BELVEDERE                                   

 

Stravolgendo l’usuale elencazione alfabetica, per Belvedere seguirò il percorso da fare a piedi.

Pertanto, prima do precedenza alla generica descrizione del  1) colle.

Ad esso seguirà  la 2) salita

Poi, prima il  3)  piazzale  

Poi ancora il   4) corso. In quest’ultimo, in successione da mare a monte, la  4a)  chiesa, il 4b) chiostro, 4c) casa parrocchiale e 4d) casa delle suore.

Infine 5) la scalinata

 

1)                                                                                                                     COLLE DI BELVEDERE

 

foto 1913. Da Promontorio

 

Non è un colle isolato ed a se stante ma, prende questo nome, una tappa intermedia, un primo apice dopo erta salita. Questa punta infatti, è seguita da breve pianoro in crinale, dopo il quale si riprende a salire per arrivare ove è il colle finale con il forte, i quali non hanno più questo nome.

È antichissimo, praticamente imposto dalla natura, perché è sufficiente arrivare sino lì perché potessero ispirarsi letterati come il Giustiniani nel 1535 e poeti come il Cambiaso, il quale nel 1913, col titolo: “il giardino della Liguria” così si espresse: “Il pellegrino che ascende su quel poggio incantevole resta sorpreso dalla bellezza del panorama che si apre grandioso sotto il suo sguardo. Da mezzogiorno l’ampia distesa del mare, che dalle spiagge fiorite e popolose delle due riviere, svanisce nell’azzurro infinito dell’orizzonte. A ponente la collina di Coronata, che s’innalza dolcemente inoltrandosi verso la Polcevera, per confondersi poi colle catene dei monti che fanno capo a quello della Guardia, il più alto di quelli che sono all’intorno, E poi la valle Polcevera colle sue quaranta parrocchie, che assume un aspetto di svariata bellezza, da farla meritamente chiamare il giardino della Liguria. Ai piedi della collina di Belvedere dal lato occidentale giace la popolosa città di San Pier d’Arena, un dedalo di case e di officine dai camini fumanti, che additano in essa la città del lavoro e dell’industria “.

   Effettivamente, da lassù si potrebbero vedere: pressoché tutta la città; più lontano il profilo di capo Mele e delle prealpi Marittime; e nell’immediato ponente, Coronata, il Teiolo e monte Figogna. Occorre però non fermarsi sul piazzale della chiesa, in quanto gli alberi – cresciuti e non curati - impediscono lo sguardo.

   Qualcuno accenna la possibile ipotesi, che Belvedere non è sinonimo del panorama che si gode dal colle, ma che è proprio lui l’oggetto del bello a vedersi, riferito a quando era circondato dalla natura incontaminata, quando la chiesuola era in ‘campagna’: un po’ come si guarda nel quadro dipinto dal Vernazza.  Effettivamente doveva essere qualcosa di bello davvero,  considerato che è bello ancor oggi, malgrado tutto lo scempio che lo circonda; infatti adesso lo spettacolo è molto meno edificante seppur sempre di vaste proporzioni, ha perso la sensazione di pace, di spazio e di gioia della natura, per mostrare prevalenza di tetti, industrie, treni e, laggiù lontano, dal titolo irraggiungibile per noi, il mare.

 

   I più antichi scritti, riguardanti la collina, sono:  all’Archivio di Stato in un atto del 1134 di compra e vendita fatta da Oliviero, uno dei consoli del borgo, figura come testimonio un Folco (o Fulco) di  Belvedere (di Bervei; ma non è detto però che si riferisca al nostro colle perché in Sarzano esisteva una località anch’essa chiamata poggio del Belvedere).

E’ del 1247 un altro atto con la descrizione di un possesso di terreno in zona Belvedere, da parte di una Sofia di Sestri Ponente, venduto ad un Corso da SestriP.

  Altri atti notarili riguardano il monastero, già edificato per le suore agostiniane e che - nella metà del 1300 - se ne andarono proprio per la pericolosità legata alle lotte fratricide (dalla storia  cittadina, sappiamo che nei secoli subito dopo il mille, la zona fu teatro di aspre e sanguinose contese tra guelfi e ghibellini: passando da lì l’unica strada per proseguire verso il ponente o per il nord - anche se ancora lontani per entrare o uscire dalla cerchia muraria (a quei tempi la quinta cerchia muraria iniziava dalla attuale zona di Principe) - diveniva ovvio lo scontro tra di loro in queste terre.

   Rimasto vuoto, il 10 ottobre 1351 il nobile Leonardo Cattaneo ne fece acquisto, lo rifornì di arredi sacri e donò il tutto ai frati di s.Agostino (con l’obbligo di celebrarvi una messa quotidiana, e la clausola  di perdita della donazione in caso di cessione: nel qual caso tutto sarebbe passato in dono all’Arcivescovo).

   Sempre a proposito delle guerre fratricide, la storia ricorda in particolare la battaglia tra un migliaio di soldati guelfi comandati da Nicolò Fieschi (con un gatto ad emblema del casato, posto sopra il motto ‘sedens ago’ , la cui traduzione ‘agisco stando seduto’ è  significato della scelta di voler preferire l’intelletto alla forza militare) contro i ghibellini guidati da Francesco Montaldo (parente del doge Antonio Montaldo), qui avvenuta nel 1394 coinvolgendo la popolazione residente e sconvolgendo l’ambiente idilliaco naturale con centinaia di morti (erano anni di grande confusione politica alimentata da sospetti, gelosie, vendette ed ambizioni; come un fuoco, alimentato da ininterrotte battaglie, disordini senza freno, congiure,  violenze, ambigui cambi di parte tra fazioni comprendenti soprattutti gli Adorno, i Fieschi, i Montaldo, i Fregoso, gli Spinola; una  prima conclusione, forse esasperata e significativa di incapacità a risolvere il problema,  fu da parte del nuovo doge Antoniotto Adorno, la consegna delle chiavi della città al  re Francese Carlo VI).     

   A quei tempi, il cammino per arrivare lassù doveva essere assai difficoltoso se gravati da carichi di merci e lungo un sentiero appena tracciato: praticamente solo una scomoda ed erta mulattiera (forse a tratti anche carrettabile, comunque a quei tempi neanche acciottolata, e se pioveva, un torrente).

   Non diverso era quadro politico nel 1461 quando forze marittime e terrestri del re francese CarloVII – agli ordini di Renato d’Angiò, dopo aver raggiunto Savona ed essersi unite ai fuoriusciti genovesi -, avanzarono lentamente contro la città superando Varazze e Sestri; furono contrastate a Belvedere il 17 luglio 1461 in una grande battaglia nella quale vinsero Paolo Fregoso e Prospero Adorno (in conflitto tra loro, ma momentaneamente riuniti contro un comune nemico, ed aiutati dallo Sforza, duca di Milano. Appena vittoriosi, Paolo Fregoso ben meritò col suo carattere genialoide e colto, ma ambizioso ed amorale il soprannome di ‘chimera del secolo’: nei due anni successivi nominò e spodestò quattro dogi insediandosi poi a sua volta nel dominio cittadino, che seppur breve, fu caratterizzato dalla violenza e dal disordine favorendo la rovina economica e politica della città).

      Su questo poggio avvenne un’altra battaglia per le armi genovesi: nel 1478 contro i soldati del Duca di Milano

   Nel 1507 il colle fu nuovamente teatro di funesta ed impari lotta  in occasione dell’assedio di Luigi XII re di Francia (che aveva posto quartiere generale al Boschetto di Cornigliano e le cui truppe, già attestate saldamente sulle alture di Rivarolo, mirarono a sbaragliare ogni difficoltà prima di compiere l’ultimo balzo sulla città): Leonardo da Monteacuto, mandato a difendere la collina, il 25 aprile combatté valorosamente contro lo strapotere dei francesi guidati dal generale Chaumont d’Amboise, e dopo inefficace resistenza si ritirò dando fuoco alle polveri rimaste affinché non divenissero bottino di guerra del nemico. La bandiera francese quel giorno sventolò sul colle, piantata dal Giacomo d’Allégre, il primo ad entrare nella trincea ancora invasa dal fumo dell’esplosione; questa conquista fermò l’invasore che non inseguì le truppe genovesi in ritirata. Il generale francese lasciò un manipolo sul colle, e si ritirò a Rivarolo, permettendo un contrattacco dei genovesi che riconquistarono la posizione. Ma il re, appena giunto a Rivarolo, ordinò un definitivo massiccio assalto, chiudendo la partita e firmando la resa di Genova, al Boschetto, il 27 aprile.

   Nel giugno 1680 la spia francese Vauberg inviò una ‘memoria’ in Francia, a ReSole, in cui specificava che il colle di Belvedere era quasi a livello delle mura, e che da esso si poteva cannoneggiarle ed aprirvi una breccia travolgente. Il re però poi, optò per il bombardamento navale.

   Nel 1746  ben dodici cannoni piazzati nelle balze vicino alla chiesa, fecero desistere il generale austriaco conte di Schulemburg, smanioso di vendicare l’offesa ricevuta dai genovesi che, col gesto del Balilla avevano indotto il generale Antoniotto Botta Adorno a fuggire con le sue truppe da Genova prima e da San Pier d’Arena dopo; forte di 20 mila soldati, stabilì il suo quartier generale a Torrazza (da dove poteva controllare sia la valle del Polcevera che del Bisagno), ma tutte le difese predisposte gli fecero rendere conto che un attacco in forze avrebbe determinato un risultato assai incerto e sicuramente con gravi perdite: decise per una posizione di accerchiamento a distanza, nella speranza di piegare i genovesi per fame, contemporaneamente bloccandoli dal mare con la flotta inglese dell’ammiraglio Madley. I genovesi, per arginare le truppe nemiche attestate in Cornigliano (prevalentemente piemontesi) e Rivarolo, nel 1747 aprirono dei trinceramenti che dalla foce del Polcevera arrivavano sino al Tenaglia; chiudendo così l’accesso alla collina di Belvedere giudicata molto importante per le eventuali offese che da questa postazione potevano recarsi alla città; vi furono alzati parapetti, fortificandoli con artiglieria pesante e ponendovi picchetti  di truppa regolare nonché un buon numero di paesani, tutti al comando del Commissario generale Gaspare Basadonne che pose il suo quartier generale nel convento. Il lavoro fu portato a termine dalla manovalanza che scavava i trinceramenti mentre la flotta inglese  poteva indisturbata avvicinarsi a riva e far fuoco contro i  lavoratori (chiamati ‘travagliatori’) e mentre i soldati croati cercavano di attaccare via terra, sempre coraggiosamente respinti e spesso con successo contrattaccati ‘fino alle case dell’Incoronata’; finché sull’altura fu posta una artiglieria capace di allontanare le navi e rispondere a Coronata – dove in uno scontro a fuoco rimase ucciso il colonnello austriaco Franquin, crudele ufficiale che aveva fatto castrare un cappuccino perché non aveva saputo soddisfare certe sue richieste alla cittadinanza.

   La pace di Acquisgrana del 1748, pose fine a questa situazione bellica, ma la carestia che aveva portato, favorì una epidemia mortale che uccise 24mila persone, compresi tutti i soldati lasciati feriti  dal nemico.

      Iniziando dalla chiesa, sul tratto pianeggiante del crinale verso monte, nella planimetria del Vinzoni del 1757, già vi appaiono alcune ville (di esse, quelle con i  civ. pari, sono a  ponente).

   Nel 1797, fu il generale francese Duphot che occupò la collina; e da lì, il giorno 11 luglio andò al sanguinoso assalto del forte Tenaglia, contro contadini ed insorti che non accettavano il governo francese.

   Nel 1815 divenuto governante il regno sabaudo, prese possesso di tutto il colle, per cui la chiesa e canonica vennero sgomberate nell’idea primitiva di essere demolite a vantaggio di un fortilizio. Mutate le circostanze, nel 1819 la chiesa fu restituita all’amministrazione del santuario. Negli anni 1815-27 e poi ancora 1895-96 il forte Belvedere venne soggetto a modifiche da parte del governo piemontese.

    Lamponi riporta alcune cifre relative alla produzione agricola della zona, nell’anno 1900; paragonata ai colli limitrofi di Coronata o Rivarolo appare che  tutta la collina era poco produttrice, non solo di materiale ortolano (fave, cavoli, patate) o fruttifero (fichi, mele e pere),  ma anche di uva (“vino ‘onorevole’ ma limitato”) o boschivo, nonché di animali da cortile (ad uso personale) e da stalla (cavalli, muli asini per i trasporti, ma rare le mucche e pecore, per evidenti difficoltà di pastura).  

   Nel 1926-7 Carbone e Margutti incisero su disco la loro canzone “a-o Belvedere”; ed i trallaleri avevano nel repertorio  “Sampêdaenn-a, Belvedere” che diceva “Sampêdaenn-a, Belvedere, - Belvedere o l’è ‘n bello paise - ghe vêu ‘n bello pa’ de miande - pe poêi andâse a demoâ”.

   2010 in data 18/3, la Regione – con lo scopo di facilitare la vita a chi abita in collina - ha ridefinito le aree soggette ai vincoli paesaggistici, stabilendo una fascia che salvaguardia gli antichi percorsi, punti panoramici, aree verdi o boscate;  togliendo dal vincolo un’altra fascia comprendente le costruzioni fatte negli ultimi 40 anni per facilitare l’iter degli interventi di manutenzione e ristrutturazione.

 

   Da quassù non è possibile non rendersi conto che la natura è stata non rispettata e violentata  in ogni minimo spazio, là dove era “un tripudio di verde e di fiori”; e che Sampierdarena “irta di ciminiere ed intersecata di ferrovie”, nonché senza più alcuno sbocco sul mare vi ha rimesso in bellezza e splendore: è stata una scelta politica, cittadina e nazionale, che può essere enfaticamente condivisa (appoggiata all’idea - unica vera - del lavoro), oppure fortemente - anche se inutilmente - contestata: se non altro per cercare di fare in maniera che lo scempio non prosegua nelle piccole cose come l’asfaltatura delle crose, la chiusura e distruzione di salita Millelire, la facciata nord di villa Scassi, le torri antiche abbandonate al degrado, ecc.

 

 

 

 

2)                                    SALITA BELVEDERE

 

TARGHE:

salita Belvedere

San Pier d’Arena – salita - Belvedere  

  

  

inizio salita da corso LA Martinetti 

sulla scalinata, angolo a monte di via GB Monti

                                          

 

arrivo della salita nella piazza antistante il Santuario

 

QUARTIERE ANTICO: Promontorio

N°  IMMATRICOLAZIONE:   2725   categoria

CODICE INFORMATICO DELLA STRADA - n° :    05020

UNITÁ URBANISTICA :  25 - SAN GAETANO

                                            27 - BELVEDERE

 

                       

in celeste corso Belvedere e     da Pagano 1967-8                                in celeste via dei Landi; in giallo

Santuario. Giallo via NDaste;   tratto iniziale, a via                           corso Martinetti; in blu il Santuario

rosso via A.Cantore; fucsia      GBMonti e a                                   Da Google Earth 2007

via della Cella.                          salire                                                                                  .                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                 

da M.Vinzoni, 1757

 

                                                      

CAP:  16149

PARROCCHIA:  1 e 2 = NS del ss.Sacramento  -  sopra = NS del Belvedere

STRUTTURA:  da corso L.A.Martinetti, a  Corso Belvedere. Sono stati lasciati carrozzabili in due sensi: i primi 30 metri, e - da sopra le scale di Quota 40 -  alla sommità.

Corso L.M.Martinetti

All’inizio salita, una catena evidenzia non essere strada carrabile  anche se per servizi più volte tale limitazione è – forse legalmente ma solo per le suore - violata (questo tratto del stradina, per riparazioni di un pannello elettrico inserito nel muragline, fu rifatto e fortificato ma inopinatamente non ripristinato a ciottoli ma asfaltato, nel 1999).

           

inizio - con pavimentazione                 primo tornante - appare anche  nella carta del Vinzoni                  

di asfalto a pezze multiple        

Un cartello avvisa esserci  l’“inizio percorso storico-naturalistico Sampierdarena-Forte Diamante”, con tempo di percorrenza di 3ore e 20’, segnato con un cerchio rosso dalla FIE Liguria che periodicamente ne cura  la segnalazione e pulizia in collaborazione con i tecnici dell’Anas-sentieri.

Due primi tornanti (visibili nella carta vinzoniana, ed ancor oggi fatti a mattoni e ciottoli e quindi solo pedonali) fanno superare la proprietà di don Daste (mentre a levante – salendo - c’è quella delle Pietrine).  Dopo essi, la salita è stata tutta asfaltata anche se sempre solo pedonale.

 

composizione multipla del muro, con vecchi ganci (troppo bassi però per un passamano)    

        

                                                             basamento edificio delle Pietrine          area ludica Pietrine

Madonna del Belvedere                       svasato. Muro cinquecentesco.

                                                             Crosa asfaltata

A ponente - dopo le suore - inizia la proprietà che è stata degli Stura (ove si narra era zona di ‘passeggiata delle novizie’, sotto un berçeau): dapprima, sulla salita, c’era un cancelletto che dava ingresso a tutta l’area sovrastante le suore; alla cui sommità – affacciata sulla strada di via GBMonti -  essi costruirono i civv. 25 e 27 di detta via: ora questo cancello permette l’entrata delle auto per il posteggio privato dei palazzi (allo scopo pertanto, gli ultimi 5 metri della salita, prima dello sbocco in via GBMonti, sono di nuovo carrabili).

via GB Monti

La nostra salita, a questo punto, è stata troncata per l’apertura di questra trasversale per cui fu necessario costruire sul lato a monte una scala per riallacciarsi alla parte superiore della salita stessa.

Dopo la scala, superato il civico 48 di via GBMonti, sul lato di ponente si apriva un sentiero (che oggi finisce incontrando via Tosa) che portava a terreno coltivato da contadini che coinvolgeva tutta la fascia di collina che dal crinale (dove c’è la salita) scende sino a via GBMonti ed oltre (coinvolgendo anche via Battaglini e via dei Landi).

Cento metri dopo, per superare il dislivello collinare, la salita compie altri due tornanti,  ben visibili anche nella carta del Vinzoni. Ovviamente dalla scala ai tornanti, la salita è solo pedonale.

Nel restante grossomodo rettilineo sino alla sommità, la salita di per sé, nei secoli, non ha subito ulteriori modifiche escluso essere divenuta carrabile nei due sensi.

STORIA:  se già ai tempi dei romani, la strada di percorrimento e  di grande comunicazione da e per Genova, di carovane e mercanti provenienti dalla riviera o dall’interno, passava a mezza costa in alto (a livello dell’attuale via alla Porta degli Angeli-Bersezio), un collegamento tra tale via e la spiaggia,  non poteva che sfruttare il ripido -ma pur sempre il più logico -percorso della nostra salita. E da lassù, antichissimo è il nome “bello videre” a chiarire la posizione felice per spaziare sulla spiaggia e tutta la riviera ponentina, sul fiume, sui monti da Coronata fino al Teiolo ed alla Guardia.

    Il Gazzettino dice che il primo atto scritto ove compare il nome del colle, risale ad un ‘istrumento di vendita di terreno nell’anno 1134, forse ancora conservato negli archivi dello Stato’ .

   E’ invece del  18 lug.1197 un atto di vendita da parte di Montanaria, figlia di Martino Curto, per 40 lire, al monastero di san Siro, un terreno sotto la strada e sino al fossato,  confinante con altro terreno del monastero,  in località “Sancti Petri de Arena, ubi dicitur Belmont”. Dimostrando esistere già sull’altura, in quegli anni, un convento di suore Agostiniane.

   Nel giugno 1285 un altro atto notarile ricorda di una Mainetta figlia di Gio Ascherio, che donava lire venti al Monastero di ‘Sancte Marie de Bervei de Janua’.

   Così, senz’altro già prima del cinquecento, l’antichissima crosa iniziava direttamente in zona Mercato, in fondo all’attuale via N.Daste, allora anonima. Costruite in quell’epoca  le ville Grimaldi (Carabinieri) e Doria (ist.don Daste), per il loro accesso la strada fu senz’altro ampliata e forse allungata con tornanti per permettere alle vetture trainate dai cavalli di raggiungerle.

         A fine dell’estate 1831 il sindaco propone ‘la rinnovazione del selciato’, molto corroso e degradato anche per ‘il frequente passaggio di carrettoni d’artiglieria che si trasportano alle sovrastanti fortificazioni’.

Il regio decreto del 1857, ovviamente riconosce nella toponomastica cittadina, la salita Belvedere, quale ora. Il consiglio comunale deliberò la conferma del nome il 17 giu.1867.

foto primi del 1900 con villa Pallavicini, il forte e tanti orti

      Nel tratto iniziale in basso, nei primi anni del 1900 si aprì un’ unica nuova strada -che  venne chiamata “corso dei Colli”- (oggi corso L.Martinetti); quest’ultima nei primi centocinquanta metri  si sovrappose all’antica salita cosicché gliene ‘rubò’ quel tratto e spostò l’inizio della salita  dove ora più a monte, subito dopo i Carabinieri (a sua volta l’apertura di via A.Cantore dissecò ‘rubando’ un tratto subito dopo l’antico inizio da via N.Daste).

    Ed ancora nel 1910 lo stradario cittadino vede la “salita Belvedere (comprendente anche il Corso Belvedere) da Corso dei Colli presso l’istituto delle Pietrine per Belvedere, alla stessa arteria”; e possedere civici pari e dispari sino al 22 e 29.

 viene segnalata la “via dei Colli”, poi corso Martinetti. Davanti ai villini, il collegio don Minetti

    Il Pagano 1925 segnala al civ. 1 il “collegio convitto della Presentazione”.

    Nel 1927 la salita compare nello stradario comunale, di 5° categoria, assieme ad una autonoma ‘salita vecchia Belvedere di 6° categoria’, non facilmente collocabile se non nel tratto dalla chiesa in su, in fase di divenire il ‘corso’. Nello stesso elenco, compare una ‘località Belvedere’ a Voltri.

    Nel 1933, era peggiorata, declassata di 6.a categoria, ed arrivava “da corso  D.Alighieri (corso L.A.Martinetti) al piazzale della Chiesa di Belvedere”; lo stesso nel 1961 (da corso L.A. Martinetti), laddove però detto piazzale ha acquisito una autonomia toponomastica solo per breve tempo, risultando  l’ingresso della chiesa lungo il corso, e non nella piazza.

    La numerazione civica, continua dal basso in salita, proseguendo ininterrotta nel ‘corso’ sino all’incrocio in alto con corso Martinetti.

   Nel 1940 vengono descritti solo tre civici neri, nessuno rosso (1=Pietrine, 2= Presentazione, 19=un privato. 

   Nel dopoguerra, l’apertura di Quota 40, tagliò di nuovo la crosa 150 metri dopo il nuovo inizio, costringendo  -per continuare verso il monte- a costruire  una  scalinata (che ovviamente non esisteva all’origine).

   Nel 1997 il tratto iniziale fu soggetto a riparazioni: l’adozione dell’asfalto per coprire in velocità i buchi dell’acciottolato, ha distrutto in maniera idiota la struttura tradizionale (favorendo tra l’altro l’allagamento delle zone distali, durante gli acquazzoni, con buona pace per chi ci abita o ha negozi e magazzini  Gazz.S :7/87.3 ) .

 Vinzoni. Al centro, alla lettera E, la chiesa e convento di san Pietro in Vincoli;  sopra ed a levante la proprietà; a sinistra della creuza Belvedere, la proprietà di MarcAntonio Doria con –diritto- il viale d’accesso oggi scomparso

 

CIVICI

2007 = UU25= NERI =   dal 2 al 26 (mancano 10, dal 18 al 22)

            UU27= NERI   = da 1 a 19 (mancano da 11→17; compresi 1A, 13A, 15A)

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===civ. 1:  Alla base di un ampio terreno a forma di esagono irregolare, che si sviluppava a levante della creuza che saliva a Belvedere (ben visibile nella carta vinzoniana), venne costruito nel 1630 un complesso conventuale con una chiesa, dedicata a  san Pietro  in Vincoli con soprastente l’ex convento, poi adesso ricovero per anziani.

Ciò avvenne, per disposizione testamentaria del nobile  Marco Antonio Doria, con l’impegno che fosse gestita dai Gesuiti (Compagnia del Gesù, collegio di Genova, con sede in via Balbi nel palazzo ora dell’Università) almeno tre mesi all’anno (come risulta da una lapide posta all’interno, a destra di chi entra ***) che dice:  «D.O.M. - IN HON. B.M.VIRG. - ET S.PETRI AD VINC. - AEDEM HANC SOC. IESV - AEDIF. MDCV KAL. AUG. - ELEMOS PIOR CIVIUM - PAVLO V PONT. MAX. SPINOLA ARCHIEP. - CLAVD. ACQ. PRAEP. SAC.» = IN ONORE DELLA BEATA VERINE MARIA E DI SAN PIETRO IN VINCOLI - QUESTA SEDE LA SOCIETA’ DEL GESU’ EDIFICO’ ALLE CALENDE DI AGOSTO DEL 1605 - CON L’ELEMOSINA DI PII CITTADINI - PONTEFICE MASSIMO  PAOLO V - ARCIVESCOVO SPINOLA - SACERDOTE PREVOSTO CLAUDIO ACQUARONE *** . 

In totale sono circa 4000 mq, ripartiti tra chiesa, casa e giardino; con alberi secolari (tra cui alcune piante di canfora, uniche in città assieme a quella nel piazzale della Croce d’Oro ambulanza).

La chiesa apre il suo ingresso dopo pochi metri dall’attuale inizio di salita Belvedere. Gli attuali gestori, nel 2009 non ci hanno permesso visitarla.

Storia=la festa che commemora l’evento è il primo di agosto; ricorda la dedizione  della chiesa all’Apostolo sull’Esquilino eretta nel 431 circa, ristrutturata pochi anni dopo da SistoIII, ove si conservano le catene con le quali fu tenuto in carcere Pietro.  La festa è propria di Roma, non trovandosi nei libri liturgici ed avendo trovato poca espansione nella cristianità occidentale. Ovviamente il libro del Cambiaso non cita la nostra chiesuola.

Interno= negli anni a cavallo tra 1600-1700, il quadro centrale dell’altare maggiore fu circondato da un ornamento pittorico disegnato dal bolognese Antonio Haffner (1654-1732; bolognese, produttore di ornamenti in molti siti genovesi. Il Soprani scrive «Bello è pure l’altro ornamento, che egli fece intorno al quadro dell’Altar maggiore entro la Chiesa di S.Pietro ad Vincula»); mentre le pareti delle cappelle laterali furono dipinte a chiaroscuro dal pittore Domenico Parodi (Genova 1668-1755, Scrive il Soprani «…dipinse a chiaroscuro per gl’istessi PP. Gesuiti le pareti delle laterali cappelle della Chiesa di S.Pietro ad vincula in San Pier d’Arena. La riuscita dell’Opera superò l’espettazione di chi gliel avea commessa».

Conteneva anche il grosso quadro ora esposto nella chiesa della cella, sopra l’entrata della sacrestia, raffigurante s.Francesco Borgia (che fu uno dei Generali della Compagnia) (vedi a Giovanetti x chiesa della Cella).

 Assai modesta di spazio, era nata con tre altari, sul centrale -maggiore- c’era il quadro della ‘Presentazione di Maria al Tempio’  (una volta dedicato alla ‘Madonna della Salute’; ed un altro dedicato al ‘SS.Cuore di Gesù’), mentre sulle pareti delle cappelle laterali erano degli affreschi in chiaroscuro di Domenico Parodi, già andati distrutti dopo il 1797.

Vi vengono segnalate anche due tele di Pier Paolo Raggi  (Genova,1646-1724) con l’”adorazione dei Magi” e “Ester e Assuero”, prodotte in età giovanile, quando il pittore -dopo una scuola con maestro non conosciuto, iniziò l’attività autonoma-.  Nella chiesa era anche una grande tela -oggi nella chiesa della Cella, sopra l’ingresso alla sacrestia- raffigurante san Francesco Borgia, di G.B.Carlone .

   Dal 1934 è specificatamente vincolata dalla Soprintendenza alle Belle Arti.

   Con i bombardamenti, la chiesa (e quindi gli ornati dell’Hoffner, ecc. Le suore alla ricostruzione fecero aprire al loro piano una cappella, che usano ancor ora comunemente lasciando la chiesa solo a particolari ricorrenze) e buona parte del complesso conventuale andarono distrutti: furono ricostruiti lasciando le strutture ancora valide come quelle esterne, ma su modello di un uso scolastico

   Anche a Roma esiste dall’anno 431 una chiesa omonima, ove si venerano le catene che imprigionarono san Pietro prima della miracolosa liberazione e momentanea fuga. E’ l’unico legame storico col nome del borgo: la venerazione di san Pietro avvenne molto presumibilmente per opera dei vari missionari che si sparsero per portare la ‘novella’; una leggenda -non vera- voleva che il Principe degli Apostoli, lasciato Roma per fuggire le persecuzioni dell’imperatore Claudio, passasse per la nostra contrada ove dormì sulla spiaggia.

Normalmente è chiusa al pubblico.

I gesuiti rimasero nel convento -risiedendoci soltanto nella stagione autunnale tipo villeggiatura- fino al 1773, quando dovettero lasciarlo causa definitiva soppressione  dell’ordine, in mezzo a tutti i torbidi politici conseguenti la rivoluzione francese (avvenne il 13 ago., con una breve di Clemente XIV; per la quale i loro beni in Liguria -detti “asse gesuitico”- divennero proprietà del Serenissimo Governo che poteva disporne a piacere  (“il Direttorio esecutivo è incaricato di fare quelle soppressioni, concentrazioni e traslocamenti delle corporazioni ecclesiastiche regolari di ambo i sessi che crederà più conveniente al comodo della popolazione ed al vantaggio della nazione”) dovendo pagare migliaia di soldati stanziati nel territorio, e compensare i sostenitoriil direttorio esecutivo era autorizzato a requisire ori, argenti e gioie di tutte le chiese e monasteri, conventi, Opere pie, oratori esistenti nel territorio ligure, perché passassero alla tesoreria nazionale. Ai gesuiti furono requisiti dal segretario generale del Direttorio della Polcevera, ori e gioie  per 258 lire“).

Per questo restò ‘chiesa soppressa’. Le aspre vicende di quei tempi, il passaggio e l’alloggiamento di soldati in tempi di frequenti aggressioni verso Genova, fanno supporre l’uso che ne fu fatto e lo scempio a cui fu soggetta (In contemporanea, anche la chiesa di san Giovanni Battista -oggi san Gaetano-Don Bosco-, era in stato di abbandono, gestita per conto di privati da 2 sacerdoti Teatini che vi risiedevano però solo sei mesi all’anno; la casa parrocchiale era nella zona di San Martino del Campasso, ma la gente brontolava per lo scomodo a raggiungerla).

Il complesso monastico ebbe così un lungo e grave periodo di abbandono e decadenza finché il Serenissimo Senato emanò un primo decreto 14 sett.1771 con il quale si decideva l’acquisto per 36.500 lire della chiesa di sanPietro in Vincoli -che fu dapprima offerta ai Teatini, avendoli già esclusi ed allontanati da san Giovanni -con decreto divenuto definitivo il 23 nov.1796; ma loro rifiutarono questo trasloco e preferirono ritirarsi nella loro casa madre in san Siro a Genova. Prima di concretizzare i propositi, il Senato venne sostituito dal Corpo legislativo (Consiglio dei Sessanta) che nel mar.1799 decise il passaggio delle proprietà -sia di san Pietro che di san Giovanni Battista- al governo laico della novella Repubblica Ligure, la quale in attesa  passò la pratica al Municipio locale che usò gli edifici per uso non sacro e militare. La perfetta successione non è chiara ma –sembrerebbe che in coda a tutti questi passaggi- alla fine il complesso fu acquistato da un privato (Campodonico?). Questi, al subentro del governo Sabaudo (che dopo 1815 -esilio di Napoleone, congresso di Vienna, restaurazione- restituiva una discreta libertà di culto), vendette il complesso alle suore che alloggiavano a Belvedere (questo acquisto –pagato con moneta raccolta da donazioni multiple- fu effettuato non dalla Congregazione ma dalle suore riunite in gruppo di soggetti singoli –quali liberi cittadini- e parimenti proprietari, con la clausola che alla morte di ciascuna, la sua parte andava alle altre; finché l’ultima poteva vendere il tutto ad un altro gruppo di suore, e così via. Questa catena si spezzò quando furono firmati i Patti Lateranensi ed il complesso poté divenire proprietà della Congregazione).

 

Le suore.    Fu  nel 1827, che si riprese la gestione religiosa da parte di sacerdoti ed affidando il complesso alla direzione delle Suore della Divina  Presentazione di Maria Vergine -comunemente dette Pietrinedal nome del santo Apostolo a cui è dedicata la chiesa-. Esse   venivano dal santuario soprastante di Belvedere, essendosi colà formate pochi anni prima,  per idea della sestrese Anna Castello, nata Forte. Donna di singolare pietà e generosità,  già a Sestri aveva promosso con l’aiuto del marito Domenico, notaio,  l’istituzione di una nuova congregazione con lo scopo dell’educazione delle fanciulle. Da sestri, la fondatrice si  propose allargarsi verso il nostro borgo, occupando dapprima (1825) alcune stanze nel santuario sul colle -ancora proprietà  militare-, ma acquistando in secondo tempo (1826) la chiesa e convento soppressi.

La sua opera  fu approvata poi con regio decreto di Carlo Alberto, il 4 feb. 1832; mentre i 2 marzo successivo l’arcivescovo mons. Tadini approvò il nome di “suore della Presentazione” e l’abito religioso da indossare. La fondatrice ebbe a morire nel 1835 quando la sua istituzione già contava 22 suore e 5 converse; nel 1875 ospitava 40 educande interne più 80 esterne, mantenendo per oltre trent’anni l’incarico della istruzione delle civiche scuole femminili di San Pier d’Arena. Nel 1884, sommando le suore educatrici sopra il centinaio, fu aperta un’ altra sede  a Novi).   

   Queste, nei dieci anni a seguire l’inserimento, sotto la guida della superiora suor Teresa Celesia -assistite dall’arciprete Giuseppe Bava, e col concorso di benefattori quali il negoziante Nicolò Pittaluga fratello del prevosto di Rupinaro, ed il munifico Francesco Rolla-, riuscirono a dare al complesso una notevole miglioria strutturale, quale esternamente vediamo ancor oggi (porticato d’ingresso alla chiesa, la scritta, la cancellata; il tutto ricordato da altra lapide interna : “ SUB AVSPICIIS DEIPARAE VIRGINIS - PRIMO AD TEMPLUM TRADITAE - SORORUM DEVOTA CONGREGATIO - AEDEM IAMPRIDEM APOSTOLORUM - PRINCIPI SACRAM PIISSIMI LARGITORIS - MUNERE RESTAURABAT ORNABAT - ANNO MDCCCXXXVIII “ SOTTO L’AUSPICIO DELLA VERGINE MADRE DI DIO .........     LA DEVOTA CONGREGAZIONE DELLE SORELLE RESTAURò ED ORNò LA SEDE GIà’ PRIMA SACRA AL PRINCIPE DEGLI APOSTOLI NELL’ANNO 1838 ***).

   Nel 1863, anche per interessamento del sindaco Nicolò Montano, si aprì uno dei primi servizi di asilo infantile a protezione di tutti i bimbi più piccoli  e portando così il complesso -nato inizialmente per sola  beneficenza- ad un vero Conservatorio, da allora detto “delle Pietrine”, ampliandosi ad  istituto scolastico, con elementari e medie; nel 1933 viene chiamato  “istituto privato educatorio della Presentazione”, con rettore don E. Pitto; e nel Pagano/33: ‘collegio convitto della Presentazione’).

 

   Nel 1916 l’abate Brizzolara di Promontorio ne lamentava inutilmente all’arcivescovo la non appartenenza al suo territorio parrocchiale. Secondo lui perché il terreno già dal 1773 era compreso nel “Suburbium Genuae (quindi entro il confine parrocchiale di Promontorio quando era ‘Antica Chiesa di s.Pietro in Vincoli’ ed apparteneva ai Gesuiti; e questo fino ancora al 1800; il tutto assieme a tutta la montuosità del borgo rappresentata dalle tre colline (Angeli, Costa, Belvedere) che vanno ad unirsi col forte Tenaglie, come tutta la villa Imperiale e Monte Galletto); cosicché la giurisdizione della chiesa “plebana” di san Martino terminava a sud-ovest di Belvedere con la villetta Gaggien (non conosciuta) situata in cima alla salita del Campasso, volgarmente detta salita del Rompicollo. Cosicché sempre secondo don Brizzolara la chiesa delle Pietrine doveva essere una succursale di Promontorio come lo era l’Oratorio degli Angeli entro le mura.

Ancora nel 1933 sotto la prevostura dei Salesiani -con direttore il sac. Pitto Ernesto-  porta sulla facciata -migliorata con la costruzione di un porticato frontale eretto nel 1837- la scritta ancora  contemporanea “APOSTOLORUM PRINCIPI IN VINCULIS “ (prima, a lettere cubitali, c’era scritto: “adducentvr virgines post eam”).

L’Istituto scolastico.     Grande parte dei giovani sampierdarenesi, sessantenni nell’anno 2000, hanno formato i primi passi culturali sui banchi di questo istituto.

Non è specificato da quando, l’intero Istituto è posto sotto tutela e vincolo della Soprintendenza alle Belle Arti.

Dove ora è il tennis (sul quale gioca nessuno), erano orti coltivati da un manente che poi fu allontanato dalle suore; dove è il berçeau era la ‘passeggiata delle novizie’.

   Durante la guerra del 1940-5, avendo subito gravi danni, buona parte fu sottoposto a decisi rifacimenti; sono intuibili i muri esterni frantumati dalle bombe e rifatti (esempio lungo la salita Belvedere in quanto cadono a perpendicolo col terreno del vicolo mentre quelli antichi sono lievemente svasati a rinforzo della base) . 

   Il Pagano/1950  al civ. 1 si segnala la presenza dell’ «Educatorio ‘Presentazione’ (Pietrine)».

  Dal maggio1998 -chiuse tutte le scuole- è divenuto “Residenza Pietrine”, istituto di residenza protetta per 65 anziani ambosessi, autosufficienti e non, in camere singole e doppie (ad essi è stata dedicata un’intera ala dell’edificio, con camere singole, confortevoli, munite di Tv e telefono; completano l’arredamento una palestra per fisioterapie riabilitative e sale di accoglienza comune, un bello spazio verde di oltre 4mila mq , ai cui estremi in alto si ergono alcuni rari fusti di alberi di canfora. Se l’assistenza è ottima, la retta da pagare non è per tutte le tasche).

Nel 2009 una casupola sita in corso Martinetti pressoché sotto la chiesa – che per tanti anni ha ospitato auto ed anche gli scout - è stata abbattuta ed al suo posto è stata creata una aiuola rialzata (si dice per evitare posteggio abusivo delle auto).

 

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===civ.2: subito dopo la chiesa, sul lato  a monte, si apre il palazzo Doria, poi

divenuto Serra-DeMari, forse anche ***Ronco, ed infine alle attuali suore della Divina Provvidenza per l’ Istituto Don Daste e per la Fondazione di religione opera don Nicolò Daste (ente con personalità giuridica).

===i   DORIA  ghibellini, presero come stemma l’aquila nera posta su uno sfondo che nella metà superiore ha campo d’oro; in quella inferiore, argento.

In ascendenza, avi non interessati alla villa, furono:

Lamba Doria, con rispettivi figli Opicino→Bartolomeo→Giovanni→ DomenicoBartolomeo.

Quest’ultimo ebbe due figli Giovanni (la cui discendenza porta ai Doria di villa Franzoniane) ed Agostino (1).

1- 1466 AGOSTINO di Dom.co Bart.meo, sposo di Sobrana Grimaldi q.Nicolò. Essi ebbero quattro figli : Maria, Niccolò,  GioBattista (2), Giacomo (3),.

2 - GioBattista Doria  di Agostino 1470-1554 (Battilana pag.52). 

Pare che la villa sia stata edificata per suo volere sposo della mag.ca Gironima Lomellini q.Battista, non ebbe figli.

Già a 38 anni continuamente ricoprì cariche ufficiali per incarico del Senato come governatore della Corsica e confidente di Andrea Doria quando sbarcò il suo esercito per liberare la città dallo straniero. Senatore nel 1536, divenne  5° doge biennale dal 4 gennaio 1537 al 4 genn. 1539, anni in cui fece erigere la nuova cinta di mura  e ricevette Carlo V ed il Pontefice (che stimolò a far revisionare i monasteri che non vivevano l’opportuno spirito religioso).  La sua effige da doge, venne affrescata sul soffitto del salone al piano nobile (vedila sotto). Alla fine del mandato divenne  Procuratore Perpetuo. Morì nel 1554 e, deposto in una cassa di piombo,  venne sepolto nel coro della chiesa di san Domenico.

3 - GIACOMO, figlio primogenito di Agostino, fratello di GB. Sposò Battina DeMarini q. Goffredo con la quale ebbe 9 figli: Niccolò (4); Stefano, Eliana, Sobrana, Ginevra, Orietta, Agostino (5), Isolta e Girolamo). Fu unico genovese con rapporti e ritratto dal Tiziano (1489-1576). Fece parte della delegazione che andò a Piacenza a rendere omaggio al papa Paolo III Farnese, in viaggio verso Nizza per incontrare CarloV ed il re di Francia FrancescoI. Gestiva capitali e finanze a livello internazionale avendo occasione di risiedere anche a Venezia. Fu eletto  senatore. Non si sa se sopravissuto al fratello, allora lui erede della villa; o se dopo, ed allora erede fu subito uno dei suoi figli, non il primogenito e quindi come a significato che questa villa era un ‘bene secondario’ della famiglia.

4 - NICOLO’ qGiacomo, quindi  nipote di GB (zio) e di Agostino (nonno).

Dall’età di trent’anni ricoprì cariche pubbliche. Fu ambasciatore a Venezia; a Brescia acquistò il campanone del palazzo ducale. Fu eletto 27°doge  biennale,  dal 20 ott.1579 al 1581, primo ad avere il titolo di ‘serenissimo’. Sposo di Aurelia Grimaldi q.Niccolò (detto ’il monarca’), ebbero 9 figli, tra i quali  GioStefano (doge nel 1633), GB (6)., Marcantonio, Giacomo,  Camillo, Livia, Maria (7), GioGirolamo, GioPietro). Morì il 13 ott.1592 a 76 anni e sepolto in san Matteo).

5 - Da GB, perché senza figli, appare che la villa diventò proprietà nipote Agostino figlio di Giacomo, omonimo del nonno. Doge nel 1579. Il 15 luglio 1587 acquista da Nicolò Grimaldi –per conto del fratello Nicolò e di Barnaba Centurione- tutti i beni ‘profanati che erano il monastero del s.Sepolcro. Con bolla datata 1 gennaio 1606 fece erigere nel nostro palazzo  la cappella-oratorio, su licenza papale di PaoloV. Si fece ritrarre in miniatura con la famiglia, da Guilliam van Deyen (L’Età di Rubens, pag. 204). Sposò Eliana Spinola q.Goffredo da cui ebbe 7 figli vissuti a cavallo tra il 1500 e 1600: GiacomoMassimo (8) primogenito; GioLuca; GioCarlo (9); Marc’Antonio (10); Battina e Virigina. Morì nel 1607).

6 – GB di Nicolò è citato nell’epigrafe marmorea murata in controfacciata relativa a papa PaoloV, datata 24 febb.1607. Chiesa e monastero ottengono -su richiesta di GB-  speciali indulgenze avendo risposto ai requisiti voluti.

7 – Maria di Nicolò sposata a Gaspare Spinola, ebbe figlia Brigida Doria-Spinola ritratta da P.P. Rubens.

8 – Giacomo Massimiliano fu –nel 1605- il primo marito di Brigida Spinola di Gaspare, senza prole. Morto prematuramente nel 1613, ella si risposò nel 1621 con GioVincenzo Imperiale.

9 – GIO.CARLO. 1577-1629- terzogenito dell’ex doge Agostino; fratello di Giacomo Massimiliano e Marcantonio. fu ritratto a cavallo dal Rubens.

GioCarlo, incisione di Simon Vouet      

 

Sposò Spinola Veronica q.Ambrogio nel 1608 che rimase vedova nel 1629 dopo aver avuto (Battilana) 2 figli (GioGirolamo ed Agostino quest’ultimo, che Boccardo scrive unicogenito, morì nel 1640). Fu doge nel biennio 1601-3,  politicamente legato ai ghibellini, anche lui fu grande collezionista e mecenate d’arte: attorno a lui ruota gran parte  delle vicende collezionistiche genovesi del primo quarto del seicento. Dal 1988 è tornato Genova, palazzo Spinola, un suo grande ritratto a cavallo del 1606 del Rubens ove vi appare con le insegne dell’Ordine di san Giacomo concessegli dal re di Spagna Filippo III nel 1606 (divenuto proprietà del figlio Agostino e poi –dal 1640- del fratello Marcantonio che lo destinò a GioFrancesco, la tela ebbe numerose peregrinazioni divenendo anche proprietà di Adolf Hitler). Ricevette in regalo dal Granduca di Toscana un bel cane chiamato Mugnaio –simbolo di fedeltà-, che ebbe l’onore di una lirica da parte di GB Marino e di essere effigiato da B.Pagano col padrone. Al Louvre è invece un olio col suo ritratto, di Simon Vouet del 1621 quando soggiornò a SPd’A; e del Procaccini il suo volto per san Giacomo (l’Eta di Rubens-pagg.211-12-32).

 

10 - MARC’ANTONIO o Marco Antonio Doria, o Marcantonio I, 1572-1651. Nato da Agostinio (doge 1601-3), passò col fratello lungo tempo a Napoli – sua seconda patria - per imparare l’arte dell’essere mercanti (investimenti, capitali e beni fondiari), contattando nel frattempo artisti vari ed affinando le sue innate qualità di intenditore e cultore d’arte, ed ove diede origine -comperando tramite giureconsulto e per 40mila ducati un feudo di Angri nel salernitano-  al casato dei Doria d’Angri che nel 1636 fu elevato a principato per concessione di Filippo IV di Spagna (ramo che si trasferì definitivamente a Napoli agli inizi del 1900 con Marcantonio VI). A Napoli la famglia aveva cospicui ingteressi, e lui li seguì con attenzione

Nel sud consolidò il commercio e l’esportazione granaria calabrese, e comperò una vasta distesa paludosa ad Eboli per l’allevamento dei bufali.

A Genova si dedicò all’alta imprenditoria, ereditando anche la cospicua parte del fratello Giacomo, e dei cugini (che convivevano con lui a Genova, GB e GioStefano) tutti morti privi di discendenza. A vent’anni sposò Isabella DellaTolfa figlia del conte Carlo di san Valentino e già vedova di Agostino Grimaldi duca d’Eboli e principe di Salerno, gestendo i lautissimi beni che la vedova gli portò in dote; con essa ebbe 5 figli (Niccolò primogenito 1599-1688, sposo di Maddalena Spinola qAntonio, morto senza eredi; GioFrancesco secondogenito, che però sopravvisse al padre solo per due anni (1601.1653); Vittoria che sposò Agostino Spinola marchese di Lerma; Margherita fattasi suora nelle Monache Turchine di Castelletto; Barbara). Nella sua indole imprenditoriale, non era distaccto dalla politica cittadina, assumendo cariche  di alta responsabiltà: per undici volte tra i trenta dei Consigli e le quattro estrazioni nei Collegi; procuratore (1625-6) col titolo di illustrissimo; senatore (1628-30 - 40-41 e 50-51: quando morì ‘in carica’) =erano tempi nei quali gli olgarchi si dividevano in ‘nobiltà vecchia e nuova’, mentre gli spagnoli ‘si contavano’ (filospagnoli-i quali, da ‘tutti’, ora erano in fase calante di condivisione), per contrastare il crescente numero dei repubblichisti. E stare di qua o di là costava la carriera..  

Si trovò a difendere Bernardo Strozzi , nel 1625, alle accuse di Luigi Centurione; sempre stando attento al concetto artistico da essere un committente anche di Rubens.

Nel 1630 fece parte di una deputazione incaricata di ricevere – di passaggio a Genova -  la regina d’Ungheria, Anna Maria d’Austria

A San Pier d’Arena fu molto legato, frequentandola quando era conosciuta come ‘della loggia nella principale strada del borgo’. Il 4 giugno 1613 dal fratello GioCarlo -notaio Nicolò Zoagli- ricevette il pieno godimento della «domo cum ruri sita in Sancto Petro Arenae». In questa casa nell’ottobre 1637 morì il venticinquenne Nicolò Grimaldi duca di Eboli, figliastro per Marcantonio essendo figlio di primo letto della moglie. Quando fu aperto il testamento del giovane si apprese che il desiderato era “lascio il corpo mio alla terra mentre si donerà alla cappella che i miei antenati han fatta nella chiesa di san Pietro detta la Cella in la villa di s.Pier d’Arena”.

Fu uomo politico, ambasciatore a Mantova nel 1619; non mancarono spiccati interessi artistici (attratto in forma determinante dal caravaggismo, dai suoi stilemi e dalla commissione di tele di suoi imitatori), culturali (letteratura, amicizia con Ansaldo Cebà) e spirituali ( frequentazione con  teologi, preoccupandosi del destino dell’anima e della retta conduzione familiare; l’ansia religiosa lo portò a raccogliere un vasto reliquiario –tra cui quella del preziosissimo sangue di san Giovanni Battista, protettore di Genova, ricevute dalla chiesa napoletana di san Giovanni a Carbonara) . Un suo ritratto, di Justus Sustermans datato 1649, lo mostra 67enne, due anni prima della morte. (L’Età di Rubens.pag.215).

 

    La casa principale e cittadina dei Doria, di proprietà paterna, era in vico Gelsomino (vicino a piazza s.Matteo-vico Falamonica), ma assieme avevano la villa ‘di campagna’ a San Pier d’Arena, dove viene ripetutamente descritto l’esistenza di un “delizioso casino”,  posto “poco distante dalla sua casa di campagna” abbellito da una loggia da cui si doveva godere di un panorama idilliaco. Fu Marcantonio quello che più di tutti curò questo secondo edificio che così storicamente passa concordemente col suo nome: Casino di Marcantonio Doria Nell’accezione antica di allora, era ‘casino’ il luogo scelto dagli uomini per incontri di divertimento, sportivo in genere ma anche letterario o di gioco, discosto dalle mura di casa di evidente maggiore ‘dominio’ femminile. Pochi, ma assai ricchi i collezionisti genovesi di allora, attenti ad artisti emergenti il mondo di allora o di collezioni da ricuperare, comunque capaci in silenzio di comporre quadrerie  di alta qualità e quantità. Purtroppo alla loro morte, queste collezioni da passaggio ereditario all’altro, vennero alienate ed a loro volta disperse.  Per questo edificio, è del  1605  una proposta di Marcantonio a Caravaggio -di passaggio per Genova proveniente da Roma invitato dai Sauli-, di decorare una loggia del casino pertinente la villa di Sampierdarena. A seguito del netto rifiuto dell’artista, nel 1610 l’incarico fu affidato a1 decoratore napoletano Battistello Caracciolo con le storie di Abramo e di sant’Orsola (per questo lavoro ‘opera fatta a olio ed a fresco’,  fu pagato a Napoli nel dicembre 1618, ma un documento dimostra che nel 1624 il pittore era ancora attivo nella villa; risulta che nel 1620 il nobile proprietario possedesse una ventina di tele dell’artista napoletano, il cui tratto pittorico, colore ed ombre, fu di meditazione -e passaggio alla pittura prevalentemente di colore- a D.Fiasella). Gli successe nella decorazione Orazio Gentileschi negli anni 1621-4 (Pisa 1565-1647; il Ratti dice che morì quarantenne a Londra ove aveva vissuto per 12 anni ed ove fu sepolto in gran pompa sotto l’altare maggiore della regia cappella di Sormersethaus; sul Secolo si scrive che morì a Londra nel 1639). Era stato uno dei primi a cogliere il colore e lo stile del Caravaggio; adottò questo stile a Genova nel suo non breve soggiorno. I dipinti del Gentileschi però andarono tutti distrutti con l’abbattimento dell’edificio.

Sia nella villa, che nel casino: non viene descritto come i quadri fossero distribuiti; gli affreschi sui soffitti rappresentavano come d’uso, fatti religiosi: si sa solo di una sala, ove il quadro centrale raffigurava ‘Abramo trattenuto dall’angelo prima del sacrificio del figlio’; esso era circondato da altri quattro riquadri rappresentanti storie di Giacobbe: ’Isacco benedice Giacobbe’, ‘Esau vende la primogenitura a Giacobbe’, ‘Giacobbe vede in sogno la scala misteriosa’, ‘Giacobbe lotta con l’Angelo’; nelle lunette erano rappresentati Mosè, Aronne, Giosuè, Giona, Davide, Giuditta, Giobbe e Sansone;  negli spazi delle mezzelune le quattro Sibille.  In altra sala c’era un “san Gerolamo atterrito dalla tromba del final giudicio”. Altrove si vedevano un “pazientissimo Jobbe dalla moglie indiscretamente rimproverato” ‘Mosé vicino al rovo ardente’, ‘Tobia che seppellisce i morti’, ‘Tobia che ricupera la vista ungendosi col fiele del pesce’.  Tutti argomenti di repertorio ma insolitamente usati in funzione decorativa).

Nel 1610 Marcantonio grande collezionista d’arte, risulta compratore di opere del Caravaggio (il ‘Martirio di sant’Orsola’), di van Dick, di Rubens (che ritrasse il nobile a cavallo, in un quadro presente in palazzo Spinola di Pellicceria); del Ribera (il bellissimo ‘compianto sul Cristo morto’); e in seguito protettore di artisti come lo Strozzi (del quale fu mallevadore nella lite con Luigi Centurione per degli affreschi in Strada Nuova))-.  Nel 1621 assieme al fratello, ospitarono in questa villa il pittore francese Simon Vouet che li ritrasse entrambi (sebbene ad oggi è conservato al Louvre solo il grande ritratto del fratello Gio.Carlo, definito stupefacente per introspezione psicologica’).

L’edificio del ‘casino’ andò distrutto poco prima del 1700 .

Nel 1636 Domenico Sauli è amministratore dell’eredità dei fratelli Marcantonio II e Ignazio Doria figli di GioFrancesco e loro eredi: tra tanto, anche dei ‘beni a Sampierdarena’. Dal 1702 al 1716 esiste l’elenco settimanale delle spese per i lavoratori e fornitura di materiale per lavori edilizi nel palazzo di GiuseppeM Doria q.Ignazio in Sampierdarena

 La villa rimase ancora proprietà quindi di questa famiglia, per alcuni secoli.

   Infatti appare ancora  nel 1757, nella mappa vinzoniana, essere proprietà del mag.co Giuseppe Doria (il quale probabilmente (da vedere a Battaglini) è quello descritto da Battilana a pag. 64, discendente dal Marcantonio Doria di cui sopra, vissuto 1730-1816, che divenne doge nel 1795 e che sposò Isabella DeMari q Girolamo (e poi in seconde nozze Barbara Fieschi q. Ettore).

Acquistando anche una casa e terreno sottostante (da parenti -ma di un ramo diverso dal suo, e tra loro fratelli: Francesco  e Marc’Antonio Doria; quest’ultimo è lo stesso che ordinò la costruzione della chiesa di san Pietro in Vincoli) costituì una delle proprietà   più ampie del borgo - dopo quella degli Imperiale (poi Scassi), estendendola dalla via principale sino alla vetta del colle di Belvedere. Il terreno, dalla villa fino alla sommità, era dedicato a frutteto e bosco. Nel febb.1800 il governo della Repubblica Ligure ordinò un inventario di tutti i suoi beni quale ‘cittadino emigrato’ non sappiamo dove; non ebbe figli maschi, solo la figlia Maria Doria Cattaneo. Ereditò tutto un GioCarlo IV (1788-1854) primogenito del ramo cadetto proveniente da GioFrancesco che risiedeva a Napoli.

   Nel 1780 fece apportare dei restauri importanti e migliorie: sottostante casa, fece aprire un ampio e degradante giardino all’italiana (anche se ispirato alla francese di Versailles,  come dettato dagli usi dell’epoca), che si snodava a ventaglio, dalla villa fino alla zona compresa tra le attuali via G.B.Monti e corso Martinetti,  sino alla sottostante via principale -oggi via N.Daste -, al civ.28,  poco a levante della chiesa di Prae Giordan.  

Essa, eretta sul poggio, venne aperta collegandola alla strada principale (via Mercato-N.Daste) con lungo viale contornato da giardino; tutto viene così descritto: “nella principale strada del Borgo di San Pier d’Arena: sito, che comunemente chiamasi la loggia Doria”. Da ciò si presume che i numerosi riferimenti di una generica ‘loggia  d’alto’ siano legati a questo edificio.

     

 la villa antica, eguale ad oggi, ma con ampi                    foto del 1920

spazi attorno                    

Possedeva una cappella privata, posta a sinistra appena entrati dall’ingresso principale entro il portico; sull’altare di marmo, era un ovale con l’effige del ss.Rosario con san Domenico e san Carlo Borromeo. Sulla volta, un affresco con lo sposalizio di Maria. Tito Tuvo conferma riferendo che ancora nel 1813 quando la villa era ancora di proprietà Giuseppe Doria esisteva tale cappella.

Poi, col taglio di via A.Cantore, fu costruita a limitazione in basso, un alto muraglione a bugnoni, con una porta che dava accesso a piedi tramite una scalinata aperta tra i muri di recinzione (vedi foto in Gazz.Samp.) ed in carrozza lungo una strada che per salire compiva un tornante ad ampia curva. Nell’entrata, troverà sede la “Palestra Barabino” che nel 1905 organizzò una gara ciclistica nell’anello antistante

             

 in basso, la pista; dove poi                                     la nicchia visibile ancor        cosa rimane del giardino                                                                              

passerà via A.Cantore.                                            oggi: all’inizio di via             davanti: un corridoio, ed

Dietro la sommintà del palazzotto si vedono il      Battaglini; e nella foto,          un terrazzo sopra via

tetto della villa; ed in alto le ville Boccalatte          sopra, del 1920                      Farini

e Crosa-Antoniano

Il parco –fu disegnato da Andrea Tagliafichi, architetto genovese (1729-1811; dopo aver servito Cristoforo Spinola, acquisì tale fama da essere desiderato da tutti: primo ad essere servito fu Giuseppe Doria che nel 1780 lo aveva chiamato a San Pier d’Arena ove il Tagliafichi fu “specialmente ammirato (per) certo ingegnoso sforzo di meccanica; e ne uscì fama per le stampe, avarissime in que’ giorni a ragionare di belle arti”. Poi molto lavorò in città, giudicato il miglior interprete del nuovo metodo di decorazione  di interni per apportare stucchi, grottesche e chiaroscuri).

Questi utilizzando un tempietto preesistente, già di per sè elegante e leggiadro che sorgeva a forma di grotta vicino al palazzo; ricchissimo di coralli, maioliche e conchiglie,  con ingegnosa e ardimentosa  manovra lo spostò tutto intero in luogo più adatto poco lontano di 200 palmi, per un cammino tutto in declivio (quindi portati in basso, verso l’ingresso),  e vi  aveva inventato  fontane, laghetti, cascatelle, giochi d’acqua e una  grotta a ninfeo di eccezionale ricchezza decorativa:  con cupola – giudicata assai fragile ma - ricca di marmi di conchiglie e coralli.

Inizialmente anche questo attribuito all’Alessi; andò distrutto dall’apertura di via Cantore.

   Lo stesso architetto restaurò la villa, come minuziosamente rilevato dal Gauthier*** (1818-32), con una decorazione esterna neoclassica (un timpano sorretto da lesene ioniche), che si sovrappose alla precedente di stile palladiano;

sulla facciata aperta in salita Belvedere, sopra l’ingresso per i veicoli, cè l’icona di una Madonna alla quale era particolarmente devoto il Daste.

Mentre all’interno si trovano: a piano terra un soffitto con figure grottesche e lunette con paesaggi (già preesistenti all’ammodernamento);

          

atrio d’ingresso  - affresco centrale      idem - uno dei quattro laterali                  idem

       

piano terra - una stanza laterale                                        piano terra - bagno in marmo e soffitto

 

        

 quadri in sale laterali del piano terra                inizio e arrivo al piano nobile

 

al piano nobile, un salone rettangolare, con il lato lungo  rivolto al mare, articolato con breve galleria dal lato monte, in cui spiccano sia l’elegante decorazione a stucco bianco di gusto particolarmente raffinato, sia - nel soffitto del salone - i ritratti dei Dogi di casa Doria: si presume che proprio in queste stanze, il 4 sett.1793 Giuseppe Maria Doria - seppur inizialmente renitente a tale responsabilità - sia stato supplicato dai delegati dell’agonizzante Repubblica di assumere l’estremo ma vano onere del dogato,  per tentare di salvarla.

       

salone del piano nobile  - stucchi                                      affreschi                                affreschi e stucchi

 

        

piano nobile – salone                                                                          G.B.Doria divenuto doge

   

piano nobile – sala laterale

   Nei primi anni dell’ottocento, la villa divenne proprietà De Mari la famiglia della moglie di Giuseppe: antica,  nobile e potente, presente nella storia genovese -dai tempi di Carlo Magno nella lotta contro i saraceni-,  con dogi, navigatori e diplomatici; tra tutti , più famoso fu Ansaldo DeMari ingegnere e realizzatore delle mura del 1630 e del molo Nuovo del 1642.

   È tra il 1779 (data presunta) ed il 1786 (data sicura, tratta dall’elenco  pubblicato sul giornale “l’Indice de’ Teatrali Spettacoli”) l’uso di un salone al fine di Teatro, detto   ”della Loggia”; assieme a quello detto “della Crosa Larga” in palazzo della Fortezza, fu il primo teatro di dilettanti in San Pier d’Arena. Ultimo della famiglia in più documenti di fine secolo 1800, viene chiamato Ademaro (oppure Admaro o Adamaro)

   Alla fine del milleottocento divenne proprietà del marchese Serra. Ancora nel 1919, anziani ricordano i Serra (padre, moglie e figlio) partire ed arrivare da Genova in carrozza

   Una foto dell’epoca, mostra l’entrata nella villa probabilmente rientrata rispetto via Mercato, subito a levante dell’Oratorio della Morte; l’alto muraglione di cinta è interrotto da una muraglia di grosse pietre squadrate regolari, ed al centro uno stretto portale, bugnato a corona*** , con arco a sesto acuto.

   Nel 1910 la parte in basso del giardino fu attrezzata a pista ciclabile

   Nel 1920 viene demolito nel parco della villa, il cinema “Centrale”, ivi esistente da una diecina d’anni circa.

  Nel 1921, per interessamento del direttore sac. Davide Lupi, tutta la proprietà, sempre ricca di 2mila mq di terreno, divenne sede dell’Istituto don Daste, gestito dalle suore della Divina Provvidenza (istituto descritto in via Carzino).

Nel terreno accanto alla villa, nel 1923 venne edificata una casa di 4 piani -con al pianoterra una tipografia-teatrino, sala adunanze al piano superiore ed una cappella (ove sarà trasportata la salma di don Daste nel ‘24 , in una tomba in marmo opera del prof. Daniele Danusso di Torino) al terzo piano. Allo scopo, in luglio, fu fondata la soc.an. “La Costruttrice” per lo sviluppo degli Orfanatrofi femminili “Don Daste”, mirata allo sviluppo dell’Opera Divina Provvidenza Don Daste: essa emanò 4mila obbligazioni da £.100 al portatore firmate da Davide Lupi (4% annuo netto di imposte e tasse, rimborsabili in 25 anni a partire dal 1934).

 

 

 

 

 

Nella tipografia, definita ‘propria’, venne stampato “l’Eco di don Daste” bollettino mensile illustrato ‘per il mantenimento delle 150 (nel 1923) orfanelle’.

 

Nel 1931 (tel 41-144) già si facevano promotrici della ‘pia opera della Messa quotidiana perpetua’ (che poi verrà ripresa dai sacerdoti Oblati della chiesa sottostante con la preghiera perpetua – ovvero 24/h su 24) e della oblazione del ‘pane di s.Antonio’ necessario per il mantenimento delle ricoverate.

Permangono a tutt’oggi (2008) gli impegni –per l’istituto religioso in quanto accoglienza, scuola (materna ed elementare) di educazione, formazione ed istruzione morale  delle fanciulle e della gioventà più bisognosa. Numerosa la comunità indiana tra queste suore: su oltre 40 suore, negli anni 2008 hanno celebrato il 25° di professione religiosa suor Vallavhirakan Lucia, Chirayath MariaLucia, Yhattil Maria, Chirayankandath Letizia.

A Genova, oltre  la nostra casa (madre e generalizia), le suore prestano servizio anche nelle scuole materne di SestriP (via Vado); Prà (via Murtola); Bogliasco (via DeMarchi).

    Dal 1934 l’edificio è posto sotto tutela e vincolo delle Belle Arti.

   Nel dopoguerra divenne asilo ed anche scuola elementare;  si narra che allora, la superiora suor Elisabetta ebbe un consistente dono col fine di erigere una cappella, esterna alla villa, mancante nella struttura religiosa  e progettata dove sino ad allora era l’orto. Quando avvennero i lavori, la ruspa trovò sottoterra una bomba inesplosa – fata risalire al bombardamento navale del 1941 - che venne rimossa dagli artificieri; al suo posto venne collocato la fondamenta del secondo pilone destro; la cappella fu consacrata dal card. Siri e l’evento fu colorito di religioso miracolo (bomba inesplosa scoperta con lo scavo; artificieri; medagliette gettate dalla suoperiora in ogni foro per fondamenta, ecc.

   Nel ’52 alla villa fu aggiunta una nuova ala con funzione cucina-refettorio ed iniziò una scuola noviziato e formazione delle suore; nel ‘57 si aprì anche una scuola di addestramento professionale per maglieria, taglio e confezioni per arrivare al diploma di artigiano professionale qualificato. Anche la chiesa del SS.Sacramento si inserì nel territorio (vedi via GB.Monti).

Quasi tutto del giardino e della proprietà  fu o espropriato o venduto, cosicché le abitazioni private  ora incalzano da vicino la villa soffocandone gli spazi e l’estetica generale che una volta costituivano una delle bellezze più clamorose del borgo.

 

===civ. 3 fu assegnato nel lug.1971 ad una porta, accesso secondario del 34D di corso Martinetti 

===civ. 4 fu demolito nel magg.1967 ; l’ 11 nel 1970 .

===civ. 5 e 7 furono demoliti e ricostruiti nel 1967; lo stesso il 9 (1970).

     

negli anni 1970                      2010

   Prima dei due villini sotto descritti, la crosa forma un doppio tornante che era già presente nella carta vinzoniana e legata a un punto di erta e ripida salita.

===civ. 6 ed 8: due villini novecenteschi, chiamati palazzina Meda (o Boccalatte) e Giunsella, di piccola dimensione, con torretta sopraelevata con funzione di belvedere. Sono visibili ancora da soli, isolati sul crinale, in foto del 1904. Ora  sono divisi in appartamenti abitativi.

   Al civico 8, nel 2008 ha sede la Soc.Culturale ZENA ANTIGA il cui presidente è Angelo Rebagliati. Fa parte della Associazione Città di Genova, e – insieme - della Consulta Ligure. Curano i costimi antichi, specie popolari, e relativi balli, canti e folklore.

     

 

 da via Battaglini

 

===civv. 13, 13abcdefg  risultano nuove costruzioni del 1971

===civ.14 e 16: nuove costruzioni del genn.1961-2

 

===civ.15villa Crosa, De Franchi, posta a metà circa del tratto superiore della salita sul versante a levante.

  

la villa vista dal basso (2008)                            giardino ‘di sotto’

 

  giardino ‘di sotto’

 

panorama di levante, dalle finestre di villa Crosa

 

  Nata nel XVII secolo, nella planimetria vinzoniana del 1757 risulta proprietà dei mag.ci Crosa (gli stessi della villa in via N.Daste e segnato sulla carta del Vinzoni- di vasto appezzamento di terreno boschivo a nord di salita Bersezio),  quale probabile casa rurale, con ampie fasce adibite ad uso coltivo sul versante sud-est del colle (oggi di altri proprietari ed in gran parte occupate dall’incalzante edificazione abitativa). Viene citata dai fratelli Remondini nel 1897 perché  “Nel luogo detto cima della Crosetta, i Marchesi Crosa hanno Cappella di N.Signora della Misericordia”.

   Passò poi ai DeFranchi (albergo chiamato De’Franchi, fu formato da diverse famiglie patrizie genovesi (inizialmente i DellaTorre, Figoni (Ascheri accetta che possano essere sampierdarenesi), Tortorini, Vignosi, Lusardi, Guani, Magnerri, Sacchi,Pagana; poi si aggiunsere altri tra cui i Toso ed i Boccanegra), unitesi nel 1393 per discordie e guerre civili e  che annovera religiosi, militari e poeti. Dei DeFranchi di origine Figoni, vengono ricordati un Battista di Raffaele, nel 1431 podestà della Tana; e suo fratello  Cattaneo capitano di una galea mandata in soccorso di Scio e poi impiegato per altri magistrati. Nel 1478 Giovanni fu uno dei 12 cittadini popolari eletti in difesa del popolo. Nel 1508 Antonio di Stefano fu nel consiglio degli Anziani e quattro anni dopo inviato console ad Alessandria di Egitto.

L’insegna aveva un falcone, cambiato a fine 1300 con tre corone d’oro in campo vermiglio e sovrapposte alla croce rossa in campo bianco della Repubblica.

 L’ultimo di San Pier d’Arena sposò una famosa pediatra locale, dott.ssa Balboni che gli sopravvisse senza prole; abitarono in via Cantore 40 negli anni 1960-70. Possedevano un meraviglioso olio di Vernazza riproducente la collina di Belvedere, ora di proprietà di nipoti).

Essi la trasformarono volumetricamente ad L, seppur mantenendo il prospetto principale rivolto a sud, ricevendone in sostanza una sistemazione più rappresentativa specie con nuovi portali (sia nella facciata nord che quella sud), ed assumendo l’aspetto della tipica villa genovese tradizionale.

    Nel giardino antistante, un leone coricato, fa da guardia all’ingresso;  e, in una aiuola, c’è una fontana con grottesca (foto sotto, al centro).

           

Angolo nordovest gel giardino con sopra il parco pubblico   

      

parte a mare del piazzale superiore                  attuale ingresso alla villa                      

   L’interno vede un seminterrato adibito anche a cucina; un piano terra con ingresso dal giardino a monte (da dove si entra dalla salita Bevedere; e che rimane piano nobile dalla facciata a mare), decorato nei soffitti (e ospita una ampia cappella nella parte a ponente);

                                                             

                                                                                                  

atrio d’ingresso

ed un ammezzato a tetto, con le spaziose camerette e l’aula scolastica per i bambini ospitati.

  

La decorazione del piano nobile è ottocentesca, affrescata ai soffitti con stile barocco-grottesco (in alcuni riquadri, ci sono belle vedute di Genova e paesagg di fantasia).

                           

  

   Nel 1934 fu posto sotto tutela e vincolo della Soprintendenza alle Belle Arti

   Dopo i DeFranchi, passò di proprietà all’ Orfanotrofio femminile, retto da religiosi che lo chiamarono “Istituto Antoniano femminile, Figlie del Divino Zelo” del padre Annibale Maria di Francia (una piccola targa, ne comunica l’esistenza allo sbocco del corso Belvedere con corso Martinetti). Il fondatore, nato terzogenito a Messina il 5 lug.1851 dalla nobile famiglia dei marchesi  di   santa Caterina dello  Jonio (il padre Francesco era  viceconsole pontificio e capitano di marina; la madre Anna Toscano dei marchesi di Montanaro).  Essendo rimasto orfano di padre a meno di due anni, la madre non riuscendo a reggere quattro figli, fece ospitare il bimbo da una zia  che però dopo un anno morì di colera; anche lui fu contagiato dalla malattia e ciò lo fece rientrare in famiglia. Nel 1858 entrò in  collegio dai Cistercensi; visse così la sua prima gioventù di nuovo lontano, seppur in ambiente agiato; ma nel 1866 fu soppresso l’Ordine religioso e dovette proseguire privatamente. Colpito nel 1868 dalla folgore religiosa, malgrado il parere negativo della madre, assieme al fratello minore, decise farsi sacerdote (favorito dall’aver conosciuto affiliati al “battaglione sacrilego”: molti sacerdoti –alcuni spretatisi-preferirono seguire Garibaldi sbarcato nel 1860, favorendo in Sicilia l’ondata laicista e  liberal-massonica dei garibaldini. Nelle diocesi sicule si era così instaurato un grave disordine morale con abbattimento drastico delle vocazioni sacerdotali). Così, neosacerdote a 27 anni iniziò l’apostolato vivendo in mezzo ai poveri e per i poveri; più reietti erano, e più lui era presente, ricevendo i consensi della misera gente e troppo spesso l’altero e disgustato rifiuto di tanti benestanti , degli amici e del clero stesso. Come in Don Bosco, don Daste, don Franzone e don Orione, nel 1882 l’idea dei giovani abbandonati divenne prioritaria:  iniziò a raccoglierle dalla strada e con mille fatiche ad organizzarsi, facendosi aiutare da alcune giovani che vestito l’abito religioso, diedero vita nel 1887 alla congregazione delle “figlie del Divino Zelo”; dieci anni dopo i primi collaboratori  iniziarono i “ Rogazionisti (dal latino = coloro che pregano) del Cuore di Gesù”.    Superando mille difficoltà, dal comune giornaliero bisogno di mangiare e dar da mangiare qualcosa, ai grossi debiti per la casa, riuscì a farsi aiutare da tre confratelli ed a creare una istituzione che ha lasciato traccia ovunque nel Paese di carattere educativo ed assistenziale. Tre grossi eventi furono  significativi: durante il colera del 1887 una ricca signora fece il voto a sant’Antonio da Padova di provvedere al pane dell’orfanotrofio se i suoi figli si fossero salvati dall’epidemia; questo si avverò, e per anni non mancò il pane ai fanciulli; fu chiamato il ‘pane di sant’Antonio’, ed a questo santo fu dedicata una venerazione particolare, significativa e duratura da parte di tutta la congregazione, tanto che l’istituto si chiama ‘antoniano’.  Secondo evento fu l’ospitalità offerta a Mélanie Calvat, una veggente di La Salette cui era apparsa la Madonna, e che aveva necessità di sottrarsi alla morbosa curiosità di tanti fedeli: donna energica e volitiva, fu decisiva per dare struttura alle suore della congregazione, creando una serie di laboratori femminili con maglieria, corde per sedie, fiori di carta, berretti, sino ad un telaio per tessere. Anche per i maschi si creano una tipografia, calzaturificio, falegnameria e mulino con pastificio.  Terzo evento fu la salvezza di quasi tutti gli ospiti dell’istituto, quando Messina fu colpita dal terremoto il 28 dic.1908: alle ore 5,20, in 37 secondi, tremendi scossoni accartocciarono le case ed uccisero 80mila persone (morirono anche 13 suore).

La prima guerra mondiale offrì la possibilità di aprire un altro istituto vicino a Bari per ospitare le orfanelle dei caduti; ed un altro a Padova per i feriti e calzature per i soldati, mentre il canonico ristorò ed ampliò la casa messinese. Il  1 giu.1927 padre Annibale esausto e debilitato si spense. Fu riconosciuto Beato il 7 ott.1990 ed innalzato agli onori dell’altare da papa Giovanni Paolo II.

   Durante l’ultimo conflitto mondiale, la villa fu occupata da un comando tedesco. Il sig. Bertaglia ricorda la presenza di due carri armati in giardino, che per entrare dovettero abbattere una parte del muro di cinta sulla crosa. 

   Il 9 apr.1947, cinque suore della comunità presero possesso dell’istituto, sampierdarenese, aprendo una scuola materna; l’anno dopo quella elementare e nel 1987 la casa per ragazze madri in difficoltà.

   Recentissimamente, per adattarsi alle leggi anti-infortunistiche e preventive, l’intera struttura è stata restaurata e  ammodernata ed arricchita di una nuova costruzione vicina capace di ospitare in modo decoroso le numerose persone bisognose di questo tipo di assistenza: pur ospitando bambini dai 3 ai 16(se femmine)-10(se maschi) anni, e ragazze madri è scomparsa la parola orfanotrofio, sostituita da ‘istituzione assistenziale’. L’istituto, sempre gestito da suore, accoglie in un ambiente pulito, allegro e ben fornito sia  bambini, figli di ragazze nubili o immigrate o separate comunque sempre in difficoltà ed in situazioni psicologiche affettive di grande sofferenza, tensioni e conflitti sociali; qualche volta le terribili situazioni affettive delle ricoverate, sfociano in dramma: come quella madre di 27 anni, originaria del Madagascar con tre figli, che nel giu.2001 dopo aver denunciato il marito italiano per maltrattamenti, si è impiccata nella sua cameretta.

=== un ampio giardino pubblico, sempre aperto, si apre sulla destra, cento metri prima del santuario e sopra la villa precedente con la quale confina a sud. Si estende su due piani sovrapposti

  

piano superiore                                               ingresso (a destra) e piano inferiore (a sinistra)

Nacque dopo un contenzioso tra il comitato di quartiere ed un costruttore (Fossati, ex presidente del Genoa, mentre questi stava costruendo i due caseggiati sottostanti in corso Martinetti (chiamati ‘del sole’); le “voci” dicono che essendo state riscontrate alcune gravi “irregolarità” (sfruttamento non previsto ad appartamenti, anche dell’abside,  il giardino ben strutturato e con funzione di oasi verde  fu ottenuto -come pure un appartamento in altra casa di proprietà del costruttore da adibire a sede delle manifestazioni del comitato sociale locale- in cambio di una “pace sindacale”, altrimenti sarebbe stato ostacolato e danneggiato gravemente nei tempi di costruzione). Appena completato, fu donato al Comune, che ne cura la pulizia. È una piccola oasi per chi ama gli animali, essendo il giardino in posizione scomoda per altre funzioni.

=== 15a  dato a nuova costruzione eretta nel 1985

=== all’inizio del secondo tratto di salita, dopo le scale di quota 40, esisteva un “convitto don Minetti” in villa, visibile in foto del 1904, ma non documentata (probabilmente è la scuola aperta a  nome del sacerdote, in SPdArena – vedi in via Buranello).    TuvoT-come eravamo-.33foto.74.79 (non c’è in Pagano/33)

=== civ. 19  è la casa affiancata a mare della chiesa;  le altre dietro,  sono  senza numero, aperte dal parroco a  gente che lui assiste.

===civv. 24. 26 assegnati nuovi nel 1962

villa Lomellini (civ. 26):  nel lato a ponente della salita, per la planimetria del Vinzoni -1757 -si era nei terreni del mag.co Lomellini  Lorenzo, che possedeva tutto il versante a ponente del colle, strutturato a fasce coltive e boschive. Questi possedeva due ville: la prima, divenuta proprietà Bocci, ora scomparsa, era in basso (vedi v.GB Monti 20); la seconda posta  proprio allo sbocco  sul piazzale, è tutt’oggi un fatiscente edificio rettangolare col lato lungo e l’ingresso principale sul piazzale stesso, da molto tempo abbandonato (inaccessibilità degli eredi ?) e parte del tetto sprofondato (2010)

   

facciata a nord                                                                                            

 

                                                                      facciata a ovest

***La descrizione a pag.48 su “Le ville del genovesato” è di quella d’angolo; la foto invece appare essere di quella villa ristrutturata, 50m. sotto lo sbocco di salita Belvedere; di proprietà arch.Vermicelli ?=a voce).

***la chiesa è descritta in corso Belvedere

***il forte è descritto in salita Millelire

 

BIBLIOGRAFIA

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-Durante A.-don N.Daste-DonDaste.1984- pag.75

-Farina V.-L’Età di Rubens-Skira.2004- pag.189

-Gazzettino S.:   7/75.5  +  6/77.10   +   9/92.3  +  8/94.7

-Genova rivista municipale:  1/39.20  +  9/43.30 foto distruzioni

-Gregori M.-Pittura murale in Italia-Ist.San Paolo IMI.1998.vol.III-pag.80

-GuidaSagep 59.21  

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-Semeria GB-Secoli cristiani della Liguria-1843.vol.I-pag. 444

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-Vanzan PS.-Annibale Maria di Francia-La civiltà cattolica.2004-pag.228

 

 

 

 

 

 

 

 


3)                                                 Il    PIAZZALE  

È posto al termine del corso, davanti alla chiesa.

Da qui, la fama da tutti descritta della bellezza del panorama che si gode.

Viene descritto anche da solo, perché anche se non ha un nome autonomo proprio, legalmente riconosciuto, è stato soggetto a infruttuose proposte di divenirlo. E quindi merita discorso a se stante.

 

 

Questo spiazzo fu preso di mira dalle autorità militari, perché in posizione dominante la città industriale. Così il Genio piemontese intese, subito dopo la ribellione del 1849, occupare tutto – compresa la chiesa da distruggersi – per farne una base di cannoni. Come si descrive nella storia della chiesa, l’idea fu accantonata quando si convenne costruire il forte  nelle balze sottostanti.

In attesa del completamento del ‘forte Belvedere’ (descritto in salita GB Millelire,  lo spiazzo fu egualmente occupato da batterie di cannoni detta “di sopra”.

 a destra, la postazione di cannoni

1884  ancora in questa data nella piazzola (detta ‘superiore’ per distinguerla da quella sottostante -o inferiore armata di 6 obici da 28 cm. anch’essi rigati)  erano presenti quattro cannoni  da 24 cm. di tipo GRC-Ret ovvero ‘ghisa rigata cerchiata a retrocarica’.

Di essa rimangono delle fotografie ed una lapide, applicata nell’interno del muretto che attualmente separa il circolo Belvedere dalla strada, che in maniera sibillinamente ironica recita “PRIMA DEI TIRI SMONTARE – LA CANCELLATA ANTISTANTE – AL CIGLIO DI FUOCO”;  segue in piccolo la firma, non ben leggibile. Dimostra varie strane interpretazioni:  una cancellata, che ci può strare essendo luogo frequentato da civili;  dei serventi, forse non del tutto esperti di ostacoli al proiettile... un po’ ridicolo, ma se inciso sul marmo...; ma soprattutto il puntamento in basso, attraverso la cancellata, che sembra più mirato verso la sottostante città che tendenzialmente in alto verso un ipotetico nemico proveniente dal mare.

                                                                                   

                                                                                                        inutile tentativo di leggere la firma

Si presume, vista la precarietà legata al completamento dei lavori del forte, sottostante, che la piazzola non fosse interamente scavata a terrapieno, anche se probabilmente possedeva le strutture importanti, tipo l’abbinamento a coppie, separate da murature inerbate. Gli obici erano poggiati su affusto a ruote per assorbire il contraccolpo; ed in più in particolare, avevano nel sottafusto un  ruotino posteriore che scorrendo su una rotaia semicircolare consentiva variare la direzione di puntamento. Ogni piazzola possedeva a lato un telemetro. Inizialmente i proietti erano ancora sferici. 

Sul fianco della postazione erano talvolta collocati edifici in muratura che ospitavano gli ufficiali e serventi, i servizi ed i depositi e magazzini vari; mentre quelli di munizionamento erano situati distanti dalla linea di fuoco e richiedevano strutture apposite per illuminazione dei locali e per il trasporto: vagoncini su rotaia, carrelli elevatori e montarichi  a manovella.

   Nel 1906 fu previsto dare un nome alla piazzetta antistante l’ingresso del Santuario .

   Ma evidentemente non se ne fece nulla, anche se nello stradario per la classificazione delle vie e piazze della città edito dal Comune nel 1927 compare “piazza della chiesa Belvedere”, di 5° categoria; considerando che ‘corso Belvedere’ allora non esisteva.

    E - sempre inutilmente - nel 1933 si ripropose il nome di  “Piazzale della chiesa di Belvedere”.

   Attalmente non ha autonomia toponomastica, risultando l’ingresso della chiesa in ‘corso Belvedere’ .

 

BIBLIOGRAFIA

-Pagano/1961

-Archivio Storico Comunale

-DeLandolina GC- Sampierdarena-  Rinascenza .1922-pag.31

 

 

 

 

 

4)                                                 CORSO BELVEDERE

 

 

TARGHE: corso Belvedere

 

angolo con corso LA Martinetti

 

dal Santuario

 

QUARTIERE ANTICO: Belvedere di Promontorio

 in giallo, salita al forte della Crocetta; in celeste salita V.Bersezio; in fucsia salita Belvedere. In verde antico tratto del corso. Da M.Vinzoni, 1757.

 

N° IMMATRICOLAZIONE:  2724   categoria

da Pagano 1967-8

 

 

CODICE INFORMATICO DELLA STRADA - n°:  05000

UNITÁ URBANISTICA : 24 – CAMPASSO

                                            27 - BELVEDERE

 

in rosso via R.Baden Powell; il giallo corso L.Martinetti; il fucsia, salita Belvedere; in blu il Santuario. Da Google Earth 2007.

 

CAP:   16149

PARROCCHIA:  N.S. di Belvedere (dal 21 al 57 e dal 16 al 22)

STRUTTURA:

 doppio senso viario, da corso LA.Martinetti   a  salita Belvedere.

CIVICI del corso

UU24 = NERI=    da 16 a 32           compreso 16BC; mancano da 22→30

              ROSSI = da 10r e 18r        (mancano da 2r→8r e da 12r→16r) 

UU27 = NERI   = da 21 a 59   (compreso 25AB; mancano 1→19, 41)

                              da 36 a 44

              ROSSI = da 3r35r (mancano 1r, 9r, 13r→31r)

                             da  22r a 36r (mancano da 2r a 20r)

 

Nel Pagano 1940 sono descritti solo tre civici rossi (nessuno nero) con: 12r trattoria ‘Bella vista’ di Stoppino E., tabaccheria, 25r osteria di Villa L.

Nel Pagano 1950 esisteva una sola osteria al 25r di Parodi F.

Risultano nuove recenti costruzioni il civ. 57-59 (feb.1958); 27 (genn.1963); 32 (genn.1967); 36 (giu.1969); 51-53 (lug.1970); 43-45-47-49 (ago.1971);   42-44 (mag.1974); 38 (mar.1976).

Risultano invece variati il 25a (dal genn.1963 ; era 27) ; il 40 (dall’ago.1974 ; era 22) ; il 25b (dal dic.1986 era senza numero); il 16b e 16c (dall’ago.1987, senza n°).

   Nel febb.1984, con la titolazione di via Baden Powell, tutti i numeri civici relativi – già in forza al corso -, furono variati.

==civ. 28 (non ha esternamene un numero; ma è tale se 26 è la villa sul piazzale, ultima della ‘salita’): il Circolo Ricreativo Belvedere, delle ACLI, nato nel sett.1952,  munito di vari campi da bocce e di una costruzione con funzione di bar e biliardo. Lo stemma del circolo è:  metà sinistra bianco e metà  destra rosso. Il Pagano del 1933 non solo colloca in salita Belvedere ma lo chiama Unione Ricreativa Promontorio (quello Belvedere viene collocato in ‘forte  Crocetta’)Dai suoi iscritti, nel giugno 2004 è uscita una campionessa italiana di bocce, categoria A individuali, Maria Pilu.

  All’interno dell’area del circolo, nel muretto che racchiude il complesso, quasi appoggiata a terra, è affissa una lapide che vuole porre attenzione ai cannonieri di rimuovere la cancellata prima di sparare (vedi foto dei cannoni e descrizione, poco sopra, a “3) Piazzale”).

  Fuori del recinto, vicino al cancello, c’è un secondo cartello (il primo è all’inizio della salita) indicante al turista di essere sul percorso storico-naturalistico Sampierdarena-forte Diamante, seguendo il segno O rosso ed iniziato in basso all’origine della salita Belvedere.

 

 STORIA  Dall’epoca romana, per quasi 2mila anni, sino comunque agli anni 30 del  1900,  al colle  si accedeva ‘arrancando’ dalla spiaggia solo per l’attuale “salita Belvedere” o scendendo dal quadrivio, incrocio tra sal. Bersezio (già via Aurelia, poi via Pietra) e sal. al Forte Crocetta (Dal quadrivio, si può proseguire verso monte sino al forte ed oltre, laddove la strada prosegue ancora biforcandosi poco dopo: come sentiero si procede in costa, sino a Begato; oppure in forma di tratturo, salire sino al forte Tenaglia soprastante).

   Infatti il tratto corrispondente al ‘corso’ non esisteva.  

  Ancor oggi la numerazione civica del ‘corso’, continua quella della ‘salita Belvedere’, progredendo dalla chiesa verso corso Martinetti. Questo indica che precedentemente alla nascita del toponimo “corso”, la “salita” Belvedere proseguiva oltre la chiesa e continuava in alto (quindi anche il primo tratto di salita al forte Crocetta) sino al quadrivio (nel 1910 la canonica era al civ.21-22; mentre un sig. Garibaldi Giacomo possedeva il civ.19 (casa colonica), il 22a,24 e 25 (tutte case coloniche); al 23 abitava Chiodo ed al 26 Pareto). 

Già in quella data, 1910,  si previde cambiare nome al tratto a nord della chiesa: infatti nell’elenco delle vie di quell’anno, si scrive: “salita Belvedere, da corso dei Colli presso l’Istituto delle Pietrine per Belvedere alla stessa arteria. Comprende anche il Corso Belvedere“. Aveva allora civici sino al 22 ed il 29.

Solo negli anni vicini al 1930, si aprì - quasi alla sommità dell’allora corso Dante Alighieri (attuale corso L Martinetti) - l’allacciamento laterale verso il Santuario; così che – collegandosi con la vecchia salita Belvedere - si potesse arrivare anche con mezzi automobilistici  sino  al piazzale della chiesa: ad esso fu dato il nome di  “corso Belvedere”.

  

alla sommità, la villa De Ferrari

 

 

Proseguendo verso corso L.Martinetti, abbiamo:

Civici a destra

==La chiesa, come tutti gli altri edifici religiosi, non ha civico.

==civ. 19: sarebbe il chiostro anche se esternamente non ha numero

==civ. 21:   corrispondente a questo numero, la canonica, dove doveva esserci anche il Pio Istituto san Giuseppe

          

sovraporta  della canonica                            

==civ. 23: casa, convento delle suore Brignoline

Dal 2002, pare che l’unica suora che era rimasta, sia stata allontanata, e quindi da allora la casa  sia vuota.

 

       

antica foto di villa a monte del santuario  (villa De Ferrari?)                          villa Poincervero

 

==civ. 35:    villa Poincervero   o come scritto sulla carta del 1757 del “Sig.r Pietro Poincervero”; poi passata di proprietà ai Garibaldi, poi ai Conte, ed infine ai Berchi (questi ultimi nel ‘73); attualmente divisa in più alloggi  privati anche se dal 1934 – quando era dei Conte - è posta sotto tutela e vincolo della Soprintendenza alle Belle Arti.

Appare sia stata la più rappresentativa, non solo quindi ad uso coltivo ma anche abitativo e rappresentanza; attribuita al XVII secolo, ristrutturata nel secolo dopo quando fu affiancata da una più moderna costruzione che ne confonde la singolarità;  riabilitata dal grave abbandono solo pochi anni fa  ristrutturandola ad abitazioni. È la classica, tipica elegante costruzione secondo la mentalità locale del parallelepipedo, coperto da un tetto in ardesia a padiglione, con caratteristico ingresso principale che stringe la strada con la sua doppia breve scala di accesso esterna che porta ad un portale a cornice, molto semplice, affiancato da quattro finestroni tamponati con inferriata; al piano nobile è più evidente la distribuzione alessiana delle finestre sulla via: le tre centrali ravvicinate, e le due laterali più distaccate e vicine all’angolo estremo, su una facciata che presumibilmente era affrescata o decorata.  Attaccato a nord alla costruzione c’è un corpo basso, rustico, il cui tetto fa da terrazza al piano nobile, e fiancheggia la scalinata Belvedere scendendo con essa rapidamente fino al rio omonimo  delimitando i terreni di proprietà, una volta ad uso coltivo. Nell’interno, le tre finestre centrali corrispondono ad un ampio salone, circondato da varie stanze intercomunicanti.

 

sulla sinistra i numeri civici pari:

==civ. 16  è una villetta a due piani, di più recente costruzione (anni 1970 circa); di proprietà Angelo Carìa. Confina, a mare con i giardini del circolo ed a monte con la villa seguente; non ha proprietà nelle balze sottostanti. Nel 2010 è stata venduta a un ‘foresto’.

   Sul muretto che separa questo villino dal prossimo, tra le pietre che formano il muretto è incluso un marmo con in rilievo un agnello religioso con stendardo. Qualcuno ha cercato di asportarlo, ma deve essere assai grossa perché dopo aver scavato intorno (2010) ha rinunciato.

 

==civ. 18  villa Rossi  (non torna: dovrebbe essere il 30 !***):

Nella carta del 1757, appare piccola, insediata nei terreni scoscesi (tanto che, a livello strada è pressoché solo il tetto, sviluppandosi l’edificio nelle balze sottostanti appartenenti al mag.co Sebastiano Pallavicini descritti sotto;  quindi nata non come singola villa ma forse casa dei manenti o scuderie).

   Sul portale sovrasta una nicchia con una Madonna; sopra lo stipite c’è un rilievo con “l’agnus”; sulla colonna a monte del portone la scritta “villa Rossi”.

  

È un bell’esempio di villa coltiva, antica ma senza particolari interessanti se non la funzionalità dettata dalla disposizione  intelligente a sfruttare il terreno a ponente della via, di forte pendenza, ponendo l’accesso principale sulla strada  e quelli secondari per l’uso dei campi a fasce, lungo la vallata.

==civ. 20: un’altra villa contadina settecentesca, sempre nel terreno dei Pallavicini, con identiche caratteristiche della precedente.

Sulla strada principale si apre il primo piano retro della villa.

 

       foto del 1913 - affiancate                                                                 

             

Il Corso Belvedere quando abbandona il crinale, scende verso corso L.Martinetti: le case sono tutte recenti e senza storia particolare.

Anticamente invece, il corso proseguiva verso monte proseguendo con la attuale “salita al forte della Crocetta”, alla quale si rimanda per la prosecuzione delle descrizioni delle ville antiche.

 

cartolina con incisione di Ave Bassano; villa da individuare

Da studiare:

==civ.___:   più vicina all’incrocio con salita al Forte Crocetta c’era un’altra, delle tante, villa Pallavicini.  Nella carta del Vinzoni è segnata del “mag.co Sebastiano Pallavicini”, posta sul versante a ponente della strada (il doppio distante dal Santuario rispetto villa Poincervero che però è posizionata a levante), con ampio terreno sottostante, degradante dal crinale al sottostante Campasso (oggi via Vicenza e via del Campasso) e portata sino all’incrocio con l’attuale salita Bersezio. Costruita a forma di U, con  la concavità rivolta al mare, il Remondini nell’elencare le cappelle esistenti nel borgo, nel vol. 11 informa  che “Sulla costa di Belvedere Sebastiano Pallavicini avea la Cappella di San Pietro. Forse è la stessa Cappella di San Pietro dei Signori Bracelli segnata come ‘decente’ nella visita del card Durazzo del 1654”.

Forse è una villa diversa quella descritta dallo stesso Remondini nel vol. 1;  scrive  che “Fuori le mura esiste, nel palazzo Cataldi già Bracelli in Crocetta un di vicini della chiesa (di Belvedere? ndr) ed ora al nuovo cimitero, l’annessa cappella della SS Concezione. Questa dal 1865 servì per circa sei anni alle suore del Buon Pastore con le loro allieve quando qui ebbero stanza prima di passare a Marassi. Nel 1875 il municipio di Sampierdarena fece acquisto di questa tenuta che tramutò in cimitero, ma il palazzo esiste colla cappella” (anche se alcuni nomi di proprietari coincidono, non corrisponderebbe alla villa di nostro interesse come collocazione spaziale e come titolazione della cappella: potrebbe essere invece  l’orfanatrofio di salita Forte Crocetta al quadrivio il cui ingresso è ancor ora in via Porta degli Angeli.

 Non esistono altre tracce storiche di detta villa, che evidentemente fu distrutta non si sa quando, né – anche se si può presumere - perché.

 

 

 

4a)                                                chiesa-santuario

 

 

Dedicato alla Natività di Maria SS. (la festa si iniziò a  celebrare nel mondo cattolico, dopo la liberazione di Vienna nel 1683 dall’assedio turco di Maometto IV;  ma era già all’attenzione locale dall’8 settembre 1298 quando durante la seconda guerra tra Genova e Venezia i nostri riportarono nelle acque dell’isola di Curzola una strepitosa vittoria navale facendo perdere al nemico ben 85 delle 95 navi impiegate, con 10 mila soldati morti e 7000 prigionieri (tra cui Marco Polo): fu considerata festa primaria, con obbligo a perenne ringraziamento da parte del Senato di assistere in gran pompa, alle funzioni in Duomo o in san Matteo con il deposito di un pallio intessuto d’oro ***).

   È posta a 128m.slm.. Significativa la posizione con di fronte Coronata: fanno come stipiti di un portale d’ingresso alla Val Polcevera.

   Ha origini - purtroppo sconosciute - che  risalgono agli anni dal 900, alla fine del  1200, quando fu costruita decentrata, di dimensioni assai piccole nonché di modesta funzione spirituale essendo a quei tempi dato più importanza alla costruzione conventuale per le giovani aristocratiche - non tutte ospitate per vocazione ma le più per usanza - poiché  vi dovevano vivere - seppur in umiltà - con certi agi  e prerogative relative al rango sociale.

Un documento di vendita (vedi evidenziato in giallo) datato 1134, conservato all’archivio di stato, fa comparire per la prima volta il solo nome del colle ove sorge la chiesa.

   Fin dall’inizio, gerenti della chiesa e dei rispettivi monasteri apparirebbero i frati dell’ordine di sant’Agostino (quindi, unicamente maschile), i quali si scrive erano arrivati a Genova nel XII secolo e favoriti in quanto più aperti degli altri ordini alla partecipazione femminile (in particolare erano canonici regolari della Congregazione di s.Croce di Mortara, legati alla regola di s.Agostino. Avevano monasteri sia in città che fuori: ricordiamo s.Teodoro; s.Paolo in Campetto; s.Lazzaro; s.Maria del Monte; s.Maria d’Albaro – poi passato alle Clarisse-; s.Maria di Granarolo; s.Maria del Priano – poi Virgo Potens-. 

Esisteva a Genova un’altra congregazione agostiniana di origine toscana, stabiliti sia nella chiesa dedicata a s.Tecla in san Martino d’Albaro e sia in città in monastero con lo stesso nome.

Nel 1256 papa Alessandro IV ordinò che tutte le diverse congregazioni agostiniane, convergessero in un unico ordine = vestissero stesso abito, avessero un unico abate generale, vivessero in comunità vicine ai luoghi di aggregazione sociale per ricevere reciproca assistenza cion la cittadinanza. Il monastero cittadino dei Toscani, fu così dedicato a s.Agostino, in Sarzano, ed acquisì importanza di concentrazione direzionale e gestionale del suddetto ordine, detto perciò di primo ordine, coinvolgendo anche quelli di Belovedere, che divenne di secondo ordine assime ad altri femminili tipo –più importanti- s.GB e s.Nicolò di Granarolo del 1303; s.Nicolò di Vallechiara di due anni dopo; e s.Margherita di Granarolo). In parallelo le monache ovviamente acquisirono la identica confraternita: anche se i rari documenti rinvenuti lascino pensare che il monastero femminile sia antecedente all’insediamento degli agostiniani e quindi la chiesa e le funzioni religiose fossero gestite da qualche sacerdote proposto dai nobili dell’aristocrazia genovese che rifugiavano nel convento le figlie non destinate a matrimoni di convenienza.

   Un altro tra gli antichi scritti riguardanti la chiesa vera e propria (segnalato da sac. Domenico Cambiaso nel 1913), è del 1285, in cui Mainetta -figlia di Giovanni Ascherio- dona cospicui beni (venti lire) alla chiesa del “monasterio sancte Marie de Bervei de Janua”; il nome “Bervei” è un termine di passaggio dal latino maccheronico “belo videre”, all’italiano “Belvedere”).     Un eguale per lire 5 è del 1289 firmato da Giovanni Musso (“monasterii de Berveer”).

   Datata 1290 la presenza quale priore del frate Nicolò Dentuto dell’ordine degli eremitani di s.Agostino. Questo frà Nicolò Deatato (o Dentuto) è il primo “priore” sicuramente conosciuto, di altri precedenti e dei 14 successivi. Egli, nel 1311 verrà delegato da Clemente V a partecipare al concilio di Vienna (1311-indetto da papa Clemente V –Bertrando de Goth- eletto 1305; nel 1309 trasferito ad Avignone; 1314 soppresse i Templari; Liber Clementinarum) venendo qui sostituito dal prete Simone Ceresola da Rapallo; e quando non poteva recarsi così lontano, era là sostituito da prete Enrico di Portofino). 

In questi anni, con il molto probabile interessamento delle sorelle del frate,  matura l’apertura del convento femminile; verrà realizzato nel 1303. Una lettera di papa Bonifacio VIII del 23 marzo 1295, segnala una Marinetta e suo marito Nicolò, di Portovenere, venuti nel convento quali conversi (=laici che lavorano in un convento; lui per quello maschile, lei per quello femminile) 

   Nell’anno 1303, 13 gennaio, (Cambiaso scrive 1290) appare infatti su un rogito di Ambrogio di Rapallo esserci un monastero “doppio” –maschile e femminile “cuius Prior erat  F.Nicolaus Dentutus nunc de Pinellis, et Priorissa soror Jacobina cum XXVI moniliabilius ex nobilioribus Genuae familiis(“il cui priore era frate N.Dentuto ora de Pinelli e badessa suor Giacobina con 26 consorelle provenienti dalle migliori famiglie genovesi” (ovvero  molto pochi i frati, ed invece ben 26 monache, appartenenti alle più nobili famiglie, governate da suor Giacomina Dentuto (vengono citate degli Spinola, Regina e Boscarina; Lomellini, Isotta e Clarisia; DeMari Argentina, D’Oria Franceschina; Lercari Marietta; Pallavicini Margherita; Pinelli Leonetta; Dinegro Pietrina ed Alessia; Ricci Andreola e Catarina; Cicala Adelina; Fallamonica Marietta; DellaPorta Selvaggina; Vento Isabella; Boccaccia Caterina; Dentuto Jacobina -su citata- e Simonina; d’Asti Pietrina; Embrone Marinetta; Spezzapietra Francolina; Frumento Artemisia, Jacobina e Caterina;).  Procuratori del nuovo monastero appaiono essere stati tal Pietro Ugolino e Giovanni di s.Ambrogio; e testimoni, prete Simone Ceresola da Rapallo; Luchetto Scaletta, drappiere; Giacomo Grosso di Belvedere; Nicolò dePace; Enrico Benvenuto di Belvedere.

 Segno che il romitorio già godeva di ammirazione e stima da parte della nobiltà cittadina, possessori poi di ville e terreni nelle vallate sottostanti.

In concomitanza, si legge che essendo molte giovani  rinchiuse non per volontà propria né per vocazione,  non sempre se ne avvantaggiava la morale. I problemi di vocazione ‘obbligata’ si fecero risentire rapidamente, se dopo appena una decina d’anni le presenze femminili risultano dimezzate.

Del 1312 (quando il frà Dentuto si assentò per il Concilio di Vienna) si riferisce gerente un sacerdote secolare (don Simone Ceresola di Rapallo; probabilmente perché in quegli anni, i frati erano  pochi).

   Anno 1315: le suore appaiono essere solo 13.  Cambiata la badessa (ora suor Maria Lercari) e la co-priora, suor Francolina Ghisolfi; ed anche il cappellano del monastero,  fra Vignolo da Pavia.

   E’ del 1320 un legato del 28 febbraio, col fine di ristoro del monastero (‘auxilium constructionis, hedificationis et meliorationis’) già deteriorato per l’età, di Sibellina (Sibilina) vedova di Giacomo  Oltramarino.

   Nel 1335 ne fu badessa suor Margherita Pallavicini; di essa si conosce un contratto con Bornello (o Bonetto) Grillo, la cui famiglia otteneva il diritto di particolare sepoltura nella chiesa (lapide ancor ora esistente, fregiata dallo stemma gentilizio). 

   Poco piùm tardi, 1339 troviamo come badessa suor Marietta Falamonica, con poche suore

   Anche il benedettino Ansaldo Lomellini, con testamento datato 1345, lasciò al monastero lire dieci affinché le suore pregassero per la sua anima.

   Si presume che i frati, in numero sempre più esiguo, non fossero di stanza fissa nella chiesa, ma vi si recassero nelle occasioni festive e più frequentemente nell’estate. Non solo calavano le vocazioni, ma era anche la posizione isolata e di scomodo accesso, esposto così alle lotte di fazione. Le suore  invece, seppur fluttuanti,  erano in discreto numero; ma rimaste poi sole ed isolate nel periodo di continue lotte civili interne tra famiglie e fazioni, guelfi e ghibellini, nonché violenti e briganti -da soli od in bande- che imperversavano indisturbate sulle alture, si trasferirono dal 10 ottobre 1351 nel monastero di santa Consolata Vergine a Genova Prè (altro antico monastero dell’ordine Cistercense, dal XII secolo posto in Fassolo tra san Tomaso e san Michele (=oggi piazza del Principe) e gestito da suore che osservavano le regole benedettine e si facevano chiamare suore di s.Consolata. Tra le reliquie conservava un braccio della Santa – poi traferito nella Metropolitana -.  Portandosi dietro la sacra effige della madonna, il nuovo recapito assunse il doppio nome  di “monastero di s.Maria di Belvedere e di s.Consolata”. Nel 1454 badessa era suor Diamante DeMarchi e ricevette soccorso per riparazioni in seguito ad incendio; nel 1472, 29 maggio, i giudici citano il monastero in causa con un altro piacentino, per cause non descritte; nel 1485 il monastero viene esentato dalla gabella del vino; nel 1499 si ricercarono i colpevoli di danni portati al muro di cinta e denunciati dalla badessa Tomasina DeMari e tesoriera Bartolomea Spinola. Esso fu poi demolito nel 1535 per la costruzione del terzo giro delle mura.”). Vendettero gli immobili, il chiostro e giardini, i terreni e le rendite (come delle ‘Compere del sale’) al nobile patrizio Leonardo Cattaneo (quale esecutore testamentario di un non meglio conosciuto Vasso o Vassallo, di Cogoleto. Scriba scrive: Cattaneo Grillo, forse parente di quello della lapide dell’anno dopo; D.Cambiaso propone il Grillo Ottaviano come altro nobile che beneficiò la chiesa).

   Malgrado l’assenza delle suore, il convento continuò la sua missione religiosa, mantenendo il nome; passando le consegne dal Cattaneo agli stessi frati di sant’Agostino di Genova, con atto presso il notaio Gilberto Carpena, lo stesso 10 ott.1351, affinché la chiesa continuasse il culto quotidiano: anche se in esiguità di sacerdoti, almeno uno, con un chierico, risiedesse nel convento e celebrasse messa quotidiana in memoria dei benefici lasciati (é ovvio che l’allontanamento delle suore, molte delle quali provenienti da ricche famiglie, di colpo determinò l’azzeramento delle sovvenzioni da esse derivate); provvedendo a munirla dei fondamentali arredi sacri (calici d’argento, messali e libri liturgici, ecc); il patto prevedeva anche sia un ufficio religioso anniversario, sia l’invendibilità totale – anche nei casi concessi dal diritto canonico - e quindi che in caso di abbandono da parte dei monaci i beni sarebbero passati in pieno potere all’Arcivescovo di Genova e non ai frati. 

   Una lapide del 1352 posta sulla porta del campanile e ricuperata nel 1845 ricorda: “MCCCLII - DIE PRIMA OCTOBRIS - CONVENTVS FRATRVM EREMITARVM S.AVGVSTINI DE JANUA PROMISIT - CELEBRARE IN PERPETVVM VNAM MISSAM PRO ANIMABVS PREDECESSORVM ET SVCCESSORVM D. OCTAVIANI GRILLI - ITA QUOD SEX MENSIBVS ANNI - DICATVR IN CONVENTV DE HJANUA ET ALIIS IN LOCO DE BELLVIDERE - PRO BENEFICIO RECEPTO A PREDICTO DOMINO”  (1352, primo giorno di ottobre - i frati eremiti del convento di s.Agostino di Genova promettono celebrare una messa in perpetuo per le anime dei predecessori e successori di Ottaviano Grilli, in modo che per sei  mesi siano dette nel convento di Genova ed altri sei nella località Belvedere, per beneficio ricevuto, secondo il volere di Dio).

   L’interessamento del patrizio dovette funzionare, se viene documentato nel 1357, un Capitolo generale provinciale (o Concilio di Lombardia) tenuto nel monastero  dai padri eremitani Agostiniani della provincia di Lombardia. (una lapide ?***).

Ed altrettanto se le tasse diocesane appaiono abbastanza elevate rispetto altre chiese: nel 1360 il Monasterium de Belovidere paga sia lire 5 per una colletta imposta alle chiese dal legato pontificio card. Egidio Albornoz (per arrivare a £.1000); e sia 10 soldi per altra colletta per altri nunzi e cursori della SSede. E cinque anni dopo, 1365 13 maggio, versa sia £. 1,5 di imposta per una colletta promossa dal legato Androin; e sia £ 2 ad agosto per altra imposta dall’Arcivescovo di Genova per altre legazioni.

   E nel  1368 appare che la chiesa era tributaria di un certo numero di ceri alla Metropolitana di san Lorenzo.

Nel 1378 con la morte di Gregorio XI, la controversia in seno alla chiesa cattolica portò allo “scisma d’occidente” con due sedi papali (Roma con Urbano VI, e Avignone con Clemente VII; e continuò fino al 1417 con l’elezione di Martino V. Genova si schierò con la chiesa romana. Nel 1385, il monastero versò prima 3 soldi, poi £.1,5 per ambasciate a Roma; e poi ancora £.3,10 per un regalo di 700 genovini offerti al papa quando venne a Genova.

   Nel 1387 risulta che “monasterium de Belouidere” (tradotto dal cav. LT Belgrano in ‘Bella Donna di Belvedere’), fu soggetto a pagare 0.12 libbre (grano o di cera?) corrispodenti a £.3,5 di tassa straordinaria istituita da papa UrbanoVI per compensare le spese sostenute in guerre contro gli scismi.

Da una decina di anni, Belvedere pagava tasse tendenzialmente alte rispetto alle altre chiese, sintomo che era classificata ad alto reddito. Da quest’anno verranno ridimensionate le quote spettanti.

    In effetti, Leonardo Cattaneo (junior, diremmo oggi), nipote del patrone della Chiesa, nei primi giorni di gennaio 1409 si lagnò presso la Metropolitana (Autorità diocesana e Capitolo) perché non veniva rispettato l’impegno di celebare la messa come convenuto; nonché la scompasa degli arredi di valore; e il non messo a frutto e dispersi per altri usi i redditi e proventi delle Compere del Sale (costituite da Vasso di Cogoleto). Un manoscritto anonimo - a cui non si può dar credito assoluto, ma che giustifica la difficoltà di gestione, essendo i frati troppo pochi ed il complesso così lontano ed isolato - dice che il 29 gennaio 1409 il monastero era divenuto dipendenza del Capitolo metropolitano di san Lorenzo; intervenuto questi -assumendone il governo - tramite un delegato sacerdote secolare, padre Giacomo, subentrato in carica a questa data (con l’impegno di dare una candela dal peso di una libbra; mantenendo a patrone, difensore e protettore lo stesso Leonardo Cattaneo.        

1410 12 settembre «i canonici e il capitolo della chiesa di S.Lorenzo in Genova, adunati a capitolo e chiostro di detta chiesa, assieme all’egregio giureconsulto signor Leonardo Cattaneo, figlio di Carlo quale patrono della chiesa di S.ta  Maria di Belvedere di Promontorio vicino a Genova,  e quale procuratore ancora di detti canonici, costituiscono ed eleggono loro speciali procuratori per proseguire nella curia romana una causa di appello interposto da fra Agostino sindaco del Convento di S.Agostino in Genova da una sentenza interlocutoria  profferita nella causa messa da Leonardo Cattaneo contro detto Convento (Cipollina-II.281).

1412, 17 giugno, il notaio Gio.Cavazza stende un atto dichiarante che gli ufficiali delle Compere del sale –presso cui la chiesa possedeva 10 luoghi- dovevano dare i proventi solo a Leonardo Cattaneo (o suo delegato; solo quattro anni dopo, Leonardo li cederà al priore, arrivando il 1 marzo 1417 a concedergli –rinunzia e cessione- anche ogni diritto di Patronato).

Nello stesso anno 1412, il Cattaneo dava in locazione la villa del monastero a Catterina, figlia di Simon Boccanegra e moglie di Angelo DeMari.

   Ma se nel 1416 i beni (chiesa, monastero, terre e rendite) furono riconcessi gratuitamente -a parte il dono natalizio di un cero di dieci libbre- ai padri Agostiniani (di santa Tecla) in Genova. La congregazione si ritrovò in condizioni di netta  ripresa, e potè farsi rappresentare nella carica di priore di Belvedere – a partire dal 27 gennaio 1416 -  da p. Paolo Vivaldi genovese, già vicario del convento di s.Agostino, maestro di sacre lettere; favorì la attuazione della riforma in tutti i conventi della zona;  priore che gli annali dell’ordine commentano “uomo di grande valore e molto stimato”; solo gli si vietò mandare a questuare entro le mura, permettendola solo fuori delle mura (anche del vino); ancora riservandosi  il Cattaneo il patronato per il futuro, da Leonardo a tutti gli eredi della famiglia). Il patrone aveva così trovato i monaci necessari per continuare la gestione senza l’ausilio del Capitolo metropolitano essendo essi tornati ad essere abbastanza numerosi.  In effetti le vocazioni erano aumentate con un fervore superiore degli inizi, comprendendo persone di alta virtù (vengono segnalati b. Giovanni Rocco Ponzia autore della riforma agostiniana in Lombardia e dal 1441 priore del convento della Cella; IL B. Benigno Peri genovese, che vestito l’abito agostiniano nel 1442 alla Cella, vi moriva nel 1497; GB Poggio, rapallese, fondatore della Congregazione agostiniana di s.Maria della Consolazione, il quale preso l’abito nel 1450 evangelizzò la Liguria fondando ben 11 conventi e che morì nel 1497). Il rientro degli Agostiniani, concomita  con la concessione ai monaci di introdurre ed applicare  la nuova riforma dell’ordine di sant’Agostino.

   La floridezza del monastero, fu premiata nel 1425 come sede del Capitolo Provinciale dell’ordine agostiniano (vedi anno1357).

   Nel 1431, a p.Vivaldi successe -come priore- p. Gregorio da Pavia (notaio Rolando de Laneriis).  Dopo 5 anni, nel 1436 2 maggio, successe p. Donato Castagnola –notaio Foglietta Bartolomeo; il 15 nov.1442 ricevette l’autorizzazione dall’arciv. Giacomo Imperiale, di fare testamento al notaio Andrea DeCairo

   Sicuramente è dal nome del colle che un ricco possidente diede origine ad una nobile famiglia, dei Brevei (o Brevoi): nel 1445 ottenne la facoltà (cittadinanza) di abitare entro le mura. E’ del 3 aprile 1456 un atto notarile firmato da ‘notaro Guirardo de Bervej’ relativo ad inventario del defunto Matteo Salvaghi. Un Lodisio di Brevei  fu tra quelli che nel 1488 giurarono fedeltà al duca di Milano; questi, nel 1499 –fino al 1501- fu Consigliere della Repubblica, e nel 1502 sedette tra gli Anziani; morì 93enne nel 1532 sepolto nella certosa di Rivarolo; e dopo aver mutato il cognome entrando nell’albergo dei Fieschi (anche se essi erano guelfi e Lodisio aveva parteggiato per i ghibellini). Alessandro Brevei aveva sposato Cornelia Sauli la cui famiglia annoverava illustri personaggi  politici, mercantili e religiosi.

   Nell’anno 1464 alla chiesa di Belvedere toccò pagare 30 soldi di tassa , a Fabiano da Montepulciano commissario apostolico per la Crociata caldeggiata da Pio II, ma poi non eseguita.

   Il 15 maggio 1446, lo stesso arcivescovo dava (in forza di una bolla papale Eugenio IV del 9 febbr. -notaio GB Calistano) il priorato a p. Lanfranco De Squassiis di Savignone. Alla sua morte (credo 1472), i proventi della chiesa  -seguendo un iter proposto dal Vcario arcivescovile- furono consegnati al sindaco di sAgostino di Genova, p. Lazzaro Simonetti.

Si sa che solo nel 1485, 21 giugno, i padri  agostiniani concedevano locazione a Belvedere a p. Gerolamo Castello sino a fine vita;

   Sotto il governo della Repubblica, in quegli anni, il convento risorse a migliore vita e fervore religioso,  divenendo esempio di asilo e pietà di fede  e contribuendo non poco all’incremento e prosperità del sito. Un decreto del 1465 concedeva ad un povero storpio, come “grazia speciale” di vendere cialde in continuità delle chiese. Evidentemente fu già mèta di feste religiose e sagra, se nel 23 dicembre 1485 si sentì il bisogno di dare regole statutarie ai venditori ambulanti (nebularji) di dolcetti vari come canestrelli, collane di nocciole, cialde o burattinai.

   Agli inizi del 1500 il Giustiniani, descrivendo Promontorio, nelle 101 case vi include il piccolo monastero di sM di Belvedere  dei frati di sAgostino conventuali.

   Nell’anno 1507 l’esercito di Luigi XII, al comando del gen. Chaumont d’Amboise. Arrivato a Rivarolo, iniziò a risalire a Belvedere, difeso da Leonardo da Monteacuto il quale,  visto la stragrande potenza dell’invasore, preferì ritirarsi dando fuoco alle polveri prima che fossero catturate dai francesi. Il 25 aprile la posizione, compresa Promontorio, fu invasa ed acquisita dal portabandiere francese Giacomo d’Allégre. Il gen.non incalzò i fuggitivi e lasciato lassù un forte manipolo, tornò a Rivarolo. I genovesi fecero all’alba un contrattacco, riconquistando le posizioni; ma da Rivarolo tornarono all’assalto i francesi che spensero ogni ardore di vittoria; e Genova aprì le porte al re facendogli prima omaggio al Boschetto.

   Nel 1514  successe p. Stefano da Zoagli al quale fu chiesto- in compenso alla pensione annua- 14 luoghi nelle Compere di sGiorgio.

      Nel 1535, mons.Giustiniani, nel descrivere Genova, cita il “piccolo monastero di S.M. di Belvedere dei frati di S.Agostino Conventuali, posto alle spalle di San Pier d’Arena“.  In quegli anni, seppur la chiesa fosse isolata e lontana dal borgo, gradatamente acquistò  particolare venerazione e quindi grande concorso di fedeli devoti  per l’immagine della Madonna (vedi descrizione sotto), però già presente nella chiesa da molto tempo. Così la chiesa  progressivamente acquistò celebrità presso il popolo, richiamando moltitudini e celebrazioni.

   Questi eventi favorirono la  concessione papale di Pio IV nel 4° anno di pontificatoche con bolla del 13 ago.1563 (altri dicono nel 1565) su istanza dell’abate p.Alessio da Stradella (nato a Fivizzano, vestì l’abito agostiniano nel 1530 circa; dieci anni dopo era famoso quale insigne teologo eremitano agostiniano, con alti incarichi teologici in città e poi predicatore in molte città italiane; molto devoto al santuario di Belvedere; chiamato a far parte del Concilio di Trento (1562); a Perugia nel 1570 fu eletto Procuratore generale dell’ordine; divenne poi –ordinato da papa Gregorio XIII, nel 1572, vescovo di Nepi –Toscana-; nel 1580 fu inviato quale nunzio papale presso la corte dell’arciduca Carlo d’Austria: durane il viaggio, morì il 27 ago 1580) concesse una amplissima indulgenza perpetua per l’ 8 settembre a chiunque visitasse in pellegrinaggio il Santuario (in forma di amplissimo  Giubileo perpetuo, a chi semplicemente visitasse la chiesa pentendosi dei propri peccati e partecipasse ai sacramenti il giorno della festa della Natività della Beata Maria Vergine (il testo della bolla inizia scrivendo “a tutti i fedeli dell’uno e dell’altro sesso, che veramente pentiti e confessati, ovvero abbiano fermo proponimento di confessarsi nei tempi dalla legge determinati, i quali nel giorno dedicato alla Natività di Maria Vergine, dai primi Vespri fino al tramontar del sole della suddetta festa, ogni anno, divotamente visiteranno la suddetta Chiesa di S.Maria in Belvedere, ed ivi, secondo la loro divozione, pregheranno Iddio per Noi, per lo stato felice di S.Chiesa Romana, e per la conservazione ed esaltazione della Cattolica fede; ovvero offeriranno altre preghiere, secondo la loro divozione : quante volte faranno questo, concediamo la remissione di tutti i peccati in virtù di amplissimo Giubileo): bisognava confessarsi per venire prosciolti da anche i più enormi delitti -eccetto quelli segnati in una “bulla coenae”- e dai voti fatti -eccetto quelli di castità e religione-; tale concessione fu autenticata dalla sacra Congregazione dei Vescovi e regolari nel 1614 e dalla sacra Congregazione delle indulgenze nel 1712. Anche la curia arcivescovile genovese - firmatari di una bolla in data 1715  il vicario generale Salvatore Castellino ed il deputato Gianstefano Spinola -come si legge su una lapide collocata in chiesa- accettò la decisione dei Superiori, sottoscrivendo l’atto.  Pio VII poi, prolungò nel 1814  questo tempo sino alla Domenica successiva alla festività; e Pio IX nel 1847, a  tutta la settimana  in cui cade la festività stessa. Tale era la convinzione dei benefici ottenibili da queste disposizioni, che i governanti assunsero un provvedimento di importanza fondamentale per tutti i tempi del cristianesimo: si impegnarono a concedere regolare salvacondotto personale per recarsi liberamente nella settimana  a Belvedere (dal 5 all’11 settembre) a coloro che avevano conti da regolare con la giustizia umana o, affinché si regolarizzassero almeno con la giutizia divina; un editto del 1696 ripropone la concessione quinquennale del salvacondotto ‘per tre giorni inanti e tre dopo immediati’).

   L’evento favorì la nascita di una gaia solennità festiva di cui approfittava il popolo del borgo sottostante e vicini per accorrervi ed apparire in comunità (l’antichissima festa, acquistò maggiore solennità in quanto concomitava con la ricorrenza della vittoria navale  -il 7 set.1298 a Curzola, delle galee di Lamba Doria sui veneziani , in cui perdettero 67 galee inabissate più 18 catturate e tra i 7mila prigionieri fu catturato anche Marco Polo-; già allora  alla stessa data, per disposizione del Senato ed in rimembranza, mentre i governanti si riunivano  solennemente in san Matteo ove dovevano deporre sull’altare della Madonna un pallio*** d’oro in segno di perenne ringraziamento, il popolo era invitato agli altari dedicati alla natività della Madonna). 

 

   Da allora, ogni anno, si verificava una vera e propria mobilitazione generale genovese  verso il Santuario anche se per essi era assai disagevole arrivarci per carenza di strade; così moltissimi usufruivano dei servizi via mare sui gozzi che dovettero essere opportunamente organizzati causa l’eccessivo affollamento: i Padri del Comune fissarono modalità di trasporto e limite di prezzi esigibili dalla riviera di levante genovese fino alla ‘zona Lanterna’ (per far salire a piedi la strada degli Angeli detta ‘della Pietra’) o sino alla spiaggia di San Pier d’Arena, per risalire l’erta crosa (una parpagnola a persona -ovvero due soldi; 20 soldi erano una lira- per non più di 10 passeggeri alla volta; la multa per le infrazioni era allora di 25 lire; portate a 100 o carcerazione nel 1750; in questi anni 1760-1778 si ha il numero delle imbarcazioni usate  allo scopo, che in media era di 186 gozzi).  Per le donne, i migliori vestiti; le popolane con gonne da smaglianti colori e giubbini scarlatto o a fiorami, i mezzari collane e brille d’argento tra i capelli, fiori - anche finti che già si vendevano alle sagre-; attorno -già regolamentati dal 1485 con particolari leggi - le baracche dei rivenditori coperte di frasche con la merce dentro le ceste, tra cui dolcetti (canestrelli, frutta secca); ed  i casotti di teatrini, burattini, cantastorie, suonatori. Ancora nel 1661 la Curia sottolineava che la chiesa essendo troppo piccola per il numero di convenuti, occorreva che ‘per entrarvi bisogna aspettare che ne eschino quelli che vi sono entrati’ (spiega Scriba che risale al codice Giustinianeo l’usanza di fiera e mercato intorno al sagrato dei santuari, per vendere frutta, dolciumi e bevande; anche se a quei tempi la presenza era privilegio limitato ai cristiani sottolineando non essere giusto che gli eretici -.che non ascoltano i divini misteri- approfittino di tali assembramenti per proprio interesse).

Corsi, riferendosi all’8 sett.1801 scrive «bellissima giornata, coperta dal sole, la quale fa onore alle persone  che si portano alla visita del Tempio di Nostra Signora di Belvedere  per partecipare all’amplo Giubbileo... oggi v’è così concorso, che credo non vi sia mai stato. Inoltre vi è una abbondanza di noci, e gran masse di castagne, dove se ne spera una pingue raccolta» 

    Nel 1579 una nuova minaccia di infezione a Pontedecimo (dove gli imprenditori aveva i maggiori magazzini e lavoranti a domicilio) aveva fatto bloccare tutte le merci nei magazzini; la corporazione dei setaioli fece domanda di sbloccare il mercato della seta magari sotto tutela di ‘vigilatori’. I ‘conservatores sanitatis’ a ottobre accettarono lo sblocco purché la disinfezione non fosse a spese del pubblico erario, assegnando la guardia di dieci soldati per la custodia, e decisero che la ‘purga’ dei tessuti avvenisse ‘nell’estremità di una collina sovrastante il borgo di San Pier d’Arena’ presso il ‘Monasterium de Belvedere, posito in Promontorio, pro reponendis seti set pannis sete, et ibi purgandis…et sete conducende in ecclesia Sancte Marie de Bervei, concessa pro reponendis setis, conducantur per viam publicam promontorii sub cautellis et custodibus deputandis…’ . Furono reclutati trenta trasportatori (soggetti poi alla quarantena, pagati venti lire al mese, perché due voilte alla settimana facessero il trasporto sino al colle. Lassù, sei addetti –a 22 soldi al dì- sottoponevano i tessuti ‘infetti’ alla ‘purga’ (il più pericoloso) ed altri sei addetti alla ‘scioratura’ cioè stendere all’aria i tessuti. Responsabile era il ‘commissario in loco Brevei’ (il primo fu Paolo Cavo, e suo ‘iuvenis’ Giovanni Giustiniani) dotato di pieni poteri e paga mensile di 310 lire

Nel 1582, mons. Bossio, visitatore apostolico, scrisse che la chiesa (“ecclesia simplex D. Mariae de Belvedere”) aveva un solo altare, come ancora dal tempo della fondazione,  però privo del prezioso e sacro calice dell’Eucarestia.

Cambiaso scrive che aveva tre altari per i rispettivi titolari: uno a Maria, uno a s.Agostino, ed uno al ss.Crocifisso. Giudicò i sacri vasi e paramenti “minus congrua” e di conseguenza ordinò che l’altare centrale oltre il crocifisso avesse 2 candelabri, tre carte-glorie, tre tovaglie con sopratovaglia, 5 palii, 2 messali, 2 leggii, 2 calici, 4 pianete, 5 corporali, 10 borse, 10 purificatoi, 4 camici). Ordinò smontare i due altari laterali, giudicando sufficiente quello centrale; rimuovere il tabernacolo perché insicuro e quindi non poteva conservare il ss.Sacramento; impedì praticare l’adorazione  delle Quarant’ore (in Quaresima, a ricordo delle ore trascorse da Gesù nel sepolcro e rappresentate dal ss.Sacramento esposto per eguale periodo; entrò in uso dal medioevo) eccetto cause gravi e solo su licenza scritta dell’arcivescovo non essendo né parrocchiale né collegiata.

 

   1635 22 aprile. Il priore fra Guglielmo, maestro, fa fare estimo della “villa di SM di Belvedere” da Camillo Ramasso

   Nel 1650, divenne Santuario, acquisendo così fama e donazioni, con cui poter essere accresciuta ed abbellita. La Curia concede licenza di questuare, a p. GB Canevaro (forse priore).

  Ma ancora nel 1661 29 ottobre, un Ambrogio Marchese, denuncia che la chiesa è rovinosa, incapace di contenere il popolo quando l’8 settembre esso va a far festa ed invita al restauro.

   Negli anni del 1665 gli Agostiniani demolirono la vecchia chiesuola del 1300 e ne riedificarono una nuova.

  Infatti, sino a  quella data era ancora di ben piccole dimensioni: i pp. Agostiniani chiesero alla s.Sede poter alienare un terreno a fianco della chiesuola che valeva £.300,  considerato che c’era un pio benefattore che offriva £.500 per una ‘nuova fabbrica della chiesa’. Il rimanente si sperava da donazioni, concorso di popolo, lasciti per tombe (i primi, della famiglia Frassinetti: Pantaleo di Guseppe, sepolto il 1 aprile 1606; Marietta, 11 giugno 1610; Catterina, 11 febbraio 1610; Giacomo, 8 marzo 1610 Bartolomea 20 giu 1615;. di Gabriele e fam  del 1667.   Poi Franca Castello 19 febbraio 1611; Craviero Maria 18 sett 1616; Matteo Rolla 7 sett.1618; Cesare Gambarino e fam 1670; del marc. Giuseppe De Ferrari fu Francesco 1726; dei Samengo: AngeloMaria 1811, GiuseppeAngelo 1818, CarloMaria 1825; nobile AntonioMaria Bracelli 1817. Altre 1800esche di AntonioMariaGiuseppeDerchi, RosaPodestà in Copello; Gaetano Capponi; baronReginaQuagliaAntonielli di Costiole; Adelaide Gautier in Capponi; MariaAntoniaDeAlbertis; MariaPlacidaCarolina Mariotti; AngelaMRosaBadini).

   La s.Sede rispose positivamente il 4 dicembre per la vendita del terreno.

   Cambiaso scrive che il benefattore si chiamava Giovanni Giacomo Gazino (da  un decreto dell’Arcivescovo); altri scrivono che la cospicua donazione fu di Giacomo Costa, il quale da Cambaso viene invece citato come donatore di addirittura £. 10mila per il convento ed al quale i padri si obbligarono in perpetuo alla celebrazione di una messa quotidiana. Un controllo da parte del priore è testimoniata il 3 ott. 1675, quando p. Francesco Borzone si interessa dei ristori fatti dal Costa e predispone per la messa quotidiana in suo favore.

Ciò, comunque, permise la ricostruzione della chiesa (non è dato sapere se demolendo la precedente o usufruendone delle strutture e apportando modifiche o restauri) cambiando totalmente sia architettura, ornati, dimensioni e forma, divenendo come è attualmente: rettangolare con due cappelle esternate ai lati; fu aumentato  il numero e l’ornato degli altari (il maggiore dedicato a Maria SS: Ella è  raffigurata  col Bambino in braccio, dipinta  su una tavola ottagonale di legno, con cornice raggiata e posta in una nicchia): potrebbe essere quindi che l’attuale chiesa sia un secondo edificio e che quella antica e primitiva sia in corrispondenza della cappella che la fiancheggia a sud con un altare dedicato a sant’Agostino; ed ingrandimento anche del convento (sino ad allora chiamato ‘conventino’). La persistenza di alcuni muri medievali –come quello che separa, nella parte inferiore, il chiostro dalla cappella lat.sin.- inducono a pensare ad una “profonda ristrutturazione”; nell’osservazione diretta della attuale chiesa, non emergono più caratteristiche relative al primo impianto medievale. Però la obliquità della facciata rispetto le pareti laterali, porge dimostrazione di ‘adattamento’ alle strade e –probabilmente- a dei muri precedenti da usare.

   Nei «Saggi cronologici di Genova», relativi all’anno 1743, si legge “la prima domenica dopo il giorno della Natività (di Maria), si fa da tutti l’ufficio del Nome della B.V. concesso dalla felice memoria d’Innocenzo XI quando l’anno 1683 a 12 settembre…fu liberata Vienna dal potentissimo esercito de’ turchi…in Genova si fa pubblica solennità…ed i Serenissimi Collegi vanno in Duomo…”. Nell’occasione anche a Belvedere iniziò il festeggiamento del “Nome di Maria”, in ottemperanza anche ad una grida del 1686 con la quale il Senato ordinava che detta “nuova festa” avvenisse con grande pompa in tutto il Dominio, prescrivendo che nella vigilia si facessero “fuochi di gioia, luminarie, spari et altri segni di giubilo soliti farsi per la solennità di s.Giovanni Battista”.

      Frequentatrice della chiesa, era nel 1691 la giovane aristocratica Apollonia Acquarone; innamoratasi del plebeo Filippo Casoni (1662-1723, poi scrittore ed annalista famoso), architettarono un finto rapimento che fu messo in atto vicino alla chiesa: il giovane assoldando dei contadini e dei soldati corsi  riuscì a far fuggire i valletti che seguivano la portantina e scappare con l’amata. I due se ne andarono assieme a Coronata nella casa di campagna dei genitori di lui, ma furono raggiunti dal Capitano del Popolo della Polcevera, furono separati: lei rispedita a casa e lui portato nelle  celle del Palazzetto criminale (ove oggi è via Tommaso Reggio vedi foto a pag.72 del libro di Dolcino; fu condannato a vent’anni di carcere. Qui iniziò la sua opera letteraria (ma  anche si ammalò di “distillazione salsa al petto”, cioè una bronchite catarrale divenuta cronica); quattro anni dopo il padre ottenne la scarcerazione avendo pagato mille scudi d’argento. All’annalista non bastò la lezione, se l’anno dopo andò sposo, ma poco dopo fu nuovamente ospitato al Palazzetto per nuove esperienze galanti ma irregolari, avvicendate da un secondo matrimonio nel 1710).Sappiamo che il 28 luglio 1717  frà Antonio Leonardo Piccaluga, bacelliere, era allora priore, perché  concede a Giuliano Venzano di questuare per il convento e chiesa.

   Nell’anno 1746 avvenne l’invasione austriaca. Belvedere era stato fortificato con 12 cannoni, ed ancora nell’aprile 1747 la difesa reggeva l’urto dell’invasore guidato da Schulembourg, sia che cercasse di proseguire in fondovalle, sia che si appostasse a Coronata; e qui fu portato –da Certosa- il quartiere generale della difesa di Polcevera alle dipendenze del gen. Gaspare Basadonne. Finita la guerra, furono indetti solenni ringraziamenti alla Madonna.

   Il 18 novembre 1755 il custode-priore Giacinto Capponi, della chiesa e convento- dà incarico a Gerolamo Barabino di questuare per la chiesa.

   Il tutto proseguì sino al 1797, sia quando furono regolamentati per legge dal governo napoleonico i beni religiosi e sia quando gli insorti –al grido di ‘viva Maria’ avevano occupato il forte Tenaglia (il gen Duphot con il comandante Va, debellarono gli insorti; di riflesso le truppe avevano invaso il Santuario e cacciato i frati. Il 26 ott.1802 il decano del Magistrato delle Finanze (sen GB Rossi) rimetteva agli amministratori laici le chiavi del Santuario (sig. Antonio Moro, Bartolomeo Arduino, Domenico Chiappori, GB Rivara)

    Nel 1810 vennero soppressi tanti ordini sacerdotali e chiusi altrettanti monasteri e chiese: in quegli anni confusi, il santuario rimase vuoto, ma aperto al culto, affidato ad un “custode”, sacerdote secolare dell’archidiocesi genovese (nell’anno 1800 il primo di  successivi 16  fu il sac. Murta Giuseppe; poi passò all’abate già agostiniano Angelo Righetti, che la gestì fino al 1814).

  Alcuni anni dopo, nel 1815 circa, --prendono il governo gli ‘Stati Sardi” detti di “terra ferma”, monarchia assoluto-ereditaria della real casa di Savoia (Carlo Alberto).   –al Santuario ritornarono gli Agostiniani che dovettero subito affrontare il gravissimo problema proposto da lord William Bentinck prima di abbandonare i suoi progetti e dare le consegne  al Genio del governo Sabaudo: in quella posizione strategicamente dominante  proponeva la demolizione di tutto, per erigervi un forte; e per intanto aveva dato l’avvio alla costruzione avanzata della Lunetta del Belvedere e le basi del futuro forte Crocetta. I piemontesi si trovarono col progetto iniziato.

1818 una ordinanza del sindaco Mongiardino Antonio impone che per vendere pane, canestrelli e vino vicino al santuario, occorre chiedere dove mettersi ai massari; proibito il pane di altri comuni; pagare il dazio per il pane locale.

   Nel 1819, 7 gennaio, p.Giovanni Andrea Balzi, procuratore degli Agostiniani, con atto del 7 maggio presso il notaio Ignazio Carbone,  dovette cedere in contanti all’Azienda di guerra di stato, i fabbricati sia della chiesa che del convento. La reazione popolare e la fabbriceria, molto si adoperarono perché il Santuario non venisse intaccato; e quando già numerose opere di demolizione erano state applicate ai fabbricati vicini, solo nel 1821 (8 ago) fu deciso spostarne  la posizione nei terreni sottostanti, convenendo però col governatore genovese Roero di Sanseverino l’occupazione provvisoria di buona parte del convento per trasformarlo in magazzini militari (che persistettero per oltre settantanni, dietro relativo compenso).

   Rimasta libera da vincoli e pericoli, e ritirati definitivamente i monaci, la chiesa venne  affidata alla custodia di  sacerdoti secolari.

   Nello stesso anno, l’arcivescovo di Genova, mons. Luigi Lambruschini concedeva alla chiesa, di essere esente da ogni dipendenza parrocchiale.

   Nel 1833, al Santuario salì la regina Maria Teresa Cristina di Sardegna, da due anni vedova del re Carlo Felice ( prima, era ‘duca dei Genevois’; a lui è dedicato il teatro lirico cittadino).

   Nel 1839 --fu costituita una regolare Fabbriceria  per volere del card. Tadini. Furono nominati membri  i sigg. Giuseppe podestà, Francesco Bobbio, Bartolomeo Mongiardini, Angelo DeAlbertis e Francesco Rolla. – il regolamento napoleonico che regolava elemosine, rendite, beni, ecc. rimase in vigore, e quindi amministrazione autonoma, personalità giuridica indiopendente dal consiglio di Fabbrica,

   Nel 1846 si ristorò il presbiterio (forse con l’ausilio dell’immancabile ed onnipresente arch. Maurizio Dufour: sicuramente a lui è attribuito il disegno della nicchia che accoglie il quadro della Madonna) ridando splendore agli stucchi dorati ed alle decorazioni pittoriche. La data fu incisa sul grande medaglione che è posto alla sommità di tutti gli ornati .

   Nel 1849 un ufficiale e soldataglia dei bersaglieri al seguito di LaMarmora (inviato per reprimere i moti di ribellione avvenuti entro le mura),  derubarono il santuario di due calici, una pisside e vari ornamenti preziosi. L’ufficiale riconosciuto complice, fu punito.

   Nel 1884  -- il 24 maggio, la Fabbriceria, non più convocata da 19 anni, dà le dimissioni non trovandosi legalmente investiti nell’incarico (firmano: don Alberto Valle, don Nicolò Daste fu GB, Giuseppe Garibaldi fu Antonio, Giacomo Storace, Giuseppe Montaldo di Paolo). L’arciv. Salvatore Magnasco il 19 giugno  nomina sia la erezione di un nuovo consiglio di Fabbriceria al posto dei dimissionari; e sia i componenti nel march. Lazzaro NegrottoCambiaso fu GB; Angelo Parodi fu GB; Ambrogio Brazzo fu Giovanni, da unirsi agli altri membri aventi diritto; debbono amministrare i beni della chiesa. Il 18 luglio il Prefetto, sentito il Sindaco di SPdA nomina membri del Consiglio di fabbriceria i sigg.Galleano Domnico fu Antonio e Bozzolo Angelo fu Lorenzo

--Le autorità militari decisero, impedendo così l’esecuzione della tradizionale festa dell’8 settembre, di occupare parte del piazzale con una batteria di cannoni come descritto al ‘piazzale

   L’8 ott.1895  fu confermato per decreto dall’arciv. mons. Tomaso Reggio, il privilegio di essere direttamente soggetta alla giurisdizione dell’arcivescovo stesso, e tolta la giurisdizione di Promontorio; e nominò “rettore” il sacerdote custode del santuario (primo, fu il sac. Angelo Cappanera nel 1894); coadiuvato dalla Fabbriceria e Masseria; con facoltà di indossare il cappino rosso (come il rettore del santuario della Guardia)

  Altre migliorie furono apportate nel 1896 con le pitture dell’interno (pittore Ghigliotti di SestriP e dell’Orgero –vedi sotto), nei tempi più moderni rivelatesi  utilizzando materiali di bassa qualità .

  Lo stesso arcivescovo, mons. Tomaso Reggio il 1 sett.1901, dopo apposito decreto di delega rilasciato dal Capitolo Vaticano, solennemente incoronò la Madonna -venerata da oltre sei secoli nella chiesa-,  quale titolare del Santuario (la corona aurea è appesa in cima alla nicchia e fu eseguita in oro dall’orefice Traveso su disegno riprodotto dal modello di quelle in uso nel rinascimento; è possibile sia concessa solo per le immagini più insigni;) ed il  Bambino; fornendo il  21 ago.1905 speciali facoltà per l’assistenza spirituale della regione circostante.  Questi riconoscimenti favorirono sempre nel popolo la voglia di partecipare alla sagra: dai vari rioni la gente si faceva a piedi la salita, assiepandosi in chiesa, specie se pioveva, nell’attesa di - se c’era il sole - portarsi sui prati per  gioire in modo profano e turistico della giornata di festa.

 

 foto Pasteris del 1956

  Per gli appassionati del Lotto tutto ha un significato; e per loro,  l’8 (settembre) diveniva numero di una cinquina assieme al 29 (agosto, della Guardia), al 14 ( settembre di san Cipriano), al 28 (settembre di san Michele di Coronata) ed al 21 (settembre del Garbo).

   Nel 1904 toccò il rinnovo del tetto e della facciata (due finestrine ai lati della porta d’ingresso, volevano offrire al viandante la possibilità di salutare la Madonna anche se la porta era già chiusa), e l’anno dopo del campanile e dell’altare maggiore (rifatto in  marmo a spese del benefattore ing. Raffaele Serra) e consacrato nel 1907 dall’arciv.mons. Edoardo Pulciano. I pavimenti, marmo bianco e bardiglio, del 1908

           

 foto del 1902 prima dei restauri           foto del 1910-13 restaurata (inclinatura del tetto)

        

 foto del 1902-3    foto 1913 con cannoni                                foto del 1920

 

 

   Un censimento scritto da don Brizzolara in quell’anno, scrive la presenza (dal 15 gennaio 1903) nella “casa canonica di d.GiovanniB. Novara quale rettore, con Maria Traverso domestica;   rev.Cappellano don Righetti MarioLuigi più Cesarina Gotuzzo ved. Righetti, avola”.

   Opera del 1912 e di Martini Sertorio, i vetri istoriati nell’abside, mirati a dar luce all’altare maggiore.

   Il Pagano 1921 segnala il santuario come abbazia, con parroco don Parodi Angelo e rettorato con don Novara G.B.  don Novara GB

   Il 29 dic.1930, il cardinale mons. Minoretti Dalmazio, constatando tutti i requisiti,  di popolazione (solo in san Gaetano, si arrivava a 25mila persone), di consenso delle  parrocchie limitrofe (san Gaetano, san B. di Promontorio e san B.di Certosa),  di esistenza in Curia di un deposito (somma esclusivamente destinata  al beneficio parrocchiale erigendo), firmò il decreto che costituiva la chiesa di N.S. del Belvedere, quale “ parrocchia autonoma, con proprio territorio - di giurisdizione, beneficio, amministrazione ed archivio - e con tutti i diritti ed oneri riconosciuti dai sacri canoni... le viene assegnato il territorio compreso tra salita del forte Crocetta - corso Belvedere - quota 80 (verso il Polcevera, sino al civ.31 di sal.Bersezio) - forte Crocetta - lato ponente di corso Dante Alighieri - dal civ.5 di salita Belvedere e la salita stessa comprese le palazzine Giunsella e Boccalatte allora ai civv. 6 ed 8 - la zona sopra la nuova strada intitolata a GB Monti“ fino all’incastro collo sperone del forte Belvedere. Il 6 genn.1931 iniziarono ufficialmente le funzioni  parrocchiali,  e primo  “parroco” fu nominato il sac. GB.Novara.           

   Nel 1933 era Santuario Parrocchia di N.S.di Belvedere, con rettore-parroco lo stesso sacerdote Novara (questi morì parroco di Belvedere il 28 gennaio 1942 e don Parodi era divenuto economo; per il suo funerale furono pagate £.25 all’organista Rossi Andrea, £.25 per messa cantata, £.150 per 12 torcie (sic), £.50 per 26 candele altari)

   Nell’anno successivo la Soprintendenza alle Belle Arti provvide a tutelare e vincolare il ‘Santuario di Belvedere e Chiostro’.

   Un ultimo ristoro al tetto, agli intonaci anche del campanile, alla canonica ed all’antico chiostro, fu ridata lucentezza all’abside con lavori sotto la guida dell’arch.Giovanni Bozzo della Sovraintendenza alle Belle Arti e per opera del prof. Angelo Petrucci che ha ripristinato le originali pitture che circondano l’antica icona ricoprendo gli antichi fregi con autentica foglia d’oro.

   Inglobata nel progressivo allargamento del tessuto urbano, il santuario gradatamente perdette buona parte della sua antica importanza di mèta di pellegrinaggi e di ristoro morale: era considerata la Madonna della Guardia sampierdarenese. 

   Quarto  rettore (dopo 5 mesi di supplenza, amministrata dall’allora vicario coadiutore -oggi parroco della Cella )  fu don Aldo Tosetti, in carica dal 1980.

   Sotto la sua rettoria, nel 1997 la festa dell’ 8 settembre è stata proclamata “sagra” o fiera, con la possibilità di lasciar accedere i commercianti con le bancarelle,  la banda , la processione e speriamo di nuovo i “cristi” .

   A questi è successo dal 30 gen.2000 don Walter Molinari (nativo di Piadena -Cremona il 17 apr.1948, fu ordinato sacerdote da mons. Siri il 29 giu.1977   ed incaricato alla parrocchia di santo Stefano di san Fruttuoso e poi vicario per undici anni alla Cella; finalmente nominato parroco, fu per sette anni a san Martino di Murta , tre a san Gerolamo di Quarto ed infine trasferito qui, per volere dell’arciv. Tettamanzi), che però fu allontanato alla fine del 2002 per –si dice- ’eccesso di libertà morale’.

  Dal 2003 è stato seguìto da don Mario Novaro, che si deve interessare delle 3mila anime; nonché: all’inizio del mandato anche della abbazia e fedeli di Promontorio; dell’orfanatrofio Antoniano femminile (delle Figlie dello Zelo Divino di salita Belvedere), delle Figlie di s.Anna (del patronato s.Vincenzo de’ Paoli di salita Forte Crocetta)¸delle suore di NS del Rifugio in Monte Calvario – figlie della santa Bracelli- locate nella casa parrocchiale.

 

la chiesa vsta dai giardini sottostanti, di salita Belvedere

   Il 12 novembre 2004, un evento miracoloso: un operaio peruviano intento a riparazioni del sottotetto, precipitava dall’alto del vertice della volta -fatta di vecchio canniccio ed intonaco-, da oltre 10 metri, per sfondamento causa il peso; una rete posta a metà strada per trattenere eventuali calcinacci, gli salvò la vita o grave invalidità frenando la caduta. Per vari mesi  la chiesa restò chiusa per perizie. Poi riprese le funzioni con tutta una intelaiatura di tubi innocenti che la rendevano – seppur praticabile - non caratteristicamente bella per celebrarvi solennità e matrimoni. Così era ancora nel 2006; internamente liberata dal 2009.

 

   L’ELENCO dei “governatori” del santuario

1--“priori” : dal 1290→1311 con Nicolò Dentuto; da esso salta al 1408→..., con un Giacomo; 1416, Paolo Vivaldi; 1431, Gregorio da Pavia; 1436→1442→..., Donato Castagnola; 1447, Lanfranco de Squassis di Savignone;  1485, Gerolamo Castello; 1514, Stefano da Zoagli; 1572 Alessio Stradella; 1635, Maestro Guglielmo; 1650, GB Canevaro; 1675, Francesco Borzone;  1717, Antonio Leonardo Pittaluga; 1755, Giacinto Capponi;  

2--ad essi seguirono i “custodi” : nell’anno 1800, don Giuseppe Murta; 1803, don Bartolomeo Buono; 1806→1814, don Angelo Righetti; 1819→1821, frà Stefano Torretti agostiniano; 1821→1825,  don Francesco Massucco; 1825→1830, don Lorenzo DeBattè; 1831, N.Repetto; 1831→1835, don Giovanni Ferrandini; 1835→1844, don Francesco Bessone; 1844→1848, don Angelo Remondini; 1848→1855, don Alberto Valle; 1855→1884, don Luigi Benvenuto; 1884→1887, don Giacomo Boccardo; 1887→1891, don Francesco Cambiaso; 1891→1892, don Giuseppe Zerega, 1892→1894, don Amedeo Casabona, poi vescovo di Chiavari.

Nella casa parrocchiale uno scritto fa riferimento ad un Bartolomeo Spinola abb., non incluso in questi elenchi

3-- dal 1894 iniziano i “rettori” di cui il primo fu don Angelo Cappanera fino al 1898; al quale poi seguì don Emilio Traverso fino al 1903 (sua è la lettera supplica affiché alla Madonna del Santuario vengano riconosciute le ‘aureee corone”);  ed ad esso,  GB.Novara fino al 1931; 

 

 

 

 

 

lettera di don Traverso                                                                                         logo di Raffaele Serra 1891 

quando divennero anche

4--“parroco”.

5—“fabbricieri” dal 1839 =(Giuseppe Podestà, Francesco Bobbio, Bartolomeo Mongiardini S., Angelo deAlbertis, Francesco Rolla P.)---1844 =(Carena Francio, Laviosa Giulio, Carcheri Domenico, Fossati Franco, Sasso Emanuele S.);---1846=(Moro Tommaso, Pittaluga Nicola);---1847 =( Garibaldi Nicolò); 1849 =(Tarelli Luigi, Tubino Agostino);---1853 =(Sommariva Giuseppe);---1854 =(Canepa Luca, Daste Nicolò,  Montaldo GB.);---1855 =(Canepa Angelo, (Parodi Angelo Nazzaro), don Valle Alberto, Conti Bernardo);---1884 =(Montando Giuseppe, Storace Giacomo, Garibaldi GiuseppeP., marc. NegrottoCambiaso Lazzaro, Bruzzo Ambrogio, Parodi Angelo, Galleano Domenco, Bozzolo Angelo);---1884 =(Raffaele Serra già abbiamo ritrovato questo nome tra i benefattori che pagarono le spese dell’altare e campanile nel 1904// esisteva in città un omonimo –  non ingegnere ma negoziante  di articoli da cucina=vedi sopra l’intestazione di una fattura);---1886 =(Bottino Benedetto);---1891 =(Sbarbaro Giuseppe, Bruzzo Nicolò);---1892 =(Solari Pietro P.);---1894 =(Facco Pantaleo);---1896 =(Rebora Augusto, Monticelli Giuseppe, Bruzzone Giovanni);---1897 =(Moro GB);---1899 =(Moro Antonio);--- 1900 =(Tuo Bartolomeo);---1903 =(Pozzolo Agostino);--- 1906 =(Sbarbaro Giacomo);--- 1912 =(Montolivo Giovanmni);--- 1913 =(Moro Tommaso, Rossi Mario)

 

L’esterno, ha sul lato mare una croce in legno a ricordo dei “Figli di san Vincenzo” che nel periodo 19-26 mar.1954 (anno mariano) vi erano saliti in missione. Il fronte principale appare diviso in tre parti: il centrale – corrispondente alla navata centrale - ha come unico motivo d’interruzione della intera superficie, caratteristica delle chiese conventuali - una finestra serliana (con due parti rettangolari ai lati, interrotte al centro da una curva, caratterista seicentesca).

L’ingresso, il portale, più ante, è molto semplice e lateralizzato da due  finestrine     

con gra ta; ed è sormontato da stucchi barocchi racchiudenti l’effige della     Madonna del Santuario.

L’interno, (NB***è tutto da controllare) è a croce latina; una navata con due brevi cappelle laterali.

Nella parete di sinistra, a nord, si notano due finestrelle in alto che comunicano col chiostro confinante; nell’interno esse si alternano con nicchie arcuate e di scarsa altezza. Alternanza che si ripete sulla parete destra, che confina e comunica con l’oratorio di sgostino, nel quale sia la volta a botte, sia le lesene nelle pareti che si interrompono a livello delle aperture, significato che il collegamento è avvenuto in un secondo tempo –ovvero che uno è trecentesco ed il resto è seicentesco.

 La volta a botte mostra affreschi di Antonio Ghigliotti, pittore di SestriP, con le immagini di profeti e delle virtù completati nel 1896. Sopra il presbiterio nelle medaglia centrale, l’immagine dell’Assunta, dipinta dal sampierdarenese Carlo Orgero; mentre Fezelli (o Fazelli) da Parma vi aggiunse le pitture di ornato (effetti pittorici mirati ad imitare il rilievo a stucco) e probabilmente anche i motivi vegetali dei capitelli e la doratura della cornice sovrastante.

All’incrocio con i bracci la volta è a vela.

L’abside, separato dalla navata da una balaustra marmorea, appartiene al restauro ottocentesco, sia nella doratura che nell’altare; escluso la finestrella nella parete di fondo mirata ad illuminare la parete di fondo  che è seicentesca (come di quest’ultima epoca sono le finestre disposte simmetriche anche se –per presenza di edifici conventuali affiancati- furono realizzate finte.

Sulle pareti, gli stemmi di vari papi. Da sinistra: Leone XIII,  Pio X, Benedetto XV, Pio IV, Pio VII, Gregorio XVI, Pio IX.

  

Papa Gregorio XVI                       Papa Pio IV                      Pio X

Sulla parete di ingresso, a sinistra della porta  lo stemma  di Sampierdarena, a destra di Genova.

 

Il pavimento è in marmo bianco e bardiglio. Una balaustra marmorea separa la navata dalla tribuna. Tre finestre nell’abside mandano luce  dai vetri istoriati.

 

Nell’altare maggiore, ricco di marmi, sculture, tarsie e fregi dorati, fatto appositamente fabbricare per volere del benefattore ing. Raffaello Serra, e solennemente consacrato dall’arciv. Edoardo Pulciano nel 1907, entro una ricca e marmorea nicchia rettangolare, racchiusa ai lati fra due colonne spiraliformi di marmo rosso ed in alto fra cinque angioletti posti come custodi osservatori, si vede l’antichissimo e  venerato quadro  in cornice ottagonale della Madonnavedi in seguito (dallo stile, e a giudizio del critico pf. L.A. Cervetto, appare del 1300-primi del 1400. Nei  fregi della cornice del quadro, appare –in cifre arabe e sui fregi del manto- la data del 1180; ma gli studiosi concordano nel giudicare -come anche nei dipinti della Madonna delle Vigne e della Madonna della Valle preso Gavi- che la data rappresenti l’epoca degli  ornati più che del dipinto, mentre Scriba ricorda che  i numeri arabi vennero introdotti ben dopo quella data, e riporta il pensiero di Varni il quale scrisse che in realtà non sono numeri di una data ma fregi di ornamento. Numerosi erano gli artisti –provenienti da tutto il genovesato –Opizzino da Camogli-, dalla Toscana -G.Tura, Taddeo Bartoli senese, Manfredino da Pistoia, Turino e Nanni da Pisa-, che nel 1300 risiedevano a Genova; tra tutti essi, lo stile si avvicina –e quindi viene attribuito anche se non non concordemente- a Opizzo, od Oberto, in realtà Bartolomeo Pellerano di Camogli, della famiglia Opizzino Pellerani, nato 1310? e morto 1348; primeggiava lavorando in Genova prima del 1350, e divenne il secondo grande pittore del 300 genovese. Di lui sino a poco tempo fa era conosciuta una sola opera su tavola, ora a Palermo e raffigurante la Madonna dell’Umiltà, del 1346.  L’attribuzione è recente: uno studio specifico su questo artista compiuto nel 1979 dalla studiosa genovese Anna DeFloriani, ancora non lo attribuiva. D’Oria aveva scritto essere ‘probabilmente di scuola pisana del XIV secolo’ perché ricorda lo stile di un Turino e di un Nanni, ambedue pisani, e in periodo quando lavoravano anche  Taddeo Bartoli senese e Manfredino pistoiese; ma queste attribuzioni non  sono confermate dalla maggior parte degli altri critici. Molto opportunamente il tutto è protetto da un sottilissimo ma resistente cristallo che non si fa vedere).

Ella è ritratta col Bimbo sul braccio sinistro, la mano destra a tenere i piedini e Lei voltata nell’atto di guardarlo con sguardo amorevole e dolce come era d’uso in quell’epoca nel dipingere una Madonna; cercando appunto di esprimere il concetto di una maternità superiore a quella di tutte le donne.  La presenza di un quadro così prezioso in una chiesa a quei tempi così isolata, si spiega facilmente ricordando che il convento ospitava tante figlie di nobili aristocratici i quali così si ingraziavano il convento con forti donazioni.

   Lo storico genovese LA.Cervetto, nel 1901 scrisse la sua impressione di somiglianza all’espressione della Madonna scolpita da Giovanni Pisano nel Camposanto pisano; a quella dipinta da Giotto nella cappella degli Scrovegni a Padova; o a quella del Cavallini nella Basilica di Assisi .

   È stato presunto che in origine la tavola fosse più grande, e tagliata ottagonale in tempi successivi. Il 21 mag. 1901, il  Capitolo vaticano concesse l’incoronazione della Madonna, motivandola “in considerazione che l’immagine è tra le più venerate dall’antichità e per celebrità di culto”(l’ottava  simile concessione  nella Diocesi genovese dopo   la “Pietà” in san Lorenzo, l’ “Incoronata” di NS del Boschetto camoglino , la “Madonna” di NS delle Tre Fontane in Motteggio,  del Suffragio a Recco, di NS delle Olivette in Arenzano, dell’Acquasanta di Voltri, e -dal 10 giu.1894- della Guardia sul Figogna)

   Sulle pareti laterali  del presbiterio, due quadri: a destra quello di

-Anton Maria Piola,1654-1709 ( qualcuno dice che è di suo padre Domenico Piola 1627-1723.  Novella a pag.46; GazzettinoS/59pag.25)  raffigurante con gran sfarzo di colori il martirio di sant’Orsola  e delle compagne (Il testo ‘la pittura a Genova e Liguria, non cita proprio l’opera),

-e un’altro a sinistra,  di Gio Raffaele Badaracco (Genova, 1648-1726) con sant’Agostino ed altri santi (santa Monica, Bernardo, Nicolò da Tolentino, Domenico, Antonio, Rocco, Leonardo da Porto Maurizio )= attribuzione non confermata da “La pittura a Genova e Liguria”.II.pag.294). 

 

-i sovrastanti vetri delle finestre furono dipinti da Camillo Sertorio Martini.

 

Ai lati, nelle cappelle, si venerano: a destra

- un crocifisso, fu scolpito in grandezza naturale in legno da Gerolamo Pittaluga. 

-ed a sinistra un raro quadro,  con la Madonna degli angeli, di Simone Barabino (o Barrabino; 1585-1630 pittore genovese di cui soltanto da poco si è riuscito a capire la produzione; fu senz’altro a Genova per due lustri, fino sicuramente nel  1615; poco dopo si trasferì a Milano, ove morì “nel bello degli anni”. La Madonna gli fu attribuita dall’Alizeri, ed accettata dai numerosi critici seguiti;  tra essi , l’Alizeri sottolinea la sua pregevolezza non tanto per la bellezza quanto per la rarità; il Torriti  dice che il Barabino si limitò ad inserire gli angeli, in una preesistente e più antica  immagine della Madonna; GazzettinoS/59pag.21 confonde questa madonna con quella centrale). Vicino, un quadro di autore ignoto ma eseguito con un certo garbo, raffigurante san Giuseppe.

-nelle pareti, quattro quadretti ovali di scuola fiamminga del 1600, raffigurano i quattro evangelisti.

 

 

   Nella cappella di sant’Agostino -creduta una parte della primitiva chiesa (non si ha certezza di questa possibilità; e, per varie ipotesi, appare improbabile)- si vedono delle

-un grosso ovale con la Madonna della Guardia;

-lapidi sepolcrali di cittadini sampierdarenesi, alcune datate 1673, 1726, 1811; 

 

 

 

lapide sopraporta nella cappella laterale

 

 

 

 

 

 

 

 

 

                                             MCM

                                 AEMILIUS TRAVERSUS

                               RECTOR HUIUS AEDIS

                                      ET CURATORES

                           HAEC TRADENDA POSUERUNT  

A PIO VII P.M. DATUM UTI QUAE EX AUCTORIT. PIIII P.M.

  LUCRANTUR QUI HOCCE TEMPLUM A PRIMIS      *MDCCCXIIII

  EX SACRO RITU PREDICATIONIBUS AB MEM MARIAE

  NASCENTIS AD FESTUM VERGENS QUAE PONTIFICIAE 

                                                                                                  LITTERAE

  POSTULANT EADEM LUCRARI POSSINT USQUE AD

  INTEGRUM D. NOMIN MARIAN RECOLENDO.

PIUS VIIII P.M. TANTI LUCRI TEMPUS USQUE AD

  INTEGRUM VIII D POST NATALEM DIVINAE        *MDCCCXLVII

  GENITRICIS PROTRAXIT

ORDO CANONICOR VATICANOR IMAGINI MARIANAE QUAE

   IN HOC TEMPLO COLITUR AUREAM CORONAM             *MCMI

   DECREVIT THOMAS E. G . NOB REGGIA ARCHIEP

   N AB O S S VICARIO MUNERE EXORNATUS

   EAM CORONA REDIMIVIT K SEPTEMBRIB

   HAEC GEMMIS REFULGENS AERE

   COLLATO PARATA EST DISMA MARCHESE

   ANT AQUENSIUM STATIELLAT NATAL VIRG

   AUG IOSEPHUS CAPECCIUS ANT

   ALEXANDRINOR STATIELLAT D NOMIN

   MARIAN SACRA IN HOC TEMPLO SOLEMNITER

   OBIERUNT IMAGINIS REDIMITAE HONORANDAE CAUSSA

                    AVE PIA MATER

                          IESU TUIQUE AMORE

                                OMNES DITA

 

 

   

due lapidi parete di fondo della cappella                          lapide II                   lapide VII

 

molte famiglie negli anni antecedenti all’obbligo napoleonico della sepoltura nei cimiteri, elessero la scelta della propria, nella cripta della chiesetta, affidando la memoria a lapidi che coprivano l’antico e rustico pavimento; furono traferite nelle pareti dell’attiguo oratorio di sAgostino, per ricodo storico.

-a terra una piccola lapide segnalante l’ossario di don GB Novara (1856-1942), primo parroco del Santuario; sua l’idea di usare il luogo per costruirvi il

- c’era, sull’altare, una tela  con san Francesco da Paola, di autore ignoto

- l’organo.

== in sacrestia un quadretto con la testa della Madonna, ed un presepio.

 

 

 

 

 

 

- presepio natalizio, che da allora è divenuto un classico, citato in tutte le rubriche e libri che si interessano della conservazione di questa antichissima usanza, possedendo statuine del 1700 attribuite a Gerolamo Pittaluga (vedi); da oltre una decina d’anni, per interessamento degli “amici del presepe”, fa parte della mostra-concorso, da loro istituita, sommandolo a quelli contemporanei fatti da artigiani-collezionisti.

 scuola del Maragliano


 

    Molte navi furono battezzate col nome di NS del Belvedere: viene ricordato lo sciabecco armato dalla Repubblica Ligure come nave corsara ed affidato a Nicola Bavastro; su esso il 16 mag.1801 si imbarcò Luigi Serra che diverrà ammiraglio della marina sarda; nel novembre di quell’anno, i marinai liberarono un bastimento nelle acque di Alassio, già catturato dal corsaro Nicolò Oneto.

 

4b)          ==chiostro,

                 

indicazione (moderna)                        ingresso del chiostro, nel corso         sovraporta

 

del XIII secolo essendo considerato parte dell’insediamento agostiniano conventuale del 1285; piccolo e molto bello, di gusto architettonico lombardo, quadrato. Il corridoio periferico, si apre verso il prato interno,  arricchito da fontanella centrale;  con 5 archi (o campate) per lato a tutto sesto, a loro volta sostenuti –sul muro, da sottili mensole- e all’interno da 4 pilastri in pietra rozzamente squadrata -tendenzialmente ottagonale-; a loro volta poggiati su un largo basamento posto tipo ringhiera si interrompe al centro del lato sinistro per dare accesso all’area centrale scoperta. Solo il lato sinistro, più vicino alla canonica (che anticamente era il convento) è aperto verso  il centro; la tettoia che lo copre sui tre lati liberi dalla canonica, si appoggia al muro esterno permettendo a chi prega percorrere il giro al coperto; si chiamano astragali i sottili anelli decorativi posti sopra ed alla base del pilastro.

Gli angoli sono sorretti dall’unione di due pilastri; essi danno appoggio ad un unico arco ad angolo retto, che acquisisce così la forma di cuore. I corridoi sono in ciottoli bianco e neri. Alle pareti vari altorilievi in gesso di epoca più recente

Si ha la certezza -confrontandolo con altri originali nella città e databili del XV secolo (NS delle Vigne; sM di Castello; NS del Monte (quello orientale))- che sia quello databile tra la fine del XIII e l’inizio del XV secolo, e quindi il più antico.

      

verso nord                                         corridoio da sud verso nord                        e quello a nord verso est

    

lato sud-ovest                                                                                        verso nord

 

      

risseau                                                                                                            quadro dei priori

 

4c)                             ==casa parrocchiale o canonica

 

 

Una volta era l’antico convento.

Sulla facciata a mare c’è una meridiana con la scritta, a ponente “Nescit occasum” ed a levante “Lumen ecclesiæ”; nel mezzo lo stemma sampierdarenese (il quale rende più recente l’oggetto)

Nel corridoio, è stato salvato un affresco, in cui si legge “MONAST.UM  S.CTAE  MARIAE  DE  BELLVIDERE  S. AUGUSTINI NON CUPAT.M*** BART. SPINOLA.ABB ***”.

 

4d)                            ==casa delle suore

Essendo vuota e disabitata, non siamo mai stati dentro a valutare la distribuzione dei vani ed eventuali affreschi o altro

 

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