VARESE via Varese
È l’antico nome di via Bezzecca.
Nell’anno 1900 venne proposto alla Giunta comunale questa titolazione, in cambio di “via detta Copello” fino ad allora usata per la strada che “da via Vittorio Emanuele porta verso il Polcevera, di fronte all’inizio di via Campasso”.
Anche il Novella (manoscritto del 1900-1930) si limita a segnalarla come traversale di via Umberto I (via W.Fillak) .
Infatti nell’elenco pubblicato dal Comune nel 1910, compare la ‘via Varese, da via Umberto I verso il Polcevera’ con civici sino all’1 ed 8.
Il Pagano 1911, 12, 1920 vi segnalano il rappresentante al civ. 8-5 Clavenna Attilio attivo ancora nel 1920; al civ. 10 i marmai (marmi artificiali) Peroni e Morelli (non più nel 1919).
Dal 1919 vi si apriva una delle tre fabbriche di carri e carrozze, di proprietà dapprima di Pereda e Ardini, dal 1925 solo di Ardini Luigi e tale ancora nel 1933.
Il Costa1922 ed il Pagano/1925 pongono al civ. 8-2 la “IER” (Istituto Editoriale di Rinascenza) per lo sviluppo librario in Italia--- Direttore generale DeLandolina GC.
Lo stabilimento era multi produttivo: cromo-lyno-tipografia; legatoria; ufficio d’Arte per schizzi e progetti di réclame; Periodici-opuscoli-libri (in particolare la rivista mensile “Rinascenza” con interesse di arte sociale, con direttori il DeLandolina e M.Mascardi. Questa società, una delle dieci tipografie citate dal Costa, nel P/1919 non è citata; nel P/1920-1 era in via Andrea Costa al 33r.
Ed altrettanto eguale il nome stradale nel 1926 nell’elenco consegnato al Comune all’atto dell’unificazione nella Grande Genova; ma anche il Centro possedeva una titolazione eguale e fu giocoforza prepararci alla sostituzione.
L’applicazione tardò ad essere adottata, tant’è vero che esisteva ancora eguale nel 1933, di 5.a categoria con civv. sino all’8; laddove la precisazione che da via Umberto I si collegava con via Calatafimi (via C.Orgiero), permette allora farla corrispondere all’attuale via Bezzecca.
Il nome attuale fu definitivamente ingiunto dal podestà di Genova, con delibera del 19 agosto 1935.
DEDICA ovvio pensare sia stata dedicata alla città lombarda, anche se non si conosce bene il motivo.
Ma, se dopo la data del 1935 la scelta dei nomi stradali mirava a ricordare eventi risorgimentali e della prima guerra mondiale, prima di quella data erano prevalenti quelli in memoria dell’epopea garibaldina: allora Varese ricorda una battaglia combattuta il 26 maggio 1859 tra i Volontari delle Alpi comandati personalmente da Garibaldi contro gli austriaci comandati dal gen. Urban; con la vittoria dei primi, tutto il varesotto fu unito indissolubilmente all’Italia. La vittoria però costò la vita a Enrico Cairoli, il primo dei quattro fratelli. Nell’inseguimento delle truppe austriache in ritirata, avvenne la battaglia di Treponti (vedi).
Alternativa è -come a Genova san Fruttuoso- la dedica a Carlo Varese, ma avrebbero riportato il cognome completo del nome.
BIBLIOGRAFIA
-Archivio Storico Comunale Toponomastica - scheda n. 4558
-DeLandolina GC.-Sampierdarena-Rinascenza .1922 – pag. 57
-Enciclopedia Sonzogno
-Novella P.-Strade di Genova-nanoscritto b.Berio.1900-pag.19
-Pagano/1933-pag.249
VASCO via Vasco da Gama
TARGHE:
s. Pier d’Arena – 2865 - via - Vasco da Gama – navigatore – 1469-1524
QUARTIERE MEDIEVALE: Castello – Mercato
da MVinzoni, 1757. da Google Earth, 2007. In fucsia c.so Martinetti
Area nella quale si formerà la strada.
In verde sal. S.Rosa con il sifone del tratto sup.
N° IMMATRICOLAZIONE: 2865
da Pagano/1940- salita S.Rosa da Pagano/1961
ancora tutta intera
CODICE INFORMATICO DELLA STRADA - n°: 63360
UNITÀ URBANISTICA: 27 - BELVEDERE
CAP: 16149
PARROCCHIA: s.Giovanni Bosco
STRUTTURA: Breve tracciato di cento metri, iniziando in basso dalla separazione da corso L.Martinetti, per arrivare alla continuazione con corso Magellano quando, andando verso il nosocomio, alla sommità si innesta la strada proveniente dal ponte che passa sopra corso L.Martinetti .
Doppio senso viario e pedonale
Ha posteggio per le auto solo dal lato dei negozi e davanti al civ.2
Un distributore di benzina, unico in zona, diversifica la strada; fu aperto nel 1991.
CIVICI:
2007= NERI = da 1 a 3 e 2
ROSSI = da 1r a 33r e 2r
I palazzi affiancati furono eretti un più tardi, risalendo i primi di essi al 1957 per i civv. 1 e 3; fino al 1970 per il civ.2.
STORIA:
Nella carta Vinzoniana il territorio ove nacque la strada apparteneva -nel tratto a nord, sino a Promontorio - al rev.do padre Augusto Negrone ed - a sud - all’emin.mo cardinale Doria; le cui proprietà erano a ponente della stradina che poi si chiamerà sal Inf-Sup SRosa.
La strada nacque con la necessità di arrivare all’ospedale in modo alternativo, visto che, per arrivarvi, fin dall’inizio (1915) era stata utilizzata solo le strade a levante (Balbi Piovera e GB Botteri).
Però per difficoltà varie e lungaggini soprattutto burocratiche-economiche, fu aperta al traffico solo nel 1955.
DEDICATA
al navigatore portoghese, nato a Sines vicino a Lisbona, nell’Estremadura, nel 1469.
Ritratto attribuito a G. Lopes - sec.XVI – Mus. Regional - Lisbona
PORTOGALLO Dall’impero romano –dopo un breve dei visigoti-, agli anni 1095 (la reconquista), le terre portoghesi erano state occupate dagli arabi che insegnarono ad allargare gli orizzonti; alla fine del 1300 iniziò la cura della flotta mercantile e –con essa- l’espansione coloniale nelle quali si distinse il principe Enrico il Navigatore: dalle Canarie, Azzorre, Capo Verde, Guinea ecc. egemonizzando i traffici verso l’oriente; nel 1500 attraversarono l’Atlantico e si interessarono del Brasile L’apice dell’espansionismo arrivò al 1600; dopo il quale iniziò il declino; complicato l’impero portoghese (Compagnia delle Indie portoghesi) dalle missioni dei gesuiti i cui metodi di colonizzazione crearono gravi disaccordi interni ).
La storia della sua vita inizia con lui già esperto navigatore: quindi presumibile – non essendo di nobile ascemdenza - scelta di vita sul mare da ragazzo, e seguente carriera per vivace capacità
Secondo la versione più accreditata – appena ipotizzata la possibilità di raggirare la punta meridionale dell’Africa (detta allora ‘ capo delle Tempeste’ e già raggiunta da B.Diaz nel 1487 ma non doppiata)– ricevette incarico dal re Manoel I (Emanuele) del Portogallo di ritentare il periplo e raggiungere le Indie
Salpò da Lisbona (8 lug.1497 –la Utet scrive il 25 marzo) con 4 caravelle – delle quali, la ammiraglia san Gabriel stazzava appeva 120t ma, seppur piccola era stata allestita con molta attenzione ai particolari, da armatori fiorentini (i Sernigi) stabiliti a Lisbona.
Percorrendo l’oceano Atlantico, per primo, doppiò il capo di Buona Speranza il 18-22 nov.1497. Il giorno di Natale, pose l’ancora in una baia, alla quale diede il nome di Natal (rimase regione storica della reg. SudAfricana, cambiando nome nel 1994 con Kwa Zulu. Altra Natal è in Brasile ma fondata molto dopo, nel 1599). Aprì così la via all’oceano Indiano che da molto tempo era ipotizzata come più veloce della via terrestre per arrivare alle Indie ed all’oriente in genere.
Proseguendo nell’oceano Indiano, seguì l’itinerario concepito dal principe Enrico il Navigatore, arrivò – passando per Mozambico, Mombasa e Melinde (dove imbarcò un pilota arabo) – col favore del monsone - sino a Calicut nell’India meridionale, ove gettò l’ancora il 20 mag.1498 (Utet scrive 18 maggio).
Localmente, trovò possibiltà commerciali assai ampie ma larga e manifesta ostilità dei mercanti arabi e dal ragjà Samurin (probabilmente l’equipaggio aveva combinato qualche incidente). Ripartito col nuovo monsone l’8 ottobre, il viaggio fu funestato da incidenti, malattie e disagi vari che decimarono l’equipaggio; ciononostante riuscì a rientrare a Lisbona col prezioso carico alla fine nell’ago dell’anno successivo (altri scrivono settembre 1499), accolto trionfalmente (fu innalzato un tempio votivo a Belem, per commemorare l’evento) ed ottenendo personalmente larghi onori (il titolo di Ammiraglio delle Indie). L’impresa segnava l’inizio di successive fortunate spedizioni commerciali portoghesi che ebbero l’acme quando la nazione formò l’Impero coloniale. In questo primo viaggio era stato accompagnato dal fratello, Cristoforo di Gama, che poi divenne valente capitano di mare (morì nel 1542).
In un secondo viaggio, iniziato nel 1502 ricircumnavigò l’Africa e, sulle sue coste orientali fondò colonie a Mozambico ed a Sofale (la prima fattoria fortificata portoghese fu insediata in India, a Malabar); al ritorno fu nominato “ammiraglio delle Indie, Persia ed Arabia”.
Allora preferì ritirarsi a vita privata – anche perché, navigatori più giovani venivano preferiti (come Alfonso de Albunquerque).
Ma, peggiorati i rapporti coloniali portoghesi, nel 1524 il re Giovanni III, lo richiamò in sevizio nominandolo ‘viceré’: gli fornì una forte squadra navale facendolo accompagnare da due figli (Estevao (Stefano) e Paulo) e lo fece partire per il terzo viaggio. Arrivò sino a Cocin (oggi Cochin, in India, poco più a sud di Calicut) ove però – pochi mesi dopo l’arrivo - il 24 dic.1524 morì, senza aver potuto iniziare la progettata opera di ricupero del potere portoghese.
L’impresa del navigatore, formò il soggetto di un poema di Camoens, intitolato “le Lusiadi”.
Anche il figlio secondogenito Stefano (o Estevam divenne grande esploratore; compì altro viaggio nel 1532 in una squadra comandata da Per Vaz do Amaral; per un incidente rimase sbarcato a terra sulla costa araba, ma riuscì a ricongiungersi poi agli altri; pochi anni dopo fu nominato governatore della Malacca nel 1536 e poi di Goa (capitale dell’India portoghese) nel 1540, dieci anni prima della sua morte).
Ed altrettanto il figlio quartogenito Christovam nato a Evora nel 1516; era partito nel 1532 col fratello e compì poi da solo numerosi altri viaggi: finché fu posto a capo di una spedizione militare in soccorso di Claudio, negus d’Etiopia: mentre avanzava all’attacco dei musulmani di Ahmad ibn Ibrahim, fu da loro circondato, catturato ed ucciso nell’agosto 1542.
BIBLIOGRAFIA
-Archivio Storico Comunale Toponomastica - scheda 4561 (Vasco da-)
-AA.VV.-Annuario-guida archidiocesi—ed./94-pag.451—ed./02-pag.488
-Enciclopedia Motta ( Vasco da- e ritratto )
-Enciclopedia Sonzogno(Vasco di-)
-Enciclopedia Zanichelli (Vasco da-)
-Grande dizionario enciclopedico Utet-vol. VI (Gama-)
-Lamponi M.- Sampierdarena – LibroPiù.2002- pag. 208
-Pastorino.Vigliero-Dizion. delle strade di Ge.-Tolozzi.85-p. 1805Vasco de-
-Roscelli D.-Cristoforo Colombo-Bastogi.2006-pag.87
VECCHIA strada Vecchia
In una circolare pubblicitaria dello stabilimento metallurgico meccanico Balleydier Fratelli, viene posto questo nome nell’indirizzo: la carta intestata riporta che la sede è “in San Pier d’Arena, sul principio della St.da Vecchia vicino alla Lanterna“. Si inteneva, probabilmente, la via poi De Marini.
Lo stabilimento divenne attivo dal 1832, quando le strade non avevano alcun nome, e quindi si procedeva per “riferimento” a quello che più conosciuto potesse esserci nella zona. La lettera non è datata ma necessariamente è antecedente al 1857 quando invece iniziarono ad essere definite con nomi più diversificati le principali strade della città (delle quali in zona vengono riconosciute solo lo “stradone piano della Coscia, che poi divenne via del Ferro”; la “strada Superiore”, che divenne via De Marini; e la “strada. della Marina” che divenne via Galata).
Quindi la “strada Vecchia” corrisponde molto presumibilmente a via De Marini; dalla quale allo stabilimento, intercorrevano massimo un centinaio di metri.
Questo nome è tuttora in atto in altre delegazioni, come a Staglieno ed a Voltri; in ambedue usato per indicare il diritto di antichità di origine.
BIBLIOGRAFIA
-Pastorino.Vigliero-Dizionario delle strade di Ge.-Tolozzi.1985-pag.1812
-Tuvo T.-Sampierdarena come eravamo-Mondani 1983-pag. 251
-Tuvo.Campagnol-Storia di Sampierdarena-D’Amore 1975-pag. 197
VENTI piazza Venti Settembre
Corrisponde all’attuale “piazza del Monastero” .
Come ricorda il Novella, questa titolazione le fu imposta nel 1890, a sostituzione del primitivo nome di ‘piazza del Monastero’ uguale a quello attuale; e, ad ufficializzare quella scelta, nel 1901 le fu murata la targa in marmo dall’impresa Rebora, Calvi, Barabino per ordine del Comune.
senza monumento e diversa facciata/scalinata con monumento dopo 1905
Nel Pagano 1902 sono segnalati: gli orefici orologiai Costa e Pesso’; al civ. 1 il negozio calzature di Michelini Luigi*°¨ (anche in via Mazzini).
Nel 1905 vi fu eretto il monumento a Garibaldi (vedi a Monastero).
Nel Pagano 1908 (1911 e 1912) segnalano la presenza al civ. 1 del negozio di merceria-tessuti della ditta Dasso Santo →1925; del libraio Dellepiane Luigi →1925, e della trattoria di Domenico Lombardo→1912.
Nel 1910 compare nell’elenco delle strade e piazze cittadine, pubblicato dal Comune: localizzata ‘da via C.Colombo verso Nord’, con civici sino al 6.
foto 1916 foto 1918
Da questi anni, la piazza viene solitamente usata per le manifestazioni di tutti i tipi, dai comizi alle cerimonie, fiere e dimostrazioni. La rivista “L’illustrazione Italiana” riporta – datata 21 aprile 1918 (vedi foto sopra) corredatata di fotografie che mostrano la piazza gremita-,“la consegna della Bandiera e di una medaglia d’oro (incisa dallo scultore DeAlbertis, raffigurante sul verso una ridondante testa di Medusa, sul retro una barriera composta da quattro cannoni affiancati, visti dal dietro, a sbarramento contro il nemico; più le solite frasi stentoree, in latino), offerta dagli operai dello stabilimento-artiglieria Ansaldo, alla «Batteria C.Battisti» (la cerimonia fu conclusa poi in piazza Corvetto). In essa si formavano le adunate del Carrosezzo nel periodo di carnevale: manifestazione molto sentita ed attesa, con premi semplici ma ambiti (gagliardetti di ‘primo classificato’; o semplici allori) e con seguenti sfilate per le vie cittadine su carri (→v Vittorio Emanuele→Marina sino alla Coscia. Ma anche al Campasso→vFillak sino a v.Bercilli, allora confine con Rivarolo)
Il Pagano 1925 mette la soc. per costruzioni in ferro Storace f.lli fu CarloAurelio tel 41392; al civ. 2 i f.lli Tobia hanno negozio di cereali.
Dopo il 1926 con l’annessione di San Pier d’Arena nella Grande Genova, onde evitare doppioni col centro cittadino, fu necessario modificare i nomi eguali, sacrificando quelli della periferia: tutte le delegazioni dovettero cambiare titolazione a vantaggio della omonima del Centro tutt’ora esistente: così capitò a SPd’Arena (piazza), Pegli, Pontedecimo, Prà, Quarto, Rivarolo, Voltri (via).
Nel 1933 però la variazione non era ancora entrata in vigore, cosicché ancora la troviamo in documenti ufficiali con questo nome vecchio, di 3.a categoria, collegante via C.Colombo (via San Pier d’Arena) con via A. da Brescia (via del Monastero) e con vico Mentana (vico della Catena); ed ospitante al civ. 1 la merceria di Dasso Sante e gli appaltatori edili f.lli Albertini; una delle 4 librerie locali, di Dellepiane Luigi; la scuola elementare N.Barabino;il calzaturificio di Michelini Luigi.
In questo anno, in questa piazza (non precisato dove ma si presume nel palazzo del monastero) c’era il Comando della 2ª Coorte (della 36ª Legione C.Colombo) della “Milizia Volontaria Sicurezza Nazionale” (la Milizia era un servizio di volontari agli ordini del Capo del governo, affiancato alle forze militari dalle quali poteva essere ‘asorbito’ in caso di mobilitazione: provvedeva alla pubblica sicurezza, a mantenere l’ordine ed a ‘conservare inquadrati i cittadini per la difesa degli interessi dell’Italia nel Mondo’).
Infatti la ufficializzazione della modifica rientra nel vasto elenco delle vie di San Pier d’Arena con firma del podestà il 19 agosto 1935 cancellate e ridenominate. Si tornò all’antico nome riferito all’esistenza del monastero del santo Sepolcro già dagli anni attorno al 1300, e sul quale poi sorse negli anni attorno al 1550 il palazzo Centurione.
DEDICATA alla storica data del 1870, in cui le truppe piemontesi del IV corpo, forti di 50mila uomini al comando del generale Raffaele Cadorna, (padre di Carlo, altrettanto condottiero nella guerra del 1915-18) fallite le pacifiche trattative con la santa Sede di resa spontanea, dopo un breve bombardamento di artiglieria che aprì un grosso varco di 30m nelle mura tra porta Pia e porta Salaria, penetrarono in Roma superando le deboli difese dei 15mila soldati pontifici comandati dal generale Kanzler: ne seguì immediatamente la designazione di Roma capitale del regno d’Italia.
Oggi appare una cosa ovvia, avere Roma capitale, e poter girare lo stivale in piena libertà: però è una realtà che ha dovuto essere duramente conquistata; corrisponde all’atto finale di ricostituzione di uno stato unito d’Italia dopo quasi duemila anni di divisioni territoriali e di governi diversi, assai spesso stranieri.
Come tutti i grandi avvenimenti storici, la verità ha molti aspetti, molte facce; una che vola alta: la realizzazione avvenne sotto la guida morale di Mazzini (due erano i messaggi del Maestro: Italia una e repubblicana. Per la realizzazione del primo punto, specialmente a San Pier d’Arena, si collaborò fattivamente; accettando non senza rammarico che fosse operata da un re, consapevoli che poi avrebbe formato un regno e non una repubblica); con la spada del genio delle rivoluzioni, Garibaldi; con la sagace maestria politica internazionale del Cavour; con il tacito consenso delle altre nazioni (soprattutti dell’Inghilterra la quale ovviamente trovava un tornaconto politico non da poco nella formazione di un nuovo stato –debole- ma cuscinetto nel Mediterraneo e avverso alle mire espansionistiche di Francia ed Austria); nonché nella eliminazione del potere temporale del Papa (troppo potere, secondo gli inglesi, protestanti).
La seconda faccia è più rasoterra: inimmaginabili lotte ed eroici sacrifici di molti patrioti fedeli all’idea dell’Italia Una; tanti moti popolari soffocati nel sangue; pesanti campagne militari per conquistare millimetricamente il territorio; gli interessi e paure di molti, forse addirittura dei più (specie del clero, dei conservatori e dei soliti tanti benpensanti).
BIBLIOGRAFIA
-Archivio Storico Comunale
-Archivio Storico Comunale Toponomastica - scheda 4590
-DeLandolina GC- Sampierdarena -Rinascenza .1922- pag.57
-Enciclopedia Motta
-Enciclopedia Sonzogno
-“L’illustrazione italiana” numero del 05.05.1918-pag. 360
-Novella P.-Strade di Genova-Manoscritto b.Berio.1900-pag.19.20.25
-Pagano/1908 – pag.877-9
-Pastorino.Vigliero-Dizionario delle strade di Ge.-Tolozzi.1985-pag.1818
-Pescio A.-I nomi delle strade di Genova-Forni.1986-pag.357
strada del Vento
Che San Pier d’Arena venga comunemente chiamata anche Sampierdelvento è conosciuto, specie in alcuni tratti dove la corrente è forte e tutto l’anno (caratteristici, per il numero di ombrelli rotti, gli incroci via V.Alfieri-via A.Cantore e via C.Rolando-via A. Stennio e l’attesa del bus in via Cantore civ.50).
I VENTI Tre sono i venti che ci interessano. Sopratutti : la tramontana. Non è una semplice brezza quella che dai monti soffia lungo il Polcevera; quando è estate è anche piacevole, ma d’inverno è quel vento freddo che frusta il volto, entra negli abiti e penetra nella carne arrivando fino alle ossa; e non rispetta né cappotti né ombrelli. Ai tempi antichi, il vento lungo il torrente poteva forse essere utile a muovere i vari mulini dislocati in zona (ma erano per lo più molini ad acqua e non a vento). Nel dopoguerra ci ripuliva il cielo dall’inquinamento delle industrie e centrali; oggi dagli odori e dallo smog viaro.
Gli altri due vengono dal mare, lo scirocco da sud est, ed il libeccio da sud ovest. Sono forieri di “mare mosso, e tempo du belin”, ovvero dal luvego e maccaia, fino a pesca impossibile, difficile attracco, mareggiate “in casa”.
Anche Petrucci ne parla, in particolare della tramontana. Riconosce che essa aveva dei luoghi specifici, a lei deputati dalla natura: a Voltri, a Cornigliano, da noi ed anche a Genova. Per quest’ultima (riassumo a memoria) descrive una vecchia favola che racconta come la città nacque in funzione del vento, necessario e vitale per il tipo di mestiere che i suoi abitanti avevano prescelto per vivervi: la vita sul mare. Ma un giorno avvenne una violenta lite tra lo scirocco che portava l’acqua e la tramontana che spingeva dai monti; la lotta durò con l’uso di ciascuno del suo meglio: sollevare gonne, rovesciare ombrelli, sbattere le finestre. L’accordo finale fu di alternarsi con sorridente schermaglia: uno che lavava le strade, l’altra faceva da scopa. Ma ahi Genova! da quando fu deciso la demolizione di san Benigno, il vento di San Pier d’Arena si mischia al di là dei suoi canaloni, costringendo al Lagaccio di accendere la stufa di inverno; è così, che lui –oggi teleguidato da tante previsioni che gli fan fare una vita da cani- si vendica come può, ed ora Genova vorrebbe divorziare dal vento. Ma non può.
IL POSTO nelle carte compare e viene scritto essere in una area riferibile a monte all’attuale via Antica Fiumara, la villa ‘Palazzo del vento’ con, a ponente, il giardino ‘piazza del Vento’; ed oggi poco a ponente dell’attuale inizio di questa strada nella triforcazione con via Molteni, via Pacinotti, via Bombrini.Nulla a che fare con ‘o gïo do vénto’ che è a Bolzaneto
Nell’anno 1819 venne presentato dalla Giunta comunale un “quadro statistico territoriale della comunità di San Pier d’Arena”: vi è citata una “strada del Palazzo del Vento al torrente Polcevera”, giudicandola in stato mediocre.
Riguardo le costruzioni nella zona, pur sapendo che nell’antico gli spazi ed il tempo erano concepiti in termini più larghi e vaghi (la parrocchia a san Martino, per esempio, un pò lontana per quelli della Coscia), non tutto combacia alla perfezione per mia mancanza di documentazione: una villa è ben visibile nelle carte dalla fine del 1700 ed in posizione chiara; ma la cappella (forse sono le cappelle, ovvero più d’una in quanto che -in alcuni scritti- si fa risalire al 1300, ed in altri si fa eretta da Rolla) e la torre medievale ancor oggi presente. Appaiono decentrate l’una con l’altra come ad interpretare che c’erano altre strutture a noi sconosciute, in quanto risalenti a tempi prima del 1750.
Nel 1871, l’annuario Lossa segnala in località (quindi vicino alla villa) “piazza del Vento”, esserci il primo stabilimento fonderia di MacLaren e Wilson.
LE CARTE : in esse si evidenzia solo la villa.
Nessuna accenna, né evidenzia, la torre e le cappelle.
La cronologia della villa sarebbe:
-prima, quella del Volckammer del 1708 ove la villa è attribuita al sig. Filippo Cattaneo;
-seconda, la carta nella carta del Vinzoni del 1757, appare appartenere al magnifico Rainero Grimaldi (vedi sotto agli ‘scritti’).
1773 con ‘Piazza del vento’; e, a ponente, terreni di Ambrogio Doria;
la casa a scaletta la ‘Onteria’; poco sopra ‘casa Grondona’.
-terza, la planimetria di Matteo Vinzoni del 1773, per l’atlante “il Dominio della Serenissima Repubblica de Genova in Terraferma”, non appare alcun nome;
-quarta, una carta non datata, probabilmente del Brusco, risalente ad un progetto stradale della fine del 1700: non dice il nome del proprietario (limitandosi a chiarire che la zona ad ovest della villa è del m.co Ambrogio Doria).
-quinta (non sappiamo e non abbiamo documentazione di quando divenne proprietà dei fratelli Savignone Infatti, sappiamo solo che nel 1830 Lorenzo II Dufour, appena arrivato a Genova da Torino, acquistò dai fratelli Savignone il “Palazzo del Vento” con annessi orti e cortili, per farne sede di una raffineria di zucchero, iniziando le attività industriali della famiglia) –sesta infine, nella carta del Porro del 1835-8, già è segnata come “raffineria da zucchero” del Dufour -Poco si sa dell’acquisto dei Dufour del 1830. La raffineria produsse sino al 1840, quando una modifica del dazio di importazione obbligò a chiuderla, e sostituire la lavorazione con i sali di chinino -con i cui proventi, il Dufour riuscì a diversificare con anche investimenti nell’immobiliare-. La fabbrica, nel frattempo divenuta “ditta fratelli Dufour” fu proseguita da tre dei suoi figli (Lorenzo III, Carlo, Luigi) ed ampliata producendo anche altre sostanze come saponi, acido citrico e prevalentemente mannite. Nel 1853, la proprietà subì la mutilazione forzata per la costruzione del tronco di strada ferrata -dalla stazione delle merci al mare-; la famiglia acconsentì alla cessione e fu indennizzata dal governo. Nel 1883, con l’arrivo in dirigenza dell’azienda dei nipoti Lorenzo IV (laureato in chimica) e Gustavo (laureato in ingegneria navale), si allargarono progressivamente gli interessi della famiglia investendo nel settore armatoriale, conceria e legname. Ma già dagli anni 1860, ferrovia ed Ansaldo in espansione, promossero che le attività della famiglia fossero praticamente tutte spostate a Cornigliano. Qui a San pier d’Arena, ancora nel 1926 si continuò la produzione di mannite, estrazione del tannino e della liquirizia (con la quale iniziarono a produrre le prime caramelle); ma nel 1928 le attività subirono un tracollo, mantenendosi la fabbrica chimica solo per poche iniziative ed il possesso dell’immobile.
-settima, proprietà dell’Ansaldo. Il palazzo fu distrutto non si conosce bene la data, nelle prime decadi del 1900; e il suo sedìme fu occupato dall’Ansaldo (nelle mappe del 1897 lo spazio della villa è ancora conservato nell’angolo di nord-ovest tra via Operai e via Fiumara, ma completamente circondato dagli edifici dello stabilimento).
GLI SCRITTI quasi mai si scrive di una villa, ma più spesso della Cappella che – presumiamo noi - era eretta vicino alla casa dei patroni (ma non è detto, considerato che alla Coscia esisteva la villa Pallavicini, vicina alla cappella –senza villa- dei Cibo).
Che la villa fosse più antica ancora delle carte che la evidenziano, lo si può solo presupporre.
Cronologicamente:
-Nell’atto di una tassazione straordinaria firmato nel 1387 dall’Arcivescovo su ordinanza del papa Urbano VI e mirato a rimpinguare le casse vaticane dopo guerre varie e lotta allo scisma, si cita una «ecclesia de Ranucio lire 1»; giudichiamo possa essere la cappella dell’Annunziata, qui fondata da Ranuccio o Ranieri Grimaldi, segnalata dall’Accinelli.
-Il mons. Bossio nel 1582 scrisse che in questa data la cappella era di proprietà di Pasquale Grimaldi.
-L’arciprete Borelli nel 1771 la descrisse appartenere ai Grimaldi, “uffiziata dai Dottrinanti pel catechismo dei fanciulii” e dedicata alla SS.Annunziata.
I DUBBI questa iniziale appartenenza di una cappella ai Grimaldi fa apparire strana o impropria la sequenza delle carte topografiche che mostrano la proprietà della villa –prima e dopo ai Cattaneo con nel mezzo i Grimaldi.
Diventa comunque difficile collocare nel contesto della Fiumara la coesistenza della villa, della torre duecentesca, non proprio attaccata ad essa ma vicina (Nella facciata a nord dei vari capannoni dell’Ansaldo –gestione Perrone-, emergente e ben conservata seppur inglobata nella palizzata lungo la via Bombrini è visibile la torre duecentesca usata per avvistamento e difesa della villa nel tardo medioevo e come montacarichi nella nuova struttura industriale. A mio avviso facente parte di altra costruzione di un’epoca medievale e -nel tempo- scomparsa senza lasciare tracce, e sul cui sedime fu eretta questa che citiamo); e sia la presenza nella località della marina - allora pressoché deserta - della altrettanto famosa “cappella” o forse delle cappelle, che non esistono più (sia quella descritta sopra, di epoca medievale, e quella Rolla che pare la eresse lui, e quindi ottocentesca e posizionata sulla strada principale che dal Mercato va al Ponte –vedi cappella Rolla-).
BIBLIOGRAFIA
-Archivio Storico Comunale
-AA.VV.-Le ville del genovesato-Valenti.1984-pag.100
-Ciliento B.-Gli scozzesi in piazza d’Armi-DeFerrerari.1995-pag.37.51
-Belgrano LT-atti SocLigStoriaPatria-1871-vol.I-parteI-fasc.II-pag.397
-Cevini-Torre-Architettura e industria-Sagep.1994-pag.116
-Doria G.-Investim. e sviluppo economico a Ge-Giuffrè.1973-pag.771
-Costa B. - i Dufour - Erga 1999-pag.20.57.
-Gazzettino Sampierdarenese: 1/95.3
-Remondini A e M- parrocchie dell’archidiocesi-1897- vol.11-.78
-Stringa P.-La Valpolcevera-Agis.1980-pag.91.93
-Petrucci VE.-Vocabolario genovese-Secolo XIX.
VERDI via Giuseppe Verdi
La proposta di titolare la strada al musicista ( quella che attualmente è dedicata a Stefano Rivarola) è del 16 set.1914. Infatti nell’elenco delle strade comunali pubblicato nel 1910 vi appare aggiunta a penna, e localizzata come ‘1a traversa a destra di via De Amicis’ (via Malinverni).
Come oggi, era quindi una traversale a levante, di via E.DeAmicis.
Quando nel 1926 fu creata la Grande Genova, il comune si trovò a dover ridurre le strade dedicate al musicista: oltre al Centro, ne esisteva una a Rivarolo (passo e piazza), Cornigliano, Pegli, Apparizione, Borzoli e SPd’Arena. La decisione fu lenta a maturare, e così ancora nel 1933 la nostra è ancora a San Pier d’Arena, di 5.a categoria e con due civici, collegante sempre via DeAmicis con via G.Leopardi
La lentezza della burocrazia mirata ad evitate dannosi doppioni, raggiunse l’apice il 19 agosto 1935 quando per decreto del podestà fu cambiata col nome attuale, assieme alle altre.
DEDICATA al musicista nato il 10 ott.1813 a Roncole, presso Busseto-Parma, da poveri contadini; e divenuto il più grande e famoso compositore della nostra lirica.
Il suo contributo all’unione nazionale, non è da legarsi alla presenza nelle file dell’esercito o nelle battaglie, ma all’apporto psicologico enorme come espresso nel coro del Nabucco - che infiammò le folle di tutta l’Italia, divenendo uno dei fattori più potenti nello stimolare il desiderio di una terra promessa, di libertà e di riscossa contro l’invasore -. VIVA VERDI era la scritta sui muri , ovvio non cancellabile da parte della polizia, ma che in realtà voleva significare Viva Vittorio Emanuele re d’Italia.
Lunghe e frequenti furono le visite del maestro a Genova; se pur non amasse il mare, prediligeva venire a svernare qui, per il clima e per la riservatezza degli abitanti; come ebbe lui stesso a dire: “il genovese non ama esternare clamorosamente i propri sentimenti; così ognuno è libero di lavorare senza invadenze, con poche chiacchiere e badando ai fatti propri”.
La prima volta venne nel gen.1841, andando ad alloggiare in un modesto albergo vicino a porta Soprana, in una stretta viuzza del borgo Sacca, ora distrutto. Si sfamava con brodo di trippa, reduce da un “fiasco” della sua prima opera, replicata solo sei volte (il “Oberto, conte di san Bonifacio”) .
La capacità professionale ebbe però il sopravvento, iniziando ad inallellare successi ed interesse. Sposatosi con Giuseppina Strepponi fu inizialmente ospite dell’albergo Croce di Malta, tra porta dei Vacca e Caricamento, assieme alla moglie. Poi nel mar.1867 traslocò da una iniziale residenza nel palazzo Mattei-Scudi, al piano nobile della villa Sauli-Pallavicino in via san Giacomo, 13 a Carignano, ove si portò ben tredici casse di mobili ed un biliardo.
Il 24 apr.1867 il sindaco Andrea Podestà, gli conferì la cittadinanza genovese, riconosciuta in Consiglio comunale per acclamazione.
Infastidito dal vento, dalla salita, e dal rincaro dell’affitto, nel 1874, si ritrasferì nel palazzo Doria in via san Benedetto, ove subì un furto che sdegnò, ma soprattutto ‘umiliò’, la città. Qui rimase sino all’anno 1900, anche se la villa era in condizioni scadenti, e per lui il traffico intorno sempre più caotico, il porto e la ferrovia inquinanti. In quegli anni, il sindaco Castagnola voleva intestargli la strada Nuovissima (attuale via Cairoli), ma lui per modestia impedì il progetto.
Il Carlo Felice ospitò diverse “prime” (il Nabucco nel 1842; il Trovatore nel 1854; il Rigoletto nel 1852; la Traviata nel 1855; l’Aida nel 1871), solo per citarne alcune. Ma contrasta questa retorica tesi Claudio Tempo sul Secolo, quando scrive che il Carlo Felice non fu mai considerato mèta della sua attività, e che dei 32 titoli verdiani, nessuno ebbe il debutto a Genova; ed aggiunge che quando il municipio gli chiese un’opera sul tema Cristoforo Colombo, declinò con disinvoltura l’impegno: secondo lo scrittore la città era da lui usata quale posto per un isolamento, lontano dal mondo musicale, ma capace di sollecitazioni creative. Infatti, da personaggio ruvido schivo ma schietto, non amava l’adulazione, di essere al centro dell’attenzione, le malignità del mondo artistico.
Rappresentata invece per prima a Venezia, l’opera “Simon Boccanegra”, è praticamente ambientata in Genova; malgrado la censura ravvisasse nel doge dei riferimenti patriottici non graditi, lasciò andare in scena l’opera cercando di sabotarla: infatti fu un grande insuccesso e solo dopo vent’anni, a Genova fu ritentata una nuova versione ritoccata, ma ancora con flebile successo e scarsità di pubblico.
Durante i soggiorni, lo sappiamo ammirato visitatore di mostre (del Barabino); ed in piazza Savonarola, per posare per un busto in marmo nello studio dello scultore Saccomanno.
L’amore per Genova, è invece sottolineato da numerosi scritti, ma soprattutto da gesti di grande generosità a favore di istituzioni cittadine (ciechi, asili, sordomuti, croce rossa, musicisti ammalati, ecc.), il tutto per cifre elevatissime.
Quando nel novembre 1889 la giunta comunale genovese progettò eseguire ricchi festeggiamenti per la ricorrenza dei 50 anni di attività musicale del maestro, Verdi non solo bocciò l’idea ma addirittura minacciò di non venire più a Genova se la giunta – e per lei il sindaco Castagnola - non ritirava il progetto. Così avvenne, ed il Comune si limitò a regalare una medaglia, che fu accettata.
Che si descriva, mai venne a San Pier d’Arena, malgrado i suoi teatri.
BIBLIOGRAFIA
-Archivio Storico Comunale Toponomastica - scheda n. 4606
-AA.VV.-1886.1996 oltre un secolo di liguria-Il SecoloXIX-pag.56
-AA.VV.-Oltre un secolo di Liguria-1996-pag.56
-DeLandolina GC.-Sampierdarena- Rinascenza .1922 – pag. 58
-Il Secolo XIX del 06.05.01 +
-Iovino R. -G.Verdi a Genova-La Berio- 1/2001.pag. 39
-Novella P.-Strade di Genova-Manoscritto b.Berio.1900-pag.17
-Pagano/1933-pag.249
-Pastorino.Vigliero-Dizionario delle strade di Ge.-Tolozzi.1985-pag.1826
-Pescio A.-I nomi delle strade di Genova-Forni.1986-pag.168
-Sartoris L.-Verdi a Genova 1841-1901-Tolozzi ed.-
non citata sullo stradario del Comune/35 e sul Pagano/33
TARGHE. San Pier d’Arena –via – Vicenza
Via – Vicenza – già via Ugo Bassi
angolo con via del Campasso
angolo nord con via W.Fillak angolo sud
QUARTIERE ANTICO: san Martino
da MatteoVinzoni, 1757. In rosso l’abbazia di san Martino ed in giallo
la strada omonima.
N° IMMATRICOLAZIONE: 2860 CATEGORIA: 3
da Pagano 1967-8
CODICE INFORMATICO DELLA STRADA - n°: 64240
UNITÀ URBANISTICA: 24 - CAMPASSO
da Google Earth 2007.
L’ombra impedisce di vedere il tratto del sottopasso ed il terreno soprastante.
CAP: 16151
PARROCCHIA: san Gaetano- san Giovanni Bosco
STRUTTURA: senso unico viario, da via W.Fillak a via Campasso.
Dopo poche decine di metri di percorso, un limite viario in altezza per la presenza di un sottopasso. Ha civici sino al 9 e 16.
È servita dall’acquedotto DeFerrari Galliera
STORIA: per secoli ha corrisposto allo storico inizio della strada per il Campasso; prima della attuale apertura diretta tramite via W.Fillak.
In una carta di fine 1700, l’unica via - allora anonima - proveniente dal centro del borgo e diretta verso il nord appare passare solo seguendo l’itinerario dell’attuale via C.Rolando, alla cui fine piegava sovrapponendosi a via Vicenza (entrando dapprima nella proprietà Cicala (ove dopo pochi metri si trovava una grossa villa sotto la quale passava la strada -come adesso- e, poco dopo in corrispondenza del torrente proveniente da Belvedere c’era un mulino, probabile quello Tuo di vico Governolo); per poi entrare nei terreni del sig. Ponzio (primo tratto rettilineo di via del Campasso) seguiti da quelli del principe Santangelo (nella seconda metà in rettilineo della stessa strada)).
Ancora agli inizi del secolo 1900, parlando di via Bezzecca, si precisò essere “di fronte all’inizio di via Campasso”. In quegli anni le fu imposto il nome di “via Ugo Bassi”, già via del Campasso; e poi via vecchia del Campasso.
Tale era ancora nel 1933, di 5.a categoria, quando l’attuale via del Campasso si chiamava via Giordano Bruno.
Divenne ‘via Vicenza’ dopo delibera del podestà firmata il 19 agosto 1935, onde evitare nomi doppi tra centro città e periferia.
Vi inizia l’erta salita GB.Millelire (a quei tempi si chiamava salita Ugo Foscolo), ricordata come Rompicollo, che sale sino al forte Belvedere, ora chiusa da due assurdi cancelli.
CIVICI Neri da 1 a 11 e da 2 a 16
Rossi da 1r a 17r e da 2r a 12r
Nel Pagano/40 via da via d.Corporazioni a v.Campasso. Segnala: neri da 1 a 7 e 2→8, con al 5 i Reali Carabinieri; rossi una osteria al 10n
Nel Pagano/1961 si segnalano esistere: civ. 7n la fabbrica di cioccolato Melius (che io ricordo negli anni ‘64-‘74 in via Marabotto); civ.9n soc. di trasporti f.lli Bruzzone; === civ.4r il carbonaio Bottura I.; civ.5r Curti, articoli casal.; al civ. 5Nr la ALIG di lavori edili; al civ. 14r la ditta Porta E calzature.
Il palazzo d’angolo a mare, ha la facciata con false finestre: per ogni piano, di tre, solo quella centrale è vera, le due laterali sono chiuse.
===civ 13r Si ricorda altresì esservi stata -una delle poche in delegazione- “casa dalle persiane chiuse”, prima che la Legge Merlin le abrogasse il 20 settembre 1958. Valdemi ricorda che similare fosse solo in vico L.Stallo, e sottolinea che qui ne fu solo richiesta l’apertura in un appartamento, ma fu respinta l’autorizzazione, adibendo invece il locale a stazione dei Carabinieri. Questa, - nell’ultimo periodo bellico- corrispose ad una caserma della Guardia nazionale repubblicana (GNR) fascista, ove fu rinchiuso appena arrestato il gapista Riccardo Masnata e da dove lo stesso fu liberato il 12 giu.1944 con audace azione partigiana .
===civ. 4n e 7n Alla loro altezza, la strada sottopassa un palazzo tramite un voltino il cui soffitto è a grosse travi di legno, struttura antecedente all’uso del cemento armato e quindi probabilmente ultracentenario. Anche il muro che delimita a levante la strada, appare vecchissimo, opportunamente svasato in basso per maggiore sostegno (vedi foto sotto).
Nella carta del Vinzoni si legge che la strada sottopassa una costruzione tipo abitativo: presumo quella che sul Gazzettino, senza precisare a che civico, si scrive ‘alla sommità della via esiste villa Stura’. Non è chiaro se è questa, con il sottopasso o quella (al di là di salita Millelire - però posizionata più in alto rispetto via Vicenza) occupata dalla società di M.S. la cui proprietà terriera di estende verso nord est.
Se fosse quest’ultima, allora in realtà ‘esisteva’, perché la casa (già degli eredi Rocca, poi degli Stura ed infine dei Ravano, ed ancor ora curata da uno dei Marchese) è stata spianata, mentre della proprietà rimangono vicino: una casetta che ospitava i manenti e le mucche, e - poco più a nord - l’edificio - ora in abbandono e fatiscente - per carrozze e carrozzieri rimane un esempio di quello che sino al dopoguerra del 45, era “il mondo dei trasporti locali”. I cavalli, e con loro i maniscalchi, sellai, carradori erano l’indotto del traffico merci nel porto e nelle stazioni ferroviarie. In una foto, si vede il sellaio F.Bruzzo, operante in san Martino (non precisato) con i cavalli, la stalla, il ciottolato. Con lui erano famosi a San Pier d’Arena i fratelli Civani e Natale Ferrando.
===civ.3 nel 1950 fu assegnato ad una porta che non aveva numero; e quello che era il 3 divenne l’attuale 5; ed il 5 divenne 13rosso.
===civ.11 la palestra del As.Buto Ku Kai Ligurs (tel.010.415856)
===civ.12r c’è una uscita-retro del circolo Spataro che ha ingresso in vico Stallo
===civ. 17r la palestra di karate “A.S.D. KarateTeam di Bruno Da Boit” che è il maestro - e la scuola è iscritta alla Fed. It. Arti Marziali del Coni: nata nel 1973 (col nome di Butokukai con solo karate e judo), nel tempo (e così è nel 2011) è stata ampliata la rosa di maestri per insegnare karate, kung-fu, tai-chi, aikido, thai-boxe, difesa personale, ginnastica terza età.
all’altezza di salita Millelire in discesa, dal maneggio prato davanti la prima casa-maneggio
con muretto sopra lo sbocco della galleria
Dopo il voltino, a ponente c’è una scala che scendendo, ci collega con vico Stallo; dopo essa seguono solo ingressi di abitazioni. A levante c’è salita Millelire con a fianco l’ingresso-cancello della villa soprastante; lungo il muraglione una sola casa.
foto 2001 . la prima casa con stalle. A sinistra il muretto corrisponde all’uscita della galleria.
Entrando
dal cancello (che una
volta era più arretrato di 50metri in alto, e viene ricordato che ancora più
anticamente iniziasse dalla cappelletta che è sulla strada) - dopo un
percorso a tornanti – si arriva ad uno spiazzo (ove era la villa)
e ad una casetta (foto
sopra): essa appare di più recente
costruzione - definita ex fioriera – e, nel 1999- era adibita a deposito di
materiale di un ortolano
e dove ancor ora si ospitano dei cavalli (essi –di vari proprietari- sono tenuti nella stalla, puliti, nutriti e
giornalmente portati ‘a passeggio’ nelle fasce soprastanti, a nord della salita
Millelire. Nel 2002 questo servizio è stato sospeso, ma si prevede poterlo
riattivare presto). La proprietà è
privata, e non accessibile alla gente.
Questa foto non appartiene a questa strada, ma non sapendo dove
erano, è stata scelta quale esempio di maniscalchi con stalle.
La zona è circondata da un ampio terreno verde a fasce (fa riferimento al terreno soprastante il muraglione - a cui si appoggia la cappelletta della Madonna - quando si è all’inizio di via Campasso; in quel punto, sopra, sbocca dalla galleria la ferrovia che si apre al parco del Campasso
Su queste fasce avrebbe dovuto passare, verso Certosa-Rivarolo, la prosecuzione della strada Quota 40 (che ora si interrompe davanti al cancello dell’asilo Andersen -ex villa Currò).
la casa, abitata, sulla fascia superiore- davanti e retro
la terza casa, rudere sventrato, ex fienile facciata a ovest
scultura metallica nel prato
DEDICATA alla città veneta eroina del Risorgimento, il cui stemma è
crociato come il genovese.
Storicamente è risaputo che alcuni vicentini, già nel lontano finire il 1200 fossero uomini di mare e portassero navi in oriente (un Pietro di Vicenza nel 1274 fu assalito da una galea bizantina al largo di Yalta – allora chiamata Pagropoli - in Crimea).
La città, posta al centro di tutti i percorsi storici dell’Italia nord orientale, dal tempo dei romani e dei veneziani fu epicentro di commercio, di storia e di cultura.
È chiamata la ‘città del Palladio’.
Acquisì particolare interesse, nelle guerre di insurrezione dal giogo austriaco; in particolare nella prima guerra di Indipendenza del 1848, quando essa faceva parte del regno Lombardo-veneto.
Nel febbraio 1848 Carlo Alberto aveva promulgato lo Statuto, mentre anche in Francia, Germania ed Austria (13 marzo) scoppiarono moti rivoluzionari: Milano, Venezia, Treviso ed altre città italiane ne approfittarono, insorgendo e scacciando gli Austriaci.
Il 23 marzo iniziò la guerra contro l’Austria: era presente anche Nino Bixio con un folto gruppo di volontari genovesi.
In contemporanea, anche Vicenza –guidata da Valentino Pasini, membro del governo provvisorio locale- insorse contro gli austriaci: combattendo con indomito coraggio riuscì il 25 marzo a cacciarli dalla città. Il corpo dei volontari e la guardia civica, armati da Venezia e Pio IX e guidati dal gen. Sanfermo si mossero per aiutare Verona, ma a Sorio e Montebello, seppur rafforzati da padovani e trevisani, vennero sconfitti e costretti a rientrare. La città si preparò alla difesa –con barricate, pietre e masserizie- e chiedendo aiuto a Carlo Alberto ed ai pontifici.
Il 20 maggio l’esercito croato iniziò l’attacco, ma dovette ritirarsi dopo cinque ore. I vicentini ebbero 10 morti ed 80 feriti.
Il 21 arrivarono in aiuto mille uomini comandati dal gen. Antonini (con Daniele Manin e Nicolò Tommaseo) ed il gen Durando (con 5mila svizzeri pontifici, sei cannoni, due obici ed un gruppo di cavalleggeri). Nei due giorni successivi, scaramucce e tiri di artiglieria preannunciarono l’attacco in forze.
Nella notte del 23 maggio la città fu investita sia in forma diretta (verso la piazza principale, di Castello; sia indirettamente tentando di raggirare il monte Berico) ma la resistenza tenne, con l’appoggio di tutto il popolo, dei volontari e dei soldati pontifici, costringendo l’austriaco a sospendere i tentativi sino ai primi di giugno.
Ma per poco perché il 10 giugno essi guidati dal Radetzky tornarono a circondare e bombardare la città. Gli assalti reciproci, determinarono altrettanto reciproche decimazioni (in una di queste battaglie, rimase ferito Massimo D’Azeglio, partito come ufficiale), finché il 22 giugno, malgrado strenua resistenza sul monte Berico (guidata da Massimo d’Azeglio e da Cialdini), la città fu costretta alla resa e di nuovo soggetta all’invasore. Ciò avvenne quando il generale Durando considerò vana ogni resistenza essendo state tutte le artiglierie ridotte al silenzio.
L’eroico comportamento della popolazione determinò la concessione della resa con l’onore delle armi e sufficienti buone garanzie verso la popolazione (trattarono la resa il gen. Albéri ed il principe Ruspoli).
Attraversato il Ticino, ci fu poi la battaglia a Govèrnolo (19 luglio 1848). Ma dopo essa, l’armistizio firmato dal generale piemontese Salasco (che per ordine di Carlo Alberto il 4 agosto firmò a Milano la sospensione delle ostilità con il maresciallo austriaco Hess) pose fine alle trepide attese dei volontari.
Con la guerra del 1866 Vicenza fu tolta all’impero austriaco ed inserita nel regno d’Italia. A memoria del precedente motivo eroico, il re Vittorio Emanuele II - il 19 ottobre 1866 - concesse una medaglia d’oro al VM alla città: “Per la strenua difesa fatta dai cittadini contro l’irruente nemico nel maggio e giugno 1848”; ed il 18 novembre successivo, lo stesso re in piazza dei Signori, decorò personalmente la bandiera cittadina con la suddetta medaglia.
Anche nella grande guerra del 1915-18 la bandiera comunale fu insignita della “croce di guerra” al merito, sia italiana che francese.
BIBLIOGRAFIA
-Archivio Storico Comunale
-Archivio Storico Comunale - Toponomastica, scheda 4631
-AA.VV.-Annuario guida archidiocesi-ed.1994-pag.452; ed.2002-pag.489
-AA.VV.-Contributo di SPd’A.alla Resistenza-PCGG.1997-pag.52
-AA.VV.-Il lungo cammino della Libertà-Bertello 1975- pag.184
-AA.VV.-Storia Ligure Illustrata-N.Bixio-Erga, vol. I
-Corti M.AnnuarioLigureDelloSport-LoSprint 2008-pag..271
-Enciclopedia Sonzogno
-Gazzettino Sampierdarenese : 5/89.1 + 8/94.5 +
-Novella P:-Strade di Genova-Manoscritto bibl.Berio.1900-30-pag.19
-Pagano annuario genovese- ed./1933-pag.244; /1961-pag.432
-Pastorino.Vigliero-Dizionario delle strade di Ge.-Tolozzi.1985-pag.1834
-Poleggi E. &C-Atlante di Genova-Marsilio.1995-tav.9.10.21
-Stradario del Comune di Genova-ediz.1953-pag.183
-Stringa P.-La
valpolcevera-Agis.1980-pag. 92carta.96carta
VINZONI via Matteo Vinzoni
TARGA:
via – Matteo Vinzoni – ingegnere cartografo – 1690-1773
strada privata
in angolo con via G.Balbi Piovera
La targa fu posizionata nuova negli anni 2000. Prima ne esisteva una in marmo, uguale alla attuale ma con in più la scritta in alto “San Pier d’Arena - 2657”. Questo numero di immatricolazione era relativo al rione di Staglieno: o fu un errore o fu riutilizzo della lastra quando –dopo la unificazione- fu deciso dare a noi questa titolazione.
QUARTIERE ANTICO: Promontorio
da
MVinzoni, 1757. Ipotetici tragitti: rosso, corso OScassi; fucsia, via BPiovera;
verde via MVinzoni. In verticale a destra, il torrente di san Bartolomeo
N° IMMATRICOLAZIONE: 2657 (ma scorretto, come dscritto sopra)
da Pagano/1961
CODICE INFORMATICO DELLA STRADA - n°: 64800
UNITÀ URBANISTICA: 28 – s.BARTOLOMEO
da Google Earth 2007. In blu via BPiovera; giallo, via
MFnti; fucsia le scale che scendono in via sBdFossato.
CAP: 16149
PARROCCHIA: Cristo Re
STRUTTURA: Negli anni del Pagano/61 esisteva da poco e non ancora completata; ma già si intravvedono i civici dall’1 al 5 e dal 2 al 6.
Strada privata con doppio senso viario. Inizia da via G.Balbi Piovera; in fondo è chiusa al traffico veicolare ma si collega -tramite lunga scalinata, che in discesa sottopassa l’autostrada- con via san Bartolomeo del Fossato.
La targa -precedente a questa attuale plastificata- e posta negli anni 2005-6, recava scritto “San Pier d’Arena – 2675 - via – Matteo Vinzoni – ingegnere-cartografo – 1690-1773”.
Corrisponde all’ennesimo “budello” risultante dalla speculazione e sfruttamento dello spazio ad uso edilizio degli anni fine-post 1950 circa, senza aver conservato il minimo interesse alla viabilità ed alla vivibilità di chi vi avrebbe abitato.
CIVICI
2007 = NERI = da 1→5 e da 2→6
ROSSI = da 1r→21r 2r→44r (mancano 32r, 34r, 42r)
===Il civico 2, come visibile sulla carta del Pagano, è separato dalla strada vera e propria da un largo marciapide che segue (a V rovesciata) la separazione tra -sulla carta del Vinzoni- i terreni di Ghiara e quelli del duca Spinola.
STORIA: Nella carta del Vinzoni del 1757, i terreni - con villa - appaiono occupati dalla proprietà del “sig.r Giuseppe Ghiara”; essa era accessibile solo dal basso, da via sBartolomeo dF (vedi). Questa proprietà risulta –sempre nella carta settecentesca- sottostante a quelli dell’”ecc.mo Marcello Durazzi q. GioLuca”; ambedue tagliati a metà da un torrente (Carbonara) proveniente da Promontorio e defluente nel Fossato, in un avvallamento alla sommità dei lati –a ponente- era la salita Imperiale (oggi via Derchi); ed a levante era una salita anonima –oggi D.Conte-. Quindi una proprietà estesa dal torrente sottostante a via BPiovera e via Fanti.
presumo questa sia la villa Ghiara 1926 – villa con le suore e proprietà fino a sBdF
La strada Balbi Piovera fu aperta per costruire l’ospedale. Quindi fu solo negli anni 1910-15 che, aperta questa via, si poté usufruire di essa, forse più comoda per l’accesso dalla parte superiore; al punto che con l’edificazione in basso, divenne poi la più usata via di accesso alla villa Ghiara.
A lungo, negli anni 1920-30 la villa fu ‘collegio-educandato delle suore Figlie di sant’Anna’ istituite da suor MB Gattorno nella seconda metà del 1800, e che poi si traferirono nella villa di via Currò (vedi a via S.B.dFossato).
Nel gennaio1959 la delibera del Consiglio comunale decise il nome per questo tratto di strada in cui esistevano già tre palazzi con i civ. 15A, 15B, 15C di via Balbi Piovera. Ad aprile divennero i civv. 1, 2, 6 della nuova via. Invece i civv. 3 e 5 furono eretti dopo, nuovi nel 1959; il civ. 4 nel 1963.
DEDICATA al cartografo nato a Levanto il 6 dic. 1690.
Famiglia Un Antonio, fu il capostipite (il primo oggi conosciuto della discendenza, residente nella frazione di Bonassola chiamata Montaretto; nobile, risultando la famiglia ascritta nel ‘Libro d’oro’ della nobiltà di Sarzana). Suo figlio GioFrancesco (nonno di Matteo, fu colonnello della piazza militare di Sarzana nel 1648; scrisse un manoscritto sulle qualità da osservarsi nei reggimenti italiani. Ovviamente fu il padre del capitano delle milizie locali (stipendiato da Levanto) ingegner Panfilio Antonio Francesco. Questi, a sua volta, generò due figli: uno GioTommaso (‘uomo di singolare virtù’: così appare sulla epigrafe dettata dal fratello e scolpita su una lapide sepolcrale nella chiesa dell’Annunziata a Levanto; fu protonotaro apostolico; divenne anche lui colonnello; sostituì il fratello in alcuni rilievi in Val di Vara.) ed il nostro Matteo.
Matteo, sposando una Gentile (figlia di un ufficiale della Repubblica, probabilmente corso) divenne padre di 5 figli: Panfilio (Levanto 25/12/1730-Levanto 13/04/1790. Chiamato jr. fu l’ultimo dei cartografi. Iniziò con la trasferta a Nizza -1748- per la pace di Aquisgrana, divenendo capitano-ingegnere nel 1755; maggiore nel 1769 cartografo militare come la discendenza; collaboratore del padre, seguendolo costantemente attraverso il territorio della Serenissima dipendendo dalla ‘Giunta dei Confini’. Morì celibe); Gio.Francesco (notaio, divenne saltuario collaboratore del padre e preferì seguire l’arte della cartografia); altre tre figliole (tutte divenute monache tra le quali Maria Rosa futura suor RosaCeleste nel convento di Sarzana, le altre due nel monastero di s.Chiara).
Quindi, nipote, figlio e padre di militari, divenne pure lui colonnello della Serenissima Repubblica Genovese, su tutti qualificandosi il più bravo, famoso ed efficiente nel produrre carte topografiche ricche di informazioni, precise e dettagliate, avvantaggiato solo dalla vocazione naturale al disegno, dal carattere meticoloso, dall’esigenza politica di simili opere in un’epoca in cui non era ancora uso definire e quindi raffigurare in forma precisa i terreni, le località e le proprietà.
Già da secoli prima della sua nascita, le continue invasioni oltregiogo di terreni normalmente curati da Genova per il commercio con l’interno cittadino e della riviera di ponente (comprendenti Novi, Alessandria, Monferrato, ed entroterra di Albenga) -soprattutto espansionistici da parte dei Savoia-, più volte avevano imposto conoscere “il mio dal loro”, e sapere quando spendere per andare a proteggere i confini.
Ma molto più pressante e prioritaria, a partire dagli inizi del 1600, fu la decisione di definire i confini in rapporto a notizie che arrivavano -sempre più allarmanti- di infezioni di peste; -di cui la più grave e di manzoniana memoria- del milanese nel 1630.
Era ovvio che le mura, appena ultimate, non bastavano di fronte a quel nemico.
Così, già nel 1643 il governo della Repubblica deliberò una sistematica rilevazione del territorio dello stato, specie dei confini, con prevalentemente fine di porre necessarie misure di difesa contro la peste; allo scopo, creare punti di rilievo -oggi diremmo epidemiologici-. Nel 1656-7, il lavoro era quasi pressoché ultimanto - mancando solo l’estremità della riviera di levante- quando la violenta epidemia che sconvolse Genova, interruppe questo programma di rilevazioni, bloccandolo quando era -per poco- incompleto.
Agli inizi del 1700, lo Stato riebbe necessità di autocensirsi anche per riuscire a governare politicamente, destreggiandosi tra le pressioni e le controversie di confine da parte dei vicini: Piemonte, Asburgo, Borboni, Francesi; e non ultimo dalle ribellioni interne. Quindi dopo aver tentato di farsi servire da architetti occasionali, ma con risultati non fedeli né interessati alla sicurezza nazionale, apparve opportuno istituire una scuola specifica, definita “corpo degli architetti-ingegneri militari genovesi”.
Sono del 1707 i primi segni della mano autodidatta del Vinzoni, inserita a relazione soprattutto negli scritti del padre, relatvi a territorio del capitaneato di Levanto e di alcune vertenze con le confinanti Parma e granducato di Toscana (sui confini con il ducato di Toscana, dovette recarsi con 12 soldati ad ‘atterrar muraglia’ eretta in terra ligure e contesa ai genovesi: ovviamente fu bandito dal Gran Duca.
Sono del 1709 le prime vedute panoramiche giovanili di Matteo nei disegni paterni della Lunigiana.
Sempre sotto la guida del padre, è del 1711 il primo disegno con la sua firma “Matteo Vinzoni Stipendiato”, primo scalino della carriera al servizio della Repubblica, l’ufficio della ‘Giunta dei Confini’ ove vengono tracciati i confini di Zignago, Brugnato, Suvero e Rocchetta;
Seguono -sicure altre due missioni ‘da solo’- che forse servirono a candidarsi ad accedere alla professione -1712. Di esse, una nella val Trebbia dove, dal monte Alfeo disegnò nella valle i corsi d’acqua, le vette e le pendici, ponendo istintivamente da solo la base della rappresentazione zenitale del rilievo.
Questi lavori nel 1715 lo fecero ammettere alla scuola di Architettura Militare della Repubblica. È di questo anno la delibera del Senato di aumentargli lo stipendio e la concessione di ‘potersi assentare da Levanto per 6 mesi al fine di poter frequentare la scuola di Architettura militare’ tenuta in Genova dall’ing. Giovanni Bassignani (eccellente ingegnere già al servizio di Venezia e dell’Austria, e-in quegli anni- di Genova; più volte onorato ed elogiato dal Vinzoni stesso; il Ratti ne fece sperticato elogio) e dal sotto-ing. Gastone DeLanglade, ove iniziò a fare severo tirocinio per imparare a usare gli strumenti topografici e come accertare i confini delle varie terre, per sapere poi come difenderli: “conoscere per governare”.
Nel 1719 fu inviato in Corsica, ove la scuola (agli inizi come struttura scolastica vera e propria, ma già ben definita come carriera: da sottoingenere, a ingegnere, parallela al grado militare che –come detto sopra, da stipendiato- permetterà diventare capitano, colonnello, brigadiere) possedeva una importante sede idonea a completare il tirocinio (tra l’altro imparare le nuovissime tecniche di offesa e difesa, per sapere come armare una fortezza , anche senza la necessaria esperienza sul luogo di una campagna militare, giudicata sino ad allora insostituibile) ed imparare a tradurre la visione pittorica del terreno in quella cartografica dall’alto (da una altitudine a quei tempi inimmaginabile): usando opportuni strumenti come astrolabio, lancette, catene, associati a calcoli geometrici (angoli, distanze, livelli) si creava una proiezione verticale che solo con l’invenzione delle curve di livello (in Liguria, nel periodo napoleonico da cartografi francesi) raggiungerà i migliori risultati.
Nel 1720 di fronte all’improvviso pericolo di una ennesima epidemia (con focolaio a Marsiglia; si era sviluppato quell’anno nella città francese ed il cui focolaio durò due anni, dopo l’attracco di una nave infetta proveniente dalla Siria, e che per fortuna non aveva potuto fermarsi nel nostro porto causa un forte vento contrario), il governo affidò al Vinzoni di stilare un “Atlante della Sanità” ovvero ‘pianta delle due riviere della serenissima Repubblica di Genova’ divise ne’ Commissariati di sanità’ necessari per porre le basi di una seria organizzazione dei servizi di guardia, da Ventimiglia a La Spezia, con vigilanza diurna e notturna su tutta la costa, onde impedire qualsiasi furtivo accesso (da sanitario lo scopo poteva sconfinare col commerciale e militare antipirateria).
32enne, iniziò il lavoro il 27 sett.1722. Con la nomina iniziale (già ottenuta nel 1721) di “capitano e sotto-ingegnere”, con sede di riferimento a Levanto, imbarcato su una nave della repubblica assieme a due aiutanti (GioBattista Mussa e Antonio DellePiane) ed un servitore, fu costretto ad inventare il modo migliore per soddisfare le esigenze del committente. Partendo da ponente, vi riportò tutti i paesi disseminati sulla riviera, con relazione delle ‘casette di sanità’, corpi di guardia con collocazione, percorso notturno e diurno e numero degli uomini e graduati. Ogni località richiese il suo tempo: ad Arenzano ristette dal 16 al 19 dicembre; il 2 gennaio fu a San Pier d’Arena; il 13 aprile ripartì per la riviera di levante. In capo a sei mesi, a fine primavera del 1723, un po’ a cavallo, un po’ in barca, finì l’incarico che forse è il suo capolavoro.
Nella decade successiva, fu inviato a porre in chiaro facendone relazione, una controversia della Selva di Pertegara; e poi e poi ancora i confini di Rezzo col re di Sardegna (rappresentato da un suo pari ingegnere, Francesco Gallo il quale, nella controversia fece intervenire l’infegnere del re di Francia Francesco De La Naverre Fleurigny, con ovvie ‘grane’ di carattere internazionale).
Ma la rilevazione cartografica – specie dell’interno - richiese oltre una trentina di anni prima di assumere una veste presentabile ed essere consegnata (la conoscenza dei confini non era quasi mai uniforme e necessitava interrrogare pastori, mulattieri, legnaioli locali, non sempre sinceri o concordi, per includere o escludere punti fisici del terreno a loro volta spesso mutevoli –come alberi, sentieri, dirupi e pietre- soprattutto perché interrotto da continui invii nei più disparati posti e missioni alcune delle quali richiesero anche sei sette anni per essere risolte: “riesce di somma premura che senza ritardo vi portiate alla presente città ...onde, al ricevere della presente che vi mandiamo per espresso, doverete (sic) partire per mare o per terra a questa volta”; ma anche perché se la vita all’aperto giovò senz’altro alla sua salute, malattie varie lo afflissero più volte tra cui una persistente sciatica (‘dolorosa flussione di nervi gelati nella gamba sinistra, malanno riportato per i lavori stradali Novi-Alessandria’); ambedue i motivi, gli concessero giustificarsi più volte nell’andare a relazionare in città il suo lavoro). Quindi, è datato 3 marzo 1759 un decreto relativo: “Fu proibito che il presente tipo delle Due Riviere potesse uscire dalla cancelleria né essere mostrato ad alcuno fuorché ai soggetti del magistrato”.
Negli anni 1733 era in perlustrazione e per descrizione particolareggiata (confini misurati geometricamente, boschi e corso di torrenti, paesi misurati casa per casa a Cosio, Mendatica e Montegrosso; poi nel territorio di Seborga (allora, Seborca), di Pietra, di Busalla ed Isola, di Moneglia, fino a Zeri.
Nel marzo 1745 tutte le carte (escluso SanRemo e Riva) furono consegnate; e già dalle prime rilevazioni, il governo aveva recepito l’interesse che sconfinando dall’iniziale proponimento sanitario, comprendeva il politico-militare, di assai maggiore interesse: dal Magistrato le carte verranno subito chiuse nella Cancelleria, con il veto della consultazione se non autorizzati direttamente dal Senato.
Il Nostro dovette ripetutamente percorrere le due riviere, affrontare problemi di alloggio, trasporto, alimentazione, rifornimenti, rapporti sociali con i nobili locali non sempre disponibili, per raccogliere le informazioni e le misure più varie sul terreno e sul popolo, affrontando le difficoltà più varie (andando a ledere gli interessi di molti, come il diritto di pascolo, di taglio dei boschi, di portata delle acque e fonti; odi campanilistici; false informazioni; paure più o meno motivate di tasse o controlli); più volte fu aggredito e minacciato con le armi; arrivò ad essere arrestato o coinvolto in sommosse popolari (come nel 1746 catturato dalle truppe austriache e tradotto nel castello a Milano; ritornerà dopo l’episodio del Balilla e la cacciata per volontà autonoma del popolo; in questo frangente scrisse dei sonetti inneggianti Genova ed il suo amore per essa.
E poi a San Remo quando fu fatto prigioniero da popolani sollevati –leggi sotto-).
Quando arrivava in una località, munito di speciale mandato del Senato, entrava negli archivi parrocchiali e signorili, esaminava, controllava e trascriveva pignolescamente per intero ampi documenti; interrogava i vecchi del paese; ordinava contradditori; misurava e disegnava le piante su più scale; valutava i reali confini minacciato anche fisicamente dai vari proprietari (anche lo stato piemontese lo inquisì e minacciò ripetutamente di arrestarlo accusandolo di aver detratto varie miglia di suo territorio)
Nelle pagine riguardanti il “Commissariato di San Pier d’Arena”, comprendente anche Cornigliano, descrive che la guardia si svolgeva per “due miglia e mezza circa” di spiaggia (“dallo scoglio Garanga, al Rastello della Torre di Capo di Faro detta la Lanterna”). Descrive dove sono le casette (in legno sulla riva , o in “matteria” tutte le altre); per alloggiare le guardie (da una a cinque, giorno e notte) preposte alle ronde di controllo della spiaggia (il “Rondino” gira tutta la notte e visita tutti i posti fissi ove tre militi stanno a riposo e a turno due stanno in servizio): 40 soldati ogni giorno, tra 1944 militi e 757 scelti nel Commissariato, forniti sia dagli otto quartieri (per la militanza: Coscia, Crosa Larga, Cella, Bovi, Cinixiano, Ponte, san Martino, Mercato; per gli scelti: Coscia, Borcagero, Comixiano, Ponte, Mercato) che dalle altre “ville” quali Promontorio, Gagliano, Rivarolo, Garbo, Teglia, Morta, Trasta, Livellato, sino a Pontedecimo.
Nel 1748 in concomitanza della sua presenza ad un convegno a Nizza ove era stato convocato per il trattato di Acquisgrana, ebbe commissioni di lavoro per privati, non sappiamo sino a che punto fuori dalla committente governativa istituzionale; così lo sappiamo produrre lavori anche per i Brignole, nel territorio di Albenga, nei feudi a confine tra Genova e Piemonte e per nobili famiglie di Sanremo (giugno 1753)
A SanRemo fu partecipe di un grave fatto, durato 12 giorni, narrato su un opuscolo manoscritto anonimo: La borgata di Colla (Col di Rodi, nds) chiese al Serenissimo trono la separazione dalla Comunità di S.Remo; ed il Governo inviò là il Vinzoni -6 giugno- per segnare i confini tra i due paesi. Ciò irritò i sanremaschi i quali, dopo inconcludenti trattative col Commissario Generale GM Doria, insorsero facendo prigioniero tutto il corpo di guardia, il Doria, il Vinzoni ed altri Ufficiali; e fu tale il risentimento contro la Repubblica, che il giorno dopo furono inviati quattro deputati a Torino per offrire la loro sottomissione e vassallaggio al re di Sardegna. Dopo pochi giorni comparve all’orizzone una piccola flotta genovese inviata per ristabilire l’ordine; ma a quella vista il popolo si agitò di più impadronendosi dei prigionieri e minacciando giustizia sommaria. Le donne in particolare sembravano furie; tutte le parole più triviali, tutte le più sanguinose ingiurie uscirono dalle bocche contro quei disgraziati che “in veste da camera e pianelle” furono costretti ad attraversare la città tra due ali fitte di popolo minaccioso ed armato di archibugi. Il Cancelliere Bassi, in ginocchio e tremebondo domandò perdono in cambio della vita; solo il Vinzoni procedette con la massima tranquillità, indifferente, dando così prova di grande coraggio; ebbe anzi a scherzare invitando a ritardare un pochino perché l’oste non gli aveva ancora offerto la cena. I marinai genovesi sbarcati dalle navi riuscirono a riportare la calma cosicché dopo trattativa durata tre giorni i prigionieri furono liberati (il 17 giugno) ed il Vinzoni potè proseguire la pianta di Sanremo ed iniziare i disegni di un nuovo forte che avrebbe dovuto stroncare nel popolo ogni velleità di ribellione.
Sempre nel 1753 (Quaini scrive che le due carte -2,5x1,8- sono datate 1748) ebbe incarico dal duca di Richelieu (supremo comandante delle truppe di Francia e Spagna al soccorso di Genova durante la guerra di successione austriaca. Il suo nome per esteso, era: s.e. sig. Luiggi Armando Duplessis, duca di Richelieu e di Fronsac, pari di Francia,...ed altri sei-sette titoli) di stilare una carta riportante le due riviere e tutti gli stati confinanti con la Repubblica; in due grandi fogli, in totale 5m x 1,85, eseguì il lavoro che però non soddisfece il duca anche se offriva una visione panoramica generale, con tanti particolari artistici e geografici. Ne nacque un contenzioso che il Vinzoni risolvette proponendo la “Pianta delle due Riviere...”, nel 1763 (Quaini scrive nel 1755) questa carta, perfezionata (ricca di tutte le città, i paesi con castelli, villaggi e luoghi insigni, porti, golfi, spiagge, promontori ed isole, fiumi e vie di transito, divisioni in Governo, commissariati, capitanati, podesterie) al governo genovese sempre in allerta per le controversie di confine. La carta però è oggi andata perduta; ma allora, per essa, gli fu aumentata la paga e fu promosso brigadiere, arrivando così al vertice dell’organico nel corpo divenuto “degli ufficiali ingegneri”..
Nel 1757 aveva lavorato col francese Flobert alla fortificazione di Vado; ma sicuramente negli anni aveva contattato con reciproco scambio di esperienze, colleghi francesi (di diversa e progredita scuola, specie nella tecnica del rilievo e nell’uso del colore fino alla policromia) o toscani (più rigorosi nei rapporti matematici).
Porta questa data la grande “Pianta del borgo di San Pier d’Arena”, di grosse dimensioni essendo di 2m²; molto intreressante perché vi sono minuziosamente segnati le strade, i palazzi con i confini di proprietà, ma soprattutto i torrentelli e corsi d’acqua (allora definiti “acquedotti”).
Nel 1767 si ritirò a Levanto, ma dovette interrompere perché richiamato ad eseguire l’opera sottostante. Il minore impegno però gli permise scrivere un “libro indicativo” con dettagliati tutti i paesi della Repubblica (con vescovi, parrocchie, chiese, oratori, conventi) che venne pubblicato con la dedica al Serenissimo Doge Marcello Durazzo e nel quale è scritto che tre anni prima aveva stilato due carte del dominio della terraferma (che non sono mai state trovate).
Nel 1773 ai primi di agosto firmò l’atlante “Jl Dominio della Serenissima Repubblica de Genova in terraferma”; col dettaglio della pacifica rappresentazione di tutti i confini (descritti senza l’incubo della contestazione), strade (senza l’impegno degli interessi e spazi doganali delle varie comunità), diocesi, chiese, proprietà anche private.
da “jl dominio della serenissima repubblica de Genoca – in terraferma”
Ma l’opera era ancora incompleta, e dieci giorni dopo morì lasciando il completamento a Panfilio (che probabilmente lo consegnò a Giacomo Brusco. Anche Panfilo morì a Levanto, a 64 anni, nel 1790). Il borgo di San Pier d’Arena, sottoposto allora al “governo di Rivarolo, ossia della Polcevera” è detto “valle amenissima per la bellezza, e sontuosità degli Edificj, e Giardini, che vi si vedono, e particolarm.te in Sanpierdarena, che non ve ne sono pari in Europa” e “al Lido del Mare, che contiene più d’un miglio di spiaggia comodissima al varar delle Navi. I cavaglieri, e Cittadini di Genova vi anno inalzato insino al Colle un numero grande di superbi Palazzi con i loro deliziosi Giardini per passarvi i più belli giorni dell’estate, e dell’autonno”.
In particolare la “pieve di Sanpierdarena viene distinta in 3 Quartieri cioè Della Pieve, Mercato e Capo di Faro”.
Tutti gli appunti presi in questo lungo e particolareggiato (misurato palmo a palmo) viaggio, dovevano costituire un libro in tre tomi: il manoscritto fu affidato all’avv.Enrico Bixio, nipote del Brusco
Negli ultimi anni aveva iniziato la collaborazione con Panfilio jr, il quale ereditò quest’ultima opera ancora incompleta e che poi, consegnerà definita a Giacomo Brusco. Il tratto pittorico di jr si evidenzia da quello del padre nell’adottare con maggiore spontaneità le nuove tecniche policromiche del colore.
Morì a Levanto, 82enne, il 12 ago.1773 (Roggero scrive 10 agosto). Fu sepolto nella parrocchiale di s.Andrea, ove esiste l’epigrafe scritta e fatta incidere dal cartografo stesso.
L’epigrafe scritta per la cacciata del Balilla è: «D.O.M. - Germanica Natione Pressus - Sub Marchione Botta - Popolus Genuensis - Æxtro Patriæ Libertatis Ebrius - Nullo Duce - Ducente Deo - Virginisque Mariæ nomine invocato - Die Decima Decembris - Deiparæ Laurentanæ Sacrata - Hostes ad Portas Occidentales - Multiplici Propugnaculo Stipatas - Igne, Ferro, Cede, Captivitate - Terruit, Vicit, Dispersit, Fugavit --- Anno Domini 1746.
Tutti i carteggi e oltre 200 mappe, divennero proprietà dell’Archivio della Repubblica. Alcune carte furono cedute alla biblioteca Berio.
All’Archivio di Stato di Genova i documenti giunsero per ingiunzione e requisizione da parte del Senato della Repubblica, avvenuta nel 1755, valutando tutto di valore insostituibile per la sicurezza e gli interessi dello Stato. Questa decisione non era stata gradita da Matteo Vinzoni, giundicandola ‘mancanza di fiducia’ nei suoi confronti; ma da buon militare, obbedì. Il figlio Panfilo consegnò alla morte del padre, il rimanente della attività paterna. Gio Francesco consegnò invece tutto il materiale del fratello -alla sua morte- a Giacomo Brusco). É dedicato a questi documenti un intero fondo (’file Vinzoni’) costituito da 15 faldoni o filze, numerati dal n° 99 al 114 contenenti in tutto 90 buste con relativi manoscritti di tutti gli appunti ed il diario che redigeva nei vari viaggi (le annotazioni per la “pianta di tutti li palazzi, case, ville e acquedotti di Sampierdarena” del 1757, sono reperibili nel faldone 103-busta 1; e 111-busta 45).
BIBLIOGRAFIA
-Alizeri F.-Notizie dei professori del disegno...-Sambolino 1864-v.I-p.94
-Archivio Storico Comunale Toponomastica, scheda n. 4667
-AA.VV-Annuario guida archidiocesi-/94-pag.453--/02-pag.489
-Bitossi C.-Personale e strutture dell’ammin.-SocLiStPat.1987-pag.202
-Cerisola N.-MVinzoni-su mensile Liguria n.4/1985-pag.3
-Comunità diocesana-settimanale-Febb.1999.15
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-Genova, rivista municipale–M.V.-contributo alla storia...-dic./32.pag.1165
-Grendi E.-la pratica dei confini fra comunità...-SocLiStPat.1987-pag139
-Lamponi M. –Sampierdarena – Libro Più.2002- pag. 208
-Levrero U-rivista assoc. A Compagna febbr/1931-pag.10
-Pagano 1933-pag. 722---/1961-pag. 437
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-Poleggi E -Iconografia di Genova- Sagep-1977 pag.202
-Poleggi E. &C-Atlante di Genova-Marsilio.1995-tav.35
-Quaini M.-Studi in memoria di T.O. DeNegri-Stringa.1986.III-pag.85
-Quaini M.-per la storia della cartografia...-SocLiStPatr.1984 –pag217
-Quaini M.& Rossi L.-Cartografi in Liguria-Brigati.2007-pag.135
-Roggero G.-In cammino da duemila anni--- .1999-
-Vinzoni M.-Pianta delle due riviere-Quaini-Sagep 1983.pag.84
-Vinzoni M -Il dominio della Serenissima...-per CIELI-1955.carta 51.59
non citato da Enciclopedia Motta + E.Sonzogno + E.Utet + Novella
VISTA strada N.S. della Vista
È citata solo da Favretto e da Tuvo. Il primo la riferisce in corrispondenza di via G.D.Cassini e più precisamente, in considerazione della sua ubicazione e dell’epoca anteriore alla erezione della attuale chiesa, in via Dottesio: a cui si rimanda.
Il secondo autore solo la cita, avendola trovata descritta in un documento dell’Archivio: prima, tra le strade comunali (quindi un documento comunale relativo al censimento del 1819: in cattivo stato) e poi in altro similare documento, tra le strade vicinali del borgo nel 1824, lunga 150 m.
Allora, essendo posizionata a partire da poco a ponente della villa Spinola, potrebbe essere quella strada che nella carta del Vinzoni del 1757 viene chiamata “strasetta Stretta” (in contrapposizione dalla Strada Larga, posta più a ponente). Sappiamo infatti che a ponente della villa c’era la chiesetta di NS della Vista, descritta in via L.Dottesio.
BIBLIOGRAFIA
-Favretto G.-Sampierdarena 1864-1914 mutualismo e...-Ames.2005-p.165
-Tuvo T.—memorie storiche di SanPierd’Arena-dattiloscr.inedito-pag. 87.107
VITTORIO piazza Vittorio Emanuele II
Solo una cartolina, viaggiata nel 1923, cita questa piazza, che oggi è piazza R. Masnata.
Pone questo nome come ad indicare che via UmbertoI iniziava da lì; invece sappiamo che fin dalla prima titolazione iniziava da piazza Nicolò Montano.
Quindi, è proprio una libera e fasulla interpretazione del fotografo e tipografo.
VITTORIO via Vittorio Emanuele
una via con questa titolazione, in coda ad altre dedicate a Vittorio Emanuele II (a GenovaCentro) e III (galleria in Centro), è citata solo nel Pagano/1940. Delimitata ”da p.za N.Barabino a Largo Lanterna (proprietà del Consorzio del Porto”.
Senza civici né altre indicazioni.
Ritengo sia un errore del compilatore del volume.
BIBLIOGRAFIA
-Pagano/40 – pag. 441
VITTORIO via Vittorio Emanuele II
LA STRADA Era da poco finita nel sangue la repressione della rivolta genovese contro i Savoia, nel 1849. Ai fautori monarchici genovesi, messi a governare città e comuni attorno, presumibilmente seppur angosciati dal comportamento di ‘loro altezze’, incombeva la necessità di ricucire gli strappi cercando di rivalutare le figure dei reali invisi per le scelte fatte e le parole dette; dovettero studiare come cercare di rendere facile nominare il proprio re senza aggiungere improperi o peggio. Così, dare un nome ad una strada importante, sopperiva a tutte queste necessità: ossequiare il potente e farlo nominare ripetutamente senza irriverenza. Lui, ancora vivente (cosa che oggi è impossibile considerato che la prassi vuole che siano passati almeno dieci anni dalla scomparsa della persona promossa alla titolazione).
dove, al centro è un tram: ha appena superato
Largo Lanterna ed inizia via Vittorio Emanuele. Verso destra, via de Marini; a sinistra in verticale, diverrà via Pietro Chiesa e porta alla galleria Romairone.
la lapide era affissa sotto la targa stradale, appena suoperato l’angolo della casa con il terrazzo a forma di prua di nave
dove a destra si vedono degli alberi, è Largo Lanterna. A destra la nostra strada con sotto, alla sinistra, la linea ferroviaria che passava a piano terra traversando via Balleydier e, in fondo entrava in galleria sotto le case, per sbucare dove ci sono gli alberi più a destra.
ai piedi della facciata più scura al centro della foto iniziava, da Largo Lanterna, la via in oggetto; scorreva ai piedi della facciata biancastra verso ponente. Foto 1980
La foto è stata scattata dall’elicoidale nel 1999.
Mostra la nostra strada, all’atto della demolizione delle case di via De Marini;
Le ruspe sono proprio all’inizio strada; a destra la casa che nella foto precedente ha la facciata biancastra; i tre vigili sono al limite di dove la strada era stata tagliata sopra via Balleydier
nell’angolo destro-basso i tetti di via DeMarini (dal Toro); attuale via G.Buranello, allora via
a metà a sin. la villa Gardino: tutte le case da essa in giù, Vittorio Emanuele
non esistono più.
La strada era nata come parallela a mare al lungo tracciato della ferrovia negli anni tra il 1850-4 (a scapito ed invasione dei giardini ed orti di tutte le ville patrizie posti sul tracciato; dietro ordine di sequestro obbligato dei terreni per ragioni di pubblica utilità; in ossequio alla casa reale torinese e nel tentativo di instaurare un rapporto di dipendenza nella cittadinanza avendo da poco Genova perduto l’autonomia repubblicana); la titolazione – probabilmente per accordo tra i vari comuni confinanti - fu estesa a tutto il nuovo tracciato che da Largo Lanterna portava a Rivarolo; dalla Lanterna a quella oggi piazza N.Barabino, il percorso era tra giardini e case; poi sino a Rivarolo pressoché tutto fiancheggiato dalla strada ferrata, e prima non esistente (sino ad allora il traffico da e per Genova, avveniva usando – dopo il taglio dalla Lanterna - o l’antichissima via De Marini o la regia strada della Marina).
allargamento tunnel da piazza Omnibus foto 1910
Il regio decreto del 22 magg.1857 riconosce una “strada nuova provinciale”, chiamata via Vittorio Emanuele, che dalle porte della città di Genova, arrivava oltre il confine sullo stradone Palmetta (occorre una precisazione, meglio descritta ai ‘confini’: Genova città, pur restando al di qua della collina di san Benigno, considerava suo territorio la strada che dalla Porta della Lanterna scendeva sino alla Coscia, ovvero sino alla piazzetta –poi chiamata Largo Lanterna, ove fu fatto porre il casotto del dazio, dove fu aperto poi il tunnel del tram e da dove iniziava questa nuova strada). Così si comprende la definizione ‘dalle porte della città di Genova’: in realtà da Largo Lanterna. Da qui, proseguiva parallela al mare per quella strada che poi, spezzettata, diverrà via Chiusa, via G.Buranello, via P.Reti, via W.Fillak).
foto di fine 1800
INSEDIAMENTI Ai lati del suo lungo percorso, sorsero case abitative, magazzini, e qualche industria di media grandezza. A dimostrazione che fu presto circondata da case che sorsero come funghi avendo messo in condizione di lottizzare tutti i giardini ed orti che essa aveva tagliato, si porta che la lunga strada fu sede di ben 15 decessi a domicilio (su 68 in totale), citati in una statistica dei morti di colera nel periodo 7 agosto-7 ottobre 1867.
Degli opifici invece, molti famosi fanno inizio in questa seconda metà del 1800, e proseguiti poi nel 1900:
==== lo stabilimento dell’ing. TORRIANI. L’officina, nata in quegli anni, occupò parte dei giardini della soprastante villa Spinola (di via A.Saffi, oggi via C.Rolando) ormai soggetti a lottizzazione. A fianco c’era un’altra fonderia, degli Storace-Roncallo (i quali vennero dopo ed erano più piccoli; erano posizionati presumo a levante del Torriani perché in via UmbertoI non sono segnalati; e perché -quando cedettero all’UITE il terreno, forse trasferendosi in via Armitrotti- permisero all’azienda del tram ‘sbucare’ in via A.Saffi).
Risulta fornitore tra l’altro al CAP di tettoie metalliche per calata Zingari nel periodo 1894-9.
Nel 1901, sulla strada già c’era il tram, al civico 7-8 e Torriani al 9: quindi quest’ultimo era a nord (più vicino ai giardini) rispetto la prima sede del deposito, comunque oggi facilmente localizzabile dagli anelli infissi nel muraglione del treno, ove venivano attaccati gli animali da tiro che trasportavano il materiale della fonderia. Una cartolina postale (sotto) con prezzi in offerta (per apparecchi divisori per fresatrice) datata 1 ottobre 1920, firmata “Ing D. Torriani & C. in Liquidazione”.
Cessò la sua attività -cedendo l’area all’UITE- poco prima del 1930 in seguito alla morte del titolare (il quale possedeva una ‘filiale’ in via san Fermo –vedi, località di san Martino del Campasso- la quale invece riuscì a sopravvivere ancora per vent’anni circa).
Tuvo segnala -foto 5.16, alla Marina, in corrispondenza dell’attuale civico 95 di via SPdA, a ovest del palazzo del Sale- il cantiere navale del Torriani (appare una baracca-tettoia messa perpendicolare al mare, con sulla spiaggia una alta gru (come poteva essere a quei tempi, fatta di 4 assi appoggiati al vertice, e sotto una barca in costruzione. Probabilmente non fu ‘fagocitato’ dall’Ansaldo, ormai orientato a Sestri; ma fu solo demolito). Nella foto 5.95 si nota sullo sfondo in alto una ciminiera, sembra probabile fosse dello stabilimento di via Reti (ma non è facile stabilirlo): vedi 5.93.95 e foto della biblioteca Gallino.
==== Risale al 1870 circa un secondo insediamento industriale della zona. l’opificio di WILSON & MACLAREN.
Questi furono due scozzesi, arruolati dalla regia Marina sarda come macchinisti navali. Ambedue pare fossero, in patria, già impiegati in officine meccaniche; e proprio considerato le loro esperienze attive nel campo della meccanica e col fine di gestire i motori delle navi furono assunti per la spedizione relativa alla guerra di Crimea (sappiamo che Cavour doveva rifornirsi in Inghilterra di motori, locomotive e naviglio, e quindi anche di personale qualificato per il quale aveva tolto l’obbligo di possedere un passaporto; non solo perché quasi unico fornitore ma anche per tessere e mantenere relazioni di commercio con la GranBretagna la cui potenza era necessario fosse amica per le idee di espansione che covava). John Wilson compare nei registri della Marina dal 1853 al 1856 come meccanico; Alexander Maclaren –la sua storia è meno nota- forse era ingegnere).
Quando nel 1856-7 vennero congedati dalla regia Marina sarda (ed abbondantemente liquidati economicamente), è facile intuire perché provarono ad investire i loro capitali guadagnati e si insediarono a San Pier d’Arena alle dipendenze del già avviato connazionale T.Robertson (Wilson come capo tecnico e Maclaren forse impiegato, visto il titolo; col proprietario condividevano patria e conoscenze tecniche sui motori a vapore, probabilmente già da prima della guerra o comunque dall’atto dello imbarco-sbarco nel porto di Genova).
Nel 1862 avviarono in proprio uno stabilimento nella zona della Fiumara prospiciente il mare, divenendo ”costruttori di macchine e caldaie a vapore, molini a grano, ruote idrauliche, turbine e materiali diversi per ferrovie”.
L’attività progredì fino a quando, in piena espansione, non trovarono ulteriori spazi per allargarsi e modernizzarsi; anzi, furono scalzati volenti o nolenti dal vicino Ansaldo, evidentemente più forte.
Così, negli anni subito dopo il 1870, decisero un trasferimento in zona Campasso (forse anche con previsione di minori commesse relative a imbarcazioni da varare, e maggiori relative ai motori ed al vasto materiale della ferrovia): occuparono con facilità un terreno di oltre 3mila mq (Cevini dice 13mila; che avevano comperato l’anno prima, pare dalla Carena e Torre; delimitato tra la ferrovia e via Vittorio Emanuele (poi via UmbertoI, oggi via WFillak) e che a lato-mare arrivava a piazza Palmetta ed a lato-monte sino all’attuale via V.Capello che delimita la zona a quei tempi definita piazza d’Armi). Pare che però riuscirono a mantenere in zona Fiumara una fetta di spiaggia per il residuo cantiere navale della società.
Sulla via Provinciale V.Emanuele prospettava anche l’abitazione dei due proprietari; sappiamo che Wilson si era sposato con Giuseppina Bottazzi e con essa aveva avuto tre figlie.
Lo stabilimento occupava circa 80 operai nel 1874 ed era terzo d’importanza in città. 200 divennero gli addetti nel decennio 1880-90; nel 1884 la decisione governativa di rinunciare all’importazione e favorire la produzione nazionale di materiale ferroviario e marittimo, arrecò un notevole balzo in avanti con evidente aumento dell’occupazione, dedicandosi anche alla produzione di beni strumentali per l’industria alimentare (macchine agricole) ma soprattutto cantieristica (aveva la doppia caratteristica di stabilimento metallurgico e fonderia, e di officina meccanica). Sintomo delle continue fluttuazioni del mercato, si segnala invece la presenza di soli 150 operai nel 1892 quando produceva sempre macchine a vapore, caldaie e tutti quei pezzi metallici necessari ai più svariati macchinari compresi per piccoli navigli interamente preparati nella fabbrica anche se non più in condizioni di essere varati direttamente (si stava passando dagli scafi in legno a quelli in metallo); per dimensioni era la sesta in Liguria.
Ambedue i fondatori dell’impresa metallurgica morirono a breve distanza, nell’inverno del 1897: il giornale ‘Caffaro’ segnala nel gennaio 1898 la tumulazione delle salme dei due. Tutti i componenti delle due famiglie, sono ricordati in un caratteristico monumento posto nel novembre 1901 nel Cimitero della Castagna, scolpito in forma semplice dall’artista locale Valsecchi Federico.
Con la loro scomparsa, si interruppero anche le conoscenze necessarie per ottenere commesse, e proprio in un periodo storico negativo per l’industria; questo determinò per la società entrare in crisi parallela a quella dei Balleydier ed essere posta in liquidazione gli impianti da un valore di 1,5milioni, nel 1900 vennero valutati solo 460mila lire: fu rilevata dal banchiere Pietro Canzini che la chiamò “Società Ligure di costruzioni meccaniche e navali Wilson e Maclaren”.
Rientrò in crisi dopo due anni, e i 300 operai furono prima ridotti, poi tutti licenziati (non esistevano ancora i sindacati ed era appena nata la Camera del Lavoro sampierdarenese). Cosicché nel 1903 anche il banchiere dovette cedere tutto il manufatto alla società che già aveva rilevato l’azienda Balleydier (ridivenuta potente con l’apporto di numerosi finanziatori locali) divenendo parte della “Soc. F.lli Balleydier, soc.Ital.di Fonderie in Ghisa e Costruzioni Meccaniche”: l’attività riprese, con 350 operai, con la costruzione di alcuni rimorchiatori per la regia Marina. Nel 1907, giudicando l’impianto obsoleto e divenuta la società “già f.lli Balleydier”, si ripeté l’opera del licenziamento.
Così che ogni attività cessò completamente, non trovando acquirenti; per valorizzare ed utilizzare ancora le attrezzature, esse furono trasferite alla Tubi Ghisa di Cogoleto.
Una relazione sull’opificio, datata 1913, specifica che con un cancello d’ingresso di adiva ad uno stretto e lungo piazzale sul quale si affacciavano gli uffici e, in fondo, la fonderia e le varie officine (meccanici, fabbri, tornitori, calderai); il tutto in edifici a capannone “solidamente costruiti ad uso industriale”, alti una diecina di metri. Poco discosto, erano i “servizi igienici” (tra virgolette perché definiti “una pozzanghera in un canto”) ed alcune stalle per i cavalli.
L’area fu affittata divenendo magazzino di cotone e raccolta stracci, finché allo scoppio della guerra 1915-18 venne rilevata dall’Ansaldo per fabbricare motori per aerei militari: ”Fabbrica Motori a combustione interna terrestri e marini - compressori d’aria” (nel periodo bellico vennero fabbricati aerei SVA e Balilla con motore SPA6: fu con questi aerei che D’Annunzio fece la famosa ‘impresa trasvolata su Vienna’).
Dopo un ulteriore tentativo di riconversione a macchine agricole, l’Ansaldo rivendette tutto alla vicina società della Corderia Nazionale, a cui il terreno rimase sino alla totale demolizione dell’opificio (credo che Lamponi faccia confusione tra piazza Palmetta e via Bezzecca, quando scrive che l’area divenne sede della Cooperativa calderai in rame (nata nell’anno 1900, ebbe onorificenze alle esposizioni di Milano del 1906-Bruxelles 1910-Torino 1911; nel 1915 si trasferì a Cornigliano e che-sul Pagano/33- è solo a Genova).
====Quando l’UITE il 1 ott.1895 acquistò dalla Compagnia Generale Francese le concessioni e proprietà tranviarie, tra i beni acquisiti erano compresi lo stabilimento detto “Centrale” (sito in via Vittorio Emanuele -oggi via P.Reti- al civ. 33B =nuovo civico rispetto quello del 1901), e quello della “Coscia” (in largo Lanterna, a monte di dove iniziava la galleria sotto il colle); nella contemporanea convenzione tra Azienda e Comune si incluse l’obbligo di impiantare un doppio binario lungo tutta la via. Quindi nell’anno 1900, la strada comprendeva il lungo tragitto: dal tunnel (nord-sud) al bivio con via DeMarini (largo Lanterna), al bivio con via C.Colombo (est-ovest), alla piazza Teatro Modena, al sottopasso di via N.Barabino (dalla stazione ferroviaria), al bivio con via A.Saffi (nord) (via Rolando) , al Campasso, al Dazio presso Rivarolo.
Il libro scritto dal dr. Lorigliola Gualtiero (dottor Walter) intitolato “Cronistoria documentata illustrata dei fatti di Genova marzo-aprile 1849”, fu stampato nel 1898 dall’editore G.Palmieri e figli Tipografo, in via V.Emanuele, 15.
via Vittorio Emanuele nel tratto tra la Lanterna e piazza N.Barabino
==== LAVORAZIONE DELLA LATTA.
La latta nasce dall’unione dello stagno col ferro: questo, portato a lamina, riceve successivi bagni di lavaggio e fissaggio in stagno fuso. I vantaggi sono il basso costo, robustezza, leggerezza, velocità di produzione, impermeabilità, capacità di conservazione naturale del contenuto.
Lo stagno è un minerale conosciuto fin dai tempi più antichi, estratto dalla casserite, ovvero biossido di stagno; ed essendo la regione del Wunsiedel tedesco particolarmente ricca del minerale grezzo - e quindi anche produttrice - si pensa che essa sia stata il primo posto produttore, seguita poi dalla G.Bretagna.
L’industria della latta nacque come ovvia conseguenza della sempre più fiorente attività del mercato dell’olio, dall’importazione, lavorazione ma sopratutto immagazzinamento e distribuzione al minuto. Il repentino incremento di questa attività verificatosi nella prima metà del 1800 determinò la necessità di reperire recipienti adatti per forniture all’ingrosso. Veniva usata una lega al 50% di stagno e piombo per saldare le lattine.
In parallelo avveniva la scoperta della litografia (=disegno su pietra). Essa nacque in Baviera agli inizi del 1800 per idea del boemo Alois Senefelder il quale voleva stampare in forma economica le sue opere letterarie e musicali: notò che la pietra delle costruzioni locali, pestata, si può portare ad un impasto solido e duro, intaccabile però dall’acido nitrico escluso sotto un eventuale disegno tracciato con sostanze grasse. Ottenne così il disegno in rilievo netto, possibile di essere usato come stampo e di ottenere molte riproduzioni tutte eguali. L’invenzione venne bloccata da leggi locali mirate ad impedirne l’esportazione. Sbloccato il mercato nel 1820 il francese Engelman ne derivò l’oleografia (uso di matite grasse) ottenendo disegni di maggiore nitidezza.
A SpdA, primi in Ialia, arrivò a metà di quel secolo portato dal giornalista Carlo Daste (espatriato in Francia nel 1830 per motivi politico mazziniani e capace di intuirne l’applicazione nella inscatolazione del pesce, già in atto) ed applicata dall’officina Clavenna di via Calatafimi.
Pare fu DeAndreis figlio, che dall’Inghilterra introdusse per primo la litografia su metallo. Importanti divennero sia i tecnici cromisti, ovvero gli esperti nel miscelare i colori, sia i pittori (vengono ricordati i locali M.A.Canepa, A.Bertorello, ErcoleDagnino, ErnestoMassiglio; ed anche Luigi Pasero, Craffonara, Gentili, Bigliardi, DellaValle, PietroBarabino, FedericoPeschiera, RomoloR.Tessari. Alcune fabbriche più importanti avevano i loro, altre si riferivano a professionisti esterni; finché non vennero sostituiti dalle macchine stesse.
Gli industriali, vengono ricordati in ordine alfabetico (con segno ^ se capaci di litografare la latta per illustrarla; alcune avevano macchinari per la produzione completa del pesce in scatola - dalla raccolta, a tutte le fasi di preparazione fino all’inscatolamento definitivo -; altre si limitavano a produrre i contenitori, opportunamente litografati nell’etichetta ed indicazioni; tra parentesi, dove trovare riferimenti più specifici descritti in SpdAPuzzle:
Balestrino v.VEmanuele 163r---; Bozzolo^, v.Ruffini poi c.so Martinetti 25r ( MA+PRO)—-; Canale Pietro (D)---; Casanova Giacomo^ v. Manin 5 (D)---; Conte (MA)---; Costa v. DeMarini 32r (D)—; DeAndreis Gottardo (apr/1906-telef. 900 e telegrammi Dadre; e giu/1925; soc.an.tabilimenti grafici; capitale L. 1.500.000) → poi DeAndreis&Casanova^ v.Cassini 6 (C,D,MA,SAN)—; Fabbrica Minuterie v. Cristofoli 1 (C)---; Falchi A^ v CRota 8 (PRO)---; Fossati Giacomo v.GB Sasso 11r, v. Rela 35r, v gen.Cantore (C,SAN)—; Galoppini f.lli^ v. SbdFossato 28 (B, BEN, C, G)—; Ligure (L-Emiliana) v. VEmanuele 1 (Ligure: BEN, C, G, MA)--- LigureEmiliana (BEN); la soc. Massardo-Diana (data come importante anche perché Manlio Diana fu l’ultimo sindaco della città di San Pier d’Arena prima dell’inglobamento nella Grande Genova. I Diana erano due fratelli: uno interessato alla fabbrica di scatole in latta ubicata in via Vittorio Emanuele ed ancora attiva nel 1942; produceva -assieme ad altre 10 officine similari in città- scatole per conservare il tonno o conserva di pomodoro. L’altro fratello con officina ubicata in via A.Castelli, inscatolava sott’olio il tonno cotto al vapore.)---; Molinari Eugenio (SA)--; Moro v. Bottego 1 (B, C)—; Nasturzio^ v.VEmanuele 17 (vedi sotto lo stabilimento; BEN,D)—--; Pretto E. e C. v. Larga 13 (G)---; Raffetto^ v.CColombo, v.d. Cella (C, PRO)---; Rottigni con la ditta RB---; Sanguineti (G) ---; Savio^, poi l’Americana’ v. GAlessi (A)---; Solertia vSBdFossato 1 (B, C)---; Tabacchi (C)---; f.lli Tardito^ v. GB Monti 23 (MI)---; Tosetti (D)---; UVAL (BEN)---; Vicari & Barazzone (B).
Più d’uno poi, i lattai, piccoli artigiani, non citati, come Repetto, Firpo, Gazzo, Gandolfo.
Tra tutti, alcune centinaia di dipendenti.
Due cartoline postali eguali, di ricevuta ordinazione, datate 1905 e 1906, sono state spedite da “Società Anonima Conserve Alimentari e Lavorazione della Latta / capitale statutario L.2.000.000 – emesso L.500.000 – versato L. 1.500.000 / sede in Genova – stabilmenti : Sampierdarena, Alghero” senza spiegazione di indirizzo.
Una cartiolina segnala nel 1890 l’esistenza dello stabilimento cromolitografico sulla latta, di Gaspare Rossi, in via Demarini n. 8 “lavorazione completa di scatole e casse per l’esportazione – di tutte le qualità e dimensioni – per olio e conserve alimentari”.
Un opuscolo tipo Bignami, pubblicato nel 1918 ed indirizzato ai principianti calderai, nello spiegare lo stagno riferisce che “fabbriche di tal genere abbondano nel Nord America, Germania, Francia. In Italia a Sampierdarena, a Torino, a Milano, a Forlì.”.
Il Costa/1922. guida di Genova, a SPdArena cita come rimasti lavoratori la latta, la presenza de: Bozzolo & C. (cromolitografia-via Ruffini, 16 tel 33399; Casanova G. via Manin 9 tel 1662; l’Americana soc.an. via Alessi, 7; Solertia soc.an via sBartolomeo, 13r tel 1298; SocietàLigure per la Lavorazione della Latta. Erano invece solo produttori di litografia su latta, Nasturzio F. in via vittorio Emanuele; De Andreis G. via Manin soc.an.
CIVICI
===civ.2: Crivelli scrive sul Gazzettino che – a SanPdA - E.Salgari abitava al piano terra delle ‘case Canepa, 96’ alla Coscia, senza precisare meglio. Da altre informazioni, apparirebbe che il palazzo nel quale abitò non esiste più, sostituito da un edificio moderno – probabilmente quello posto nell’angolo tra via Pietro Chiesa e piazza N.Barabino (ove ora, di famoso, c’è il night club san Françisco).
Sappiamo che invece in casa Rebora di via V.Emanuele, assistito dalla levatrice Carbone Maddalena alle ore 12 del 6 nov.1898 gli nacque Romero il terzogenito (esiste il certificato di nascita di Romero: ebbe come testimoni un cavalier Luigi Gottardi ed il signor Amedeo Bertorello; parteciperà poi come soldato a gloriosa esperienza bellica; ma anche lui ebbe breve esistenza perché morì suicida a 33 anni), e non a caso -nell’elenco proprietari del 1901, vedi sotto -, al civ. 2 compare un Rebora Augusto. Non conosciamo con precisione dove era la casa Rebora – case omonime sono anche in via De Marini vicino a Largo Lanterna - trovatagli dal procuratore dell’editore, Edoardo Spiotti: alcuni descrivono essere nell’angolo tra via Galata (oggi via Pietro Chiesa) e via Vittorio Emanuele (oggi via G.Buranello). Dove nella cartolina sotto è una carrozza, finiva via CColombo (v.SPdArena, di spalle) ed iniziava via Galata (v.PChiesa); la casa dietro alla carrozza potrebbe essere quella abititata da Salgari (di positivo, è che corrisponde la comunicazione con via Emanuele, considerato che allora non esisteva ancora piazza Barabino e giustificherebbe come posizione, la mareggiata subita. Di negativo è che essendo al civ.2, sembra troppo ad ovest rispetto l’inizio strada in largo Lanerna). Di sicuro che divenne insufficiente per una famiglia di cinque persone, con una bimba femmina tra essi; e forse era anche cara come affitto.
la foto segnala la ‘casa Rebora’;
senza però specificare dove era.
Allora trentaseienne, Emilio Carlo Giuseppe Maria Salgàri fu Luigi, aveva in moglie Aida Peruzzi ventinovenne, attrice di teatro. Dei quattro figli, Fatima e Nadir sono precedenti alla sua venuta a San Pier d’Arena; Romero nacque qui; e Omar l’ultimo venne alla luce a Torino.
Wikipedia scrive che il nome va letto accentando la seconda a, perché deriva dal nome dialettale di una pianta: ‘salgàr’ che in veneto corrisponde al salice nero.
Emilio era nato a Verona il 21 agosto 1862 (alcuni storici scrivono 1863) in vicolo San Marco al n.839; figlio di commerciante-negoziante veronese di tessuti Luigi e da Luigia Gradara, casalinga veneziana. Poco si sa della sua gioventù: fu mandato a balia da Maddalena Cinquetti, e crebbe nella frazione Tomenighe di Sotto, del comune di Negràr in Valpolicella. Poi la famiglia si trasferì all’attuale “ca’ Salgari”. Già da bambino, era chiamato ‘Salgarello’ per bassa statura; e da ragazzo; 13enne, iniziò le scuole tecniche comunali (che non concluse): già animato dalle fantasie orientali, si scrive che a Verona frequentava la biblioteca per raccogliere i particolari che poi descrivà nei romanzi: infatti aveva 9 in italiano e voti molto più modesti nelle altre materie. A sedici anni fu ospite a Venezia da una zia –Filomena De Rossi – la quale lo iscrisse, prima come uditore poi ai corsi regolari, al Regio Istituto Nautico al fine di conseguire la licenza di capitano di gran cabotaggio (richiedeva anche 4 anni di esperienza di navigazione e l’età di 22 anni); ma al secondo anno non si presentò agli esami né si imbarcherà come programmato, quale mozzo su un trabacco “Italia uno” che faceva la spola Venezia-Brindisi.
A 21 anni (1883) esordisce pubblicando su un giornale illustrato di Milano “La valigia” il suo primo racconto in quattro puntate e titolato ‘I selvaggi della Papuasia’ firmandosi con la sola sigla S.E.
A questo racconto seguono l’anno dopo, 150 puntate sul quotidiano veronese “La Nuova Arena” del romanzo ‘La tire della Malesia’ (il quale, poi ristampato in libro da Donath nel 1900, diverrà ‘Le tigri di Mompracen’).
Il padre morì suicida il 27 novembe 1889, come poi faranno pure il nostro Emilio e due suoi figli: Romero ed Omar, quest’ultimo per precipitazione dal secondo piano nel 1963.
Dicorato racconta tre episodi: uno, che –frequentando nel 1878 a Venezia il regio Istituto nautico P.Sarpi- era un promettente studente ma non riuscì mai a raggiungere il diploma come avrebbe voluto, di capitano. Secondo, che dopo aver dato alle stampe due libri fortunati (La tigre della Malesia e Le tigri di Mompracem- in realtà uno solo romanzo) fu introdotto nel quotidiano veronese “L’Arena” dove lo chiamavano col soprannome ‘capitano’ per i suoi trascorsi liceali. Terzo, che il giornalista Biasioli Giovanni (o Giuseppe?) de “L’Adige”, volendo ridicolizzarlo prese a nominarlo ‘mozzo’, oppure ‘Salgarello’, oppure ‘La tigre della magnesia’. Salgari, sentendosi offeso sfidò a duello di sciabola il rivale e nella contesa (a Chievo, 25 settembre, alle ore 14) lo ferì lievemente mandandolo però all’ospedale. Ma dovette subire sei giorni di prigione da scontare nella fortezza di Peschiera, più 30£ di ammenda. Il fatto ebbe una certa risonanza ed accrebbe la conoscenza ed ammirazione verso il giovane autore.
L’Enciclopedia Zanichelli propone che collaborò ad altri giornali veronesi (‘La nuova Arena’, e ‘La Valigia’), nonché un’altra cronologia: dapprima -1883=dei racconti, accolti favorevolmente dai giovani (‘Tay-sea’, ed ‘I selvaggi della Papuasia’, quest’ultimo pubblicato su un settimanale milanese); poi romanzi d’avventura (1890=’La scimitarra di Buddha’; 1895=’I misteri della giungla nera’ ed ‘Il Corsaro Nero’; 1897=’I pirati della Malesia’; 1901=’Le tigri di Mompracem’; 1903=Jolanda la figlia del Corsaro Nero; 1907=’Sandokan alla riscossa’. Tutti tradotti in molte lingue.
Si era trasferito a Torino e –lui 30enne- si sposò il 30 gennaio 1892 con la 29enne Ida Peruzzi conosciuta in una compagnia di attori dilettanti; lui la ribattezzò Aida, e sempre così la chiamerà.
A Torino lavorò per alcuni anni (dal nov.1893 al 1898) sotto contratto con l’editore Speirani che pubblicò una trentina di lavori, alcuni firmati con psedonimi. (Lo scrittore Piero Zanotto - sulla rivista “Prezzemolo” ed a conclusione di una rassegna durata cinque mesi a Verona – non riconosce questi due anni torinesi e lo fa legato a contratto -nello stesso 1892- a Milano con Treves – il quale gli pubblica il romanzo ‘la scimitarra di Budda’, illustrato da Gaetano Colantuoni e già pubblicato a puntate su un settimanale “Il giornale dei fanciulli”).
A fine anno, gli nasce la primogenita Fatima (e poi chiamerà così anche l’eroina del romanzo “il Re della Montagna”); e così, si trasferì a Milano.
Nel 1894 gli nasce il secondogenito, che verrà battezzato Nadir (come era il protagonista del secondo libro pubblicato da Treves ‘il Pescatore di balene’ illustratro da Gennaro Amato = famoso illustratore che per molti altri libri definirà graficamente gli eroi del Salgari)
Arrivò a SPd’Arena (con moglie incinta di Romero), nella prima metà dell’anno 1898; e vi abitò per alcuni anni.
Il figlio, come detto nacque qui nel 1898. Pino Boero dice esplicito ‘due anni; dalla fine del 1897 alla fine del 1899’; Felice Pozzo è più preciso e documentato. Finalmente a tu per tu con il ‘suo’ mare, ideale per produrre il capolavoro del ‘Corsaro Nero’ ed altri titoli famosi. In quell’anno lo scrittore era stato nominato cavaliere. E qui visse una parentesi particolarmente felice e serena, reduce di un grave esaurimento sofferto negli anni precedenti, travagliati da un seguirsi di disgrazie, compreso la vista che ebbe un calo significativamente pauroso.
Minnella scrive che era conosciuto ed apprezzato dalla gente come scrittore di libri di avventure, forse già il più noto d’Italia. Ma si racconta che lui, grande scrittore di avventure di mare, a parte un unico viaggio in nave da Venezia a Brindisi nel periodo scolastico, ebbe riscontro di esso solo quando per una mareggiata ebbe -come un vero marinaio- la casa allagata, con conseguente rovina di molti manoscritti e dell’enciclopedia da cui traeva notizie dei luoghi d’oriente.
Dalla Coscia, frequente era la passeggiata in barca o a piedi fino alle osterie di Sottoripa ed angiporto a raccogliere testimonianze dirette dai marinai.
Boero riprende ricordi di Emilio Firpo, il quale descriveva Salgari in via Luccoli ed il suo desiderio di accompagnarlo fino a Caricamento – ove prendeva il tram a cavalli per tornare a SanPdA - per ascoltare le idee di nuove trame fantastiche, le quali – ricorda Firpo - lo attiravano tanto da spesso inciampare nelle buche perché ammirato ad ascoltarlo.
A Genova, suo editore dal febbraio 1897 a giugno 190 fu il bibliotecario berlinese Julius Anton Donath di via Luccoli 33r (nato 28 febb.1857, battezzato cattolico; arrivò a Ge all’età di 40 anni, il 22 nov.1897 quando sposò Ester Giordano nata 1873. In attività dal 1886-7, nel 1890 assunse la cittadinanza italiana -con giuramento al re ed al regno, e con diritto al voto ed iscritto alla Camera di Commercio-; non ebbe particolari difficoltà –anche se le temette- durante il conflitto contro la Germania nel 1915-18 ed è documentato fosse ancora in città nel 1917; non si sa dove e quando morì) (; più di tutti pubblicò libri dell’autore. Arrivato a Genova nel 1886 per fare il libraio ed editore –gran fornitore della Bkiblioteca Universitaria ed iscritto alla Soc.Lig. di St.Patria-. Voleva essere editore di libri di pregio; e quindi, le storielle di quel finto marinaio lo squalificavano: lo giudicava capitano di mare seduto su una sedia, che però riusciva a far navigare la fantasia come mai altri. Infatti – libri di questo ‘navigante’ ne vendeva tanti, il che faceva trovar posto ad un compromesso morale con se stesso, sfruttandolo: iniziò convincendolo con un contratto scritto –che non prevedeva diritti d’autore-, a trasferirsi da Cuorgné con la famigla –allora composta dalla moglie Ida Peruzzi, da Fathima (nata 1892) e da Nadir (1894)- .
Per ‘colpa’ di Salgari, Donath era passato da editore di cultura e di portata europea, a editore di romanzi; gli intellettuali genovesi lo ignorarono preferendo altre pubblicazioni. L’editore teneva legato lo scrittore con un contratto di esclusiva, con minimo tre libri annui. Malgrado tirature che arrivavano a 100mila copie per enorme – a quel tempo- successo di pubblico, per lo scrittore non corrispose una agiatezza economica adeguata, per abile sfruttamento delle sue capacità da parte di tutti gli editori.
NB=La legge sui 'diritti d'autore' era nata nel 1840 (sino ad allora, essi erano furbescamente trascurati dagli editori che si sentivano autorizzati a 'usare' gli scritti di data antecedente; il povero Salgari è posteriore a questa data però si può pensare che essa era non obbligatoriamente applicabile o poco chiara, visto i tempi lunghi e le scarse possibilità di comunicazione).
I rapporti con l’editore genovese Anton Donath vedono una relazione (che, altra fonte pone nel periodo 1895-1907); ma negli ultimi anni era tornato a Torino; nel 1895 aveva iniziato con ‘I misteri della Jungla nera’, modificato nel 1903 con l’aggiunta di altri otto capitoli. Seguirono editi con lui ben 34 libri, alcuni (almeno tre) firmati con lo pseudonimo Enrico Bertolini, oppure Romero S., quasi tutti illustrati da Pipein Gamba (su un totale di 82 romanzi e oltre cento racconti). Di essi, 5 corrispondono al periodo di soggiorno qui.
Con Donath, in ordine cronologico: 1896=‘i pirati della Malesia’ e ‘i Robinson italiani’; 1897=’Il capitano della Djumna’; 1898=‘al Polo nord’,’Il Corsaro nero’, ‘Le stragi delle Filippine’, La Costa d’Avorio’; 1899=‘la Capitana dello Yucatan’, ‘Avventure straordinarie di un marinaio in Africa’, ‘Le caverne dei diamanti’; 1900=‘i minatori dell’Alaska’, ‘Le tigri di Mompracem’, ‘gli orrori della Siberia’, ‘gli scorridori del mare’; 1901=’La stella polare e il suo viaggio avventuroso’ , ‘la regina dei Caraibi’e ’il fiore delle perle’; 1902=‘i naviganti della Meloria’ e ‘la montagna di luce’; 1903=’i predoni del Sahara’ e ‘le pantere di Algeri’; 1904=‘le due Tigri’,’i figli dell’aria’, la città del re lebbroso’, ‘l’uomo e il fuoco’, ‘i solitari dell’oceano’; 1905=’Jolanda la figlia del Corsaro Nero’, ‘La sovrana del Campo d’oro’, ‘La perla sanguinosa’, ‘il Capitan Tempesta’; 1906=‘le figlie dei faraoni’, ‘il re del mare’; 1907=‘le aquile della steppa’, ‘alla conquista di un impero’; 1908= ‘Cartagine in fiamme’.
Con Donath, dal febbraio 1904 pubblicò il periodico ‘Per terra e per Mare’, che uscirà per 31 numeri fino al 1906 (non citata da Beccaria).
Ed a stimolare la fantasia, famosi sono i disegni di Giuseppe Garuti (firmati Pepein Gamba, capace caricaturista e disegnatore di costumi anche per il Carlo Felice), e di Alberto DellaValle che in cromolitografia a otto colori, prima fotografava amici e parenti nelle posizioni che voleva rappresentare.
Nell’anno 1900 gli nacque il quartogenito, terzo maschio, che sarà chiamato Omar. È un periodo positivo: popolarità alle stelle e vendita ‘come il pane’; ma lo scfrittore scivola in uno stato depressivo e tenta di uccidersi con la spada.
La burrascosa collaborazione con Donath era finita con una lettera datata 20 ottobre 1906 in cui l’editore scrisse “stando così le cose, V.S. si persuaderà facilmente che la casa Donath non è verso di Lei contabile per somma alcuna. Ciò per di Lei norma onde mettere le cose nei veri termini ed a scanso di equivoci”. In quell’anno tornò a Torino (in corso Casale, 298 del borgo Madonna del Pilone), e passò all’editore Bemporad.
A causa della sua ingenuità, distratto dalla sua fantasia e da un paventato calo di vista, dalle bizzarrie della moglie (peggiorata da quando lui aveva tentato il suicidio una prima volta, ma venne salvato); e dovette ricoverarla l’anno dopo. Non meno, i doveri di padre, accompagnato solo da cento sigarette e da una bottiglia di marsala al giorno le difficoiltà economiche con debiti che divennero una costante della sua vita. Sciocco poteva essere ribellarsi, ma non tanto da non accorgersene se, nella lettera testamento che lasciò prima di precipitarsi, scrisse amaramente 13 lettere di addio, tra le quali una per l’editore: “a voi che vi siete arricchiti con la mia pelle mantenendo me e la mia famiglia in una continua semi-miseria od anche più, chiede solo che per compenso dei guadagni che vi ho dati pensiate ai miei funerali. Vi saluto spezzaundo la penna”.
Anche lui come il figlio, morì il 25 aprile 1911, quarantanovenne, suicida (alcuni scrivono per precipitazione in un burrone del bosco della Madonna del Pilone a Torino; Wikipedia scrive per karakiri col rasoio di casa; Zanotto scrive ‘a colpi di rasoio’).
Ai figli lasciò scritto: «sono un vinto. Non vi lascio che 150 lire più un credito di altre 600 che incasserete dalla signora...». Il corpo fu trovato per caso da una lavandaia.L’11 febbraio il suo corpo venne traslato in treno a Verona, salutato fino al cimitero da una straripante folla commossa.
Sono conosciuti numerosi apocrifi (più di un centinaio) che editori privi di scrupoli, gli attribuivano
Dai suoi libri sono stati tratti i soggetti per oltre 45 film.
Gli è stata intitolata la scuola elementare di salita san Barborino.
CRONOLOGIA & CIVICI
Nel 1901 dal tunnel di largo Lanterna sino al sottopasso ferroviario dell’attuale piazza V.Veneto, vi abitavano : civ. 1 caserma guardie di Finanza; civ.1a casa Carpaneto Giuseppe ed 1b Carpaneto Giacomo; civ.2 Rebora Augusto; civ. 2a casa Ballejdier eredi; 4 casa Croce; civ.5,5b casa Carrozzino ; 6,8 casa Pittaluga Antonio; 7,7a casa Cassa Invrea; civ. 9,10 casa Durante e Roncallo e C; civ.11 casa Podestà Tobia e C; civ. 12 casa Sommaria; civ.12a magazzeno legnami Casanova; civ.13 Casanova Bianca; civ.14 Scaniglia eredi; civ.14 magazzeno legnami Canotti e C; 14a Garibaldi Luigi; 14b Queirolo Giuseppe; 15 Arata e C; 15a Costa Giacomo C; 16,16a,17 casa Natini già Pallavicini; 18 Tubino Arturo; 19 e 20 Balbi e C (il palazzo d’angolo con piazza Modena?); 21 vedova Parodi; 22 Masnata e C già Morando; 23 Chiesa e C già Leanghi; 25 ospedale Pammatone; 26 Galliano e Ratto; 27 Galliano Pietro; 28 Fava (l’albergo Centro)– Tuo già Aronne; 29 Campi e C. già Borzino
Si nota che tutti questi insediamenti, vanno dal tunnel al volto ferroviario; o perché ce ne erano pochi progredendo verso il Campasso; o perché il Pagano non era ancora ben organizzato; o perché nel 1901 il tratto finale (via P.Reti e via W.Fillak) fu dedicato al figlio del re, UmbertoI, assassinato a luglio dell’anno prima (quest’ultima spiegazione che sembrerebbe la più logica, invece non regge perché nel 1902 il Pagano non si aggiorna sul nuovo nome di UmbertoI e continua a descrivere in via VEmanuele anche dalla stazione al Campasso.
Il Pagano 1902 « segnala (la data dopo →, significa che l’esercizio è presente nei Pagano successivi) al ---2 Savio Angelo, tel 590, litografo e fabbrica casse in legno;--- Dellepiane Davide (→1912) ha negozio di cereali e carrube;---4 assieme ai depositi di Carpaneto, c’erano quelli di Garibaldi e Copello, tel 758;--- 8 spedizioniere Pittaluga Antonio fu Andrea (→1919);--12 p.p. f.lli Frassinetti sarti---13 Malfettani e Burlando fabbricano liquori;---nell’archi.ferr. Cavaglione Giuseppe vende stracci;--- 14 Svicher G. «(→1919, il fotografo:--- 14A Ditta Sanguineti Antonio (→1919): deposito di birra e fabbrica di acque gassose;--- 14B/4 l’appaltatore di costruzioni Carrena Carlo (→1912);---14B Bagnara Ermillo ha un cappellificio;--- 15 Canepa e soci grossisti di olio d’oliva;--- Boccardo Giuseppe (→1912; 1925, eredi) tornitore;--- Plateo cav. A. e Ferrari sono appaltatori di costruzioni;---Palmieri Gius. e Figli tipografi (→1912; 1925 in via C.Colombo);--- 16 Sanguinetti Policarpo fa l’ebanista e Sanguinetti Michele i mobili;--- verniciatore Burlando Luigi (→1919);--- civ.17 0steria dei f.lli Tacchini (→1912);--- 18 negoz. cappelli di Glorio Gius.;---negozio di calzature di AghinaFrancesco (anche in via Mazzini)--- 19 un albergo ‘del Commercio’ gestito da Crespi Giovanni;---trattoria ‘Leon d’Oro’ di Gruna Anna (→1912);--- Grazioli Biagio «(→1912) vende apparecchiature per gaz;--- 20 e 21 negozio di macchine da cucire, rispettivamente di Brolis Cesare «→1925; compare anche come negozio di mobili e tappezziere ed orologiaio; nel 1925 è al 42n, 163r,214r, tel.5906, ed anche in pza G.Bovio,);--- la compagnia Singer;--- 21 ombrellaio Motta Quirico;---22 succursale della sartoria genovese dei f,lli Conte;---negoz cappelli di Carrera Pietro;---abit del pittore Orgero Carlo;--- 23 i f.lli Chiesa fu Francesco vendono chincaglierie e di ferramenta;--- l’osteria (mescita vini)-trattoria di Rivara Franc.(→1912), diventerà dal 1919→’25 ristorante il ‘BRILLÈ’’ sempre di Rivaro, ma al civ. 56);
---25 un Peri Carlo con negoz. pellami ed art. per calzature; nel 1911 il figlio continuerà l’attività;---Arnolfi Antonio è droghiere e confettiere;--- 26 l’orefice (fabbr.) Noli Angelo (→1925); ed 27 Rebora Giuseppe ha negozio di cereali;---28 ristorante del Centro (di Podestà Rosa ved. Fava (→1912; dal 1919 al 25 di Frassinetti Adriano), tel 3337 poi 41-004);---29 (d’angolo con v.N.Barabino 8) il pasticciere Muller e C.(→1912);--- e negozio di stoffe di Villa Giuseppe (→1912);---31B selleria di Pagella luigi fu Carlo;--- 31c fabbrica di cinghie di pelo di cammello, di A.Massoni e Moroni, tel.910--- f.lli Trucchi rappresentanti, vendono filtri per olio---32 brillatori di riso F.Franchini e C.;---33A l’eserc. UITE (trasporto viaggiatori telef.n.901);--- 34 Morando succ. si interessano di macine per molini;---commestibili di Bagnasco Maria;--- 34L f.lli SASSO fabbrica pallini da caccia;---35r Garibaldi Salvatore (→1912) ha mescita di vini;-35 i Monticelli Bartolomeo e figli di via s.Antonio hanno una fabbrica di pasta alim.;---41 archi Ferrovia negozio di vetrami di Meirana Bartolomeo (→1912);--- 48 la Corderia Nazionale Carrena e Torre ha un deposito aperto;
Bagni r.Margherita e l’inizio strada (davanti essi, e dietro
casetta con tettoia). A destra, palazzo di via De Marini
---56-A al Campasso le ‘Fabbriche Riunite Glucosio Destrina e affini;--- 50B fabbriche di turaccioli, di Canessa & Spanio (→1912) e di Ondano Emanuele (→1912);
---Con civico non specificato:Rolla Vittorio (un omonimo nel 1911 con differente attività) vende carbone minerale;--- Spanò e Solari negozio di mobili--- f.lli Chiesa fu Francesco sono armaiuoli (sic)—vicino al tunnel tramway, i ‘bagni Regina Margherita’ di Bonifacini Lagorara e Cabella;--- Canepa Ernesto (archi Ferrovia→1912), intagliatore in legno, ha una segheria a vapore e fabbrica cornici;---negozio vetrami di Canepa Ernesta;---f.lli Puppo ortocoltori;---
Una cartolina (collez. Canepa) viaggiata il 29 maggio 1904 (con l’immagine del Nuovo Ponte di Cornigliano, porta scritto a penna «Grazie della sua gentilissima lettera. Presto le scriverò a lungo. Quando scrive a Mamma prego mettere “Corso V. Emanuele n. 30” oppure “presso il Pretore”». Negli elenchi sopra, precedenti a quella data non c’è il civ. 30 e sembrerebbe che i civici non siano ancora ancora suddivisi in pari/dispari altrimenti sarebbe stato sotto le arcate della ferravia.
È nella cronaca cittadina del 22 gennaio 1903, che nella mattina mentre si recava a Cornigliano per il varo di uno yacht da diporto privato, Luigi Amedeo Savoia, duca degli Abruzzi nella via ebbe un pneumatico forato all’auto che lo trasportava, proprio all’altezza di via della Cella. Ovvio il capannello di curiosi ed entusiasti, trattenuti da un tenente dei carabinieri prontamente intervenuto con le guardie comunali, ai quali per mezz’ora il Duca rispose amabilmente fino alla sostituzione della ruota bucata.
Una ricevuta delle Imposte Dirette relative all’esercizio 1904 è della ‘Esattoria di SAMPIERDARENA’ - Assunta dalla Banca Popolare di San Pier d’Arena – L’Ufficio esattoriale trovasi in via Urbano Rela n. 1, ed è aperto.... (nel 1909 invece trovasi in ‘vico Mentana, 16’, telef. 456). Nell’agosto 1915 manda un avviso scritto segnalando che causa il richiamo alle armi di molti dipendenti, è costratte a chiudere la filiale di Pontedecimo; mantenendo quelle di Bolzaneto, Busalla, SestriPon., Voltri.
Nel 1904, al civico 48/1 esisteva un Poliambulatorio medico, chiamato ‘Policlinico Generale - istituzione fondata da medici specialisti, ed ha per iscopo la cura in singole Sezioni delle malattie riguardanti le specialità medico-chirurgiche. Tale cura è gratuite per le classi povere’: sez. 1: sistema nervoso-dirigente dott.Emilio Greco; sez 2: cuore e polmoni-dirig. dott. Peone Gandolfo; sez. 3: stomaco e intestini-dirig. dott. GB Ramino; sez. 4: bambini-dirigente dott. Giorgio Rotondi; sez. 5: chirurgia in generale-dirig. dott.MarioOberti; sez. 6: Donne ed Ostetricie: dott-Italo Benso; sez. 7: genito urinarie-dott. Metello Sacco; sez. 8: pelle e sifilitiche-dott.S.Artom; sez. 9: occhi- dott. Edoardo Besio; sez. 10: ORL-dott.Achille Torretta; sez. 11: bocca e denti-dott. Vittorio Marcori
Nel 1910 compare scritta nell’elenco delle strade pubblicato dal Comune “dal bivio con via DeMarini al sotto passaggio Umberto I (quest’ultimo riferimento appare poi cancellato a penna e sostituito con ‘alla piazza F.sco Ferrer’)”, con civici sino al 66 ed al 21A.
Nel Pagano 1908, 1911, 1912, 1919, 1925-6) si rilevano di più appariscenti attività: al 3 ed al civ.23 i Parodi e Parodi (→1912; si reclamizzano come armaiuoli - aggiunge:’success.’. Invece come ferramenta e chincaglieria ‘succ. f.lli Chiesa’ (come scritto nella foto sopram, ”succ. f.lli Chiesa fu Franco”. Nel ‘19 sono ai civv. 288.290.292, tel.294; nel ‘25 ai civv. 312-4-6r tel. 41313);--- al civ.4 i magazzini per depositi (docks, anche in via C.Colombo 96) di Carpaneto GB (→1925);--- civ.5 Sanguineti Antonio (→1919) fabbrica acque gassose:--- 8r sotto il viadotto ferroviario, la “Coop. tra muratori ed affini”;--- 13 (archi. ferrovia.) negozio di stracci di Cavaglione Giuseppe (1908; forse Caviglione Giuseppe);--- 14 fratelli Grasso (1908→1912) fabbricano casse di legno;--- al 14-44 c’era la Camera del Lavoro a cui aderivano innumerevoli categorie di lavoratori e cooperative (tra esse la grande coop di Consumo “Alleanza Coop. Ligure Avanti” di via Saffi);--- 15, Caprile Antonio →1912, tappezziere e fabbricante di mobili in legno;-- Vaiatica Felicita (1908) con negozio di mode (diventa poi di Biocchi);--- al n.20 del viadotto ferrov. l’armaiolo Masnata Giuseppe →1919;--- 22, ing. Scaniglia Angelo (→1919);--- ed al p.3 l’ambulatorio dell’oculista dr Staderini Carlo (1908→1919);--- 25 coesistono un negozio di legnami da costruzione Molinari Diego (1908→1912) e idem di Giuseppe, distinti;--- il confettiere Molinari Ettore;--- e Peri Francesco (1908→1912) che ha negozio di pellami;--- civ.26 (PIAZZA OMNIBUS) il ferramenta chincagliere Serra Raffaele 1908→1912 (nel ‘19 al civ.64, tel.1204)---, ed all’int.1 Cattaneo Bartolomeo mediatore in grano e cereali;--- 27r fabbrica di pettini di Giovanni Galli fu Lorenzo telef. 2372;--- civ.28 albergo e ristorante ‘del CENTRO’;--- ed una fabbrica di turaccioli di Scibilia C. (→1912);--- civ. 29, CAFFE’ ELVETICO e pasticceri;--- al 29r Rosso Omero e C vendita di velocipedi;--- 31 assicurazioni Ausonia (→1919; telef.910) infortuni, agenzia di Sampierdarena; e fabbrica di cinghie di pelo di cammello di Massoni e Maroni con telef.n. 910;--- 31B, Alberti Luigi →1912; di ‘istrumenti musicali’;--- e Pagella Luigi fu Carlo →1912 di selleria;--- al civ. 31C i f.lli Trucchi →1912 (n.telef.: 29) hanno rilevato (vedi nella categoria dei rappresentanti) fabbrica articoli tecnici e negozio di filtri per olio e cinghie per trasmissione nonché rappresentanti di oli e saponi;--- come identica di A.Domange e f.gli →1912, che nel 1912 avrà telef. 910 (telefono uguale alla ditta FoltzerEmilio che vedi in civ. non specif. ha fabbr. olio minerale);--- civ.32, ancora i fratelli Trucchi; e la Wacuum Oil Company →1912, fabbriche di olio minerale;--- civ.32A fr.lli Galoppini (→1912, tel.821) fabbr.casse in legno e litografia (uffici a Ge.); al civ. 33 ditta di costruzioni meccaniche e navali nonché fonderia in bronzo e ghisa ing.D. TORRIANI e C. Nel 1912, ha telef. n. 849; poi telef. 598);--- civ.33 TRATTORIA ‘del tramway’ di Parodi Andrea →1912; il meccanico Repetto GB (→1912 è al 33-D, oppure al 34D) tel 849 e fonderia in bronzo e costruttore meccanico;--- e F.Franchini e C. brillatori di riso;--- civ. 33A di nuovo la Galoppini→1912, ma per Litografie per illustrazioni casse e latte per conserve alimentari;--- civ.34 la Farmacia Sibelli Clemente (oggi Mauro; in essa avevano reperibilità quasi tutti i medici locali: Bonanni Carlo→1912, Botteri GB →1912, Bruno →1912, Canessa Lazzaro 1908, Canevari Pietro 1908, Danovaro →1912, Gras 1908, Viglione →1912); ---ed i ‘succ. Morando →1912 di macine per molini;--- 34D Guiducci Luigi lavorava il crine per fare cavi e corde;--- 34L fabbrica pallini da caccia, tubi e lastre di piombo fr.lli Sasso (dalla TORRE DEI PALLINI);--- civ.35 pastificio Monticelli Bartolomeo e figli →1912 (anche in via s.Antonio);--- al 42 fabbrica mobili in legno Sanguinetti Michele (1912) (citato essere anche al civ.16); al 42/11 l’appaltatore di costruzioni Piano Agostino (1919);--- al civ.44 Pastorino Giovanni →1912 rappresentante di oli e saponi; e vi coesiste il negozio di art. per calzature di Cavanna Ernesto→1912 divenuto (1919) Nicolò;--- civ.52 neg.calzature di Rapallo Raffaele→1912);- al 52-1 Galliano Lorenzo e fratello nel 1919 con casella postale n.30, tel.64-31, vendono acciai inglesi fusi al crogiuolo per utensili);--- civ. 54 fabbrica di liquori e deposito c.te Chazalettes e C.→1925; il rappresentante DeAmici Enrico; e le levatrici Boltaro Caterina →1908 e Moretti Teresa, 1925;- civ.58 Banca Popolare →1912, telef.n. 456;- civ.83 Bodio e C. →1925, rappresentanti della Casa “Peugeot di Parigi”;- 117r l’asfaltista Cavo Zaccaria, 1919, tel 30-25;- 121r altra fabbrica di liquoridi DeAmici Enrico (→1925) tel 30-25; 142r Roccatagliata e C.→1912, di articoli tecnici, olio minerale e fabbrica di cinghie per trasmissione (nel 1925, telef.32-18).
---In civv. non specif.: il cinematografo Dante (dal 1921, dei f.lli Queirolo); caffè ROMA (1908→1912 di Frassinetti Adriano; 1925, di Trevisan Serafino);--- fabbrica carrozze e carri Tortarolo Giacomo «1912, archivolto ferrovia;--- i f.lli Rolla Vittorio (da solo « con negozio di metalli ed impresa trasporti) ed Edoardo→1912 con articoli tecnici, cinghie per trasmissione ed olii (sic) minerali lubrificanti tel.n.813 (1925, saranno stessa via, al civ.251, tel 41341);--- le assicurazioni generali Venezia (1908-12) (agenti Brignole e Lagorio, telef 19-23; nel 1919-25 solo Lagorio Silvio);--- fabbrica di olio minerale di Foltzer Emilio 1908-12, con telef. n. 910;--- il confettiere Coppo Federico;--- Rastrelli Adolfo →1912, e C. che nell’archiv.ferroviario vende legnami da costruzione ed ha telef. n.304;--- Luigi Gallotti →1912, di stoffe;--- f.lli Puppo orticoltori;---- Conte Emanuele macchine per cucire;--- Vernazza Ettore →1919 mediatore in grano, cereali e foraggi;--- Mainetti negozio moda;--- Spanò e Solari negozio mobili;--- la società Anonima Coop. di Produzione costruzioni meccaniche e navali, fonderia in ghisa e bronzo (anche in via Saffi);--- trattoria della Gina →1925 (s.Martino, Campasso);--- fr.lli Massa cartolai;--- il merciaio Polacco (1908-12)---Soc. Servizio Automobili di piazza, 1919, di Dodi e C, tel. 5976 (tariffa per percorsi – Per i primi 1200 metri L. 1,20. Per ogni 300 metri successivi L.0,20. Per ogni bagaglio da collocarsi all’esterno della vettura L.0,25. Aumento durante la notte L. 0,25 % senza contare le frazioni. Nei percorsi fuori comune il ritorno a vuoto va retribuito in ragione del 50%)—
foto 1921 1928 1930
=Pagano 1911 e 1912 civ.2 Dellepiane Davide vende carrube e cereali;- 7 (archiv.ferrovia) il negozio di cappelli di Pieragostini Alessandro (nel 1925 è al civ.35r);--- 16 negozio mobili di Sanguinetti Michele;--- 21 l’ombrellaio Motta Quirico;--- 22r commestibili di Marzocchi Francesco;--- 23 brillatori di riso F.Franchini e C.;--- 25 Verardo Eugenio 1908 confettiere (1912, è solo pasticciere);--- 27 Rebora Giuseppe con negozio di cereali;--- 27r forno per produzione di pane di Bozzone Domenico; e fabbrica di pesi e misure di Ferrari Gatti e C. (anche in via s.Antonio);--- 29r vende velocipedi Rosso Omero;--- civ. 30 Castello Jole levatrice;--- 34 negozio commestibili di Bagnasco Maria;--- 38 dentista Odino Filippo;--- 41r commestibili di Marchese Angela;--- 42.11 appaltatore di costruzioni Piano Agostino, →1912, (oppure Domenico);--- 52 il droghiere Coppo Rinaldo;--- 52-4 Masnata Silvio tel 1889 fa filetti per macchine e rappresentante ‘di macchine in genere’;--- 56 levatrice Moretti Teresa;--- 59r un ufficio commerciale e rappresentanze di Adené Ferdinando;--- 60 elettricista Orsi Angelo;--- 68r commestibili di Multedo Giuseppe;--- 118r commestibili di Grasso Agostino;--- 132r commestibili di Bruzzone GB;--- 166r commestibili di Cuneo Oreste;--- 178r impresa trasporti di Mattioli T.;- 184r commestibili di Monteverde Giovanni;--- 201r l’orologiaio Carlevaro Lindo.→1912;- 223r negozio di pellame di Mignone Tomaso;--- 254r commestibili di Dagnino Agostino;- 286r commestibili di Parodi Angela;- 304r commestibili di Oneto Filippina.
---Non specificato il civico: Canessa Ernesto→1912 fabbrica di casse;--- Pittaluga Luigi con negozio di frutta secca ed agrumi nell’archivolto ferroviario;--- impermeabili fratelli Conte fu Lazzaro →1912 (nel 1925 è anche in via Mazzini 10-2: sartoria civile e militare per ufficiali con drapperie inglesi finissime e nazionali. Forniture per Municipi, collegi. Fabbrica di beretti (sic. ma altrove, berretti), specialità per forniture e ufficiali-fornitore del Municipio di Genova e Ferrovie dello Stato);--- farmacia Della Ferrera Francesco →1912 (nel 1919 è al civ. 202r tel.2975; non c’è nel 1919,’21,’25; il proprietario appare nel 1919 lo stesso della farmacia di via Marabotto,25);--- lo straccivendolo Veardo che ritroveremo nel 1925 e 1933 in vico Stretto dove ora c’è con lo stesso mestiere Frontali Socrate;--- impresa trasporti fratelli Bagnasco (nel 1925¨ è solo Giacomo al civ.44-7);--- società’ Cooperativa tra spazzaturai’ 1912;--- Dotto cav. Federico, scultore;--- Ivaldi, 1912, fa il confettiere nella via quando essa inizia a chiamarsi Pza Ferrer);--- Cavo Zaccaria asfaltista;--- Bagnasco Giacomo impresa trasporti;--- Spanò e Solari negozio mobili;--- Mainetto V, negozio di mode;--- l’ebanista Policarpo Sanguinetti;--- Canepa Ernesta con negozio di vetrami;--- Ivaldi Bartolomeo fu Carlo salumiere---.
===civ.54 dal 1920 ed attiva ancora nel 1933 vi operava una “società di Mutuo Soccorso di impiegati civili” di Sampierdarena.
Negli anni trenta, vi aveva sede all’interno 6 una soc.an. Ateneo musicale intestato a G.Monteverdi. (Già erano aperti lungo la strada, la farmacia della Ferrera ed il cinema Dante).
Nel marzo 1921, dal Comune vengono sottoposte ad aumento delle tasse una serie di società aperte nella strada: al civ.19 la soc.Ligure Lavorazioni Latta e Fabbrica conserva (vedi via G.Buranello, Centro Civico);--- al civ. 104 Santamaria Carlo , ferramenti d’acciaio;--
Nel Pagano/1925 compaiono nuovi: al 9 il sarto Bonatti Achille;---al 17 Nasturzio Silvestro¨ è: (a) produzione di casse di legno (nel 1920 aveva una delle sei fabbriche locali di conserve alimentari, in via C.Colombo; nel 1921 appare in via Vitt.Em. al civ.32A; nel 1925 ha qui - al 17, con tel.41207 - uno dei nove stabilimenti similari locali); b) al 17 la fabbrica e negozio di conserve alimentari, tel.41353; c) al 17 lavorazione della latta e litografie tel 41-207);--- al 17r ha sede una “soc. Ligure per la lavorazione della latta e la fabbricazione delle conserve, Anonima”, (sic),”telef. interc. 41453”;--- al 19 la “soc.an.R.D.Diana & C. (industria e commercio della latta”);--- e Costa Giacomo fu A. negoziante di olio d’oliva e di seme;--- al 22 negozio di sale e tabacchi di Platone Carlo;--- al 25 il tabacchino Cipollina Carlo;--- 27r il fornaio Borzone Domenico;--- 36 l’abitazione del prof. Skultecki E. grande protagonista dell’Ospedale cittadino;--- 36-2 l’esportatore Burlando dott. Francesco;--- 38 p.p. ha il suo gabinetto dentistico il dr. Rasia dal Polo Remo;--- 42n e 163r e 214r Traverso Luigi tappezziere ha una segheria e mobilificio; e lavora con Canepa come falegname ( anche in v.Gioberti);---; al 48 il sarto Cardillo Antonio;--- al 60 Taricco & C.si impegnano sia per lo sfruttamento dei brevetti, sia per la e gestione della “ELASTIT (copertura elastica impermeabile brevetto G.Fava);--- al 87-89r archivolti ferroviari la fabbrica di soda di Carretta A.F.;--- al 127r i f.lli Cavo asfaltisti;---145 la tintoria di Cardinale Carlo;--- civ. 163r l’officina meccanica f.lli Balestrino fu G. per “lavoraz. stampi per la lavorazione della latta”:--- civ.186-8r Nicelli Arturo¨ negozio di merceria, biancheria, maglieria specialità per bambini;---civ. 188-190 Vedorato Luigi vende forniture industriali di materiali elettrici;--- 205r negozio di mobili di Ambrosini Annibale¨ (con fabbrica in v.ACairoli)--223r negozio pollame di Mignone Tomaso;--- al 238r la ‘Sartoria Internazionale’ di Vitale Angelo, tel. 34-96;---262 tessuti di Robotti & Lusuardi presente ancora nel ‘33;--- al civ. 298 il calzaturificio di Lanzini & Tegoni;---292r la fabbrica profumi di Comotto Achille & Cornelia;--- a 306-8r Taborelli Giuseppe ha una succursale delle ‘seterie di Como’;--- 314r Parodi e Parodi hanno negozio di ferramenta;---
cc.NP = Ristorante-trattoria ‘TESTIN’ posta all’angolo con via Gioberti;---Vaggi Onorato¨ confettiere pasticciere;--- Bagnasco Emanuele, trasporti;--- agenzia della Banca Commerciale Italiana (dal 1919);--- Banca Popolare (Sampierdarena), istituto di credito ed esattoria;---- eredi Forni Enrico legnami (via Buranello lato mare altezza via Gioberti);--- Galoppini Fratelli¨ lavorazione latta (a monte in via A.Castelli);--- Homberger Walther (¨civ.32, & C.o), articoli tecnici, fornitura industriale;--- Massardo Diana & C , conserve alimentari (a levante di via A.Castelli. Nel 1926, una carta intestata alla ‘litografia e lavorazione della latta soc.an. R.D.Diana & C’., ubicata al civ.19 di questa via e con numero telefonico 11.472, fatturava una ordinazione di ‘creolina Pearson’, da essere ‘consegnata a ½ Vs/carro’. Nel 1961 risulta ancora presente (ma spa, in via G.Buranello, 85r));--- Ottone Giorgio negoziante in olio;--- Repossi Adolfo , titolare cinematografo Dante.
Nel 1926 quando avvenne l’unificazione comunale nella Grande Genova, la via esisteva a SPd’Arena (dalla Lanterna a piazza Bovio, da questa a piazza V.Veneto ed anche una piazza), a Nervi (piazza e viale), Rivarolo, Sestri, Borzoli, Centro, Pegli, Pontedecimo, Prà, Quarto, S.Quirico, Voltri.
Nel 1931 era già percorsa da intenso traffico giornaliero, con 4861 veicoli così suddivisi, 1695 auto, 994 camion dei quali 480 a grande portata, 1756 tram dei quali 700 con rimorchio, 370 autobus, 75 moto, 12 carri a trazione animale, 13 biciclette, 9 carretti a mano.
La titolazione stradale ancora c’era nel 1933, da largo Lanterna al sottopasso di piazza V.Veneto, di 2.a categoria. In questi anni vengono ricordati alcuni esercizi aperti sulla strada: una fabbrica di cappelli Bellini (non unica in città: in una foto del 1910 troneggia una grossa insegna murale nei pressi di piazza Barabino, di un’altra fabbrica di cappelli di Donato Fanfani, nonché il vasto cappellificio di via A.Doria (v.Giovanetti); l’Ateneo Musicale ‘G.Monteverdi’ con sede principale a Genova in via Ettore Vernazza.
Nel Pagano/1933 (già dal 1925=¨) sono descritti: al civ.2, dal 1925, il negozio di cereali e carrube di Dellepiane Davide;--- al civ. 5 una fabbrica di acque gassate di Sanguinetti Antonio con, al 14-a un deposito di birra (quest’ultimo civ., era la fabbrica);
--- sempre al 5 fabbrica di colori e vernici Lechner & Muratori (casa italo svizzera-, con uffici in via Mameli – a destra, cartolina usata per ordinazioni: a Vado vengono ordinati in data 7 settembre 1923, 4 fusti di ossido ferro rosso v);---
---16 il verniciatore Burlando Luigi¨ (dal 1925; vedi al 105);---16r l’ottonaio con saldature autogene Volta Luigi presente dal 1925;--- 19 i tornitori eredi di Boccardo Giuseppe in attività dal 1925;--- 21 i f.lli Galoppini con ‘casse in legno, e litografie per illustrazioni casse e latte per conserve alimentari. Telef.41.224’;--- «civ.22, all’angolo con v.della Cella il negozio di ombrelli di Prini Francesco;---23 il negoz. vini di Rivara Francesco (dal 1925)¨;--- 26 i magazzini dei figli di Enrico Forni negozianti in legnami;--- 30.p.t il fotografo Svicher Alfredo (uno dei primi a fissare Genova con immagini artistiche, e punto di riferimento locale per ogni ritratto, da quello tombale ai matrimoni e di ricordo. Proveniva da Amburgo nel 1890; divenne cavaliere e sposò una Storace con la quale fece nascere Michele, che aveva l’hobby della poesia e dello studio della Liguria e che prosegì l’attività nel negozio vicino al cinema;--- 32 (pal.De FRANCHI, oggi civ.14) la Assicurazioni “Liguria”, sindacato di mutua contro infortuni del Lavoro, tel. 41262;--- 36-2 e 40 gli importatore, esportatore dr Burlando Francesco ed Ottone Giorgio & figli;--- 42-11 l’appaltatore Piano Agostino e costruttore edile Piano Domenico (ambedue dal 1925);--- al 44 Cavanna Nicolò, già dal 1925 con negozio di calzature ed articoli per calzolai ed al 44-4 l’accordatore di pianoforti Rovegno Luigi (dal ’25); 48, il floricoltore Magnanego Dionisio (dal ’25);--- 51 il droghiere Coppo Rinaldo (dal ’25); 54 negozio di ferramenta di Masnata Silvio (anche rappresentante macchine in genere, ritagliatura meccanica e lime, tel. 304);--- 68r commestibili di Multedo Giuseppe (dal ’25); 85r Picagli A.F. offre impianti elettrici;--- 105-6 arcate ferroviarie, impresa di coloritura e verniciatura di Burlando Edoardo (vedi al civ.16¨);--- 118r commestibili di Grasso Agostino¨;--- 121r DeAmici Enrico¨ importatore ed esportatore, è rappresentante di conserve alimentari;--- 129r i f.lli Rossi sono incisori;--- 132r commestibili di Bruzzone GB¨;--- 134r negozio di biacca e vernici di Ruffini Ennio¨ (anche in via C.Colombo);--- 151 floricoltore (sic) Franco Margherita¨;--- 163A il fotografo Roasio Virginio;--- al 164 il “Gran Caffé Dante” di Falciola Francesco;--- 164r l’officina meccanica di Grillo Andrea¨;--- 169r il vetraio Meirana Bartolomeo¨;--- 171r negozio e grossista di olio d’oliva e di semi Ferrua Salvatore ed il salumiere Parodi Giuseppe¨ fu Luca;--- al 184r i commestibili di Morasso Coronata¨;--- 187r deposito ed ufficio di Gatti Epifanio¨ fu L. succ. Gatti G. e E. f.lli fu L. (Fabbr.Lig. strumenti per pesare e costruz.metalliche, con officina (nel ¨ in via A.Doria 60r) in v.C.Colombo;--- 195r Masnata Salvatore¨ vende armi e munizioni;--- 198r negozio di materiale elettrico di Vedovato Luigi¨;--- 201r l’orologiaio Toselli Oreste; 203r il caffè Delfrate Ferruccio¨ poi Baldini-Podestà;--- 206r il ristorante “Umberto”;--- (al 207r –non citato dal Pagano- è invece una fattura del 1934 dei Parodi e Parodi ferramenta,-ottonai/utensili ed attrezzi/articoli casalinghi/armi e munizioni, tel.41-313; ---209r tintoria Alfieri Antonietta;--- 256r il salumiere ditta GalloA¨. in Galliano Costantino¨ vende anche funghi secchi;--- 260r negoz. di macchine per cucire, di Conte Cesare (dal 1912 rappr. “Naumann);--- 262r fabbrica impermeabili e negoz. tessuti Robotti & Lusuardi¨;--- 304r gli eredi Sciaccaluga Emanuele¨ vendono ricco assortimento di apparecchi fotografici, pellicole, articoli ottici, binoccoli (sic) per teatro, marina e campagna, ecc.;--- mentre Oneto Filippina¨ vende commestibili;--- 312.4.6 r, di nuovo i Parodi e Parodi come al 207r
Non specificato dove, l’orologiaio Bonacini Ezio;- il pasticciere Savelli Umberto¨;- 3 pizzicagnoli Alpa Ferdinando¨ , Ferrando A.¨, Lanfranconi¨;- un quarto salumiere Ivaldi Amedeo¨ fu Bartolomeo;- il tappezziere Morando Emilio (nel ¨ in via Gioberti);- il neg. tessuti f.lli Conte fu Lazzaro¨ (anche in v.Mazzini, tel41140, grande assortimento drapperie nazionali ed inglesi finissime-panni finissimi per livree ed uniformi e colorati per mostreggi- tessuti gommati e loden in pezza per impermeabili, fustagni, tele, velluti, foderami. Vendita a metro);- il droghiere Attilio Bottaro¨;- Pedemonte Nunzio¨ che in un archiv.ferrovia vende frutta, agrumi e verdure.
Ma proprio in quegli anni, dopo iniziati (nel 1928) i primi espropri per erigere l’elicoidale e formare la nuova via di Francia (su cui fu spostato il traffico tranviario rinunciando alla galleria), il tratto iniziale fu inglobato in largo Lanterna, la cui targa si sovrappose alla precedente; nacque la via Chiusa (il nome ufficiale fu dato il 18 gennaio 1954 per delibera del Consiglio comunale, col cambio alla pari di tutti i civici 1, 3, 5, 7 e 2, 4 che erano divenuti tali dopo revisione della numerazione effettuata nel 1951) per il tratto sino a piazza Bovio (N.Barabino): via Vittorio Emanuele rimase al solo tratto tra le due piazze.
foto di proprietà biblioteca Gallino – rivendita scarpe
Il 19 agosto 1935 divenne ‘via 2° Fascio d’Italia’ ed il 12 maggio 1945 -fino ad oggi- ‘via G.Buranello’.
===Al civ 17 si apriva lo stabilimento Nasturzio Silvestro, acciaieria e fabbricante di bande stagnate.
Allo stesso 17r si apriva nel 1933 la soc.Ligure per la lavorazione della latta e la fabbricazione di conserve
===Al 19 aveva sede sempre nel 1933 la soc. anon. R.D.Diana & C., industria e commercio della latta
=== Al 26 era la ‘Nova Spes’, società di armatori.
===civ.30 Nel 1923 vi abitò un abilissimo incisore falsario di nome Pollastri Attilio sedicente commerciante di vini ma in realtà ‘produttore’ in proprio di carta moneta. Furbo, pur perdendo tutto il materiale era riuscito a fuggire alla cattura avendo nascosto la sua attività dietro svariati nomi ed utilizzando più sedi (via Chiusone 1r, via Gioberti 12r, via R.Parodi 7/2). Fu catturato poi nel 1948 quando 65enne non falsificava più le cento lire ma le diecimila. Di lui inteso come ‘il più abile’, si è fatta memoria nel 2004 ai primi euro falsi trovati sul mercato.
===Al civ.32 si apriva negli anni 1933 una azienda, la ‘Pearson Guglielmo’ col n° telefonico 41-346. (Dal Pagano/1912 è descritta, per la prima volta, in via G.Alessi, tel 599; dal Pagano/1919-1926 è in largo Lanterna 8 tel 5310). Produttrice di prodotti chimici industriali e farmaceutici, era l’unica fabbrica del disinfettante ‘creolina’ con marchio brevettato: minacciava “procederò in via legale contro chiunque imita od abusa in qualunque maniera la parola ‘creolina’; il creosolo era un disinfettante impiegato anche per sciroppi anticatarrali e disinfettanti in genere molto usato allora”; con essa produceva direttamente altri farmaci chiamati Medol (un linimento, anche lui marchio brevettato) e Pacolol (creosolo saponato) nonché in apposite grandi vasche e caldaie lavorava il sego importato puro per fare saponi di toilette ed inscatolare il famigerato per i bambini di allora olio di fegato di merluzzo, la vaselina borica, la soda caustica, la pece greca. Fu il primo importatore locale del famoso ddt . Nel Pagano 1950 risulta ancora in attività, in via Buranello 14, telef. 41-316.
=== civ. 90 il cinema Dante, poi Odeon, oggi Eldorado. Locale sempre molto popolare, e per lungo tempo il preferito dai bambini.
Degli attori concittadini di allora, vengono ricordati solo i fratelli Aldo ed Enrico Poggi.
DEDICATA a
Vittorio Emanuele II di Savoia, ultimo re di Sardegna e primo re d’Italia; fu chiamato il “padre della Patria ”o “il re galantuomo”.
Nato a Torino il 14.3.1820, primogenito di Carlo Alberto e di Maria Teresa d’Asburgo-Lorena.
Fu cresciuto con educazione rigida militaresca; ostile fin dalla giovinezza alle tendenze liberaleggianti (elezione Pio IX- 1846- e quindi contrario alla Costituzione concessa dal padre) ed alla presenza austriaca in Italia.
Aveva sposato nel 1842 la cugina austriaca Maria Adelaide d’Asburgo, figlia dell’arciduca Ranieri e di Elisabetta Savoi;, dalla quale ebbe sei figli (altri scrivono otto figli; ella morì nel 1855).
Ebbe il battesimo di fuoco alla battaglia di Pastrengo, meritando una medaglia d’argento al VM; poi a 28 anni a Goito (30 maggio 1848), meritò quella d’oro perché in un momento di grande difficoltà, si lanciò contro il nemico gridando “a me le guardie” e capovolgendo così le sorti dello scontro; e poi a Custoza (23 luglio).
D’altronde lui, figura esuberante, di carattere rude, più quasi un rozzo militare che un raffinato uomo di corte, riuscì a guadagnarsi la più ampia simpatia popolare.
Successe ventottenne - il 23 mar.1849 - al padre Carlo Alberto, che abdicò andando in esilio ad Oporto nel Portogallo, proprio nel triste giorno della sconfitta di Novara (1ª guerra di Indipendenza, con itt.Eman comandante di divisione, con modesti risultati militari); mossa ritenuta necessaria per contenere le ovvie pretese dell’Austria vincitrice proprio in un momento cruciale legato alle casse vuote, la guerra perduta, critiche aspre dai repubblicani, gli operai in fermento.
Divenne così re di Sardegna dovendo per primo atto negoziare l’armistizio a Vignale (Novara) e successiva, 10.8.49, pace di Milano (la Camera respinse per due volte la ratifica di questa pace, mentre era primo ministro M.D’Azeglio; a qesta scelta fece seguito a novembre il “proclama di Moncalieri” con il quale chiedeva che i parlamentari fossero più razionali e consapevoli della responsabilità di fronte alla reale situazione: il nuovo parlamento ratificò la pace).
Fu in questo contesto che, divenuto re, dovette dimostrare subito avere polso, fermezza ed equilibrio, facendo prevalere l’idea - radicata nell’educazione – decisamente antiliberaleggiante. Ed a riceverne i danni fu proprio Genova che in quel mometo osò rivendicare dei propri diritti che il re ritenne inopportuni e meritevoli di essere soffocati anche usando violenza e versando sangue del suo popolo. Poca potè sembrare da allora in poi la differenza tra regno, regime e dittatura: chi non condivideva o addirittura era contro, era classificato un bandito e quindi da eliminare –politicamente e fisicamente-.
Già per Genova, l’annessione era avvenuta in un contesto irregolare, in virtù di equilibi internazionali dove l’Inghilterra giocava dall’alto delle carte a suo favore mirate a creare situazioni che potessero sfavorire la Francia e l’Austria: l’annessione della Liguria al Piemonte era il frutto di un lungo maturare di eventi: dall’essere stati pro Napoleone anche se da sottomessi, dall’essere ricchi e pieni di crediti internazionali (da azzerare così), dall’essere Repubblica di fronte ai Regni.
In più, Genova aveva altri diritti che non erano stati riconosciuti fin dalla sottomissione forzata al governo torinese: da subito aveva ricevuto che l’inclusione era avvenuta per mero interesse economico (tasse ed obblighi, compreso il servizio militare), di prestigio (allargamento di territorio), di sbocco al mare (tenuto inutilizzato nel potenziamento, ma non per pagare gabelle), senza corrispondente ammissione di fiducia (nei suoi imprenditori, nelle sue industrie, nel suo porto, nella sua marina), di fratellanza (né economica, né amministrativa, né sociale), di doveroso riconoscimento (gli innumerevoli volontari al servizio di Garibaldi, perché venivano ritenuti infidi in quanto seppur miravano all’unità della patria, conservavano non celato lo spirito repubblicano di Mazzini).
La ribellione popolare subì la dura repressione del generale LaMarmora, con le ciliegine dell’offesa (‘vil razza dannata’), della simbolica sottomissione delle code dei leoni nello stemma, della taciuta verità nei testi di storia nei quali gli eventi neanche sono descritti e storici, come l’Abba, messi in condizioni di negare che fossero accaduti.
Per sua fortuna, dall’insediamento, fu aiutato da valenti uomini politici che generalmente gli fecero fare scelte opportune, tanto da meritare dal D’Azeglio la definizione di “re galantuomo”.
Fu dapprima il ministro Siccardi che gli propose il passaggio dallo stato feudale a quello moderno (iniziando con l’eliminazione dei tribunali ecclesiastici, la limitazione dei loro beni e del diritto d’asilo: ovvero liberarsi dell’ingombrante ed assillante influenza del clero)
Dal 1852 fu coadiuvato dal Cavour, con i risultati fortunati, frutto dell’abbinamento impulsività di uno, fredda e scaltra capacità di decisione dell’altro: così a seguire, le varie coalizioni internazionali risultate vincenti; la spedizione in Crimea nel 1855; i rapporti col Papa con il quale si stabilì il rapporto “libera chiesa in libero stato”; l’alleanza con la Francia con la quale conseguirono le vittoriose battaglie della 2ª guerra d’Indipendenza (pace di Villafranca) e 3ª (respinto l’ultimatum di Francesco Giuseppe e forte dell’alleanza francese, volle il comando supremo, con battaglie finali di Solferino e san Martino alle quali seguì il forzato armistizio per il ritiro di Napoleone dall’alleanza); i delicati, invisi ma ricercati rapporti con i garibaldini specie durante la spedizione in Sicilia; i problemi del Veneto; non sempre tutto filava liscio tra i due: disaccordi, dimissioni, scontri aperti su temi calamitosi (la questione romana, la pace di Villafranca, la dolorosa decisione di Aspromonte, le tristi ore di Custoza e Mentana).
Importante ricordare, del 1859 inaugurando la sessione parlamentare, la famsa frase “non essere insensibile al grido di dolore che si leva da tutta l’Italia”. Nel 1860 invase l’Umbria e le Marche e dall’Abruzzo scese in Campania incontrando Garibaldio a Teano
Divenne re d’Italia nel 1861 (anno della morte del Cavour, al quale successe prima Ricasoli poi Rattazzi).
Nel 1869 sposò morganicamente la bella Rosina (Rosa Vercellana Guerrieri, che divenne contessa di Mirafiori e Fontanafredda e dalla quale ebbe un figlio).
L’apice della gloria fu raggiunto – in concomitanza della caduta di Napoleone III - con la conquista di Roma il 20 sett.1870 e l’insediamento nel Quirinale; di nuovo a memoria, le parole dette alla prima convocazione del parlamento, “l’opera a cui consacrammo la vita, è compiuta“ dimostrano la forza di uno spirito avventuroso e decisionale.
Morì a Roma il 9 gennaio 1878.
Gli successe il figlio Umberto I
BIBLIOGRAFIA
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-Google-Wikipedia-Emilio Salgari- agosto2008
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-Pozzo F.-L’editore genovese Anton Donath-La Berio n.2/2010-pag.56
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-Zanotto P.-E.Salgari- su ‘Prezzemolo’ periodico mensile-anno 1.n.2-pag6
VITTORIO piazza Vittorio Emanuele III
Una nuova piazza creatasi alla congiunzione tra via Umberto I (via Reti-W.Fillak) e via A. Saffi (via C.Rolando), dichiarata pubblica dalla giunta comunale (considerato che prima era terreno patrimoniale ed in carte vecchie vi appare costruito), fu dedicata al nuovo re , nel 1906.
Corrisponde all’attuale piazza R.Masnata.
Già dai primi anni del 1900 vi si teneva un mercato; appare però che nel 1926 l’ufficio di Polizia urbana l’aveva già spostato in piazza dei Mille (piazza Ghiglione).
Con questo nome ufficializzato, appare la piazza nell’elenco delle vie pubblicato nel 1910 dal comune; posta ‘al bivio delle vie Umberto I ed A. Saffi’, senza civici.
piazza V.Emanuele
III
Nel 1926 SPd’Arena fu unificata nella Grande Genova: nel 1927 il nuovo comune stilò l’elenco delle vie esistenti nel nuovo grande complesso e con questo titolo compaiono solo Pra e Quinto; la nostra piazza evidentemente non fu omologata e fu proposta per cambiamento.
Nel 1933 era ancora alla congiunzione tra via Milite Ignoto (v.P.Reti) , via Umberto I e via A.Saffi ; di 3.a categoria.
sfilata anni
1922- collez.Canepa
Ma con decreto del podestà del 19 agosto 1935 l’annullamento della titolazione fu finalmente ufficializzata e divenne dapprima parte di via delle Corporazioni, poi –dal 5 luglio 1945- parte di via P.Reti.
Solo per delibera della giunta comunale del 26 aprile 1946, riassunse nome proprio, dedicata al partigiano.
DEDICATA al re Vittorio Emanuele III di Savoia, figlio di Umberto I e di Margherita di Savoia. Nato a Napoli l’11 nov.1869 , e morto in esilio il 28 dic.1947.
Da giovane fu sottoposto ad una disciplina scolastica assieme umanitaria e militare assai rigorosa, sotto la guida del generale Osio: acquisì così sia una cultura generale vasta e profonda, nonché quella militare che percorse da sottotenente di fanteria a generale di corpo d’armata. Pubblicò un libro di numismatica, di alto valore scientifico.
Il 24 ott.1896 sposò Elena Petrovic Niegos, principessa del Montenegro, dalla quale ebbe cinque figli. Alla morte del padre ucciso dall’anarchico Bresci il 29 lug.1900, gli successe al trono, proclamando di seguirne i consigli ed imitare le virtù. Inizialmente dimostrò saper tenere fede ai patti giurati, dando adeguate disposizioni al governo, presenziando i soccorsi in Calabria devastata dal terremoto (1905 e 1908), ed a Napoli flagellata dal Vesuvio (1906); accettò il riconoscimento di sovranità sulla Libia (1912); partecipò in primo piano (affidò la luogotenenza del regno, allo zio Tommaso, duca di Genova; e seguì nelle retrovie, le vari operazioni di guerra senza esercitare il comando) alla titanica lotta conclusiva dell’unificazione, nella prima guerra mondiale (1915-18), acquisendo il titolo confidenziale di “re soldato” e, nell’apologia anche di “re gentile”, e “re vittorioso”. Nella satira era “re nano”.
Nel 1922, esercitò ambiguamente con il potere che aveva, sino alla lenta ma effettiva connivenza col fascismo dopo la marcia su Roma: rifiutò firmare il decreto Facta (una specie di stato di assedio); però dovette dare fiducia a Mussolini da cui non riuscì più a svincolarsi neppure dopo il delitto Matteotti.
Così, seppur apparentemente riluttante alla politica fascista, non seppe dimostrare mai effettiva autorità né autonomia; anzi, sottoponendosi alla lenta ma corrosiva invadenza del partito, accettando le blandizie espansionistiche che lo fecero divenire imperatore di Etiopia nel 1936 e re di Albania nel 1939; ma soprattutto non opponendosi alla guerra del 1940, anche se ne rifiutò il comando.
L’acme degli errori arrivò quando, di fronte alla sconfitta militare, seppur favorevole all’armistizio con gli Alleati affidando a Badoglio l’incarico della firma, perse le redini della nazione: temendo la reazione dei tedeschi, abbandonò fuggendo (da Brindisi, l’8 sett.1943) il posto di responsabilità che il suo rango gli imponeva, rifugiandosi all’estero presso gli angloamericani, rinunciando alle corone coloniali, nominando luogotenente del regno il figlio, ed infine abdicando (9 maggio 1946) nell’imminenza del plebiscito istituzionale.
Portò così nello squallore più basso l’immagine della casa regnante.
Col semplice titolo di conte di Pollenzo, si ritirò ad Alessandria d’Egitto, ove morì l’anno successivo.
Il figlio, più capace ed equilibrato, riuscì a fare il cosiddetto colpo di coda all’onore della propria casata in occasione del plebiscito regno-repubblica, non sufficiente però per vincere.
BIBLIOGRAFIA
-AA.VV.-SPd’Arena nella sua amministrazione fascista-Reale.26-pag.71
-DeLandolina GC.-Sampierdarena -Rinascenza.1922 – pag. 58
-Archivio Storico Comunale
-Archivio Storico Comunale Toponomastica - scheda 4697
-Enciclopedia Sonzogno
-Novella P.-Strade di Genova-Manosctritto b.Berio.1900-pag.19
-Pagano 1933-pag.249
VITTORIO VENETO piazza Vittorio Veneto
TARGHE: piazza – Vittorio Veneto
S.Pier d’Arena – Piazza – Vittorio Veneto
in angolo con v.S.Dondero. Nel 2007 unica di plastica
in angolo con p.za G.Modena – palazzo Balbi
angolo con via Bombrini, palazzo Hotel Primavera
in angolo con v.S.Canzio
dal sottopasso ferroviario, nascosta dietro gabbiotto AMT
QUARTIERE ANTICO: Mercato
da MVinzoni 1757. Ipotetica zona ove si aprirà la piazza. In
celeste, la crosa dei Buoi
N° IMMATRICOLAZIONE: 2862 CATEGORIA: 1
Da Pagano 1961
CODICE INFORMATICO DELLA STRADA -n°: 64960
UNITÀ URBANISTICA: 26 - SAMPIERDARENA
da Google Earth, 2007
CAP: 16149
PARROCCHIA: s.Maria della Cella.
STRUTTURA: piazza ad altissima intensità di traffico (più di 15mila veicoli al giorno) sviluppato con doppio senso veicolare; collega via G.Buranello con via S.Dondero, via F.Avio, e sottopasso ferroviario. Lunga 185m.; larga da 16 a 65m. circa; piatta.
Roncagliolo fa notare che ancora nel 1920 la piazza era quasi mezzo metro più bassa come livello, rispetto l’attuale e quindi assai soggetta ad alluvionarsi (essendo la crosa dei Buoi lievemente in salita), obbligando ad attraversare la piazza, in barca (10 cent./persona, 5 ragazzi); fu rialzata nel 1935 con i lavori di via A.Cantore
STORIA: Nella carta vinzoniana del 1757, i Doria ed i Grimaldi erano i più vasti proprietari del terreno corrispondente. Prima del 1840, il terreno faceva parte del giardino, o della villa Carpaneto che, dall’attuale piazza Montano si estendeva sino al mare (almeno la parte più a ovest); o della villa Centurione del Monastero (almeno la parte più a est della piazza, dal Modena).
Piazza OMNIBUS (vedi) Fu Raffaele Rubattino, intraprendente impresario genovese – che aveva già tentato sia l’impresa arduissima di collegare Genova con Milano tramite un servizio di diligenze, postale e passeggeri, sia quella amatoriale; copiò l’idea che era stata messa in atto prima a New York e poi estesa positivamente a Parigi, Praga, Amsterdam - che nel 1841 costituì assieme ad Ignazio Venturini la prima impresa genovese di SERVIZIO TRASPORTO con traino a cavalli, da San Pier d’Arena (da questa piazza in particolare; poiché in quegli anni ancora non erano stati fissati i nomi delle strade, ed una zona veniva chiamata in funzione della maggiore rappresentatività locale, la piazza fu popolarmente battezzata “piazza Omnibus”) a Porta Pila ogni mezz’ora, per collegare -in coincidenza- l’arrivo dei suoi piroscafi dal Mediterraneo con la diligenza per Milano. Il ‘Corriere Mercantile’ del 4 luglio e l’ “Espero” del 10 luglio annunciano la prima corsa iniziante dal nostro borgo “a ponente della casa Pittaluga”, del servizio che verrà chiamato Omnibus (cioè “a tutti, per tutti”).
La costruzione della ferrovia Torino Genova, inaugurata domenica 18 dic.1853, da san Benigno al torrente spezzò la serie di lunghi parchi privati, tagliandoli trasversalmente a metà (evidentemente in contemporanea perdette di valore tutta la proprietà di terreno a mare del viadotto, limitando così le ville al giardino circostante); l’apertura della strada affiancata la ferrovia (via Vittorio Emanuele, oggi G. Buranello) favorì l’utilizzo degli slarghi -iniziale e finale- come piazza, (inizialmente percorsa solo dai pedoni, rari cavalli a sella o carrozze private e carretti di lavoro, con traffico non legato a particolari regole se non l’intraprendenza, la frusta o il censo).
foto di fine 1800 – piazza Omnibus
Via Vittorio EMANUELE II – fu questo il primo titolo ufficiale, che assunse la piazza non ancora riconoscita come tale ma come tratto della lunga strada; per questo forse in contemporanea, popolarmente, rimaneva ‘piazza Omnibus’.
Solo dopo il 1870, si provvide a creare miglioria di questa prima rete, con vetture trainate da uno o due cavalli e sempre senza eculissi.
In accordo con la Giunta comunale locale (e genovese, retta dal barone Andrea Podestà, quello che nel 1873 annetterà i primi sei comuni viciniori), il nuovo servizio fu affidato ed inaugurato nel mar.1873 dalla “società LIGURE di TRASPORTI” finanziata con capitale belga/francese; la piazza Vittorio Veneto, già più ben strutturata, fu scelta come cambio delle pariglie e capolinea per le vetture provenienti ogni 5 minuti da porta Pila. Il folklore dell’arrivo e partenza assunse via via tinte sempre più forti, da semplice curiosità a viaggi pratici e di affari, cosicché la piazza divenne centro di attività e di incontro, di intenditori di cavalli (balzani, forti, matti o solo vivaci; gli zoccoli, le orecchie, i garretti, il dorso, il pelo, i finimenti, ecc), di rivenditori di ogni genere, curiosi, viaggiatori (all’inizio, non più di otto per vettura), trasbordati in attesa di una ‘coincidenza’.
In quegli anni di più grande fervore e rinnovamento sociale industriale ed edilizio, e con una incalzante espansione demografica, il nuovo servizio fu accolto favorevolmente anche perché finalmente tolto agli abusi dei singoli trasporti privati (ovvio il frequente litigio nelle strette e polverose vie cittadine dei mezzi privati delle classi sociali più abbienti che dovevano ‘segnare il passo’ dietro ai lenti carrozzoni dei mezzi pubblici. In un secondo tempo questi ultimi proseguirono per Voltri o Bolzaneto, ma non arrivarono ancora a Pontedecimo; i cavalli , erano bardati con lussuosi finimenti, adorni di cimieri e sonagliere; le vetture arricchite di bandierine e fronzoli erano sia di tipo aperto sui lati, o chiuse; queste ultime avevano 12 posti a sedere nell’interno, ed altri 10 sul terrazzo; provenivano da Genova raggirando san Benigno dalla nuova porta della Lanterna -costruita nel 1828 su disegno del gen.A.Chiodo ,e proseguendo per via Vittorio Emanuele.
Il 10 mar. 1878 (sulla base di precedente proposta del francese Adolfo Otlet al sindaco genovese Ellena), avvenne il viaggio inaugurale degli omnibus le cui vetture – erano sempre trainate da due-tre cavalli - ma su guide d’acciaio a rotaia, per evitare le irregolarità del terreno. Il nuovo servizio era gestito dalla “COMPAGNIA GENERALE FRANCESE di Tramways” (Otlet aveva stipulato un contratto con il Sindaco genovese Negrotto Cambiaso il 13 gennaio 1877); fu chiamato ufficialmente ‘dei tramway’, o popolarmente “e rebellea” o spregiativamente “treggia” o “tranvaietti”, a scartamento ridotto causa la ristrettezza delle vie, guidati da conduttore in divisa: camiciotto blu e foulard al collo rosso, bardatura dei cavalli nera per ‘fuori mura’, bianca entro le mura.
Rapidissimi – in pochi mesi- da Genova si scavò un apposito tunnel di 256 metri sotto san Benigno, sopra le linee ferroviarie, che sbucasse in Largo Lanterna a cui le vetture arrivavano attraversando un ponte –dapprima in legno e ferro, poi ricoperto- posto sopra un fosso difensivo, affiancato da un posto di guardia e dal casotto per gli agenti del dazio) e mettendo in atto le rotaie, nel ponente sino a Bolzaneto e Pegli.
La convivenza tra i due servizi finì con la sconfitta della ‘Ligure’ che cedette (per 360mila lire di cui 132 in contanti ed il resto in obbligazioni) lo stabilimento della Coscia, 199 cavalli, una giovane mula, 32 vetture chiuse, 13 giardiniere ed un carro funebre.
Nel ponente cittadino, l’impianto a trazione elettrica su nuovo scartamento (portato a un metro, con sostituzione delle rotaie) avvenne nel genn.1900 da parte dell’ UITE (Unione Italiana Tramways Elettrici, nata nel settembre 1895) che aveva preso in carico monopolistico il servizio. Il personale venne riassunto o si adattò a condurre vetture per servizi vari; i cavalli vennero trasferiti in porto per il traino dei vagoni ferroviari (il tutto non senza rimpianti e ribellioni : un certo Grimaldi, per dimostrare che i cavalli erano meglio dei tram, dopo un’ampia bevuta si lanciò a corsa sfrenata per le vie cittadine seminando panico e confusione, finché ribaltatosi perdette la vita nell’incidente. Fu il canto del cigno).
Nell’anno 1893 il viadotto ferroviario che collegava piazza Omnibus a via N.Bixio, fu allargato alle dimensioni attuali. La piazza, portava sempre il nome del sovrano, come tutta la strada dalla Lanterna a Rivarolo.
Nell’intenzione delle giunte municipali gerenti dopo il 1900, la piazza doveva abbellirsi modificando strutturalmente le vie di arrivo e deflusso, decorare il sottopasso ferroviario secondo i disegni dei Coppedè; e doveva ospitare un monumento ai caduti, di grosse proporzioni (il progetto approvato e finanziato dalla Giunta sampierdarenese , non fu messo in atto dalla Giunta genovese dopo l’assorbimento nella Grande Genova, probabilmente per distrazione della somma ad altre opere, lasciando in memoria di chi aveva dato la vita in guerra, il misero e squallido cippo posto nei giardini Pavanello). La piazza, limitata a lato mare da -per allora- lussuosi e decorosi palazzi con spaziosi e belli negozi alla base, divenne così il nuovo cuore della città, sede di comizi e raduni politici; luogo di appuntamento per le compere (negozi delle Venchi Unica, l’ombrellaio Motta, oreficeria) e serale per teatri (Excelsior, Splendor, Politeama , ed i vicini Modena, e Mameli); e centro -nei vari bar- di riunione di tutti gli appassionati di competizioni sportive (con accese rivalità tra i frequentatori dei vari bar-caffè diventati famosi).
Piazza Francesco FERRER (vedi) Solo nel 1909-10, alla piazza fu dato un altro nome ufficiale, dello spagnolo morto l’anno prima. Da questa titolazione è chiaro il colore politico della Giunta comunale locale; quando al governo centrale c’era il re, qui a SPd’Arena invece, a fianco dei tradizionali repubblicani crescevano i socialisti ancora commisti ai radicali (questi ultimi autori della scelta del nome, in buona parte massoni e quindi in barba ai Savoia, alla religione ed alla sospirata repubblica).
piazza Ferrer
Piazza VITTORIO VENETO. Dopo la grande guerra del 1915-1918, il nome titolare fu sostituito con la località veneta, simbolo di tutti i luoghi di battaglia e d sofferta vittoria; e tale è rimasto sino ad oggi immutato.
Ma ancora nel Pagano/1921 certi esercizi sono indifferentemente in v.VEman. e p.Ferrer.
Negli anni 1915-40 era diventato il “salotto” di San Pier d’Arena o -meglio- il “centro”; possedervi un negozio era sinonimo di punto di riferimento preciso per tutti, e di essi, qualcuno è aperto ancora oggi.
Dopo l’unificazione nella Grande Genova del 1926, uno degli impegni dell’amministrazione subentrante, fu quello di investire nelle delegazioni assorbite quanto di meglio era in atto di programmazione del Comune autonomo: come sempre in politica, le promesse del singolo decadono di fronte agli interessi del centro: per San Pier d’Arena, problema primario era la viabilità, estensibile a tutto il ponente, ed il progetto era del 1925.
Quando fu creata la Grande Genova, il nuovo comune si trovò a scegliere tra varie delegazioni a chi lasciare la titolazione della città veneta: se la contendevano Bolzaneto, Voltri, Borzoli, Pegli, Rivarolo, Sestri e noi. Rimase da noi definitivamente.
Negli anni 1930, prima quindi dell’ultima guerra, per aderire ad un migliore arredo, la piazza fu divisa longitudinalmente da un filare di platani, che delimitavano la zona pedonale da quella viaria; sotto questi alberi, vicino alla fermata del tram, iniziò il servizio taxi. Le piante furono fatte tagliare negli anni ‘42-’45 dal comando tedesco, installato nell’albergo Centro, per ragioni di loro sicurezza .
Nel 1933, la piazza era classificata di 1.a categoria, e sempre collegava via V.Emanuele (v.Buranello) con via Cavour (v.Dondero) e via N.Barabino (S.Canzio). In quell’anno fu ripreso il problema viabilità, ma delle tre arterie previste, dopo altri 4 anni se ne realizzò solo una parte; in particolare nella zona del Canto, una delibera comunale dell’ott.1934 accettò il progetto studiato dall’ing. Carlo Montano e presentato dalla “società Ligure Immobiliare San Pier d’Arena” divenuta proprietaria dell’area dell’ex-stabilimento Carpaneto ed intenzionata a sfruttare l’intera zona ad uso edilizio di pregio (erezione di fabbricati eleganti, muniti di portici e capaci di dare un aspetto degno al centro cittadino); accompagnava la proposta anche un ampio intervento di miglioramento della viabilità che venne ceduta al Comune già spianata e dotata di marciapiedi con bordi di arenaria. Iniziò a realizzarsi un anno dopo, con la creazione dell’attuale zona attorno a via F.Avio.
Nell’operazione si realizzò da parte del Comune sia l’esproprio (dopo un contenzioso con i proprietari, per nulla contenti essendo la zona centrale e comoda; fu raggiunto un generoso accordo dopo svariate riunioni e sopralluoghi) che l’abbattimento del “palazzo dell’orologio (palasso dö relêuio)” posto al limite occidentale della piazza, ove ora ci sono alcuni alberi d’alto fusto, e del palazzo retrostante (l’ampia facciata del primo, alto 5 piani, faceva da riferimento a chi proveniva da levante chiudendo la visuale ed offrendo sulla torretta in alto un orologio indicante l’ora ai molti che non ne possedevano; al secondo piano troneggiava l’insegna del dentista Zunino, primo di una generazione di identici professionisti; nei negozi alla base aveva la primitiva sede la Farmacia Pizzorni, poi divenuta Operaia -ora in via Molteni). Così la piazza Vittorio Veneto si allungò a ponente (divenendo da 4950 mq a 7220 mq), inglobando quella che - dietro al palazzo - era piazza Tubino (che scomparve dalla toponomastica cittadina, e con lei la trattoria Primavera di Viani Ottavia ed il Politeama Sampierdarenese (vedi piazza Tubino) inaugurato nel 1887, ricostruito ex-novo nel 1913, e che poi divenne il cinema omonimo, gestito negli anni 60 da Ida Giacobbe. Nel 1973 riaprì i battenti dopo completa revisione e vari intoppi burocratici, offrendo più di 500 posti).
Anche l’UITE ne approfittò per doppiare i binari per il servizio verso ponente e per eliminare l’incomoda manovra di dover mandare le vetture provenienti da ponente sino a Barabino per invertire marcia e recarsi in val Polcevera . Fu pavimentata con masselli di granito; fu arricchita (sino alla foce del Polcevera) di una deviazione verso il mare della rete idrica di spurgo, che prima scaricava solo in quella che proseguiva in via S.Canzio. Tutti i lavori vennero eseguiti sotto il controllo del direttore della divisione strade, ing. G.Luigi Connio.
Nel dopoguerra, in epoca definibile ‘Salatti’ dal nome del sindaco, la piazza fu scelta come sede dell’albero natalizio del Comune; spesso proveniente dalla val d’Aveto e trasportato con grosso articolato (mentre quello eretto in piazza DeFerrari a Genova il Gazzettino scrive nel 2002 che è da dieci anni che proviene dalla val di Fiemme, quale segno di amicizia). Probabilmente la spesa comportata, fece ridurre gradatamente sia la grandezza sia la bellezza della pianta, sino alla totale eliminazione.
La piazza fu scelta negli anni 1970-90 per issarvi un abete nel periodo natalizio: questa cerimonia fu protratta per molti anni fino a raggiungere dimensioni dell’albero sempre più striminzite (per ragioni economiche e di trasporto) ed infine fino alla eliminazione del progetto.
Nel 1996, al centro fu installato un alto lampione, che dai suoi 30 m illumina tutta la piazza con lampade ai vapori di sodio della potenza di 4800 watt.
Nell’autunno-inverno 2008 la piazza è soggetta a completa ristrutturazione, prevedendosi una rotonda alla francese (per smistare l’intenso traffico: ma pare che non funzioni), marciapiedi nuovi, pavimentazione, ecc.; infatti, completata a fine 2008 è stata oggetto di numerosi interventi ‘contro’ causa il caos da imbuto: rallentamenti, code, congestione e smog, in via Buranello e via Avio-Molteni
CIVICI
2007= NERI = da 2 a 12
ROSSI = da 1r a 41r (compreso 1Ar) sono sotto il viadotto, in “nicchie” di prorpietà delle FFSS (gestita nell’anno 2010 dalla spa Metropolis).
da 2r a 96r (mancano 80r, 82r).
1=lato mare
BAR: dal lato mare: il caffé Roma ( civ.26r. Nel 1908 ancora localizzato in via Vittorio Emanuele, fu di proprietà Adriano Frassinetti, nei locali del primo ex-cinema Splendor. Nel 1911 fu decorato ‘in corretto stile floreale’ dal pittore locale GB Derchi). Divenuto proprietà Trevisan Serafino nel 1925, nel 1933 fu sede dell’ “associazione calcio Sampierdarenese” gestita dal commissario straordinario on. Cinzio Storace divenendo così “covo” di sportivi locali (tra i cui frequentatori abituali viene ricordato Colantuoni della Sampdoria). Nel 1950 era ‘caffé Roma di Paleari S.’.
Il caffé Excelsior, (civ.34-36. Affiancato al cinema; era del cav Curti. Nel 1950 era soc.an.Excelsior.).
Il caffé Elvetico (civ. 52-54r; presente già da prima ancora del 1889, fu fondato da una società svizzera; nel 1908-12 locato in via Vittorio Emanuele 29 era caffè ed offelleria gestito da Muller e C.; nel 19-25 era di Fossati Benedetto (Petrucci spiega che offelê-offelliere –termini arcaici (dal latino offa focaccia di farro, ed offella pasta dolce) sia genovese che italiano: erano il pastaio che fabbricava dolciumi di pasta secca e dolce, come gli amaretti). Seduti su poltrone di velluto rosso, si mangiava il gelato mantecato e si godeva il passeggio essendo in angolo del palazzo collegato con via Carzino (allora via N.Barabino tramite i locali dove ora è un negozio di radio e luci). Durante la guerra e fino ben oltre il 1950 venne gestito da Irmo Tortonese (uno dei tre, assieme a Vittorio dell’albergo Centro e Pietro come aiutante.tuttofare sia in albergo che bar. Assieme misero in piedi uno dei primi servizi taxi esistente in città -pubblico e privato-, con auto come la Balilla, le prime Lancia ed OM, e con garage in via Leon Pancaldo). Recentemente era stato chiamato “gran bar Veneto”, poi ‘City Clubs’. Oggi 2002 si chiama ‘Trittico bar’. Questa carambola di nomi, significa solo inutile presunzione e poca stima per la tradizione).
Il caffè Italia (al 74.76r. Così era nel 1950).
2=Sotto i fornici della ferrovia,
nel 2010 –dopo il tunnel di via Carzino - il civ. 1r cè una edicola di giornalaio, attualmente chiusa; segue una vetrina senza numero attualmente di Pittaluga, tende e piumini; al civ.3r con due fornici, dei quali uno senza numero, il trattoria-pizzeria-ristorante La Marinella; civ. 5r un negozio di abiti femminile Lynesi; civ. 9r macellaio Oreste; civ. 11r intestato a ‘La carica’, appare chiuso; civ. 13r formaggiaio “Vittoria”; civ 15r Tabacchino; 17r bar Splendor (antico bar Bertola; nel 1919 era dei ‘f.lli Bertola’; nel 1925 era anche liquoreria dei f.lli, e caffè di Bertola Giovanni, al civ. 223r di pza F.Ferrer, tel.41-932; fu poi di Gallia Francesco. Negli anni 1950 divenne bar Splendor di Ottonello Silvio. Fu uno dei primi ad occupare i fornici sotto il trenodotto quello dove poi si aprì il caffè Bertola, oggi Splendor); - tunnel per box exSplendor - 21-23r solo vetrine di Genova immobiliare; 25r pasticceria Rebora; 27r caffé Dream (nel 1950 era caffè Beccaria; nel 2010 è diventato ‘I tre shakerati’); - tunnel di via U.Rela – 29-31r libreria Frilli; 33r bar ‘la Piazza’ (antico bar Margherita; fu di Squillari, e dopo ancora di un Bruno; poi Crona N. (nel 1950, un tipo facilmente irritabile con figlia gibbosa); 35r ricambi elettrodomestici; 37r coltelleria e casalinghi Dossi; 39r Tardito orologiaio (nel 1950 c’era il bar di Montanari Renzo); 41r chiostro giornalaio.
Non localizzabile, negli anni 1911 e 12 in piazza Omnibus un ‘Caffè Cosmos’ di Piaggio Domenico.
Altri LOCALI COMMERCIALI (in ordine di data di rilevamento) degni di memoria furono negli anni attorno al 1890 Luigi Guiducci vi aprì la prima ‘agenzia giornalistica e libraria’; lo stesso nel 1893 iniziò la vendita di un settimanale (al sabato) titolato ‘il Sole nascente’ (dallo stemma locale del 1865) con intenti ‘alieni dai partititi estremi, ma sinceramente liberali’, e quindi il solo libero di ‘dire di tutto e di tutti l’intiera verità non essendo vincolato a persone o partiti’. Gli articoli erano raramente firmati. Dopo due anni di pubblicazione, al n° 40, il giornale si fuse con un altro e cessò la stampa. L’attuale coltellificio Dossi, nell’<Archivolto Ferrovia 7 di via V.Em. p. Omnibus>.
Nel 1908*° compare la ‘cappelleria Alessandrina’ di Pieragostini Alessandro (considerato che si scrive –Gazzettino 10/2002- che furono i Bagnara ad aprire il negozio qui, o è un refuso legato superficialmente alla stessa merce o il Pieragostini fu un portanome). I più vecchi ricordano il negozio di Alessandro Pieragostini, di cappelli e berretti, delle pagliette e dei panama a larga tesa, da molti chiamato genericamente ‘da Borsalino’; il dottor Borghi quando si levava il cappello, sottolineava sogghignando ‘è un borsalino’.
Nel Pagano 1919 (non ho i precedenti, dopo 1912) compare non specificato il civ., il cinematografo Splendor di S.Frugone;
Nel Pagano 1925 al 12-3 lavora il dentista Zunino GB;- 56r (“Palazzo dell’Orologio”, Parodi Giuseppe vende camicie, colli e cravatte; e il cinema Splendor. è in via Vittorio Eman., p.Vittorio Veneto, tel 41129; compare (non c’è nel P/1921) la libreria di Gaggiolo Mario.
Roncagliolo, uno ‘storico del Gazzettino’, ricordando quei tempi (1925-30) cita: il palazzo dell’orologio (maestoso, con torretta per l’orologio e la grossa targa ‘Zunino dentista’; sotto i negozi Cagnolaro orafo, ippo Sosso parrucchiere dei vip; Parodi valigeria). Sui marciapiedi a mare, in ordine: il bar Elvetico (dei f.lli Fossati dove le famigliole gustavano il matecato mentre invece i ‘fedeli’ aspettavano fino alla sera); l’albergo Centro gestito dai coniugi Frassinetti –Gemma ed Adriano- che dal poggiolo della veranda sbirciavano sotto il ristorante e lo chef Alberto); il negozio Serra (ferramenta, detto ‘dai prezzi fissi’: dove ora è il Banco di Roma); Noli (oreficeria); Bagnara (cappelleria); caffè Roma (prima sede; anch’esso con il capanno estivo e discussioni sportive); il vecchio cinema Splendor; Fenzi (biancheria); Durando bar; Venchi Unica (all’angolo con vico Catena); Rossi calzature; Motta, prima Rocco, poi le figlie, di pelletterie; Latteria ‘Buona fede’; le ‘Filippe’ (con vetrina zeppa di pasta così ben allineata da sembrare filigrana).
Di fronte, sotto la ferrovia, Barbano (bottoni, cravatte e distintivi); Camoi vendeva uova e polli; Ferrando formaggiaio; Cipollina sigaraio; Parodi pitture (in due generazioni ha pitturato mezza SpdA); caffè Cosma (ora Splendor); l’osteria Carolina (ora Beccaria); Gaggiolo con accanto i militiu della Croce d’Oro e le loro mano-lettighe; Salvatore bottiglieria; Pieragostini; Rolla; Montanari (con il bar, cocco d’estate e rostie d’inverno). Sotto i taxi (di Taricco, Polibio, Crosa, Baiardi e ‘primizia nazionale’i f.lli Riccò con servizio in sidecar. Passava il tram n.4 sempre affollatissimo, con l’asta dietro, da girare al capolinea. Caratteristici i soggetti del Gin (che predicava togliere le rotaie); Marietto (appena scorto nella Crosa dei Buoi, veniva segnalato con un fischio modulato che lo imbestialiva e lo faceva entrare in crisi isterica, con scongiuri, maledizioni, esorcismi ed imprecazioni); Gioanin (il cantoniere che con la mole di 140 kg ed il simpatico viso rubicondo ‘a bignè’ stava a discutere con Bacocco (fattorino della banca Popolare di SpdA, alto poco più di un metro); Padella (fissato con la sua cavalla, e terminava i suoi discorsi con una solenne gnaera); o carrettê di Robba, fiacre dei carri funebri dell’azienda (ubriaco tutte le sere, si sedeva sui gradini del bar Campodonico di piazza Modena –dove ora ‘la Botte’- e come litania ripeteva “Maria!; oh!; voglio morire!” (forse conscio del suo torto e che la moglie non gli avrebbe certo rimboccato le coperte. Allora la moglie Maria e la cognata Gildun –che vendeva noccioline e angurie, caratterizzata da un lungo scorsâ con due tasche ove infilava i soldi- lo andavano a prendere e tenendolo sotto le ascelle lo riportavano a casa); o Mürta (un clochard che girava scalzo, dormiva nei vagoni in stazione ed al mercato si prestava per portare ceste; un topo gli aveva rosicchiato un piede e quindi claudicava vistosamente); o Giggi era il cameriere del bar Roma (capelli tinti sempre neri, gipponetto nero con farfallina; aveva le orecchie a sventola per cui gli dicevano che sua madre aveva avuto un flirt con Clark Gable; una volta dopo servito un caffè ad uno che aveva richiesto un ristretto, ne bevve metà e rimise l’altra metà sul piattino presentandolo come ‘eccolo, adesso è ristretto’); Sciò Freguggia faceva il commesso ed aveva il vizio delle bugie troppo grosse, ma dette serio serio: un giorno raccontò che a militare fu chiamato dal generale a giocare a carte e come compagno gli toccò il re: all’ultima mano praticamente perdenti, si rivolse al compagno e gli grido ‘belin Vittorio, che carte mi giochi?’; un’altra era che richiamato nell’ufficio del direttore generale, si stufò essere redarguito e così dette un pugno sulla scrivania dicendo che lui era stufo e che la sapeva lunga… al ché il ditrettore generale gli si mise in ginocchio davanti pregandolo piangendo ‘non mi rovinare!’); Gimmi detto o Camera, si vantava aver portato addosso ben sette divise, da quella del fascio a quella del coloniale in Africa, da quella tedesca, all’ americana, o di vigile, o di pompiere, ecc.); o Merda inglese, era definito così perché indossava solo abiti inglesi, amava musica inglese, ecc.); buon ultimo o Carletto, il pesciaio Argieri, simpatico e scherzoso seppur ingenuo quando investendo i soldi nell’edilizia ebbe a perderne molti in attività fallite in conseguenza delle quali da abitare nell’attico in via Cantore sopra Quaglia, dovette trasferirsi prima in corso Magellano all’1 e poi in via Giovanetti).
Nel Costa/1928-29 l’albergo Centro, al civ.8. Rimangono una serie di esercizi commerciali come: la cristalleria, profumeria, copisteria, giocattoli di Benasso Dario all’ 1r; pelletterie di Motta Rocco all’8r; salumiere Ferrando Antonio al 13r; cartoleria Cipollina Carlo al 15r; negozio di biancheria di Fenzi Enrico al 22r; orologeria di Carlevaro Giuseppe al 23r; l’edicola di giornali Giaggiolo al civ.29, che vende anche giocattoli, e –come libreria ha pure un recapito in piazza Cavallotti 13; commestibili delle sorelle Rebora al 32r; liquori dei f.lli Bertola al 17r, e di Ferrero Antonio al 33r; maglieria di Parodi Giuseppe al 56r; la farmacia Pizzorni Giuseppe al 58r; l’arrotino f.lli Albertini al civ. 60; oreficeria e argenteria e gioiellerie di Cagnolaro Enrico al 66r e di Pavese Cristoforo (orologeria di propria fabbricazione) al 10. Non precisato il civ. di articoli casalinghi Lugani Carlo; il cinematografo di Frugone Stefano.
Nel Pagano/33 viene segnalato, nel palazzo dell’orologio, il negozio di floricoltore di Anageri Luigi e non specificato dove il pastificio di Rebora Paolo. Sono inoltre segnalati: l’hotel ristorante del Centro; 10r l’orefice Pavese Cristoforo; 35r negozio e fabbrica di cappelli di Pieragostini Alessandro (vedi già dall’anno 1908) ; al 37r il negozio di articoli tecnici dei rag. Rivali & Ratto; al 52r il caffè Elvetico; non specificato il caffè Roma di Paleari & C..
Nel Pagano/40 vene descritta: “da via II Fascio d’Italia alle vie Stef.Canzio e dell’Industria”. Con civici= senza numero: Politeama Sampierdarenese; edicola giornali di Bigatti Settimo; Civici neri: al 2 pt=Cassa di Risparmio di Ge.; 2/1 assic.Venezia e dentista Levrero; 4/1 dentLevrero; 4/2 Bisio Anita medico; 6/1 Banca Pop.Novara; 8 Ristorante e Albergo Centro; più altri privati e profess. Civici rossi dispari: 1r cromatura ‘Duran’; 3r genepesca di Giolfo e Calcagno; 7r polliv.; 9r macell.; 11r colori e vernici; 13r rosticc.;15 tabacch.; 17r bar Bertola f.lli Gallia; 19r Cinema Splendor; 23 calze; 25r commesti. Rebora; 27r caffè bottigl. della Posta; 29r ag.giornal. Mario Gaggiolo; 31r articoli casal. Perucca M.; 33 bar Margher. di Ferrero Ant.; 35r cappelleria Pieragostini A.; 37r arrotino coltell. Albertini; 39r bar BergiantiA.; pari: 2r gioiell.; 6r commestib.; 8r cappell.Motta; 10r tessuti; 12-14r calzoleria; 16r Dory profumi; 18-20r Unica soc.an.pastcc.; 22r camic.biancheria; 24 panif.; 26r caffé Roma di Paleari S.; 28r Cinema Excelsior soc.an.; 32r cravatt.bianch.; 36 soc.an.bar Excelsior; 38-40r Banco di Roma; 42-46r bar Centro; 48-50r macell.; 52-4 caffè Elvetico; 70-2 trattoruia Antonietti G.; 74-6 latteria.
Negli anni 1950 c’erano: al 2-4r l’orefice Gazzulino; al civ.16r la profumeria Dory; al civ.8 l’albergo Centro, di terza categoria e di proprietà ved.Frassinetti; al 15r il tabaccaio Caviglia M.; al 18r la Venchi Unica; due negozi di calze: 23r Quargnenti, ed al 48-50 la ‘Bottega della calza’; al 29r il giornalaio-libreria Gaggiolo M. (vedi 1925 e sotto ai civv; come libreria è anche in p.za L.Settembrini al 13r); civ.35r il cappellificio Tortarolo (che probabilmente rilevò dal Pieragostini che vendeva dal 1908); civ.42-44-46r il ristorante, gestito da Scarnera Franca; civv. 64.66.68r ‘all’Ombrello per tutti’; e non precisato dove Tortarolo Bice giornalaia, presumo il casottino vicino al sottopasso;
Nel 2003 a monte e verso ponente, ci sono, tutti rossi, dal civ. 1 (il giornalaio) una serie di attività commerciali (ristorante, moda, formaggiaio, ecc) fino al 17 il bar Splendor; voltino per sottopasso; 19.21 soc. immobiliare; 25 pasticceria Rebora; 27 coffee Dream di Elisa DiVendra; voltino per sottotasso di via U.Rela; 29 libreria la Bottega del Lettore (con appese fuori due antiche targhette reclamizzanti “il Secolo XIX ‘nuovo’ “ e “Milano sera”); 31 chiuso e vuoto (ex dischi; poi dal 2004 concesso a ‘Lo sportello del cittadino’ di iniziativa regionale; 33 bar La Piazza; 35 ricambi elettrodomestici; 37 coltelleria Dossi; 39 orologiaio Tardito; l’edicola di giornali, di Enrico Pennati; sottopasso ferroviario per piazza Montano.
invece a mare, verso ponente nel palazzo civ.2 calzature; vendita-affitto cassete TV; Sacks calzature; Crosa profumi – vico Catena – civ. 4, con 26 bar Roma – il 28r con ex Excelsior, ora ‘supersconto’ – civ. 6 con 30r il SecoloXIX; pub LongWay - v F.Noli – civ.8 con la Finanza e 38r Banco di Roma – civ. 10 con al 52.54r bar il Trittico – v.SCanzio – L’ombrello per tutti – civ. 12 con al 72r hotel Albergo Primavera.
Nel 2005 c’è un bar ‘La piazza’; vedere dove è.
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3= ESERCIZI COMMERCIALI in ordine di civico
===civ. 2: La grossa e pomposa costruzione, detta ‘Palazzo dei Balbi’, famiglia che comperò l’immobile agli inizi del 1900 direttamente dal marchese GioBatta Centurione proprietario dell’intera zona attorno alla villa, che a sua volta l’aveva fatta erigere (“…nella sua proprietà e retro al suo palazzo in Sampierdarena una nuova casa con facciata prospiciente sulla nuova strada…” dopo richiesta presentata al sindaco datata 24 maggio 1853: ne era testimonianza scritta su una targa di metallo, oggi scomparsa ma esistente ancora negli anni ‘30 (‘proprietà principe Centurione’), murata per terra davanti al portone che si apre in via del Monastero.
In vico della Catena, ove è il fianco di ponente del palazzo, nel 2010, un negozio porta scritto all’esterno essere stato “chiuso per ordinanza fallimentare su richiesta della ‘Fondazione Balbi’”.
Una leggenda popolare collegò l’acquisto del palazzo fatto da Balbi (che era un operaio, e che -mi è stato detto- lavorava come facchino alla stazione (un Balbi Francesco appare però gestore della trattoria della stazione negli anni 1911-12), con la scomparsa di una borsa contenente molto denaro denunciata qualche anno prima da delle suore di passaggio; e nella nemesi popolare ‘i soldi della chiesa tornano alla chiesa’ pare in effetti che gli attuali proprietari, senza eredi, abbiano l’intenzione di farne una donazione alla chiesa della Cella.
Decorato con severa eleganza, appare un tutt’uno fino a vico della Catena, con tre accessi separati: dal vicolo, dalla piazza VVeneto e da via del Monastero; il portone principale sulla piazza è lavorato in ferro battuto, con soggetto i fiori di girasole di stile tardo liberty. Appare lavoro di alto pregio e qualità.
De Landolina/1923 lo chiama ‘palazzo rosso’ citando che al piano terreno in quegli anni c’era la Banca Popolare di Sampierdarena (tel.41-064) fondata il 29 maggio 1876, era molto attiva negli anni a cavallo del secolo (vedi nei Pagano). Negli anni 1885-1914 uno dei maggiori azionisti fu la famiglia Gambaro Giuseppe (e figli) importatore e commerciante di cereali ed industriale tessile. Viene inclusa nelle ‘modeste banche popolari e di cooperative’, avendo nel 1886 un capitale di L.50mila (elevato a L.100mila nel 1887, e 250mila nel 1889; a confronto con i 4-5milioni di £. delle maggiori concorrenti. Con un basso (4-5%) incremento annuo dei risparmi contro il 15-20% delle banche italiane, negli anni 1906-9).
Ancora nel 1909 era in via Vitt. Emanuele al civ. 58, telef. 456; ove aveva anche funzione di esattoria delle imposte dirette. Si presume che il civ. 58 era il vecchio civico del ‘palazzo rosso’ perché la esattoria in quell’anno era aperta sul fianco del palazzo, in vico Mentana 16 e con identico numero telefonico della banca). Il quell’anno, già aveva agenzie a SestriP ed a Bolzaneto. Venne inglobata dalla Cassa di Risparmio di Genova (altri scrivono dal Banco di Novara) quando la nostra città -1926- fu inglobata nella Grande Genova; in quegli anni era figura caratteristica locale era un fattorino, perché nano (alto non oltre il metro) dal nome Bacocco. Nel genn/2010 è tornata alla memoria perché due eredi hanno scoperto un versamento di cento lire fatto nel 1907 in un libretto di risparmio da una loro ava contessa; vissuta sino al 1984 all’età di 103 anni; e –calcolati gli interessi allora promessi del 3,5% - attualmente sommano a quasi 370mila euro.
===civ. 16r la profumeria Dory, presente nel dopoguerra fino ancora negli anni ‘60. Era negozio gestito dalla sorella di Mario Sbarbori (un profumiere che lavorava in via Scurreria - morto 1985; negozio ed officina artigianale, in tre piani del palazzo; definito il ‘naso d’oro’ o comunque uno dei migliori in campo internazionale capace più di tutti a selezionare gli odori di numerose essenze, per trarne diversi profumi, sino ai più rari: per esempio si ricorda il profumo ‘mitsouko’ la cui formula complicata era conservata a Parigi -in ricetta spezzata- in tre cassaforti diverse, onde evitare furti, e che lui riprodusse nel suo retrobottega ‘a naso’, ricevendone un particolare riconoscimento).
===18r In questo locale entrò a commerciare pasticceria, anche la Venchi Unica, cioccolatai, negli anni 1970. Il marchio era Unione Nazionale Industria Commercio Alimentari, soc. an. Con sede madre a Torino, locale a Genova e numerosi negozi vendita nelle delegazioni. Famosi erano i pupazzetti e bamboline di pelùche – i primi in commercio – entro i quali porre i cioccolatini da regalare
===civ.4.
===civ. 6: il palazzo, detto Noli dal primitivo proprietario (presente nei Pagano, da/02 a quello /1925, potrebbe essere il Noli Angelo, orefice), fu rimodernato nel 1921 in occasione dell’apertura-inaugurazione (il 2 dic.dello stesso anno, con incasso devoluto a beneficio dell’ospedale) del cinema teatro varietà Excelsior:
Quando ormai si stava smorzando lo stile liberty, l’architetto ferrarese Venceslao Borzani, nel 1921 propose nella nostra città, l’applicazione dello stile che venne definitio “post-liberty”, o “precursore del modernismo” (un professionista, nato nel 1873, venuto a Genova per diplomarsi architetto alla scuola genovese di Camillo Boito, divenne uno tra i più significativi in merito al Liberty ed all’“art nouveau”. In un particolare momento storico locale, determinato dall’espansione economica della nuova borghesia –industriale e imprenditoriale, comunque alla ricerca di autoincensazione, anche cimiteriale- il giovanissimo artista nel 1902 (con un anno di anticipo rispetto l’esposizione di Arti Decorative di Torino che ne consacrò lo stile), seppe proporre all’attenzione generale e con creatività propria quello che in Europa stava nascendo in maniera slegata (linearismo in Belgio, florealismo in Francia, ‘jugenstil’ austriaco): un’arte allora provocatoria, specie a Genova tipicamente conservatrice e refrattaria alle novità.
Ispirato al suo stile, il palazzo in via NDaste che ha i portoni in via D.Chiesa e Palazzo della Fortezza; Una morte precoce, a 53 anni, spense il genio di questo talentuoso artista il 30 nov.1926, riconosciuto precursore e cultore del Liberty ed anticipatore dell’architettiura moderna).
La raffinata decorazione esterna rimane eguale tutt’oggi, con piccole modifiche rispetto i progetti originari (sostanzialmente mantenuti i pilastri con mascheroni, grotteschi e figure femminili decorative poste sedute nell’atto di sorreggere delle ghirlande di fiori -che ora sono scomparse , come anche l’insegna del teatro-).
Aveva due ingressi (uno per il loggione ed uno per le poltrone: ovvero uno dalla piazza ed uno da vico della Catena)); internamente era ricco di stucchi, plastici, vetrate, luminarie, allegorie in piccole proporzioni al sommo del palcoscenico dove invece le statue ai fianchi erano in grandezza naturale; il soffitto a cassettoni era decorato con pitture raffiguranti l’arte, ed ai quattro lati i ritratti di altrettanto insigni maestri (opera del pittore romano Calcagnadoro); la balconata tutta in giro era in ferro battuto.
Il tutto è andato perduto; forse solo nella sala da biliardo del vicino bar Roma, esistono ancora dei protomi femminili .
Positivamente fu definito un “piccolo gioiello”; da altri “la bomboniera”; ed anche “il pigheuggin”. In negativo altri ancora commentavano che tanta arte in così piccolo posto finiva per renderlo pesante e farraginoso (definita “superfetazione plastica”): ma i tempi allora preferivano così.
Anteguerra fu gestito dal cav. Curti (che aveva fatto fortuna in America), ospitando ancora varietà, operette, cinema). Con la guerra iniziò il degrado, venendo preferito il soprannome “il pidocchietto”. Sino al degrado dell’uso delle “luci rosse” necessarie per sopravvivere. Ultima, architettonicamente sconvolgente, la trasformazione in un supermarket con la scomparsa definitiva della maggior parte delle strutture interne. I vecchi ricordano l’epoca dei films: con prezzo ridotto, se ne vedevano di seconda visione ma adatti a ragazzi, la serie di ‘Maciste’; i western cosiddetti ‘cavalli e pu-a’; oppure due film al prezzo di uno.
Nel 1982 il Consiglio di circoscrizione bocciò il progetto di trasformazione del locale in un supermercato ma... negli anni 90, il supermercato aveva addirittura coperto con vistoso cartello queste decorazioni; ora fortunatamente è stato rimosso. L’interno è totalmente distrutto, appiattito, senza decorazioni.
All’int.2 è ospitata una casa di risposo per anziani che prima si chiamava ‘casa Massima’ ed ora ‘Mic.Cos –casa Carlotta’
===civ.8: rendeva importante la piazza, l’unico allora bell’albergo cittadino chiamato “Centro” ( affiancato dal ristorante omonimo che gestito per anni da Vittorio Tortonese, rimase aperto sino al 1976 quando nei locali vi subentrò il banco di Roma). L’albergo, inaugurato nel 1844 , era tra i più noti e frequentati ristoranti locali , di alta qualità; tra gli ospiti delle industrie, letterati, politici, attori e sportivi come i calciatori delle squadre del massimo campionato ; vengono ricordati D’Annunzio, Giolitti, Agnelli, Valletta, le sorelle Grammatica, DePrà, Callegari, Levratto). Rimase semidistrutto durante l’ultimo conflitto perché sequestrato ed utilizzato dai tedeschi qui accasermati con un comando di zona (viene riferito che nell’ambito genovese furono gli ultimi ad arrendersi (26 apr.1945) perché i meno persuasi di doverlo fare: per questo gli alti graduati morirono suicidi prima della consegna delle armi) ; sostituiti dopo la loro resa dal comando della brigata partigiana Pio (una delle 5 brigate facenti parte della divis. Mingo), comandata da Alessio Franzone ‘Arrigo’, in attività bellica posta a controllo del territorio di Molini di Voltaggio ed il 25 aprile dislocata a Sampierdarena . Di proprietà privata, nel 1908 –ancora in via V.Emanuele 28- era di Podestà Rosa ved. Fava; nel 1919-33, era “hotel prim’ordine,Adriano Frassinetti” (quando la piazza era dedicata a F.Ferrer, tel. 33.37, poi 41-004); nel 1935 di Adriano e Gemma Frassinetti. Nel periodo bellico fu occupato dalle forze armate tedesche. Nel 1950 appare di terza categoria e di proprietà della vedova Frassinetti. Dopo questi eventi fu ripristinato , risultando però sempre nel 1961 di terza categoria. Negli anni 1991-2, fu ristrutturato completamente sia in facciata che internamente dall’impresa G.Pagano, diretta dal geom. Somaglia, per essere affittato alla Guardia di Finanza, gruppo investigativo contro la criminalità organizzata.
Sulla facciata del palazzo è stata opportunamente conservata la scritta in rilievo del nome.
===civ. 17r Si aprì, prima fra tutti, l’attività di maniscalco di Ferrando Vincenzo, detto ‘il balla’; uno dei tanti che trattavano, soprattutto ferravano i cavalli, allora unico metodo di locomozione veloce (ce ne erano ovunque: più ricordati in piazza Tubino, via Garibaldi=Pacinotti-, via Solferino). Il punto era strategico per il passaggio continuo dei carichi dal porto al ponente ed al nord, nonché dei primi tram omnibus. Dovette traslocare in piazza Cavallotti (oggi Settembrini). Gli succedette nell’attività il figlio Natale che negli anni trenta dovette –prima di cedere all’incalzante avvento del motore- tentare di riunire tutti i ‘calzolai dei cavalli’ in cooperativa (scelsero come sede via SanPierd’Arena, presso la ‘corte di san Giovanni Battista’; presidente Celestino Civani, e soci sia i suoi fratelli Emilio e LuigiAgostino, anche i fratelli Guarnieri Armando e Luigi e Natale Ferrando).
===Dopo il civ.17r del bar Splendor, c’è un voltino che portava al teatro Splendor che si aqpriva in via Orsolino Ne furono aperti due: 1) il più vecchio, inaugurato nei primi anni del 1900 da Stefano Frugone, sul lato a mare della piazza, dove ora è il bar Roma, con una entrata anche da vico della Catena; ospitò spettacoli d’arte varia e poi anche cinema (all’epoca erano famosi attori Alberto Collo, Bartolomeo Pagano detto Maciste, Marta Abba, Maria Iacobini, ed un certo Saetta), lavorando a pieno ritmo sino al dopoguerra (tra gli anni 20 e la guerra, San Pier d’Arena era il vero centro del cinema : nei giorni festivi vi arrivava gente da tutte le delegazioni vicine proiettandosi i migliori film sulla piazza. Questo rendeva orgogliosi i sampierdarenesi, per aver saputo raggiungere mete di cultura, sportive, ricreative ed artistiche che potevano far concorrenza con Genova matrigna; da questo spirito viene il famoso detto locale
”gh’emmu tutto, cumme a Zena” . Nel 1945 aveva ancora in cartellone una stagione operistica).
2) Lo stesso proprietario, il 24 ott.1921 abbandonò quella sede ed inaugurò sul lato opposto a monte della piazza, con ingresso in via del Prato (via A.Orsolino) tramite sottopasso ferroviario, il “cinema-teatro-Nuovo Splendor”. Ben illuminato, vasto, ampia galleria con ringhiera in muratura, decorato a fogliame in stucco bianco; nel vestibolo un dipinto di una figura muliebre radiosa, raffigurante la luce che fuga l’oscurantismo personificato da due maschi proni, opera di Antonio M.Canepa, giovane pittore locale (una locandina del 1923 segnala: “lunedì e martedì 4 e 5 giugno, 6ª ed ultima serie de I MISTERI DI PARIGI; mercoledì e giovedi 6 e 7 giugno LA DONNA DELLA MONTAGNA dramma a fortissime tinte, protagonista la celebre –attrice Pearl White…” e concludeva: “ad ogni rappresentazione seguirà un attraente SPETTACOLO DI VARIETA’ “). Nel 1935 ospitò anche Renato Rascel , detto il piccoletto , allora “piccolo” attore d’avanspettacolo : fu ben accetto, e questa sede gli portò la fortuna di un continuo ‘crescendo’ professionale. Nel dopoguerra fece praticamente solo cinematografo, resistendo alla fine il più possibile alle proiezioni di spettacoli a “luci rosse”, finché, approvato dal 1986, negli anni attorno al 1990 fu svuotato e riedificato per ospitare box per auto.
===civ. 29r : la agenzia giornalistica Gaggiolo Mario che (forse rilevando quella precedente di Luigi Guiducci descritta sopra) dalla fine del 1800 (sul Pagano il nome compare dopo il 1921) distribuiva giornali ed era sia libreria che rappresentante di case editoriali. Aperta anche sul retro in piazza F.Cavallotti è stata poi gestita fino ad oggi da tre generazioni di Gaggiolo). Ultimo, Mario, nel 1995 abbandonò l’agenzia giornalistica e nel 1998 la chiamò -come attualmente- libreria ‘la Bottega del lettore’ ma trovò difficoltà per la contemporanea apertura di una grossa libreria alla Fiumara; allora –pur lavorando nella sala- cedette l’attività ad un altro imprenditore, che però abbandonò l’impresa nel marzo 2004. In questa data ambedue i soci lasciarono i locali (Mario facendo il giornalaio dapprima in piazza Verdi a Ge e poi a Sestri) cedendola ad uno dei fratelli Frilli editori, che vi risiedono ancora nel 2008.
Subentrando, andò a sostituire un fornice dell’ antica e primitiva sede della Croce d’Oro (la quale utilizzava il locale quale dormitorio dei volontari, e quello a ponente quale ambulatorio; quest’ultimo era nato per primo, quale sede secondaria e solo diurna della Pubblica Assistenza e quando la sede centrale era in via C.Colombo ove il servizio durava tutta la notte. Erano tempi di ‘trazione a braccia’ delle barelle (una delle quali aveva le ruote compatibili con le eculissi del tram per evitare le scosse quando il servizio era in zone coperte da quella rete: ovvio il campanello da bici, su un bracciolo). Permangono dietro gli scaffali dei libri, le pareti piastrellate bianche tipiche degli ambienti sanitari (a sua volta su esse cola abbondante l’acqua piovana filtrata dall’alto e che si riversa in buona parte sull’impiantito prima di scomparire, in parte riassorbita in parte tolta)
===civ. 39r (per le FFSS ‘nicchia 39r’) dove ora (2011) l’orologiaio Carlo Tardito, negli anni dopo guerra ed ancor rivestito con piastrelle colorate.
Nel minuscolo locale, ci lavorava un rivenditore di bibite e di cocco fresco, tamarindo, gazzose –quelle con la biglia-, anice e limoni da spremere; e caldarroste d’inverno. Un antesignano dei break-fast di oggi.
; la valigeria ‘ditta Giuseppe Parodi fu D’, sino alla demolizione ospitata nel palazzo dell’orologio.
Lavorano ancora l’antico arrotino Dossi subentrato al suocero Albertini Guido (che negli anni 1930 –coltellinaio e articoli casalinghi- era in via N.Barbino (via S.Canzio) al civ.14a), famoso per tutte le pentole e le lame, compresi i rasoi da barba, un tempo unico metodo per radersi e da affilare su apposita striscia di cuoio; ---il negozio d’angolo con via S.Canzio ‘l’ombrello per tutti’, negli anni 1960 di proprietà Rossi E..
===Al 18r c’era il negozio della soc.an. Venchi Unica (nel 1933 già presente a Ge. come soc.an. Venchi S&C; poi unito alla sigla dell’Unione naz.ind.comm.alim), con la golosa cioccolata messa in evidenza assieme a bambolotti di tessuto Lenci.
===civ. 14 fu demolito nel 1969 ; nel 1972 fu assegnato il civ.78rosso a nuova costruzione eretta dove era il 14***
===civ. 30r dagli anni 1950 è sede di un ufficio pubblicità de Il Secolo XIX.
==== Impossibile ed un po’ sterile elencare i nomi dei cento e cento negozi che in un secolo hanno abbellito la piazza; ogni generazione ha nostalgia dei suoi tempi che giudica giustamente irripetibili.
===civ. 42r era il ‘ristorante Centro’ di negli anni ’70, proprietà Franca Scarnera (che sostituiva Tortonese Vittorio).
===civ. 72r l’albergo Trattoria Primavera, negli anni ’70 di Antoniotti Bianco; e in quelli ’90 ‘albergo ristorante’ di Antoniotti & Icardi sdf
_______________________________________________________________
==== La parte ovest della piazza è delimitata da una piazzetta adibita a posteggi auto, con alberi d’alto fusto a contorno; e dalla facciata a levante del palazzo anche liui detto ‘DeFranchi’ che si apre sia in via Dondero che in via Avio, eretto negli anni 1920 circa
=== Il centro piazza, nel 2009 è stato occupato da una ‘rotonda’ che dovrebbe snellire il traffico eliminando semafori e vigili. Era stata arricchita di numerose piantine di rosmarino con altre a cespuglio; molte hanno attechito, altre no; ma la non manutenzione ha determinato in breve essere ricettacolo di cicche (buttate nell’attesa del transito!), pacchetti di sigarette e sterpaglie varie. Forse l’aiuola è troppo grossa ed il ‘tappo’ veicolare persiste anche perché il regolamento dice che in una rotonda ha diritto di precedenza non chi proviene da destra ma chi è già dentro il giro; ma essendo il flusso ininterrotto – sia quello proveniente da via Avio che quello da via Buranello, la fa da padrone il più intrapprendente e sfacciato, con eguale risultato.
foto 2010-10-10
DEDICATA alla città veneta (nella Venezia Euganea, in provincia di Treviso), che così fu battezzata nel 1866 in onore di Vittorio Emanuele II; allo scopo furono riuniti in unica amministrazione due comuni distinti e vicini: Céneda a sud -antico castrum romano- e Serravalle a nord.
Dal 24 ottobre al 4 novembre 1918 si svolse l’ultima grande battaglia che costrinse l’Austria alla resa, con la conclusione vittoriosa della guerra mondiale.
Prima della data
risolutrice, erano presenti nel territorio 51 divisioni italiane, 3 inglesi, 2
francesi, 1 cecoslovacca ed 1 americana, tutte al comando del generale Diaz;
sulle cime del monte Grappa queste truppe fermarono un ennesimo e massiccio
attacco nemico che voleva essere risolutore. Così, logorando sanguinosamente e
psicologicamente il nemico, riconquistò metro per metro il territorio: le vette
e le valli, sanguinosamente perdute e riconquistate ogni giorno, consumarono
l’olocausto generoso e pesante di quei fanti fino a costringere il nemico, pure
lui eroico ma di occupazione, al ritiro sulle linee difensive iniziali.
Colonne celeri, il 29 ottobre, passato il Piave, occuparono Vittorio Veneto obbligando gli austriaci a ritirarsi sulla loro terza linea difensiva; da qui ulteriormente attaccati, dovettero disordinatamente abbandonare il Veneto, perdendo complessivamente 400mila uomini (tra morti, feriti, dispersi e prigionieri). Il 3 nov. fu liberata Trento; e l’Austria stremata, chiese l’armistizio. Questo fu firmato quel giorno stesso a villa Giusti, ed il 4 novembre cessarono le ostilità sul nostro fronte, costringendo così la Germania a firmare anch’essa la pace. Alla città fu concesso la “Croce al Merito di Guerra” il 29 ott.1919.
Anche durante la seconda guerra mondiale, la città fu ulteriormente travagliata in considerazione della sua posizione geografica e strategica. Le fu assegnata la “Medaglia d’oro al valor militare” per il periodo settembre 1943-aprile 1945 (Per quest’ultima, la motivazione dice «Amore di Patria, spronando l’antica volontà di vittoria a piegare il destino, risuscita Vittorio Veneto. Per venti mesi di guerriglia atrocissima, soila ed indoma, organizza, sostiene ed alimenta i cittadini compatti nella rivolta contro il duplice servaggio e cinquemila partigiani che – scolta insonne – lottano sulla sinistra del Piave e sui valichi montani a difesa della dignità d’Italia. Contro la rabbia nemina i volontari della Libertà, donando ai vivi l’anima dei Morti, confermano fieramente la nobilissima tradizione a conservare la libertà piegando la ferocia e la distruzione. Domata la tracotanza avversaria, costretto alla resa il nemico in ritirata, la città libera per la tenacia dei figli, consacra all’epopea del nuovo riscatto il suo sacrificio di sangue e di mezzi»).
Tutti i combattenti superstiti della guerra, dalla data del 1967 furono insigniti della medaglia dell’”Ordine di Vittorio Veneto”.
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VOLTA vico Alessandro Volta
Il nome fu proposto all’inizio dell’anno 1900, e già nel 1901 fu posta la prima targa in marmo ad ufficializzazione del nome.
Il vicolo, unendo la via dei Buoi alla piazza Vittorio Veneto, corrisponde all’attuale via Felicita Noli.
Nel lontano 1901 vi abitavano, al civ. 1 casa Tuo; al 2 e 4 casa Galleano Pietro; 3, casa Bertorello e Parodi Michele; 6 eredi Tubino.
Il Pagano 1902 e 08 pongono al civ. 5 lo scultore Dotto cav. Federico.
Nel 1910 era già “via”, con civici sino al 3 e 6 , da via Vitt.Emanuele a via N.Barabino.
Il Pagano 1912 segnala il meccanico Roncagliolo Lorenzo, unico esercente nella via (nel 1921 sarà in via U.Rela).
Nel 1918, nel vico (con indicato “da piazza F.Ferrer”, ma senza specificare il civico) viene annunciata la stampa di un giornale “La pubblica Assistenza”; da giugno, quindicinale.
Nel Pagano 1925 al civ.10 compare Galliano Giuseppe & Fratello che vendono carte fotografiche e riproducono disegni.
Nel 1926 quattro centri si contesero la titolazione: Centro, Prà, Sestri e SPd’Arena, essendo da poco avvenuta l’annessione nella Grande Genova vennero decise delle variazioni nelle titolazioni stradali, soprattutto per evitare dei doppioni con le vie genovesi
Nel 1933 era ancora uguale, di 4.a categoria, con civici sino al 1 e 4. Nella strada si apriva il banco del lotto n° 193.
Ma negli anni immediatamente dopo, il 19 agosto 1935 per l’esattezza, da delibera firmata dal podestà genovese, via Alessandro Volta scomparve da San Pier d’Arena, e fu sostituita con vico dei Marinai (come via dei Buoi era divenuta dapprima via Nicolò Barabino e poi in successione via Stefano Canzio; nella scheda dalla Toponomastica sta scritto che si chiamava ‘via del Marinaio’). Diventerà via F.Noli, dopo il 7/3/46
La famosa trattoria Giacinto, negli anni 30 non appare ancora aperta .
DEDICATA al fisico comasco, inventore della pila elettrica, nato il 18.2.1745 a Camnago di Como; e morto a Como il 5.3.1827.
È universalmente riconosciuto il fondatore dell’elettrologia.
Nato da nobile ma impoverita famiglia (da Filippo V, dei conti Inzaghi), ultimo di numerosi figli, mutolo sino a sette anni. Fu allevato da uno zio canonico, riuscì in forma di autodidatta a compiere tali progressi negli anni dopo, da stupire tutti; e quindi decidere mandarlo a perfezionarsi dai Gesuiti, in tutto lo scibile di allora (umanità, retorica, filosofia, teologia, scienze).
Appassionatosi agli studin naturalistici, in particolare alla nuova scienza dell’elettricità; tenne rapporti epistolari di interpretazione dei fenomeni con tutti i ricercatori nel ramo (GB Beccaria, JA Nollet) e - viaggiando per l’Europa - andò alla loro conoscenza; iniziò da giovane a pubblicare memorie sulle forze elettriche e sui fenomeni connessi, proponendo idee basilari di quella branca, come -1769- il potenziale elettrico di tutti i corpi.
Nel 1775 realizzò l’elettroforo (che porta il suo nome) e che preconizza alle macchine elettrostatiche a induzione. Nel 1778 divenne docente a Pavia introducendo parole nuove che rimangono di base nella moderna elettrologia: ‘carica’, ‘tensione’, ‘capacità’, ecc.
Partendo dagli studi di Galvani, nel 1799 riuscì a concepire i principi (diversi da quelli proposti dal Galvani stesso all’università di Bologna), che lo portarono a costruire la famosa pila: dischi di rame, di zinco e di panno acidulato, sovrapposti incolonnati più volte in tale ordine: fornivano corrente elettrica fluente ed in modo continuo. La scoperta, chiamata “effetto Volta”, segnalata alla Royal Society, gli procurò fama mondiale.
E poiché all’inizio la pila andava esaurendosi in modo eccessivamente rapido, ottenne miglioramento eliminando il panno ed immergendo i due dischi metallici in acqua acidulata.
Il fortunato esperimento, aprì la strada ad enormi risultati pratici; già allora Napoleone gli conferì una medaglia d’oro, ricevendolo con onori trionfali nominandolo senatore e conferendogli il titolo nobiliare di conte (che non aveva ricevuto ereditariamente dal genitore perché era l’ultimogenito; nel nuovo stemma, scelse la figura della sua pila).
Sempre in campo elettrico e nello studio dei gas (formulò la legge di dilatazione dei gas), produsse altre invenzioni le quali, anche se di minore praticità ed evidenza, furono tali da farlo mantenere effettivo professore docente all’Università di Pavia sino alla fine della carriera.
BIBLIOGRAFIA
-Archivio Storico Comunale-
-Archivio storico Comunale Toponomastica - scheda 4716
-DeLandolina GC.-Sampierdarena-Rinascenza.1922-pag.60
-Enciclopedia Motta
-Enciclopedia Sonzogno
-Novella P.-Strade di Genova-Manoscritto b.Berio.1900-pag.16
-Pagano/1933-pag.249.1697---/1961-pag.566
VOLTURNO via Volturno
Corrisponde all’attuale via G.Salinero.
Nell’anno 1900 viene proposta alla Giunta comunale la titolazione di via Volturno, per ufficializzare quel vicolo popolarmente chiamato “via alla piazza detta della Palmetta”, posto ad ovest di via Vittorio Emanuele (via W.Fillak). In contemporanea anche lo slargo interno, assunse il nome ufficiale di piazza Palmetta.
Nell’anno 1910, appare con un unico civico nero, dipartente dalla strada divenuta ‘via Umberto I a piazza Palmetta’ , con unico civico 1.
Il Centro, Pegli, Rivarolo e SPd’Arena, tutte avevano nel 1926 una strada intestata alla famosa battaglia. Il nuovo Comune della Grande Genova si propose di eliminarne alcune per evitare doppioni.
Nell’anno 1933, era ancora così, di 5.a categoria .
Il nome fu cambiato con firma del podestà, il 19 agosto 1935.
DEDICATA alla battaglia del 1 e 2 ott.1860, avvenuta lungo le rive del fiume campano, vicino a Capua: 25mila garibaldini si scontrarono con 40mila soldati borbonici, comandati dallo stesso re Francesco II, e forti oltreché del numero, anche di artiglierie e cavalleria.
Sulla piana del fiume vicino alla foce nel Tirreno (nasce dalle Mainarde molisane e scorre in Campania), all’inizio dello scontro, i borbonici riuscirono a sgominare facilmente la prima linea comandata dal generale Medici; ma Garibaldi stesso, al comando della riserva, piombò al centro dello schieramento avversario, costringendolo a desistere dall’avanzare l’offensiva. Non solo, ma unendosi alle truppe dirette dal generale Turr e Bixio, ci fu un contrattacco irruente e capace di chiudere in una sacca l’avversario costringendolo alla resa.
Re Francesco, sconfitto, dovette ritirarsi a Capua pur avendo combattuto con eroismo (perdendo 3mila soldati, contro 2mila garibaldini).
Di tutta l’impresa dei Mille, questa battaglia fu il fatto d’armi più importante perché decisivo: Napoli era liberata dai Borboni, ed aspettava Vittorio Emanuele II.
Questi arrivò al comando delle sue truppe piemontesi, che vollero assumere le redini di tutte le operazioni militari, esautorando Garibaldi e sciogliendo il corpo garibaldino. Questo provvedimento, seppur legato alle necessità politiche di legalizzare l’annessione, lasciò fiele in bocca ai volontari, che dovettero abbandonare la zona senza riconoscimento dei meriti acquisiti sul campo; Garibaldi stesso, il 9 novembre, salpò da Napoli rifiutando tutte le offerte che il re aveva proposto solo a lui (titolo nobiliare, un castello con tenuta, onorificenze).
Il 21 ottobre ci fu il plebiscito di annessione che si concluse con 1.302.064 si, e 10.312 no tra la popolazione del continente; e 432.053 si contro 667 no in Sicilia.
La resa di Capua avvenne ufficialmente il 2 novembre (mentre Gaeta fu ceduta solo nel febb.1861); cosicché l’8 novembre, scomparso il regno delle Due Sicilie, re Vittorio Emanuele II divenne re di Napoli e della Sicilia, unendo il territorio all’Italia.
BIBLIOGRAFIA
-Archivio Storico Comunale
-Archivio Storico Comunale Toponomastica - scheda 4728
-Ciliento B.-gli scozzesi in piazza d’Armi-DeFerrari.1995-pag.55
-DeLandolina GC.-Sampierdarena.Rinascenza.1922-pag.60
-Novella P.-Strade di Genova-Manoscritto b.Berio.1900-pag.19
-Pagano/1933-pag. 249---