa, come tante erbe – quindi ‘non fa’ dormire – ma, oltre a rilassare, fa risparmiare energie bruciate inutilmente); e sia, ma ‘tapulli’ di molta minore incisività, fornendo l’apporto delle sostanze più usate dal cervello a scopo nutritivo ed energetico: l’acetilcolina (iniezioni di citicolina), la nicergolina, glutamina, fosfoserina, il gaba, ecc.
n. 14 Influenza. Il guaio dell’inverno
Pensavo che ormai i lettori sapessero tutto sul tema, tanto da essere non solo autosufficienti, ma perfino in grado di insegnare al proprio MMG tutti i quando-come-dove, ecc.. Ma, alcune domande propostemi, ed i troppi renitenti con giustificazioni stupide, mi disilludono: ci sono ancora tanti, troppi vuoti in questa cultura. Provo allora a ridire le stesse cose, con termini diversi e più banalmente semplici: non facile il compito quando il mio Capo redattore vuole che le sintetizzi in venti righe.
Sappiamo tutti che quando una sostanza chimica estranea entra nel nostro corpo, i casi sono tre: o esso la rigetta, o prepara delle altre sostanze chimiche (anticorpi) capaci di tentare di annullare l’invasore, o soccombe. Nel caso dell’influenza, il vaccino si prepara per la seconda chance, uccidendo i virus che saranno così iniettati nel nostro organismo. La presenza di questi “cadaveri” nel sangue fa preparare le difese contro di loro; e quindi così, se poi dovessero entrare dei virus vivi, gli anticorpi sono già presenti, attivi ed efficaci. Non certo a “non far venire” (espressione tipica degli stupidi che si credono furbi) la malattia dell’influenza, con febbre, grave malessere, costipazione, debilitazione ecc.; ma a “ridurne” l’aggressione, quindi la gravità e la durata, “limitando” i danni personali e sociali. Fin qui, tutto facile.
Il difficile sovviene quando ci rendiamo conto che – mentre le difese scemano gradatamente nell’arco di pochi mesi e scompaiono in pochi anni, i virus si inattivano nell’arco di uno o più lustri; cosicché in giro ce ne sono a decine, anche di tre-quattro anni fa, uno diverso dall’altro. Che si sommano a quelli nuovi (neonati da trasformazioni genetiche, specialmente nei paesi molto umidi ed inquinati , e portati qui dai commerci internazionali). Cosicché – al limite - chi si è vaccinato quattro anni fa, oggi non è praticamente più protetto dalle difese mentre il virus è ancora vivo in giro (anche se meno aggressivo): e quindi chiunque può prendersene uno che gira con i vari portatori, e farsi una influenzetta fuori tempo di epidemia.
Detto così, fa venir voglia di non vaccinarsi, tanto sembrerebbe inutile.
Invece no: la vaccinazione è utile considerato il problema non solo per ogni singola persona, ma soprattutto nell’insieme della popolazione: diventa il classico “l’unione fa la forza”. Le motivazioni positive sono molte: se tutti ci vaccinassimo, il virus nuovo troverà ostacolo a moltiplicarsi e di conseguenza minore aggressione di una vasta quantità di persone (meno morti per complicanze, intasamento degli ospedali o incapacità lavorativa); e – nel singolo – assumere forma leggera, con star male ed inattivo uno-tre giorni anziché una settimana ed oltre. In più il virus, che non si autoalimenta moltiplicandosi nel passaggio da recettivo a recettivo, si debiliterebbe prima del tempo cosicché i singoli se la caverebbero con poco male e la società non spenderebbe tanti soldi per riparare i danni creati dagli sciocchi sprovveduti che si credono intoccabili. Quindi, la vaccinazione non è solo un bene per ogni singolo che la fa, ma diventa un bene sociale.
E chi predica (ma non sempre pratica) che si debbano curare gli interessi di tutti, specie dei più deboli ed espone bandiere multicolori, deve essere il primo a dare l’esempio.
n. 15 G. di FINANZA
Se i politici locali sapranno mantenere a San Pier d’Arena la dignità di essere stata una grande città, noi potremo, malgrado il degrado, vantarci di essere stati scelti come sede del Comando regionale della Guardia di Finanza.
Il corpo della GdF conta una storia di oltre 200 anni, essendo ufficialmente nato nel 1774 sotto il regno piemontese con lo scopo specifico della vigilanza doganale. Alla nascita del regno d’Italia, nel 1881, assunse il nome odierno divenendo parte integrante delle forze militari. Quindi, la GdF è una forza di polizia che porta le stellette militari (come i Carabinieri e la Polizia di Stato; la Forestale e la Polizia Penitenziaria sono anch’esse tali, ma non portano più le stellette). Negli anni, la Bandiera della GdF ha ricevuto numerose ricompense nazionali al Valore Militare; ma ancor più, i singoli Militari hanno collezionato innumerevoli riconoscimenti: al VMiloitare (43 internazionali; nove medaglie d’oro; 322 d’argento; 670 di bronzo; 703 croci); al V.Civile (4 d’oro, 251 d’argento, 760 di bronzo, 32 croci); ed altre al V. di Marina e di Aeronautica.
Il servizio, sul territorio nazionale, è suddiviso in Legioni, dislocate in caserme delle quali, in Liguria, la più conosciuta ed antica è in piazza Cavour a Genova, dove ancor oggi risiede il Comando di Gruppo governato da un Generale, con funzioni solo logistiche.
Seconda in regione è la caserma sampierdarenese dedicata all’allievo ufficiale T. Testero il quale nel periodo dell’Accademia scelse la vita partigiana, perdendo per questo ideale la vita - assieme ad altri 1100 suoi colleghi -.
Dapprima la Testero era già da tempo una normale caserma locale. Dovendo modernizzare gli uffici che per quattro anni erano stati temporaneamente collocati in affitto presso l’ex albergo Centro di piazza Vittorio Veneto, si approfittò di una area, a fianco della caserma stessa, di proprietà del CAP ove erano magazzini e capannoni inusati, per poter costruire il grattacielo che oggi svetta assieme agli altri del complesso san Benigno e che qualificano la zona della Coscia. Ora vi ha sede il Comando della “Compagnia Genova”, alle dipendenze di un Capitano; risulta essere la più importante nel territorio regionale, perché gestisce le funzioni operative.
La Legione, a sua volta, è suddivisa in varie specializzazioni operative genericamente fiscali (navale; aerea; postale; tributaria; cinofili su richiesta degli altri reparti e nelle stazioni delle ferrovie) e giudiziarie (alle dipendenze dei magistrati). Allo scopo, i Militari operativi sono divisi in gruppi, che comprendono sia i famosi ‘baschi verdi’ di pronto intervento, compreso l’ordine pubblico, a fianco degli altri corpi più specifici; e sia quelli meno famosi perché ‘occulti’, impegnati nell’antidroga, contrabbando di tabacchi e valute, antimafia e riciclo di denaro, ecc..
Altre sedi della GdF genovese sono in corso Europa (Tributaria); all’Aeroporto e nel Porto con funzioni locali specifiche. Il famoso ‘tesoretto‘ di cui si vanta il Governo attuale, è in massima parte frutto delle operazioni di ricupero operate dalla GdF.
La città di Genova nell’aprile 2007 ha concesso la titolazione di “via Fiamme Gialle” a quel tratto stradale che unisce via di Francia con Lungomare Canepa, intersecato da via Pietro Chiesa, pressoché di fronte al varco portuale dove per anni i Finanzieri hanno effettuato costante opera mirata alla salvaguardia degli interessi dello Stato. La titolazione è stata fortemente voluta dall’Associazione nazionale Finanzieri d’Italia in congedo in occasione del centenario della propria fondazione e della quale è consigliere nazionale per la Liguria il T.Col Marino Antonio, nostro concittadino.